Rivista dell'Ordine degli Architetti di Bologna

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CONTENUTI

DESIGN +

48 Ad alta velocità verso il futuro Il progetto di Arata Isozaki per la stazione di Bologna, fatto per integrarsi nella realtà cittadina

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Versatilità multipla

Geometrie quasi perfette

Una nuova struttura a 3 piani di containers per il Politecnico di Milano e Lecco

Il duo di designer newyorkesi Aranda e Lash, la matematica e la cristallografia

31 Risparmia e produce

62 Tutto intorno a una spirale Il Music Theatre dell’Università di Graz si ispira ai principi del Serialismo musicale

36 Arredi cromatici

La casa 100K è ad alta efficienza energetica e basso impatto ambientale

Il primo showroom italiano dedicato solo al colore nasce vicino a Brescia

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Progetti estremi

Oggetti di culto

In Olanda una parete d’arrampicata è stata costruita su un edificio universitario

Lichterloh, nel cuore di Vienna, è un negozio che propone arredi del Novecento


CONTENUTI

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L’arte che cambiò l’arte

60 anni di creatività

Diverse iniziative celebrano i cent’anni dalla nascita del linguaggio futurista

La Kartell festeggia i suoi successi fatti di innovazione e anticonformismo

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La grande hall della musica

Speciale ceramica

Un centro concerti di 2400 mq progettato da Jean Nouvel a Copenhagen

Le aziende del settore ceramico investono ancora in tecnologia e design

68 Perfettamente in equilibrio Il nuovo graffiante Porsche Museum progettato da uno studio viennese

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Due artisti a confronto

Frammenti di realtà urbana

A Modena in mostra le sculture religiose in terracotta di Mazzoni e Begarelli

Gabriele Basilico considera la fotografia una forma d’arte dialettica e aperta a tutte le interpretazioni

84 Michele De Lucchi

DESIGN + Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 7947 del 17 aprile 2009

Si muove tra tre diverse discipline: architettura, design e artigianato

Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli

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Art Director Laura Lebro Responsabili Marketing Simona Marcosignori, Roberto Sanna

Antonio Citterio Designer dal rigoroso approccio formale e dal minimalismo essenziale

Redazione Alessio Aymone, Nullo Bellodi, Silvia Di Persio, Monia Fantini, Manuela Garbarino, Antonio Gentili, Claudia Gobbi, Enrico Iascone, Arianna Lancioni, Giulia Manfredini, Paola Mazzitelli, Francesco Montanari, Luca Parmeggiani, Duccio Pierazzi, Saura Sermenghi, Luciano Tellarini, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini, Marco Zappia Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) - www.cantelli.net Via Saragozza, 175 - 40135 Bologna Tel. 051.4399016 - www.archibo.it

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EDITORIALI

NUOVE PROSPETTIVE...

ARCHITETTURA LIQUIDA

Pensare il design. E pensarlo nel nostro piccolo mondo, Bologna. Una città che comunque - per fortuna - gravita tra le alte sfere della comunicazione, aperta a raccogliere segnali, registrare cambiamenti. Pensare il design, o al design, questo è (sarà) il nostro compito. Capire e far capire che il design è un luogo di fascino. Mitico e attraente. Un luogo in cui il nulla diventa concretezza, la forma stile. Un luogo di frontiera dove perdersi e ritrovarsi. Siamo d’accordo con Michele De Lucchi (intervista a pag 84), “il design può cambiare il mondo”. Sì, perché progettare vuol dire costruire, mutare, organizzare e riorganizzare, trasformare, sviluppare, allargare e stringere, aprire e chiudere, raccogliere e rilanciare. Vuol dire rintracciare la memoria delle cose, trovare il minimo comune denominatore della creatività. E alla fine? Rilanciare e riscattare. Riscattare ciò che è bello e funzionale, naturalmente. Ma al di là delle diverse sfaccettature che possiamo (vogliamo) dare sul design, in questo primo numero di DESIGN + vi raccontiamo il nostro punto di vista. Un punto di vista che esplicitiamo attraverso i pensieri e le parole di architetti e teorici del design da noi intervistati, foto e disegni di progetti importanti, e ancora riflessioni, segnalazioni, appunti. In mezzo alla confusione editoriale generata da questa ipertrofia informativa generosa, il nostro giornale vuole essere una guida ordinata, ragionata, semplice e selettiva su quanto di importante accade nel mondo dell’architettura e del design. Questo il filo rosso che lega tutti i contenuti di questo numero, proiettato sulla via delle novità e delle anteprime. Il racconto dell’opera destrutturata, Quasi-table, di Aranda e Lasch. Interviste che ci consegnano in modo chiaro e conciso i punti di vista del sociologo Domenico De Masi e della direttrice del Museo di architettura moderna e contemporanea del Maxxi, Margherita Guccione. Il lucido e perentorio richiamo alla responsabilità sociale da parte di Antonio Citterio. E ancora... La stazione di Bologna, progettata da Arata Isozaki: uno struttura che sfiora e accarezza la storica architettura della nostra città, e contemporaneamente ne prende le distanze. Jean Nouvel che ancora una volta appaga i nostri occhi con un’altra sua settima meraviglia: la Concert Hall di Copenhagen, una grandiosa architettura che come ci racconta lui stesso deve commuovere, così come commuove la bella musica. L’innovativo progetto dell’olandese Ben van Berkel per l’Università di Graz. Le foto di Gabriele Basilico e i primi sessant’anni di Kartell, azienda che rappresenta il Made in Italy nel mondo. In questa nostra città succede, dunque, che DESIGN + si conquista un angolino. E da qui cerca nuove angolazioni e prospettive da cui osservare il mondo dell’architettura e del design.

Il mondo cambia. Lo fa con una rapidità sempre più evidente. Le trasformazioni sono così veloci che raramente si riescono a farne sedimentare i risultati. Gli obiettivi prefissati sono, a volte, raggiunti e subito, prima che si possano solidificare, vengono dilavati da altre istanze improvvise e torrentizie, spesso mutevoli e inconsistenti. Se è vero, come noi pensiamo, che l’architettura, come ebbe a dire Goethe, altro non è che musica congelata, allora potremmo ipotizzare che la progressiva e crescente liquidità la sta rendendo più frenetica, ma anche più ritmata. Densa di pause e di sincopi, dissonante e polifonica, solista e corale a seconda dei casi. L’architettura che, ovviamente, come tutto, si sta trasformando, abbraccia spesso derive non sempre condivisibili, ma quasi sempre stimolanti e pervase di creatività positiva. La centralità del progetto nel pensiero architettonico sta acquisendo sempre maggiore importanza e la distanza tra architettura e design industriale è sempre più breve. Vien da pensare che il motto gropiusiano “dal cucchiaio alla città” si stia compiutamente realizzando. L’innovazione tecnologica sta traghettando l’universo progettuale verso lidi irraggiungibili anche solo pochi anni fa. La versatilità creativa sta trasformando il mondo del lavoro e il knowledge worker sta acquisendo rilevanza sempre maggiore. La responsabilità sociale dell’architetto, anche se tra notevoli impedimenti, comincia ad essere valutata con attenzione e i valori etici della professione ad essere condivisi. Tutto ciò all’interno di una realtà sociale, quella italiana, che in questi decenni non ha certo brillato per virtuosità, altruismo e generosità. Le questioni della sostenibilità ambientale sono diventate, finalmente, argomenti all’ordine del giorno. Nelle pagine di questa rivista si scriverà di architettura e di design attraverso le parole dei progettisti, dell’università e delle istituzioni, degli operatori economici e finanziari, della produzione industriale ed artigianale, degli artisti, dei fotografi, dei musicisti, dei comunicatori. Troveranno spazio realizzazioni di esponenti dello star system accanto a quelle di giovani architetti e sarà benvenuto il pensiero critico se volto alla costruzione di un confronto dialettico teso a consolidare valori etici condivisi. Le sezioni nelle quali è scandita la rivista – Pensieri Globali, Segnali, Progetti, Anteprima, Dietro al Progetto – hanno il compito di suggerire il ritmo della partitura che organizza i pensieri e le immagini ordinatamente proposti per fornire emozioni con l’architettura e il design. Di tutto questo e di molte altre cose ancora DESIGN + vorrà discutere. Una costruzione del pensiero che ha le fondamenta ancorate nella realtà locale della città di Bologna e le finestre spalancate verso il mondo globale.

Maurizio Costanzo Direttore Responsabile

Direttore Editoriale Alessandro Marata

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PENSIERI.GLOBALI

Domenico De Masi «Bisogna unirsi nel culto della bellezza e della felicità. Cercare nuovi designer di futuro. Perché la creatività progettuale dovrà diventare un valore economico» ▲

Lei ha detto che l’avvento post industriale ha creato una sinergia tra gioco, lavoro e creatività. Sinergia che lei definisce “ozio creativo”. Dunque le basi della società saranno “fantasia e creatività”?

A chi gli chiedeva di prevedere l’evoluzione della società, Borges rispondeva: “Non sono un indovino, sono un profeta”. Io potrei dire: “Non sono né un profeta, né un indovino. Sono un semplice sociologo”. Come semplice sociologo mi pare di comprendere che la società postindustriale, cioè quella in cui ci troviamo a vivere da una cinquantina di anni a questa parte, non è automaticamente e sicuramente più bella, più giusta, più ricca di quella industriale. Ha le potenzialità per esserlo. Tutto dipende dalla nostra capacità di progettare il futuro. Occorrono perciò designer di futuro, capaci di progettare sistemi sociali belli e utili allo stesso tempo. Nella Manchester dei tempi in cui Marx scriveva Il Capitale, il 94% dei lavoratori dipendenti svolgeva mansioni ripetitive di carattere fisico. Oggi, nei paesi avanzati come il nostro, solo un terzo degli occupati (in buona parte immigrati) svolge lavori di questo genere. Un altro terzo svolge lavori intellettuali di tipo flessibile. Un altro terzo ancora svolge lavori intellettuali di tipo creativo. Man mano le tecnologie saranno capaci di provvedere a quasi tutti i lavori fisici e ripetitivi, liberandone l’uomo. Resteranno per noi le attività flessibili e quelle creative che, per loro natura, si avvicinano fino a coincidere con le attività ludiche e con l’apprendimento. Dunque, aumenterà sempre più quell’intreccio inestricabile di lavoro (con cui produciamo ricchezza), di studio (con cui produciamo conoscenza) e di gioco (con cui produciamo benessere), che io chiamo “ozio creativo”.

Cos’è secondo lei la creatività?

La creatività è una sintesi di fantasia e di concretezza. L’eccesso di fantasia porta alla velleità; l’eccesso di concretezza porta alla burocratizzazione e alla sclerosi. Per fortuna, ci sono molte probabilità che i creativi prevalgano sui burocrati per il semplice fatto che la progettazione di futuro non può fare a meno della creatività. Le persone dotate di molta fantasia e, contemporaneamente, di molta concretezza sono rare. Si tratta di quelli che noi chiamiamo “geni”. Ci sono invece molte persone dotate di molta fantasia e di poca concretezza; così come ci sono molte persone dotate di molta concretezza ma di scarsa fantasia. In carenza di singoli geni creativi, possiamo formare quanti gruppi creativi vogliamo, mettendo insieme soggetti particolarmente fantasiosi con soggetti particolarmente concreti. Esempi storici di questo tipo ci vengono proprio dal design: la Wienerwerkstätte in Austria, la Bauhaus in Germania, l’Art and Kraft in Inghilterra, la scuola di Glasgow in Scozia.

E come si evolveranno i centri urbani in questa società post industriale?

Quanto alla crescita dei centri urbani, credo che essa oscillerà tra il modello “lusitano”, che si affida al capriccio e all’individualismo, e il modello “catalano”, che si affida alla pianificazione razionale. San Paolo è un esempio del primo tipo; Messico City è un esempio del secondo tipo.

Oggi in Italia le città devono affrontare il problema dell’accoglienza. Roma e altre città presentano già numerosi slums. Potrà la società creare nuove forme di coesione sociale diverse dalle attuali? E l’architettura che apporto potrà dare?

Non solo potrà, ma dovrà. Nella storia delle collettività, mai era esistita una forma di interazione potente e veloce come Internet. Facebook è una piazza virtuale non meno intensa e di gran lunga più capiente di qualsiasi piazza reale. Siccome può, dunque deve. Ma qui entra in gioco la mancata crescita sociale, rispetto alla straordinaria crescita tecnologica. Siamo come un individuo dotato di un braccio

Domenico De Masi è titolare della Cattedra di Sociologia del Lavoro presso l'Università di Roma "La Sapienza" ed è stato Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione. È socio Fondatore e Direttore Scientifico della S3.Studium Srl. Dal 1980 si dedica all'insegnamento universitario, alla formazione e alla ricerca socio-organizzativa nelle maggiori imprese italiane. Ha scritto numerosi saggi sull’organizzazione urbana e sullo sviluppo e sottosviluppo.

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smisurato e di un braccio anchilosato. Siamo giganti nello sviluppo scientifico e tecnologico; siamo pigmei nello sviluppo psico-sociale. Proprio l’opposto dei Greci nell’età di Pericle, che snobbavano la tecnologia e si concentravano sulla crescita intellettuale. Una società incapace di accogliere è una società destinata all’estinzione. Soprattutto se, come l’Italia, ha un bassissimo indice di natalità. Nell’accoglienza, l’architettura svolge un ruolo centrale perché fornisce la “tana” in cui l’ospite trova la prima cellula del suo alveare. I luoghi sono spesso fonte di piacere e felicità, ma anche di malessere. La buona architettura può influenzare positivamente il nostro benessere?

Oltre a fornire una “tana” razionale funzionalmente, l’architettura può (deve) fornire una tana bella esteticamente. Perché la bellezza, parafrasando Keats, è una gioia creata per sempre. Come dice il mio grande amico Oscar Niemeyer, l’architettura deve essere sempre bella e sorprendente. E aggiunge: “Comunque, ciò che conta non è l’architettura ma la vita, gli amici e questo mondo ingiusto che dobbiamo modificare”. L’economia mondiale è in crisi. Gli sprechi non saranno più ammessi. La creatività progettuale dovrà divenire valore economico e dovrà sempre più tener presente la sostenibilità ambientale. L’Italia è pronta?

L’Italia è il paese più bello del mondo che si avvia a diventare il più brutto. Ciò per mancanza di educazione estetica, dovuta sia alla crisi della scuola, sia all’invadenza triviale della televisione. La bellezza non è mai spreco: sia perché crea valore, sia perché una cosa bella spesso costa meno di una cosa brutta. Quando il Re d’Inghilterra non pagò i debiti che aveva accumulato nei confronti delle banche fiorentine, i Medici e gli altri grandi banchieri toscani investirono i loro capitali residui nel finanziamento di opere d’arte. Nacquero così quei gioielli rinascimentali che ancora oggi contribuiscono al PIL italiano molto più di tutta la metalmeccanica industriale messa insieme. La qualità dell’architettura e dell’ambiente urbano dovrebbe essere un diritto del cittadino. Perché oggi si ha poca qualità intorno a noi? E perché le amministrazioni legittimano strumenti quali gli abusi edilizi?

Ho già accennato al disastro culturale provocato dal corto circuito tra crisi scolastica e trivialità televisiva. A ciò si deve aggiungere la veloce oscillazione dei gusti estetici, l’accavallarsi di segnali e di proposte derivanti dalla globalizzazione, il disorientamento che deriva dai giudizi opposti tra i diversi opinion leader. A Ravello abbiamo perso otto anni e molte migliaia di Euro per avviare la costruzione di un auditorium progettato da Niemeyer. Alcuni architetti e critici d’arte dicevano che si trattava di un oggetto bellissimo; altri che si trattava di un oggetto bruttissimo. Alcuni ambientalisti sostenevano che la costruzione avrebbe rovinato l’ambiente, altri che lo avrebbe migliorato. Alla fine hanno deciso i giudici che, non essendo architetti o ecologi, hanno fatto ricorso al semplice buon senso. Le amministrazioni legittimano gli abusi edilizi per incultura e per truffa: non sanno distinguere il bello dal brutto ma sanno capire come voterà la gente. La quale, a sua volta, è ben disposta a contrabbandare il proprio voto con un condono edilizio. Perché il cittadino ha sempre meno forza di indignarsi?

Perché i media hanno sempre più forza per manipolare. Gli opinion leader sono diventati sempre più scaltri, sempre più professionalizzati, sempre più agguerriti e sempre più corrotti. Si è avverata in pieno la lucida e sorprendente preveggenza di Tocqueville che, nel celebre saggio La democrazia in America (1830) scrisse: “Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili e eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima. Ognuno di essi, ritiratosi in disparte, è come straniero a tutti gli altri, i suoi figli e i suoi pochi amici costituiscono per lui tutta l’umanità; il resto dei cittadini è lì, accanto a lui, ma non lo vede; vive solo per sé e in sé, e se esiste ancora la famiglia, già non vi è più la patria. Al di sopra di questa folla vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare alle loro sorti. È assoluto, minuzioso, metodico, previdente e persino mite. Assomiglierebbe alla potestà paterna, se avesse per scopo, come quella, di preparare gli uomini alla virilità. Ma, al contrario, non cerca che di tenerli in un’infanzia perpetua. Lavora volentieri alla felicità dei cittadini, ma vuole esserne l’unico agente, l’unico arbitro. Provvede alla loro sicurezza, ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige gli affari, le industrie, regola le successioni, divide le eredità: non toglierebbe forse loro anche la fatica di vivere e di pensare? Così, ogni giorno, meno utile e più raro diviene l’impiego del libero arbitrio, più limitata l’azione della volontà. Dopo aver plasmato a suo piacimento ogni individuo, il sovrano stende la mano sulla società intera, coprendola di una fitta rete di minuziose regole, uniformi e complesse. Il potere non spezza, ma ammollisce, piega e dirige le volontà; non distrugge, non tiranneggia, ma ostacola, inebetisce tutti gli uomini, riducendoli come un branco di animali timidi e laboriosi, di cui lo Stato è il pastore”. Gli architetti e i sociologi insieme potrebbero essere strumento di una corretta educazione sociale?

A Parigi ebbi come professore Chombart de Lauve, l’architetto che aveva affiancato Le Corbusier nella progettazione di Passac e della Ville Radieuse. In Italia ho avuto la fortuna di fare altrettanto, affiancando Giancarlo De Carlo nella progettazione partecipata del Villaggio Matteotti a Terni. Credo che l’educazione sociale all’architettura e all’urbanistica non possa avvenire se non attraverso un’azione congiunta di sociologi, architetti e urbanisti. Dovrebbe unirli il culto della bellezza e della felicità. (di Gianfranco Virardi)

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PENSIERI.GLOBALI

Margherita Guccione «In architettura gli archivi hanno grande valore. Presto, grazie al DGA e al MAXXI, nascerà un portale, che sarà un punto di riferimento a livello nazionale» ▲

Gli archivi evocano un sapere custodito e nell’immaginario collettivo si presentano un po’ vetusti, poco visitabili e saturi di materiali difficili da consultare. Ma qui si parlerà di archivi per la tutela del patrimonio documentario dell’architettura del Novecento. Tutt’altra immagine dunque?

Gli archivi rappresentano la nostra storia e la nostra identità, sono una fonte storica e come tale possono avere un attributo di “vetustà”. Come renderli vivi nel presente? Con il lavoro di ricerca che permette di comprendere i significati di cui sono portatori, oggi. E tutto ciò è possibile attraverso gli interventi di riordinamento, schedatura e inventariazione che facilitano l’accesso ai documenti, descrivendoli e collegandoli tra loro, mettendoli in relazione con altre fonti. In particolare gli archivi degli architetti sono archivi sui generis, contengono materiali di grande fascino, molto vari nelle tipologie documentarie, a volte, veri e propri oggetti d’arte. Documentano nel loro insieme le opere di architettura realizzate e non, la cultura che le ha prodotte e gli infiniti nessi con la storia della società.

Come si costruisce un archivio?

Un archivio come istituto conservatore di altri archivi si costruisce raccogliendo singoli fondi archivistici in un luogo adatto per la conservazione, per gli interventi di inventariazione e per la consultazione. Il Centro Archivi del MAXXI Architettura è nato per curare le collezioni di architettura del MAXXI, il Museo delle arti del XXI secolo che sta nascendo a Roma. Allestito temporaneamente presso il Museo H.C. Andersen, conserva gli archivi di Carlo Scarpa, Aldo Rossi, Enrico Del Debbio, Pier Luigi Nervi, Sergio Musmeci, Vittorio De Feo e Michele Valori. Tra le principali attività si ricorda che il Centro Archivi MAXXI ha inventariato analiticamente l’archivio di Aldo Rossi ed è impegnato nell’inventariazione analitica, nella creazione di banche-dati e nella riproduzione fotografica digitale degli archivi di Pier Luigi Nervi, Carlo Scarpa e Sergio Musmeci. Gli archivi di Vittorio De Feo e di Michele Valori sono dotati di inventari sommari per progetto che saranno resi analitici in futuro.

Cos’è il Piano nazionale per la tutela del patrimonio documentario dell’architettura del ‘900?

Il Piano Nazionale è un programma di salvaguardia e valorizzazione di queste fonti documentarie, scaturito dal Protocollo d’Intesa sottoscritto nell’ottobre 2001 dalla Direzione Generale per gli archivi e la Direzione Generale per l’arte e l’architettura contemporanee (poi divenuta PARC). In particolare il Piano sostiene e promuove i censimenti regionali delle fonti pubbliche e private inerenti l’architettura e le relative attività di tutela in tutto il territorio nazionale.

Cosa si intende per acquisto di un archivio? Il museo ne diventerà garante di tutela e l’archivio resterà nel luogo dove si trova o sarà necessario il trasferimento?

Nell’acquisto di un archivio si trasferisce la proprietà dal produttore o dai suoi eredi all’Istituto che acquista. Tale trasferimento di proprietà può avvenire anche tramite donazione e nel caso delle collezioni degli archivi di architettura del MAXXI si sono realizzate entrambe le forme di acquisizione. Il museo diventa garante di tutela e valorizzazione nello stesso tempo. Nel caso del MAXXI Architettura gli inventari, le riproduzioni digitali, i progetti culturali sono curati direttamente dal Centro archivi. Solo l’Archivio di Carlo Scarpa è fisicamente conservato presso il Centro Carlo Scarpa nell’Archivio di Stato di Treviso, per accordi specifici con la regione del Veneto.

Esiste un piano nazionale che coinvolge tutte le regioni d’Italia?

Certo, la Direzione Generale degli Archivi sta attuando dal 1998 il Progetto Nazionale di censimento e valorizzazione degli archivi privati di architettura, in cui sono impegnate al momento le Soprintendenze di tredici regioni, con i

Architetto, Margherita Guccione dirige il Servizio architettura contemporanea della Direzione Generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee (PARC). È direttore inoltre del Museo di architettura moderna e contemporanea del MAXXI, il Museo nazionale delle arti del XXI, di prossima apertura a Roma. Ha svolto attività di ricerca sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio storico e su musei e centri di documentazione dell’architettura del Novecento.

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seguenti obiettivi: individuare gli archivi sul territorio, inventariarli, riprodurli in formato digitale, restaurarli, reperire sedi di conservazione per i fondi a rischio di dispersione. Tutti i dati del progetto sono collegati al Sistema Informativo Unificato delle Soprintendenze Archivistiche (SIUSA). La DARC, oggi PARC, grazie all’acquisizione degli archivi presso il Centro archivi MAXXI architettura e alle segnalazioni alle Soprintendenze di archivi di architettura, contribuisce alla realizzazione del progetto. Perché oggi gli archivi dell’architettura del secolo scorso suscitano tanto interesse?

Per l’importanza che la documentazione archivistica ha, per ogni epoca, per la ricostruzione della storia dell’architettura e per l’utilità di queste fonti documentarie per restaurare le architetture moderne e contemporanee. Negli archivi molto spesso si rintracciano i progetti esecutivi e i dettagli costruttivi delle opere. Un’ulteriore ragione è nelle caratteristiche materiali di queste fonti: le tecniche e i supporti usati nel secolo scorso per il disegno architettonico sono oggi sostituite dalla progettazione con modalità digitali. Anche per questo i progetti del ‘900 raccolti negli archivi cartacei sono oltremodo preziosi. Sono un’ultima testimonianza di un modo di produrre l’architettura che non c’è più. In Italia esistono molti archivi sia pubblici che privati. Esiste già un accordo sinergico?

Le Soprintendenze Archivistiche del Ministero per i Beni e le Attività culturali hanno come compito istituzionale la tutela e la valorizzazione sia degli archivi privati che degli enti pubblici. Dal 2000 esiste l’Associazione Archivi di Architettura contemporanea, AAA/Italia, che unisce Istituti del Ministero per i Beni e le Attività culturali, Università, Musei, Accademie e, anche, soggetti privati detentori e studiosi. L’Associazione ha svolto un’intensa attività di diffusione delle conoscenze e di promozione culturale nei diversi settori della conservazione, descrizione e valorizzazione delle documentazioni architettoniche. La tutela degli archivi privati incontra resistenze da parte degli eredi. La cultura di sensibilizzazione di questi ultimi anni è riuscita a spianare la strada?

Gli eredi proprietari di archivi di interesse storico, quindi oggetto di vincolo e tutela da parte degli organi statali preposti, hanno, più che una resistenza, una coscienza degli oneri che comporta la conservazione di un archivio tutelato, anche se sono previsti fondi a sostegno di queste attività. L’impegno maggiore degli eredi è conservare l’archivio nella sua integrità - e quasi sempre ci sono problemi di spazio nelle abitazioni private – e quindi aprirlo agli studiosi e inventariarlo. Le Soprintendenze archivistiche hanno ottenuto fondi per riordinare gli archivi, realizzando diversi inventari e restaurando i documenti. Istituti di conservazione statali come il MAXXI e l’Archivio Centrale dello Stato, per citare la situazione romana, hanno accolto archivi e provveduto direttamente alle attività di conservazione. La conservazione di materiali fragili quali lucidi, schizzi, plastici quali accortezze richiede?

Richiede innanzitutto interventi conservativi di prevenzione, relativi per esempio all’ambiente in cui l’archivio è conservato. Anche i contenitori in cui sono conservati i documenti devono avere un determinato grado di acidità, per citare solo alcune delle accortezze di base. Per la consultazione bisogna garantire una massima accortezza nel maneggiare materiali fragili e specialmente i lucidi soggetti a cristallizzazione. IL MAXXI con lo IUAV e AAA Italia sta organizzando un corso specifico che si terrà a Venezia nell’autunno 2009. La consultazione dei materiali riprodotti in digitale, ad alta definizione, è un formidabile strumento per la conservazione di un archivio. Consente infatti di limitare a casi eccezionali la consultazione diretta, che è la principale causa di degrado di questi materiali. Per i materiali da costruzione esiste una catalogazione?

Quando si rinvengono, tra gli archivi, materiali da costruzione, vengono descritti in una serie a parte. La presenza di tali materiali non è purtroppo frequente, e si limita, per evidenti problemi di conservazione nel tempo da parte dell’architetto produttore dell’archivio, a oggetti di piccole dimensioni, come materiali per la pavimentazione, per rivestimento pareti e per arredi. Esistono, in qualche caso, biblioteche specialistiche sui materiali, con raccolte di schede tecniche e depliant pubblicitari. Per ovviare alla distribuzione regionale degli archivi verrà istituito un archivio virtuale consultabile on line?

Per gli archivi oggetto di riordinamento ed inventariazione vengono realizzate banche dati consultabili in rete con software che tengono conto sia degli standard internazionali di descrizione archivistica che della particolare natura dei documenti architettonici. Tali banche dati vengono collegate ai generali sistemi informativi archivistici. Si sta prefigurando la costituzione di un portale specifico per gli archivi di architettura sia da parte della DGA che da parte del MAXXI che possa essere un punto di riferimento a livello nazionale per il reperimento delle fonti. Se tutto questo lavoro sarà raccolto in un museo, quale sarà la scelta di fondo? L’architettura realizzata? L’architettura disegnata? O il progettista in toto con tutte le sue opere create e non?

L’archivio di un architetto è costituito da diversi tipi di elaborati grafici, da documenti tecnici e amministrativi allegati ai progetti, da corrispondenza, da scritti e ricerche, da fotografie e da modelli tridimensionali. Con il lavoro di descrizione e di ricerca si rende possibile percorrere il mondo creativo dell’architetto. (di Mattia Curcio)

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PENSIERI.GLOBALI

Ambra Medda «Se da un lato il design si serve sempre più della tecnologia, dall’altro si registra un ritorno al Craft. Il materiale? È fondamentale per il successo di un oggetto» ▲

Che cos’è il design di serie limitata?

Definisce il modo in cui viene progettata l’opera. La manifattura è estremamente presente. Il processo che sta dietro ad ogni pezzo è ciò che definisce l’oggetto di serie limitata. Al contrario sarebbe un pezzo di design fatto per la massa. Alla gente il design di serie limitata piace perché dietro c’è il desiderio di avere delle cose che sono uniche, speciali e belle.

Che differenza c’è tra design e arte?

La classificazione che vuole distinguere un pezzo di design da un’opera d’arte non mi piace affatto. Credo che le persone abbiano la necessità di avere nella testa una classificazione ben delineata di ogni cosa. Io non ne sento il bisogno. Un pezzo di design come una sedia di Tom Dixon fatta a mano la considero un’opera, non c’è bisogno di individuare se di design o d’arte. Ogni giorno il mondo del design e dell’arte si intersecano. L’architettura, l’arte, il design, la moda, sono mondi che si visitano a vicenda e che si ispirano l’un l’altro.

Lei è direttrice del Design Miami. Cosa contraddistingue questa manifestazione da tante altre?

Abbiamo chiesto ai nostri commercianti di creare delle installazioni come fossero opere architettoniche, dove presentare la loro specializzazione. Gli abbiamo quindi chiesto, non solo di portare dei pezzi straordinari, ma anche di presentarli in maniera diversa, per dare l’opportunità al pubblico di entrare nel loro mondo e nella loro specializzazione, per capirne a fondo la bellezza. Credo che questo non sia mai stato fatto. Le fiere di solito sono fatte per vendere, per noi invece Design Miami è stata la base per promuovere e rimettere in discussione la cultura che sta attorno al design.

Quanto conta il materiale in un oggetto di design?

Il lavoro di ricerca del materiale che sta dietro ad alcuni oggetti li rende veramente validi. Ci si rende spesso conto che la linea di un pezzo di design non sarebbe neanche possibile se non ci fosse uno studio tecnologico sul materiale per costruirlo. È chiaro, quindi, che il materiale, la parte concettuale che sta dietro alla forma, e la linea, sono i concetti basilari per riconoscere un oggetto di design di successo. Mi capita spessissimo di trovare un oggetto interessante ma fatto di un materiale del tutto inappropriato.

Che rapporto c’è tra tecnologia e design?

Un rapporto che si sta evolvendo. Ma, di pari passo, c’è un forte ritorno al Craft, cioè all’artigianato. È come se ci fossero due strade parallele: ci sono i designer che si addentrano nella tecnologia e che cercano di realizzare cose che non sono mai state realizzate, e ci sono quelli che riesplorano la tradizione.

Ha organizzato insieme a Fendi la mostra Craft Punk.

Esattamente, dal 22 al 24 aprile. Vorrei che le persone rivisitassero o si riavvicinassero al concetto di Craft, che non è solo l’artigianato etnico. Il Craft nasconde dentro sé tradizioni antichissime che danno valore a materiali che rimangono sempre spettacolari, come il legno, il marmo, il bronzo: materiali che non si dovranno mai perdere.

Come si pone il design nei confronti della rinnovabilità energetica?

Il design è certamente un veicolo per poter ottenere alcuni vantaggi nei confronti dell’ambiente. Realizzando oggetti “avanzati”, nel senso del rispetto per il mondo in cui viviamo, creando cose più durature, che abbiano un impatto meno negativo sull’ambiente. In pratica può offrire una risposta a dei bisogni sociologici. La ricerca della rinnovabilità energetica non è un freno alla creatività, anzi la stimola. Il design è una soluzione ad un problema. Più problemi ci sono più soluzioni si trovano! (di Roberto Sanna)

Sarda d'origine, da parte di madre (una nota gallerista), austriaca da parte di padre, ma cresciuta tra Londra e gli States, Ambra Medda è Direttrice e Co-fondatrice (insieme al marito Craig Robins) del Design Miami/Art Basel, la fiera del design a "edizione limitata". Laureata in lingue orientali all’Università di Londra, ha vissuto a Pechino e a New York e ha lavorato per Christie’s prima di trasferirsi a Miami e dedicarsi al design e all’architettura.

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COME UNA CAPANNA ALPINA L’HUSKY Luxury Apartment & Resort, in Australia, è un hotel di lusso a 5 piani. Il progetto, realizzato da Elenberg Fraser, comprende 14 appartamenti, una spa firmata Endota, e un cafè al piano terra. Ispirato dalle spigolature dei cristalli di ghiaccio, questo eco Lodge è riconosciuto dalla prestigiosa organizzazione Green Globe 21. Modelli complessi combinati con l’influenza del legname australiano delle capanne alpine, hanno offerto la base per la forma architettonica. L'edificio si adatta all'ambiente circostante e utilizza il luogo ripido su cui è costruito per massimizzare il panorama della valle di Kiewa e Mt Spion Kopje.

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PRE.VISIONI

Passato e futuro

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A Ivanovo, in Russia, sorgerà una struttura destinata a diverse funzioni: shopping, intrattenimento, ristorazione. Dal concept design assolutamente innovativo

l progetto Capsule of Life, elaborato dallo studio italo - russo KamiNEXst, commissionato dal costruttore russo SU-155, è stato presentato ufficialmente in marzo. L’apertura del cantiere è prevista entro l’anno 2009. Si tratta di un complesso polifunzionale che ospiterà attività commerciali, di intrattenimento e di ristorazione nell'ex area industriale della città di Ivanovo. Sulla preesistenza di un’ex fabbrica tessile, costruita a fine Ottocento, KamiNEXst ha progettato il restauro dell'edificio e l'inserimento di un nuovo corpo,

in una innovativa operazione di recupero storico con innesto di architettura bioclimatica e multimediale. L’idea è quella di intervenire rompendo la rigidità formale e concettuale delle architetture tradizionali, con l’inserimento tra di esse di un altro tipo di architettura, in netta contrapposizione con l’esistente. In pratica un nuovo corpo che, come se fosse vivo, cresce tra i due blocchi preesistenti. Il complesso è pensato con una struttura interamente in legno lamellare, che si interpone come una ragnatela tra un edificio e l’altro. La copertura è concepita

323 metri di meraviglie Saranno le più alte torri a destinazione mista dell’Europa In occasione del Mipim di Cannes, l’architetto inglese Norman Foster ha presentato il progetto delle Tours Hermitage: due torri di 323 metri da edificare in una piazza pubblica del lungo Senna, a Parigi. Costituiranno le più alte torri a destinazione mista dell’Europa Occidentale. Ospiteranno un hotel, una spa, appartamenti panoramici, uffici e servizi e, al piano terra, i negozi. Formando in pianta due triangoli intersecati, gli edifici si fronteggiano a livello 24 DESIGN +

del pianterreno. La facciata, costituita da vetrate, cattura la luce e il sole che vi si riflette crea diversi effetti nell’arco della giornata. I pannelli sono leggermente angolati per creare un gioco di luci e ombre, con prese d’aria esterne che possono essere aperte per creare ventilazione naturale e contribuire all’efficienza energetica. Le torri fanno parte di un progetto che contribuirà alla rigenerazione urbana del riverfront della Senna.

come un gioco di falde con una doppia esposizione sud-nord, realizzate una in vetro e una in acciaio. Le falde sono suddivise in 12 moduli trasversali all’asse principale dell’edificio, sfalsati tra loro in modo tale che la parte vetrata segua il diagramma solare annuale della città. In questa maniera l’edificio può ricevere il massimo apporto termico e di illuminazione naturale. (di Andrea Giuliani) Ph.Foster + Partners

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PRE.VISIONI

Forme cangianti

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Simbolo della nuova Architettura Dinamica, saranno costruiti a Dubai e MoscaCity i grattacieli di Fisher

alle più ardue sfide nascono da sempre, in architettura, progetti monumentali. E da una sfida è nato il progetto dei grattacieli girevoli, Dynamic buildings, firmato da David Fisher. L’architetto fiorentino ha approfondito così tanto il suo interesse per la relazione tra edifici, natura e tecnologia, da giungere allo sviluppo del concetto di Architettura Dinamica. Non si parla di utopia. Due edifici dinamici sono in fase di progettazione e sono veri e propri grattacieli caratterizzati dalla peculiarità di ruotare intorno a un asse. Una prima torre di 80 piani sarà costruita a Dubai, mentre una seconda di 70 piani sarà realizzata a “MoscaCity”. Inevitabilmente l’aspetto delle città cambierà. Il rapporto edifici/abitanti e edifici/ambiente diventerà altro. Il nostro immaginario sarà costretto a cambiare: gli immobili diventeranno mobili. Ognuno dei piani di questa tipologia di grattacielo ruoterà indipendente dall’altro, creando un edificio dalle forme infinite e diverse. E queste neomorfologie saranno determinate da canoni inusuali quali velocità,

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direzione, rotazione, accelerazione e tempistica del movimento dei singoli piani. Sarà possibile orientare il proprio spazio secondo i momenti della giornata o delle stagioni. Una vera e propria novità progettuale che, insieme ad un’estetica cangiante, definisce l’unicità di questa struttura. In sostanza, alle tre dimensioni tradizionali se ne aggiungerà una quarta, il tempo: le fasi del giorno. Le novità non finiscono quì: l’edificio sarà costituito da elementi prefabbricati modulari preassemblati. Le singole “unità” saranno realizzate completamente in fabbrica, attrezzate di tutte le condutture idrauliche ed elettriche e rifinite dal pavimento al soffitto. Saranno dotate di bagni, cucine, illuminazione e altri elementi d’arredo e sul posto verranno successivamente agganciate l’una all’altra, consentendo così di realizzare un intero edificio in tempi molto brevi. Ma, come se non bastasse, per stare al passo con i tempi, David Fisher ha anche pensato di donare a questo sistema una completa autosufficienza energetica. Gli edifici potranno, infatti, generare elettricità grazie alle silenziose turbine eoliche montate orizzontalmente tra i piani e alle cellule fotovoltaiche che saranno inoltre installate sul tetto di ogni piano ruotante. Saranno i primi edifici ad alta efficienza energetica, prodotti in fabbrica, con tempi e costi di costruzione inferiori a quelli costruiti con metodi tradizionali. La prefabbricazione permetterà, inoltre, cantieri puliti e verdi, senza rumore, emissioni e una maggiore sicurezza sul luogo di lavoro. (di Filiberto Reggente)

Allestimento per Chopin Lo studio Migliore+Servetto vince il concorso del Museum di Varsavia

Ico Migliore e Mara Servetto sono gli architetti che hanno vinto il concorso internazionale per l’ideazione e la realizzazione dei nuovi allestimenti permanenti del Fryderyk Chopin Museum di Varsavia. Il museo ha sede all’interno dell’Ostrogski Castle, e dal 2010 in poi ospiterà la più grande collezione al mondo dedicata a Chopin, con oltre 5mila pezzi relativi all’opera e alla vita del grande compositore. Il loro progetto si basa su quattro principi chiave. La leggerezza del sistema espositivo: ogni sistema espositivo è stato pensato per essere indipendente dalle pareti esistenti, per potersi facilmente inserire nel contesto in modo non invasivo. La compresenza e l’individuazione di differenti percorsi tematici che il visitatore può scegliere di seguire. L’interazione come sistema aperto di approfondimento e zoom dei contenuti esposti, lasciando il visitatore libero di scegliere i tempi e le modalità di lettura. La realizzazione di diversi emotional landscapes, per catturare attenzione e curiosità. Il progetto si sviluppa dunque come un “museo aperto”, nel quale il visitatore può esplorare liberamente il percorso creativo di Chopin come compositore e pianista. Si dà vita, inoltre, ad uno sviluppo creativo dei contenuti attraverso l’integrazione fra la musica, gli oggetti della collezione e le strutture interattive.



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POST.MUTAZIONI

Versatilità multipla

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Tre piani di containers dalle dimensioni standard. Ospitano laboratori e centri di competenza. È la struttura dedicata alla ricerca del Politecnico di Milano a Lecco

Foto di Alberto Muciaccia

n’architettura dinamica che prende forma dalla combinazione di una serie di parallelepipedi rossi dotati di ampie vetrate. È Campus Point, il progetto per il nuovo “contenitore” strutturale dedicato alla ricerca del Politecnico di Milano a Lecco. Il progetto porta la firma dell’ing. Arturo Montanelli dello studio Ar.De.A. di Lecco. La struttura, ubicata nella parte antistante l’edificio dell’ex ospedale, lungo via Ghislanzoni, si configura come un’aggregazione ordinata di containers prefabbricati che conferiscono al progetto architettonico un carattere innovativo. Campus Point si com-

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pone di 27 containers di dimensioni 2,90 m x 8,11 m x 2,70 m di altezza e prevede lo sviluppo massimo di tre piani fuori terra, con collegamenti verticali posti agli angoli estremi. La struttura autoportante e priva di fondazioni autonome, poggia, verso fronte strada, su una serie di supporti metallici connessi ad una trave rovescia, mentre per la parte verso l'ospedale, la struttura di fondazione è costituita da cordoli in cemento armato su una struttura di appoggio costituita da muretti in cemento armato, spinati con rete elettrosaldata a maglia 15x15 cm. I tamponamenti verticali, per la parte con affaccio verso via

Ghislanzoni, sono costituiti da grandi pannelli vetrati senza telaio con specchiature di 2,90 m x 2,70 m. Verso l’interno del vetro è prevista la possibilità di schermare con tendine e sono state collocate delle luci in grado di fornire di notte un effetto scenografico. I tamponamenti verticali opachi sono realizzati con pannelli modulari di policarbonato alveolare semitrasparente che lasciano trasparire il color rosso dei pannelli. La soluzione costruttiva dei volumi industrializzati tridimensionali permette di creare un involucro fortemente isolato, in cui si usano diverse tipologie di coibentazione. (di Gianfranco Virardi)


L’Accademia è al verde A sinistra: la pianta del progetto. In questa pagina: una serie di foto degli interni ed esterni di Campus Point. In attesa che venga completata la ristrutturazione della nuova cittadella universitaria entro il 2010, in questa sede è operativo il centro destinato ad anticipare i contenuti scientifici e tecnologici delle attività del futuro Campus

La nuova Academy è del tutto integrata nel Golden Gate Park, utilizzando tecniche per il risparmio energetico La scelta dei materiali, il riciclaggio, la posizione degli spazi rispetto alla luce naturale, la ventilazione naturale, l’utilizzo dell'acqua, il recupero di quella meteorica e la produzione di energia: sono tutti temi progettuali divenuti parte integrante dell’intervento, contribuento a far ottenere al museo la certificazione LEED “Platinum”. La California Academy of Sciences a San Francisco, progettata da Renzo Piano, mantiene la precedente posizione ed orientamento: tutte le funzioni sono organizzate intorno alla piazza centrale. La cupola del Planetarium e la Biosfera trasparente della foresta pluviale, sono adiacenti alla piazza. Questa è il punto di raccordo di tutti i corpi del museo ed è coperta da un tetto di vetro che ricorda nella sua struttura reticolare quella di una ragnatela. Il centro della struttura è aperta al cielo. Il tetto unifica formalmente l’organismo: esso è “vivente” perché ricoperto da uno strato sottile di terra su cui sono state piantate 1.700.000 piantine. La vegetazione non solo ha uno scopo decorativo ma anche funzionale: l’umidità del terreno serve a raffreddare di 5 o 6 gradi l’interno del museo che, unico caso negli Stati Uniti, può fare a meno dell’impianto di aria condizionata, per gli spazi pubblici al piano terra e gli uffici di ricerca collocati lungo la facciata. La linea ondulata del tetto, determinata dalle forme dei volumi interni che vanno oltre la linea di gronda della copertura, permette l’accumulo dell’area calda in eccesso, che viene poi espulsa. Queste forme provocano un’accelerazione delle brezze che aiutano la ventilazione naturale dell’ambiente sottostante.

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PROGETTI.SOSTENIBILI

Risparmia e produce

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La casa 100K è una risposta a domande di economicità e riduzione di emissioni. È ad alta efficienza energetica, a basso impatto ambientale e a zero emissioni di CO2

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aranno case colorate. Case che lasceranno spazio alle diverse identità e modalità di vivere. Ma soprattutto capaci di produrre energia. Vere e proprie macchine bioclimatiche. Si tratta del progetto “La casa 100K”. Saranno realizzate a Settimo Torinese le trenta abitazioni nate dall’accordo tra Italcementi Group e Mario Cucinella. Il progetto vuol mettere a punto una casa di qualità, economica e sostenibile. «È una casa componibile in cui solo la cornice è già disegnata», spiega Cucinella. «Gli spazi interni vanno personalizzati, mentre quelli esterni vengono socializzati e permettono di mettere in comune una serie di strutture, dalle rampe di accesso per le bici alla lavanderia. Una casa a basso costo, bella e che non solo consuma poco, ma produce energia con cui pagare, almeno in parte, l’investimento per acquistarla». Le scelte alla base del concept architettonico e ambientale vedono

l’integrazione tra la definizione dell’orientamento ottimale, la forma, l’alternarsi di pieni e vuoti, le caratteristiche dell’involucro, gli aggetti e i ballatoi condominiali, le strategie passive ed attive tra cui l’integrazione del fotovoltaico in copertura. L’unità “tipo” è costituita da un blocco residenziale pari a 22 alloggi di diversa tipologia, ricavati all’interno di una maglia strutturale estremamente regolare (7,5 m x12,0 m): simplex, duplex, con loggia esterna o terrazza, con accesso privato o da ballatoio comune. La presenza del verde sia sulle terrazze sia come tetto giardino, favorisce il controllo del clima esterno e contribuisce al raffrescamento passivo. Lo “scheletro strutturale” è cornice del sistema di tamponamento opaco e trasparente, ritmato da continue dilatazioni dello spazio interno - esterno (balconi, logge, terrazzini). Il fotovoltaico,

perfettamente integrato in copertura (è prevista l’installazione massima di 600m2 per blocco tipo), garantisce la copertura dei consumi energetici totali dell’edificio, alimentando l’impianto a pompa di calore geotermica o ad acqua di falda, a seconda della localizzazione dell’intervento; inoltre permette la generazione di un micro-reddito grazie agli incentivi del Conto Energia. Particolare attenzione è riservata alla gestione della risorsa acqua; è previsto il recupero delle acque piovane e in alcuni casi l’impianto di fitodepurazione. (di Andrea Giuliani) DESIGN + 31


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Progetti estremi

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In Olanda sull’esterno di un edificio universitario progettata una parete d’arrampicata alta circa 30 metri

riginale l’idea degli architetti olandesi Floor Arons e Arnoud Gelauff per il campus universitario di Twente, a Campagneplein, nei Paesi Bassi. È stata inserita nel progetto per i nuovi alloggi degli studenti (87 appartamenti e 1260 mq per un supermercato e alcuni spazi commerciali), formati da un cortile e da un alto palazzo a più piani, una parete rampicante alta 30 metri con 2500 prese. Secondo il progetto, questi dormitori dovevano sorgere lungo un corridoio creato in mezzo alla foresta. Per evitare di disturbare il paesaggio, si sono cercati luoghi alternativi e sono state individuate due zone adibite al parcheggio, più o meno abbandonate. La parete rampicante è stata integrata nell'architettura 32 DESIGN +

dell’edificio, di modo che la costruzione e la parete si fondessero perfettamente. L’edificio confina con un campo sportivo: il tema dello sport è rispecchiato dall’architettura dell’edificio grazie al muro da arrampicata. Le pieghe della parete ricordano una montagna e fanno assomigliare la costruzione ad una scultura che, vista dal campo sportivo, sembra curvarsi su un fianco. La forma dei mattoni neri intorno ai pannelli di vetro rosso che caratterizzano la facciata, enfatizza questa impressione. La parete inserisce il fattore divertimento nello stabile e forma un contrasto con l’eleganza della facciata. Il motivo della deformazione scultorea conferisce alla costruzione un carattere molto insolito e la rende estremamente riconoscibile. (di Cristiana Zappoli)

Case istantanee Il concorso “Instanthouse” ci presenta nuove unità abitative componibili Podio tutto italiano per il concorso Instanthouse promosso da FederlegnoArredo in collaborazione con la Regione Lombardia e il Politecnico di Milano durante l’ultima edizione di Made Expo. A vincere è stato un progetto di un gruppo di studenti (Laura Bardeschi, Sara Angelini, Paride Piccinini, Gilda Bottachiari) della facoltà di Ingegneria di Bologna. La richiesta del concorso era progettare un’unità abitativa singola e componibile, per rispondere alla necessità di accoglienza temporanea a Milano in occasione dell’Expo 2015. Il progetto abitativo si compone di sei unità: un orto, una cucina, un bagno e tre differenti disposizioni letto. I prototipi sono stati pensati per l’uso dei giovani alla rassegna milanese del 2015, utilizzando materiali riciclati e riciclabili, come cartone e legno. Il lavoro è stato intitolato In, between, out. I moduli abitativi per 2, 4 e 8 persone, non si limitano a essere d’ausilio per l’Esposizione Universale milanese, ma sono rivolti anche a un utilizzo futuro. La casa istantanea rientra nella filosofia di lavoro di molti progettisti: risolvere le sfide architettoniche del futuro e in particolare un problema concreto e imminente: la necessità di realizzare unità abitative componibili per abbattere i costi.


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Servirsi della cristallografia, del computer e della matematica. Seguendo sempre il disordine naturale delle cose. Questa la filosofia progettuale del duo Aranda/Lash

ono i giovani architetti newyorkesi del momento. Benjamin Aranda e Chris Lash, titolari dell’omonimo studio Aranda/Lash fondato nel 2003 e vincitori nel 2007 del Young Architects Award dell’Architecture League di New York. Riconoscimento non ultimo di una serie che in pochi anni ha fatto salire alle stelle le quotazioni dello studio Aranda/Lash per culminare nella recente consacrazione del mercato del design: la vendita record del tavolo a prototipo unico Quasi-table battuto all'asta per 53.800 dollari. Un concetto creativo, il loro, che sta affascinando gli Stati Uniti, con alla base un grande interrogativo: può la sperimentazione architettonica imparare dalle ricerche strutturali e spaziali della matematica e della cristallografia? La risposta

affermativa, stimolata dalle attuali tecniche di riproduzione al computer, sta nella convinzione che i principali interessi di cristallografia e architettura possano convergere nello studio dei diversi usi degli strumenti della modularità per organizzare il materiale solido. Inizia così il percorso di ricerca che trova piena espressione nel design all’avanguardia degli oggetti della serie Quasi come il tavolo Quasi-table o con la sedia Fauteuil Chair. Gli oggetti prendono forma a partire dalla creazione solida spaziale di un poliedro modulare che “cresce” al computer con un particolare tipo di organizzazione fino a produrre un oggetto utile. «L'approccio del nostro design – ci spiegano gli stessi Benjamin Aranda e Chris Lash produce un tipo di architettura "minerale". Crediamo che in

architettura il processo di creazione riproponga l’assemblarsi della materia nell’universo. Ad esempio, la serie Quasi riguarda la ricerca di ordini rigorosamente modulari ma che siano naturali, disordinati. Questo tipo di struttura materica sempre sull’orlo della rottura, è rappresentata dai quasicristalli, una nuova fase della materia scoperta nel 1984. Diversamente dal cristallo regolare caratterizzato da un modello molecolare periodico (o ripetitivo in tutte le direzioni), la qualità distintiva del quasicristallo è un modello strutturale sempre diverso, privo di ripetizioni. È infinito e irregolare ma, e questo è molto interessante, può essere descritto disponendo un piccolo insieme di parti modulari. I nostri pezzi di design esplorano questo raggruppamento non periodico nel legno». Basterebbero questi argomenti a dimostrare che il successo di Chris Aranda e Benjamin Lash non nasce da un binomio fortuito di gusto del momento e strategia comunicativa, spesso alla base delle tendenze più effimere. Perché persino la leggerezza per la quale, secondo gli stessi creatori, questi oggetti di design si definiscono come fumo che soffia nel vento “esprimono ciò che è stato, che c’è e che non è ancora visibile”, viene plasmata a partire dalla solidità del calcolo matematico. Ma le geometrie di Aranda e Lash non costituiscono un fenomeno isolato, inserendosi in una riflessione più ampia che negli ultimi anni ha modificato il panorama A sinistra: i due giovani architetti newyorkesi, Benjamin Aranda e Chris Lash. Sopra: la poltrona Fauteuil, prototipo in alluminio, 2007, commissionata dalla Johnson Trading Gallery

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Nelle foto sopra: QuasiTable, in legno, 2007, realizzato da Benjamin Aranda e Chris Lash insieme a Clay Coffey. Il tavolo fa parte della serie di mobili “Quasicrystalline” e trae ispirazione da modelli geometrici e strutture molecolari. Sotto: Quasiconsole, in noce e finito ad olio, 2008, commissionata dalla Johnson Trading Gallery. A fianco: Quasicabinet, 2007, in legno non stagionato e laccato, commissionata dalla Johnson Trading Gallery (Copyright: Aranda\Lash)

del design americano e mondiale. «Fino a non molto tempo fa – osservano gli stessi Aranda e Lash - gli architetti e i designer erano considerati degli scultori, dei cesellatori delle rispettive visioni dello spazio. In questo senso, l’architettura era considerata come un campo in cui la forma e il processo di costruzione degli edifici erano determinati da questioni verticistiche come la creatività e la preferenza. Ma il recente avvento del calcolo in questo campo ha introdotto un approccio algoritmico o regolare al design. Con l’aiuto della modellizzazione avanzata e della progettazione su computer è stato possibile liberare l’impulso di creazione dello spazio mediante dei sistemi generativi e di utilizzo delle nozioni

della complessità nella progettazione dell’ambiente. È la questione dell'autoassemblaggio, in cui i metodi verticistici della determinazione delle forme sono stati sostituiti da regole formative che partono dal basso, che influenzerà le idee nei campi della tecnologia, della cultura ed eventualmente del design. Come nei sistemi naturali, le strutture architettoniche non saranno intagliate o composte in senso tradizionale; ma piuttosto cresceranno mediante delle interazioni semplici per produrre modelli complessi utili e allo stesso tempo riproducibili». Modello di riferimento di questa concezione diviene allora No-Stop-City di Archizoom che per Aranda e Lash resta un esempio istruttivo di come un progetto possa essere critico e realizzabile allo stesso tempo in maniera radicale. Questa duplice capacità di avanguardismo e concretezza dello studio Aranda/Lash è stata premiata lo scorso anno con l’incarico per la realizzazione della struttura fieristica di esposizione di mobili e oggetti di design a edizione limitata Design Miami 2008. Allora l’impressione complessiva è che al di là

della tecnologia avanzata e dei calcoli matematici complessi, le strutture nascoste e naturali delle creazioni Aranda/Lash riconducano sempre all'idea di uno “spazio originario” al quale fare ritorno attraverso le forme dell’abitare. La suggestione li incuriosisce. «Nel nostro caso si può parlare di spazio “selvaggio”. I momenti in cui la natura è più selvaggia sono quelli al margine tra ordine e squilibrio; momenti in cui la materia mostra la sua imprevedibilità tra regole interne e regole appena introdotte. Questo vale anche per il design. La capacità dell’occhio umano di focalizzare e di percepire i modelli ordinati è di tipo evolutivo. Ma spingere lo sguardo oltre queste zone di riconoscimento, verso zone più selvagge, è un esercizio vitale per lo sviluppo delle competenze e della creatività nel campo dell’architettura. È solo su questo confine irregolare che, se si guarda nel modo giusto, si possono riconoscere le formulazioni di ordine nelle strutture apparentemente disordinate. Sì, è in questo spazio selvaggio che vogliamo vivere». (di Silvia Di Persio) DESIGN + 35


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NUOVO.DESIGN

Arredi cromatici

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Vicino a Brescia nasce il primo showroom italiano dedicato interamente al colore

caffali, librerie, sedute, contenitori, composti da un solo, unico, elemento geometrico: il cubo. Costante, questa, che si ripete in un continuum di libera creatività, senza sosta e senza cedere mai alla monotonia. Cubi in legno di 40x40 cm che si sovrappongono. Si affiancano. Si combinano in modo da trasformarsi ora in espositore, ora in comodino, ora in scaffale e in scrivania. Una soluzione essenziale per un arredo discreto, che non distragga il visitatore dall’unico, indiscusso protagonista, l’universo cromatico. Sì, perché il colore non esiste, si progetta. E da questa provocazione parte la sfida di Federico Picone e Guglielmo Giani, dello studio 36 DESIGN +

Colordesigners, il primo laboratorio di progettazione cromatica nato in Italia con lo scopo di diffondere la conoscenza nell’uso del colore. Dall’incontro tra Colordesigners, lo studio Zampedrini di Brescia e Alexcolor, ditta rivenditrice di vernici, parquet e carte da parati, nasce la nuova sede Alexcolor (via Niga 60, Azzano Mella in provincia di Brescia), con il primo showroom italiano del colore. Una fusione perfetta di interior design ed elementi cromatici. Uno spazio studiato con l’unico scopo di presentare il colore in tutte le sue potenzialità espressive. Seicento mq

di percorsi e aree espositive create per mostrare “dal vivo” le caratteristiche e gli effetti, al tatto e alla vista, di un’ampia gamma di sfumature. Uno spazio pensato per esaltare quell’unico elemento che, malgrado sia l’attributo principale di ogni oggetto, finora non era mai stato messo in mostra: la componente cromatica. Con tutta la varietà di percezioni, sensazioni, emozioni che è in grado di trasmettere. Decisamente innovativo, il layout espositivo è stato pensato per dare risalto al colore. (di Mattia Curcio)



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INTERNATIONAL.DESIGN

Oggetti di culto

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Visitato soprattutto da architetti, designer e collezionisti d’Europa. Lichterloh, nel cuore di Vienna, propone arredi del Novecento. E pezzi contemporanei autoprodotti reativi, intraprendenti, originali. Cultori delle forme perfette, di oggetti con l’anima. Sono Dagmar Moser, Christof Stein e Markus Pernhaupt, proprietari di Lichterloh, esclusivo ed eccentrico show room viennese. Un luogo dove mobili e oggetti di altissimo design sono i veri protagonisti. Settecento metri quadri di design, arte e antichità. E fuori? Fuori c’è Vienna. Non solo la città della musica e degli antichi maestri, la città dei lussuosi palazzi imperiali e dell’arte, ma anche il centro nevralgico e propulsivo di un’architettura vivace, fatta di segni tradizionali e moderno lifestyle. Un mix esplosivo di stili, tendenze, decorazioni, arte, scultura. Un connubio, insomma, tra vecchio

e nuovo, tradizione e avanguardia. Lo stesso connubio che si respira e si materializza nelle stanze di Lichterloh. «Da 19 anni presentiamo oggetti di design del Ventesimo secolo», spiega Dagmar Moser. «Ci concentriamo in particolare sugli anni Venti e Settanta. Andiamo in giro per tutta l’Europa a cercare nuovi articoli, li restauriamo e li mettiamo in mostra». I mobili sfidano il tempo, passano di generazione in generazione e aumentano il loro valore invece che svalutarsi. L’importante è saperli riconoscere e i tre galleristi sanno farlo. Inoltre Lichterloh realizza una linea d’arredo con il proprio marchio. Markus Pernhaupt, il creativo del gruppo, è infatti l’autore di librerie, consolle e sedute in legno e metallo laccato. «Gli unici pezzi nuovi che

abbiamo - spiega la Moser - sono quelli che produciamo noi, fortemente influenzati dal nostro lavoro di collezionismo. L’ispirazione ci viene principalmente dai designer francesi che ruotano intorno a Charlotte Perriand e Jean Prouvé». Due figure fondamentali nella storia del design contemporaneo, il cui stile da sempre tende a valorizzare la funzionalità e l’utilità degli oggetti, anziché privilegiarne esteticamente la forma. Delle loro creazioni ciò che più ha colpito i tre galleristi è il fascino e la semplicità con cui materiali come legno, metallo e vetro vengono combinati tra loro. Oggetti che nulla hanno a che fare con il design di massa. Sono veri e propri capolavori, che non dimenticano il perché sono nati e a cosa servono. Anche grazie alla sua autoproduzione,

Aut quid nisi quodum it

Christof Stein, Dagmar Moser e Philipp Markus Pernhaupt, i proprietari di Lichterloh

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Lichterloh è oggi una tra le principali mete privilegiate da architetti, interior, designer e collezionisti di tutt’Europa. La galleria è il risultato di un’attività frenetica che coinvolge Moser, Stein e Pernhaupt tutti i mesi dell’anno. Li ha portati a scoprire oggetti che rappresentano l’elemento distintivo del loro lavoro: poltrone, tappeti, attrezzi da ginnastica prodotti nella Repubblica Ceca dagli Anni ‘30 ai ‘50. Serge Mouille, Verner Panton, Charles e Ray Eames, Arne Jacobsen, Gino Sarfatti, Achille e Pier Giacomo Castiglioni sono alcune delle firme più apprezzate dai tre galleristi. Mobili e oggeti scovati in palestre dismesse, vecchie abitazioni, sapientemente e accuratamente restaurati, diventano pezzi d’arredo di grande fascino. «Quello che ci

prefiggiamo è la ricerca della forma perfetta e della poesia. Vogliamo stimolare il gusto dei visitatori, il loro punto di vista e la loro sensibilità per la bellezza», continua Dagmar Moser. In pratica, la ricerca si rivolge a oggetti vintage, che mostrano un fascino a volte garbato, altre più altisonante, ma mai banale, in risposta alla serialità dilagante che imperversa nel mondo del design. È evidente che certi articoli non si trovano dietro l’angolo. «In genere viaggiamo in lungo e in largo attraverso tutta l’Europa per trovare quello che veramente ci convince. Nel corso degli anni abbiamo perfezionato molto la nostra visione del design. Noncuranti degli articoli di moda, noi guardiamo se un pezzo è un vero oggetto di design che vale la pena acquistare, osservandone la forma, il

materiale, il fatto che sia innovativo o meno e molto altro ancora. Abbiamo imparato con gli anni e con l’esperienza». Know how misto a creatività e passione, è questa la miscela che fa del terzetto viennese un team vincente. E del loro show room un punto di riferimento per tutti gli amanti del design. «I nostri clienti – conclude Dagmar Moser - sono persone creative, artisti, a volte politici. Vengono da tutto il mondo, dall’Europa, soprattutto dalla Germania, ma anche dagli Stati Uniti». (di Cristiana Zappoli)

In apertura, in alto: Poltrona Tomato, disegnata nel 1971 da Eero Aarnio per l’azienda finlandese Asko Lahti; materiale: fibra di vetro verde; dimensioni: 54X38X27. A destra: Poltrona di Ligne Roset del 1970 in plexiglas modellato con rivestimento in cuoio marrone. Sopra: alcuni interni dello show room, 700 metri quadrati in tutto DESIGN + 39


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ARTE.APPUNTI

L’arte che cambiò l’arte

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A 100 anni dalla nascita del Futurismo, si celebrano i risultati che questo movimento ha avuto sul rinnovamento del linguaggio dell’arte, della musica, della letteratura, dell’architettura. Ponendo l’Italia all’attenzione del mondo ompiere 100 anni e non conoscere «la tragedia della vecchiaia». Oggi sarebbe grande la soddisfazione di Filippo Tommaso Marinetti nel vedere che quanto sognava per l’“uomo moltiplicato” è diventato realtà per il suo Futurismo. Senza che si sia giunti al compimento dell’identificazione tra uomo e motore. Le tracce del Futurismo superano i miti, le idiosincrasie e persino le forme di partenza delle sue teorizzazioni, per trovare la propria permanenza presente nella forza comunicativa del messaggio artistico e culturale. Una forza inusitata rispetto ad altri movimenti artistici italiani del Novecento che ci viene confermata da Beatrice Buscaroli, docente di Storia dell'arte contemporanea presso la Facoltà di Conservazione dei Beni 1

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Culturali di Bologna-Ravenna e curatrice della Mostra 5 febbraio 1909 – Bologna avanguardia futurista, una delle diverse manifestazioni che molte città in Italia (tra cui Roma, Milano, Rovereto) dedicano quest’anno alla celebrazione del Movimento. «Il Futurismo – ci spiega la storica dell’arte - è stata l’unica avanguardia italiana del Novecento ad avere una portata europea e mondiale. Oltre ai risultati immediati che ha avuto su tutti i linguaggi come l’architettura, la musica, l’arte e la letteratura in particolare, ha il merito di aver messo l’Italia al centro di un movimento mondiale. Una ragione in più per festeggiarne il centenario, oltre ai ben noti effetti di rinnovamento di tutti i linguaggi». Infatti il Futurismo attraversa trasversalmente tutte le arti mettendole in comunicazione e creando le

intersezioni della multimedialità. «L’interazione delle arti – continua Beatrice Buscaroli - è un’invenzione futurista. Molti artisti non lo sanno però è molto facile che usando dei linguaggi innovativi si richiamino in qualche modo proprio alla teoria futurista. E la stessa parola performance venne inventata dai futuristi in occasione di una serata data a Napoli da Marinetti e Cangiullo». La forza comunicativa di questa avanguardia risulta ancora più attuale se si considera la sua capacità di mettere l’interesse per il fenomeno al primo posto rispetto al fenomeno stesso. Una moderna strategia pubblicitaria si direbbe, che risiede soprattutto nella volontà di radicare il proprio pensiero nella cultura di massa e di utilizzare ogni forma possibile di visibilità a dispetto dei particolarismi


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1) Beatrice Buscaroli, docente di Storia dell'arte presso l’Università di Bologna-Ravenna, è curatrice della Collezione d’Arte della Fondazione Carisbo di Bologna e collabora con Il Domenicale, Il Giornale, e Il Resto del Carlino 2) Giacomo Balla La Guerra, 1916 olio e collage di carte colorate su carta, 64x94 cm Unicredit Group Collection 3) Giovanni Korompay, Rumore di locomotiva, 1922, olio su tavola, 80x100 cm (Cà la Ghironda, Bologna) 4) Sepo (Severo Pozzati), Bozzetto pubblicitario, 1928, tempera su cartone, 69,5x50 cm (Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna). 5) Fortunato Depero La grande selvaggia, 1917 Tempera su tela, 197x129 cm Collezione privata

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ARTE.APPUNTI 6

del folklore da un lato e della cultura d'élite dal’altro. I futuristi diffondono ogni affermazione, ogni manifestazione di rottura con il passato, ognuna delle diverse espressioni di originalità e di estraneità, utilizzando tutti i mezzi di comunicazione di massa disponibili. Prima ancora della sua comparsa su Le Figaro in Francia il 20 febbraio 1909, il Manifesto del Futurismo era stato pubblicato il 5 febbraio 1909 sulla Gazzetta dell’Emilia e Marinetti aveva provveduto a inviarlo a intellettuali, artisti, giornalisti e politici. E neanche i più tradizionali omaggi per feste e ricorrenze venivano disdegnati dal padre del Futurismo se si considera che come dono natalizio Marinetti inviava panettoni confezionati con pagine della sua rivista Poesia. Beatrice Buscaroli sottolinea che questa capacità di autopromozione rende il Futurismo unico anche nell’atto e nella volontà della sua fondazione. «Quando Marinetti scrive il Manifesto il movimento non esiste, lo inventa in quel momento. In questo senso il Futurismo è l’unico movimento che nasce con un manifesto teorico a freddo, diverso da quello che inaugura la serie dei manifesti dell’arte tra Ottocento e Novecento come quello del Simbolismo e diverso da quelli che partono da una presa d’atto sull’esistente come il manifesto dei Cubisti». Ma se 42 DESIGN +

di società di massa si vuole parlare allora sarà necessario coinvolgere tutte le forme del vivere quotidiano, dal cibo alle categorie sociali, alla politica. Accanto all’uomo futurista si proclama intanto la donna futurista con il Manifesto di Valentine de Saint-Point. La natura e la funzione di ognuno degli oggetti e delle categorie esistenti viene spiegata alla luce della visione futurista. «Marinetti continua Beatrice Buscaroli - getta una sfida che va a tutto campo nei diversi aspetti della vita, non solo dell’arte. Il Manifesto politico futurista del 1918 parla per la prima volta seriamente del suffragio universale e del voto alle donne. Nel ‘31 Balla e Prampolini parlano di ricostruzione futurista dell’universo, esponendo così una visione completamente rinnovata dell’uomo, della donna e del mondo». In questo universalismo futurista si moltiplicano i manifesti in seno alla stessa corrente: imperativo e sistema di giudizio universale da diffondere con gli stessi mezzi massivi e sistematici utilizzati per la diffusione dell’istruzione del cittadino. Ma le scuole dei futuristi saranno soprattutto i teatri con le scandalose serate futuriste gratuite, per un pubblico che vede aristocratici, borghesi e proletari, 7

6) 21 gennaio 1922, A. Caviglioni, Tato e F.T. Marinetti al Teatro Modernissimo (Coll. d’Arte della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna) 7) Umberto Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio, 1913 bronzo, 112x40x90 cm, Milano, Civico Museo d’Arte Contemporanea

accanto a ogni forma di azione provocatoria come l’invettiva contro il pubblico. Anche lo spazio urbano diviene comunicazione con il Manifesto dell’architettura futurista redatto da Antonio Sant’Elia. Non più cattedrali, palazzi e arengari. Lo spazio urbano e vitale della sua Città nuova si identifica con grandi alberghi, stazioni ferroviarie, strade immense e gallerie luminose. Spazi del dinamismo, del passaggio e dello scambio tra pari, di contro agli spazi gerarchici della contemplazione e del sussiego. Spazi della moltitudine che, reinterpretati solo pochi anni più tardi, sarebbero stati ripensati come gli spazi delle solitudini quotidiane di tanti quadri di Edward Hopper o come la spazialità aperta e priva di quelle “incrostazioni” tanto disprezzate da Sant’Elia, del Razionalismo di Giuseppe Terragni che anche in altri aspetti richiama l’architettura futurista. «In realtà un rapporto di filiazione tra le due correnti, Futurismo e Razionalismo, è ipotizzabile solo in parte – precisa Beatrice Buscaroli – perché, se la concezione di Terragni per diversi aspetti non è distante da quella di Sant'Elia, per molti altri è priva della sua spinta immaginativa e del suo onirismo. In Terragni si compie un’elaborazione differente. Del resto Antonio Sant’Elia è morto nel 1916, durante la prima guerra mondiale e non ha potuto esprimersi in nessun progetto realizzato». Ogni valutazione dell’impatto della teorizzazione futurista sul Razionalismo diviene pertanto complessa, al di là delle evidenze formali. Di questo progetto visionario che fu il Futurismo oggi permane una capacità unica tra le correnti d’avanguardia italiane: quella di essere stato “manifesto” per molte forme d’arte grazie ad una espressione globalizzante delle proprie istanze. E il gioco di parole, nella moltiplicazione delle ambiguità propria del linguaggio pubblicitario, a Marinetti non sarebbe dispiaciuto. (di Silvia Di Persio)


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Progetto / 1

AD ALTA VELOCITÀ VERSO IL FUTURO 48 DESIGN +


SCHEDA

Gruppo di progetto: Arata Isozaki e lo studio italiano M+T & Partners Società di Ingegneria: Ove Arup & Partners International Ltd. Concorso: Bandito nel giugno 2007 dal Gruppo Ferrovie dello Stato in collaborazione con Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna e Provincia. Costo complessivo: 150/160 milioni per la sola stazione e per l'intero complesso 350 milioni di euro Conclusione dei lavori: 2015

«La capacità di integrarsi nella realtà cittadina è uno dei suoi punti di forza». Così commenta Gae Aulenti il progetto di Arata Isozaki per la Stazione di Bologna. Leggerezza, rispetto del genius loci e consapevolezza del contesto sociale, queste le idee dell’architetto giapponese. Che presta particolare attenzione al gioco della luce di Iole Costanzo

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Nella foto sopra: il piano quota treni. S’intravede nel solaio superiore l’inserimento del vetro a chiusura del grande bocchettone del lucernaio che attraversando più piani giunge a portar luce ai binari.

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Sotto: il piano intermedio. La percezione dello spazio, nonostante i grandi coni di luci, risulta aperta, fluente e versatile. Le altezze permettono un uso a più livelli dei diversi ambienti. Gli spazi commerciali affideranno la

loro immagine alla completa trasparenza e luminosità. I diversi ambienti si compenetreranno e creeranno un condensato di città, e tutto lo spazio sarà articolato e vario come quello del centro storico


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a stazione di Bologna. Un capitolo finalmente concluso. Dopo il gran parlare che si è fatto su tutti, o quasi, i progetti presentati per la stazione di questa città, finalmente è arrivata una nuova proposta progettuale. Sarà un caso, oppure no, ma l’architetto è Arata Isozaki, l’allievo di Kenzo Tange, l’ideatore delle torri del quartiere fieristico. La progettualità giapponese torna nel capoluogo emiliano ma il punto di vista creativo questa volta è diverso. Non vi sono provocazioni e neanche sfide. Non si gioca con le altezze anzi le si rispettano. Arata Isozaki - coadiuvato dalla società internazionale e interdisciplinare di ingegneria, la Ove Arup & Partners International, per quel che riguarda l’aspetto statico-strutturale del progetto e dallo studio italiano M+P & Partners - si diverte con la leggerezza e con il rispetto del genius loci, rivelando una grande saggezza non solo architettonica ma anche sociale. Forse tutto ciò potrebbe non stupire se si pensa che più volte Isozaki ha dichiarato che in architettura è importante pensare alla funzionalità e a chi gli edifici deve occuparli, e non solo al piacere dei progettisti.

Progetto / 1 UNA PORTA DI ACCESSO PER LA CITTÀ

Gae Aulenti, Presidente della Commissione per la valutazione dei progetti che hanno partecipato al Concorso, ha prontamente colto gli intenti fondamentali di Isozaki. «Il progetto si inserisce perfettamente nel contesto di Bologna e dimostra una conoscenza capillare di questa città», ha detto, infatti, motivando così la scelta della giuria. «Proprio la capacità di integrarsi nella realtà cittadina è uno dei maggiori punti di forza del progetto». Difatti Bologna, che negli anni ha dimostrato più volte di accettare malvolentieri le novità, manifestando di essere atavicamente e fortemente attaccata alle sue architetture, ai suoi spazi, ai suoi skyline, avrà la sua nuova stazione e ci sono tutte le premesse perché questa volta i cittadini l’accettino. Una “porta di accesso qualificata, funzionale e integrata per la città di Bologna e per il sistema metropolitano e regionale”, questo era l’obiettivo del concorso: progettare una nuova centralità e ricucire la maglia urbana interrotta dalla ferrovia. Il concorso è stato bandito dal gruppo Ferrovie dello Stato, in collaborazione con il Comune di Bologna, la Regione Emilia Romagna e la Pro-

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Progetto / 1 L’intero progetto della stazione si sviluppa in tre elementi (la Piastra, il Tubo e l’Isola), e presenta al suo interno corti, vetrate e bucate, che hanno la specifica funzione di diffondere la luce a tutti i livelli vincia, per realizzare un'opera importante e strategica, che avesse lo scopo di gestire l'enorme afflusso di passeggeri della stazione felsinea, divenuta ormai porta d'ingresso della città per milioni di persone ogni anno. «Per Bologna, città che è quasi un salotto, dove il “dentro” e il “fuori” quasi non si distinguono, ho immaginato una nuova stazione che si sviluppasse in orizzontale, ed è stata proprio questa “orizzontalità” la carta vincente del mio progetto», ha detto l’architetto giapponese all’indomani della scelta, da parte della Commissione, del suo lavoro progettuale. UN PROGETTO ARTICOLATO

La stazione diventerà un vero e proprio condensato di città. Il suo spazio si presenterà articolato, così come risulta essere attualmente il centro storico. L’intero progetto, sviluppato in tre elementi (la Piastra, il Tubo e l’Isola), presenta al suo interno corti vetrate e bucate con la funzione di diffondere la luce a tutti i livelli, compreso il piano di arrivo dei binari. Isozaki al tema della luce ha prestato particolare attenzione, creando ambienti piuttosto vari con terrazze che offriranno ai viaggiatori scorci sempre diversi. Non mancherà, ovviamente, un grande spazio commerciale, organizzato su due livelli ad altezze diverse e collocato all’interno della Piastra. Nel pieno rispetto del genius loci la Piastra resta comunque l’elemento che provoca una delicata frattura con il contesto. Rottura che però dai rendering risulta alquanto interessante: il bianco, l’intonaco bianco. Quasi come una nuvola a bassa quota, una cortina di nebbia posatasi dietro la vecchia stazione. Tale prefigurazione è alquanto poetica ma non sembra essere molto lontana da ciò che sarà la realtà. Certo le proporzioni fanno pensare al gigante e alla bambina. Ma il gigante è delicato, non la sovrasta. Il tetto sarà piano e coperto dalla ghiaia e l’interno dominato anch’esso dal bianco, reso plastico, fluido e avvolgente dal materiale scelto: la resina. Nessuno degli edifici principali – la Piastra, il Tubo e l’Isola - supera i 20 metri di altezza. Il Tubo ha vocazione di collegamento tra la Piastra e l’Isola. Si sviluppa su due livelli come ponte intermodale e il movimento interno è garantito da un tapis roulant che attraversa gli spazi commerciali. L’Isola, invece, è l’edificio che si affaccia sulla nuova sede comunale e si integra con il passaggio del People Mover (la navetta su monorotaia che collegherà, in meno di dieci minuti di viaggio, la nuova stazione ferro52 DESIGN +

viaria centrale all’aeroporto Guglielmo Marconi, effettuando un’unica fermata intermedia presso Bertalia-Lazzaretto, la grande area in corso di riqualificazione destinata ad ospitare un nuovo insediamento abitativo e universitario). Sarà l’Isola che ospiterà la centrale termica per produrre energia pulita. Sarà il cuore discreto e funzionale dell’intero progetto. NUOVI ACCESSI

L’edificio ad angolo che si affaccia su Piazza XX Settembre rappresenta un elemento importante dell’intero progetto. Ristrutturato e trasformato, servirà infatti da collegamento tra la Stazione e la Piastra attraverso un percorso coperto, e ospiterà al suo interno la nuova hall di ingresso che farà anche da Hotel. Questo edificio sarà conservato nel pieno della sua identità per rispettare il contesto. Mentre l’ampliamento superiore sarà realizzato in vetro e acciaio in posizione arretrata, per creare terrazzi panoramici e suite di lusso. Il terzo accesso, collocato su Ponte Matteotti, contribuirà a valorizzare l’asse stradale storico, il legame tra il centro strutturato e la prima periferia, oggi avviatasi a dignità altra, quasi a voler dire che l’intero complesso diverrà un ponte ideale tra il centro storico e la Bolognina, fino ad ora tagliata fuori, e vi apporterà impianti sportivi, biblioteche e gallerie commerciali. L’accesso di Piazza XX Settembre, che potrebbe essere considerato quello principale, non sarà particolarmente


Foto in alto: vista su Ponte Matteotti. Il terzo accesso valorizza il legame tra il centro storico e la prima periferia. L’assialità verrà esaltata dalla continuità

delle facciate che, pur matericamente diverse, creeranno fronte comune. Foto in basso: il fronte su via de’Carracci. Anche su questa strada la Piastra non

supera le altezze esistenti. Ma, rispetto ad altri lati, la facciata presenta due diverse orizzontalità: il piano superiore aggetta sul piano di calpestio

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ARATA ISOZAKI Nato a Oita, in Giappone, 78 anni fa, Arata Isozaki è considerato oggi uno dei massimi esponenti dell’architettura moderna. Ha studiato all'Università di Tokyo con Kenzo Tange del cui studio diventa presto membro. Nel 1963 fonda l'"Arata Isozaki Atelier" (oggi "Arata Isozaki & Associates"). Può contare su un’ispirazione molto versatile: il Museo d’arte contemporanea a Nagi, gli uffici della Disney a Orlando, l’edificio di Postdamer Platz a Berlino, lo Zendai Art Museum Hotel a Shanghai. Ha firmato il Palasport di Torino e quello di Salerno, presentato al Comune di Milano il progetto per la sua Torre dell’ex-Fiera: la più classica delle tre previste dal piano Citylife. Alla fine degli anni Sessanta diventa esponente del Movimento Metabolista, che propone macrostrutture urbane nell'ambito della ricerca dell'utopia. È proprio all'interno di questo gruppo che Isozaki sviluppa, nel 1960, il sistema a giunto centrale (joint Core System). Negli anni Settanta, dopo aver allestito il Festival Plaza dell'Expo a Osaka, inizia a modificare il suo stile, prediligendo volte semicilindriche alle serie cubiche degli anni precedenti: si possono vedere il Fujmi County Clubhouse (1974), la Biblioteca centrale di Kitakyushu (1975), il Museo di arte moderna di Takasaki (1974), il Palazzo Shukukosha a Fukuoka (1975), il Civic Centre di Tsukuba (1983). Questi ultimi edifici, nei quali sono presenti talvolta elementi neoclassici, consentono di ricondurre l'architettura di Isozaki all'ambito del postmodernismo. I suoi lavori più recenti sono invece più distaccati dal movimento. Isozaki è altrettanto incisivo sia come scrittore che come teorico. Si propone come interprete principale delle tendenze estere e dei diversi movimenti giapponesi. Questo ruolo lo ha condotto alla Columbia University di New York, alla Harvard University, alla Rhode Island School of Design in Provenza, all'University of California, a Los Angeles, e in molte altre università in tutto il mondo come Visiting Critic e come Lecturer. Isozaki non solo ha ricevuto illustri riconoscimenti in Giappone durante la sua carriera, come il Mainichi Art Award per il Tsukuba Center Building nel 1983 e l'Asahi Award dall'Asahi Shimbrun nel 1988, ma è stato insignito anche di importanti riconoscimenti e premi in tutto il mondo.

Sotto: una foto composizione della nuova stazione vista dall’alto. Il concorso è stato bandito per la realizzazione di un'opera importante e strategica, che avesse lo scopo

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di gestire l'enorme afflusso di passeggeri della stazione felsinea, divenuta ormai porta d'ingresso della città per milioni di persone ogni anno. Arata Isozaki ha detto che per

Bologna “ha immaginato una nuova stazione che si sviluppasse in orizzontale”, ed è stato proprio questa “orizzontalità” la carta vincente del suo progetto


Progetto / 1 evidenziato e i singoli volumi si rapporteranno per ciò che concerne l’altezza e l’estensione dei fronti, alla maglia urbana circostante. Tutto cambierà, nelle funzioni, nell’aspetto estetico, nella distribuzione dei servizi e nei collegamenti, ma avverrà in modo discreto, gentile senza narcisismi ed egocentrismi. INTEGRAZIONE DI NUOVE AREE

Altro punto focale del progetto sarà la realizzazione dell’integrazione di parti di città finora isolate e separate dalla ferrovia attraverso nuovi edifici di alta qualità architettonica e nuovi percorsi di collegamento. L’area Bovi Campeggi diventerà il quartiere del parco e del centro direzionale pluriuso: avrà edifici alti 20 metri, un nuovo parco sul Navile e un tessuto compatto. Appropinquandosi alla ferrovia viene interrotto da piazze ellittiche per la sosta e per l’incontro con zone di accesso agli edifici, un centro direzionale e due parcheggi sotterranei. L’area ex Ie, in via Matteotti, subirà un ampliamento vetrato dell’edificio esistente che si affaccia sul ponte. Avrà la stessa altezza degli altri edifici di progetto e un tetto verde che ne evidenzierà il ruolo di contrappeso dell’Isola. Il piano terra conterrà servizi

quali la biblioteca del quartiere e avrà i piani superiori dedicati agli uffici. L’area ex Oma, in via Muggia, si caratterizzerà di una residenza per studenti, formalmente progettata così da inserirsi e dialogare con l’ambiente circostante. Al piano terra si prevedono servizi comuni e ai piani superiori le camere. L’edificio avrà due facciate diverse per rispettare i diversi orientamenti e le relazioni con l’ambiente circostante. Per la nuova stazione, le opere accessorie e la riqualificazione delle aree ferroviarie l’investimento consterà almeno di 340 milioni di euro a carico dell'azienda ferroviaria, di cui circa 160 milioni saranno necessari per la nuova stazione ferroviaria di Bologna. Le risorse sono in project financing e provengono dai diritti di edificazione ricavati dall'utilizzazione di tutti i terreni dismessi che si trovano nella e intorno alla stazione. I lavori della stazione inizieranno con la conclusione della stazione AV sotterranea, seguiranno la riqualificazione della stazione storica e la realizzazione del people mover per l’aeroporto e della metro-tramvia che dalla Fiera porta nel centro della città. Il crono programma delle diverse fasi di realizzazione prevede la conclusione di tutto il progetto per il 2015. La città attende.

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Progetto / 2

LA GRANDE HALL DELLA MUSICA

Ăˆ un centro concerti creato per garantire ottime prestazioni a ogni tipo di esibizione e un’esperienza acustica totale. Il Concert Hall di Copenhagen, Copenaghen, progettato da Jean Nouvel, si estende per 2400 mq e ospita studi, sale prove, maxi palchi didiIole IoleCostanzo Costanzo

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Progettazione: Ateliers JEAN NOUVEL Realizzazione: Giugno 2003 Gennaio 2009 Committente: Denmarks Radio Direttore del progetto: Frédérique Monjanel (concours), Brigitte Métra (APS) Progettista delle luci: Yann Kersalé Superficie utile: 25 000 m²

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Ph.GPhilippe Ruault

SCHEDA


Progetto / 2

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Ph.Gaston Bergeret

C

inquanta mila metri cubi di cemento, acciaio, vetro e un aspetto che risulta essere quasi evanescente. È il nuovo Concert Hall di Copenhagen progettato da Jean Nouvel. Anche questa volta i critici si sono dati un gran da fare. Si parla di follia danese, sia per il quartiere in cui è sorto sia per la questione dei costi, poiché la costruzione ha richiesto ben 226 milioni di euro. È una periferia certo, e forse il lotto non è tra i più felici, è provato dalla presenza della linea ferrata sopraelevata e da strade a scorrimento veloce, ma nelle vicinanze vi sono anche altri esempi di valente architettura contemporanea. Ørestad City, il quartiere in cui è stato costruito il Concert Hall, a partire dal 1992 è stata oggetto di grande sviluppo. È un’area urbana di nuova espansione, fra il centro di Copenhagen e l’aeroporto, che fa parte di un grande programma di espansione multifunzionale nell’area di Amager. È suddivisa in 4 diversi comparti: Ørestad Nord, il quartiere più vicino alla città dedicato alle Istituzioni (Università e Radio Danese); Amager Fælled Quarter; Ørestad City, con il più grande centro commerciale della Scandinavia, e Ørestad Syd, a terminazione dell’area verso sud. La difficoltà del progetto è stata sicuramente quella di costruire un edificio in un quartiere nuovo, dove non c’era la possibilità di confrontarsi con un tessuto urbano già costruito. Sono questi i motivi che hanno condotto Jean Nouvel, l’architetto che ha sempre creduto nella stratificazione della città contemporanea e nell’illusione che ogni edificio rappresenti l’occasione per completarla, a pensare ad una struttura adatta a conferire identità al territorio circostante: un misterioso parallelepipedo dalle pareti esterne rivestite di un tessuto blu traslucido sul quale si proiettano le immagini

Nella foto a destra: esterno della Concert Hall di Copenhagen. La lettura di tutto il complesso è condizionata dalla differente illuminazione solare e artificiale. Man mano che il sole scende al di là del blu si ha modo di distinguere nettamente la complessità compositiva dell’edificio. Nelle ore notturne la pelle diventa lo schermo su cui si proiettano le immagini delle performance in atto

JEAN NOUVEL È nato a Fumel, in Francia, nel 1945. Nel 1966 è primo al concorso di ammissione della Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti di Parigi, dove si diploma nel 1972. Nel 1983 è nominato Dottore honoris causa dalla Università di Buenos Aires e riceve la medaglia d’argento della Académie d’Architecture, che, nel 1998, gli consegna quella d’oro. La sua carriera è un susseguirsi di prestigiosi riconoscimenti internazionali. Nel 2008 viene insignito del Premio Pritzker.

degli eventi che vi si svolgono. All’interno di tale parallelepipedo si snoda una superficie di circa 25mila metri quadrati che comprende quattro sale disposte attorno a un foyer centrale che si sviluppa su sette livelli: una sala concerti principale alla quale si aggiungono altri tre “studi” destinati al jazz, alla musica da camera e alle ricerche acustiche. Oggi i diversi linguaggi architettonici sono abituati a lavorare su diverse interfacce, sul mistero e sui diversi elementi nascosti. Una delle cifre dell’architettura di Jean Nouvel è proprio quella di mascherare la struttura, o di farla appena scorgere. E in questo progetto, oltre alla struttura portante, a scorgersi è tutta la struttura compositiva. La lettura di tutto il complesso è condizionata dalle differenti fasi solari nonché dall’illuminazione artificiale. Nell’arco

della giornata le letture possono essere diverse: nelle prime ore del mattino il blu domina su tutto, celando l’interno, mentre man mano che il sole scende, dietro il blu si ha modo di distinguere nettamente la complessità compositiva dell’edificio. Nelle ore notturne, invece, l’illuminazione è legata al calendario degli eventi. La pelle diventa lo schermo su cui si proiettano le immagini delle performance in atto, oppure un diffusore di luce che illumina la notte. OLTRE IL BLU

La DR Concert Hall si compone di quattro sale (denominate “Studi”) differenti per dimensioni e progettazione interna. Sono tutte disposte attorno a un foyer centrale che raggiunge l’altezza di 30 metri oltre il pian terreno. Le pareti del foyer sono realizzate a strati di cemento liscio, alternato con un altro realizzato in gettata con strati di materiale plastico, da cui risultano particolari ripiegature. Alla grande sala concerti si aggiungono altri tre “studi” destinati al jazz, alla musica da camera e alle ricerche acustiche. I diversi volumi degli studi sono contenuti in un parallelepipedo a base rettangolare alto 45 metri, sopra al quale è adagiata la principale sala da orchestra, caratterizzata da una copertura a grandi scaglie sfaccettate. All’unicità cromatica dell’involucro esterno si contrappone una molteplicità di colori caratterizzanti i diversi spazi interni. La sala concerti principale (Studio 1) che sembra intagliata nel legno è organizzata attorno a un palcoscenico centrale asimmetrico e offre 1800 posti a sedere disposti su più livelli simili a terrazzamenti. Gli ascoltatori, pertanto seduti sulle 15 “terrazze”, circondano l’orchestra. La forma è ovoidale, ed è stato magistralmente plasmato dal maestro dell’acustica Yasushisa Toyota.


Ph.GPhilippe Ruault

L’ARCHITETTURA È COME LA MUSICA... Costruire in un nuovo quartiere è un rischio. Quando non è possibile utilizzare un ambiente già esistente per valutarne il potenziale urbano, è necessario porsi la domanda: quali qualità possiamo apportare in questo futuro urbano incerto? Come possiamo, nel peggiore dei casi, creare condizioni produttive? In un futuro incerto, la nostra sola scelta è di rispondere utilizzando la forza positiva dell’incertezza: il mistero; il mistero che non è mai distante dalla seduzione e quindi dall’attrazione. Se i dintorni sono troppo neutrali, è necessario creare una transizione, una distanza che non sia un arretramento verso l’interno, ma un mezzo per stabilire delle condizioni che consentano lo sviluppo di un sito specifico. In altre parole, è necessario arricchire il contesto, qualsiasi esso sia. Per poter realizzare questo compito, è necessario stabilire in primo luogo una presenza e

La planimetria della Concert Hall. Si trova in un quartiere oggetto di grande sviluppo. È presente una linea ferrata sopraelevata e strade a scorrimento veloce. Ma anche esempi di architettura contemporanea un’identità. La mia proposta è di dare materialità al contesto con la creazione di strutture urbane straordinarie che rispettino la configurazione prevista per il sito. Sarà un volume che stimolerà il desiderio di indovinarne gli interni, un misterioso parallelepipedo che cambia in base alla luce del giorno e della notte. Di notte il volume diventa un luogo di immagini, di colori e di luci, espressioni di una in-

tensa vita interna. Gli interni costituiscono dei mondi a sé. Una strada interna con un susseguirsi di negozi segue il percorso del canale urbano, un ristorante e un bar si riversano al suo interno. Una piazza coperta domina la strada; un grande volume vuoto al di sotto di pannelli in legno che ricoprono la sala concerti come delle scale a forma di rettile. È un mondo di contrasti e di sorprese, un labirinto spa-

ziale, un paesaggio interno: da una parte, il mondo dei musicisti con cortili, terrazze esterne e piante diverse. Dall’altra, degli spazi pubblici interni che collegano i diversi teatri, il ristorante e la strada. La figurazione supera l’astrazione; l’effimero completa il permanente. Le facciate sono filtri diafani che permettono di vedere la città in lontananza, il canale e l'architettura circostante. La notte queste facciate diventano degli schermi che proiettano delle immagini. L’architettura afferma se stessa attraverso i dettagli: porte, illuminazione, soffitti e scalinate. Ogni luogo diviene una scoperta, ogni dettaglio un’invenzione. Lezioni apprese da un’architettura che non dobbiamo dimenticare; un omaggio a Theodor Lauritzen e Hans Scharoun. L’architettura è come la musica. È fatta per commuoverci e dilettarci. Jean Nouvel

+ 59 DESIGN INSIEME 59 MI MUSICA


Ph.GPhilippe Ruault

Lo Studio 2 (Orchestral) trae ispirazione dagli studi hollywoodiani di grande produzione. Sulle pareti sono appesi grandi pannelli di compensato arrecanti 38 ritratti color seppia stampati di famosi solisti e compositori

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La sala concerti principale (Studio 1) che sembra intagliata nel legno è organizzata attorno a un palcoscenico centrale asimmetrico e offre 1800 posti a sedere disposti su più livelli simili a terrazzamenti. Gli ascoltatori seduti sulle 15 “terrazze” circondano l'orchestra. La forma è ovoidale, ed è stata plasmata dal maestro dell’acustica Yasushisa Toyota

Lo Studio 3 (Rhythmic Studio) è l’unità più piccola. Un ambiente dalle pareti nere illuminate con tagli magistrali e dal pavimento color quercia. Si ispira ad un grande pianoforte: suggestione rivisitata e decostruita

Studio 4 (Choral Hall). Uno spazio adattabile a una molteplicità di eventi. I pannelli sono pareti a triplice rifrazione sonora


Progetto /2 Le foto a destra mostrano la corte interna della Concert Hall. All’interno della corte verdeggiante si ha modo di apprezzare la struttura di tutto l’edificio: decisa e possente non fa mistero del pesante cemento armato, variamente raggrinzato, di cui è composta

Ph.GPhilippe Ruault

Lo Studio 2, Orchestral Hall, con 550 posti a sedere - il primo degli altri tre studi contenuti nel parallelepipedo su cui poggia lo Studio 1-auditorium - trae ispirazione dagli studi hollywoodiani di grande produzione. Sulle pareti sono appesi enormi pannelli di compensato con 38 ritratti stampati di famosi solisti e compositori. Le pannellature si inseriscono, con il loro caldo color seppia, in una maglia ritmica, intervallata dal colore nero, che avvolge i gruppi orchestrali. Lo Studio 3, Rhythmic Studio, con 350 posti a sedere, rappresenta l’unità più piccola. È un ambiente caratterizzato dalle pareti nere illuminate da tagli magistrali e dal pavimento color quercia. Sembrerebbe ispirarsi a un grande pianoforte, ma ovviamente la suggestione è rivisitata e decostruita. Il rosso è invece il colore dominante dello Studio 4, Choral Hall, con 350 posti a sedere, uno spazio adattabile a una molteplicità di eventi. I pannelli intorno sono intarsiati secondo un motivo tartan, con scanalature ed emergenze delicate ed efficaci per l’insonorizzazione dell’ambiente, vere e proprie pareti a triplice rifrazione sonora, anche perché la maggiore vocazione di questo luogo è la registrazione. OLTRE LA MUSICA

Il foyer, il cuore di questa struttura, raccorda il mondo delle note, dei melomani, del pubblico, con gli altri piaceri della vita che all’interno di questo aereo recinto è possibile trovare. La sala d'ingresso è di colore azzurro e ha un soffitto costellato di luci bianche. L'effetto da cielo stellato è creato da tanti piccoli blocchetti di forma circolare in plexiglas che riflettono la luce dai buchi del cemento armato delle pareti. La Concert Hall di Copenhagen è uno spazio anche da vivere, con un ristorante e un bookshop. La cura dei dettagli presenti anche in questi ambienti la si deve sempre all’Atelier Jean Nouvel Design. Dettagli che rendono tutti questi am-

bienti accoglienti e legati tra loro, così pure i numerosi uffici, studi e spazi di servizio. Saranno ambienti secondari ma hanno il piacere di ricevere una luce filtrata dal velo blu, e in più dal loro interno si vede chiaramente la doppia pelle di cui è rivestito il parallelepipedo. La prima è tutta di vetro e si aggancia con una maglia d’acciaio rombiforme alla struttura metallica double face che sorregge pure, con gli appositi ganci, i pannelli blu (cioè la seconda pelle) apribili solo dagli uffici. Affacciandosi all’interno della corte verdeggiante si ha modo di apprezzare la

struttura di tutto l’edificio, che non si presenta più leggiadra ed evanescente come all’esterno, bensì decisa e possente, e pertanto non fa mistero del pesante cemento armato, variamente raggrinzato, di cui è composta. La Concert Hall di Copenhagen è una struttura che riserva diverse sorprese. Un piccolo universo che stupisce con le sue diversità. Un’evanescente esuberanza nata dall’insaziabile interesse del progettista per la sperimentazione creativa, che faccia da testimone alla modernità della nostra epoca, delle nostre tecniche e dei nostri materiali. + 61 DESIGN INSIEME 61 MI MUSICA


Progetto / 3 SCHEDA

Progetto - UNStudio: Ben van Berkel, Caroline Bos. Tipologia - Teatro e Auditorium Committente - BIG, Bundesimmobiliengesellschaft Cronologia - Progetto:1998; Realizzazione: 2006 - 2008 Ingegneria - Arup London Esecuzione - Peter Mandl and Partners Acoustica - ZT Gerhard Tomberger, Pro Acoustics Engineering

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Ph.Christian Richters

TUTTO INTORNO A UNA SPIRALE Linee curve e avvolgenti si evidenziano nello spazio interno, scandito da una scala a forma di spirale. Così appare davanti agli occhi del pubblico il Music Theatre dell’Università di Graz. L’architetto, Ben van Berkel, si ispira ai principi compositivi del Serialismo musicale. E presta attenzione all’acustica e all’interpretazione della leggerezza del suono di Iole Costanzo

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Progetto / 3

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’Haus für Musik und Musiktheater, sinteticamente chiamato MUMUTH, il Music Theatre dell’Università di Graz, è il progetto che porta la firma di UNStudio, il team di progettisti olandesi guidato da Ben van Berkel e vincitore del concorso internazionale indetto nel 1998 e a cui si iscrissero ben 212 partecipanti. IL FASCINO DELLA SPIRALE

Ph.Christian Richters

L’elemento centrale del progetto di tale struttura è una spirale orientata orizzontalmente, che scandisce l’organizzazione degli spazi interni. Sebbene, come dicono gli stessi architetti, il progetto abbia subito, rispetto alla fase iniziale, considerevoli modifiche, i motivi basilari dell'edificio e della sua organizzazione sono sopravvissuti. Il principio della spirale che si scompone in tante spirali più piccole orientate in verticale e in diagonale diventa un importante modello architettonico: il blob-to-box&quot, così definito da Ben van Berkel e Caroline Bos. Il volume semplice e rigoroso è la scatola-box, e la serie di volumi pensati per rappresentare il Sopra: le tre foto evidenziano la complessa armatura necessaria per la costruzione della scala, l’elemento caratterizzante la parte sinistra dell’edificio. Sotto: La scala ritorta è una costruzione in cemento armato massiccio. Si è usato un cemento auto-compattante che pompato dal basso, invece di essere colato dall’alto, ha dato forma a una configurazione centrale e centripeta dello spazio

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movimento è il blob, insieme rappresentano l’intreccio e la contaminazione degli spazi. La scala e il foyer dalle dolci linee curve e avvolgenti trovano spazio sul lato sinistro dell’edificio e diventano anche l’elemento caratterizzante di tutti e tre i piani. Era difatti l’elasticità il tema della struttura sin dalla prima proposta progettuale. Nella prima fase del concorso, il progetto era ancora concettuale e si prefigurava come una molla allungata dal diametro variabile, che stirandosi o richiudendosi in se stessa strutturava i vari volumi componendo così gli spazi dei servizi, delle prove, del pubblico e del teatro. UNStudio ha scelto la spirale come elemento organizzativo per il MUMUTH e il suo funzionamento è stato assimilato a quello del Serialismo nella musica contemporanea (tecnica compositiva che preordina in successioni stabilite, dette serie, uno o più parametri musicali): una linea continua che assorbe e regola gli intervalli e le interruzioni, i cambi di direzione e i salti di scala senza perdere la continuità. Il motivo spiraliforme non è più visualizzato in modo preminente sulla facciata com’era invece nel primo progetto concettuale. Ma pur in modi diversi questo principio continua ad essere presente: è il principio organizzativo e costruttivo con cui è stata creata la


disposizione libera e fluente dello spazio interno, e dei collegamenti tra loro. Lo spazio fluttuante del foyer deve la sua identità all’elemento a spirale, la scala, che connette l'ingresso all'auditorium e alle sale musica del piano superiore, unendo i tre livelli, del lato sinistro dell’edificio, con una torsione. Torsione che è infatti una costruzione in cemento armato massiccio, alquanto ardita, dalle dimensioni condizionanti il modus costruendi: si è usato, difatti, con molta precisione un cemento auto-compattante che pompato dal basso, invece di essere colato dall’alto come avviene di solito, dà forma a una configurazione centrale e centripeta dello spazio pubblico intorno alla quale il tutto ruota. L’IMPORTANZA DELLA LUCE

Anche l’illuminazione e i dettagli dei materiali accentuano di più lo straordinario effetto a onde, che caratterizza l’intero edi-

BEN VAN BERKEL Nato a Utrecht nel 1957, ha studiato architettura alla Rietveld Academy di Amsterdam e alla Achitectural Association di Londra, terminando gli studi nel 1987 con il massimo dei voti. Nel 1998 ha fondato, insieme a Caroline Bos, l’UNStudio, dove lavorano professionisti dell’architettura, dello sviluppo urbano e delle infrastrutture. Ben van Berkel ha tenuto conferenze e lezioni presso diverse scuole di architettura in tutto il mondo. Attualmente insegna Conceptual Design presso la Staedelschule di Francoforte.

Ph.Christian Richters

Ph.Koos Breukel

In questa foto: la scala a spirale che conduce al piano superiore. Lo spazio fluttuante deve la sua identità all’elemento a spirale, la scala, che connette l'ingresso con la sala dell'auditorium del piano superiore. L’immagine riprende il retro della scala e dà modo di scorgere il tipo di attacco tra la scala e i piani. È il cuore della parte sinistra dell’edificio, la parte che gli architetti hanno scelto come emblema della leggerezza musicale

ficio. La torsione viene accentuata ed evidenziata in tutta la sua forma dalla luce che dal soffitto, interamente ricoperto di lamelle di legno scuro, si propaga a ventaglio. Le ombre e le lamelle di luce enfatizzano ulteriormente il senso piacevole della percezione ondivaga dell’ambiente. Si può affermare che la torsione, la spirale, la voluttuosità delle linee del foyer non inibiscono per nulla la versatilità di tale ambiente, anzi l’esaltano. Il Mumuth ha due ingressi: quello che si trova sul lato del parco è utilizzato dagli studenti e dallo staff tutti i giorni, mentre quello al pubblico che si affaccia sulla Lichtenfelsgasse è utilizzato solo quando ci sono gli spettacoli serali. Il pubblico, salendo l’ampia scalinata, entra nell’ampio foyer al primo piano e ha accesso alla sala dell’auditorium (ambiente multifunzionale capace di contenere fino a 450 posti ed è adattabile a una grande varietà di performance che va dall’orchestra ai solisti). + 65 DESIGN INSIEME 65 MI MUSICA


Progetto / 3

Ph.Christian Richters

In questa foto: sul soffitto fatto di lamelle di legno scuro, la luce si propaga con modalità a ventaglio. Mentre la scala rivestita di materiale specchiante conduce l’illuminazione circostante, con un movimento bloboidale, ai piani sovrastanti. Nella pagina a fianco, in alto a destra: il soffitto dell’aula è caratterizzato da un ventaglio fatto di luci e legno. In basso a sinistra:la luce naturale presente nella piccola sala di prova da modo di godere delle delicate serigrafie realizzate sulla prima pelle esterna

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e anche per un lungo tempo, a causa della mancanza di fondi. LA FILOSOFIA DI DELEUZE

Durante la progettazione, la parte esterna tornò ad essere una tela bianca e gli architetti di UNStudio raccontano che ciò permise loro di rivedere in modo diverso il tema della musica. Ristabilirono una nuova relazione tra musica e architettura inizialmente focalizzata solo su aspetti quali il ritmo e la continuità. In seguito alla lettura del filosofo Gilles Deleuze ri-

Ph.Christian Richters

Grande attenzione, in questa opera, è stata posta anche all’apparato acustico. Il rivestimento in pannelli di legno copre il 72% delle pareti, mentre la restante quota è coperta da pannelli fonoassorbenti. Tale aspetto, in particolare, è stato però curato dallo studio locale di Gerhard Tomberger. Anche questa volta non si può che ricordare quanto la relazione tra musica e architettura sia un classico più volte ripreso e affrontato sin dall’antichità. Relazione che a volte è rimasta solo un imput teorico, altre invece è divenuta testimonianza di quanto l’architettura stessa sia riuscita a rappresentare la leggerezza del suono. Così pure il tema dello spazio acustico, esplorato nel suo potenziale da molti architetti è ancora un argomento affascinante e a tutt'oggi di grande interesse. In diverse parti del mondo, infatti, tale tema è affrontato sempre con molta cura e le risposte progettuali, sia dal punto di vista estetico-prestazionale sia della scelta dei materiali, risultano essere interessanti campi di sperimentazione. Ma ciò che accomuna tutte queste esperienze è il desiderio di riuscire ad esprimere architettonicamente la musica stessa. E così è andata anche per Graz. Nonostante il progetto appaia oggi modificato in misura considerevole dalla proposta iniziale, questo desiderio è rimasto quale costante immutata nel corso dei dieci anni che sono stati necessari alla costruzione del MUMUTH. Anni in cui l’iter è stato più volte bloccato

Ph.A.Wenzel

LO SPAZIO ACUSTICO

scoprirono un ulteriore elemento non studiato in precedenza, la ripetizione: la apprezzarono quale elemento generante densificazioni, intensificazioni e intervalli. Valutarono quanto la ripetizione porti alla sonorità e all’improvvisazione e decisero di utilizzare un sistema ripetitivo sulle facciate per ottenere alcuni di questi effetti. Le scansioni delle facciate, in un certo senso rigide, sembrano lontano dalle solite cifre progettuali di UNStudio. Il disegno è meno esasperato, è più circoscritto, più contenuto. Solo all’interno, anche se con logica diversa da altri loro progetti, ripropongono le forme bloboidali. La struttura che si presenta alquanto scissa - la parte destra compatta e la sinistra ritorta - è completamente racchiusa dalle quattro facciate cangianti che offrono una lettura differente nelle diverse ore del giorno. Alla completa trasparenza delle fasi diurne, da cui si leggono gli interni costretti, si alterna la fase illuminata che è invece legata alle ore serali o notturne. Il teatro MUMUTH, appartenente all'University of Music and Performing Arts di Graz, è un luogo dove i giovani musicisti vengono istruiti alle arti della musica e dello spettacolo e per tanto nulla è più adatto: una struttura emblematicamente cangiante, contenitiva, ed ossessivamente ritmica, pronta, con la sua pelle, a leggere i cambiamenti generazionali e a cogliere i cambiamenti ritmici dei nuovi talenti. + 67 DESIGN INSIEME 67 MI MUSICA


Progetto / 4

PERFETTAMENTE IN EQUILIBRIO 68 DESIGN +


SCHEDA

Progettisti: Delugan Meissl Associated Architects Committente: Porsche Costo complessivo: 50 milioni di Euro Area espositiva: 5.600 metri quadri di area espositiva. 80 automobili esposte Lavori: iniziati nell'ottobre 2005, completati nel dicembre 2008. Inaugurazione marzo 2009

Monolitico, spigoloso, graffiante. Ăˆ il nuovo Porsche Museum. Un corpo sospeso, con un’area di esposizione di circa 5mila mq. Progettato dallo studio viennese Delugan Meissl Associati. Un percorso per ricostruire i 100 anni di storia del design di questa azienda ricca di tradizione, storia e innovazione. Che comprende anche archivi, assistenza, shopping, bistrot di Mercedes Caleffi

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DESIGN MUSICA INSIEME


Progetto / 4

In alto a sinistra: un esterno del Porsche Museum nei pressi di Stoccarda. Nelle altre foto: gli interni del Museo, con i suoi 5.600 mq di esposizione

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a Porsche: casa automobilistica tedesca specializzata nella produzione di auto sportive, con sede a Zuffenhausen, nei pressi di Stoccarda, ma anche marchio di design che negli anni ha prodotto articoli e accessori in gran parte personali o legati in modo più specifico all’automobile. Logica, tensione e precisione è ciò che più caratterizza sia le vetture sportive sia gli oggetti di design. Sono tre termini che contengono in nuce la capacità di esprimere contemporaneamente sia i pregi estetici, quali una linea graffiante e aerodinamica, che i requisiti tecnici, quali il rombo, il cosiddetto “suono”, come definito da chi è del mestiere, o la potenza stessa del motore. È un trinomio carismatico che, applicato all’architettura, produce una struttura anch’essa graffiante, spigolosa, sfuggente, aerodinamica e monolitica: il Porsche Museum. Progettato dallo studio viennese Delugan Meissl Associati ha un’area di esposizione di più di 5mila mq. È posto in Porcheplatz, luogo di grande significato nella storia della fabbrica e vi si possono ammirare circa 800 pezzi storici. Un’altra peculiarità utile a descrivere ancora meglio tale struttura è la luminosità: vibrante, veloce, forse anche felina. Una luminosità che avvolge l’intero edificio del museo, determinata dalla presenza delle facciate in vetro ma anche dalla pelle scelta per rivestire la parte inferiore del monolito. Una pelle squamosa, lucida e riflettente, composta di mattonelle in acciaio inox, che illumina, riflette e accompagna il visitatore sulla rampa d’accesso fin nella pancia del Porsche Museum. Formato da due grandi

corpi, uno basso posto al pianterreno e uno simile a un corpo monolitico sospeso, innalzato su tre nuclei in cemento a forma di Y, coprendo interamente il lotto di forma triangolare che gli era stato destinato. È circoscritto da più strade e dalla ferrovia. Lì dove è possibile l’accesso, la struttura si innalza di ben 16 metri tanto che i calcoli statici sono stati alquanto complessi e hanno rappresentato una vera sfida che oggi appare felicemente vinta. All’interno il bianco domina su tutto. Le pareti lisce, nel loro candore, esaltano il percorso pensato per ricostruire passo dopo passo i 100 anni delle vicende del design di questa azienda ricca di tradizione, storia e innovazione. La Porsche è una tra le più piccole case automobilistiche del mondo ma è anche tra le più note. Ovunque i cultori di questo marchio sono tanti, sicché l’idea di un museo può sembrare quasi scontata - negli ultimi anni l’esposizione automobilistica è stato un tema affrontato da firme quali UNStudio, Zaha Hadid, Coop Himmelb(l)au - ma la sua realizzazione nella realtà non rivela nulla di ovvio, e la costruzione non passa inosservata, pur non essendo state scelte dalla Porche, come dalla concorrenza, importanti firme di progettisti internazionali. La scelta infatti è caduta su Roman Delugan, architetto di origine italiana, ed Elk Meissl, entrambi viennesi. Il nuovo museo avrà al suo interno delle aree funzionali correlate alla storia della casa automobilistica: l’area degli archivi storici della Porsche AG e un punto di assistenza tecnica chiamato “Classic-Werkstatt”. L'officina,



Progetto / 4

Ph.Peter Rigaud

mediateca interattiva e dalle auoltre alla manutenzione delle vetdio guide mobili che offrono al ture esposte nel museo e comunvisitatore informazioni di approque itineranti, si occuperà anche fondimento aggiuntive. Il nuovo dell’assistenza specializzata e riMuseo è anche disponibile come sponderà ai quesiti tecnici dei area eventi, per scopi diversi quali clienti. I visitatori potranno conferenze, film e concerti, indiquindi dare uno sguardo accupendentemente dalle attività rato al complesso mondo del reusuali. L’effettiva area espositiva è stauro e della conservazione delle quella contrassegnata dall’audace vetture a partire dalla manutenacciaio del corpo monolitico sozione fino alla revisione. Porsche DELUGAN MEISSL ASSOCIATED ARCHITECTS speso e poggiante sui tre nuclei di sceglie di vivere contemporaneaLo studio è stato fondato nel 1993 cemento e che ha un’ampiezza di mente e di far vivere la propria da Roman Delugan, architetto più di 60 metri. Dentro il Mustoria anche ai visitatori. Per asitaliano nato a Merano, e Elke seum Porsche, sia le auto storiche sicurare i più alti livelli di cura e Delugan-Meissl, nata a Linz, in Austria. Nel 2004 si sono aggiunti che i diversi oggetti presenti di conservazione delle automotre soci: Martin Josst, Dietmar hanno una disposizione attentabili storiche del marchio, il parFeistel e Christopher Schweiger. Lo mente studiata e dal grande imticolare laboratorio museale costudio, che ha sede a Vienna, ha patto scenografico. Non è un caso struito apre la propria esperienza realizzato negli ultimi 15 anni molti che l’allestimento sia stato curato anche ai fortunati privati che progetti di grande importanza, tra cui il Global Headquarters Sandoz, dall’architetto Merz, lo stesso che possono restaurare le loro autodella Novartis Company, a Vienna, si è occupato dell’esposizione mobili storiche. È anche possil’House Ray1 nel centro di Vienna, della Mercedes; praticamente una bile osservare i maestri meccaCity Lofts e High Rise nel quartiere certezza. La struttura di base delnici e gli esperti Porsche al di Wienereberg. l’edificio, il corpo basso, al di lavoro. Prima di entrare nella sotto del monolito, ospita invece mostra, infatti, il visitatore passa attraverso la divisione in vetro del laboratorio ed è certo la loggia e il laboratorio. I due corpi sono collegati dalla strutura delle scale, parzialmente realizzate in vetro e diche vivrà un’esperienza unica fatta di “trasparenza”. Ma il museo di Zuffenhausen non sarà solo questo. namicamente piegate ad angolo, e da un ascensore. I due Conterrà un'area shopping, dove si potranno acquistare elementi risaltano da ogni punto di vista con le loro le ultime novità di design del marchio Porsche, un cof- forme poligonali all’avanguardia e le diverse geometrie fee bar, un bistro e un ristorante (l’esclusivo Christo- delle finestre, che fanno sì che questa candida astronave phorus). Il tutto per offrire ai visitatori il massimo com- piovuta dall’alto risulti dinamica e leggera. Leggerezza fort. La previsione della Porsche è di oltre 200mila che maschera magistralmente la pesante gabbia d’acciaio visitatori all’anno. Le cosiddette “isole tematiche” e le con cui è stata costruita. Così il nuovo Porsche Museum numerose piccole mostre cercheranno di presentare crea l’esperienza unica di uno spazio che riflette ade“l’idea Porsche” nella sua complessità, coadiuvate dalla guatamente il carattere dinamico del marchio.

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LA STORIA DI UN MITO LA NASCITA DELLA PORSCHE

N° 1 NELLA STORIA DELLE CORSE LA PORSCHE 917

La storia della Porsche comincia nel 1900 quando Ferdinand Porsche presenta al salone di Parigi la Lohner-Porsche, un veicolo elettrico. Dopo una brillante carriera in Daimler, apre uno studio a Stoccarda. Il lavoro va a gonfie vele e subisce una battuta d’arresto solo intorno al 1944 quando la famiglia Porsche si trasferisce in Austria. Ma nel 1948 Ferdinand e il figlio firmano la 356 che alla prima gara sul circuito di Innsbruck sbaraglia gli avversari. Dopo il rientro in Germania, nel 1951, anno di morte di Ferdinand, il successo sul circuito di Le Mans permette al marchio tedesco di conquistarsi un posto nell’olimpo dei motori.

Ha compiuto 40 anni il 13 marzo di quest’anno la Porsche 917, presentata per la prima volta nel 1969 al Ginevra International Motor Show. Divenne una leggenda come una delle più veloci macchine da corsa di tutti i tempi. È certamente tra le più famose vetture da competizione della casa automobilistica tedesca, conosciuta soprattutto per le sue imprese alla celebre gara di resistenza 24 ore di Le Mans. Diventata ancora più conosciuta col film prodotto e interpretato da Steve McQueen Le 24 Ore di Le Mans del 1971. L’autorevole periodico britannico “Motor Sport” l’ha nominata “la più grande auto da corsa della storia”.


Serramenti di qualità

SCURI PERSIANE TAPPARELLE INFERRIATE

SERRAMENTI IN GENERE, ALLUMINIO LEGNO PVC LEGNO-ALLUMINIO

PORTE INTERNE IN LEGNO PORTE BLINDATE

BASCULANTI CANCELLI AUTOMATISMI

TEKNO SER GROUP S.R.L. Via dell’Artigianato, 20 - Loc. Poggio Piccolo - 40023 Castel Guelfo (Bo) Tel. 0542.670187 - Fax 0542.671035 www.teknosergroup.it - info@teknosergroup.it


ALFEC

Infissi in alluminio - acciaio - carpenteria metallica - Alluminio/legno - Pvc - Legno

ALFEC nasce nel 1994, e da sempre si rivolge al mercato locale al fine di dare sia prodotti di qualità che una presenza costante sul territorio per il servizio di manutenzione ed assistenza. La continua evoluzione tecnica dei serramenti e le mutevoli esigenze di mercato hanno portato l’Azienda a differenziare l’offerta. Oltre a realizzare in proprio tutti i tipi di serramenti in alluminio a taglio termico ed in acciaio, commercializza ed installa serramenti all’avanguardia in materiali misti alluminio/legno, in PVC ed in legno, con requisiti che rispettano le attuali normative di sicurezza e risparmio energetico. L’offerta è completata con la costruzione all’interno dell’Azienda di tutti i manufatti metallici (acciaio, acciaio inox, alluminio) quali inferriate, cancellate, ringhiere, balconi, carpenteria leggera e media. Nonché la commercializzazione e l’installazione di persiane e scuroni, porte blindate, porte interne, veneziane, zanzariere, e complementi d’arredo. Particolare attenzione è stata rivolta al settore delle porte tagliafuoco destinate ad edifici pubblici, scuole, ospedali, alberghi, attraverso una attenta conoscenza delle normative e una specifica specializzazione nella installazione.

Via Toscana, 85-87-89 - 40035 Castiglione dei Pepoli (Bo) Tel. e Fax 0534.91002 e-mail: alfec@libero.it


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T E P R I M A

Bologna - Modena - Firenze - Rovereto - Milano - Venezia Tesori d’arte rubati e poi recuperati

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ella primavera del 1796 un esercito francese, al comando di Napoleone Bonaparte, irrompe nella Valle Padana, sbaragliando austriaci e truppe locali. Fra le prede di guerra compaiono, per la prima volta in modo esplicito, anche le opere d’arte. Il governo di Parigi le requisisce e le porta via. Comincia allora una storia, fatta di espropriazioni, di furti, di salvataggi fortunosi, di recuperi, che si concluderà solo dopo Waterloo. Questa sarà la storia raccontata a Cesena in questa mostra, con oltre 200 opere tra dipinti, incisioni, documenti, libri, “tesori” rubati e recuperati. Si articola in sei sezioni. La prima è dedicata a “La memoria del mondo in uno Stato”, e documenta la persistente centralità di Roma nella cultura europea alla fine del XVIII secolo. La seconda sezione racconta “La rivoluzione in Italia”: attraverso stampe, figurini militari, dipinti, divise del tempo rivive l’epopea napoleonica in Italia e l’avvio delle requisizioni delle opere d’arte. La terza sezione, “Il patrimonio conteso”, mette in mostra alcuni esempi emblematici di opere trafugate dalle collezioni delle Legazioni pontificie del territorio, che furono trasferite nella Pinacoteca di Brera a Milano, e in Francia. La quarta sezione è dedicata alle “Origini del museo moderno”: Antonio Canova, Carlo Fea, Quatremére de Quincy e Pio VII sono i protagonisti di un dibattito culturale da cui prende avvio la prima legislazione di tutela delle opere d’arte promulgata da Pio VII. La quinta sezione si sofferma sulla figura di “Pio VII, Gregorio Barnaba Chiaramonti”. Collegata alla sezione precedente la sesta sezione, “la biblioteca Piana”, conserva la raccolta personale dei volumi di Pio VII, specchio dei gusti e degli interessi del “Papa dei Beni culturali”.

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MOSTRE

Due artisti a confronto

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In mostra a Modena le sculture in terracotta di Guido Mazzoni e Antonio Begarelli. Due scultori rinascimentali. Due modi diversi di interpretare i temi religiosi 1

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oderne maschere sgomente di fronte allo spettacolo più doloroso del Cristo morto. O figure esemplari la cui sofferenza per la stessa visione viene filtrata dall'eternità. È con queste suggestioni che le sculture in terracotta presentate dalla mostra Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni e Antonio Begarelli. Sculture del Rinascimento emiliano a Modena, Foro Boario, dal 21 marzo al 7 giugno 2009, si propongono al grande pubblico. Dedicata a due protagonisti di rilievo del Cinquecento emiliano, Guido Mazzoni (1450 ca.1518) e Antonio Begarelli (1499 ca. – 1565), la mostra si articola sul filo doppio delle posizioni interpretative antitetiche dei due artisti e sulla convergenza dell’utilizzo di un mezzo espressivo e di un tema religioso comuni: la scultura di formatura della terracotta per la rappresentazione del Compianto del Cristo morto da parte delle tre Marie, della Maddalena, di Giuseppe e di Nicodemo. All’epoca della realizzazione di questi gruppi scultorei composti da figure a grandezza naturale mediante la tecnica “per via di porre” tipica dell’area emiliana e modenese, Guido Mazzoni e Antonio Begarelli ricevevano il plauso delle principali corti italiane e straniere. Da una parte l’impronta realistica e l’immediatezza drammatica delle sculture di Guido Mazzoni molto vicine, con l’utilizzo della coloritura a imitazione del vero, al sentimentalismo tutto quotidiano dei drammi sacri del teatro religioso popolare dell’epoca. Dall’altra l’impronta classica e la religiosità erudita nelle figure atemporali di Antonio Begarelli, con una scelta di coloritura bianca quasi marmorea che rivela l’intenzione dell’artista di cancellare l'umano e le relative passioni circostanziali per fissarle in un’eternità statuaria. Nell’insieme è la complessa trama rinascimentale nelle sue espressioni più distinte intessuta da un capo all’altro di queste due concezioni estetiche che diviene oggetto della Mostra, in un movimento che si articola non solo sul piano concettuale ma anche su quello spaziale. L’esposizione al Foro Boario è infatti accompagnata da diversi percorsi all’interno della città e nel territorio circostante fino alle vicine località di San Benedetto Po, Parma e Ferrara, alla scoperta dei

luoghi dove rimangono importanti testimonianze dell’attività di Guido Mazzoni e di Antonio Begarelli e della produzione artistica a loro contemporanea. Anche la configurazione della luce è al centro della concettualità dell’esposizione con ognuno dei gruppi plastici conservati nelle chiese del centro di Modena come parte di un progetto illuminotecnico appositamente studiato per l’esaltazione delle rispettive qualità plastiche, espressive o liturgiche, grazie alla possibile scelta tra differenti proposte di illuminazione. Non bisogna dimenticare che i due artisti modenesi, oltre alla comune predilezione per la terracotta e a una controversa tesi di discepolato secondo la quale l’arte del Begarelli non sarebbe che il perfezionamento di quella del Mazzoni, condividono anche un analogo rovesciamento di fortuna critica. È a partire dagli inizi dell’Ottocento, infatti, che con due episodi di fanatica iconoclastia sul gruppo veneziano di Sant’Antonio di Castello del Mazzoni e sul modenese Monumento Belleardi di Begarelli, si sancisce il disprezzo dell’epoca nei confronti della poco nobile scultura in terracotta. Un disprezzo che giunge dal lontano Cinquecento e che si articola su più di un livello di giudizio: la scultura è meno nobile della pittura, la terracotta, materiale della scultura “per via di porre” è inferiore al marmo, materiale della scultura “per via di torre”. Per questa ragione l’episodio non è che la manifestazione più violenta ed esemplare di un atteggiamento di disattenzione nei confronti di questa tecnica, che nel tempo ha portato alla perdita di moltissime opere. Ecco perché la specificità del progetto illuminotecnico diviene espressione e stimolo di una nuova attenzione priva di pregiudizi nei confronti di grandi opere dimenticate per più di due secoli. La mostra stessa del resto nasce simbolicamente da “un portare alla luce” con una notevole quantità di opere inedite o poco conosciute. Così oltre a opere dei due artisti come il Nicodemo di Mazzoni e alcuni inediti di Begarelli, saranno presenti opere di confronto come Il Compianto di Michele da Firenze, rinvenuto durante i lavori di ristrutturazione del complesso di San Geminiano, che segna lo scarto tra una concezione ancora tardo-gotica e la modernità rinascimentale dell’artista modenese. (di Filiberto Reggente)


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1) Crocifisso, Antonio Begarelli, terracotta, Modena, Museo Civico d’Arte 2) San Giovanni Battista, Antonio Begarelli, terracotta, Modena, Galleria Estense 3) Busto di Lionello Belleardi, Antonio Begarelli, terracotta, Modena, Galleria Estense 4) Testa di Cristo su cuscino, Guido Mazzoli, terracotta con tracce di policromia, Padova, Museo Civico 5) Figura di dolente, Guido Mazzoli, terracotta policroma, Ferrara, Museo di Palazzo Schifanoia 6) Testa di frate francescano, Guido Mazzoli, terracotta, Bologna, Museo dell’Osservanza 7) Testa di vecchio, Guido Mazzoli, terracotta policroma, Modena, Galleria Estense 8) Compianto sul Cristo morto particolare, Guido Mazzoli, terracotta, Busseto, chiesa di Santa Maria degli Angeli

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MOSTRE

Dal dopoguerra agli anni ‘70

Conoscere i Piceni

La mostra raccoglie gli eccezionali frutti di scoperte recenti nelle necropoli della comunità picena di Matelica (MC), risalenti al VII secolo a.C., riuniti assieme dopo complessi e impegnativi restauri. La consistenza di tale comunità emerge oggi finalmente nella sua ricchezza e articolazione e nei suoi molteplici legami con mondi lontani. La cospicua mole di dati venuti alla luce contribuisce ad una migliore conoscenza dell’archeologia italica preromana, non solo locale.

MartRovereto (28 marzo – 26 luglio 2009)

La “Guerra fredda”, la cortina di ferro, le tensioni tra la “alleanza atlantica” e i paesi del blocco sovietico, oggi sembrano episodi lontani, ma in realtà hanno accompagnato la storia del ‘900, dal dopoguerra agli anni Settanta, e soprattutto hanno ispirato e animato le manifestazioni della creazione artistica. La mostra, a cura di Jane Pavitt e David Crowley e prodotta dal Victoria & Albert Museum di Londra in collaborazione con il Mart di Rovereto, è la prima importante esposizione che ricostruisce il clima di un periodo cruciale per la società, la politica e la cultura mondiale, attraverso lo sguardo delle arti, dal design all’architettura, dal cinema alle arti visive. In mostra oltre 250 oggetti: da uno Sputnik alla tuta da astronauta delle missioni “Apollo”, dai film di Kubrick ai dipinti di Rauschenberg, dalle ceramiche di Picasso ai vestiti di Paco Rabanne. Ma anche oggetti affascinanti come i mobili in fibra di vetro di Charles e Ray Eames, o il radioricevitore mondiale T1000 della Braun. Si potranno anche ammirare i bozzetti di Le Corbusier, di Richard Buckminster Fuller e di Archigram e le nuove forme di trasporto del dopoguerra.

Made in USA

La prima grande antologica organizzata in Italia per una delle pittrici americane più importanti del XX secolo, Joan Mitchell (Chicago 1925 - Parigi 1992). La mostra, curata da Sandro Parmiggiani, presenta 46 lavori, provenienti dai maggiori musei americani e francesi. La pittura di Joan Mitchell, esito di un gesto che tradisce l'ansia e il desiderio di vivere e di dipingere, è sempre di altissima qualità, per l'equilibrio formale, gli accordi tonali, e lo svolgimento di un ritmo che si può seguire in ogni sua opera.

L’anno degli astri

La mostra presenta 250 capolavori provenienti dai maggiori musei del mondo: dipinti e disegni, strumenti scientifici di eccezionale bellezza e ingegnosità, atlanti celesti, reperti archeologici, inediti affreschi pompeiani, sculture, codici miniati, straordinari modelli cosmologici funzionanti realizzati per l’evento. Occasione di questa esposizione è il quarto centenario delle prime scoperte celesti di Galileo Galilei (la reale natura della luna, le macchie solari, i satelliti di Giove) destinate a rivoluzionare la concezione dell’universo. Per celebrare la ricorrenza l’Onu ha eletto il 2009 Anno internazionale dell’astronomia.

Joan Mitchell. La pittura dei Due Mondi

Palazzo Magnani (22 marzo – 19 luglio 2009)

Palazzo Strozzi (13 marzo – 30 agosto 2009)



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AGENDA

Chagall, Kandinsky, Malevicˇ. Maestri dell’Avanguardia russa

Villa Olmo (4 aprile – 26 luglio 2009)

di BERTACCINI

TAGLIAMURI

ELIMINA UMIDITÀ TECNOLOGIE:

TAGLIO E DEMOLIZIONI CEMENTO ARMATO

Un evento dedicato alle Avanguardie Storiche russe, in grado di ripercorrere le vicende di quella grande stagione artistica, dai primi del 900 agli inizi degli anni Trenta, attraverso i capolavori di Vassily Kandinsky, Marc Chagall, Kazimir Malevicˇ e Pavel Filonov. L’esposizione, curata da Sergio Gaddi ed Evgenia Petrova e organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Como, presenterà 80 opere, tra oli, tempere e disegni, provenienti da collezioni pubbliche russe, quali il Museo Nazionale di San Pietroburgo.

site specific_MODENA 08

Galleria Civica di Modena (17 maggio – 12 luglio 2009)

Dopo aver realizzato progetti fotografici e film in tutto il mondo, Olivo Barbieri dedica questa volta un progetto alla propria città. La mostra presenta trenta dittici fotografici e due video realizzati per l'occasione. Si tratta di un nuovo omaggio della Galleria Civica di Modena alla città, dopo le mostre Franco Vaccari. Opere 1955-1975 (dicembre 2007 - marzo 2008) e Mimmo Paladino per Modena (settembre 2007 - gennaio 2008). La mostra costituisce una nuova tappa del progetto site specific_, iniziato dall'autore nel 2004, un ciclo che ha coinvolto grandi metropoli mondiali, tra cui Roma, Torino, Montreal, Las Vegas, Los Angeles, Shanghai, Amman, New York, e che ha ottenuto un grande successo di pubblico e di critica in tutto il mondo. Il progetto consiste in una serie di fotografie di grande formato riprese da un elicottero e di video in HD e film in 35 millimetri.

SABBIATURA CAROTAGGI SMALTIMENTO AMIANTO Monet. Il tempo delle ninfee

Palazzo Reale (30 aprile – 27 settembre 2009)

CERTIFICATO ANTISISMICO VENDITA DI MATERIALE PROFILATO

INFO:

333.6441344 0545.53051

Grazie al più grande prestito mai concesso all’estero dal Museo Marmottan Monet, la mostra si sviluppa intorno a 20 grandi tele che il padre dell’impressionismo ha dedicato allo studio del suo giardino di Giverny nell’ultima stagione della sua vita e della sua ricerca artistica. Realizzate nei primi due decenni del secolo, mentre si affermavano il Cubismo e le avanguardie, le ninfee di Monet sono l’atto potente di un genio artistico che va oltre il proprio tempo e che dalla lontana invenzione della pittura en plein air oltrepassa tutta la cultura che viene dopo di lui.


AGENDA

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Santa Apollonia, Omar Galliani, e qualche dente di Andy Warhol

Chiostro di Sant’Apollonia (4 giugno – 15 agosto 2009)

Nelle sale claustrali a ridosso della Basilica marciana si mostra un ulteriore capitolo della lunghissima storia dell’iconografia legata a Sant’Apollonia, la protettrice dal mal di denti e patrona dei dentisti. Curioso che ad essere colpito da questa storia sia stato Andy Warhol spinto a realizzare, nel 1984, una serie di opere su carta interamente dedicate alla santa. La serie di opere presenti in mostra è ancora inedita e sarà esposta per la prima volta. Non stupisce invece che la vicenda di Apollonia abbia coinvolto Omar Galliani. Il maestro emiliano si misura infatti da tempo con la raffigurazione contemporanea dei santi.

Mirta Carroli. La persistenza del segno

Castel Pergine (18 aprile – 9 novembre)

La 17ma edizione dell’appuntamento annuale con la scultura contemporanea di grandi dimensioni a Castel Pergine. Quest’anno i curatori Franco Batacchi, Theo Schneider e Verena Neff hanno scelto di esporre Mirta Carroli, una delle pochissime scultrici donne della scena contemporanea, la quale, seguendo il filo comune che ha caratterizzato le mostre precedenti, proporrà una serie di lavori site specific. La mostra comprenderà una 30ina di sculture installate tra le cinta murarie e in giardino.

Terra e Mare. Paesaggi del Sud, da De Nittis a Fattori

Pinacoteca De Nittis (23 aprile – 2 agosto 2009)

Il progetto gravita sul grande tema del paesaggio osservato nella sua cruciale evoluzione, quando dalla seconda metà dell'Ottocento si compie il passaggio dalla veduta al genere, dal genere all'osservazione precisa e puntuale del dato naturale, e da questa soglia realista al suo sfaldarsi nelle prime prove della modernità. Obiettivo primario è quello di avviare l'approfondimento scientifico e la valorizzazione delle collezioni civiche, messe in relazione con altre grandi collezioni dell'Ottocento italiano. Palazzo della Marra, sede della Pinacoteca De Nittis, si vuole infatti caratterizzare come un punto di studio e di confronto per la pittura, italiana e straniera, del XIX secolo.

Da Petra a Shawbak. Archeologia di una frontiera

Limonaia di Palazzo Pitti (19 giugno – 30 settembre 2009)

Grazie a 20 anni di ricerche della Missione archeologica dell’Università di Firenze, Shawbak è riemersa dalle sabbie del deserto meridionale della Giordania. Questa grande, spettacolare esposizione racconterà, per la prima volta, la storia di Shawbak e, con essa, darà conto delle più recenti scoperte nell’area della Transgiordania che ha in Petra il suo centro più conosciuto e ammirato.


S.I.T srl, costituita nel 1992, svolge un’attività di analisi, pulizia e sanificazione degli impianti aeraulici. È organizzata dinamicamente per soddisfare le esigenze del cliente in conformità al proprio sistema qualità ISO 9001/2000 certificato da DNV Italia, secondo le modalità del “chiavi in mano” in ambito industriale, civile, terziario pubblico e privato, ospedaliero, nella progettazione, realizzazione e manutenzione di impianti di: Riscaldamento e climatizzazione di ambienti Centrali termiche e frigorifere e di cogenerazione Impianti idrici antincendio Reti di distribuzione del gas Impianti di produzione acqua calda con pannelli solari Impianti elettrici Impianti fotovoltaici Servizio di bonifica impianti aeraulici HVAC Gestione e manutenzione degli impianti termici con incarico di “Terzo Responsabile” e con la supervisione del proprio sistema di telecontrollo

Ed opere di:

Ristutturazione di interni ed opere edili in genere

Vivendo la realtà degli impianti (HVAC) aeraulici di termo-

ventilazione e condizionamento per la climatizzazione degli ambienti, con la nostra pluridecennale attività di installazione e manutenzione, verifichiamo come sia misconosciuta alla maggior parte degli utenti la qualità dell’aria immessa negli ambienti indoor da questo tipo di impianti. Il ricorso sempre più frequente alla climatizzazione con trattamento termicoigrometrico dell’aria negli ambienti di lavoro e di comunità (centri commerciali, uffici, alberghi, cinema e teatri nonché le ancora più critiche strutture sanitarie) pone problemi relativi alla salubrità e sanità degli impianti di climatizzazione. Infatti all’interno degli impianti, seppur dotati di sistemi di filtrazione ed assoggettati a manutenzione, col tempo si formano comunque concentrazioni di polveri, sostanze tossiche, muffe, funghi, spore e cariche batteriche; in particolare per esempio nei condotti aeraulici, ancorché nelle unità di trattamento dell’aria, dove si possono creare condizioni favorevoli alla loro proliferazione, responsabile di patologie respiratorie e stati di malessere generalizzato riconosciuti nella Sick Building Sindrome – Sindrome da edificio malato. All’interno di alcuni particolari componenti dell’impianto, quali la sezione di umi-

L’aria è vita non rinunciamo alla sua qualità


dificazione, possono svilupparsi anche bacilli molto più pericolosi come la Legionella Pneumofila, in grado di risultare letale perché responsabile di un affezione polmonare acuta. Dal punto di vista istituzionale invece il problema è sentito ed attuale, tant’è che a livello Comunitario e Nazionale e/o Regionale sono state promulgate norme e procedure che colmano il vuoto normativo presente fino al recente passato. Ravvisando l’esigenza dei Datori di Lavoro, responsabili della salute dei collaboratori subalterni, di assicurare loro una buona qualità dell’aria respirata all’interno degli ambienti confinati, e considerando appunto che le fonti normative vigenti regolano in modo ormai stringente la materia, e le possibili conseguenze derivanti dalla loro trasgressione, abbiamo ritenuto di implementare l’attività in og-

getto, introducendo così un nuovo servizio di supporto operativo con personale adeguatamente formato ed equipaggiato, ma anche di relazione cooperativa tecnico/scientifica orientata al cliente. Affatto trascurabile inoltre è l’attenzione dovuta al risparmio energetico indotto da un’accurata e periodica manutenzione degli impianti HVAC. Uno studio pubblicato su Ductales (settembre/ottobre 2007), rivista di NADCA (National Air Duct Cleaners Association) U.S.A, ed effettuato su impianti HVAC asserviti ad un grattacielo di Time Square in New York City, ha dimostrato la stretta correlazione tra la pulizia delle batterie di scambio delle UTA e l’incremento di efficienza energetica del 10 – 15% con relativi cospicui risparmi di gestione dell’impianto.

CHI PREVEDE IL COSTANTE CONTROLLO E BONIFICA DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE DELL’ARIA?

Il Decreto Legislativo n.81/2008 Appendice IV _ Requisiti dei luoghi di lavoro art.1.9 –

Microclima Comma 1.9.1.4 …Gli stessi impianti (di condizionamento dell’aria o di ventilazione meccanica) devono essere periodicamente sottoposti a controlli, manutenzione, pulizia e sanificazione per la tutela della salute dei lavoratori Le Linee guida della Conferenza Stato Regioni 5 ottobre 2006; La Delibera Giunta Emilia Romagna 18-06-2008; Inoltre Norme e procedure tecniche applicabili quali Guide Ispesl – Standard NADCA (U.S.A) AIISA

Sopra alcune foto scattate prima, durante e dopo la bonifica

Via Ropa,1 - 40012 Calderara di Reno (Bo) Tel. 051.727175 - Fax 051.727776 www.sitsrl.org - info@sitsrl.org


84 DESIGN + Ph.Ottoriino De Lucchi

Laureatosi in architettura a Firenze, Michele De Lucchi partecipa attivamente a movimenti come Cavart, Alchymia e Memphis. Ha disegnato lampade ed elementi d'arredo per le piĂš conosciute aziende italiane ed europee. Ăˆ stato insignito della onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana e nel 2006 riceve la Laurea ad Honorem dalla Kingston University.

Dietro al progetto


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a lavorato in Olivetti come assistente di Ettore Sottsass. Un incontro, questo, che ha segnato profondamente la sua vita professionale. Michele De Lucchi, ferrarese, 58 anni, architetto, designer e artigiano («ho un laboratorio personale dove creo oggetti di design e una linea che si chiama Produzione Privata»), confessa di aver imparato molto a fianco del grande Maestro del design italiano. In quegli anni a Ivrea disegna 80 macchine da scrivere. E si delinea pian piano una convinzione che alimenterà il suo pensiero creativo: il legame tra progettista e industria permette a entrambi di crescere. «Il mio primo incontro con l’industria è avvenuto sul finire degli anni Settanta, quando Sottsass mi ha chiamato all’Olivetti», ci racconta. «In quel momento il mondo dell’ufficio stava affrontando una profonda rivoluzione concettuale, dovuta all’introduzione dei computer come nuovi strumenti di lavoro. E, per la prima volta, mi apparvero le complessità del mondo dell’industria, le sue dinamiche in una realtà così grande e internazionale». Si rende conto, allora, che non sarebbe stato più possibile tornare indietro. Qualunque esperimento di tipo artigianale si sarebbe comunque inserito in una logica di tipo industriale.

DE LUCCHI Michele

Pratica un’osmosi continua tra i diversi ambiti disciplinari in cui si muove: architettura, design, artigianato. Sua è la lampada più venduta al mondo. E sua è la riqualificazione delle centrali dell’Enel. Il senso dell’architettura per De Lucchi? «Un qualcosa che va al di là del semplice costruire» di Maurizio Costanzo DESIGN + 85


A sinistra: Ministero degli Affari Interni e quartiere generale della Polizia, Tbilisi in Georgia, 2006 (in corso di realizzazione). Sotto, dall’alto verso il basso: la sala d’attesa, l’area consulenza e la postazione consulenza clienti dello Sportello clienti Hera, Bologna, 2007 (ph. Paolo Zappaterra)

Oggi Michele De Lucchi progetta arredi e oggeti per Alias, Poltrona Frau, Artemide, Caimi, Unifor, Arnolfo di Cambio. Dal 2000 si è occupato della riqualificazione delle centrali dell’Enel. E per Deutsche Bank, Poste italiane, Telecom Italia, Banca Popolare di Lodi ha progettato nuove soluzioni per gli ambienti di lavoro. Michele De Lucchi, la tecnologia ci ha reso più creativi? Gli stimoli alla creatività vengono da dentro, arrivano quando guardiamo le cose da una prospettiva diversa da quella più nota e più facile. Per me la tecnologia è un campo di esplorazione: guardo incuriosito le sue potenzialità e vado oltre, penso subito a come sfruttarle al di là e a volte al contrario rispetto alle procedure previste. Quindi è in questo senso che la tecnologia ci ha reso più creativi. Mi viene in mente l’allestimento che ho progettato per Piba Marmi al Marmomacc dello scorso anno: ho deciso di usare il marmo, che è un materiale pesante, forte e strutturale, mettendo in ombra queste sue peculiarità e invece trattandolo come si tratta un materiale leggero, come se fosse legno. Ho così creato una palizzata di marmo, una contraddizione in termini che ha un impatto emozionante. C’è una metodologia di pensiero standard che lei segue prima di mettersi al lavoro su un nuovo progetto? Questa è una domanda che mi sono fatto molte volte nella vita. Anche quest’anno che con Produzione Privata ho parlato di intuizioni, è capitato di dover pensare a come nasce un’idea. Rispondo con le parole che ho scritto per la presentazione della nuova collezione: “Se sembra che un oggetto sia imponente, ne cerco la legge86 DESIGN +

rezza. Se sembra che sia ricco ci trovo l'essenza. Se qualcuno mi dice che una cosa è grande, provo a vederla minuta e fragile. Se qualcuno mi dice che una cosa è impossibile, mi sfida a trovare dove e come e quando sia possibile. Il mondo ha bisogno di un nuovo punto di vista verso ciò che sembra sempre immutabile. Affinché diventi finalmente mutabile. Nel momento in cui si comincia a capire come far mutare le cose e si ha l'intuizione del cambiamento, questa è irrefrenabile”. In un mondo globalizzato come il nostro vengono incoraggiate le idee creative o si produce omologazione? Produrre e progettare in modo omologato, per una società omologata è una responsabilità di chi imita, di chi cerca solo di sfruttare l’intuizione di qualcun altro, evidentemente finendo per banalizzarla. Nostra responsabilità, dei progettisti e delle aziende intendo, è dare una personale visione del mondo attraverso gli oggetti. Potrà essere non condivisibile ma sarà unica, testimonierà un momento storico, e per questo sarà sempre dotata di dignità. Anche in architettura come nell’arte si cerca di catturare la soglia dell’attenzione della società. Gli architetti in futuro sgomiteranno sempre più con progetti egocentrici e autoreferenziali? Speriamo di no, ma i progetti che attraggono l’attenzione vanno bene e non fanno male se sanno introdurre categorie di qualità più ampie. Perché la lampada Tolomeo, creata per Artemide, è diventata un classico della modernità? Fare una lampada da tavolo che abbia funzionalità per l’ufficio e per la casa e che sia flessibile a tantissime necessità di illu-


A sinistra: Ponte di accesso al Triennale Design Museum, Triennale di Milano, 2003 2007 (ph. Alessandra Chemollo). Sotto pianta viste e sezioni della Scala al giardino. In basso, a sinistra: Restauro degli spazi pubblici a piano terra, Triennale di MIlano, 2002 (ph. Gabriele Basilico); a destra Scala al giardino, Triennale di Milano, 2003 - 2005 (ph. Alessandra Chemollo)

minazione ma non abbia un’immagine tecnica, era un obiettivo molto ambizioso. Perché la Tolomeo è un classico? Perché risponde perfettamente a un’esigenza concreta, tangibile nella vita di tutti i giorni per tutti. Funziona sempre, nell’utilizzo quotidiano, sul mercato come prodotto, come simbolo. Qual è il rapporto tra forma e funzione nella progettazione di un oggetto? Forma e funzione sono diventate normali e ovvie, e vale la pena di approfondire gli aspetti ideologici e di comunicazione che fanno sì che gli oggetti ci aiutino a coltivare la nostra conoscenza. Nella creazione delle sue opere di design si è mai fatto condizionare dalle leggi del mercato? Chi progetta deve assolutamente tenere conto del mercato. Un oggetto è definibile

in molti modi, e tra le sue definizioni c’è anche quella di merce. Tener conto delle leggi del mercato non vuol dire solo conoscerne le tendenze e decidere di assecondarle o di andare controcorrente, ma anche conoscere i valori commerciali come quelli simbolici delle cose. Vuol dire conoscere la realtà aziendale in cui ci si cala. Vuol dire sapere relazionare ogni aspetto, perché ogni aspetto fa parte del mercato. C’è differenza nel creare oggetti di design per la sua Produzione Privata o per una grande azienda? Produzione Privata è lo specchio delle dinamiche di ogni azienda di design italiana: fortemente fondata sulle competenze distintive, fatta dalle persone prima ancora che dal marchio. La differenza è che Produzione Privata ha un rapporto privilegiato con il momento ideativo, che può es-

sere prolungato e assumere molta rilevanza nel coordinamento delle cose. Come è cambiato in questi anni il suo modo di rapportarsi con le aziende? Devo dire che il mio approccio con le aziende è stato fondamentalmente lo stesso negli anni. Forse perché ho compreso fin da subito che il mio compito sarebbe stato quello di relazionare la direzione aziendale con quello che succede nel mondo e con quello che normalmente il mondo si aspetta che dall'industria venga fuori. Il business diventa tale solo quando il design riesce con efficienza ad anticipare i gusti e i desideri conquistando l’interesse e la motivazione all’acquisto. È questa la grande qualità del designer, ed è questa la ragione per la quale è giusto che il design viva in stretta relazione con il mondo e soprattutto con il mondo culturale. DESIGN + 87


A sinistra: Biblioteca San Giorgio in Poggiale, Museo della Città di Bologna, 2007 - 2009 (ph. Mario Carrieri). Sopra schizzo di De Lucchi della navata centrale con la nuova pedana in legno

A sinistra: lampada Tolomeo, Artemide, 1987, di Michele De Lucchi con Gianfranco Fassina. A destra: computer portatile Echos 40, Olivetti, 1994, di Michele De Lucchi

88 DESIGN +

Ogni grande progetto di architettura deve essere un segno sul territorio e avere una sua identità ben precisa. Nell’atto della progettazione come focalizza questi due elementi? Non penso mai ad imporre un segno per far sì che emerga la mia identità in un’architettura. Anche perché non riconduco il segno riconoscibile al processo della progettazione. Credo che la mano, o la visione della vita, di un architetto debba riconoscersi nella valorizzazione del contesto in cui opera. È una responsabilità grandissima quella di imporre un segno nel paesaggio perché, a differenza dell’oggetto, il segno di un’architettura incide sulla vita di una società e non solo sulla vita del singolo. Quasi sempre le architetture non sono scelte dalle persone, ma imposte. Con questa coscienza e responsabilità andrebbe sempre affrontata la professione. Se deve intervenire su edifici già esistenti, quali sono i limiti che si pone? Il limite è il rispetto del “cammino” che l’opera ha fatto fino a prima del mio intervento. Cerco di ristabilire l’aura originale, il senso fondativo del progetto e, dopo aver capito quello, immagino la sua attualizzazione affinché l’architettura non sia vittima del suo tempo ma possa nuovamente essere fruita come opera della contemporaneità. Forse il momento in cui sento di aver realizzato al meglio questi proponimenti è quando ho lavorato al progetto del restauro del Palazzo della

Triennale di Milano che oggi può essere usato come museo, come centro culturale, come libreria, come centro di documentazione, come ristorante, come negozio, come spazio per concerti ed eventi e potrei continuare, grazie a interventi di riqualificazione degli interni e della distribuzione e alla progettazione di strutture temporanee che si percepiscono nettamente distinte dalla struttura primaria, che sono fatte per non incidere e invece, incredibilmente, sono una chiara dichiarazione dei miei intenti. Nella biblioteca dell’ex-chiesa di S. Giorgio in Poggiale a Bologna siamo intervenuti in coordinamento con un gruppo di restauratori nella progettazione dei nuovi interni, dove abbiamo realizzato una lunga pedana per portare la pavimentazione della navata centrale allo stesso livello di quella dell’abside. Il legno della pedana è nettamente distintivo rispetto al contesto, ma non invasivo e al contempo in linea con le proporzioni del contesto. Il suo progetto di design e di architettura a cui è più legato? Mi riconosco in ogni progetto che faccio. Adesso per esempio mi piace molto la lampada Bonne Nuit, l’ultima che ho disegnato per Produzione Privata, ma anche la sede del Ministero degli Affari Interni in Georgia, un progetto molto importante per il mio Studio. Poi c’è in Svizzera un’abitazione tutta di legno che è il risultato del dialogo diretto tra il progettista e il padrone della casa.



90 DESIGN + Ph.Wolfgang Scheppe

Laureatosi al Politecnico di Milano, dal 1987 al 1996 si associa a Terry Dwan e nel 1999 fonda lo studio “Antonio Citterio and Partners”. Attualmente collabora con Ansorg, Arclinea, Axor-Hansgrohe, Aubrilam, B&B Italia, Flexform, Flos, Fusital, Guzzini, Kartell, Technogym. Dal 2006 insegna all’Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera Italiana.

Dietro al progetto


Sotto: un’opera di design tra le più famose di Citterio, la lampada da tavolo Kelvin, prodotta da Flos, e creata nel 2003 in collaborazione con Toan Nguyen. Il progetto vinse nel 2004 il prestigioso “Red Dot Design Award” (Tutte le foto sono pubblicate per gentile concessione delle aziende produttrici)

i tern ti n I ien ne. scar i. Amb al rie d a nt ali nzi coglie signer pless e s s m c e a d ee co ven line finati e tterio, dalla timo fare e l l l i e f a a n d ia, ra io C ale ell’u ati, ale. esig rmon nton io form cito n sasper ssenzi ide, in a ion. A procc è rius ismi e smo e rtem Lifash oso ap pazio, centr imali iere: A ova la one gor ello s gli ego o min e stran . Rinn ettazi Nel su ne all rog ts. da ed ion riodo zare il italia ra e W e la p Resor è asz i n 0 t e e t defi nio, p apprez ziend ell, Vi ncep els and nni ‘9 ifici in a o t a a t r c ten are e con s, Ka to il ri Ho egli no ed atrici am llabora ia, Flo a cura Bulga dio. N ealizza con P studio , Co B Ital M. H lusso o stu ieme r fonda : uno ettura B& 1 AT rghi di o prim e ins 1999 rtners” 'archit difnea li albe re il su Dwan e. Dal nd Pa e per l e t n o e deg 2, ap Terry ppon erio a azion am non h r e a t t 7 . i v t t a 19 iato in G o Ci roge afica - era r. Ma soc opa e ntoni re di p e la gr piega signe Eur l la “A iplina striale 0 - ci s del de Vie ltidisc indu nni ’7 ssione mu isegno degli a profe il d la fine gere la «Al le svol fici

D

CITTERIO Antonio

Collabora con le più importanti aziende italiane e straniere. Molte le monografie che gli sono state dedicate. Ma non è il lavoro che preoccupa Antonio Citterio. Piuttosto la mancanza di responsabilità sociale che attraversa l’Italia. «Sono seriamente preoccupato dal qualunquismo dilagante», ci racconta di Giò Cirillo DESIGN + 91


Sede della Edel Music AG, Amburgo, 1998-2002. Foto: Klaus Frahm Bulgari Hotels & Resorts, Milano, 2001-2003. Foto: Leo Torri

Asilo aziendale, Verona, 2004-2005. Foto: Leo Torri Gioielleria De Beers, Los Angeles, 2005. Foto: Simone Barberis

mai avuto dubbi. Il mio interesse è sempre stato legato all’architettura contemporanea, anche quando negli anni ’80 è arrivato il postmoderno e a Milano vi era il fenomeno Memphis». E mai nulla ha fatto deviare Antonio Citterio da questa sua visione ortodossa dell’architettura contemporanea. Secondo lei le problematiche che l’architetto e il designer incontrano sono diverse tra loro? I problemi sia per l’architettura che per il design in un certo senso sono uguali. In Italia prima o poi sarà necessario condurre un’analisi molto dettagliata della situazione. Nonostante si ha modo di pregiarsi della cultura e della grande creatività degli architetti e designer italiani, la qualità architettonica che esprimiamo è di bassissimo livello. Ciò che più manca è una realtà responsabile. In Italia l’eccellenza c’è ed è nelle industrie. Infatti, posso proprio dire che nel nostro Paese mi diverto molto di più come designer. Ma mi amareggia molto vedere quanto la situazione generale sia invece disastrosa e anche constatare quante poche persone se ne stiano rendendo conto. Continuiamo solo a parlarci addosso. Questo atteggiamento è oramai presente anche nelle nostre università. Dal 2006 insegna all’Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera Italiana. Che esperienza ne trae? L’università è uno dei grandi temi della società. Un paese che funziona deve avere tutte le strutture pubbliche funzionanti. In Italia, purtroppo, con un falso pensiero populista si è creduto che le università dovessero essere dei luoghi del non lavoro. Luoghi dove persone che non hanno il lavoro fanno gli assistenti e sono oltretutto non pagati. Il diritto allo studio non è da discutere, questo è certo, ma il diritto alla qualità dello studio è qualcosa su cui bisogna riflettere urgentemente e seriamente. Inoltre la percezione degli studenti è cambiata. Credono che chi fallisce nella società faccia il professore. La scuola purtroppo non è riuscita a dotarsi di una vera strategia di valutazione di merito. E purtroppo di gente ignorante e senza passione in architettura ve n’è già tanta. Quale sarebbe la soluzione secondo lei? La soluzione è una rigida selezione iniziale, attraverso la quale valutare correttamente le capacità e soprattutto la voglia di svolgere questo mestiere. Oggi nelle facoltà d’architettura si iscrivono studenti provenienti dalle scuole più disparate. Oltretutto, con la nuova impostazione demenziale del triennio, dalle università escono persone con una preparazione deficitaria e non approfondita. La formazione tecnica, almeno quella, sarebbe necessaria. Ce n’è da dire anche sugli Ordini degli Architetti e sull’esame di Stato che è obbligatorio sostenere per accedere al mondo della libera professione. Superano l’esame, spesso, persone che non lo meritano. Che tipo di rapporto si crea tra le industrie italiane e gli architetti/designer provenienti da altri paesi? L’architetto straniero è abituato a un’etica professionale diversa. Normalmente non discute neanche la parcella perché c’è un progect manager che lo fa per lui. In Italia invece durante l’incontro professionista-cliente succede di tutto e questo perché il cliente non è abituato a pagare la parcella. Funziona così anche in altri campi lavorativi? Questo stesso atteggiamento è presente anche nel settore dei lavori pubblici e ciò fa sì che ne risenta tutto il paese. In Italia vi sono molte leggi populiste che non tengono conto dei reali pro-


blemi urbanistici. L’ultima proposta di legge sulla casa personalmente non credo che verrà promulgata. Diversamente sarà la dimostrazione dell’incoerenza del nostro Paese. La qualità urbana e civile manca, qui da noi. Anche dal punto di vista burocratico e legale tutto è molto difficile. Chi agisce abusivamente e non chiede nulla risulta vincente e viene premiato oltretutto dai continui condoni. Esiste o no, secondo lei, una poetica del progettare? Un’attenta analisi del problema rivela che progettare non è una questione stilistica. Molti architetti cercano il modo d’essere riconoscibili. Ma per me non è mai stato così. Non è un caso che il processo sintetico all’inizio del mio lavoro è stato poco appagante. Negli anni Novanta non ero nessuno. Solo negli ultimi 15 anni è nato l’interesse verso il mio lavoro. Ma io sono nel campo da 40 anni. Per me ciò che conta è risolvere i problemi e non crearne. È doveroso ricordare che, nonostante sia famoso solo da 15 anni, come lei stesso afferma, di premi ne ha vinti molti. Che effetto fa vincere il Compasso d’Oro o entrare al Moma di New York piuttosto che al Beaubourg di Parigi e trovare esposte alcune delle sue opere? Sarebbe falso dire che in queste situazioni non si provi piacere. A volte si cerca di far finta di niente ma non sempre ci si riesce. All’estero diventa ancora più interessante perché vuol dire che si ha una riconoscibilità internazionale. Invece i premi per me non sono molto interessanti. Funzionano ad una certa età, ma poi negli anni acquistano valori diversi. Capita pure di non approvarli neanche più. Si crea una sorta di annacquamento e si comincia a pensare che il premio sia stato un errore. Ciò che ritengo un’ottima esperienza sono i riconoscimenti: ad esempio per un architetto milanese curare l’allestimento del Museo della Triennale, come io ho fatto, è un bel punto di arrivo. Nel bene e nel male l’orgoglio ovviamente esiste. La inorgoglirà dunque sapere che i suoi oggetti sono tra i più gettonati in rete. Questo invece è un problema serio. Personalmente ho trovato il mio nome brevettato in Cina. Hanno usato le mie fotografie e di seguito hanno aggiunto, senza alcuna soluzione di continuità, prodotti progettati da loro, creando così un equivoco. Si vendono online prodotti anonimi come se fossero appartenenti al mio marchio. È una situazione drammatica. Tutto il settore del copyright ha dei grossi problemi con il mondo web. Come si sta adattando il design ai cambiamenti economici mondiali? Il design si è già adattato. Fa parte del processo produttivo. Non sono più buoni i tempi per chi vuole stare fuori dal mercato. La seria differenza tra gli architetti degli anni Settanta e oggi è che un tempo nessuno copiava. Oggi è così ovunque. Anche lei, dunque, è d’accordo con chi sostiene che gran parte dei designer più che creare un nuovo design scimmiottino le linee pensate nel ventennio ’50-’70? Non ne faccio una questione morale. Ma per molti il processo mentale è cambiato. Non solo scimmiottano, ma copiano, e lo fanno in modo spudorato. È tutto un taglia e incolla. Probabilmente è un sistema, questo, che si apprende. Comunque vada, oramai, la copia è legata al processo economico e molte industrie purtroppo si sono adeguate.

Frank 01, B&B Italia, 2008 Flat 0025, B&B Italia, 2008

Spoon Table 02, Kartell, 2008 - Antonio Citterio con Toan Nguyen Flip 01, Kartell, 2006 - Antonio Citterio con Toan Nguyen


Fotografia

di REALTÀ URBANA 94 DESIGN +


Conosciuto e apprezzato sia in Italia che all’estero, Gabriele Basilico considera la fotografia una forma d’arte, aperta a tutte le interpretazioni. Con il suo lavoro partecipa alla misurazione e alla registrazione del mondo esterno. Segnalando i cambiamenti urbanistici e architettonici di Cristiana Zappoli

È

uno dei più noti fotografi italiani. Ha lavorato, nel corso del tempo, su diverse città: Milano, Beirut, San Franciso, Berlino, solo per citarne alcune. Primo e unico italiano a partecipare nel 1984 alla prestigiosa missione fotografica francese Datar, Gabriele Basilico vede nella sua professione di fotografo un momento di riflessione sul paesaggio urbano in continuo cambiamento. La sua ricerca va al di là dei confini della semplice fotografia documentaristica, è un punto di riferimento obbligato per quanti oggi si occupano di architettura e urbanistica. Ha scandagliato con il suo obiettivo gli aspetti più marginali delle città del mondo. Atavici e immutabili segni che il tempo delinea e imprime nelle periferie più marginali delle città assumono nei suoi scatti piena riconoscibilità di una testimonianza vera e diretta. Una percezione quasi tattile, che conferisce concretezza alle sue immagini sempre in bianco e nero. «Ho iniziato a fotografare con continuità durante gli studi universitari: facoltà di Architettura, Politecnico di Milano. Era la fine degli anni ‘70 e c’era molta attività politica e sociale dentro e DESIGN + 95


fuori l’università, nelle strade e nelle piazze. C’era quindi una naturale attrazione per il reportage, il cui ruolo si prestava per raccontare quello che succedeva». In quegli anni decide di affrontare l’architettura attraverso e dietro l’obiettivo di una macchina fotografica, cercando nei suoi lavori punti focali e impatti visivi utili per approfondire il dialogo sulla cultura progettuale. Cosa cerca di cogliere Gabriele Basilico quando si trova di fronte una nuova città? Cerco di conoscerla. Metaforicamente anche di possederla e confrontarla con altre città di cui ho fatto esperienza con la fotografia. Quasi come se volessi arricchire il mio archivio di foto urbane. Lei fotografa paesaggi industriali e aree urbane. Perché? L’attrazione per i luoghi industriali ha origine dalla fotografia degli anni Trenta, dal lavoro di autori come Albert RangerPatzsch e Charles Sheeler, ma soprattutto dal più recente lavoro dei coniugi Bernd e Hilla Becher. Devo aggiungere che l’interesse per i temi urbani ha avuto un grande sviluppo a partire dagli anni ‘80, non solo in urbanistica, ma anche in sociologia e nell’arte. Nel suo lavoro ha mai subito dei condizionamenti? Molto raramente. È successo forse nel passato, all’inizio della mia carriera. Ho accettato condizionamenti, poiché fa parte del mandato professionale. La fotografia documentaria e il suo linguaggio descrittivo sono ancora validi per raccontare la realtà delle nostre città? Anch’io sono sensibile all’evoluzione dei linguaggi che caratterizzano oggi la ricerca artistica sui temi urbani: non vedo opposizione e confini rigidi nell’ambito delle varie ricerche. Ciò no-

nostante, penso che il valore della fotografia documentaria, nella sua accezione più larga, sia imprescindibile, anche quando la sua specificità e potenzialità possono essere ridimensionate. L’opera d’arte si conforma sempre alla sensibilità di chi la osserva. Non teme che le sue foto possano essere interpretate e giudicate diversamente dalla loro idea creativa originaria? Al contrario, mi incuriosisce un punto di vista diverso dal mio, e anche uno stravolgimento totale del senso che il mio lavoro può avere. L’opera, in quanto arte, deve essere dialettica, e quindi aperta a tutte le interpretazioni possibili, anche se non sempre si può essere d’accordo. Attraverso le fotografie si possono vedere cose che nella realtà ci sfuggono? Diversi critici sostengono che la fotografia, fissando spesso una realtà complessa e inafferrabile, ci fa vedere molto di più di quello che vediamo con gli occhi. Questo fatto, oltre a un evidente valore simbolico, ne ha anche uno tecnico-linguistico. Lei ha fotografato Beirut nel 1991 e successivamente nel 2003. Come ha evidenziato il cambiamento della città 12 anni dopo? Questo lavoro corrispondeva all’incarico della rivista DOMUS. Mi era stato chiesto di utilizzare gli stessi esatti punti di vista di alcune fotografie del 1991, scattate alla fine della guerra, per poi impaginare la coppia di foto (1991 e 2003) vis a vis, ed evidenziare così la differenza. Un sistema abbastanza interessante e convincente, più volte usato in passato da fotografi ed editori per rappresentare la modificazione dei luoghi nel tempo.


Fotografia

Nelle pagine precedenti, in apertura: “San Francisco: downtown”. A fianco: “Beirut nel 2003: dopo la ricostruzione, fotografata dalla tangenziale RING”. A sinistra: “Mosca, scorcio del MID”. Nella pagina a fianco, in alto: “Moscow City, New Town lungo la Moscova” e “Hotel UKRAINA lungo la Moscova”. In basso: “Napoli: veduta del Vesuvio dal Centro Direzionale” e “Napoli: via Medina fotografata dal Jolly Hotel”. Nella pagina successiva, da sinistra a destra: “Barcelona: area del Forum” e “Milano: via Sammartini”.

DESIGN + 97


È importante per lei affermare l’intenzionalità estetica dei suoi lavori fotografici? È un atteggiamento non necessariamente dichiarato, che avviene spontaneamente nell’esercizio del mio lavoro, attraverso alcune regole e comportamenti che ho assunto nel tempo. Secondo lei le Istituzioni in questi ultimi anni hanno migliorato o penalizzato il paesaggio urbano delle nostre città? A mio avviso, ci sono paesi come l’Olanda dove architettura e paesaggio sono espressione di un’antica cultura urbanistica e capacità progettuale, e paesi come la Spagna dove negli ultimi 20 anni si è sviluppata una vivacissima cultura e attenzione per l’urbano di alto livello. Purtroppo in Italia, e a Milano, città in cui vivo, mi sembra che siamo ancora lontani da questi traguardi. Che cosa stimola il suo sguardo quando osserva uno spazio urbano? Principalmente è il riconoscimento di un luogo che appartiene alla tipologia urbana e fotografica, cioè alla sua interpretazione visiva, di cui ho precedentemente fatto esperienza in altre città. Inoltre ci sono altre suggestioni tipiche della cultura e della poetica della fotografia, come per esempio la luce, che è in grado di rivelare ciò che spesso non è immediatamente percepibile. E infine il nuovo, il non prevedibile, il disatteso. Durante i servizi fotografici segue un percorso di lavoro programmato o si lascia guidare dalle sensazioni e percezioni del momento? I miei temi di fondo sono città e paesaggio. Non è mai successo che abbia iniziato un lavoro senza avere un progetto, ad esempio un itinerario, una documentazione per tipologie, un confronto tra luoghi specifici. Detto questo, le scoperte del momento e quello che può accadere di imprevisto durante lo svolgimento di una campagna fotografica è molto interessante, ed è quasi un evento atteso, poiché so che ciò può fare la differenza. Che rapporto intercorre oggi tra l’antico e il moderno, nelle principali città italiane? Dipende molto dalle città. Tra quelle che ho fotografato, Mantova è una città che a causa del lago che la circonda, ha una periferia separata dal centro. Milano è una città moderna, all’interno del cui corpo si possono trovare frammenti isolati di storia del passato. Città con una grande storia urbana come Firenze e Roma, ad esempio, forse vivono diversamente il rapporto con il moderno, ma soprattutto con la periferia: drammatico a Firenze, in quanto passaggio contiguo e violento, molto più articolato a Roma, città che sa far convivere storia e modernità. Centro e periferia, sono mondi ancora molto lontani tra loro? Secondo gli urbanisti contemporanei le nozioni di centro e di periferia sono superate. Spesso nuovi simil-centri-urbani si svi98 DESIGN +

luppano all’interno delle periferie stesse, stravolgendone i rapporti tradizionali. In ogni caso il concetto di città diffusa, di Scattered City, ha trasformato e sconvolto l’immagine della topografia urbana di moltissimi luoghi del mondo. In una intervista lei ha detto che le città del mondo sono in pieno e inarrestabile sviluppo, quindi bisogna guardarle con una nuova sensibilità e un nuovo sguardo. In che senso? Penso che dalla metà degli anni ‘80 la fotografia abbia partecipato in modo sempre più definito alla registrazione e alla misurazione del mondo esterno. Gli urbanisti, a partire dalla celebre esperienza della Mission Photographique de la Datar, si sono accorti, a fronte della difficoltà di comprendere e reagire alle trasformazioni territoriali di fine secolo, che lo sguardo fotografico poteva aiutare a comprendere meglio il fenomeno, accettandone una lettura poetica, artistica, anche se non scientifica. Il mio lavoro fin dalle prime esperienze, ha condiviso questa avventura, cercando nel tempo un’accettazione del paesaggio e non una sua opposizione critica, per comprenderne in un modo più efficace la natura. Ha fotografato tantissime città: Milano, Amburgo, Beirut, Montecarlo, San Francisco, Berlino, Roma, Bologna. Qual è la realtà urbana che maggiormente l’ha colpita? Beirut sopra tutte evidentemente, per il dramma della guerra civile. Berlino per la sua ossessione per la modernità e la trasformazione continua. Milano perché è la mia città e le sono affezionato. Montecarlo perché è una grottesca Manhattan in miniatura. San Francisco perché è bellissima e perché è “on the road”. E Roma non smetterei mai di fotografarla. Dopo tantissimi anni di servizi fotografici spera di poter scoprire qualcosa di nuovo dietro l’architettura di una città? Se non fosse così sarebbe deludente: per me il rapporto con la città è un rapporto dialettico. Cerco qualcosa che so già di trovare, ma contemporaneamente mi aspetto di essere sorpreso. Le città non esisterebbero senza i loro abitanti. Perché la presenza umana è quasi sempre assente nei suoi lavori? In una sintesi forse un po’ troppo schematica, le opzioni possibili per fotografare una città sono due: con o senza persone. Io fin dalle origini ho scelto la prima, forse perché mi sono identificato in quella parte di esperienza visiva che appartiene alla storia della fotografia che dalle origini, passando per Atget, ci porta fino ai Becher, laddove l’oggetto, l’architettura, e lo spazio, nella loro assoluta solitudine, sono magnificamente sufficienti a trasmetterci informazioni oggettive e poetiche sulla loro identità. I luoghi animati dalla presenza delle persone sono altrettanto interessanti, ma personalmente sono abituato a percepire lo spazio in modo congruo ed essenziale quando è vuoto. Solo così riesce a comunicarmi l’energia e la forma potenziale che è in grado di esprimere.


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Made in Italy

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E

DI CREATIVITÀ

In passato hanno disegnato per lei, Colombini, Rosselli, Gardella, Colombo. Oggi, invece, Starck, Lissoni, Citterio, Urquiola. La Kartell festeggia i suoi primi sessant’anni. All’insegna dell’anticonformismo e dell’innovazione di Silvia Di Persio

l’uomo creò la materia. Sintetizzata di volta in volta e negli anni nelle forme di polipropilene, polistirene, polietilene, resine acriliche, PVC e policarbonati. Poi fu l’idea. Un’idea di applicazione funzionale delle conoscenze acquisite: «produrre oggetti che avessero caratteristiche innovative, intese come applicazione di nuove tecnologie produttive, rivolte all’economia del materiale e all’efficienza del processo». È con questo proposito che Giulio Castelli, ingegnere chimico milanese, fonda nel 1948 l’azienda Kartell e da allora a oggi l’idea all'origine continua a concretizzarsi grazie alla collaborazione di grandi nomi del design mondiale e alla ricerca tecnologica continua. Oggi festeggiamo i 60 anni del mito Kartell ripercorrendo la storia di un’azienda italiana leader nel settore del design industriale attraverso gli innumerevoli volti che il materiale di sintesi nei suoi caratteri sempre diversi ha assunto nel tempo e attraverso i volti di un’imprenditoria illuminata di cui lo stesso Castelli è stato rappresentante. Perché Kartell nasce nel 1948, periodo di razionalismo civile e visionario. Il connubio virtuoso tra industria e scienze umane si può fare. Il credo etico può fecondare il processo industriale. Sono moltissimi i casi in cui l’imprenditorialità è vocazione positivistica: mettere l’uomo con le sue esigenze ideali e pratiche al centro della struttura produttiva. Non stupisce allora che in questo clima, insieme all'azienda Kar-

tell, si vada sviluppando un sistema imprenditoriale di cooperazione creativa che una decina di anni dopo, nel 1956, con Giulio Castelli come fondatore insieme ad altri e presidente, assumerà le forme dell’ADI, Associazione per il Disegno Industriale. Come racconterà in un’intervista l’ing. Castelli, il desiderio di condividere idee e opinioni è alla base di questa esperienza che, agli inizi, raccoglieva in riunioni serali informali tutte le forze che lavoravano attorno a un progetto industriale. Imprenditori, architetti, grafici e critici riuniti per discutere i problemi del design industriale. E accadeva che durante una serata informale in uno scantinato di Giò Ponti, Guido Gerosa spiegasse il progetto della 500. Intanto lo sviluppo della ricerca nel campo dei polimeri sintetici prosegue. Qualche anno prima, l’11 marzo 1954 Giulio Natta, direttore dell‘Istituto di chimica industriale del Politecnico di Milano di cui Castelli era stato allievo, poteva annotare sulla sua agenda «Fatto il polipropilene», riferendo così di quella scoperta che nel 1963 gli sarebbe valso il premio Nobel per la chimica. E intanto anche il mondo della progettazione artistica raccoglie la riflessione sugli stessi materiali di sintesi con le sperimentazioni di Bruno Munari sugli strati di cellofan colorati e piegati o con le composizioni di rhodoid graffiato, cloruro di polivinile bruciato, celluloide e retino grafico, in una riflessione continua sul materiale e sulle sue infinite possibilità di applicazione multimediale.

1964

SPREMILIMONI

SEGGIOLINA PARTNER OFFICE

1968

60 ANNI SEMPRE AL TOP

1957

100 DESIGN +

SEDIA SOVRAPPONIBILE


Lampada da tavolo Buorgie. Una rivisitazione di un classico: la lampada barocca. La rivoluzionaria innovazione di questa lampada è quella di essere realizzata interamente in policarbonato trasparente o colorato in massa

1969

COMPONIBILI TONDI

1975

COMPONIBILE POLVARA

1986

SEDIA SOVRAPPONIBILE DESIGN + 101


Nella foto a sinistra: Anna Castelli Ferrieri (1920 - 2006), architetto e designer. Dal 1966, inizia a collaborare con Kartell, l’azienda fondata dal marito Giulio Castelli (1920 - 2006), nella foto a destra. Sarà lui a chiamare grandi nomi come Castiglioni, Aulenti, Colombo, Zanuso, Sapper

Il prodotto con cui Kartell esordisce sul mercato è una risposta funzionale a uno dei riti della società italiana degli anni ’50 con il progetto del Portasci a opera dei designer Carlo Barassi e Roberto Menghi su brevetto Pirelli. Ma l’idea che si va affermando nell'Italia di questo periodo è che ogni giorno deve avere la sua comodità. Kartell raccoglie la sfida e sposta la sua produzione dall’ambito extraquotidiano del tempo libero a quello casalingo della vita di tutti i giorni, con la creazione degli oggetti più rappresentativi del marchio in questi anni. Il principale artefice di questa fase è il designer Gino Colombini responsabile dell'ufficio tecnico di Kartell. È grazie al suo progetto di Secchio in polietilene con coperchio che nel 1955 l’azienda si aggiudica il “Compasso d’oro”, primo di una lunga serie di riconoscimenti analoghi. Robustezza ed essenzialità delle sezioni e riconoscimento della libertà di gusto che lo stampo plastico presume, alla base della premiazione. In questi anni ’50, il connubio tra Kartell e innovazione modella i principali prodotti casalinghi in uso, tracciando allo stesso tempo le coordinate per gli oggetti futuri. La plastica entra nelle case degli italiani sottoforma di alzaimmondizie con manico in polistirolo antiurto o come spremilimoni KS1481. Alla soglia degli anni '60 l’azienda può ormai identificarsi con una conoscenza approfondita della grande versatilità d’uso del materiale plastico ed esplorarne le potenzialità in modo diversi-

ficato. Tutti i presupposti per uno sviluppo autonomo delle diverse istanze della ricerca Kartell sono maturi e l’azienda inizia il suo progressivo allontanamento dal settore del prodotto domestico d’uso comune per avvicinarsi ad altre soluzioni. Nascono allora il settore illuminazione che verrà inglobato dal settore HABITAT, dedicato ai mobili, ai complementi d’arredo e all’illuminazione e quello dedicato ai materiali da laboratorio LABWARE. Simbolo della maturità tecnologica di Kartell e archetipo del dominio modulare del periodo è la seduta sovrapponibile 4867- Universale di Joe Colombo del 1968, sedia ottenuta con la tecnica dello stampaggio a iniezione fino ad allora utilizzata nell’industria automobilistica, mentre Anna Castelli Ferrieri (scomparsa come Giulio Castelli nel 2006), architetto, industrial designer, moglie inseparabile e collaboratrice di Giulio Castelli che tanto influenzò l’orientamento sperimentale di Kartell, progetta i mobili modulari e le fioriere sulla base delle nuove necessità di movimento della società di massa. «Il nostro credo - affermava in un’intervista Anna Castelli Ferrieri - era quello di arrivare a liberare la gente dal bisogno e dalla fatica attraverso il razionalismo, attraverso la produzione industriale di massa». E questa stessa etica dell’oggetto d’uso quotidiano continuerà a permeare la produzione Kartell anche nei successivi anni '70, periodo in cui è la designer milanese a utilizzare la nuova tecnica di annegamento di inserti metallici nel mate-

1993

1994

SEDIA DR GLOB

CASSETTIERE MOBIL

LIBRERIA BOOK WORM

60 ANNI SEMPRE AL TOP

1988

102 DESIGN +


Sopra: una foto scattata durante la mostra “La Donation Kartell”. Da sinistra: Guido Borona, Ron Arad, Ferruccio Laviani, Claudio Luti, Alberto Meda, Vico Magistretti, Anna Castelli Ferrieri, Achille Castiglioni, Giulio Castelli e Roberto Picazio. A destra Claudio Luti, Presidente di Kartell

riale plastico per i suoi sgabelli, mentre sulla scia dello stesso concetto etico-pratico, l’azienda si avvale di Centrokappa nel 1979 per la progettazione del Sistema Scuola, un sistema di elementi di arredo allo stesso tempo didattici e di gioco composto da sedute, panche e tavoli corredati da una serie di accessori, da comporre e scomporre tramite grandi viti e un cacciavite-gioco. Arrivano gli anni ’80 quando tutto sembra sia stato fatto e tutto rimane da consumare. Un’epoca si è chiusa. Giulio Castelli passa il testimone a Claudio Luti, già amministratore delegato di Versace, che diventa presidente e proprietario dell'azienda. Inizia la seconda vita di Kartell che decide di raccontare agli altri e a se stessa tutti i decenni della propria storia. Nasce così la mostra Kartell 1949 – 1983. Progetti per il presente. Il marchio esorcizza la crisi dello spartiacque generazionale ed esce dalla riflessione su se stesso rafforzato nella sua identità attuale e pronto a raccogliere nuove sfide. Tutte le proprietà strutturali dei materiali sono state svelate ma il mercato pone nuove domande, altri materiali vengono sintetizzati e l’azienda, facendo proprie le esigenze sensoriali che da quel momento in poi costituiranno una richiesta costante nel campo del design, continua a sperimentare. Kartell gioca con le leggerezze e con gli spessori. Sperimenta le nuove colorazioni e coniuga la plastica con altri materiali come il legno, l’alluminio e l’acciaio. Luti si avvale della collaborazione di designer di fama internazionale, Phi-

1996

SEDIA GIREVOLE MAURI

lippe Starck, Vico Magistretti, Ferruccio Laviani, Antonio Citterio e Ron Arad tra gli altri. Nel 1999 nasce la sedia La Marie, primo prodotto d’arredo in policarbonato al mondo, antesignana dello studio sulla trasparenza che caratterizzerà questi anni 2000 insieme alla nuova interlocuzione con il mondo della moda, fucina di ricerca e di creatività dei nostri giorni. È del 2007 il progetto Mademoiselle à la mode con un’idea che coniuga l'identità dell'oggetto di design con la stagionalità e la mutevolezza delle mode. Ne è protagonista la poltroncina disegnata da Philippe Starck che viene “vestita” dai principali fashion brand italiani e internazionali quali Valentino, Dolce & Gabbana, Missoni, Moschino, Burberry, Etro, Gaultier e Lacroix. Ma Kartell non si accontenta di vestire le sue creazioni e nel 2008 lancia le “Glue Cinderella”, una collezione di ballerine in plastica che, anche in questo caso, partendo dalla ricerca dell'azienda nel mondo dei materiali plastici, si avvale del sofisticato design di Normaluisa. Chi desideri rivisitare la storia di questa grande azienda potrà farlo attraverso lo sguardo di protagonisti del mondo della fotografia, dell'arte contemporanea e della letteratura come Helmut Newton, David LaChapelle, Peter Lindbergh, Fabrizio Ferri, Bruce Weber, Maurizio Cattelan e Vanessa Beecroft, i quali nelle pagine del libro in edizione speciale edito da Skira Editore “karARTell”, hanno reinterpretato più di 150 oggetti del marchio.

1999

SEDIA LA MARIE

2000

POLTRONA BUBBLE CLUB DESIGN + 103


S P E C I A L E C E R A M I C A

La ceramica: nuove frontiere Nonostante la crisi economica, le aziende del settore ceramico investono in tecnologia e design. Nuove tecnologie per la decorazione e una particolare attenzione al tema della sostenibilità potrebbero rilanciare il settore di Giò Cirillo L’intero settore produttivo della ceramica per l’architettura è stato negli ultimi anni investito da una volontà di rinnovamento per competere in un mercato ormai consolidato e farsi strada cercando nuove nicchie inesplorate. Oggi il mercato produttivo offre un prodotto dalle elevate tecnologie per rispondere alle funzioni richieste, associando soprattutto ad esse un alto grado di personalizzazione. Soprattutto i materiali ceramici seguono la tendenza a sperimentare nuove tecnologie che, permettendo di mantenere relativamente bassi i costi, sono in grado di produrre elementi mirati a soddisfare la clientela. «Utilizzati da sempre come materiali da rivestimento, oggi i prodotti ceramici sono considerati dei componenti tecnologici il cui valore va al di là della semplice funzione. Importante è

stata la loro evoluzione negli ultimi anni. Fino alla presentazione di prodotti sempre più sofisticati, come i gres porcellanati, che per certi aspetti ricordano le pietre naturali, ma che hanno caratteristiche molto più resistenti. Dalla casa ai supermercati, dagli aeroporti ai locali pubblici, il settore della ceramica si è ampliato molto», ci spiega Alfonso Panzani, Presidente di Confindustria Ceramica. E nonostante il settore della ceramica Made in Italy sia stato colpito dalla crisi internazionale e abbia chiuso il 2008 con un calo sia nelle quantità prodotte (-6,4%, ferme a 523 milioni di mq) sia nelle vendite, che si contraggono del 6,7%, le operazioni di rianimazione stanno dando i loro frutti. «Le strategie messe in campo - continua Alfonso Panzani - sono diSopra: Alfredo Panzani, Presidente di Confindustriaceramiche. A sinistra: Metropolitana di Atene (Grecia). Progetto: I.S.A.P.S.A. - Risos Athanase Civil Ingenieur. Materiali: percorsi per non vedenti LOGES. Pavimenti: linea Granitogres serie Granito 1 colore Ontario (formato 30x30)

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verse. Innanzitutto noi non vendiamo una commodity, ma un prodotto legato ai servizi. Un servizio di tipo commerciale che i nostri concorrenti non offrono. Noi normalmente consegniamo un piccolo bagno anche in Paesi molto lontani. Pertanto operiamo in 150 nazioni diverse nel mondo e offriamo un servizio improponibile per altre industrie straniere. Stiamo svolgendo una politica di investimenti e contemporaneamente stiamo cercando di internazionalizzare l’attività produttiva nei Paesi dove lo sviluppo è più elevato, come Stati Uniti, Russia, Spagna, Francia, Germania. Importante, infatti, in questo momento, è puntare sull’innovazione, sulla ricerca». La strada dell’innovazione in questo settore, infatti, si è sviluppata verso la ricerca di nuovi processi produttivi e di elevati risultati, cercando di rispondere alla richiesta di flessibilità e alta produttività che il mercato impone. I principali filoni di questa ricerca riguardano l’aspetto estetico e quello sostenibile, applicato soprattutto al ciclo di produzione del materiale e alla riduzione dell’impatto degli scarti delle lavorazioni. Ogni tipo di materiale ceramico ha, però, un diverso modo di raccogliere la sfida dell’innovazione: le ceramiche e il gres porcellanato si prestano soprattutto alla personalizzazione superficiale, decorativa e dimensionale, coniugando gli aspetti tecnologici con gli ultimi sviluppi delle ricerche legate all’estetica e alla capacità di veicolare valore. Spiega il Presidente Panzani: «Da sempre investiamo tra il 5 e 7 per cento del nostro fatturato in nuovi impianti, processi produttivi, macchine, design. Puntiamo


A destra: Aeroporto di Fiumicino a Roma. Pavimentazione di 16.000 mq su due piani realizzata in gres porcellanato 615L levigato 60x60 cm. Sotto: Palazzo del ghiaccio Loefbergs Lila Arena, (Svezia). Pavimentazioni interne e rivestimenti: soluzione a scacchiera a 45° con piastrelle lucide e opache a tre colori. L'effetto è di notevole luminosità e spazialità. Prodotto: Granitogres serie Granito 3, Budapest - serie Marte, Raggio di Luna, Nero Acapulco. Design: Bergfjord / Ivarsson Arkitekter AB

su tutto ciò che è innovazione. Per noi essere innovativi è sempre stato l’unico modo conosciuto per rimanere leader nel mondo. Quindi anche in un momento di grande difficoltà come questo le aziende stanno investendo forse anche di più rispetto a quello che normalmente fanno. Intanto è fondamentale ricordare che i grandi processi produttivi sono nati e si sono sviluppati a Sassuolo, mentre gli altri Paesi fino ad oggi hanno sempre guardato con interesse a quello che succedeva qui da noi». Il nuovo input verso l’innovazione vede, inoltre, una forte contaminazione tra le discipline del design e la ricerca della qualità estetica. Strettamente

legato al marketing di prodotto, questo ambito di innovazione vede la piastrella ceramica non più come un semplice elemento funzionale per rispondere a una necessità (quella di rivestire) ma quale oggetto con nuovi connotati e significati, quasi un oggetto d’arte da ammirare. Sempre più, infatti, designer, artisti e progettisti sono chiamati dalle aziende produttrici per ideare nuove superfici, lavorando insieme per realizzare vere opere d’arte. Chiara è ormai la volontà di perseguire la massima personalizzazione del prodotto, che si pone sempre più come protagonista e non come semplice componente di un’ambientazione. «Le

strade per l’innovazione nel settore ceramico riguardano principalmente il filone estetico e quello prestazionale. Noi cerchiamo di coniugare le due cose. Con il gres porcellanato, ad esempio, siamo riusciti a coniugare un prodotto che è all’avanguardia per i requisiti tecnici a soluzioni estetiche assolutamente straordinarie e di forte impatto». La ricerca di valorizzazione del prodotto si ottiene grazie all’impiego di nuovi macchinari, tecnologicamente sempre più avanzati. Grazie a queste applicazioni si possono ottenere oggi nuove decorazioni e textures. Tra queste, quelle più diffuse sono, per esempio, la serigrafia e la calcografia a contatto, che permettono la decorazione e l’applicazione di disegni sulla superficie ceramica. La serigrafia (procedimento di stampa che permette di creare decori su un supporto mediante passaggio di inchiostro attraverso la trama di un tessuto) nel campo della ceramica utilizza una tecnologia analoga a quella della serigrafia classica, ma al posto degli inchiostri vengono utilizzati gli smalti. Molto interessante, inoltre, risulta essere una recente modalità di decorazione: la fotoceramica. Tecnica, questa, legata allo sviluppo di un innovativo processo di riproduzione mediante la quale è possibile trasferire sul supporto ceramico (o vetro) un’immagine, a colori o in bianco e nero con qualità ad altissima definizione. Un altro settore di ricerca nel comparto della ceramica riguarda l’aspetto della sostenibilità. «Noi produciamo con delle tecnologie - conclude Alfonso Panzani che hanno portato grandissimi risparmi energetici. Siamo considerati i primi nel nostro campo. Nel settore della casa stiamo cercando di ottenere dei risultati che possano permettere di risparmiare energia, come per esempio pareti ventilate per creare delle condizioni migliori di risparmio o anche piastrelle che servono per produrre energia». In quest’ambito molte aziende si sono impegnate per migliorare la produzione e rispondere alla richiesta sempre più pressante di certificazioni e attestati che verifichino il rispetto della normativa europea o la conformità a standard di qualità bioecologica.

DESIGN + 105


S P E C I A L E C E R A M I C A

Progresso e tecnologia Usati da sempre, i materiali ceramici sono considerati oggi dei componenti tecnologici attivi nella realizzazione dell’involucro architettonico. Diventando oggetto di studio e ricerca. Ne parliamo con Goffredo De Portu di Roberto Sanna La ceramica. Cosa evoca questo termine? L’immagine più ovvia è quella di grandi pavimenti colorati. Il desiderio di dilatare lo spazio. Di uniformare l’ambiente o differenziarne le funzioni. Caratterizzare con luce e colore ciò che ci sta intorno. In poche parole dare un’identità ad uno spazio. Ma volendo andare oltre la prima evocazione della ceramica, allora se ne apprezza il suo aspetto materico: un composto inorganico, non metallico, rigido, fragile e molto duttile. Frugando nella storia la troviamo sotto varie vesti: vasellami, sculture, rivestimenti, elementi da costruzione. Una sfilza di prodotti formati di terra, foggiati a mano e poi cotti. È l’acqua che vi conferisce plasticità, le mani dell’uomo la plasmano e il fuoco con il calore e la secchezza la blocca per sempre nella forma prestabilita. È una materia che nelle sue diverse forme e potenzialità catalizza l’attenzione e finisce per armonizzare tutto ciò che le sta intorno. «Quando si parla di ceramica oggi giorno non si deve pensare all’immagine tradizionale legata alla stoviglieria o alle costruzioni ma a scenari che 106 DESIGN +

includono orizzonti estremamente vasti per quanto attiene il suo impiego», ci spiega Goffredo De Portu, direttore dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISTEC-CNR). L’Istituto, con sede principale a Faenza, vanta la forza di Laboratori Scientifici, idonei allo studio delle proprietà dei materiali, e Laboratori Tecnologici, relativi allo studio del processo di fabbricazione dei materiali. Domanda. Direttore, quali sono le peculiarità più salienti della ceramica? R isposta. La ceramica è un materiale estremamente interessante. Possiede caratteristiche fisico-chimiche e meccaniche

Goffredo De Portu

uniche. Esibisce una notevole inerzia chimica, una bassa densità, elevata rigidità (modulo elastico), durezza e resistenza all'usura. Oltre a ciò possiede una rimarchevole resistenza meccanica ad alte temperature. Tutto ciò le permette di operare in ambienti ostili, proibitivi per altri materiali. Tuttavia queste eccellenti proprietà vengono condizionate dalla fragilità che contraddistingue questo materiale. Questa limitazione intrinseca si esplicita in una bassa tenacità che ne limita in qualche modo le applicazioni strutturali. Tuttavia, grazie all’intensa attività di ricerca internazionale a cui l’ISTEC ha dato un suo contributo, è cresciuta la consapevolezza che i materiali ceramici possono svolgere un ruolo anche in settori fino a poco tempo fa neppure immaginati. Di conseguenza alcune barriere tecnologiche connesse alle limitazioni sopra descritte stanno per essere superate. D. La ceramica è un materiale versatile nelle sue applicazioni? R . Se guardiamo alle vaste potenziali applicazioni possiamo senz'altro dire di sì.


Applicazioni che spaziano in svariati settori: l'ingegneria strutturale delle alte temperature, il biomedicale, l'energetica, l'elettronica, l'edilizia tradizionale e quella bio-sostenibile, l'opto-elettronica, le telecomunicazioni arrivando fino alla salvaguardia del patrimonio culturale. D. Qual è l’uso più innovativo nell’architettura? R . Ci sono prodotti ceramici innovativi, le cui potenzialità ancora non sono state pienamente sfruttate in architettura. Si tratta di pannelli ceramici e di piastrelle ceramiche multifunzionali. I pannelli possono raggiungere i 360x120 cm con soli 3 mm di spessore. Si ha così un basso peso per metro quadrato e una flessibilità prima d’ora impensabili per rivestimenti ceramici. Le applicazioni di questi pannelli sono attualmente nelle pareti ventilate, rivestimenti di superfici curve (es. gallerie, stazioni metro), nell’arredo interno (porte, piani tavola e cucina, ecc.) ma si è tuttora alla fase esplorativa delle possibilità d’impiego. Le piastrelle multifunzionali invece abbinano le caratteristiche tecniche ed estetiche di eccellenza del gres porcellanato con funzionalità assolutamente innovative, quali ad esempio qualità antibatteriche e autopulenti, fosforescenza, e conducibilità elettrica per evitare cariche elettrostatiche. Si stanno sviluppando anche piastrelle fotocatalitiche e sensibili alle condizioni ambientali. D. Quanto è importante la ricerca in questo settore? E soprattutto, le aziende italiane sono al passo con la ricerca? R . Questo è un punto delicato. Anche in questo campo, come per la ricerca in generale, il livello cronicamente basso delle risorse disponibili sia finanziarie che umane fa sentire il suo peso. Tuttavia l’ISTEC, grazie alla sua capacità di coniugare scienza di base e tecnologia, riesce ad avere un discreto rapporto con Istituzioni scientifiche ed imprese. Proprio per questa sua particolare posizione nel panorama scientifico nazionale ed internazionale, l’ISTEC si è rafforzato in un ruolo reso quanto mai attuale dalle recenti necessità di collocare la ricerca sul mercato. La ricerca, sia quella di carattere più tecnologico che quella fondamentale, sono en-

trambe di estrema importanza. Infatti mentre la prima si propone di trasferire conoscenze indispensabili per dare risposte alle attuali richieste avanzate dalla società, la seconda è lo strumento principale per accumulare un patrimonio di conoscenze in grado di dare, in futuro, risposte alle domande che verranno, o che ancora oggi non sono state formulate, e che è compito della ricerca stimolare. Le aziende italiane si rendono conto che competere con i paesi emergenti soltanto in termini di costi di produzione è impossibile. Quindi accanto a una ricerca sui processi produttivi (che è di tipo incrementale) indirizzata in particolare alla riduzione di tali costi, si affianca oggi una sensibilità verso l’importanza di creare nuovi prodotti sia ad alto contenuto tecnologico sia con particolare appeal estetico e funzionale. Progredire in entrambe le direzioni è l’unico modo per mantenere la posizione di leadership nel mercato internazionale. D. Le aziende produttrici rispettano le normative europee e gli standard di qualità bioecologica? R . La produzione ceramica italiana rispetta le normative nazionali ed europee tanto di carattere tecnico quanto di qualità bioecologica. Non è un caso che sia stata proprio l’industria italiana a fare da battistrada nello sviluppo e applicazione di codici di salvaguardia ambientale. Tutti i produttori del distretto emiliano-romagnolo si attengono alle linee guida di sostenibilità ambientale, adottando le BAT (Best Available Technologies) e alcuni ottenendo marchi di valore ecologico (es. Ecolabel). Questo è un traguardo che i paesi concorrenti, anche nell’ambito dell’UE, ancora debbono raggiungere.

D. Qual è il rapporto tra la ceramica e il risparmio energetico? R . Bisogna considerare che l’industria della ceramica è uno dei più grandi consumatori di energia in Europa, con costi energetici che contribuiscono ad oltre il 30 % sui totali di produzione. Gli sforzi attuali sono indirizzati verso la messa a punto di tecnologie e metodologie ad elevata efficienza energetica per una significativa riduzione sia in termini di costi specifici che delle emissioni inquinanti nell’intera filiera di produzione. In verità significativi risparmi energetici e una migliore qualità di vita possono essere conseguiti se i materiali da costruzione sono progettati, prodotti e messi in opera in modo appropriato relativamente alla loro capacità di trasmettere il calore. In questo ambito molto si sta facendo nella progettazione e trasferimento alle aziende di materiali innovativi idonei al rispetto di quelle direttive europee (ad esempio la 2002/91/EU) che fissano i limiti nei consumi energetici. D. I superconduttori ceramici. È possibile darne una semplice definizione? R . Quando la corrente attraversa un conduttore parte di essa viene dissipata sotto forma di calore (effetto Joule). I superconduttori sono materiali che permettono

Nella pagina a fianco, in alto: Condominium Trnovski Pristan, Ljubljana in Slovenia, realizzato dallo studio Sadar Vuga Arhitekti. La facciata del condominio è rivestita da pixel di piastrelle di ceramica multicolore in maggioranza gialle. A destra: uno dei mosaici ceramici del Giardino del Gigante a Cento, progettato da Marco Pellizzola. Per ogni metro quadrato di superficie sono stati utilizzati centinaia di frammenti ceramici. In totale sono stati adoperati alcuni miliardi di tessere

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S P E C I A L E C E R A M I C A la trasmissione di corrente elettrica senza dissipazione esibendo una resistenza pressoché nulla. Tuttavia questo fenomeno si manifesta a temperature estremamente basse. Pertanto i materiali superconduttori devono essere raffreddati utilizzando gas in forma liquida quale l’elio o l’azoto Alcuni anni fa è stata verificata la capacità dei materiali ceramici di condurre corrente senza rilevanti fenomeni di dissipazione fino a temperature di oltre 120 K (-153 °C). Questi vengono definiti superconduttori ad alta temperatura critica (TC). Si può facilmente intuire che potendo, in questo caso, utilizzare l’azoto liquido quale refrigerante, i costi di utilizzo di tali materiali si riducono drasticamente così come le complicazioni di carattere tecnologico. D. Le nuove tecnologie laser usate per creare pattern decorativi hanno contribuito al rilancio della ceramica come rive- Sopra: l’esterno della Stazione ferroviaria di Modena. Pavimentazione in gres porcellanato stimento nell’edilizia? R . L’adozione del laser nella lavorazione della serie "Modigliani". Per le caratteristiche può essere utilizzato in superficiale, nella decorazione e in generale tecniche il prodotto commerciali, alberghi, (centri interni ambienti nell’arricchimento e raffinazione estetica di (terrazzi, balconi) esterni ed pubblici) locali materiali ceramici sta diventando una tecnologia sempre più diffusa. Il laser per- Sotto: l’allestimento “Corte” progettato da mette di operare con accurata precisione e Ilaria Marelli in occasione di Pitti Immagine con grande flessibilità e velocità di esecu- 2008. Caratteristiche sono le pareti dai decori zione cambiamenti di colore e combina- figurativi che riproducono gli azulejos di zioni cromatiche innovative ed asporta- Lisbona, ceramiche figurate con scene di zione selettiva di parte dello spessore campagna, figure mitologiche, archi e portali

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superficiale. Quindi, rispetto alle tecnologie più tradizionali di decorazione della ceramica, un sistema di decorazione e di lavorazione superficiale integrato nella linea produttiva consente di soddisfare le esigenze dell’industria della ceramica implementando l’affidabilità, la produttività e la continuità del processo. Permette inoltre, di ottenere soluzioni cromatiche ed effetti estetici innovativi che contribuiscono alla realizzazione e commercializzazione di prodotti ad elevato valore aggiunto in grado di salvaguardare fette importanti dei mercati internazionali. D. La garanzia di qualità di un prodotto ceramico è legata alla tecnologia e al design? R . Tecnologia e design sono conditio sine qua non per produrre ceramica di eccellenza. Ma la garanzia di qualità sta nel sistema integrato di controllo del prodotto e del processo che viene attuato dalle imprese italiane attraverso le certificazioni ISO 9000 e 14000, dai marchi di qualità e dalle dichiarazioni di conformità alla normativa vigente. Si tratta di un quadro in evoluzione, per cui la garanzia di ALTA qualità sta nella capacità dell’impresa di guardare avanti e affrontare le nuove sfide del mercato investendo nella ricerca e nell’innovazione tecnologica e di design. D. Il prodotto ceramico italiano ha mercato all’estero? R . La produzione ceramica italiana vanta un’autentica leadership mondiale in fatto di creatività e innovazione tecnologica, comprovata da una percentuale di export che supera il 70% tanto per le piastrelle quanto per le macchine e attrezzature per ceramica. Questo risultato – reso possibile proprio grazie al felice connubio fra industria ceramica (produttrice di piastrelle) e industria meccanica (produttrice di macchinari) – è ancor più significativo se si tiene conto del crescente grado di internazionalizzazione: circa un quarto dei 600 milioni di metri quadrati di piastrelle prodotte da aziende italiane è fabbricato all’estero e oltre il 60% del mercato globale di macchine e attrezzature per ceramica è appannaggio delle imprese italiane.


NUOVI RIVESTIMENTI ESTERNI PER GLI EDIFICI

In arrivo la piastrella fotovoltaica tovoltaica. Quest’ultima viene, al contrario, costruita sulla superficie della piastrella in sostituzione dello smalto abitualmente applicato. Strutturalmente, dunque, la piastrella è costituita da vari strati di superficie, di cui uno metallico a sua volta ricoperto da uno strato di silicio amorfo. Il tutto è poi avvolto da un film protettivo che garantisce la resistenza, l’inalterabilità e la durata del prodotto. Il risultato è una piastrella capace di produrre energia elettrica e idonea a essere utilizzata nel rivestimento degli edifici ma non nelle superfici calpestabili: la sua naturale destinazione sono le cosiddette facciate ventilate dove i rivestimenti esterni non sono applicati direttamente sulla parete ma su una specie di griglia che forma una camera d’aria, un’intercapedine tra la parete e il rivestimento. Questa camera d’aria isola termicamente gli interni, sia dal caldo che dal freddo, e garantisce oltre al risparmio energetico una migliore qualità della vita domestica. Quanto alla conciliabilità dell’aspetto estetico con quello prestazionale, «i riporti di un film sottile sulla superficie – chiarisce Salomoni – crea, ad esempio, delle limitazioni nei colori e nei disegni. È per questa ragione che occorrerà lavorare in sinergia con architetti, designer e stilisti», questi ultimi non a caso responsabili in larga parte del boom del prodotto piastrella. Nella logica secondo la quale più superficie viene ricoperta e più l’impianto è potente e capace di immagazzinare energia, quello del disegno rimane comunque un limite risolvibile nascondendo la circuiteria, mettendo a punto disegni di natura geometrica o studiando zone di chiaroscuro. «In linea di principio limitazioni vere e proprie non ce ne sono: il problema di come unire estetica e funzionalità è vincolato a un lavoro paziente e condiviso di tecnico e architetto». Il risparmio energetico offerto dall’impiego di piastrelle ceramiche fotovoltaiche è sensibile. L’obiettivo, secondo le previsioni, è di riuscire a produrre mediamente almeno 40 watt per metro quadrato di celle fotovoltaiche. Questo significa che in un normale appartamento di 100 metri quadri, dotato all’esterno di uno strato altrettanto esteso di rivestimento fotovoltaico, ci sarebbe la possibilità di arrivare a produrre almeno fino al 30% del fabbisogno energetico dell’appartamento. Questo livello di produzione di energia elettrica è destinato ad aumentare nel caso di aree particolarmente soleggiate. «Si sta comunque facendo strada l’idea di spendere sempre meno sia per il riscaldamento che per il raffrescamento, all’insegna di edifici energeticamente virtuosi», avverte Salomoni. Le stime sono legate agli esemplari di piastrella ad oggi realizzati dal laboratorio. I prototipi hanno un formato 10x10 cm, anche se la promessa è di mettere in produzione piastrelle di dimensioni 30x30 cm, di maggiore interesse per l’industrializzazione e la diffusione per il rivestimento di facciate ventilate. In base ai progetti di ricerca ancora in corso, alla necessità di In alto, a destra: Arturo Salomoni, coordinatore della Sezione ceramiche importanti investimenti e all’uscita del settore dall’attuale periodo del Centro Ceramico di Bologna. Sopra: un esempio rappresentativo di crisi, la linea pilota è attesa per il 2013. (di Alessio Aymone) tà di un prototipo di piastrella fotovoltaica (10x10 cm)

Quello del risparmio di energia e della sostenibilità ambientale è un impegno decisivo e non prorogabile, tenuto conto del fatto che il settore edilizio pesa in modo gravoso sull’ambiente e che l’Italia è, dal punto di vista energetico, largamente dipendente dalle importazioni estere. Risultati apprezzabili sono già stati ottenuti in questo senso: dalla gestione termica degli edifici alla loro riqualificazione energetica, dallo sfruttamento delle fonti rinnovabili a un impiego energeticamente consapevole dei materiali, il comparto ha fornito segnali incoraggianti. La nuova frontiera è rappresentata dai sempre più frequenti elementi architettonici con fotovoltaico integrato. Tra le applicazioni più promettenti in questo campo compare anche la piastrella in ceramica fotovoltaica, inserita fra i progetti del Cecerbech, il laboratorio del Centro Ceramico di Bologna che si occupa dello sviluppo di piastrelle con superficie funzionalizzata, ossia capaci di interagire con l’ambiente e l’edificio. Battendo la concorrenza europea, il laboratorio è al lavoro su questo materiale dal maggio 2004, anche se in termini di progettualità gli studi risalgono ad alcuni anni prima. L’intuizione di base è che la piastrella tradizionale ha tutte le capacità per trasformarsi in un prodotto dalle caratteristiche funzionali e dalle elevate prestazioni. «L’idea della piastrella fotovoltaica – spiega Arturo Salomoni, coordinatore della Sezione ceramiche tecniche avanzate del Centro – è di dare alla piastrella una funzione in più rispetto a quella che normalmente ha già». Nello specifico il valore aggiunto è dato dal conferimento alla superficie della piastrella ceramica, e al suo eventuale strato di smalto, non solo di un valore estetico ma anche di una finalità supplementare. «Se la piastrella, oltre che abbellire e rivestire, diventa capace di catturare l’energia solare come un normale pannello fotovoltaico, le pareti ventilate degli edifici possono offrire decine di metri quadrati disponibili per mettere a frutto questa sua nuova funzione». La piastrella fotovoltaica non è una normale piastrella alla quale viene semplicemente sovrapposta una cella fo-

della funzionali

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CERAMICA: TECNOLOGIA E INNOVAZIONE Edilcuoghi Ceramiche Open Spaces

Ariostea Iridium

Ceramica Vogue Carpet

Da recenti indagini sui trends nel mondo dell’interior design nasce questa linea in gres porcellanato colorato, disponibile in sei colori e su grandi lastre con relativi sottomultipli. Si presenta con una superficie contemporanea, caratterizzata da un' essenzialità che diventa sintesi formale. Dedicata a chi apprezza arredi non convenzionali. È disponibile in lastre di grande formato che possono essere utilizzate per rivestire o pavimentare grandi superfici.

Cerim Pietra Riciclata

Ariostea propone una collezione assolutamente innovativa nel settore dell’architettura: 12 sgargianti colori in quattro irrinunciabili varianti vestono tutti i tipi di pavimenti e superfici in un’ottica mai vista prima. Novità assoluta nel mondo del miglior gres porcellanato a tutta massa, questa collezione va oltre le frontiere conosciute del design, offrendo nuovi spunti creativi. Le prestazioni tecniche eccezionali, e la facilità di pulizia ed igienicità, consentono il suo utilizzo in ogni ambiente .

Questa nuova collezione, in monocottura ingeliva con superficie opaca antiscivolo, disponibile in sei colori, è specificamente destinata ad un uso a pavimento. La particolarità della finitura, coerente con le aree di impiego (R9), ne consente l'utilizzo sia in interni che in esterni, per tutte le occasioni dove si richiede l'utilizzo di un prodotto dall'estetica moderna.

È un pavimento progettato per la posa in esterni e rappresenta una sintesi ideale di prestazioni tecniche, design e attenzione alla natura. Il tutto attraverso una speciale tecnologia. Infatti il ciclo produttivo riutilizza materie prime, scarti e residui di lavorazione, garantendo il minimo impatto ambientale senza compromettere in alcun modo le prestazioni tecniche. È totalmente resistente al gelo e offre eccellenti caratteristiche di resistenza all’usura, all’attacco chimico e agli agenti atmosferici.

Fap Ceramiche Cupido

Floor Gres Less/

Gabbianelli Cordoba

Impronta Ceramiche Sands

Poetica la nuova collezione Cupido. Una linea che integra il percorso di rigore formale, preziosità materica e innovazione tecnologica. È una collezione che racconta gli spazi con poetico rigore, che stupisce per i suoi messaggi “affettuosi” e sorprendenti, attraverso una palette di colori, come il Rosso, il Perla e il Gemma o i suoi decori, come il Mosaico a cuore.

Architettura senza compromessi, scelte decise, purezza, razionalità e forte impatto estetico. Questi sono i presupposti di LESS/, la nuova collezione nell’ambito del progetto “Architettura Integrata” di Floor Gres. LESS/ è impostata sui due noncolori bianco e nero, declinati in una serie di formati e superfici studiati per soddisfare specifiche destinazioni d’uso e molteplici tipologie estetiche. Disponibile in bianco e in nero.

Una nuova collezione di piastrelle finemente decorate a mano. Le quattro varianti di decoro sono un elogio alla pittura e al disegno concepite per arredare gli ambienti con forza espressiva, capaci di incontrare l'eleganza nelle delicate declinazioni delle sfumature cromatiche. Quattro motivi decorativi arabeggianti, realizzati a mano in 8 varianti cromatiche per ambienti eleganti e suggestivi. Disponibili in formato 20x20 cm e, a corredo, il fondo in abbinamento decorato a mano.

La nuova collezione Sands, nasce dal connubio perfetto tra design, tecnologia e sostenibilità. Le superfici ruvide e strutturate riportano alla mente le immagini luminose delle dune; cromie sabbiate conferiscono agli spazi un’espressione molto neutra. Sands è l’anima verde di Impronta Ceramiche grazie alla riciclabilità delle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo della serie per un minimo del 45%, è un prodotto assolutamente ecocompatibile.

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Ceramiche Keope Neowood

Lea Ceramiche Slim Tech

Refin Stone - Leader

Un linguaggio al di fuori delle mode quello espresso dalla nuova collezione Neowood, ideata per arredare tutta la casa. È una collezione di pavimenti e rivestimenti in gres porcellanato a tutta massa rettificati che si ispira alle calde e accoglienti tonalità e venature dei legni più pregiati, interpretando sensazioni ed emozioni quasi tattili e sensoriali, per chi ricerca nei propri ambienti le forme e i colori della natura.

Rex Pierres

Slim Tech è un gres porcellanato che rievoca la pietra basaltina. Grazie al suo spessore di soli 3 mm e al grande formato di 3 metri x 1, fa di flessibilità e leggerezza le sue caratteristiche uniche e distintive. Sabbiata, naturale, stuccata e lappata sono le 4 varianti disponibili da cui sono originati i differenti toni di grigio; un’unica lastra, innovativa nella realizzazione e dal look minimal, capace di creare differenti suggestioni.

Stone-Leader va ad aggiungersi alla già esistente collezione Ecoleader, realizzata con almeno il 40% di materiale riciclato “pre consumer”, proveniente da processi di produzione esterni a quelli dell’azienda stessa, confermando quindi l’attenzione e l’impegno attivo di Ceramiche Refin nei confronti delle politiche di tutela ambientale. Una collezione dalla grafica attuale, in linea con le richieste di mercato.

Tre essenze di pietra che vengono reinterpretate da Rex e inserite nel progetto Neoedonismo. Una nuova opulenza legata alla ricchezza di una materia che diventa soggetto decorativo. La proposta di formati differenti sulle tre essenze permette di creare abbinamenti materici e di utilizzare la stessa tipologia di pietra sia all’interno sia all’esterno di un’architettura. Pierres è un porcellanato tecnico ottenuto con miscele di impasti e scaglie puntinanti.

Tagina Fucina

Iris Feel

Cercom Home Design

Cir Cottage

Fucina materializza in forme luminose l’essenza dei nostri tempi, trasformando le tendenze profonde in superfici sensoriali. Luce, materia e spazio si realizzano in un’opera di tessitura tridimensionale per mano dell’uomo, conduttore sensoriale tra la luce emessa e la luce riflessa e protagonista di una dimensione di percezione della materia che trascende i volumi consueti del living space.

Lucenti lucide levigate: le superfici della collezione Feel toccano i sensi accarezzando la vista, in un movimento sfumato di tinte e motivi che avvolgono gli spazi dell’abitare. Finiture: aquamarine, black, cream, orange, red, white, yellow. Decorazioni: cabochon, fascia. floral art, inflora, inserto, mosaico, vetrocolor.

Un prodotto dalla tecnologia ceramica avanzatissima per superfici che nobilitano il progetto d’interni con soluzioni tecniche e estetiche ricercate, nel nome di un design che unisce funzionalità e bellezza in un connubio di perfezione e qualità. Realizzata in gres porcellanato a tutta massa, la linea è disponibile in sei colori: bruno, carbone, cenere, kaki, lavagna, vaniglia. È destinata sia ad interni che ad esterni.

Cottage è la nuova collezione in gres porcellanato di Ceramica Cir: disponibile in 2 formati e cinque colori (grigio pietra Aspen, muschio Bergen, ruggine Cortina, blu St. Moritz, Calgary beige), è ispirata al legno per donare alla casa un’eleganza naturale. È ideale per uso residenziale e commerciale sia per pavimento che per rivestimento. È ingelivo, resistente all’abrasione, resistente all’attacco chimico, resistente alle macchie e alla flessione.

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TAPPEZZERIA CASA

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SOLUZIONI DA ABITARE PRODOTTI ALL’AVANGUARDIA – ALTA QUALITÀ – NUOVI MATERIALI

ILLUMINAZIONE Le migliori soluzioni per illuminare esterni e interni con prodotti di design innovativo. Che non dimenticano la qualità e, nello stesso tempo, la convenienza. Suggerimenti e idee per ogni tipo di abitazione.

RISTRUTTURARE Indicazioni, consigli e spunti per ristrutturare e valorizzare costruzioni private e non. Nel massimo della sicurezza e ottenendo i migliori risultati. Con attenzione alla scelta degli esperti a cui affidarsi.

ARREDARE Progettare, realizzare e arredare interni ed esterni: le ultime tendenze e le migliori soluzioni per le esigenze di ognuno. Salotti, cucine, bagni, camere da letto, ma anche arredamenti per uffici e altri luoghi di lavoro.


ILLUMINARE

Diamo luce alle nostre idee I colori di casa vibrano, l'architettura si addolcisce, gli ambienti diventano più accoglienti. Questo grazie a una luce adattabile e malleabile.Ma ottenere un'illuminazione perfetta non è sempre facile. ROMIB LUCE ci aiuta a illuminare con cura i diversi ambienti di casa, armonizzando colori, materiali,mobili e oggetti

1. Cantina Del Chianti con illuminazione incassata a pavimento 2. Big Bang parete di Foscarini 3. Angelica sospensione di ALT Firme di Vetro 4. Palazzo Hendler a Mosca illuminato con LED RGB 5. La Luna Nel Pozzo 6. Lampadario in Pasta di Vetro di Murano soffiato a mano 7. Soffione 48 luci di Icone

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Ogni progetto necessita di un'analisi attenta in cui anche la luce ha un ruolo fondamentale. La sua contemporaneità e la sua capacità di trasmettere energia, la sua capacità di cambiamento e il suo dinamismo,stimolano la percezione dello spazio e seducono tra le ombre lasciando intravedere la meta finale.

SCENOGRAFIE LUMINOSE Per giocare con la luce oggi abbiamo a disposizione tante sorgenti luminose tra cui anche i LED che, ad esempio, sono sempre maggiormente utilizzati per creare scenografie luminose e d'accento. I vantaggi dei LED sono molteplici, tra cui la possibilità di avere diversi colori, fissi o in movimento (RGB), di poter regolare l'intensità luminosa, di consumare pochissimo e di non scaldare, di essere di piccole dimensioni ed avere fasci di luce di varie ampiezze. L'eccenticità progettuale o l'innovazione funzionale trova oggi nei LED un partner eccellente.Per esempio lo troviamo all'esterno degli edifici,dove, oltre a servire per valorizzarli ed a illuminarli contribuiscono a percepire e a modificare architetture giocando con sfumature di colore statiche o dinamiche che tramite oppotuni driver si possono regolare e programmare a nostro piacere. Chiaramente anche le sorgenti le sorgenti luminose tradizionali hanno avuto la loro crescita tecnologica, evolvendosi in un ampliamento di potenze e caratteristiche illuminotecniche sempre più diversificate.

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Ad esempio la lampada alogena a 12 volt permette ancora buonissime performance sia nell'illuminazione d'accento che in quella diffusa, anche se in quest'ultimo caso la lampada a scarica a Ioduri Metallici è preferibile,nelle accensioni prolungate per i suoi bassi consumi. Bisogna ora che spendiamo qualche parola anche per i contenitori di queste sorgenti luminose,che nel tempo si sono arricchite di nuove forme e funzionalità. Sia nelle soluzioni tecniche che in quelle decorative le forme sono scivolate in molte direzioni diverse lasciando quelle originali reiterpretandosi in costumi tecnici e funzionali o vestiti in modo fantasioso e ammaliante, adattandosi ad ogni esigenza progettuale ad incasso come da parete da soffitto come da terra cercando di innovare stupendo.La necessità biologica del nostro organismo e della nostra psiche ha generato l'esigenza di studiare nuovi sistemi di regolazione automatica a controllo elettronico che,analizzando letture di luminosità e caratteristiche luminose effettuate da sensori ambientali,sono in grado di modificare lo spettro e la luminosità della luce artificiale in modo che interagisca con quella naturale al fine di ottenere un ambiente illuminato con l'atmosfera più adatta alla situazione ambientale vissuta nelle diverse ore della giornata.Cercando di creare l'atmosfera più adatta alla creatività o al relax, alla operatività o all'analisi, il tutto trovando il programma più adatto nella centralina elettronica di comando. TRADIZIONE E INNOVAZIONE Il lampadario diventa fascino e suggestione dell'effetto luminoso,stravaganza o sobrietà del designer che attraverso l'uso di nuovi materiali o di sperimentate tecniche artigianali crea emozioni che infrangono l'attimo fuggente che è la vita stessa. Il lampadario si reinterpreta su movenze classiche imbastite di innovativi e colorati artifizi moderni. La luce è ripensata ripartendo dalle origini dando spazio all'utilizzo alternativo di nuovi materiali e sorgenti luminose che a volte possono anche sembrare casuali ma che in realtà hanno alle spalle studi innovativi di fattibilità industriale per poter abbattere i costi.In alternativa torna anche alla ribalta l'attività artigianale,in cui l'oggetto viene riscritto e rivisto in direzioni finora inesplorate coniugando manualità e innovazione. Il lampadario in vetro di murano soffiato a mano, riconosciuto in tutto il mondo come marchio esclusivo,oggi è rivalutato in colori moderni trasgressivi e provocatori, in nuove geometrie che risaltano la materia e la sua luminosità in nuove forme sinuose e originali. Nuovi polimeri sintetici lavorati da sembrare metallo o vetro permettono di sperimentare nuove forme altrimenti irrealizzabili e vecchie sembianze

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ILLUMINARE 8. Sistema Modulare Poli-Light di Ultraluce 9. Sistema su cavo Eos di MetalSpot 10. Vaso Nobolio per esterno di LineaLight 11. Mini Class Biemissione IP65 per esterno 12. Beluga Metal per esterno di Fabbian

dai costi più contenuti. Le dimensioni si dilatano all'inverosimile e l'equilibrio statico finora conosciuto viene messo in discussione con performance a basso consumo ed alta efficienza luminosa. In effetti un'altra sorgente luminosa che è cresciuta in modo esponenziale è quella a risparmio energetico,ma non la vecchia fluorescenza sfarfallante ma quella nuova, piccola e compatta, ad limentazione elettronica che permette un'accensione immediata, con uno spettro luminoso lineare per non creare affaticamento alla vista.Sono addirittura dimmerabili,cosa che fino a poco tempo fa era impensabile per una lampada al neon.Tutti accorgimenti sempre più apprezzati sia negli spazi pubblici, di lavoro e commerciali che in ambienti residenziali.Anche perché la crisi energetica mondiale ci porta nostro malgrado a valutare nuove soluzioni per contenere i consumi eletttrici. Le aziende sono impegnate a migliorare l'efficienza delle sorgenti luminose tradizionali e ad invertarne sempre di nuove, con consumi più ridotti. Cominciando dalle amate alogene dove con le versioni Energy Saver riduciamo i consumi anche del 40%. ILLUMINARE AMPI SPAZI Un altro capitolo riguarda l'illuminazione

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per uffici, negozi e spazi pubblici dove oltre a tutto quello descritto fino ad ora aggiungiamo una modularità e flessibilità che solo i sistemi a binario o su cavo ci permettono di realizzare. Il Poli-Light ad esempio è un nuovo sistema modulare a nastro in polimetilmetacrilato trasparente che può avere andamento lineare o curvo, orrizontale e anche verticale. Usando corpi illuminanti con caratteristiche direzionali e diffondenti utilizzanti sorgenti alogene, a ioduri metallici o a fluorescenza T5. Un sistema certamente molto versatile, capace di risolvere egreggiamente ogni tipo di problema strutturale e illuminotecnico. Esistono poi sistemi su cavo a bassa tensione o a tensione di rete 230V, da poter tesare a parete e anche a soffitto svincolandosi da agganci tradizionali per navigare leggeri nello spazio. Senza tralasciare i classici binari modulari da soffitto e parete sempre a bassa tensione o a tensione di rete, adatti soprattutto a supportare fari e faretti direzionali e modulari.

LA LUCE ESTERNA Concludiamo il nostro servizio parlando delle luci per esterni che oltre a darci sicurezza rischiarando le tenebre offrono straordinarie scenografie luminose con atmosfere uniche e avvolgenti. Lame o fasci di luce che sfiorano architetture moderne e antiche dando vita allo spazio e accolgono il viandante. Fari incassati a terra che lambiscono ulivi secolari o torrette medioevali. Lampade da parete che con la loro luce ad effetto sfiorano i muri delle nostre case giocando con ombre e forme. Segnapasso carrabili ad incasso o su bassi sostegni decorativi che non assomigliano alle vecchie soluzioni da giardino. Insomma tutto quello che vi abbiamo raccontato è vero ed ora vi aspettiamo per confermarvelo.

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RISTRUTTURARE

Una casa completamente nuova

Il sogno di ristrutturare la propria casa a volte rischia di diventare una spiacevole esperienza. Il vantaggio di affidarsi ad un unico referente? Un notevole risparmio di tempo, di denaro. E soprattutto niente più preoccupazioni

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RISTRUTTURAZIONI MANUTENZIONI COSTRUZIONI RESTAURI REALIZZAZIONE STRUTTURE IN CARTONGESSO CON CERTIFICAZIONE VV.FF. 6. TINTEGGIATURE ANCHE BIOLOGICHE 7. RIPRISTINO STRUTTURE IN C.A. 8. TRATTAMENTI SPECIALI ANTIGRAFFITI 9. TRATTAMENTI SPECIALI ALLE PIETRE NATURALI 10. MANUTENZIONE IMPIANTI ANTINCENDIO 11. COSTRUZIONI STRUTTURE ANTINCENDIO CON CERTIFICAZIONE VV.FF. 12. CANCELLI ED INFERRIATE DI SICUREZZA 13. IMPIANTI ELETTROSMOTICI PER LA RISOLUZIONE DEFINITIVA DELL’UMIDITA’ 14. IMPIANTI GEOTERMICI 15. IMPIANTI FOTOVOLTAICI 16. DOMOTICA PROGETTAZIONE ED INSTALLAZIONE 17. TRATTAMENTI SPECIALI AL TITANIO

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Kompass Service srl vanta una lunga esperienza nel settore delle ristrutturazioni. Il vantaggio che offre ai propri clienti è quello di occuparsi di tutti gli aspetti dell’intervento, da quelli progettuali a quelli burocratici fino a quelli lavorativi e pratici. Per il committente si tratta di un notevole risparmio di tempo, di preoccupazioni e di denaro. Kompass non si limita a questo, offre la propria esperienza anche nel campo dei servizi ai condomini (dagli interventi murari alle pulizie, alle manutenzioni ordinarie e straordinarie, dalla cura delle facciate al giardinaggio, ecc), e si occupa inoltre delle tinteggiature e delle pulizie. Grazie a una struttura articolata, solida e specializzata in ogni settore, Kompass Service è in grado di offrire ai propri clienti un servizio completo: nel caso, per esempio di una ristrutturazione, questa società è in grado di occuparsi nel modo migliore di ogni aspetto dell’intervento, dalla progettazione al disbrigo delle pratiche burocratiche, dall’assistenza fiscale al coordinamento dei vari soggetti interessati al lavoro, dalla continua supervisione dei lavori direttamente in cantiere fino alla realizzazione delle finiture, delle pulizie ed alla consegna dello stabile ristrutturato e pronto per essere abitato, sempre nel rispetto dei modi e dei tempi concordati con i clienti. L’azienda è caratterizzata da personale qualificato ed efficiente e dall’utilizzo di prodotti innovativi. Tra gli altri, propone uno speciale servizio di tinteggiature che ha come obiettivo la risoluzione definitiva di muffe alle pareti. I tecnici di Kompass hanno testato in laboratorio una vernice speciale ad altissime prestazioni, che permette alla parete su cui viene stesa un’ottima traspirabilità, un forte potere coibentante (caldo-freddo), l’eliminazione totale dei ponti termici e della muffa che si forma sulla parte stessa. Nei punti in cui viene stesa coesistono diversi processi che permettono all’ambiente circostante, tramite un processo chiamato redox, di essere privo di batteri, funghi o muffe, non consentendo alle spore presenti nell’aria di trovare un ambiente adatto

per riprodursi e generare muffe malsane. Inoltre permette una regolazione naturale dell’umidità presente nell’aria trattenendola in caso di forte umidità e liberandola in caso di estrema secchezza. In pratica, con un unico prodotto, si ha la possibilità di purificare l’aria, rendere le superfici antibatteriche e i muri traspiranti e decontaminanti, con un ottimo miglioramento delle prestazioni termiche. In aggiunta a questo tipo di vernice, Kompass ha studiato anche detergenti che permettono a qualsiasi superficie lavabile di diventare, tramite un processo di fotocatalisi, decontaminante, purificante e antibatterica. In poche parole, durante la pulizia, lo sporco viene trasformato in Sali Minerali Innocui, ottenendo così superfici pulite e totalmente antibatteriche. Kompass Service srl risulta particolarmente competitiva anche sul versante dei prezzi: la possibilità di ottenere condizioni convenienti nelle forniture e nei rapporti con i professionisti, garantisce al cliente un consistente risparmio.

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ARREDARE

Soluzioni d’arredo

Bisogna entrare nella modernità volgendo lo sguardo sempre alla tradizione. Coniugare stili diversi, all’insegna di eleganza e buon gusto. Soluzionideali vi dà una mano

Nelle foto in alto: KUBE, cucina Snaidero in legno olmo o laccata, progetto di Giovanni Offredi. Sotto: ALIBI, madia complanare e mensole laccate lucide di Presotto. Sotto da sinistra: Paolo Gardini, Monica Serafini e Santo Tumello.

Monica Serafini, Santo Tumello e Paolo Gardini: sono loro le tre “menti” che stanno dietro a Soluzionideali, azienda che si occupa di consulenza, progettazione, arredamento e ristrutturazione di interni. Monica Serafini è architetto, Paolo Gardini geometra e Santo Tumello si è formato alla scuola d’arte: tutti e tre sono accomunati dalla passione per l’arredamento. «Il piacere di arredare, questo è il nostro slogan», racconta Paolo Gardini. «Quando alla fine del 2001 abbiamo iniziato l’attività di Soluzionideali, venivamo tutti e tre da pluriennali esperienze nel mondo dell’arredamento, la nostra grande passione. Provenendo dallo stesso macrocosmo, ma avendo competenze maturate in ambiti diversi, uno dei nostri punti di forza è la sinergia di queste competenze, che ci permette di seguire un progetto da ogni punto di vista. In particolare, essendo Monica Serafini architetto, abbiamo il vantaggio di avere un professionista che consente l’elaborazione di progettazioni personalizzate ai massimi livelli». Soluzionideali offre un servizio di consulenza e progettazione, seguendo interventi di diverse tipologie e usando modalità progettuali differenti, curando lo sviluppo progettuale di abitazioni e uffici, dalla visione preliminare alla realizzazione dell’opera e dei particolari di arredo. «Si può dire che il nostro credo è il servizio - prosegue Gardini pur avendo uno show room di 500 metri quadri in cui abbiamo in esposizione diverse composizioni di mobili per tutta la casa, noi finalizziamo tutto alla progettazione e la mostra ci serve a far vedere come saranno alla fine i vari ambienti. Siamo in grado di offrire un servizio a 360 gradi, e questo è quello che più ci piace fare. Abbiamo creato partnership con piccole imprese e artigiani per offrire anche la possibilità di ristrutturare sia i singoli ambienti che tutta l’abitazione». Soluzionideali offre, a tutti i clienti

che hanno acquistato una casa in costruzione, un prezioso aiuto per la progettazione dell’impiantistica e della distribuzione dei vani. Fondamentale nel progettare una casa è il rispetto per le esigenze di chi ci vive. Come a dire: non si progettano case ma modi di vivere. «Progettiamo spazi speciali e unici», spiega Gardini. «Spazi adatti alle necessità di ciascuno, differenti a seconda del diverso carattere del cliente e delle sue esigenze. Per capacità di progettazione, per conoscenza di materiali e sistemi di arredo, che spesso il cliente privato non conosce, siamo in grado di allestire un progetto personalizzato che tenga conto non solo della funzionalità, ma anche dell’accostamento delle varie finiture. Noi lo chiamiamo servizio totale. Ovviamente possiamo intervenire in aiuto del cliente anche solo in una singola fase della realizzazione, o per un unico ambiente». Accontentando, tra l’altro, ogni target di richiesta: dal cliente che desidera un ambiente esclusivo, a chi cerca qualcosa di appropriato e gradevole senza spendere troppo. Proponendo per l’arredamento marchi di altissimo livello, come per esempio Snaidero, leader nel settore delle cucine, Presotto per la zona giorno e la notte o Busnelli per i divani. Grazie alla professionalità che contraddistingue l’azienda, Soluzionideali mette sempre più spesso le proprio competenze a disposizione di quelle imprese di costruzione che hanno difficoltà a gestire le varianti richieste dal cliente durante la realizzazione del progetto, creando partnership importanti. soluzionideali Via dei Carpini, 1 40011 Anzola dell’Emilia (Bo) Tel. 051.739873 – fax 051.739796 www.soluzionideali.it info@soluzionideali.it



Vivere l’esterno in piena libertà ARREDARE

L’importanza degli spazi esterni, tra fascino della natura e benessere en plein air. Creare ambienti per il giardino, il terrazzo, il balcone, realizzando su misura spazi meravigliosi in estate e insostituibili in inverno. Tutto questo è Brancaleoni & Francia Abbandonarsi al piacere di rilassarsi in veranda, in terrazza o in giardino, trascorrendo incantevoli e divertenti momenti con la famiglia, gli amici, oppure da soli. In poche parole godersi la vita e la propria casa non solo chiusi fra quattro mura ma anche all’aria aperta. Una piccola oasi lontano dal traffico e dai ritmi serrati della vita cittadina. Per rendere i nostri spazi aperti più belli e accoglienti è possibile rivolgersi a dei professionisti del settore. L’azienda Brancaleoni & Francia è fra questi. Nata nel 1964 come impresa a gestione familiare, la sua attività riguarda inizialmente la fabbricazione di tende da sole. Attualmente è un’impresa leader nel settore della produzione di pergolati, grigliati, coperture fisse e mobili in legno, in tessuti poliestere spalmati in pvc e in altri materiali resistenti. Come per gli interni della casa, anche nella progettazione degli spazi esterni gli arredi e la loro disposizione giocano un ruolo di primo piano. Nella scelta dei mobili per il giardino, la veranda o il terrazzo, occorre tenere sempre conto della resistenza e la qualità dei materiali, visto che verranno messi alla prova da vento, sole e pioggia, senza però dimenticare le esigenze pratiche e il gusto di ognuno: devono essere accoglienti, funzionali e anche piacevoli agli occhi. Proprio considerando questi fattori, Brancaleoni & Francia offre ai propri clienti la progettazione dell'arredamento di spazi esterni nel rispetto delle loro idee, mettendo al loro servizio l’esperienza pluriennale dei professionisti che lavorano in azienda e la possibilità di vedere la proposta di arredo al computer completa di dettagli architettonici. L’assistenza offerta al cliente è a 360°, grazie al supporto di tecnici abilitati per l’espletamento delle 122 DESIGN +

Nelle foto sopra alcuni esempi di spazi esterni accuratamente progettati dal team di Brancaleoni & Francia

pratiche comunali edilizie e burocratiche. Sin dal momento in cui l’azienda ha mosso i primi passi, la proprietà ha sempre saputo interpretare, se non perfino anticipare, le nuove esigenze del mercato, garantendo la qualità dei prodotti, perché realizzati con i materiali più

idonei, scelti esclusivamente tra i produttori più affidabili e lavorati con tecniche d'avanguardia. Le attività della Brancaleoni & Francia sono quindi concentrate nell’arredo da esterno con fornitura e posa di pergolati, gazebo e complementi d’arredo, la vendita e curata posa in opera di una vasta gamma di tende da sole e coperture speciali impermeabili, tessuti poliestere spalmati in pvc, lavorati direttamente in modo artigianale con macchinari tecnologicamente all’avanguardia. La lavorazione interna di tessuti spalmati in pvc è a disposizione della clientela per striscioni pubblicitari, teloni per camion, coperture speciali e tende impermeabili per esterni. BRANCALEONI E FRANCIA Via Merighi, 22 - 40055 Villanova di Castenaso (Bo) - Tel. 051.781887 Fax 051.781888 www.brancaleoniefrancia.it info@brancaleoniefrancia.it



ARREDARE

Tematic si rinnova

Una storia che si evolve negli anni, lungo le strade della ricerca e dell’innovazione, con una particolare attenzione alle tendenze del design contemporaneo

La storia di TEMATIC comincia circa 40 anni fa, quando Gustavo Coletti apre un magazzino di termoidraulica a Bologna. Negli anni 80, quando viene affiancato dal figlio Sergio, TEMATIC inizia un processo di ampliamento, attraverso l’apertura di punti vendita rivolti al pubblico. Nasce così il primo show room con un’esposizione di circa 500mq di bagni e accessori in via Gioannetti. Negli anni successivi apre lo show room di via San Donato, uno spazio dedicato ai prodotti di design, nel quale gli architetti sono stati i primi interlocutori. In questa “scatola di vetro” prendono forma proposte di arredo in grado di armonizzare con raffinatezza e rigore, i prodotti delle aziende più

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innovative, fra le quali Agape, Antonio Lupi, Boffi e Flaminia. Il passo successivo è quello di aprire un nuovo show room in via Salvini, dedicato alle cucine ed ai complementi d’arredo, nel quale l’obiettivo principale è l’attenzione verso le esigenze del cliente. Nel punto vendita cucine, TEMATIC distribuisce marchi prestigiosi, come ABC, Bontempi ed Ernestomeda, in grado di offrire flessibilità ed elevato livello qualitativo. Agli inizi degli anni ‘90 TEMATIC diventa una realtà distributiva tra le più note della città, e si conquista un’immagine altamente affidabile per la qualità dei prodotti e la puntualità nei servizi. Oggi, con orgoglio e coraggio, è arrivato il momento di cambiare, TEMATIC si rinnova e apre le porte all’arredamento con le aziende Misuraemme, Desalto e Divani Frigerio, in modo da poter essere un referente sempre più completo per tutta la casa. Ed è così che TEMATIC mette a disposizione la propria esperienza, affiancando nella progettazione architetti e arredatori. Il magazzino e i tre show room, sono a disposizione per proporre soluzioni per l’arredo nei principali settori:

dai pavimenti ai rivestimenti, dai bagni alle cucine, dai soggiorni ai divani, ora da TEMATIC è possibile soddisfare tutte le esigenze dello spazio domestico. Da sempre sensibile alle richieste dei professionisti, TEMATIC continua a svolgere un ruolo di primo piano nella divulgazione e nella presentazione delle novità, coinvolgendo sempre più architetti durante gli eventi realizzati negli spazi cittadini più esclusivi.

TEMATIC S.p.A. via Gioannetti, 9/a 40127 Bologna Tel. 051 511379 Fax 051 503888 info@tematic.it - www.tematic.it Cucine e Ambienti via Salvini, 2/a Bologna Tel. e Fax 051 6331940 Bagni e Accessori via S.Donato, 55 Bologna Tel. 051 512430 Fax 051 501662 via Gioannetti, 13 Bologna Tel. 051 6336462 Climatizzazione e Riscaldamento via Gioannetti, 9/a Bologna Tel. 051 517151



CORIOLANO VIGHI

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E IL FASCINO DELL’ANTICO erco di promuovere la cultura dell’arte antica, purtroppo ben poco valorizzata. Anche in un momento di crisi come questo, l’arte resta un bene rifugio, che si rivaluta nel tempo». Trent’anni di attività fanno di Tiziana Sassòli una delle più competenti galleriste in città, e di Fondantico, la sua galleria antiquaria, uno dei punti di riferimento del panorama culturale e artistico cittadino. «Quello che desidero – prosegue Tiziana Sassòli - è promuovere l’arte antica avvicinandola ad un pubblico giovane che, troppo spesso, pensa erroneamente che sia difficile da comprendere ». In tanti anni di attività si sono susseguite diverse mostre, dedicate in particolare alla pittura emiliana dal Cinquecento al Settecento, senza trascurare però la pittura italiana in generale. «Quello a cui tengo è presentare opere di qualità, a volte inedite, alcune delle quali provengono dall’estero e altre da collezioni private, molto spesso delle nostre città», spiega la gallerista bolognese. È ormai consuetudine di Fondantico organizzare due mostre l’anno, una in autunno e una in primavera, tutte corredate da cataloghi scientifici articolati, caratterizzati da approfondimenti di importanti storici dell’arte. Perché promuovere la cultura vuol dire anche esporre le opere con criterio, approfondire argomenti e autori, e offrire al visitatore una guida che lo aiuti ad orientarsi. Le mostre autunnali sono sempre dedicate alla pittura emiliana e fanno parte del ciclo Incontri con la pittura: l’esposizione che inaugurerà il prossimo ottobre sarà la numero 17 di questo ciclo. Le mostre primaverili sono, invece, soprattutto delle monografiche e a tema. L’ultima è stata dedicata a Sisto

Badalocchi, e si è focalizzata sul ritrovamento di uno degli 11 ovali commissionati dal Cardinal Montalto intorno al 1615 per il per il proprio palazzo di Termini a Roma. Bellissima quella del 2007, Il Mastelletta “…un genio bizzarro”, una mostra di grande rilievo, considerando che mai era stata dedicata una monografica ad Andrea Donducci detto il Mastelletta. La mostra di quest’anno, che verrà inaugurata il 14 maggio e proseguirà fino al 14 giugno, avrà un’importanza di uguale portata. Sarà interamente dedicata a Coriolano Vighi (Firenze 1852 – Bologna 1905), pittore bolognese della fine dell’Ottocento, al quale mai era stata dedicata una mostra. Verranno esposte circa 50 opere, supportate da un catalogo scientifico, introdotto da un saggio di Eugenio Riccòmini e da una scheda biografica di Nicoletta Barberini, che presenta 80 opere del maestro, tutte accompagnate da schede scientifiche firmate da Gianarturo Borsari. Un autore, il Vighi, per troppo tempo trascurato anche da Bologna (come lamenta in un suo scritto perfino Francesco Arcangeli), la città che lo ha visto crescere artisticamente e dove lui ha vissuto la maggior parte dei suoi anni. Anni nei quali, era la fine dell’Ottocento, è stato molto amato da bolognesi: «non c’era casa bolognese – ricorda Riccòmini – di qualche tono e ambizione che non esibisse, sulle pareti del salotto, qualche paesaggio di Vighi». E grande successo ebbe anche all’estero. Fu il collezionista tedesco Alfred Probst ad aprirgli le porte del mercato tedesco e mitteleuropeo. Da allora le sue tele vennero appese nei salotti delle abitazioni più prestigiose: il Kaiser, lo Zar, il duca d’Aosta, Vittorio Emanuele III, tutti acquista-


Sopra, Gaetano Gandolfi, San Matteo della Decima, 1734 – Bologna 1802, Il trionfo di Venere, Olio su tela; cm 60 x 69,5; a sinistra, Elisabetta Sirani, Bologna, 1638 - 1665, Madonna col Bambino, Olio su tela; cm 100x82, Firmato Elisa.ta Sirani F. e datato 1665; nella pagina a fianco, Coriolano Vighi, Firenze 1852 - Bologna, 1905, Scorcio fluviale, Olio su tela, cm 21x32

rono almeno una tela del pittore, che negli anni è statoricordato più all’estero che nel nostro Paese. Coriolano Vighi è un paesaggista di grande destrezza e modernità, le cui opere risultano estremamente fruibili anche da un pubblico giovane, spesso non avvezzo alla pittura di quei secoli. In mostra nella Galleria Fondantico ci saranno paesaggi fluviali, di campagna, marittimi di questo pittore che dipingeva luoghi non consueti che magari aveva solo immaginato, oppure che aveva visto e poi rivisitato, rendendoli assolutamente verosimili. Questa monografica dedicata a Coriolano Vighi è l’ennesima dimostrazione del ruolo di primo piano che Fondantico gioca

nella vita culturale cittadina. Caratteristica che si affianca alla professionalità che Tiziana Sassòli mette nell’accurata scelta delle opere che conserva nella sua Galleria e che da sempre suscitano interesse da parte di collezionisti e colleghi non solo italiani. L’attenzione maggiore va alla pittura emiliana, con splendidi pezzi di autori come Elisabetta Sirani e Gaetano Gandolfi. Oltre ai quadri, Tiziana Sassòli offre in Galleria un’ampia esposizione di mobili e oggetti di antiquariato e mette a disposizione la propria competenza per seguire chiunque abbia il desiderio di arredare al meglio una casa con oggetti di valore, e che mai lo perderanno, che si adattano perfettamente ad ogni tipo di arredamento, anche il più moderno, rendendolo unico e dandogli una personalità assolutamente esclusiva. Quella particolarità che solo gli oggetti d’arte possono regalare ad un ambiente.

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