ConTatto - Aprile/Maggio 2023

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ConTatto

Periodico FAMILIARI, OPERATORI ED EX PAZIENTI INSIEME PER USCIRE DAI DISTURBI ALIMENTARI

Grafica, editing & impaginazione: Mariella Rinaldi

Disegno di copertina: Samantha Guidi (ig: samanthaguidi_art)

Progetto “Fare Futuro” cofinanziato da: Fondazione Pisa Società della Salute

Sofia

Sommario ...................................................................................................... 3 .................................................................................................... 5 ............................................................................................ 7 ...................................................................................... 9 ..................................................................................... 13 .......................................................................................... 16 ............................................................................................... 18 ................................................................................................20 Magazine bimestrale dell’Associazione LaVitaOltreLoSpecchio Registrazione al Tribunale di Pisa Nº 08/15 del 08/09/15 Direzione esecutiva: Annalisa Panicucci In redazione: Ilaria de Gioia, Beatrice Fedre, Francesca Gagliardi, Giulia Mattei, Elisa Muzzillo, Mariella Rinaldi,
Rosini,
Tomaselli,
Vittoria Veracini
Serena
Fiorella

Quantoriportatosopraèlacronacadeifatti,masappiamobenequanteemozionie significaticircolanoeavvolgonotuttiglieventichel’Associazioneorganizza. Nienteèmaisolocomesembra.

Ealloraunasemplicepasseggiatainbiciclettadiventaunmodo perconosceresottoun’altraluceunoperatoreescoprirelasua simpatia, lasuaumanità, sentirlovicinoecapireche possiamo fidarciedaffidarci.

Ealloracapitadiparlareconunaragazzachetimidamenteecoraggiosamentesièavvicinata all’Associazione purnonconoscendonessuno soloperchébisognosadiusciredacasa«per farequalcosa»eforsespintadallanecessitàdipoterlofareincompagnia,ecapiamoquanto siainsitoinnoiilbisognodell’altro.

ConTatto Apr../ Mag.‘23

Epoicapitaanchediparlaredituttoedinienteedischerzaresuchi restaindietroesuchiinvecesembrafacciaagaraperesseretraiprimi delcorteo.

Èbelloanchevederequantoimpegnoedentusiasmocisononellenuove volontarie,chesfreccianovelocisullelorobiciperfotografaredapiù puntidivistailcorteoeimmortalaretuttiipartecipanti.

Masoprattuttoèbellodiunabellezzachecuraescaldailcuore sentirel’armoniaelaserenitàchecircolanelgruppoechefacilita, anzi consente, di apprezzare una bella giornata di sole e la bellezza naturale e artisticachequestopercorsociregala. Seinquestabrevepasseggiatalepersone hannoavutomododiapprezzare l’importanzadellepiccolecoseehanno avutolasensibilitàdinondareniente perscontato,unrisultatoèsicuramente raggiunto;eseilFiocchettoLilladi quest’anno ha contribuito a rafforzareilgruppo,adincludere chisisentesolo,afarcisorridere,adalleggerireanchesoloperqualcheorail fardellocheciportiamodentro,possiamoritenercisoddisfatti.

ConTatto 4 Apr../ Mag.‘23

In questo numero abbiamo avuto il piacere di raccogliere la testimonianza di Sofia, una volontaria de LaVita oltreloSpecchioche da tempo è entrata a fare parte della nostra Famiglia e che collabora costantemente con la realizzazione del Magazine.

È stato un grande piacere ed un onore riportare su carta il suo vissuto, le sue emozioni, la sua sensibilità, le sue fragilità e la sua forza: insomma, tutto quello che la rende veramente unica e speciale.

MCiao, Sofia. Ti andrebbe di dirci qualcosa di te? i presento Sono Sofia, ho 20 anni e sono riuscita a realizzare il mio sogno di bambina di frequentare la facoltà di Lingue e Letteratura a Bologna.

La passione per lo studio delle lingue straniere nasce dalla mia esigenza di voler conoscere persone di altri Paesi, di avvicinarmi ad altre culture e di comunicare con loro in maniera chiara: esistono, infatti, parole intraducibili e io, che attribuisco un valore enorme all’uso delle parole, ritengo importante farlo nel modo più corretto ed inequivocabile.

L’amore per la letteratura è sempre stato molto fortefindapiccolae,dopoilperiododel Disturbo Alimentare,èstatoulteriormenteaccresciuto da un sentimento di ‘riconoscenza’, in quanto leggere mi ha salvato quando ero nel baratro della malattia, era l’unica cosa che riuscivo a sentirmi vicina e in cui potevo rifugiarmi.

Vuoi raccontarci come e perché sei caduta nel Disturbo Alimentare?

Non è facile individuare le ragioni che portano ad un DA; sicuramente sono molteplici le cause, ma ritengo che nel mio caso sicuramente abbiano giocato un ruolo importante l’aver soffocato i miei desideri, le mie passioni e il non essere riuscita a vivere le emozioni che provavo Ricordo bene la fatica di rispondere al ruolo del ‘bravo soldatino’ che mi ero ritrovata ad assumere: rispettavo le decisioni che i miei genitori prendevano per me e non riuscivo nemmeno ad esprimere quello che avrei voluto fareoessereperlapauradideluderli.Nonavevo ilcontrollodellamiavitaeinconsapevolmenteho cercato qualcosa su cui avere controllo; purtroppo poco dopo ho capito che

: praticamente avevo solo cambiato chi

muoveva i fili e io restavo ‘il bravo soldatino’ che eseguiva gli ordini. Il vuoto e il senso di inadeguatezza che sentivo era ancora più accentuato di prima e

Quando hai deciso di chiedere aiuto e quando hai sentito la necessità di voler riprendere in mano la tua vita?

Posso dire che il momento peggiore in cui mi sono trovata e che mi ha costretto/convinta a chiedere aiuto è stato quando ero in Irlanda per un anno di studio all’estero: lontana da casa e con tante difficoltà da gestire sono crollata; appena tornata a casa ne ho parlato con mia mamma e ho iniziato un percorso psicoterapeutico in attesa di essere presa in carico dal Centro Arianna. Tuttavia, è stato solo quandoimedicidelCentromihannoprospettato la necessità di un ricovero che è scattato qualcosa nella mia testa che mi ha fatto capire quanta importanza aveva quel poco che ancora mi legava allavita (scuola,amici, ecc ) e da cui mi sarei dovuta allontanare per un ricovero. Da qui la consapevolezza di voler guarire e di volerlo fare con tutte le mie forze:

Abbiamo capito che la lettura ti ha sempre accompagnato; vuoi dirci il perché e se associ un libro al periodo della malattia?

Credo che avessi l’esigenza di leggere perché inconsapevolmente cercavo delle risposte. I libri non mi hanno mai delusa, riuscivano a consolarmienellostessotempoadaprirminuovi orizzonti e opportunità per trovare il modo di stare meglio.

Il libro che sicuramente lego al periodo della malattia è Unaltrogirodigiostra di Tiziano Terziani, in cui l’autore, che ha affrontato una battaglia con il cancro, racconta il suo percorso di guarigione, il rapporto con i medici e con la medicina. C’è una frase che mi è entrata dentro e che riassume il senso del libro ed è: «Sonoparticolarmentefortunatoperché, orapiùchemai,ognigiornoèdavveroun altrogirodigiostra.»

Sembrava proprio scritta per me, per farmi capire che avevo una grande opportunità, e che se ero ancora lì a lottare, se ero ancora viva, un motivo doveva pur esserci.

Hai un libro che associ al momento della guarigione?

Sicuramente è grazie alla lettura di Ognigiorno èunbuongiorno di Noriko Morishita che ho messo a fuoco quello che già sapevo ma non riuscivo a metabolizzare.

In che modo, oltre alla lettura, ti ha aiutato anche la scrittura?

Il voler trasferire su carta una parte di me è sempre stata una mia esigenza: basti pensare chedapiccoladettavodellestorieaimieigenitori e li costringevo a scriverle!

Credo di avere innato l’istinto di voler aiutare le persone, e seguendo l’esempio di mia madre,che è medico e si occupa del benessere fisico, io con la scrittura voglio curare l’anima, voglio dare una chancea chi mi leggerà di scoprire qualcosa di sé che possa aiutarlo.

Quali altre passioni ritieni siano state importanti?

Sicuramente la musica è sempre stata una buona compagna contro la solitudine. Il mio amicopianofortenonmiha maiabbandonatoed è sempre stato lì, paziente, ad aspettare che posassi di nuovo le mie mani sui suoi tasti, per scaricare tensioni ed emozioni che non trovavano altro modo per uscire. Mia madre, ascoltando cosa suonavo e come lo facevo, era in grado di capire i miei stati d’animo, e grazie

alla musica che nasceva sotto le mie mani riuscivo a comunicare con lei senza usare le parole quelleparole chenon riuscivo atrovare e a pronunciare.

In che modo le tue passioni hanno avuto una funzione terapeutica?

Findapiccolamisonotrovata areprimerelemie emozioni perché le vivevo come sbagliate Babbo e mamma mi hanno sempre spronato a non essere triste, a non piangere, ad affrontare di petto la vita, senza capire che per me era necessario vivere quei momenti e quelle emozioni, ed è successo che tenendo tutto dentro un bel momento non ce l’ho fatta più. E allora ho trovato una soluzione per far uscire il dolore che portavo dentro: :nonsentivopiù niente, non ero più niente, ed è a questo punto che l’arte mi ha salvato la vita.

Ed ora? A quali consapevolezze e convinzioni sei arrivata?

Posso dire che con fatica ho pian piano preso coscienza dei miei problemi e delle mie criticità, che sto imparando grazie ad un costante lavoro con la mia psicoterapeuta ad affrontare le mie fragilità e a proteggermi da quello che ancora non sono pronta ad affrontare.

E ho finalmente acquisito lacertezzache sentirsi amati ed accettati è il motore che può farci scalare qualsiasi montagna; perché la vita non è una pianura, e sappiamo bene che spesso le salite sono impervie, ma, se non ci scoraggiamo e saliamo passo dopo passo e riusciamo a superare la paura di non farcela, allora arriveremo alla cima e ne sarà valsa la pena perché potremo godere di una vista stupenda perché la vita è stupenda!

Perché mettersi in costume è una “prova”?

«Dieta dell'estate: come superare e vincere la prova costume»

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ConTatto Apr../ Mag.‘23
ConTatto 8 Apr../ Mag.‘23

L’esperienzaalCentroArianna: Un’occasionedicrescitaprofessionaleeumana

ConTatto Apr../ Mag.‘23
ConTatto 10 Apr../ Mag.‘23
ConTatto Apr../ Mag.‘23
ConTatto 12 Apr../ Mag.‘23

«È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.»

[ da L’AttimoFuggente ]

Intervista a Virginia Vinci

Perquestonumerodelmagazinehoilpiaceredicondividerel’esperienzadiVirginia,unadellemiepiù careamichefindaitempidelliceo,chesièraccontatanellasperanzadipoteressered’aiutoatanti lettori.

Mi chiamo Virginia e ho 24 anni, sono nata a Genova, dove studio Chimica e Tecnologie Farmaceutiche.

Mi considero una persona multipotenziale, una di quelle persone a cui piacerebbe fare 300 cose al giorno machefinisceperfarnepurtropposolo qualcuna per il poco tempo a disposizione…

Per esempio, ho frequentato il Liceo Classico nonostante non fossi molto portata per le materie umanistiche, e mi piacerebbe poter sviluppare anche la parte creativa di me oltre a quella più razionale che mantengo viva con i miei studi.

Da sempre mi piace tantissimo lo sport, mi piace mantenermi attiva per potermi sfogare e ritagliare un po’ di tempo per me stessa e il mio corpo.

scuola di danza, il confronto con i miei coetanei…

Diciamo che sono stati due i periodi più bui, i 14 anni e i 16 anni.

In generale, era un periodo in cui in famiglia non andava esattamente a gonfie vele, il che mi pesava parecchio, soprattutto perché ero ancora solo una ragazzina, stavo affrontando il periodo dellaprimaadolescenzaeicambiamenti che stavo sperimentando sul mio corpo erano difficili da accettare.

A questo, poi, si aggiungevano altri input esterni che sicuramente hanno contribuito, come l’ambiente della mia

A 14 anni c’è stato il primo downemotivo. La situazione era in alto mare: in famiglia andava piuttosto male e il contorno adolescenziale in cui stavo vivendo hanno dato il via a tutti quei meccanismi che hanno poi innescato la malattia. Ho iniziato a mangiare in maniera incontrollata, ho messo su qualche chilo e di conseguenza non mi piacevo, sentivo il desiderio di cambiare il mio corpo. Da lì la discesa più totale, fino all’età di 16 anni in cui ho affrontato un secondo periodo molto buio, questa volta dovuto alla malattia in sé. La restrizione caloricamilasciavatalmente poche energie per carenza di zuccheri da non permettere al mio cervello di memorizzare parecchie situazioni che ho vissuto, come per esempio pezzi di lezioni a scuola o altre cose che ho fatto inquelperiodo,tantocheancoraoggiho molti vuoti di memoria sui miei 16 anni.

Quando sei dentro al disturbo ti senti sempre tu contro tutti gli altri: questo perché, non ammettendo di soffrirne, nel momento in cui ti fanno notare che alcuni tuoi comportamenti potrebbero essere dovuti ad un disturbo alimentare il primo pensiero che ti passa per la

ConTatto Apr../ Mag.‘23

testa è che quelle persone lo stiano dicendo per ostacolarti, perché per qualche motivo vogliono il tuo male, e di conseguenza crei barriere molto alte tra te e gli altri.

Nel mio caso, però, né con mia sorella né con le mie amiche ho mai propriamente eretto muri, ma ho sempre mantenuto abbastanza i rapporti con le persone a cuitenevoe chesapevotenesseroame, soprattutto con la mia migliore amica, che era l’unica persona con cui riuscivo ad aprirmi un pochino di più ogni tanto e da cui quindi ho sentito più supporto.

Per quanto riguarda il rapporto con la mia famiglia, in casa la vivevo piuttosto male perché la mia restrizione calorica rendeva i miei genitori giustamente più apprensivineimieiconfrontie questomi complicava ulteriormente le cose. Difatti la mia motivazione a non mangiare non è mai stata quella di ricevere attenzioni da parte dei miei genitori, come spesso accade in questi casi; non è mai stata una forma di protesta, anche perché non ho maiavuto problemidi questo tipo con loro, e anzi quasi avrei voluto riceveremenoattenzioniinquelperiodo. Il mio era più un discorso di insicurezza a tutti i livelli e che io credevo e speravo di poter superare perdendo peso e che per questo motivo manifestavo attraverso questa lotta contro me stessa.

Ho sempre considerato mia sorella una figura molto più esterna al resto della mia famiglia: quando ero con lei eravamo solo noi due fuori dal ‘campo di battaglia’. Era proprio quello il periodo, tra i 15 e i 16 anni, in cui abbiamo iniziato a legare di più, siamo diventate molto più unite e molto più “sorelle”, smettendo di litigare sempre per ogni cosa e passando molto più tempo insieme a parlare, scherzare… Sicuramente quando ha capito quello che stavo vivendo si sarà sentita anche in parte responsabile, però

principalmente ci siamo avvicinate perché voleva esserci per me e come tutte le persone che erano legate a me, pativa davvero tanto la situazione. Sonocosechepurtroppocapiscisempre dopo, quando inizi a renderti conto che tutto quel che le persone ti dicevano e che facevano non lo dicevano e non lo facevano per il tuo male, ma solo per il tuo bene, perché vedevano la tua sofferenza quando tu non eri capace di vederla,operlomenofacevifintadinon vederla.

Sicuramente avrei voluto che qualcuno mi ricordasse tutto quello che mi sarei persa se non fossi riuscita a superare il mio DA. Ma non intendo una di quelle tipiche frasi motivazionali che la maggior parte delle persone si sente quasi spesso in dovere di dire: avrei piuttosto preferito che qualcuno mi chiedesse come stessi in generale, al di là di quello che il mio aspetto fisico potesse far intendere, perché prima di essere il mio corpo sono una persona. Quello che non avrei voluto ricevere è l’atteggiamento di compassione nei miei confronti, che comprendeva anche quella serie di domande e affermazioni, tra cui il classico «ma quanto sei dimagrita?!», che mi faceva sentire sempre al centro dell’attenzione quando invece ne avrei volentieri voluta meno…

C’è stato un momento che io chiamo “epifania”, in cui nel mio cervello c’è stato un click immediato che mi ha fatto improvvisamente rendere conto di quello che stavo vivendo e che fino a quel momento, pur essendone benissimo a conoscenza, non volevo ammettere a me stessa.

Era una giornata come tutte le altre fino a quando non ho visto una ragazza molto magra alla fermata dell’autobus che non si reggeva in piedi e che stava

ConTatto 14 Apr../ Mag.‘23

per svenire. In quel momento mi sono rispecchiata in quella ragazza e ho pensato di non voler finire così, mi sono detta: «va bene, c’è un problema». Da quel giorno è stata solo una risalita… Ovviamente questo è stato solo il primo step, a cui poi ho aggiunto altre motivazioni che mi spingessero a voler chiedere un aiuto, come per esempio il desiderio di recuperare forza ed energie perstudiare,per ricominciare a fare attività fisica come un tempo e riuscire a sfogarmi di più a fine giornata, per non far più preoccupare così tanto le persone a me care… e tanto altro.

Essendo sempre stata una persona piuttosto attiva anche durante la malattia, perché ho sempre mantenuto un certo livello di attività fisica, seppur minima, sicuramente devo molto allo sport e in particolare allo yoga.

Mi sono avvicinata allo yoga per curiosità, la stessa curiosità che mi ha sempre invogliata a imparare cose nuoveecheperviadellamalattiaavevo purtroppo perso da tempo. Conoscere una nuova disciplina e una nuova filosofia mi ha fatto ritrovare la voglia dimettermiingiocoediimparare,quindi di conseguenza mi ha spronata a recuperare le energie di cui avevo bisogno per poterlo fare.

Loyogamihainsegnatoaentraremolto più in contatto con il mio corpo, ad ascoltare i miei bisogni, aiutandomi a prendere consapevolezza dello spazio che occupo nel mondo — in tutte le sfaccettature che questa frase può avere imparando a sentirmi abbastanza così come sono, senza dover rincorrere nessun ‘ideale’. Il che è stato d’aiuto soprattutto dopo essermi resa conto che c’era un problema, e quindi nel lento percorso di risalita, perché facendo mia questa filosofia sono riuscita a ridurre molte insicurezze su me stessa non solo fisicamente ma

anche nell’ambito professionale, delle amicizie, etc..

Ultimamente non pratico più lo yoga con la costanza di qualche anno fa perché ho esigenze diverse, sento il bisogno di sfogarmi facendo sport un po’ più dinamici, ma nonostante questo non l’ho mai abbandonato e mi accompagna sempre, soprattutto in quei momenti che voglio dedicare solo a me stessa.

Sinceramente non ne ho idea: non so cosa vorrò essere di preciso. Diciamo che ho tanti sogni nel cassetto, ma il mio desiderio principale è una vita felice e serena, costruirmi una famiglia con la persona che amo.

Sicuramente ciò che ho passato mi ha cambiata, ha in qualche modo forgiato il mio carattere di oggi e il mio modo di affrontare la vita, quindi non voglio vederlo come un qualcosa da cui scappare, ma anzi come una parte del mio vissuto da ricordare e accettare e dalla quale provare ad uscire un pochino più forte.

ConTatto Apr../ Mag.‘23

«Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno mai inciampato. […] A loro non si è svelata la bellezza della vita.»

Ascoltarsi, accettarsi, amarsi

Vorrei iniziare quest’articolo mettendo in luce una canzone che mi affascina particolarmente: BornThis Way , famoso brano del 2011 di Lady Gaga e che significa letteralmente “nato così”. Scrivendo questo brano lei sottolinea l’importanza dell’accettarsi. Cito: «we are all born superstars» «siamo tutti nati per brillare» e anche se spesso è difficile, dobbiamo, però, essere orgogliosi di noi stessi e camminare sempre e comunque a testa alta.

Sono quasi sicura che ci sarà qualcuno che, ora, leggendo questa mia ultima frase, penserà: «beh, facile a dirsi!», oppure: «sicuramente è perché non stai vivendo quello che vivo io ora.». Ovviamente ognuno di noi porta con sé i propri ostacoli e le proprie insicurezze e se sono qui a parlare di questo è perché anche io, inprimis , mi colloco fra quelle persone che hanno avuto tanta difficoltà nell’accettarsi.

Potrei partire dal fatto che da piccola avevo gli occhiali, l’apparecchio, ero molto più alta rispetto ai bambini della mia età e via discorrendo… ma no, non voglio neanche parlarvi di questo. Vorrei, invece, concentrarmi su un’altra esperienza che ho vissuto e da cui solo successivamente sono stata in grado di trarre insegnamento.

Sono cresciuta in una famiglia di Classicisti; li definisco così perché tutti hanno frequentato il Liceo Classico, a partire dalla mia nonna fino ai miei cugini.

Quando è arrivato il mio turno di andare alle scuole superiori, ovviamente, per non sentirmi da meno, mi sono segnata anche io al Classico, convinta che fosse una tradizione di famiglia e che anche io dovessi fare così per sentirmi accettata come se frequentare un’altra scuola sarebbe stato chissà quale dramma! Peccato solo che, una volta lì, ho notato che non era affatto quello il percorso che volevo intraprendere e che tutto mi piaceva tranne che le materie classiche (non a caso ora mi ritrovo a laurearmi in una facoltà scientifica). Nonostante questo, ho continuato e, senza indugio, ho portato a termine il mio percorso, convinta che comunque questa dovesse essere la mia strada. Solo successivamente, con il passare del tempo, mi sono resa conto che la prima persona che doveva accettare se stessa ero proprio io.

ConTatto 16 Apr../ Mag.‘23

Per fortuna, posso dire di essermene resa conto abbastanza presto e di aver preso le successive decisioni unicamente ascoltando i miei bisogni. Mi sono lasciata condizionare in un percorso fondamentale dei miei studi perché la necessità di sentirmi accettata dalla mia famiglia andava oltre il mio essere.

Oggi viviamo quasi costantemente nel bisogno dell’accettazione altrui al punto da dimenticarci cosa voglia davvero il nostro io. Ed è proprio sul termine «io» che vorrei soffermarmi. Un noto psichiatra e filosofo, Carl Jung, differenzia due termini, «individualismo» e «individuazione», e sostiene che il primo si basa sul narcisismo, è incentrato solo sul bisogno dell’io; mentre l’individuazione include in gran parte uno sviluppo dell’io che però non finisce qui: infatti si dà importanza anche agli altri e ai rapporti sociali includendoli come essenziali. Riconoscere i propri bisogni, capire cosa davvero si vuole è fondamentale. Questo però non significa non tener conto dell’opinione delle persone che ci circondano: anzi, questa deve essere presa in considerazione, ma in positivo, per migliorarci e non cambiarci radicalmente.

Ed è qui che entra in gioco un paradosso: accettarsi e migliorarsi sono concetti antitetici o no? Sentire la necessità di migliorare significa che non accettiamo chi siamo?

Oggi siamo contornati da influencer che usano frasi come: «accettati per ciò che sei», come se decidere di migliorarsi implicasse una non accettazione di se stessi assumendo così una connotazione negativa.

Accettarsi non significa rimanere fermi, in corridoi senza uscite della nostra esistenza, ma piuttosto significa accettare i nostri limiti e accettare l’esplorazione delle proprie possibilità per darci l’opportunità di evolverci e migliorarci. Perché nessuno di noi parte già completo e migliorarsi significa esplorare le nostre capacità di adattamento (soprattutto se guardiamo in termini di relazioni con gli altri), senza negare la propria identità. Quindi questi due termini si rivelano di fatto alleati.

Vorrei citare un imperatore, Marco Aurelio, che in questo connubio fra miglioramento e accettazione è riuscito a dominare un intero Impero, pur rimanendo un «timido, riflessivo, spesso solitario, personaggio», come affermava lui, «guardandosi vivere», che semplicemente denota il ripensare alle cose fatte e dette per ricordarsi dei propri errori ma anche dei propri meriti. Osservare, quindi, il nostro vissuto per auto-valutarci, per individuare ciò che siamo e identificare anche i nostri limiti, affinché possiamo migliorarci, ma senza lasciarci trasformare. Negare le emozioni, gli errori o il fatto che siamo umani e imperfetti ci allontana dalla realtà; invece, riconoscerla significa proprio accettare tutto ciò che fa parte di noi e, solo allora, saremo in grado di vivere la nostra vita piena di emozioni positive.

ConTatto Apr../ Mag.‘23

“Proprio nei momenti più difficili diventa ancora più importante essere bravi a prendersi cura di se stessi.„

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«Devi essere forte»: devi, devi, devi

ConTatto 18 Apr../ Mag.‘23
ConTatto Apr../ Mag.‘23
«Isentimentisonocomeleonde:nonpuoiimpedirechearrivino,mapuoisceglierequalicavalcare»
ConTatto 22 Apr../ Mag.‘23
ConTatto 23 Apr../ Mag.‘23 Domande? Commenti? Riflessioni? Suggerimenti per il prossimo numero? Scrivici a lavitaoltrelospecchio@gmail.com
Feb./ Mar.‘23

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