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Esperienza diversa in tempo di Covid 19
Vittorio Picardo
Casa di Cura Nuova Itor, Roma
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Da più di un anno, il virus Covid 19 è presente nelle nostre giornate, nei nostri ambienti di lavoro, nelle nostre case e riempie le prime pagine di giornali e telegiornali. La pandemia, come tutti ben sappiamo, è stata grave, violenta e con un bilancio di centinaia di migliaia di casi di persone positive, di moltissimi ricoveri ospedalieri e di quel triste e grande numero di decessi. Quasi tutto il 2020 è stato così caratterizzato da immagini televisive toccanti, indimenticabili, tristi. Nei grossi, ma anche piccoli, ospedali delle nostre città, si dovette affrontare una crisi immediata, grave, imprevista, che ha rivoluzionato l’organizzazione e l’utilizzo delle tradizionali realtà ospedaliere, impegnando qualunque tipologia di personale per le attività più disparate. E mentre si lottava per ottenere mascherine, farmaci, respiratori automatici ed altro, tanti Colleghi oculisti al nord, al centro e al sud sono stati aggregati alle équipe degli specialisti di settore per aiutare l’organizzazione, velocizzare alcune attività assistenziali… dare una mano di aiuto. Ma alla fine dell’anno scorso, si iniziò a parlare di vaccini e già dai primi di gennaio il più importante e principale rimedio alla diffusione del virus nella società umana era disponibile. È cominciata così la campagna vaccinale, mentre migliorava il numero dei pazienti positivi, dei ricoveri e dei decessi. Nel gennaio 2021 sono cominciate le vaccinazioni e nel mio piccolo ospedale, intorno a maggio, è stato istituito un centro vaccinale per un solo tipo di vaccino, AstraZeneca, come presidio territoriale di supporto. Affianco all’ingresso laterale, esisteva già invece una struttura mobile a tenda per l’esecuzione di tamponi, per il personale interno, logicamente, ma soprattutto per quello esterno. La strada dove sorge il complesso assistenziale è alle spalle di un grande ospedale romano, il Sandro Pertini, una zona un po' trascurata dalla urbanistica, con strade nuove, ma non ancora completamente utilizzabili e tanto spazio verde, incolto e disordinato. La mattina era facile vedere già in lontananza l’assembramento di persone in attesa nelle strade spoglie ma piene di auto. Mi fu chiesto ad un certo punto di collaborare con il centro vaccinazioni, mentre altri Colleghi e tanti bravissimi infermieri lavoravano già, non solo nell’area tamponi, ma anche nel reparto Covid di semintensiva, forte di 40 posti letto che era stato allestito in 2-3 giorni al primo piano della nostra palazzina. Tutti potevamo infatti contribuire a gestire una situazione difficile e imprevedibile e così, quando mi fu chiesto di fare dei turni come Medico responsabile del centro vaccini, ho accettato senza alcuna esitazione. Alcuni giorni, in 6-7 ore abbiamo vaccinato anche più di 200 persone partendo da 8 postazioni di triage, e 4 di vaccinazione, preparando le dosi momento per momento, cercando di non sprecare nulla, ma effettuando invece rigidi controlli doppi a fine giornata, perché al numero dei flaconcini di vaccino corrispondessero le giuste somministrazioni, e
Ingresso Persone in attesa

il tutto fosse equivalente al numero delle siringhe adoperate. Avevo imparato che ogni flaconcino sviluppava 11 dose, ma ogni tanto ne uscivano 12 per l’impostazione della catena di riempimento dei flaconi vaccinali. Avevamo dei tablet per i questionari del triage e delle strane penne magnetiche per la firma del consenso sul dispositivo elettronico. Perché queste righe a ricordo della esperienza? Perché, nei miei turni di giugno, luglio, agosto e settembre, ho visto e sentito tante storie umane diverse, ho dovuto operare scelte cliniche negando, per esempio, la seconda dose di vaccino a chi era al di fuori dei range di sicurezza, avendo peraltro vissuto tutte le peripezie legate al vaccino AstraZeneca e alle sue diverse modalità d’uso. Alcuni pazienti erano in cura in grossi Centri specialistici ma. per il continuo variare delle disposizioni, io in quel momento diventavo più significativo del loro Centro di riferimento. Ad esempio, un signore proveniente dall’Inghilterra aveva contratto la malattia, ma nell’ambito del percorso inglese non aveva effettuato un tampone, ma solamente una sierologia che dimostrava l’avvenuto contagio anche se in maniera paucisintomatica. Il signore era giunto in Italia, ma non poteva rispondere correttamente ai quesiti del triage perché non esisteva una data di tampone positivo effettuata in Inghilterra. Altre persone non hanno eseguito la seconda dose perché portatori di un indice di massa corporea che sconsigliava l’uso di quel vaccino, molte persone giovani al di sotto dei 60 anni hanno invece accettato AstraZeneca pur consapevoli dei limiti imposti. Altri ancora hanno accettato la cosiddetta vaccinazione eterologa, cioè con due vaccini diversi. Era difficile in quei momenti, con tante persone in attesa, riuscire a spiegare tutto per bene a ciascun paziente, ma era indispensabile comportarsi così, perché un sorriso, una parola gentile, un momento di spiegazione in più hanno convinto e rasserenato tante persone. Per sorridere invece, personalmente mi sono capitate 5-6 persone della Sri Lanka che avevano tutti lo stesso domicilio e lo stesso numero di telefono, ... lascio a voi ogni supposizione. Così come è capitato di un marito convinto a vaccinarsi e la moglie no, e viceversa. O di chi chiedeva la vaccinazione a tutti i costi per ottenere un documento, possibilmente in inglese, da esibire per ritornare in patria, all’estero, mentre tra fine luglio e primi di agosto, molti giovani fuori range di età, hanno eseguito la vaccinazione con AstraZeneca per... andare in vacanza. In qualche momento di relax si scherzava tra noi medici con la caposala e tutto il team dei ragazzi infermieri che non hanno lasciato nessuna persona senza un consiglio, un aiuto, una parola gentile. Tante volte ci siamo interessati personalmente di procurare un nuovo appuntamento o indirizzarle al centro hub vaccinale più idoneo, perché qualche volta si è creata un po' di confusione quando la giornata vaccinale era legata alle attività di open day. Abbiamo digitato codici fiscali e tessere sanitarie a non finire, e ogni notte il nostro server interno scaricava i dati nel cervellone della Regione Lazio. Altri episodi sono capitati, alcuni divertenti, come trovare un signore siciliano di Canicattì, piuttosto che il parente di un attore o altro, ma tutti sono stati per noi delle persone da aiutare a sconfiggere la pandemia da Covid 19, perché l’Italia riprendesse la sua vita sociale e produttiva al più presto. Pochi giorni fa la Regione Lazio ha testimoniato l’impegno delle varie Strutture donandoci un attestato che ha ben ripagato il nostro impegno professionale ed umano. Se dovesse servire per altre attività future la nostra Struttura si è resa disponibile.
