M.CHIOLERIO, Giona, figlio di veritiero

Giona profeta figlio di Veritiero Ribellione, fuga, preghiera negli abissi, adesione al piano di Dio MARCO CHIOLERIO

I testi sono tratti dal corso di formazione del prof. Chiolerio tenuto ai membri dell’Associazione di Volontariato «Amici della Consolata» operante all’interno del Santuario della Consolata fin dal 2008.

Torino, 2012

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IL LIBRO DI YONAH Ribellione, fuga, adesione al progetto di Dio sull’umanità

INTRODUZIONE Nella Bibbia cattolica il libretto di Giona, appena 4 capitoletti, è inserito nel corpus dei profeti, secondo la classica divisione tripartita (libri storici, profetici, sapienziali). All’interno poi di questo corpus profetico, riconosciamo la suddivisione vigente tra profeti maggiori e minori o, se vogliamo, tra profeti scrittori (Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele) e i 12 Profeti minori, tra i quali troviamo Giona. E’ un libro poco conosciuto nel suo insieme (ci si ferma alla conoscenza di Giona nel pesce) ma molto importante.

Per capire la sua importanza cruciale, partiamo dalla sua collocazione nell’uso liturgico ebraico: anche nelle sinagoghe, fino ad oggi, esiste il momento liturgico dell’ascolto comunitario della Parola, le “Letture”. Per loro sono due (visto che i Salmi si pregano sempre, prima e dopo): la prima lettura tratta dalla Torah e la seconda presa dai profeti (haftarah)1. Uno dei “tempi forti” più importanti per la liturgia ebraica sono i 10 giorni speciali (yamim noraîm = terribili) che vanno dal Capodanno ebraico (Roš ha-šanâ) fino alla festa dell’Espiazione (lo Yôm Kippur).

Sono i giorni in cui i credenti riflettono sul contenuto del termine conversione (tešuvâ). Si tratta, cioè, di un periodo penitenziale, nel quale il credente si chiede se la conversione e il pentimento di una persona da sempre apertamente ostile a Dio e il susseguente perdono non possano, in un certo modo, compromettere il nome stesso e l’esistenza di Dio. Solo questo meccanismo interiore di rinascita (non esistono per l’ebreo mediazioni salvifiche esterne) può dare la forza di diventare creature nuove e poter così comparire al cospetto del “SANTO” (uno dei nomi di Dio). Bene, proprio nella connessione tra “conversione” e “perdono”, quasi alla fine del giorno santo dello Yom-Kippur viene letta come “seconda lettura” (haftarah) il libro di questo “strano” profeta, che – come ogni credente – fatica ad entrare nel processo di conversione-perdono.

E’ un libro che dai nostri «fratelli maggiori» Ebrei viene considerato il cuore stesso dei libri dei profeti2 e questo sia per la terminologia, sia per tutti gli aspetti importanti caratteristici di questo genere letterario: natura della Cf. Lc 4 : a Gesù, nella sinagoga di Nazareth, viene consegnato il libro del profeta Isaia ed egli legge il capitolo 61, commentandolo (omelia) e attualizzandolo.

2 SHLOMO BEKHOR, Sefer Yonah, DLI/Mamash, Milano 1996, 7.

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profezia, interpretazione della parola profetica, possibilità di rovesciare la volontà divina attraverso il pentimento, la maledizione che diventa benedizione, il ruolo del profeta tra i credenti e i non credenti, ecc.

L’interpretazione storica di questo libro vede nel protagonista un personaggio storico realmente esistito, Giona figlio di Amittay 3, comparso nella prima metà del 700 aC nel regno del nord (Israele) e ricordato durante il regno del ricco re Geroboamo II (786-746 aC)4 (cf. 2Re 14,25). Anche al tempo di Gesù questa interpretazione andava per la maggiore5. Per alcuni, il nostro Giona profeta sarebbe il figlio della vedova di Zarepta, risuscitato da Elia.

Presentare un profeta serio e blasonato all’inizio, può essere un espediente letterario che provoca l’effetto sorpresa, man mano che il racconto svela l’avventura di Giona. Il suo nome ad un orecchio ebraico suona Colomba, figlio di Verace. Uno dei primi «Colombo», insomma …

Ma le difficoltà sono tante: al tempo di Geroboamo II, Ninive non era capitale dell’Assiria6, le sue dimensioni non sono confermate dall’archeologia (3,3), la zoologia non conosceva il grande pesce del Mediterraneo e, non ultimo, secondo la storia delle religioni, Ninive non si è mai convertita7.

L’interpretazione allegorica si è anche abbastanza diffusa. Qui si prende l’allegoria nel suo significato letterale: un'immagine o un discorso che nasconde un significato diverso dal suo significato letterale. Questo procedimento retorico permette di trasformare nozioni astratte o concetti morali in immagini spesso suggestive. Quindi ogni immagine, figura o personaggio del libro sarebbe da sostituire con il suo equivalente “metaforico”: Giona è Israele, che, rifiutandosi di svolgere il proprio compito fra le nazioni, viene inghiottito dal pesce (cioè l’Esilio babilonese). Ninive è il mondo pagano, e il secondo invio di Giona-Israele alle nazioni provoca in lui un malessere che è quello di altri personaggi biblici, che mal sopportano la misericordia di Dio verso i nemici e invocano piuttosto la vendetta divina (Neemia, Esdra, Gioele e Abdia).

Anche qui le difficoltà sono tante: dal momento che l’allegoria esclude ogni valore al significato letterale, ci si deve poi arrampicare sugli specchi per trovare un corrispondente simbolico ad ogni figura letteraria: e allora, chi

Originario di una località sconosciuta: Gat-ha-Héfer – torchio di Hefer (?)

Yarab-‘am = il popolo ingrandisce (rad. rbb o rbh). Al suo tempo vivono anche Gioele e Amos.

5 Mt 12,38-41 e Lc 11,29-32.

6 Pare sia stato Sennacherib (705-681), figlio di Sargon a trasferire a Ninive la capitale assira. Venne distrutta nel 612 aC da Medi e Caldei.

7 Il Padre della Chiesa di Cappadocia Gregorio Nazianzeno metteva in dubbio la storicità del libro già nel IV secolo.

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sono i marinai? E’ verosimile che Israele sia andato “spontaneamente” in esilio, come Giona chiede spontaneamente di essere gettato a mare?

La maggior parte dei commentatori ritiene perciò il libro di Giona una PARABOLA, con funzione didattica (ebr. mašal). Si tratta di un racconto (sullo stile di quelli che userà Gesù stesso) tipico del mondo sapienziale più che di quello profetico, in cui si rinuncia a cercare un corrispondente letterale ad ogni figura letteraria, ma si apprezza il racconto in quanto tale e soprattutto per il suo messaggio globale.

Per questo, più che nel corpus profetico il libro di Giona andrebbe inserito nei KETUVIM, gli Scritti sapienziali. Non Oracoli, quindi, che veicolano autoritariamente l’interpretazione della volontà di Dio per quel tempo e luogo particolare (l’unico oracolo di Giona 3,4 non si realizza …); bensì uno stupendo racconto, un gioiellino letterario, che ha la finalità di far riflettere, di porre dei problemi, magari anche tentando di scalfire alcune idee teologiche presenti in altri libri della Bibbia.

Sul messaggio che l’Autore di questo libro ha voluto dare, le ipotesi sono svariate (rapporto tra elezione-universalismo, ruolo di Israele fra i pagani, mancata realizzazione delle profezie contro Ninive, relazione tra Dio e il suo profeta, ecc.).

Senza entrare nel dettaglio di ognuna, emerge comunque evidente una particolare visione di Dio (al centro del racconto) e una particolare visione del mondo, con una probabile relativa chiamata all’universalismo, a fronte del nazionalismo xenofobo di Esdra-Neemia del periodo post-esilico. Questo porterebbe a ipotizzare la composizione del libro verso il V secolo aC. (dopo aver escluso l’VIII secolo e i riferimenti a 2Re 14,25).

Il contatto con la letteratura sapienziale emerge anche dall’attenzione ad alcuni temi particolari, come quello della teologia della creazione (cf. Gio 1,4) ma soprattutto dalla disillusione che emerge nel testo nei confronti della profezia: non viene presentato un profeta autoritario, sicuro di sé, ma piuttosto pieno di ironia, di autocritica, profondamente umile quando ammette di non essere d’accordo con quanto Dio gli ordina di profetare.

Questo potrebbe riflettere un periodo storico in cui la profezia viene meno.

Giona è uno degli ultimi rappresentanti della figura profetica. Ma già testi come Ger 18,18 indicavano la solitudine del profeta di Yhvh di fronte a tanti altri profeti, chiamati dal testo “falsi”, sicuri e boriosi, certi di avere sempre

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una risposta da dare di fronte ad ogni evenienza storica. Ma il silenzio di Dio è anche il silenzio del suo profeta. E questo è ciò che avverrà8.

Ci sono poi delle argomentazioni linguistiche: il testo ebraico originale risente di molti aramaismi, cioè di uno slittamento verso quella che sarebbe dovuta diventare la lingua ufficiale parlata in Israele, l’aramaico, relegando l’ebraico al mero ambito liturgico. Dal momento che questo fenomeno avvenne nel post-esilio (ossia dopo l’editto di Ciro del 538 aC), la datazione post-esilica sembra confermata.

In realtà queste argomentazioni non sono probanti e sono state confutate 9. Il libro di Giona può essere situato dal tempo di Geremia fino al 200 aC. Non più in là, in quanto in questa data, era già parte del volume dei «Dodici Profeti» (cf. Sir 49,10).

Quanto detto, ci consente di ridurre a due i filoni principali di cui si occupa questo piccolo libro profetico, decisamente diverso dagli altri della sua collezione (12 Profeti minori): 1) la riflessione sulla profezia 2) la riflessione sul mistero di Dio. LA PROFEZIA Vedremo in dettaglio nel commento al testo, ma abbiamo già ricordato l’autoironia, la mancanza di oracoli, la discussione (e ribellione) del profeta nei confronti della Parola che si rivolge a lui, cosa che lo rende estremamente lontano dal capostipite dei profeti10, quell’ELIA che viene afferrato dalla Parola (o dalla RUAH YHVH) e spostato come un docile strumento; oppure dall’affermazione categorica di un Amos: «Ruggisce il leone: chi non tremerà? Il Signore Dio ha parlato: chi non profeterà?» (Am 3,8).

Semmai lo rende più simile (ma non tanto) a Geremia, che perlomeno vorrebbe non profetare, ma sente un fuoco dentro che prevale e dal quale si sente quasi violentato, costretto a parlare.

Rimane vero che nel VI secolo si assiste ad uno slittamento della concezione biblica della profezia: da annuncio di ciò che Dio stava per compiere sulla Cf anche un testo molto precedente al periodo del “silenzio” della profezia, 1Sm 3,1: «La Parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti».

9 LANDES G.M., «Linguistic Criteria and The Date of the Book of Jonah», in: Harry M. Orlinsky Volume, Jerusalem 1982, 147-170.

10 In realtà il fenomeno profetico è ben più ampio di quello racchiuso nella letteratura profetica. Il Deuteronomio chiama Mosè «il più grande tra i profeti», i Giudici hanno caratteristiche profetiche, Samuele, ecc.

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terra, sullo schema giudizio-castigo, o meglio: vedere, giudicare, operare (il castigo), ad una semplice chiamata al pentimento, tipica della teologia deuteronomista e di Geremia, ripresa ed approfondita da Ezechiele.

Quando la riflessione su di un profeta che fugge dalla sua missione, o sull’evidente discordanza tra le confessioni di fede del profeta (Gio 1,9 e 4,2) e le sue azioni, oppure su di un oracolo profetico che non si realizza … quando tutto ciò non viene dall’esterno come critica, bensì dall’interno, dagli stessi ambienti profetici, ciò significa far emergere «lo spirito migliore del profetismo»11. Si tratta di un’autocritica e un’auto-ironia che intendono mettere in crisi la rigida dottrina della retribuzione (cf Deuteronomio: se fai il bene, sei benedetto; se fai il male, sei maledetto …) e riflettere sui compiti dell’uomo di Dio e delle sue fatiche nel mettersi in sintonia con la parola che deve annunciare.

IL MISTERO DI DIO Anche se i germi, come già detto, li possiamo trovare anche prima, sicuramente la grande tragedia dell’Esilio per Israele è stata l’occasione di riflettere anzitutto sul mistero di Dio, e di conseguenza su se stesso e su tutto il mondo e le sue relazioni.

Lo richiamo brevemente, per chi non lo avesse presente: nel 587 aC, dopo dieci anni dalla prima deportazione e dopo un durissimo assedio, gli israeliti vedono cadere la loro capitale Gerusalemme per mano dei Babilonesi. Le mura sono distrutte, la città incendiata, il tempio profanato e distrutto, tutta l’elite politico-religiosa viene deportata a Babilonia. Il paese è lasciato senza riferimenti, senza più autorità né civili né religiose. Ciò che aveva annunciato Osea (per il regno del nord) si stava verificando per tutto il popolo: «Poiché per molti giorni staranno i figli d'Israele senza re e senza capo, senza sacrificio e senza stele, senza efod e senza terafìm » (Os 3,4).

Questo provoca una riflessione profonda, non tanto sulla perduta indipendenza politica, quanto piuttosto su Dio e sulle sue promesse. Chi è Dio veramente? Ci ha scelti come popolo, ci ha mandato capi e profeti, ci ha dato una terra, un tempio, una dinastia, promettendo solennemente che questi luoghi sarebbero stati in eterno sede della sua dimora, luogo d’incontro, segno della sua presenza e signoria in mezzo al popolo.

E ora? Senza più terra (inizio della diaspora), senza tempio né sacerdoti né culto, come esprimere la relazione con Dio? Forse gli dei babilonesi erano stati più forti? Il Dio di Israele era forse un Dio debole?

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VONRAD G, Teologia dell’Antico Testamento, II, 342.

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Il mistero di Dio si infittisce, dunque: Dio è debole, non potendo rispettare le sue promesse … oppure - peggio - è bugiardo, perché promette e poi non gli interessa niente di mantenere …

Ma allora Israele non è più il popolo scelto e amato fra tutti i popoli …

E poi, Dio non ha forse sempre promesso di punire i malvagi? E’ piena la Bibbia di espressioni simili, dove Dio promette di intervenire e punire i nemici di Israele, di ristabilire la giustizia12.

Certo, la giustizia: Dio è giusto?

Se non da ai malvagi ciò che si meritano, anzi, si profila la possibilità della conversione e del perdono, anche per i peggiori nemici del popolo scelto di Dio (Ninive)13, la confusione è proprio grande14. Bisognerà aspettare uno degli ultimi libri dell’AT per vedere nella Bibbia una riflessione sulla paideia (pedagogia) di Dio, al quale si può applicare il concetto umano di punizione SOLO ed esclusivamente in funzione della conversione e della salvezza15.

Israele non capisce più Dio. Capiremo, leggendo il testo, che la chiamata a conversione è ANZITUTTO per il popolo eletto (per noi, chiamati, credenti) e solo in seconda battuta per quanti noi chiamiamo “lontani” (non credenti o atei).

Tra gli altri: Is 14,3-21 Ab 2,6-20.

Ninive come simbolo di imperialismo e crudeltà: cf. Is 10,5-15 Sof 2,13-15 Nahum.

14 Anche il Dio predicato da Gesù è molto “provocatorio”: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Cf. anche Lc 19,1-10 (Zaccheo di Gerico).

15 «Per questo, tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore» (Sap 12,2). «Giudicando, invece, a poco a poco, lasciavi il posto al pentimento, sebbene tu non ignorassi che la loro razza era cattiva» (Sap 12,10). «Il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente verso tutti» (Sap 12,16).

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PROPOSTA DI SCHEMA La suddivisione letteraria può essere di questo tipo : A Prima missione 1,1-2,11 1) Giona e i marinai 1,1-16 1.1. la fuga di Giona 1,1-3 1.2. la tempesta 1,4-16 2) Giona e il grande pesce 2,1-11 B Seconda missione 3,1-4,11 1) la conversione di Ninive 3,1-10 1.1. l’azione del profeta 3,1-4 1.2. la reazione della città 3,5-10 2) tentativo di Dio di convertire Giona 4,1-11

A. PRIMA MISSIONE (1,1-2,11) 1. GIONA E I MARINAI (1,1-16) 1.1. La fuga di Giona E fu la parola-di-Yhvh verso Giona.

Come ricordato nell’introduzione, la Parola del Signore non afferra violentemente Giona (come faceva con Elia), prendendo possesso in modo autoritario del proprio canale di comunicazione con il mondo (il profeta) 16.

Qui la preposizione ebraica ‘al (sopra) cede il posto alla preposizione ’el (verso). La Parola di Dio si mette in dialogo con Giona, si propone al suo profeta. E’ il primo passo di Dio, che cerca di far entrare il suo profeta nella

Una delle definizioni del profeta è “uomo dello Spirito” (iš harruaḥ), cioè espropriato, spodestato, affidato unicamente al “Vento fortissimo”, all’Alito di Dio, allo Spirito creatore e comunicatore. Qui, dice EUSEBIO di Cesarea, «tutta il racconto stesso è tutta profezia, il che vuol dire che la profezia vi prende la forma di racconto ». Non ci saranno più, infatti, altre frasi “tecniche” simili profetiche.

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sua mentalità, nel suo modo di vedere le cose. Chiede qualcosa, per offrire qualcosa17.

Alzati, va’ …

Due imperativi significativi. Alzati è l’imperativo del “risveglio” (qûm)18. Dio scuote il torpore di Giona. Alzati entra nella vita statica, quotidiana, regolare di questo personaggio del quale non sappiamo niente, se non il nome di un padre sconosciuto, Amittay. Va’ (ebr. lekh) è invece il comando dell’invio.

Dopo che una persona si è alzata, è risorta a vita nuova, allora può aderire all’invito di Dio, che la rende collaboratrice del suo messaggio. L’inviato è colui che può portare il messaggio di chi lo invia perché vi aderisce. La parola dell’apostolo è la parola stessa di Gesù19.

Va’ a Ninive, la città grande, e parla contro di lei Come Elia era stato mandato a Damasco e Mosè addirittura al Faraone d’Egitto, così Giona viene mandato a Ninive. La Parola di Dio giudica la storia intera, le nazioni vicine sono spesso bersaglio delle parole dure dei profeti d’Israele. Anche chi non conosce Dio, prima o poi, deve farci i conti.

Ninive era certo una grande città, ma GRANDE è un aggettivo che caratterizza tutto il racconto. Questo è il primo della serie. Noi troveremo tanti sinonimi in italiano, ma nell’originale è sempre gadol.

La traduzione italiana è simile alla LXX(greca) che dice «predica in essa» (CEI : in essa proclama). Il verbo qrh+‘al indica sempre un gridare contro, dire qualcosa che non piace. La motivazione di questo invio è detta chiaramente: la loro malvagità è salita fino a me (cf. Gen 18,20 per Sodoma/Gomorra).

Dio non è indifferente, distante, lontano dai problemi umani. All’inizio dell’Esodo, il grido dei figli di Israele, oppressi dal nuovo faraone egiziano per i suoi scopi edilizi, «sale fino a Dio» ed Egli decide di «scendere» a vedere.

E’ un modo molto umano di esprimersi, perché in Dio non c’è alto e basso, salire o scendere, ma rende l’idea. Quando il male supera un certo limite, Dio interviene.

E interviene come ha sempre fatto nella storia, ossia, cercando delle persone che parlino per lui. Se Dio intervenendo, accusa, manda qualcuno a parlare «contro», a gridare o a predicare un castigo, è per il bene e la salvezza, perché Magistrale il dialogo di Gesù con la Samaritana, dove chiede «Dammi da bere» per poter offrire la sua «Acqua viva».

18 Mc 5,41: «Talità qum!». Con queste parole, Gesù richiama la figlia di Giairo dalla morte.

19 Mt 10,40-41 e Gv 13,20 : «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto».

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a Lui sta a cuore ogni essere vivente. E’ il dinamismo della profezia. Chi viene inviato da Dio, spesso non s’impone automaticamente, non viene riconosciuto, non schiaccia con evidenti prove del divino. Dio si prone, suggerisce, indirizza, bussa alla porta, ma raramente violenta i credenti.

Ninive, simbolo di ogni imperialismo ed oppressione (come sarà Babilonia per l’Apocalisse, ad es.) è la destinataria di una parola dura, ma detta per la sua salvezza, da parte di un Dio che non conosce ma che la ama e vuole la sua conversione.

Qui il testo italiano introduce un invece che nel testo originale non c’è, creando in esso il senso del contrasto e dell’ironia: E Giona si alzò (qûm) ma non è un alzarsi come ci aspetteremmo per obbedire ed eseguire il comando di Dio. Si alzò per fuggire verso Taršiš, lontano dal cospetto del Signore.

Sembra che Giona obbedisca: si alza. Ma il suo intento è altro rispetto alla parola che gli era stata rivolta e la direzione opposta20.

Sappiamo da Genesi 10,4 la prima grande tavola delle nazioni dopo il diluvio, che Taršiš è nipote di Jafet, figlio di Noè. Si tratta dei popoli del «nord» (Cimmeri, Lidia, Armenia, Greci della Ionia), denominati anche «popoli delle isole» o popoli del mare (Chittim = Creta o Cipro, antenati dei Filistei). Per alcuni l’antica Tartessos indicherebbe la Tunisia, la Sardegna oppure la Spagna. Ciò che importa, è che è praticamente la direzione opposta a quella dove lo voleva mandare la Parola di Dio. In 2Cronache 9,20-21 si trova questo testo: «Tutti i vasi per le bevande del re Salomone erano d'oro […] nessuno era in argento, perché ai giorni di Salomone non valeva nulla. Difatti le navi del re andavano a Tarsis, guidate dai marinai di Curam; ogni tre anni le navi di Tarsis arrivavano portando oro, argento, zanne d'elefante, scimmie e pavoni».

Allora, anche se non sappiamo bene dove sia, sappiamo che già il re Salomone - il primo ad allestire una flotta con legname (e marinai) della Fenicia21 - perlomeno ogni tre anni riceve una spedizione da Tarsis con tanti beni preziosi per la sua splendida reggia.

Questo grande testo narrativo inizia, poi, a giocare con i verbi.

Qui viene espresso dal verbo ebraico brh + min ( xr;B'). Per coniugare l’attraversamento del mare fino agli estremi confini della terra e la discesa nelle profondità, il TARGUM palestinese parafrasa Deut 30: «La legge non è più in là del mare, perché tu debba dire “Voglia il cielo che possiamo trovare qualcuno come Giona che discenda fin nel profondo del mare per portarcela…!».

21 Hiram (qui Curam) è il re di Tiro, la città più importante per i traffici del Mediterraneo del tempo. I Fenici, al contrario degli Ebrei, sono grandi navigatori.

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Giona si è alzato, ma per iniziare … a discendere : discese a Giaffa, trovò una nave diretta a Tarsis, consegnò l’ammontare, discese dentro di essa, per andare insieme a loro verso Tarsis, lontano dalla presenza del Signore.

Giona inizia un viaggio di DISCESA. Dalle montagne centrali scende verso la costa del mare … scende dentro la nave … La stessa Taršiš, come la discesa, hanno ormai uno scopo esplicito: «lontano dal cospetto del Signore».

E’ il percorso di allontanamento dalla Parola, un tentativo (inutile) di sfuggire da Colui che tutto vede ed è dappertutto : Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza?

Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti.

Se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra.

Se dico: "Almeno le tenebre mi avvolgano e la luce intorno a me sia notte", nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce.

(Salmo 139,7-12).

Questo salmo è molto importante per capire il nostro racconto. Accostato a Giona, ci rende l’idea di un credente che non riesce a sopportare lo sguardo di Dio. Se in altri momenti lo sguardo e la presenza del Signore (per Giona la sua parola) erano motivo di gioia e di forza, in questo momento particolare del percorso di fede lo sguardo del Signore è percepito come «indagatore», la sua presenza come un «peso» (o un incubo).

Ci sono alcune cose da notare: 1. Il salmista, come Giona, sa che Dio è dappertutto, che è impossibile fuggire dalla presenza e dal servizio (mi-lipnê) di Dio, ma si scopre braccato nelle proprie fughe. Forse stanco del proprio fuggire, il credente si arrende: la scoperta che non ci sono angoli in cui nascondersi, che Dio vede tutto il creato (inferi, terra e cieli) e se ne prende cura, si trasforma in una lode salmica della presenza amorevole di Dio nella sua creazione e persino nel proprio intimo (le reni e il grembo della madre - Sal 139,13).

2. Dal versetto 19 in poi, il salmo 139 diventa tutta una imprecazione contro i nemici di Dio e del popolo: «Se Dio, tu uccidessi i malvagi! … Quanto odio quelli che ti odiano …». Proprio la scoperta di Dio come armonia del creato e della propria esistenza, invoca, richiede, implora la scomparsa di tutto ciò che mette disarmonia nel creato e in noi stessi: il peccato, la violenza, la malvagità.

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3. Ma allora: se Dio chiede a Giona di andare a «parlare contro» Ninive, quindi contro i malvagi e la malvagità, sanzionando, emettendo magari un oracolo di sventura, una maledizione (tipica dei profeti contro le nazioni pagane o contro coloro che sono contro Dio, anche non conoscendolo) … allora perché fugge? Non avrebbe dovuto andare a nozze? Non sarebbe dovuto essere contento di poter maledire, in nome di Dio, i nemici?

4. Se fugge, è perché fin dall’inizio Giona ha capito lo SCOPO di quel parlare «contro»: Dio chiama sempre a conversione, e accusando i peccati, dona la possibilità di rivedere la propria condotta e ravvedersi, convertirsi, e partecipare alla salvezza (cf. Sap 12). Gli dice di andare a parlare «contro» Ninive, ma in realtà non sta esaudendo la preghiera che conclude il salmo 139 : «Quanto detesto coloro che si oppongono a te, li odio con odio implacabile, li considero miei nemici!» (139,19-24).

1.2. La tempesta E Yhvh scagliò un vento potente verso il mare e ci fu una tempesta grande sul mare, e la nave stava (si riteneva) per sfasciarsi.

Dio prende l’iniziativa. E’ nominato poco, quindi risalta. Inizia, agisce e la sua azione avrà conseguenze che provocheranno le azioni successive dei marinai e di Giona. Egli scaglia, i marinai scaglieranno (getteranno) e Giona verrà scagliato (gettato). Stesso verbo, azioni concatenate.

Vento (ruah) – Lo strumento dell’agire di Dio. Si potrebbe anche tradurre: il Signore emise il suo alito verso il mare (=soffiare sul mare, come in molti altri testi, ad es. la separazione delle acque del Mar Rosso. Qui scagliare = tûl).

Spirito, alito, vento: Dio emette la sua energia, comunica qualcosa di sé, e il creato lo recepisce, si muove, reagisce.

Tempesta (sa‘ar) - spesso viene usata come immagine dell’ira di Dio: «fuoco divorante e tempesta» accompagnano il giudizio di Dio sul mondo (salmo 50), può indicare complotti e assedi in una città (salmo 55), diventa lo strumento con cui Dio punisce i nemici (salmo 83; Is 28,2), ma anche strumento dell’intervento del Signore verso il suo popolo, proprio in un contesto di incomprensione della profezia (per la purificazione di Ariel - Is 29); infine, è voce parte di una lode cosmica che sale a Dio da tutto il creato (salmo 148).

Invece di fidarsi del Signore e della sua Parola, Giona si affida a ciò che è maggiormente infido per gli Ebrei: il mare. Il grande mare, simbolo del male, mostro che inghiotte la navi, che cela i mostri dell’abisso …

Lo Spirito/vento/alito del Signore provoca è così grande da provocare una grande tempesta, in grado di sfasciare una grande nave (trans mediterranea).

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Come nel salmo 48,8: il vento del deserto che distrugge le navi di Tarsis … come in 2Cr 20,37: la navi naufragarono e non poterono arrivare a Tarsis.

Allora ebbero paura i marinai, e implorarono ciascuno verso il proprio dio …

Delle circa 5 citazioni di «marinai» nell’AT, almeno 4 parlano di marinai fenici (del re di Tiro Hiram, quelli di Salomone, di Biblos quelli di Ezechiele 27,9). Nel testo biblico con questo termine vengono indicati gli uomini «conoscitori del mare», i servi del re «uomini delle navi» (ciurma, equipaggio), oppure i «rematori» (dal greco iloti, kwp&hla,thj da evlau,nw)22. Si trattava spesso di schiavi (‘ebed), venduti o imprestati da chi ne aveva, incatenati al remo, e di pochi sovrintendenti, che conoscevano le rotte, stringevano gli affari, caricavano le masserizie, ecc.

Quindi anche la nave che parte da Jaffa non ha a bordo personale del popolo di Giona, ma pagani, Fenici, esperti di mare. Per Rabbi Eliezer nella nave erano rappresentate le settanta lingue dell’umanità. Lo segue Rashi, dicendo che i marinai erano «i 70 popoli del mondo». Già per gli Ebrei, i marinai siamo noi, i pagani, i lontani, i non Ebrei.

Ma ecco la sorpresa: di fronte al pericolo, questi marinai non israeliti si dimostrano «timorati di Dio». Perlomeno davanti al pericolo, si fa spazio in loro il «timore di Dio», e per questo ciascuno inizia a pregare. E’ una preghiera fatta di gemiti ed implorazioni (z‘q).

La preghiera è unita ad un’azione: gettare (tûl) in mare tutto il superfluo, utensili e masserizie, per alleggerire (qll) la nave. Effettivamente sono l due cose più importanti da fare in caso di tempesta sul mare.

E Giona? Il nostro profeta in fuga SCENDE ancora: Giona scese nel lato più profondo del vascello (sephinâ), si distese e si addormentò profondamente. La traduzione greca dice alla lettera: dormiva e russava sonoramente. E’ un sonno profondo, oltre quello normale. E’ il sonno di Adamo (estrazione della costola), di Abramo quando vede il futuro (Gn 15), di Sisara prima di morire (Gdc 4,21), di Elia sotto la ginestra nel deserto di Beer Sheva.

La fuga da Dio continua. Giona non vuole analizzare nemmeno il pericolo, anzi, dimostrerà in seguito, nel dialogo con i marinai, che aveva capito benissimo i motivi di quella tempesta: sapeva bene che anche quella era una parola a lui rivolta, un avvertimento, un segnale. Ma egli non ne vuole La LXX traduce nautikoi, mentre negli Atti troviamo nautes, e in Apocalisse si parla di kybernêtês.

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sapere. Gira la faccia dall’altra parte quando Dio gli parla, scende in basso, ora più in basso possibile e, mentre tutti pregano e si danno da fare per alleggerire la nave, egli si rifugia in un sonno che illusoriamente lo possa liberare dalle sue pene e dalle sue lotte di ribellione verso Dio. E’ anche una reazione dovuta ad un tipo diverso di paura: i marinai hanno paura (timore di Dio) e pregano; Giona probabilmente anche lui ha paura, sa che Dio ce l’ha con lui, si sente perduto (panico) … e si chiude da solo in un angolo a dormire per non affrontare la situazione.

Gli si avvicina il capo dell’equipaggio23. L’ironia del testo raggiunge uno dei suoi punti migliori: il profeta di Dio (o Israele stesso, la colomba Yonah), si sente richiamare a rivolgersi al suo Dio da un pagano. Questi gli ripete le stesse parole del Signore: «Alzati!» (qûm). Che fai? Perché dormi? Invoca il tuo Dio … Forse si darà pensiero di noi24.

Ma i marinai non si limitano unicamente a pregare e fare ciò che devono per salvare la nave. Dopo che Dio ha gettato il suo vento, loro hanno gettato le masserizie a mare, ora gettano le sorti. E’ uno dei modi dell’antichità per conoscere la volontà di Dio: Giosuè tira a sorte (gôral) per distribuire la terra ai figli di Israele (Gs 18,10), si gettano le sorti tra i leviti per la distribuzione degli incarichi nel tempio (2Cron 26,13), si gettano le sorti (didômi klêros) tra i discepoli per eleggere il Dodicesimo Apostolo al posto di Giuda il traditore (At 1,26).

Abbiamo un criterio di discernimento per capire che queste cose erano permesse dal Signore come tentativi di capire la sua volontà. Spesso l’interpretazione del segno dipendeva molto dal grado di unione dell’interprete con Dio: se era dotato di “intuizione” spirituale, allora non era tanto il volo degli uccelli, piuttosto che le interiora di un animale squartato oppure come in questo caso dei bastoncini gettati a terra di cui si interpretava la posizione di caduta … perché ogni segno può essere ambiguo. Ancora una volta è il profeta che deve capire il segno che Dio dona (il mandorlo fiorito per Geremia, la cesta di fichi marci per Amos, il buco nel muro di Ezechiele, ecc.). Non basta vedere, bisogna saper interpretare bene ciò che si è visto.

«Equipaggio» di marinai in ebraico viene detto «coloro che tirano le funi» da lb,x,, essere attorcigliato, contorcersi per i dolori del parto, legare.

24 Questo è uno degli “aramaismi”: al posto del verbo ebraico pensare, hashav (bvx), troviamo ‘ashat nella forma hitp. (tVeó[;t.yI). Cf. Sal 146,4 (‘estonotaw = i suoi disegni).

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Per quanto riguarda i tempi della Chiesa, molti santi e mistici ci hanno in seguito spiegato che questi metodi non sono più leciti, in quanto in Gesù Cristo il Padre ha già detto tutto: La causa principale per cui nella legge scritta era lecito interrogare Dio e conveniente per i sacerdoti e profeti desiderare visioni e rivelazioni divine era perché la fede a quei tempi non era ancora ben fondata e la legge evangelica non ancora stabilita. Era dunque necessario interrogare il Signore, e questi rispondeva con parole, visioni, rivelazioni, figure, immagini o con altri mezzi. […] Ma in questo tempo, in cui la fede in Cristo è diventata stabile e la legge evangelica si è manifestata, non vi è nessuna ragione per cui s’interroghi Dio. Infatti, dandoci il Figlio suo, che è la sua Parola, l’unica che Egli pronunci, in essa ci ha detto tutto e in una sola volta e non ha più niente da manifestare. […] Dio è rimasto quasi come muto, poiché dandoci il Tutto, cioè suo Figlio, ha detto in Lui tutto ciò che in parte aveva manifestato in antico ai profeti»25.

Ma torniamo al testo: la risposta di Dio viene, anche se a chiedere lumi sono i marinai pagani. E la risposta non solo non è sbagliata, ma è già nota al profeta di Dio. Egli voleva solo sottrarsi ad una parola che conosceva già (come noi, che in Cristo abbiamo già avuto tutto, ma cerchiamo ancora pretesti per non mettere in pratica …). Anche Gesù è stato varie volte affrontato dai cosiddetti maestri della Legge, i quali, meditando giorno e notte la parola di Dio nella Legge, sapevano bene cosa Dio chiedeva loro. Ma dal momento che per la natura umana è difficile aderire alle richieste della parola di Dio, che spesso non assecondano i desideri della nostra natura umana, allora si fanno domande per eludere il problema, come i farisei, che si sentono dire da Gesù «Ama il prossimo!», domandano: «Ma chi è il mio prossimo?», stravolgendo o tentando di stravolgere l’insegnamento di Gesù.

La sorte cade su GIONA. La sua ribellione alla Parola di Dio è causa di tutta quella tormenta. Certo: il credente che si ribella a Dio, che non mette ordine nella propria vita, che non collabora con il progetto di Dio sull’umanità, crea scompiglio anche intorno a sé … crea disarmonia. I marinai si rendono conto: «Ma che hai fatto?!?», chiedono a Giona, quando vengono a sapere che fugge dal suo Dio (1,10).

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SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Salita al Monte Carmelo, II libro, cap. 22,3-4.

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Al vs 9 - interrogato - GIONA ha rivelato chi è, e chi è il suo Dio: «Il Signore del cielo, creatore del mare e della terra», Dio del creato, dei mari e di tutte le creature che vi abitano26.

Giona confessa di venerare Yhvh il che è ancora una volta un doppio senso sui termini perché, nella lingua originale, venerare si dice temere, dalla stessa radice yarah usata per la paura dei marinai davanti alla tempesta che provoca la preghiera. Lo stesso timore dei marinari verso i loro Elohim (plurale), Giona lo ha (o dovrebbe averlo) verso Yhvh. Ciò che ora egli, quasi costretto, confessa a voce alta, era però sconfessato dalle sue scelte e dalle sue azioni …

Teme-venera Dio ma da Lui sta scappando … sembriamo noi, credenti, quando diciamo a parole: credo in Dio, prego, vado a messa, temo il Signore, amo Gesù Cristo e i santi … ma poi, in pratica, con le nostra azioni sconfessiamo tutta questa fede teorica (non amiamo chi ci fa del male, chi è diverso da noi non lo sopportiamo, non teniamo da conto la Parola di Dio quando non ci piace o ci chiede qualcosa che noi giudichiamo superato rispetto ai nostri tempi) … insomma cerchiamo di adattare la Parola di Dio ai nostri gusti. Ma questo è un altro grave insulto nei confronti di Dio, vivo e vero, Signore di tutto e conoscitore dei cuori.

Per due volte (1,11.13) si dice che il mare s’infuria sempre di più. La scena è stupendamente drammatica: ormai l’enigma è sciolto, sia Giona che i marinai sanno la causa di quella sventura che sta per colpirli e Giona ha già emesso la sua sentenza, ha già detto ai marinai ciò che devono fare: «Gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi» Ancora una volta il verbo gettare (tûl): il profeta sapeva che tutto era successo a causa sua. Ora si arrende. I marinai hanno gettato in mare le loro cose, ora Giona chiede di essere gettato lui in mare.

Ancora una volta questi marinai pagani non vengono presentati come gente senza scrupoli. Spesso i credenti guardano male i non credenti (o non praticanti) quasi come fossero tutti dei senza-Dio, corrotti, malvagi, ecc. Ma sappiamo per esperienza che il mondo non si divide così facilmente in buoni e cattivi solo per l’appartenenza a opposti schieramenti … Dio guarda il cuore. E il cuore di questi marinai è buono, non vogliono gettarlo a mare, nemmeno sapendo che così si salveranno … cercano di remare, fatto fatica, vogliono salvarsi INSIEME a Giona, anche se è di un’altra religione, anche se serve un altro Dio, anche se è la CAUSA dei loro MALI !!

Da notare che Ebrei è un termine che non viene più usato dopo l’Esilio, mentre la fede in Dio creatore è tipica del dopo-esilio. Vi è quindi unione di elementi disparati.

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Allora si rivolgono direttamente al Dio di GIONA con una preghiera particolare, il cui senso è : Signore, noi ti rispettiamo anche senza conoscerti.

Non imputare a noi il sangue di quest’uomo. Egli sta fuggendo da te, ciò che succede è una cosa tra voi due … noi obbediamo a quanto egli ci dice, ma non siamo colpevoli della sua vita … perché sappiamo «Signore, che tu agisci secondo il tuo volere».

E’ stupendo. Questa esperienza ha portato questi marinai pagani ad una sorta di professione di fede nel vero Dio: la loro preghiera si conclude riconoscendo che il DIO di Giona può fare tutto ciò che vuole: è vivo, agisce, interagisce, parla con il suo profeta e lo insegue, usa persino dei pagani ignari per arrivare al suo cuore … tutto è nelle sue mani. Che differenza con i loro idoletti pagani!! Che differenza con il dio dei marinai Ba‘al, protettori dei viaggi e dei commerci per i Fenici, o che differenza con la statua che spesso adornava la prua delle navi fenicie, la dea Ishtar.

La professione di fede diventa culto esplicito dopo che hanno gettato Giona: Quegli uomini ebbero grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse27.

Il mare si è placato, i marinai sono salvi. Avrebbero potuto metterci una pietra sopra. Finalmente, scampato pericolo. E invece no: offrono sacrifici (zebaḥ) al Dio di Giona, innalzano preghiere, fanno voti. L’incontro con il profeta di Dio, sebbene ribelle e recalcitrante, ha cambiato la loro vita.

Il profeta ha smesso di fuggire: si è consegnato nelle mani di quegli uomini, si è consegnato completamente alla volontà di Dio, si è consegnato al mare, sprofondando nel mistero del male, del suo male, della sua ribellione.

Giona ha smesso di «dormire», rifugiandosi in se stesso, scappando o cercando altre vie. Ha capito che deve affrontare il suo problema, il male che sente dentro, deve approfondire quel disagio che sente verso la Parola di Dio, quella ribellione interiore che gli aveva fatto volgere le spalle al progetto di Dio. Suo malgrado, comunque, in un modo più rocambolesco, era stato ugualmente portatore del mistero di Dio e collaboratore del suo progetto anche sulla nave, con i marinai fenici.

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Il greco euxanto euchas, innalzarono preghiere.

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IL CANTO DI YONAH La fuga di GIONA e la tempesta sul mare Questo profeta della tribù di Ašer (se si prende per buono il dato che lo vede figlio della vedova della zona costiera di Tiro e Sidone alla quale Dio aveva risuscitato il figlio tramite il profeta Elia) oppure della tribù di Zabulon28 era stato colto da una parola impegnativa del Signore, mentre si trovava a celebrare la festa di Sukkôt o delle Capanne (ottobre) nel tempio di Gerusalemme29. Una tradizione ebraica dice che ogni volta che accanto al nome del figlio profeta viene riportato, come nel nostro caso, anche quello del padre, significa che anche quest’ultimo era profeta30. Altri vedono semplicemente nel nome del padre, «Colomba, figlio di veritiero» o «Yonah, figlio della verità» un’indicazione che la sua parola era degna di tutta la statura profetica di altri profeti più blasonati.

Ma invece di seguire, ascoltare e obbedire a quella Parola, aveva preso la via del mare, verso una non ben identificata meta. In Esodo 28,20 vengono descritte quattro file di pietre preziose che adornano il pettorale del sommo sacerdote. Nella incertezza delle varie traduzioni, alla quarta fila emerge il vocabolo taršiš: per alcuni è una specie di topazio (LXX e Vulgata), il crisolito (crysos litos, color oro), mentre per altri (King James) un berillo, pietra che viene chiamata zaffiro o smeraldo a seconda del colore che prende. Per l’antica traduzione di Lutero è un turchese, mentre per il Targum Onkelos Tarsis è una acquamarina, pietra preziosa color del mare. Ecco perché tante città costiere nel Mediterraneo (Tunisia, Sardegna, Spagna) hanno questo nome: Tarsis è sinonimo di mare (città di mare). Giona prende il largo, va verso l’ignoto, si affida al mare.

Giona sa che non può fuggire dalla presenza di Dio (Sal 139,7) ma «volta la schiena alla volontà di Dio»31. Questo viene indicato nel testo dal verbo «scendere». Scende anziché alzarsi (il comando di Dio era «qûm!»), scende da

Gat-Chefer ricadeva in quella tribù secondo Giosuè 19,13.

Secondo il Talmud, Tj Sukkâ 5,1.

30 Midrash, Vaikrà Rabbà 6,6.

31 Gur Ariè Bereshit 4,16 che commenta il vs analogo di Genesi riferito all’allontanamento di Caino da Dio dopo il peccato.

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Gerusalemme a Giaffa, scende in mare32, scende nel profondo del vascello, in procinto di partire per l’alto mare. Su Giona pende già una sentenza di morte, secondo le parole che sarebbero state in seguito codificate nella legge del Talmud33. E il suo sonno profondo, nella stiva della nave, era già un abbandonarsi alla morte e un disinteresse per la sua vita e per la sorte degli altri marinai34. Per il Talmud, il sonno equivale ad «un sessantesimo della morte»35.

Ed è a questa morte che si abbandona quando chiede di essere gettato in mare, pensando di mettere fine alle sue pene, alla sua fuga da un Dio che gli chiedeva qualcosa al quale non voleva cedere. La conversione e la salvezza del nemico storico del popolo d’Israele (Ninive) sarebbe stata un segno terribile per quel Israele «duro di cervice», sempre molto lento nell’aderire alla Parola di Dio, testardo e poco disposto a rinunciare alla propria visione del mondo, della giustizia, della retribuzione, della distinzione tra buoni e cattivi. In qualche modo, nella sua testa Giona crede di aver ragione e non si lascia gettare in mare in dispregio a Dio, ma piuttosto per donare la propria vita per il suo popolo, per quel Israele adagiato nella sicurezza di essere dalla parte del giusto, ansioso di veder giudicato e represso ogni male, ogni violenza, ogni ingiustizia contro Dio e il suo popolo. Una volta gettato nelle acque, il mare si calma36.

La confessione forzata della propria identità, della propria fede nell’unico Dio creatore e, in definitiva, la sua morte (o il dono della sua vita), costituiscono l’annuncio profetico che - malgrado Giona - porta i marinai pagani a confessare e rendere culto all’unico vero Dio d’Israele37.

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Salmo 107,23: «Altri, che scendevano in mare sulle navi e commerciavano sulle grandi acque, videro le opere del Signore e le sue meraviglie nel mare profondo». SALIRE su di una nave per il mondo antico è SCENDERE in mare.

33 Talmud, Sanhedrìn 89a: «Colui che tiene per sé il messaggio profetico che avrebbe dovuto trasmettere, è passibile di morte per mano del cielo, come ad esempio Yonah, figlio di Amittay». La modalità meritata di morte era il «soffocamento» (Tb, Sukkâ 53b) come nel caso di Giona (annegamento).

34 Marinai = mallachim. Etimol. «rematori» (cf. Es 30,35 salato, oppure “ben mescolato” come il remo mescola il mare) oppure «conoscitori del sapore salato del mare» (da melach = sale). Così Nachmanide.

35 Tb, Berakhot 67b.

36 Salmo 103,23-32.

37 Diventati sinceramente «proseliti», i pagani entrano di fatto nelle benedizioni di Israele (Shemonè Ésré) : «Sui proseliti giusti e su di noi, vegli o Signore la tua pietà» (Pirqê Rabbi Eli’ezer).

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2. GIONA E IL GRANDE PESCE (2,1-11) Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona …

Il MA avversativo è un’aggiunta esplicativa. Giona sta sprofondando nel profondo del mare ma ... non finisce sul fondo, non finisce soffocato e annegato, come condanna per la sua mancata profezia.

Ancora una volta Dio ha l’iniziativa. Così, semplicemente, senza MA (testo CEI). “E il Signore inviò un gigantesco pesce …” Dio continua ad inseguire il suo profeta, anche nelle profondità del mare. Non si disinteressa. Nonostante la sua ribellione, il Signore ha permesso che la sua testimonianza, anche se debole, anche se non supportata dalle azioni, convertisse i marinai fenici.

Anche Gesù, d’altronde, dirà: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno» (Mt 23,2-3). E’ troppo comodo buttare via il contenuto perché il contenitore non ci sembra adatto: per Dio non c’è strumento, non c’è contenitore che non sia adatto a contenere la sua Parola.

Qualcosa passerà sempre sugli altri, anche se non siamo perfetti. Non è la perfezione da ricercare, ma l’adesione alla Parola. Certo, più la vetrata è limpida e meglio lascia passare la luce del sole, dice un mistico spagnolo del XVI secolo, ma è pur vero che la luce passa da una vetrata piuttosto che da un opaco muro di cemento.

Dag-gadôl è un grande pesce. E’ la traduzione greca kêtos - cetaceo che fa nascere l’idea di un .. mostro del mare. Il nostro testo usa una volta il maschile e una il femminile (cetaceo-balena). Per alcuni è il mostro del mare del Salmo 104,26: «[Lì nuota] Il Leviatan che hai plasmato per divertirti con lui».

La traduzione greca usa drákôn dragone, mostro cattivo, spesso usato come simbolo del diavolo soprattutto dalla lettura posteriore apocalittica. Ogni tentativo di identificazione è comunque frustrante (capodoglio, balena) perché il piano simbolico viene evocato dalla preghiera stessa di Giona.

Alcuni rabbini vi ricorrono in modo un po’ spericolato: per R/ Tarfòn Giona entrò nel pesce come in una sinagoga e vi potè pregare stando ritto in piedi, mentre gli occhi del pesce erano le finestre da cui poteva entrare la luce. Per R/ Meìr, invece, era una perla luminosa posta al centro del ventre del pesce che illuminava Giona come il sole di mezzogiorno.

Ascoltando questi antichi racconti, possiamo dire con relativa certezza che Jules Verne ha incontrato questi racconti, come pure il contemporaneo Carlo Collodi (all’anagrafe Lorenzini), che ha forse rielaborato alcuni racconti ebraici letti alla libreria Piatti di Firenze, assimilando Geppetto a Giona e la parabola discesa/risalita, morte/rinascita ad un burattino di legno che 21

diventa bambino vero38. Anche l’americano Hermann Melville, vissuto nel loro stesso secolo XIX, nel suo grande capolavoro Moby Dick, mette al centro del racconto un grosso cetaceo, che inghiotte e distrugge tutto ciò che incontra39.

Il verbo inghiottire suggerisce invece ben altro simbolismo: viene usato in molti salmi per assimilare l’essere inghiottito da acque-abissi-profonditàmare ecc. con l’essere inghiottito da morte-Sheol-inferi40. Nella gematria ebraica (lingua in cui ogni lettera alfabetica è usata anche come corrispettivo numerico) il valore numerico di “pesce grande” (dag-gadôl 7+43 = 50) è lo stesso di “mare” (yam 40+10 = 50). Il pesce sostituisce il mare: inghiotte Giona. Il profeta non passa indenne dalle braccia dei marinai al ventre del pesce, dove può pregare in piedi tranquillo per un miracolo speciale di Dio (Ibn-‛Ezra) … Giona muore. Viene inghiottito dalla morte, soffocato nell’annegamento. E’ sempre la tradizione rabbinica che ha percorso questa strada: «Il pesce che divora Giona è la tomba … le sue viscere sono lo Sheol. Se il pesce, dopo aver tenuto Giona per tre giorni e tre notti, lo ha buttato fuori, anche la terra espellerà i morti » (Midrash di Giona). Vi è un accenno anche a Is 26,19: “Ma di nuovo vivranno i tuoi morti. I miei cadaveri risorgeranno! Svegliatevi ed esultate voi che giacete nella polvere. Sì, la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre”.

Tre giorni e tre notti … La Scrittura è piena anche di avvenimenti importanti nella storia di Israele che si sono realizzati il terzo giorno (Midrash Bereshit Rabbà). Ne possiamo ricordare solo alcuni: al terzo giorno, Abramo giunge al monte Moriah (Gn 22); in Genesi 40 Giuseppe svela il sogno del capocoppiere del faraone che parla di tre tralci, come pure quello del capo panettiere che parlava di tre canestri. Tre giorni dopo, quei sogni diventano Splendido e poetico il film per la TV di Luigi Comencini (del 1972), con Nino Manfredi (Geppetto) e Andrea Balestri (Pinocchio). Nel ventre del pesce, è il ragazzino che riesce a fatica a convincere l’anziano padre ad uscire dal pesce. Geppetto, infatti, vorrebbe restare lì dentro a scrivere, con il suo tavolino, il mangiare assicurato (procurato dalla balena), la luce della lampada, in tutta tranquillità … (il vecchio Adamo che non vuole affrontare il mondo …).

39 Vinicio Capossela, cantante e scrittore italiano (cf. Non si muore tutte le mattine, Feltrinelli, Bologna 2004, 333 pp.) nel 2011, dopo vent’anni di carriera, ha inciso un CD doppio dal titolo Marinai, profeti e balene (Un cielo così cupo non può schiarire senza una tempesta). Tutti i pezzi risentono dell’influenza del libro di Melville, del Giobbe di Ceronetti, dell’Odissea e del profeta Giona.

40 Sal 69,16: il turbine che divora … 107,17 : la terra che divora Datan … 124,3: l’incendio che divora … Is 25,8 la morte che annienta … (stesso verbo). L’acqua è il mostro, l’abisso e divorare è sinonimo di annientare.

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realtà. Il terzo giorno YHVH si rivela sulla cime del monte Sinai (Es 19); il libro dell’Esodo e dei Numeri parlano più volte dei tre giorni di cammino nel deserto chiesti dal popolo di Israele al faraone d’Egitto, per poter pregare e celebrare il proprio Dio. Tre giorni e tre notti dura il digiuno del popolo e della regina Ester, prima del suo intervento a favore del popolo presso Mardocheo (Est 4,16). Dopo tre giorni che segue Gesù senza toccare cibo, la folla assiste alla moltiplicazione dei pani (Mt 15//Mc 8). In tre giorni Gesù afferma di poter ricostruire il Tempio (Mt 26,61 e 2x nel cap. 27). Uno dei testi più significativi è il profeta Osea: «Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza» (Os 6,1-2).

In questo caso, i tre giorni di Giona nel pesce sembrano proprio ricalcare ciò che Dio ha promesso, attraverso il suo profeta Osea, a tutto il popolo adultero (perché ha tradito l’alleanza matrimoniale unica con il Signore)41. In realtà questa esortazione piena di speranza di Osea - cosciente che la mano che ha percosso è la stessa che guarirà il popolo dalle sue ferite, ossia la mano di Dio – viene corretta subito dopo dal Signore stesso, che chiama l’amore del suo popolo “rugiada del mattino”, che al primo sole svanisce … Il popolo sembra incapace di vivere alla presenza di Dio sempre, costantemente … proprio come Giona, che cerca rifugio nel sonno e nella morte per non affrontare la difficoltà di una conversione personale che lo porti a pensare, agire, parlare ed amare come Dio. Questi e molti altri testi, parlano di un simbolismo (o di una teologia) dei TRE GIORNI. Per questo, credo utile inserire a questo punto una riflessione sulla citazione evangelica di questo passo del profeta Giona. Dicevamo all’inizio, che la nostra conoscenza del libro di Giona si limita al pesce. Beh, in parte questo è dovuto al Vangelo, perché l’unica citazione di Giona in Matteo è 12,38-41: «Allora alcuni scribi e farisei gli dissero: "Maestro, da te vogliamo vedere un segno". Ed egli rispose loro: "Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra».

Nella struttura dei capitoli centrali di Matteo, il nucleo è il capitolo 13 (parabole del regno), preceduto dai capitoli 11-12 (rigetto di Gesù da parte di

L’adulterio come metafora dell’incredulità, della mancanza di fede in Dio si trova nella Bibbia anche in Is 57,3 Ger 3,9 e 9,2 Ez 16,38.

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questa generazione) che richiamano i capitoli 14-17 (riconoscimento di Gesù da parte dei discepoli).

Dopo i capitoli 1-11 (la Torah del Messia), il capitolo 12 inaugura la seconda parte del Vangelo, 12-28 (il Regno del Messia). La “generazione” entra in un contesto giudiziale: persone che entrano in giudizio perché hanno rifiutato la salvezza proposta loro dal Battista (11,16), da Gesù e dai missionari del Messia (23,34-36). Si tratta della maggioranza del popolo, ma può essere riferita anche ai discepoli di Gesù (generazione incredula e perversa riferito ai discepoli la cui preghiera non ha saputo compiere il miracolo 17,17)42.

Nel Vangelo di Marco (8,12) nessun segno viene dato a chi espressamente chiede un segno particolare, messianico (non solo un miracolo 43, perché avevano visto Gesù compierne) e questo rientra nella sua particolare ottica (segreto messianico)44. In Matteo il segno viene dato ed è scritturistico: la permanenza di Giona nel ventre del pesce diventa segno del mistero pasquale di Gesù.

Chi non crede in Gesù e non apre la mano per accogliere il dono, chi non vuole riconoscerlo contro ogni evidenza, finisce per decidere di toglierlo di mezzo (Mt 12,14) e commette peccato contro lo Spirito (12,31). Chi non è totalmente con Gesù, si ritrova ad essere contro di Lui (12,22-32) e il segno di Giona per l’evangelista Matteo è la vita che Gesù stesso ci dona. Altro segno non può essere dato, perché questo è il segno supremo: davanti al rifiuto dell’uomo che, pur conoscendolo, sceglie contro di lui (e quindi contro Dio, e quindi per satana), Gesù entra per tre giorni nel cuore della terra, in solidarietà assoluta con quel rifiuto, con chi non lo sceglie. Davanti al male estremo, Dio si fa in Gesù pietà estrema, prendendo su di sé quel male, che è rifiuto dell’amore, rifiuto della vita45. D’altronde, Dio non può dare un segno inequivocabile, che costringa, perché la fede è libertà. Per chi sa leggere, tutto è segno di Dio; per chi non sa leggere, la Scrittura è una scuola di lettura paziente; per chi non vuole leggere, nessun segno sarà mai sufficiente.

Dio da spontaneamente delle conferme, ma solo a chi non le pretende: «Egli infatti si fa trovare da quelli che non lo mettono alla prova, e si manifesta a quelli che non diffidano di lui» (Sap 1,2). Noi cerchiamo in Dio le caratteristiche dell’idolo (grande, affascinante e tremendo – Dan 2,31), mentre Egli si rivela nella piccolezza, nell’umiltà (piccolo, fasciato e tremante – Lc 2,12).

ALBERTO MELLO, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon, Bose 1995, 229. Per-versa significa alla lettera rivolta da un’altra parte: ecco perché ha bisogno di con-versione.

43 Per Paolo i “Giudei chiedono miracoli” (1Co 1,22). Israele nel deserto aveva chiesto un segno: “Dio è in mezzo a noi, sì o no?” (Es 17,17).

44 DANIEL J. HARRNGTON, Il Vangelo di Matteo, LDC, Leumann 2005, 170.

45 SILVANO FAUSTI, Una comunità legge il Vangelo di Matteo, EDB, Bologna 1998, vol I, 239.

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Questa è la particolarità di Matteo, la sua originalità. L’evangelista Luca parla anch’egli del segno di Giona, ma in lui non c’è alcuna menzione del capitolo 2 del profeta. Luca non sottolinea i tre giorni nel ventre del pesce/terra, ma si concentra piuttosto su di un altro aspetto che riguarda il capitolo 4: gli abitanti di Ninive si sono convertiti alla parola di Giona: perché i contemporanei di Gesù non si convertono? La risposta non è così difficile: il problema non è convertire un peccatore che sa di esserlo; il problema è convertire un giusto, perché il suo peccato, nascosto solo a lui, è proprio quello di non accettare la misericordia divina. Credendosi giusto, pensa di salvarsi da solo, senza l’aiuto di Dio. Il dramma per il Padre misericordioso non è il figlio minore, che si allontana, pecca ma poi si riavvicina; il problema è quel figlio maggiore che gli sta vicino eppure è tanto lontano dal suo cuore … (Lc 15). Non per niente Gesù verrà ucciso come peccatore proprio dai giusti!

In Luca 11,29-32 – inserito nel contesto di 11,14-54 dove si delinea il rifiuto di Gesù da parte dei responsabili d’Israele e l’accoglienza da parte dei lontani - è ancora più chiaro che il segno è la persona stessa del Figlio dell’Uomo, come la persona di Giona lo è stato per gli abitanti di Ninive. Non tanto le opere e nemmeno il suo soggiorno nel ventre del pesce, quanto la sua persona presa globalmente, la sua vita. Bisogna però aggiungere che Giona è stato considerato un segno dai Niniviti per il suo salvataggio miracoloso, inteso come rapimento alla morte per opera di Dio. Così il Figlio dell’Uomo che verrà come giudice sarà un segno quando apparirà a “questa generazione” (ossia ad ogni generazione) come colui che è stato strappato dalla morte46.

Gesù è il punto di convergenza della tradizione profetica (Giona) e sapienziale (Salomone) della Scrittura. Anzi, le supera in quanto la sua parola e la sua presenza annunciano un compimento escatologico. Per Luca, la decisione di “questa generazione”, quindi di ogni persona davanti alla parola di Dio (cf. 11,28) assume un valore di definitività.

Giona dal ventre del pesce pregò il Signore, suo Dio, e disse …

In greco il ventre è koilia, che spesso traduce anche l’intimo. Il Midraš, anche per spiegare l’alternanza tra maschile e femminile (dag e dagah) di pesce, ci fa sorridere: in un primo tempo, in un pesce maschio, Giona si trovava bene.

Solo quando Dio lo portò allo stretto (angoscia = angusto, allo stretto) nel

GÉRARD ROSSÉ, Il Vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 1992, 444-451.

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ventre di un pesce femmina gravida, stretto e scomodo in mezzo alle uova di pesce, Giona iniziò a pregare ...47 Tertulliano (De oratione 17,4) si chiede come faccia Giona a pregare facendo udire la sua voce attraverso la spessa carne del cetaceo e attraverso la grande quantità di acque in cui è sommerso. E la risposta tende a sottolineare come la vera preghiera non conosca distanze e non ci sia niente che possa impedire di raggiungere le orecchie di Dio. Giona diventa per i cristiani il modello dell’orante (insieme con Mosè, Daniele, Anania ed altri) biblico, un maestro di preghiera interiore.

Il Midraš vede nei due nomi divini citati nel versetto 2, SIGNORE, suo DIO (Yhvh Elohâw) le due forme con cui Giona ha conosciuto Dio e il suo intervento: la sua giustizia (Elohim), al momento di inviargli la tempesta, e la sua misericordia (Yhvh) al momento di “predisporre” un pesce per inghiottirlo Per san Luca, il figlio (che noi chiamiamo “prodigo”) “rientra in se stesso”, pensa alla casa del Padre, prepara la sua preghiera e poi affronta il ritorno, per gettarsi ai piedi (e poi fra le braccia) del Padre che non ha mai smesso di amarlo (Luca 15).

Giona è nel ventre del pesce, ma è come se fosse anch’egli rientrato in se stesso. Finalmente ha rotto quella scorza che ci separa dal nostro intimo, che ci fa vivere sempre di superficialità. Entrare in se stessi è la cosa più faticosa e necessaria della vita. Allora si parla “dalle profondità”, dal centro del proprio essere, dove tutto è relativizzato, dove Dio si fa presente, dove il mondo, l’egoismo, l’apparire, la vanità, l’orgoglio muoiono o perlomeno attutiscono di molto la loro voce. Giona entra nel silenzio di Dio, nel silenzio di se stesso.

Il massimo dell’abbassamento coincide con l’innalzamento e la risalita.

Lasciarsi stringere - senza più ribellarsi - dall’angustia, dall’abisso, dalle correnti, significa realizzare ciò che si sente dire Silvano del monte Athos nello sconvolgimento delle voci interiori e nei sensi di colpa che lo soffocavano: «Tu mantieni il tuo spirito agli inferi e non disperare». Anziché agitarsi ed imprecare, lasciarsi andare, abbandonarsi, mantenere la fiducia anche in una situazione estrema di (apparente) lontananza da Dio. Giona si sente finito, escluso, lontano, sente l’ansia salire come acqua fino alla gola, sente venire meno la sua vita, sente la claustrofobia di non poter respirare

Shlomo Bekhor, Sefer Yonah, DLI/Mamash, Milano 1996, 44. Per altri dagah non è un femminile ma un pesce morto, come in Esodo 7,21.

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liberamente, l’angoscia che serra la gola. Ma proprio quello è il momento del cambiamento, della conversione, inizio della risalita48.

Vss 3-10 : Segue la supplica di Giona (pll da cui tephillâ), che alla fine diventa rendimento di grazie (todâ del v 10), è praticamente un centone di parecchi salmi, alcuni anche citati alla lettera. Eppure è una composizione del tutto originale (A. Schökel): è una pausa poetica all’interno di questi capitoli narrativi e senza questo salmo, il racconto non scenderebbe nei suoi significati profondi.

Il salmo descrive un movimento di discesa e l’inizio di un movimento di risalita. Fino al versetto 7, assistiamo ad una discesa progressiva, senza scampo. L’altezza viene rappresentata dal TEMPIO (tempio santo in 5b e 8b), dal Signore, dal cielo.

In questo punto Ireneo parla dei due segni offerti al re Acaz «nel profondo dell’abisso e nell’alto dei cieli», inserendo una citazione della Lettera agli Efesini (4,7-10), applicata a Giona e a Gesù: «A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni gli uomini (Sal 68,19). Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose».

Gesù discende nelle profondità della terra e incontra i “Giona” di tutti i tempi, gli oranti di sempre che nei salmi ci hanno lasciato le loro preghiere, specchio della nostra vita. Solo con Lui e grazie a Lui possiamo risalire dalle nostre profondità. O meglio, raggiungendo il fondo di noi stessi, siamo già alla sommità49. vs 3: L’inizio della preghiera è simile al primo dei salmi delle Salite (120,1), il canto del credente che si sente straniero in Mešek e Kédar e inizia il suo percorso di avvicinamento al Tempio, inteso come luogo della presenza e della comunione con Dio. Dio non ha ancora risposto, ma il presente profetico, spesso tradotto con il passato, è in realtà una condizione futura che la fede fa Proprio al centro della notte, quando è più buia e spaventosa, san Giovanni della Croce compone i suoi versi migliori, le sue rime di amore divino che denotano la profonda esperienza di salvezza del Dio Amore proprio quando ci si sente smarriti, perduti per sempre, senza via d’uscita.

49 Santa Teresa di Lisieux usa un’altra immagine stupenda, a noi vicina: si sente l’atomo di Gesù (!) Aveva già capito con grande intuizione spirituale che entrando nella parte più intima e profonda di se stessi, si sprigiona l’energia maggiore, proprio come, scindendo l’atomo, quindi la particella più piccola di materia, si sprigiona la grande energia atomica (!)

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ritenere già presente (Ibn ‛Ezra). L’angoscia e l’angustia vengono paragonate al grembo dello She’ol, che può indicare alternativamente la tomba, il sottosuolo (inferi), ossia il mondo sotterraneo, oppure uno stato di prostrazione morale (Salmo 18,5).

Vs 4 : ancora il verbo “gettare”: Dio aveva gettato … i marinai gettano …

Giona viene gettato. In realtà, Dio non getta via la vita di Giona (e la nostra) bensì la nostra parte peggiore e ribelle, come dice il profeta Michea : “Egli tornerà ad avere pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati” (7,19).

Il vangelo di Giovanni userebbe il verbo consegnare: tutto è stato consegnato dal Padre a Gesù, per questo Gesù consegna se stesso agli uomini …

Mantenere la fiducia in Dio Padre anche quando ci si sente rigettati, consegnati, traditi (tradere = consegnare), è proprio ciò che fa Gesù e chiede ad ogni credente in Lui. Una grande sofferenza interiore e l’ingiusta persecuzione da parte dei nemici costituiscono lo sfondo della lamentazione del salmo 69 che, insieme al Sal 22, è interpretato, nella lettura cristiana, alla luce della passione di Cristo e di alcune vicende della vita terrena di Gesù. L’angoscia del salmista viene espressa con termini molto vicini al capitolo 2 di Giona50. Anche il famoso salmo dei Leviti figli di Core “Come la cerva anela” dice “tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati” (Sal 42,8).

Il versetto 5 è ironico: chi stava scappando dal Signore, ora si sente scacciato da Lui, lontano dal suo “occhio provvidente”51. Non capiamo che siamo noi l’Adamo in fuga dal giardino dove tutto è intimità con Dio e armonia con gli altri esseri e la natura. Ma nella nostra fuga, incontriamo, come Adamo, la voce di Dio: «Dove sei?»52.

La particella akh in ebraico può essere eppure (come nel nostro testo CEI 2008) oppure introdurre una frase negativa interrogativa: “potrò forse vedere

“Salvami l’acqua mi giunge alla gola .. sono caduto in acque profonde .. l’abisso non mi sommerga, la fossa non chiuda su di me la sua bocca” (Sal 69,3.16).

51 E’ Maimonide il primo ad interpretare “l’occhio di Dio” come antropomorfismo per indicare la Provvidenza divina (Morê Nevuchim 1,44).

52 Su questo, lo stupendo libretto di Martin Buber (1879-1965), Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Torino 1990. Così scriveva di questo libro Hermann Hesse: "Tra i suoi scritti, Il cammino dell'uomo è indubbiamente quanto di più bello io abbia letto. La ringrazio di cuore per questo dono così prezioso e inesauribile. Lascerò che mi parli ancora molto spesso. Un autentico capolavoro il cui messaggio si rivela inesauribile perché parla al cuore di ogni uomo, di ogni tempo e in ogni situazione. Un libro che obbliga a pensare e invita a imboccare il cammino dell'autentica crescita umana in armonia con gli altri uomini e con il mondo intero".

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nuovamente il tuo Tempio?”53. Giona, come il salmista, è ancora nell’angoscia, non è sicuro di niente. Eppure, la sua fiducia è già sicurezza di aver ricevuto da Dio la possibilità di vedere nuovamente il suo volto luminoso, immaginato nel suo Santo Tempio54.

Vs 6 : l’alga (ebr. Sûf = canna, canneto). Isaia in un suo oracolo contro l’Egitto, promette che la venuta del Signore farà seccare giunchi, canne e piante (acquatiche) del Nilo (19,6-7). Evidentemente è una immagine negativa di qualcuno che affonda in acque melmose, quali sono le paludi del delta del Nilo. Ma per il Targum, Rashi e Pirqê di Rabbi Eliezer l’assonanza alga-giunco non è casuale: “questo è il momento in cui Dio mostra a Giona il punto in cui i figli di Israele hanno attraversato il mare del Giunco (Yam-Sûf)”, che noi traduciamo come il Mar Rosso. vs 7 : ancora il verbo scendere (yarad). Le radici dei monti, la forma delle montagne: suggestiva immagine in cui Giona si sente trasportato fino al punto in cui nascono le montagne marine, alle estremità (inferiori) dei monti, quindi nel punto più basso degli abissi marini. Vengono mostrate da Dio a Giona “i pilastri della terra” (Pirqê Rabbi Eliezer).

E questo viene percepito come una situazione definitiva in cui si sente intrappolato Giona (e il salmista): per sempre! Ma immediatamente al verbo scendere viene accostato il suo contrario: mi hai fatto risalire (ʻalah). Il “per sempre” umano non tiene davanti a Dio55.

Per la prima volta, finalmente, da quando ne era stato esortato dal capo dell’equipaggio, Giona invoca personalmente il Signore nominandolo esplicitamente: «Hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore mio Dio».

S. Ambrogio rileva che alcuni versetti di questo testo si applicano meglio alla persona di Cristo e alla sua Passione e morte piuttosto che a Giona (forse influenzati dal testo di Matteo). Noi abbiamo già capito che in Giona c’è tutta la natura umana, ci siamo noi, c’è Cristo come “capo” dell’umanità, il quale vuole vivere con le proprie membra, con i “suoi”, con coloro che il Padre gli ha consegnato e che Egli non ha lasciato andassero per la propria strada (che si perdessero).

In greco ara, come nella domanda di Gesù: “Il Figlio dell’Uomo troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,18).

54 Lo “sgomento di vedersi escluso dalla presenza del Signore” evoca un altro salmo citato da Lc 23,46 (nelle tue mani affido il mio spirito) e da Stefano in Atti 7,59 Si tratta del salmo 31.

55 Per noi cristiani è la sicurezza umana del “grosso masso” rotolato davanti alla tomba di Gesù a venire spazzato via dalla forza della risurrezione (!) Anche qui, inaspettatamente, gratuitamente, divinamente, Dio vince sul “per sempre” della morte.

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vs 8 : il Salmo 143,4 tradizionalmente uno dei sette salmi penitenziali, parla di un “respiro” (vita = nepheš) che viene meno, senza che venga meno il “ricordo” (la fiducia) che ciò che Dio ha operato in passato in favore dei Padri, lo può ripetere per colui che a Lui si affida e di Lui si fida.

Per Rashi56 Dio ha mostrato a Giona le profondità infernali; in seguito è stato portato alle fondamenta delle montagne, cioè sotto la montagna sulla quale poggia il Tempio di Gerusalemme. Qui egli ha visto la pietra di fondamento sulla quale appoggia il mondo intero (Tb, Yomâ 54b). Per questo dal punto più basso, la sua preghiera sale al Santuario di Dio, che nel Salmo 102 (un altro dei 7 penitenziali) viene identificato con il cielo: “Il Signore si è affacciato dall’alto del suo Santuario, dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il sospiro del prigioniero, per liberare i condannati a morte”.

Vs 9 : coloro che osservano (con-servano) un soffio-inutile, allontanano il loro amore.

La conoscenza del vero Dio, è sempre accompagnata da uno sguardo di verità su ciò che è falso, inutile, sui tanti dei che si offrono al nostro culto. Ma attenzione a scegliere bene ciò che si ritiene importante osservare (o conservare): altrimenti si perde l’amore gratuito (HESED), la grazia, la gratuità dell’amore di Dio. Rifiutando il suo amore, ci si mette nella condizione di essere consegnati ad un vuoto arido, senza amore57.

Questo versetto si può prestare a varie interpretazioni. Quella della polemica contro l’idolatria (soffio-inutile = idolo) è un classico della letteratura profetica e sapienziale. Ma qui sembra un po’ fuori contesto. Il parallelo (ancora una volta) con il salmo 31 è pertinente: “Odio coloro che custodiscono vane divinità” (31,7). Ma chi sono i custodi di ingannevoli nullità? Gli unici sembrano essere i marinai, che però diventano nel testo proseliti, avvicinandosi al vero Dio e quindi allontanandosi dagli idoli. Ecco perché questo versetto sarebbe più esatto tradurlo così: “I custodi (mešammerîm da šamar) di ingannevoli nullità (havlê-šaw’) abbandoneranno (‛azab) la loro devozione (ḥasdam, da ḥesed)”. Giona non farebbe altro che cantare il prodigio che si è verificato sulla nave davanti ai suoi occhi, quando i marinai fenici pagani hanno gettato a mare i loro utensili (kelîm, usato a volte per “idoli”), abbandonato i loro idoli per pregare e sacrificare al Dio di Giona, il Dio vero (R/ Yosef Maharì Karà, contemporaneo di Rashi).

Rashi (1040-1105) è l’acronimo di Rabbi Shlomo Yitzhaqi, rabbino di Troyes nelle Ardenne (Francia) è uno dei commentatori medioevali ebrei della Bibbia più noti.

57 Da rileggere Geremia 2 … abbandonare il vero amore, l’acqua viva, per scavarsi delle cisterne screpolate … che perdono acqua preziosa e ci lasciano morire di sete oppure nella migliore delle ipotesi ci fanno bere acqua avvelenata …

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Al versetto 10 offrirò un sacrificio e adempirò un voto58 … senza saperlo, Giona si unisce all’ultima azione (cultuale) dei marinai e completa ciò che aveva detto di Dio (creatore e signore dell’universo) in 1,9: il Dio dell’universo è Salvatore.

Salvatore anzitutto di Giona: al v 11 – infatti – la Parola del Signore ordina al pesce di restituirlo, vivo. Commenta san Girolamo : «Viene dato ordine al cetaceo59, all’abisso e alla morte che restituiscano alla terra il Salvatore. Colui che morì per liberare i prigionieri dalla morte, porterà con sé moltissimi alla vita. L’espressione “vomitò” (CEI = rigettò qy’) è da intendere come enfatica, nel senso che dalle viscere vitali della morte, uscì vincitrice la vita».

Vediamo in questo una nuova creazione: l’asciutto secondo i primi capitoli della Genesi è la possibilità di vita che viene data all’uomo, l’assenza (o separazione) delle acque. Solo sull’asciutto e sulla terra l’uomo può vivere. La vita nascosta, i tre giorni agli inferi, la gestazione del nuovo uomo è terminata: Giona viene restituito alla terra come un essere vivente, finalmente vivo, obbediente, in grado di collaborare con il misterioso disegno di amore della creazione di Dio.

“Con voce di lode e ringraziamento (todah) sacrifico a te (zebach), ciò che ho promesso con voto (ndr) porto a compimento (šallem). Il testo non dice nulla se e come Giona avesse fatto un voto oppure una promessa al Signore, ma la spiritualità ebraica parla di 4 categorie di persone che devono offrire un sacrificio di ringraziamento: chi ha viaggiato in mare, chi ha attraversato il deserto, chi è guarito da grave malattia e il prigioniero tornato libero. Giona è tutti e quattro (!)

59 Per il Talmud (Bechorot 8a) Dio parla solo a tre creature: all’uomo, al serpente e al pesce che ha ingoiato Giona.

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La Seconda Missione di YONAH Proposta di schema A Prima missione 1,1-2,11 1) Giona e i marinai 1,1-16 1.1. la fuga di Giona 1,1-3 1.2. la tempesta 1,4-16 2) Giona e il grande pesce 2,1-11 B Seconda missione 3,1-4,11 1) la conversione di Ninive 3,1-10 1.1. l’azione del profeta 3,1-4 1.2. la reazione della città 3,5-10 2) tentativo di Dio di convertire Giona 4,1-11 La prima missione di GIONA Apparentemente tutto scorre bene nella vita di Giona. Ha il nome di un grande profeta del passato, probabilmente anche suo padre era profeta, israeliti abituati ad ascoltare la voce di Dio, a discernere ciò che da Lui proviene e ciò che è mistificazione. Il male, infatti, viene presentato dalla Bibbia, fin dal principio, come falsificatore della voce di Dio. Si introduce tra la Parola creatrice emessa, tra la Parola che chiama ed invia e la comprensione di colui che è chiamato. Nell’interpretazione e decodificazione di questa Parola, il serpente antico (come direbbe san Giovanni) introduce persino parole che non sono di Dio facendole passare per quelle di Dio, oppure instilla all’interlocutore umano il dubbio che una tale parola sia stata pronunciata per amore oppure per gelosia. I dubbi sull’esistenza di Dio, sulla veracità della sua Parola, sulle intenzioni buone del suo parlare e del suo agire: tutto è già nei primi tre capitoli del Genesi. Il resto della Scrittura riprende, ripete, applica ad altre situazioni, aiuta la nostra ermeneutica.

Giona è Adamo che fugge. Leggiamo uno stralcio dello stupendo libretto di Martin Buber, un vero capolavoro, Il cammino dell’uomo (Qiqajon, Bose 1990). Il racconto parte dall’incontro di un famoso rabbino russo, R/ Shneur Zalman e il suo carceriere, il capo delle guardie di san Pietroburgo. Entrato nella sua cella, era rimasto impressionato dal volto fiero ed immobile del rabbino. In breve ci fu un intenso scambio di vedute su vari punti della Sacra Scrittura, fino alla domanda finale: «Come bisogna interpretare che Dio Onnisciente dica ad Adamo: “Dove sei?”». «Credete voi – rispose il rabbino

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alla guardia – che la Scrittura è eterna e abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e tutti gli individui?». «Sì lo credo», rispose. «Ebbene – riprese lo zaddik – in ogni tempo Dio interpella l’uomo: “Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo, tu dove sei arrivato nel tuo mondo?». […]

Notiamo che la risposta del saggio viene data ad un piano diverso che la domanda. Questa non era una domanda autentica, bensì piuttosto una specie di controversia (alla Oddifreddi), un tentativo di dimostrare che Dio non è onnisciente, se ha bisogno di chiedere “Dove sei”. Significa che l’uomo ha la possibilità di nascondersi da Lui. Ma tale domanda non autentica riceve invece una risposta personale, che diventa persino ammonimento e spunto di riflessione per chi sta davanti. E’ una domanda che nessuno può eludere.

La risposta del Rabbi mira a chiarire al comandante delle guardie questo punto: «Adamo sei tu. A te Dio si rivolge, chiedendoti: “Dove sei?” Dio pone questa domanda ad ognuno di noi per provocare una reazione, per svegliare la coscienza, per colpire al cuore la nostra indifferenza e superficialità, ammesso che l’uomo si lasci colpire.

«Adamo – sostiene Buber – si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire alla responsabilità della vita, l’esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento. E nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento “davanti al volto di Dio”, l’uomo scivola (e sempre più profondamente) nella falsità. La situazione s’ingarbuglia, l’uomo fatica sempre più ad uscirne. L’uomo non può sfuggire all’occhio di Dio ma, cercando di nascondersi a Lui, in realtà si nasconde a se stesso. […] In questa situazione lo coglie la domanda di Dio: vuole turbare l’uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere che ha imboccato una strada sbagliata, far nascere in lui un ardente desiderio di venirne fuori».

E’ un criterio ermeneutico importantissimo per leggere la Scrittura. Nessuno rimane spettatore, siamo tutti coinvolti fino in fondo. Noi siamo Adamo in fuga da Eden e la nostra vita è un percorso di ritorno. Noi siamo Giona che fugge sul mare, e pertanto incappa in tempeste ed esperienze dolorose di sofferenza e morte (il pesce). Riconoscendo la propria ribellione e fuga da Dio, può iniziare il percorso che trasforma la nostra vita in un cammino verso la risurrezione, verso l’accettazione della vita piena di risorti che Dio ci ha consegnato nello Spirito del Figlio attraverso il Battesimo (immersione nell’acqua come segno di morte all’uomo vecchio e rinascita dell’uomo spirituale).

Tornando alla parola che Dio rivolge a ciascuno, “Dove sei?”, c’è da notare che è una parola fragile: non romba come un tuono, ma è una “voce di silenzio”, simile ad un soffio, è facile soffocarla. «Finché questo avviene – 34

prosegue Buber – la vita umana non diventa un cammino, resta priva di direzione finché egli non affronta la voce. Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: “Mi sono nascosto” (Gen 3). Qui inizia il cammino dell’uomo. Il ritorno decisivo in noi stessi è l’inizio del percorso umano»60. Questo breve stralcio dal libro di Buber termina anche mettendo in guardia da una falsa domanda che scimmiotta la domanda di Dio, l’unica domanda di verità. La si riconosce dal fatto che non si ferma al “Dove sei?”, ma prosegue dicendo: “Nessuno cammino può farti uscire dal vicolo cieco in cui ti sei smarrito”, gettando nella disperazione, delusione, depressione e smarrimento. Esiste, dunque, un ritorno perverso a se stessi che, invece di provocare l’uomo al ravvedimento e a metterlo sul cammino, gli prospetta insperabile il ritorno, condannando l’uomo a vagare senza meta per tutti i giorni della sua vita. Il vero ritorno in se stessi, provoca sempre l’azione di alzarsi (qûm) e tornare alla casa del Padre, per ricevere il suo caldo abbraccio61; per noi cristiani, è immergersi nel ventre del pesce/terra, cioè in Cristo stesso62.

B. SECONDA MISSIONE (3,1-4,11) 1. LA CONVERSIONE DI NINIVE (3,1-10) 1.1 L’azione del profeta (3,1-4) E fu la parola-di-Yhvh verso Giona una seconda volta, dicendo …

Dio non ha problemi nel ripetersi. In un certo senso, la Parola è sempre uguale a se stessa, è eterna. Non ha ieri e domani. Non può contraddirsi, non può dire oggi una cosa e domani un’altra totalmente diversa. Ciò che cambia – dicevano i Padri della Chiesa – è la comprensione del credente, la sua capacità di accoglienza della Parola, ecco perché possiamo dire, allo stesso tempo, che la Parola è sempre nuova. Se si dilata il contenitore, maggiore sarà il quantitativo di liquido che vi si può versare (S. Agostino). La stessa parola può risultare ostica, non capita, dura, lontana … fino a quando non si aprono

MARTIN BUBER, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Torino 1990.

Luca 15,11-32.

62 IXΘΥΣ (pesce in greco) era un acronimo con cui i cristiani intendevano (Iêsous Christos Theou Yios Sotêr : Gesù Cristo di-Dio Figlio Salvatore). Per i cristiani, il soggiorno di Giona (e di ogni credente) nel pesce è l’immersione in Cristo, significata nell’immersione rituale del Battesimo, in cui il cristiano muore al vecchio uomo e risorge come figlio di Dio. 60 61

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le orecchie del cuore, e la Parola viene accolta, come il seme viene accolto dalla terra: ogni seme, prima o dopo, porterà frutto (Isaia 55).

Dio ripete ancora e ancora la sua parola, perché sa che il nostro cuore e il nostro orecchio è incirconciso (Lev 26,41 e Ger 6,10), che siamo un popolo di “dura cervice”63. E’ la pazienza di Dio, la sua paideia (pedagogia) che, lentamente e per gradi, ripete per far penetrare la sua parola. Il grande monaco e papa, Gregorio Magno, interrogandosi sul capitolo primo del profeta Ezechiele, amava ripetere che la Scrittura cresce con chi la legge64.

Soggettivamente, possiamo aggiungere che confrontarsi per la seconda volta con la stessa parola che Dio ci rivolge, significa la possibilità di dimostrare che lo sbaglio fatto una volta per debolezza non si ripeterà. «Una cosa è cadere una volta nel peccato», dice Maimonide, «ma per poter mostrare la completezza del proprio pentimento, è necessario che l’occasione di compiere lo stesso peccato si presenti nuovamente in condizioni identiche e che il penitente resista alla tentazione di ripeterlo, diventando così recidivo»65.

In Genesi 22 l’angelo del Signore chiama due volte Abram che è sul monte Moria: la prima volta per fermare la sua mano alzata su Isacco e far capire che vuole fiducia totale e non sacrifici umani; la seconda, per benedire, grazie alla fede totale di Abram, tutte le nazioni della terra che da lui discenderanno. In 1Re 19 l’angelo di Yhvh torna per la seconda volta dal profeta Elia nel deserto di Beer-Sheva, per svegliarlo, rifocillarlo con del cibo e per dargli una meta (l’incontro con Dio sul monte Horeb).

Nel primo capitolo di Geremia, dopo il racconto della sua “vocazione”, il giovane profeta si sente rivolgere la parola del Signore che lo invita a guardare e discernere in ciò che vede il segno di un messaggio; dopo aver visto un mandorlo in fiore, segno di Dio che “veglia” sulla sua Parola 66, viene invitato da Dio a guardare bene una seconda volta e questa volta la pentola rovesciata annuncia che si rovescerà un’invasione distruttiva dal nord (Babilonesi). Lo stesso avviene al capitolo 13 (prima comprare una cintura di lino, poi portarla al fiume) e al capitolo 33 (per la seconda volta ripete che “cambierà le sorti” del popolo assediato e sconfitto). Infine, una prima e una seconda volta viene rivolto da Dio l’invito al profeta Aggeo di andare a Noi diremmo teste dure, mentre la Bibbia preferisce parlare di collo duro. Cf. Es 33,5 e 34,9 Deut 9,6.13 31,27 Ger 7,26 17,23 19,15.

64 PIER CESARE BORI, L’interpretazione infinita. L’ermeneutica cristiana antica e le sue trasformazioni, Il Mulino, Bologna 1987.

65 Hilchòt Tešuvà 2,1. Maimonide (1138-1204), detto RAMBAM, in realtà rabbì Moshè ben Maimon. Filosofo, rabbino, medico (del vecchio Saladino), nato a Cordova (Spagna) e morto in Egitto. Le sue opere più famose sono la Mishnè Torah e la Guida dei perplessi.

66 Allitterazione tra šaqéd (mandorlo) e šoqéd (vigilante): Dio vigila sulla sua parola affinché fecondi e porti frutto nei cuori umani.

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parlare con il governatore Zorobabele per ricostruire il tempio distrutto dai Babilonesi nel 58767.

C’è anche un altro significato per cui spesso Dio parla “due volte”: la ripetizione apre la capacità uditiva di chi ascolta. Dio pazientemente ripete e - come nel caso di Giona - la seconda volta che viene pronunciata, questa parola si fa strada, apre l’udito68, penetra fino al cuore (= la comprensione profonda). Solo allora si può dire di aver ascoltato: quando si diventa obbedienti. Per la Bibbia chi ascolta la Parola e non agisce di conseguenza (obaudire = ascoltare) significa che non ha sentito, che non può sentire, che è sordo. Chi ha gli orecchi del cuore aperti e ascolta la Parola, non può non obbedire, come ogni volta che il seme penetra nella terra, la feconda: prima o dopo, qualcosa nascerà, spunterà uno stelo verde69.

Alzati, va’ a Ninive … e annuncia …

Lo stesso comando di 1,1: alzati e va’! Ma ora Giona è cambiato, perlomeno ha capito che è inutile scappare. E’ una nuova creatura, rinato sull’asciutto, creato nuovamente dopo i tre giorni nel pesce, trasformato e trasfigurato da quella esperienza, obbedisce. Si alza, si reca a Ninive, senza sapere cosa esattamente dovrà dire, come già il veggente Bala’am che intraprende un viaggio sapendo solo che dovrà farsi portavoce della parola di Dio70.

Predica loro la mia predica, dice l’antica traduzione di Lutero; proclama ciò che Io ti ho proclamato, si potrebbe anche tradurre71. Il profeta è colui che parla Verrà ricostruito a fatica e con scarsità di mezzi nel 515. E’ il cosiddetto “Secondo Tempio”, in cui pregherà Gesù, dopo l’ampliamento della spianata e l’abbellimento da parte del re Erode il Grande (40aC - 6dC). Di questi lavori, viene fatta menzione esatta (46 anni) nel vangelo di Giovanni (2,20).

68 Ricordiamo le stupende parole di sant’Agostino nelle sue Confessioni: “Tu hai parlato, Signore, e hai sfondato la mia sordità …”. Bisogna arrivare a filosofi del linguaggio e linguisti come Karl Bühler per codificare le funzioni del linguaggio, tra cui quella “performativa” (es. dicendo “sia la luce!” Dio effettivamente crea la luce; nel nostro caso, se diciamo “lo giuro” in effetti giuriamo, rendendo valido il giuramento già dal suo pronunciamento. Cf. JOHN LANGSHAW AUSTIN, How to Do Things with Words (1962); trad. it.

Come fare cose con le parole, Marietti, Genova 1987.

69 Un altro esempio, sono le parole che i genitori pronunciano quando il neonato è in gestazione e quando è appena nato: il bimbo non capisce, ma quel rivolgergli la parola dei genitori genera in lui la capacità di ascoltare e in seguito di parlare. Il sordo, non parlerà mai.

70 Numeri 22-24.

71 A differenza del primo capitolo, qui l’ebraico non usa «qr’+ʻal» bensì «qr’+’el». Sarà una sfumatura, un semplice cambio di proposizione, ma è significativo: non più parlare contro (perché i peccati sono saliti), bensì un annunciare in essa un invito alla conversione e al pentimento in vista della salvezza. Al contrario, Lamentazioni 1,16 usa la stessa espressione per annunciare una disgrazia imminente.

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“a nome di colui che lo ha inviato”. Non ripete certo sotto dettatura, ma ha assimilato il messaggio divino e pertanto lo può trasmettere con parole sue. Il profeta Amos lo farà con le sue parole dirette (quasi violente) di allevatore ed agricoltore; Isaia lo farà con tutta la poesia e l’intelligenza che rivelano una persona colta ed eloquente; Ezechiele lo farà con la precisione e la visionarietà tipica del mondo levitico sacerdotale … ma ciascuno di loro deve in qualche modo «mangiare il rotolo», ossia interiorizzare la Parola per poterla trasmettere72. Non ci sono ricette, non ci sono frasi fatte da ripetere.

Anche oggi ogni cristiano, ogni prete, ogni padre di famiglia, ogni datore di lavoro, ogni maestro elementare o preside ha la responsabilità di trovare le parole adatte per trasmettere la volontà del Signore a chi lo circonda. Con le sue capacità, con la sua cultura e sensibilità: chi ha veramente ascoltato la Parola, chi l’ha fatta sua nel suo cuore, non può non diventare “inviato”, apostolo, trasmettitore (profeta) del messaggio che gli ha cambiato il cuore, che gli ha migliorato la vita.

Se l’evangelo del Signore ha veramente portato vita, gioia, luce nei nostri cuori, come possiamo rimanere muti? Chi resta muto, è perché è sordo … non ci sono vie di mezzo. Anziché lamentarci spesso della mancanza (o peggio della inadeguatezza) dei pastori ufficiali della Chiesa, ogni battezzato, uomo o donna, giovane o vecchio, dovrebbe interrogarsi su questo, esattamente come si era sentito interrogato il capo delle guardie dallo zaddik, ricordate? A ciascuno di noi Dio dice: “A che punto sei? Stai ancora piangendoti addosso o hai imparato a rimboccarti le maniche? Stai ancora pensando ad accumulare nozioni religiose e moltiplicare i ritiri, oppure hai iniziato a trasmettere agli altri la divina melodia, la Parola che da senso alle nostre vite?”

Giona deve proclamare alla città di Ninive non ciò che sente in cuore personalmente (odio per il nemico, desiderio di rivalsa, speranza che la città non si converta e non venga salvata …) ma deve adeguarsi a trasmettere ciò che Dio gli ha fatto capire. Ha fatto esperienza di un Dio che ama ed insegue la sua creatura fin nella tomba per strapparla dal potere della morte, ora deve annunciare il messaggio che Dio gli dirà. Anche in Esodo 6,29 Mosè sente inizialmente il comando di Dio di recarsi dal Faraone, ad annunciare ciò che io ti dirò. Deve fidarsi, e in seguito riceve anche il contenuto di ciò che dovrà dire al sovrano dell’Egitto73.

D’altronde, anche Gesù ripeterà questo ai suoi contemporanei: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con E’ il famoso episodio di Ezechiele 3.

«All’inizio Dio lascia il giusto nel dubbio e solo in un secondo tempo gli fornisce tutte le precisazioni desiderate» (Yalkùt Shim’oni 343).

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me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,28-29).

Il vs 3 ci dice che Giona ha vinto le proprie resistenze, i dubbi, le ribellioni (o così pare). Si alza, va’ a Ninive, secondo la parola di Yhvh. Come Abramo che si dirige al monte Moriah (Genesi 22), così Giona si dirige verso la grande città nemica di Israele. Questa volta obbedisce, la sua resistenza è vinta. Ma dal seguito del racconto, emergono dei dubbi sulla reale unità d’intenti fra Colui che invia e chi viene inviato. Forse in cuor suo Giona spera di poter pronunciare una terribile sentenza da parte del Dio che punisce i malvagi “fino alla terza e quarta generazione …” ma probabilmente è quasi sicuro di dover assistere ad una conversione di quei malvagi, perché sa che il suo Dio “usa misericordia fino alla millesima generazione” (Deuteronomio 5,9-10).

Ninive era una città molto grande …

Ritorna l’uso dell’esagerazione: la parola “grande” compare 14 volte in questo breve racconto74. Tre giorni interi di cammino per attraversarla, sembrano davvero troppi … Il Talmud insegna che un uomo può percorrere 41 km. in un giorno. L’intero tragitto (il diametro della città) sarebbe quindi di ben 123 km. Alcuni commentatori interpretano questa cifra come il perimetro della città, più che il suo diametro. Nell’originale ebraico per dire “città molto grande” si dice alla lettera “era una città grande per Dio” (Elohim). Il nome di Dio è usato a volte nella Bibbia come superlativo: nel salmo 36,7 i “monti di Dio” sono monti altissimi. In realtà il racconto, parlando dei “tre giorni” di Ninive, richiama i “tre giorni” nel pesce: forse anche la città ha qualcosa di mostruoso, capace di divorare il profeta?

C’è un gioco narrativo di contrapposizioni e correlazioni, di rispondenze e di contrasti: da un lato, infatti, i niniviti si contrappongono a Giona, l’ebreo, i molti davanti all’unico, i pagani al popolo d’Israele, rappresentato dal profeta del Dio unico. Abbiamo già visto la variante evangelica di questo tema: i niniviti sono contrapposti alla generazione contemporanea di Gesù appartenente al popolo eletto, i pagani si sono convertiti al Dio d’Israele, mentre Israele non si è convertito alla predicazione di un profeta più grande di Giona. L’ironia del testo (anche autoironia, visto che è scritto da un israelita e ha per protagonista un profeta) è sempre presente.

In questo gioco di contrapposizione, il movimento di discesa dei capitoli 1-2 viene sostituito da un movimento di salita ed espansione. Prima Giona resta tre giorni ingoiato da un pesce, ora tre giorni inghiottito da una grande città; prima era in preghiera solitaria (cap. 2), ora parla apertamente e predica alle moltitudini. La salita-espansione avviene dal popolo al re, dal re a tutti, dal re e popolo insieme verso Dio. Al verbo scendere (yarad) si sostituisce il 74

ANTHONY R. CERESKO, «Giona», in NGCB 39:5.

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proclamare (qara’): Giona proclama il suo messaggio (v 4), i niniviti proclamano il digiuno (v 5), il popolo deve gridare (sempre qara’) a Dio (v 8).

La corrispondenza, invece, è quella dei niniviti con il loro re in parallelo ai marinai con il loro capitano dei capitoli precedenti. La simmetria è un parallelismo aperto, ai marinai e niniviti si aggiungeranno altri. Nonostante la sua ribellione a Dio, la sua confessione e conoscenza del suo Dio aveva convertito i marinai pagani; ora, avrà la stessa buona sorte anche nella città pagana e malvagia di Ninive75.

Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta …

Nehpháchet (verbo hafak). Il testo narrativo gioca ancora una volta con il doppio significato dei verbi: hafak significa distruggere, radere al suolo76, ma significa anche invertire, mettere sotto sopra, rivoltare, rovesciare. Il greco katastrephô può significare un cambiamento radicale, di condotta o di situazione77.

Ninive ha 40 giorni di tempo, il tempo del cambiamento, il tempo della pazienza di Dio78. Può riflettere sul messaggio di Giona e per non autodistruggersi con le proprie mani, vittima della violenza imperante in città, si lascia sovvertire dalla parola profetica del Dio di Giona e si converte. Anzi, prima viene un verbo ancora più importante : Gli abitanti di Ninive credettero in Dio …

1.2 La reazione della città (3,5-10) L’effetto narrativo è esplosivo: distrutta/credettero. Il verbo usato è quello che noi usiamo per dire AMEN!79 Gli abitanti di Ninive prestano “fiducia” in Dio (Elohim), nel Dio di Giona, non nei propri idoli. Credere, avere fede, qui viene indicato come un porre fondamento saldo, dare credito alla parola che viene pronunciata. E’ un effetto incredibile: la città sanguinaria, traditrice, piena di rapine, insaziabile saccheggiatrice, prostituta, adescatrice che attirava i popoli con le sue fornicazioni e stregonerie (Nahum 3,1.4) di punto in bianco si rivolge a Dio. Seguono due azioni che dimostrano concretamente questo repentino e fulmineo cambiamento di mentalità e di costumi: proclamarono un digiuno e vestirono di sacchi …

ALONSO SCHÖKEL, I profeti 1167-1168.

Il riferimento è a SODOMA: Gen 19 Ger 20,16 Dt 29,22 Is 1,7 13,19 Am 4,11.

77 1Sm 10,9 Es 14,5 Sal 105,25.

78 Cf. Ez 33. Il profeta è sentinella; i 40 sono dati non perché si anticipi crudelmente l’angoscia dell’inevitabile, bensì perché si susciti una reazione atta ad evitarla.

79 Wayya’amînû ‘anšê Nînwêh be’lohîm. Cf. Sal 78,22 e Es 14,31.

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La rinuncia al cibo volontaria, in tutte le religioni ha un significato profondo.

Senza cibo, il nostro corpo (ma anche la nostra mente) si affloscia. Dal cibo riceviamo la forza di andare avanti, di pensare, di agire. La rinuncia per motivazioni religiose, indica il porre in atto un segno importante: la vita non proviene solo dal cibo, ma dalla Parola che mi viene rivolta dal Signore80. E il cambiamento di vestito è un segno altrettanto forte: antropologicamente, il vestito è simbolo della persona81. Anche se diciamo che «l’abito non fa il monaco», ossia il vestito non è così importante per giudicare una persona, in realtà sappiamo tutti che non è vero. Non solo giudichiamo le persone dal loro modo di vestire, ma il vestito diventa quasi una seconda pelle, un modo di porsi, un atteggiamento esteriore che riflette il proprio mondo interiore.

Così chi si veste “di sacchi” vuole esprimere cordoglio per la propria vita sbagliata, lutto, pentimento, desiderio di un cambiamento radicale di vita82.

Il re di Ninive si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco, si siede sulla cenere/polvere …

Nulla ci viene detto sull’identità di queste re, che rimane vaga proprio perché tutti i re dei paesi che circondano Israele vi si possano identificare. Il racconto è anche un monito per le nazioni che hanno oppresso, spogliato e deportato Israele. RASHI lo identifica con il Sennacherib di 1Re 19,36s83.

Si alza (qûm), facendo prontamente ciò che Giona non si era dimostrato capace di fare. E si alza … per abbassarsi: togliersi la veste significa togliere qualsiasi barriera di rango tra sé e i sudditi, cambia personalità, si rende uguale a loro nella penitenza. Dal momento che Ninive non si è mai storicamente convertita ed è stata effettivamente distrutta (612 aC), questo racconto vuole essere un messaggio per tanti altri re ed imperatori, grandi città ed imperi sovrani.

V 7 : il comportamento spontaneo di alcuni cittadini diventa LEGGE, diventa un bando ufficiale proclamato vincolante per tutti. Più che “per ordine del Cf. Deut 8 che è poi anche la risposta di Gesù al tentatore, al tempo del suo digiuno.

2Re 1,8 ci dice che Elia viene riconosciuto come “profeta” dal suo vestito (come Giovanni il Battezzatore). L’abito può essere segno di consacrazione (saio o abito monacale, vesti liturgiche), può contraddistinguere chi serve il paese in difesa della patria (divise militari), un camice bianco distinguerà sempre un medico, una tuta un operaio, ecc.

82 1Re 21,27 Sal 35,13 Ester 4,1. Per i rabbini, il digiuno è una forma di preghiera che ha lo scopo di scongiurare o abolire un severo decreto. Nelle antitesi di Matteo 6 elemosina, preghiera e digiuno devono essere fatte “in segreto”, per essere viste dal Padre che abita “nel segreto” (intimo).

83 Sin-ahhe-eriba (705-601 aC), figlio di Sargon II, era il re assiro che aveva scelto Ninive come capitale, dopo aver conquistato Babilonia e aver messo l’assedio a Gerusalemme (701 aC) contro il re di Giuda Ezechia (cf. Prisma di Taylor al British Museum). Il re assiro viene menzionato da DANTE nel XII canto del Purgatorio, nel girone degli orgogliosi.

80 81

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re” (CEI 2008), l’ebraico mittaʻam (min + taʻam) indica “secondo il gusto del re”, il suo buon senso. La stessa parola è quella usata più avanti per ordinare “non gustino” (ʾ al-yitʻamû) nulla.

Uomini e animali non mangino nulla … non bevano … uomini ed animali si vestano di sacco … E’ veramente straordinario seguire il filo conduttore ironico del testo, che immagina anche gli animali coinvolti in questa enorme e totale liturgia penitenziale, senza toccare cibo né acqua, vestiti di sacco …

Forse si può pensare ai cavalli del re, normalmente addobbati riccamente, ai quali vengono tolti i loro preziosi e colorati paludamenti …

Descrivendo una siccità, Geremia 14 parla di un coinvolgimento di cerva e cerbiatti, di asini selvatici e sciacalli … Un altro testo da leggere con calma è Gioele 2: gli uomini, la terra e gli animali sono tutti convocati per una liturgia penitenziale solenne, cosmica, che prepara la venuta del “giorno terribile del Signore”. Ciascuno è chiamato a “lacerarsi il cuore e non le vesti: chissà che Egli non cambi?”, profetizza Gioele.

La voce del Signore si fa sentire: "Or dunque - oracolo del Signore -, ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male".

14Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?

Infatti la logica può essere questa: se il digiuno umano provoca la compassione di Dio, anche la fame e la sete degli animali può rafforzare tale compassione, in quanto «Tu, Signore, soccorri uomini e animali», dice il Salmo 36,7.

Il Midrash Yonà recita: «Gli abitanti di Ninive alzarono anche i loro stessi figli verso il cielo gridando al Santo Benedetto: “In favore di questi bambini innocenti che non hanno mai assaggiato il peccato, ascolta le nostre preghiere e non farci morire!».

Ognuno si converta … chissà che Dio non si ravveda …

Le nostre traduzioni non osano parlare di una “conversione” di Dio, ma il testo usa lo stesso verbo šub/nicham): la nostra con-versione a Dio fa sì che Dio converta il suo sguardo, forse diretto altrove, sulla nostra sorte. Il deporre la propria condotta sbagliata, violenta e disumana, forse può far sì che Dio deponga la sua ira e non porti a termine la sua parola di distruzione84.

In questo caso, Dio emana una parola di verità che segnala una situazione, avvisa, mette in luce ciò che ai nostri occhi è velato. Ma la parola che ci dice “se continui così, ti perdi”, è detta proprio affinché, con-vertendo e invertendo il senso di marcia, ci salviamo, mettendoci sulla via giusta.

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Ed è proprio così: dal momento che Dio è il Dio della vita e non della morte, della creazione e non della distruzione, della pace e non dell’ira, del perdono e della misericordia e non del rancore e della vendetta, avverrà proprio così.

Non perché le nostre opere influiscano o possano avere un certo “potere” su Dio: questa è la concezione della magia. Faccio un rito, metto un amuleto, dico una formula magica e … “costringo” Dio a svelarsi o a fare ciò che richiedo. No. Dio è libertà assoluta. Egli prende sempre l’iniziativa. No ci può essere una relazione di causa/effetto tra il nostro pregare e l’essere esauditi … e facciamo fatica a comprenderlo. Se ci lascia nel grido, se le nostre preghiere non sono immediatamente esaudite avrà i suoi motivi, e dobbiamo accettarlo con amore, portando la nostra croce. Poi capiremo il perché … dopo esserci fidati, mai prima.

Dal momento che il SIGNORE non vuole altro che il nostro bene, non aspetta altro che dimostrarci il suo grande Amore, non appena ne ha la possibilità, non appena gli diamo una benché minima occasione di farlo. A lui basta anche un pretesto, un nostro cenno, un nostro piccolo passo …. non ci lascia nemmeno fare il primo gradino, gli basta che alziamo il piede per farlo, ed è già lì, pronto a sollevarci sulle sue braccia.

E’ la lezione centrale del libro: se l’uomo cambia, vede Dio cambiare. Non perché Dio sia mutevole, cambi d’aspetto o di opinione, ma perché si trasfigurano i nostri occhi, e vediamo la realtà (spirituale) quale è. La sua è sempre una volontà di bene: basta che volgiamo il capo e cerchiamo di guardare i suoi occhi, che li troviamo già alla ricerca dei nostri.

Il Signore si pentì della minaccia verso di loro … (Es 32,14 e Ger 26,13).

Se questo popolo si converte, mi pentirò del male che avevo promesso (ancora Geremia 18,7-8 e 36,7). E’ il nostro modo umano di esprimerci. v 9 : il punto interrogativo finale del proclama del re è posto proprio per salvaguardare la LIBERTA’ di Dio: Mî yôdeaʻ? Chissà..? Solo una fiducia totale e irremovibile nella sua pietà, SA che ha già ottenuto ciò che chiede.

Chi conosce il cuore di Dio, SA che Egli reagirà in questo modo.

A seconda delle interpretazioni, come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, la Bibbia dice che Dio “si pente”85 e “non si pente”86. Forse la chiave teologica è formulata in modo chiaro da un testo del profeta Ezechiele:

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Gen 6,6 1Sm 15,11 2Sm 24,16 ecc.

1Sm 15,29 Sal 110,4 Nm 23,19.

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23Forse

che io ho piacere della morte del malvagio - oracolo del Signore - o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?

Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l'iniquità non sarà più causa della vostra rovina. 31Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perché volete morire, o casa d'Israele? 32Io non godo della morte di chi muore. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e vivrete.

(Ez 18,23.30-32).

Chi cambia vita ed esce dalla ribellione e dalla violenza che sono contro Dio (anche se dirette contro il prossimo), si trova automaticamente nella benedizione e nella misericordia di Dio. Dio non maledice nessuno: con il nostro comportamento e le nostre scelte responsabili scegliamo da che parte stare.

Sant’Agostino, commentano da par suo questa pagina, rileva come in un certo modo si potrebbe dire che la profezia di Giona, la parola detta da Dio per mezzo del suo profeta si sia realizzata: Ninive restò in piedi o fu distrutta? In un modo la vedono gli uomini, in un altro Dio. Io penso che quanto fu annunciato dal profeta si sia compiuto. Guarda cos’era Ninive: vedi come fu distrutta nel male e costruita nel bene87.

I versetti 7-9 dimostrano concretamente la FEDE in Dio di queste persone, prima piene di “condotta malvagia e violenta” (hamás) e il loro può essere il modello di un vero pentimento a tre tappe: 1. il riconoscimento della colpa, anche attraverso azioni esterne concrete (digiuno, tela di sacco, preghiere incessanti) che altri possono constatare88.

2. l’atteggiamento interiore, il cambiamento di condotta verso gli altri (smettere di essere malvagi e violenti): ecco la con-versione concreta, il cambiamento di mentalità, non solo la sospensione di giudizio verso gli altri, ma l’inizio di una nuova etica, un nuovo atteggiamento verso gli altri.

Chi rinuncia alla violenza, ha già vinto il senso di inadeguatezza, di inferiorità/superiorità verso gli altri che lo soffocava.

Enarrationes in Psalmos, PL 36,593.

La prassi penitenziale della prima chiesa era così: vestiti speciali o segni speciali venivano posti su coloro che, dopo la confessione di un peccato grave contro la comunità, si sottoponevano ad un percorso penitenziale di purificazione ed emendamento …

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3. il riconoscimento della LIBERTA’ di Dio nel rispondere a quelle azioni (buone) umane. Il re non pretende che Dio reagisca automaticamente ed inevitabilmente al loro pentimento è ed singolare che siano i pagani (e non Giona) ad avere questa straordinaria intuizione della libertà sovrana di Dio. Già i MARINAI ed ora i NINIVITI, infatti, hanno formulato ciò che Giona fa fatica a riconoscere (e per ora rifiuta) nel suo Dio: Dio agisce come a Lui piace, che sia conforme o no alle aspettative umane.

La tradizione ebraica prende un’altra strada, e traduce il v 9: «Chi comprende si pentirà, e Dio perdonerà (niḥam?!?) e allora fermerà il divampare della sua collera»89. Per questi autori, si tratta di colpe nascoste, note solo a colui che le ha commesse. Si tratta di rendersi conto del proprio male, pentirsene, cambiare vita … e forse Dio si lascerà commuovere (niḥam)90.

Dio vide … e si pentì …

Il VEDERE di Dio non è un rendersi conto: Dio sa tutto e vede tutto; vivendo in un eterno presente, non conosce passato e futuro; queste sono categorie terrestri. E allora? Il suo vedere è un prendere atto con gioia dei NOSTRI cambiamenti, perché non basta pentirsi nel cuore e credere in Dio, è indispensabile cambiare le azioni secondo la volontà divina. Dio gioisce quando vede che l’uomo, rinunciando alla violenza e ad una vita di inganno e malvagità, ha lasciato la strada franosa che porta al precipizio dell’autodistruzione e s’incammina decisamente sulla strada dell’umiltà, della sincerità e dell’amore verso gli altri, cose che rimuovono il verdetto di condanna91. Questo è chiarissimo in Giovanni: Gv 12,47-50 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Colui che mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica. La parola che ho pronunciato, quella lo giudicherà nell'ultimo giorno; perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre RASHI è stato il primo grande commentatore ebreo che ha giustificato l’uso di antropomorfismi nel parlare di Dio, attribuendogli limiti tipici dell’umanità, per facilitare all’uomo la comprensione; “divampare dell’ira”, infatti, in ebraico corrisponde al riscaldamento delle narici (o arrossamento).

90 Niḥam difficilmente si può tradurre con “perdonare”. Piuttosto commuovere, cambiare decisione, ripensarci, tornare sulla propria decisione.

91 Per i rabbini 4 cose rimuovono un decreto severo (medat hadîn): la carità (tsedaqâ), la supplica (zeʻaqâ), il cambiamento del proprio nome (shinû hasshem) e il cambiamento della propria condotta (shinû hammaʻaseh). Tb, Rosh haShanà 16b. Cf. Es 32,14 (desistere dall’ira contro il popolo per non far gioire i nemici) e Ger 18,7 (sradicare/distruggere, edificare/piantare).

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stesso che mi ha mandato mi ha comandato ciò che dovevo dire e pronunciare. E so che il suo comandamento è vita eterna. Ciò che dico, lo dico come il Padre me l'ha detto».

Gv 5,22-30 Colui che non onora il Figlio, non onora il Padre che l'ha mandato. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.

In verità, in verità vi dico: viene un'ora, ed è adesso, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che l'avranno ascoltata vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso; e gli ha dato il potere di fare il giudizio, perché è Figlio dell'uomo.

Non stupitevi di ciò: viene un'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri ascolteranno la sua voce e coloro che hanno fatto il bene ne usciranno per la risurrezione della vita, coloro che hanno praticato il male per la risurrezione del giudizio. Io non posso fare nulla da me stesso. Come ascolto giudico e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato».

Ma Giona non è ancora pronto ad entrare profondamente nell’ottica inusuale, incredibile e inaspettata di un Dio che non giudica e perdona.

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L’ultima Lezione di YHVH 2. DIO TENTA DI CONVERTIRE GIONA (4,1-11) Ma Giona ne provò grande dispiacere e fu sdegnato … (TM ebr. “si accese d’ira” o, come abbiamo visto, gli si scaldarono le narici…).

Si dispiacque Giona di un dispiacere molto grande e restò attonito, traduce la Settanta (trad. greca dell’AT).

Il capitolo quarto, come il secondo, torna a focalizzarsi su Giona.

Il terzo capitolo (in parallelo letterario stretto con il primo) ci aveva presentato una missione ancora una volta strepitosamente vittoriosa di Giona. Da “profeta di sventura”, colui che annuncia unicamente un castigo per i peccati, colui che applica rigidamente la giustizia di Dio che colpisce e punisce il male, potremmo dire che si era trasformato in portatore di conversione, di felicità, di preghiera, di conoscenza del vero Dio. Gli abitanti di Ninive si sono tolti di dosso un comportamento abituale fraudolento e violento, malvagio e disonesto, trasgressivo e prevaricatore nei confronti dei propri simili. Come ci si toglie di dosso un vestito, essi hanno indossato il vestito della giusta relazione di umiltà e accoglienza nei confronti del Dio di Giona, che si rivelava loro come Colui che vince la morte, come Colui che perdona il peccato, anche se grave e reiterato.

Ma la grande “liturgia penitenziale” della città di Ninive, il loro digiuno, le loro preghiere, la loro conversione al Dio vivente …. sono un grande dispiacere per Giona, e lo fanno accendere di collera.

Con la fine del capitolo terzo, poteva anche terminare la storia di Giona, con un bel successo e dei pagani che si piegano al Dio di Israele, convertendosi, facendo penitenza e invocandolo nella preghiera. Ma la narrazione riparte in maniera sorprendente, sottolineando la reazione di Giona alla conversione della città pagana. Il capitolo quarto risuona come una specie di commento, una provocazione per i lettori di tutti i tempi, contemporanei e futuri. Se Giona reagisce così, come reagiranno i futuri lettori della narrazione?

Torna per la settima volta il sostantivo ra‘a (male): il male come malvagità che provoca la reazione di Dio (1,2), la sventura (1,7), la cattiva condotta dei niniviti (3,8-10), ora sfociano nel “male” (disgusto) che affligge Giona. v 2-3 : pregò il Signore … Segue una preghiera strana, molto diversa dal suo pregare dal ventre del pesce (2,2), in cui finisce per chiedere a Dio che gli si tolga la vita. L’amarezza di Giona è così travolgente, da giungere al punto di togliere ogni desiderio di vivere. Egli spiega anche il motivo della sua fuga a 47

Tarsis, rimasto implicito fin dal primo capitolo e questo è proprio il nocciolo della questione. Giona finalmente tira fuori che il vero motivo della collera e del dispiacere non è la conversione di Ninive ma è un problema che riguarda proprio chi è Dio, l’essenza della divinità, il NOME di Yhvh, il suo modo di porsi, l’agire di DIO con il suo popolo e con i nemici del suo popolo. Giona era fuggito perché sapeva: sa come è fatto il suo Dio. Sa che Dio è misericordioso e perdona, per questo fugge. Questo è il problema di Giona.

Per capirlo, dobbiamo confrontare due testi : 1

Oracolo su Ninive.

Esodo 33,14-23 / 34,5-7

Libro della visione di Naum da Elkos.

14 Rispose:

"Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo".

Alef 2 Un

Dio geloso e vendicatore è il Signore,

vendicatore è il Signore, pieno di collera.

Il Signore si vendica degli avversari e serba rancore verso i nemici.

3 Il

Signore è lento all'ira, ma grande nella potenza e nulla lascia impunito. [cf. Es 34,6]

"Se il tuo volto non camminerà con noi, non farci salire di qui. 16Come si saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, se non nel fatto che tu cammini con noi? Così saremo distinti, io e il tuo popolo, da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra". […]

18 Gli

Bet Nell'uragano e nella tempesta è il suo cammino e le nubi sono la polvere dei suoi passi. […]

Zain - 6Davanti al suo sdegno chi può resistere e affrontare il furore della sua ira?

Het - La sua collera si spande come il fuoco e alla sua presenza le rocce si spezzano. […] Caf - Distrugge chi insorge contro di lui, i suoi nemici insegue nelle tenebre.

9 Che

15 Riprese:

cosa tramate voi contro il Signore?

Egli distrugge: non sopravverrà due volte la sciagura, 10poiché, intrecciati come rovi, avvinazzati come ubriachi, saranno consunti come paglia secca. 11Da te è uscito colui che trama il male contro il Signore. […]

14 Contro

di te decreta il Signore:

"Nessuna discendenza porterà il tuo nome, dal tempio dei tuoi dèi farò sparire le statue scolpite e quelle fuse, preparerò il tuo sepolcro, poiché non vali nulla".

disse: "Mostrami la tua gloria!".

19 Rispose:

"Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia". 20Soggiunse: "Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo". 21Aggiunse il Signore: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: 22quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. 23 Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere".

5 Allora

il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore.

6 Il Signore passò davanti a lui, proclamando:

"Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà, 7 che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione".

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Siamo davanti ad un dilemma: il NOME con cui Dio si è rivelato al più grande dei profeti (Dt 18,18), Mosè, sembra totalmente differente dal volto di Dio proclamato dal profeta Nahum. Questi, prima di scrivere il suo libro, che è tutto e solo un atto di accusa (e forse di odio) verso la città diventata simbolo di tutti i mali di Israele, motiva i suoi oracoli con una premessa importante (capitolo 1), in cui presume di poter dire chi è il vero DIO (colonna di sinistra).

Chi ha ragione? Il Dio che perdona fino alla millesima generazione, che è tutto pietà, amore, fedeltà e perdono (Esodo 34 a Mosè) oppure il Dio vendicativo e geloso, terribile e pieno di collera, alla cui punizione non si sfugge (Nahum)?

Prendendo spunto dalla caduta di TEBE (668 aC), Nahum profetizza la caduta di Ninive (612 aC) con dovizia di particolari e grande capacità poetica92. Molti autori si sono accorti della differenza di quanto dice lui di Ninive e di ciò che ci trasmette come messaggio il libro di Giona e per questo lo bistrattano, quasi fosse un falso profeta.

Ma noi eviteremo il tranello di obbliga a schierarsi a tutti i costi, dando ragione solo ad una delle due parti; significherebbe dribblare la difficoltà e rinunciare ad una visione poliedrica. Non crediamo che Nahum sia semplicemente “un leghista” del tempo, nazionalista, anti-assiro, vendicativo al punto di gioire della disgrazia dei nemici. Se il suo libro è stato inserito nella Sacra Scrittura, è sicuramente perché il suo messaggio e serio ed importante, un pezzo anche piccolo del puzzle che compone il messaggio che Dio ci ha lasciato attraverso le sante Scritture. Sarebbe un errore come quello di coloro che dicono che l’AT è superato, che non serve perché “primitivo” e cancellato dalle parole di Cristo. Non è la sede per confutare questo errore grossolano. Basta dire, per ciò che riguarda il nostro argomento, che di “vendetta”, “ira di Dio” e di punizione dei nemici si parla molto anche nel NT93. Quindi il problema è da approfondire e capire.

Il problema di Nahum è quello della giustizia di Dio nella storia. In fondo, rispetto a Giona - spettatore di una Ninive che si converte - il problema di Nahum è maggiore: può Dio perdonare la città empia, i nemici violenti e prevaricatori, quando la “tana del leone” continua a riempirsi di vittime (2,13), quando continua a rovesciare sui popoli la sua continua malvagità (3,19)? Può Dio perdonare chi si ostina nel male? La risposta di questo profeta In realtà tra il 668 e il 654 aC. anno in cui Tebe si rialza. Nahum sarebbe quindi l’unico profeta nel lungo regno del re Manasseh (698-643 aC), di cui critica la politica estera filoassira.

93 Lc 21,22-23 Rm 2,5 3,5 9,22 12,19 Eb 4,3 10,30 2Ts 1,8 Apoc 11,18 14,10 16,19 ecc.

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evidentemente è NO94. Nel Nuovo Testamento il messaggio di Nahum (sulla collera di Dio) viene ripreso dall’ultimo libro, punto di arrivo della nostra rivelazione (Apocalisse 6,17: l’ira di Colui che siede sul trono e dell’Agnello).

Il Dio geloso e vendicatore (Qannô’ weNoqem) di Nahum (3x Dio vendicatore solo nel primo versetto) compare anche nel primo comandamento del Decalogo, dove Egli si mostra “geloso” (grk. zêlotes) del suo posto esclusivo95 . Dio è anche geloso del suo popolo e non tollera che altri si approprino di lui96. Questo antropomorfismo sta ad indicare che Dio non è neutrale davanti a soprusi ed aggressioni, anzi vi reagisce appassionatamente, e il suo zelo è passione per la giustizia.

Al versetto 1,3 Nahum compie una allitterazione rispetto al testo parallelo della invocazione liturgica tradizionale del NOME di Dio di Esodo 34,6 : Il Signore è lento all’ira ma grande nella forza … Sostituisce “misericordia” (amore - hesed) di Esodo con la “forza” (koah).

Ci aiuta un altro brano, in cui ricorre ancora una volta la rivelazione del “nome” di Dio come in Esodo 34,6 ma con la menzione della “potenza” (forza) di Dio, come in Nahum. E’ Numeri 14,17: 17Ora

si mostri grande la potenza [forza] del mio Signore, secondo quello che hai detto: 18"Il Signore è lento all'ira e grande nell'amore, perdona la colpa e la ribellione, ma non lascia senza punizione; castiga la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione".

19Perdona, ti prego, la colpa di questo popolo, secondo la grandezza del tuo amore, così come hai perdonato a questo popolo dall'Egitto fin qui".

20Il Signore disse: "Io perdono come tu hai chiesto; 21ma, come è vero che io vivo e che la gloria del Signore riempirà tutta la terra, 22tutti gli uomini che hanno visto la mia gloria e i segni compiuti da me in Egitto e nel deserto e tuttavia mi hanno messo alla prova già dieci volte e non hanno dato ascolto alla mia voce, 23certo non vedranno la terra che ho giurato di dare ai loro padri, e tutti quelli che mi trattano senza rispetto non la vedranno.

Giustizia e amore, fermezza e tenerezza, decisione e longanimità, forza e misericordia, ira e pietà non sono, come potremmo pensare, espressioni antitetiche, bensì complementari. In Dio, sono aspetti del medesimo amore.

Dio si è rivelato a noi come AMORE, soprattutto nella persona, nelle parole nelle opere di Gesù Cristo. Ma attenzione a trasformare l’amore di Dio in ALONSO SCHÖKEL L., I profeti 1223-1242.

Cf. Es 20,5 34,14 Gs 24,19 ecc.

96 Is 9,6 Gioele 2,18 Zc 1,15 8,2.

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qualcosa di simile ad … vecchio nonno, al quale, dal momento che non ha più l’udito buono, si può dire di tutto … Dio ha “le gambe buone e la vista ottima”, non gli sfugge nulla e ha la forza di tenere in pugno la situazione, qualsiasi situazione. Amore e Giustizia in Dio non sono altro che due facce della stessa medaglia97.

Se l’Assiria (Ninive, ma in seguito Babilonia, l’antica Roma, la Cina o chi per essi) continua a dominare, è perché il Signore ha pazienza; ma questa non sarà infinita: verrà il momento della collera di Dio, perché Egli ha la forza di distruggere il male. Per noi cristiani, soprattutto grazie alla mediazione teologica di san Paolo, è chiaro che l’ira di Dio, il suo perdono e allo stesso tempo la sua vittoria definitiva sul male si sono già manifestati in Gesù Cristo98. La vittoria definitiva sul male è alle spalle, non in un lontano ed ipotetico futuro. La decisione personale di immergersi nel sacrificio pasquale di Cristo ci fa partecipare o meno a questa vittoria, che deve solo essere completa e definitiva, in tutto e in tutti.

Ma per Giona il problema sussiste: dei pagani si sono convertiti, il suo popolo rimane “duro di cervice”. Conoscono Dio e le sue leggi, pertanto sono sicuramente più responsabili davanti a Dio rispetto ai niniviti, eppure fanno fatica a convertirsi. I rabbini sostengono che la collera di Giona sia stata motivata dalla paura che i niniviti non attribuissero la cancellazione della condanna al pentimento, ma piuttosto affermassero che la profezia di Giona non era fondata e soprattutto che Dio non aveva la forza d’intervenire con la punizione.

L’efficacia del pentimento di Dio sfugge ad ogni logica umana. Gli Ebrei lo raccontano con un Midrash: Fu chiesto alla Sapienza: Qual è la punizione del peccatore?

Essa rispose: i peccatori vengano perseguiti per il loro male!

Fu chiesto alla Profezia: Qual è la punizione del peccatore?

Essa rispose: L’anima peccatrice: sarà essa a morire!

Fu chiesto alla Torah: Qual è la punizione del peccatore?

Essa rispose: che porti un sacrificio di espiazione e ottenga così il perdono!

Fu chiesto al SANTO BENEDETTO: Qual è la punizione del peccatore?

Cf. Sal 88,13 Lam 3,2 Is 8,22 Ger 4,27 30,11 46,28.

Da leggere il capitolo 2 della lettera ai Romani. Ciascuno di noi, liberamente e responsabilmente, ogni giorno con le proprie azioni “ammassa per sé un tesoro di collera per il giorno dell’ira di Dio” oppure affronterà quel giorno come una liberazione, il gioioso arrivo del Signore che asciugherà le lacrime dagli occhi dei suoi devoti. Cf. anche Apocalisse 11,18 14,10 e 16,19.

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Egli rispose: che si penta e ottenga così il perdono!99 Per questo motivo … Tarsis, perché SO che sei un Dio misericordioso …

Giona non vuole che la misericordia di Dio sia scambiata per debolezza.

Quanto è attuale questo pensiero: molti cristiani di oggi lo sottoscriverebbero!

Invece di seguire un Dio-bambino, un Dio-crocifisso, debole e consegnato nelle mani degli uomini, vorrebbero seguire un Dio guerriero, trionfante, un Dio in grado di dimostrare a tutto il mondo chi comanda, chi regge il mondo, chi può punire i malvagi …

Il profeta Giona conosce la storia del suo popolo, conosce i testi che abbiamo letto nella Torah100, conosce lo stile di Dio e non si rassegna. Fuggiva perché non voleva correre il rischio di una predicazione di un “oracolo di sventura” che smuovesse l’empia città di Ninive portandola alla conversione e quindi alla salvezza. Era fuggito perché non voleva essere portatore di salvezza.

L’ironia del racconto è sublime: di solito si scappa da una punizione, Giona scappa dalla misericordia e dall’amore, non vuole che il perdono di Dio si realizzi …

La conversione e la vita salva di una città nemica e pericolosa come Ninive sarebbe stato un pericolo costante per il futuro di Israele. Quindi, la salvezza di Ninive sicuramente avrebbe significato altre umiliazioni storico-politiche per Israele e questo Giona non poteva accettarlo. Non era ancora venuto Gesù ad affermare chiaramente «Il mio Regno non è di questo mondo». I credenti di allora, come quelli di oggi, sono invece sempre tentati dal mettere in piedi un “Sacro Impero”, in cui la fede sia anche legge civile; sono favorevoli all’influsso della Chiesa gerarchica sulla politica, vorrebbero, anzi, veder rinascere un grande partito cristiano; non vedono niente di male nei “favori” che il Governo di turno elargisce alla chiesa (non sapendo o non volendo sapere che ciò rende schiavi, lega le mani, mentre la Chiesa, come Cristo, è libertà assoluta da ogni potere e compromesso).

Piuttosto che vivere in un mondo dove la giustizia di Dio non s’impone e non domina tutto e tutti, Giona prosegue la sua preghiera, chiedendo addirittura al Signore di togliergli la vita: meglio per me morire che vivere … (ripetuto al v 9).

Versetto 3 : Molti Patriarchi e profeti hanno chiesto a Dio di morire, perché scoraggiati, amareggiati, sconsolati o stanchi.

Midrash, Talmudj, Makkôt 2,6.

I 13 attributi di Dio indicati in Esodo 34,6-7: misericordioso, longanime, pietoso, ecc. Sono i NOMI di DIO che hanno ispirato il “rosario” dell’Islam, i 99 nomi di Allah, ripetuti con amore con un rosario di 33 grani fatto scorrere tre volte.

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In modo particolare, emerge il parallelo con 1Re 19 dove il profeta Elia, reduce da un lungo cammino dal monte Carmelo (a nord) fino a Beer-Sheva (il confine meridionale del regno di Giuda), s’inoltra da solo nel deserto per una giornata di cammino, si lascia andare sotto una ginestra (ginepro, roveto, o cespuglio che sia), chiedendo a Dio di morire. Il suo sonno profondo assomiglia al sonno di Giona: non vuole più saperne di profetare, di difendere l’unicità del Dio Unico di Israele contro il paganesimo idolatrico e l’immoralità del re, della regina Gezabele e del suo popolo. Tutti i suoi sforzi sembrano vani. A che serve parlare in nome di Dio e profetare, se nessuno cambia vita?

Ma il problema di Giona è esattamente al contrario: non vuole morire - come Elia - perché sente che la sua profezia non ha effetto, che non riesce a cambiare i cuori e portarli verso il suo Dio … al contrario! E’ riuscito, suo malgrado, a testimoniare il nome di Dio ai marinai pagani della nave ed essi si erano sinceramente convertiti. Ora aveva percorso solo uno dei tre giorni a disposizione nella città di Ninive e tutti, dal re all’ultimo suddito, dal vecchio al giovane, e persino gli animali, tutti si erano convertiti al Dio vero ed unico, dimostrando il proprio pentimento, chiedendo perdono. Questo per Giona è insopportabile101.

Con il versetto 4 il testo inizia, allora, una sezione nuova. Dio si dedica al suo profeta, con pazienza ed amore, esattamente come il Padre di Luca 15, che, dopo aver accolto e riabilitato il figlio minore tornato a casa dopo tanto tempo, deve “uscire” nuovamente per andare a far ragionare il figlio maggiore, di cui non ci viene detto se capisca e, dopo averlo rimproverato, torni nella piena armonia con il padre …

Giona, che dice di sapere tutto su Dio, su ciò che sarebbe meglio fare o su ciò che non sarebbe degno di Dio e del suo popolo, deve ricevere una lezione. E Dio cerca di provocare la nostra riflessione intima ancora con una domanda: V 4 : Il Signore rispose: “Fai bene ad adirarti così”?

Il testo sottolinea che l’iniziativa è completamente nelle mani di Dio. Con questa frase cerca di farlo ragionare, di innescare un esame di coscienza.

Questa collera che ti sta distruggendo, questa “amarezza” per la conversione (= salvezza) dei tuoi nemici, è una cosa buona? E’ una reazione che porta del bene, che fa bene? «Fare del bene, ti dà pena?» (Rabbi Hirsch).

Giona uscì dalla città …

Alla domanda, Giona risponde con un gesto. Il Signore assiste alla reazione seccata di Giona che, ancora una volta, volge le spalle ed esce dalla città. Esce “fuori” dalla città convertita, quasi a prenderne le distanze. Ora che la città Per i rabbini chiede a Dio “di risparmiargli la visione della distruzione del popolo” (Ibn ʻEzra), che sarà nuovamente in futuro sconfitto e umiliato dalla potenza di Assur.

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non è più nemica ma si è convertita, ha digiunato e prega incessantemente il Dio vero, Giona esce.

Si mette sotto una capanna, all’ombra. Sembra una reazione simile a quella del sonno profondo, nel fondo dell’imbarcazione che portava lontano. Ma questa volta non dorme, sta attento: non crede a quella conversione … Dentro di sé, crede che Ninive si sia convertita unicamente per opportunismo, per paura della distruzione e che, quindi, tale atteggiamento non sia destinato a durare.

Dio osservava con amore Ninive e ha visto il cambiamento radicale dei suoi abitanti. Giona, invece, osserva con rancore, attento al minimo passo falso, pronto forse a portare a termine quell’unico oracolo che il Signore gli aveva ordinato di emanare (40 giorni e Ninive sarà distrutta) e la cui sospensione rischiava, ora, di farlo passare per un falso profeta102.

Per due volte viene ripetuto un verbo interessante: si sedette (yashav), che è l’esatto contrario del comando di Dio (1,2 e 3,2), ripetutogli anche dal capo dell’equipaggio sulla nave (1,6). Si era alzato Giona, aveva obbedito. Ora si siede nuovamente. E non si siede nemmeno come aveva fatto il re di Ninive, per umiliarsi davanti a Dio. V 6 : Allora il Signore fece crescere una pianta di ricino …

Seguono due versetti (6-8) abbastanza misteriosi: Giona è già all’ombra, nella sua tettoia di frasche: perché Dio dispone (mnh pi.) che una pianta di ricino cresca in fretta e con la sua ombra tolga il suo male? Probabilmente perché era una capanna “fatta da lui” e come tutti gli sforzi umani che non sono in sintonia con Dio (vedi anche gli sforzi dei marinai per “salvare” Giona) sono destinati a fallire.

C’è sicuramente una gustosa assonanza nel testo ebraico originale 103 tra “ombra” e “salvarlo” (tsel e hatsil) che in traduzione si perde. Il male che affligge Giona è la sua amarezza e la sua collera. Il Signore, vera Ombra protettrice104 è l’unico che può dare a Giona un’ombra che lo protegga. E’ quest’ombra che lo libera. Nella sua bontà, Dio partecipa misteriosamente anche ai suoi questa capacità di “salvare” anche solo con la propria “ombra” (cf. Atti 5,15: portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro).

Dt 18,21-22: «Forse potresti dire nel tuo cuore: "Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?". Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore. Il profeta l'ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui».

103 Alß lyCih î ;l. Avêaro-l[; ‘lce tAyðh.li (lihyôt ș el ‘al-ro’šô lehaș îl lô).

104 Salmo 17,8 36,8 57,2 63,8 91,1 121,5 ecc.

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Vediamo in dettaglio: anzitutto il verbo manah: può tradurre il verbo contare, enumerare, preparare, ritagliarsi una porzione. Nella sua forma enfatica (piel, a volte riflessiva) significa “disporre”, “destinare”. E’ il verbo della decisione imperscrutabile di Dio, del suo volere che, volenti o nolenti gli umani, si compirà105.

Nel racconto di Giona, Dio dispone un pesce che lo inghiotta (2,1) mentre ora dispone che un ricino cresca (4,6 CEI 2008: fece crescere), dispone che un verme rosicchi la pianta (2,7 CEI: mandò) e infine dispone che si alzi il vento afoso del deserto (2,8 CEI: fece soffiare). Sempre lo stesso verbo nell’originale: tutto ciò che avviene ha un regista dietro le quinte dell’apparenza106.

Certo, è il modo di parlare della Bibbia: per il testo sacro, tutto è disposto da Dio, che manda la tempesta, manda la pioggia, il vento, fa crescere le piante, manda i vermi e le locuste … Noi abbiamo introdotto intelligentemente il discorso delle cause “seconde”: Dio ha creato, immettendo dei meccanismi evolutivi che non dipendono direttamente dal comando di Dio: piove quando ci sono determinate condizioni di umidità e scontri di correnti, le piante crescono se hanno le giuste condizioni climatiche, ecc. Ma è altrettanto vero ciò che ripetevano i nostri anziani: Non muove foglia che Dio non voglia. Da non prendere alla lettera, ma nemmeno sottogamba!

Potremmo tradurre per la nostra sensibilità religiosa: è la lettura di fede degli eventi, fatta da un credente che mette ogni avvenimento in relazione con il suo Creatore, Signore, Sposo. San Francesco era giunto a ringraziare il Signore per il sole e per la pioggia allo stesso modo, per la salute e per la malattia: la presenza del Dio-Amore era per lui più importante degli stati d’animo, della situazione meteorologica, della salute stessa (ad es. : non è sempre vero ciò che ripetiamo “l’importante è la salute!”: ci sono tantissime persone sane infelici).

Giona si rallegra moltissimo per il ricino107, prova una grande gioia, che lo fa uscire dalla sua amarezza. L’ombra della tettoia di frasche se l’era procurata da solo, mentre l’ombra del ricino è segno della bontà di Dio, una sua carezza, un riguardo del tutto particolare per quel suo profeta ribelle da convertire. Dio mette in atto una strategia, un piano di amore e di attenzioni, date e poi sospese, per far riflettere e reagire colui che ama.

Il NT conosce la forma greca dei: “era necessario”, si doveva, era destino (voluto da Dio) che accadesse.

106 Il verbo ebraico manah viene normalmente tradotto in greco con pros-tassô : il comando dell’angelo a Giuseppe (Mt 1,24), di Gesù ai discepoli (Mt 8,4 e 21,6 e paralleli).

107 Nel greco della Settanta il ricino è kolokýnthê : una zucca. La parola è un hapax, cioè ricorre una volta sola in tutto l’AT. Il Talmud, Shabbat 21a parla di shemen qîq, olio di ricino, assimilandolo alla pianta del qîqayôn di Giona 3. Altri parlano di edera, vedendovi un simbolo del popolo d’Israele.

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L’iniziativa di Dio prevede che un verme faccia seccare il ricino-zucca. Niente più ombra, segno della provvidenza di un Dio che lo ama. Forse si tratta di un ulteriore invito a credere ed amare la Parola di Dio anche senza un ritorno vantaggioso personale, uno stimolo ad amare il Donatore e non il dono …

Quando poi si alza il vento caldo, soffocante, proveniente da oriente, dal deserto, Giona fa esperienza della Geenna, la valle di Hinnon, che confluisce nella valle del Cedron, sotto Gerusalemme dove, essendo la discarica della città, il fuoco ardeva sempre e l’odore nauseante toglieva il respiro. Per Giona è lo stesso: l’afa non lo lascia respirare, il sole gli picchia dritto sulla testa … a Ninive non succede niente di ciò che si aspettava … Giona sviene108, si sente morire, si sente all’inferno.

Lo leggiamo nel Vangelo di Marco (9,42-50): E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue109. [Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri].

Ancora una volta, Giona chiede di morire.

Il vs 8 è come il vs 3: meglio per me morire che vivere …

Tornando allo svenimento di Giona, è suggestivo leggere una ricorrenza biblica dove torna lo stesso verbo: Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore".

12Allora andranno errando da un mare all'altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno. 13In quel giorno verranno meno [lett: sveniranno] per la sete le belle fanciulle e i giovani.

Questa citazione di Amos 8,11-13 parla di un “venir meno” (svenire) per la mancanza di vera acqua, cioè della Parola di Dio. Ecco ciò che fa svenire Giona: gli manca in quel momento una vera adesione alla Parola del suo Dio. E’ troppo attaccato alle sue visioni personali, alle sue opinioni, alle sue paure Verbo ʻalaph hitp. : avvolgersi attorno, girare la testa, svenire.

Citazione di Isaia 66,24 l’ultimo versetto del lunghissimo libro del profeta Isaia. Qui si parla dei credenti che, nei nuovi cieli e nella nuova terra creati da Dio, si recheranno ogni sabato al Tempio e, uscendo, vedranno il verme e il fuoco nei cadaveri di chi si è ribellato a Dio. In questo caso, il verme potrebbe essere un monito per Giona a non indurirsi nella ribellione, perché non c’è vita senza Dio. 108 109

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future (che Ninive torni ad opprimere Israele), e poco affidato, fiducioso, poco innamorato della Parola del Dio vivo e vero.

Allora ecco la lezione finale del libro, chiusura magistrale di un piccolo racconto magistralmente scritto e la cui importanza è forse inversamente proporzionale alla sua lunghezza. Riprendendo il vs 4, Dio ripete la domanda che era rimasta senza risposta: fai bene ad infastidirti così (per la conversione della città) …

Fai bene ad infastidirti così (per la perdita di una pianta) …

Il contrasto è stridente: Dio chiede a Giona qual è il suo criterio di valutazione, quale senso dà alla vita …

Fai bene ad adirarti così … e questa volta la ragione c’è: è la pianta di ricinozucca. La versione greca preferisce parlare di dispiacere (lypéô): ti sembra bene dispiacerti così per un ricino? Questo forse per concordare meglio l’ultima lezione di Dio, che dice proprio a Giona tu hai avuto pietà (hws) della pianta di ricino … se ci atteniamo al testo ebraico, non si capisce molto come dalla rabbia per la morte del ricino si possa passare all’amore pietoso (hws) di Giona per la pianta, che motiva l’amore pietoso (hws) di Dio verso Ninive e i suoi abitanti110.

E’ un dato di fatto che alcuni verbi usati nella Bibbia esprimono allo stesso tempo rabbia e dolore, collera e darsi pena per qualcosa. Capiamo qualcosa di più se applichiamo il piano simbolico: se il ricino-zucca o edera è simbolo di Israele, nella rabbia-dolore di Giona c’è allo stesso tempo il dolore di veder “seccare” Israele e la collera di vedere che alcuni violenti pagani si convertono e si salvano, avvicinandosi a Dio, ciò che molti del popolo eletto non sono capaci di fare.

Il contrasto viene evidenziato dal testo anche tra “ciò che Giona non ha creato con le sue mani” (Ibn ʻEzra), per cui non ha lavorato, che è cresciuto spontaneamente in una notte e al mattino è seccato … e ciò invece per cui Dio ha operato, creando, amando, plasmando continuamente, perdonando, richiamando, formando e salvando: ogni essere vivente! E’ ancora una volta l’ironia del testo che sottolinea, allora come oggi, come la preoccupazione della maggioranza delle persone sia attratta ed impegnata da cose che non durano, cose che appaiono e scompaiono, anziché da quelle che durano per

Ancora una volta si distacca la versione greca LXX che traduce hws con pheídomai : risparmiare (es. Rm 8,32 11,21), trattenersi da (2Co 12,6). Sarebbe la pietà che risparmia il colpo di grazia e concede la vita. Ma come si applichi questo a Giona e alla zucca, rimane un mistero.

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l’eternità111. Siamo molto lesti a trasformare in nostra proprietà cose per le quali non abbiamo faticato, protestando e piangendo se poi ci vengono sottratte112.

Una vecchia omelia, proveniente da circoli giudaici ellenistici, commenta così: Se ti addolora la loro religiosità, sei ingiusto; se sei geloso della loro liberazione, sei disumano; se ti preoccupi che giudichino falsa la tua predicazione, questa accusa tocca me, non te113.

Vs 12 : l’ultimo versetto è una stupenda conclusione, un capolavoro di questo piccolo gioiello letterario. Il testo finisce con una interrogazione retorica, di grande respiro. Tutto il racconto gravita su questa domanda. E’ la domanda di Dio per quelli che si credono buoni, e disprezzano i cattivi ed è una domanda per coloro che si vedono cattivi e sono in cerca di speranza.

La domanda che Dio pone a Giona rimane sospesa: non sapremo mai come vi ha reagito il profeta Giona, ed è giusto che sia così perché è una domanda che varca la storia e s’indirizza ad ogni lettore del libro: a Israele che si riconosce in Giona, ai pagani convertiti e ai loro discendenti (noi) che ci sentiamo oggetto della misericordia e del perdono di Dio e a tutti, uomini e persino animali i quali, ignari di un progetto di amore di Dio su ciascuno di loro, vivono senza distinguere la destra dalla sinistra (ossia il bene dal male, il fare dal pensare, l’esteriorità dall’interiorità).

Il libro si chiude con questa immagine di immensa pietà e tenerezza di Dio verso ogni essere umano, spesso travolto dal proprio destino, schiacciato dagli eventi, in balìa di una storia nella quale non riesce a diventare protagonista. Dio ha dimostrato molte volte la sua pietà, il suo amore ed anche la sua forza nel difendere il suo popolo, Israele. Ma pone questa domanda: come posso io, Creatore e Signore di tutti gli esseri viventi, non dimostrare interesse, amore, protezione «soprattutto verso chi – non avendo

Secondo Paolo, dovrebbe essere la condizione normale del cristiano: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2).

112 “Tu non hai lavorato, né seminato e né innaffiato” (Rashi). Ricordiamo l’impegno e le “fatiche” apostoliche degli apostoli che seminano, innaffiano una messe che non cresce se non grazie al Signore, nelle varie comunità cristiane (1Cor 3,6-7).

113 ALONSO SCHÖKEL L., I profeti 1173.

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ricevuto la Torah – non sa distinguere tra il servizio di Dio e quello agli idoli»? (Malbim)114.

Gesù riprende questo insegnamento e ci ricorda l’importanza della vigilanza: «Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,47-48).

Nello stesso contesto in cui chiede ai suoi di «cercare piuttosto il Regno di Dio, e tutto il resto vi verrà dato in aggiunta» (Lc 12,31), parlando di sobrietà di vita, di povertà fiduciosa in Colui che sa di ciò che abbiamo bisogno, Gesù racconta la parabola dei servi che affrontano insieme la lunga attesa del loro padrone che deve tornare dalle nozze, esortandoci a non stancarsi nell’attesa, continuando ad amministrare tutto ciò che ci è stato donato come proprietà SUA, non nostra.

Il libro di Giona si chiude su questo interrogativo: se è SUO ogni animale, pianta (ricino-zucca), ambiente geografico (da Jaffa alla nave, da Tarsis a Ninive), ogni evento atmosferico (tempesta e vento caldo del deserto), se è suo il credente che riceve continuamente la sua Parola (Israele e la Chiesa) come pure è suo ogni pagano, ateo, agnostico, lontano, ogni violento e bestemmiatore, ogni “nemico” e ogni persecutore del popolo credente, allora, di che preoccuparci? Dio ci chiede: non è forse giusto che io mi occupi di tutti? Oppure saremo gelosi perché ciò che ha promesso a noi lo dona anche agli altri?115 Ecco cosa ci consegna l’autore del libro di Giona. Mette questa sua operetta tra le nostre mani, ci lascia i suoi quattro fogli come un racconto che all’apparenza non impegna ed invece ci scotta tra le mani. Ci lascia con questa domanda, sperando che lavori nei nostri cuori e ci metta in dialogo generoso con il Padrone di tutte le messi della terra, colui che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). A chi accoglie questa Sua parola, egli stesso ha dato il potere di diventare figlio: non siamo figli di Dio semplicemente per nascita, lo diventiamo ancor più per scelta consapevole116.

Ancora un acronimo di un famoso rabbino del passato, Meir Leibush (1809-1879), nato in Ucraina, operante in tutte le più grandi città dell’epoca (Varsavia, Bucharest, Vienna, New York), morto a Kiev.

115 Matteo 20,1-16: al termine della parabola dei salariati chiamati ad ogni ora nella sua “vigna”, il Signore chiede a chi ha sempre lavorato nella Chiesa: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».

116 Giovanni 1,12.

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INDICE INTRODUZIONE .......................................................................................................... 3 La profezia .............................................................................................................. 6 Il mistero di Dio ...................................................................................................... 7 Proposta di schema ................................................................................................ 9 A. PRIMA MISSIONE (1,1-2,11) ................................................................................... 9 1. GIONA e i Marinai (1,1-16) ................................................................................. 9 1.1. La fuga di Giona ........................................................................................... 9 1.2. La tempesta ............................................................................................... 13 La fuga di GIONA e la tempesta sul mare ......................................................... 19 2. GIONA e il Grande Pesce (2,1-11) ..................................................................... 21 La prima missione di GIONA ............................................................................. 33 B. SECONDA MISSIONE (3,1-4,11) ............................................................................ 35 1.

La Conversione di Ninive (3,1-10)................................................................. 35 1.1 L’azione del profeta (3,1-4) ......................................................................... 35 1.2 La reazione della città (3,5-10).................................................................... 40 2. Dio tenta di convertire GIONA (4,1-11) ........................................................ 47

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