6Donna #9 13

Page 1

Società Quando il potere è donna

Moda I classici cambiano look

Ambienti Nuova filosofia d’arredo

viaggi L'altra faccia dell'Iran

Inchiesta:

L’Alzheimer corre contro il tempo


2

o t t o b re duemiladieci

sommario

ditoriale di ANNA RUSSO

4 Personaggio del mese • Stefania Creatura giornalista autrice di un docu-film sul premier 5 Attualità • Violenza su donne e bambini

6 Inchiesta • Tutti i volti della demenza 8 Società • “Ad Personam” di Micky de Finis 10 Bellezza • Belle per sempre 11 Moda • I classici cambiano look 12 Mondo Bimbi • Liberi di Creare 14 Arte • Arteterapia per esprimere fuori il proprio “sentire dentro” 15 Architetto • Open Door vuoto e libertà senza confini 16 Cucina • Verza, un ortaggio di stagione dalle tante virtù benefiche 17 Rubriche 21 Piante • I fiori dell’autunno 22 Viaggi • L’altra faccia dell’Iran 23Salute • Prevenzione è vita

Mi piacerebbe, ogni tanto, scrivere un editoriale che parli solo di donne che hanno realizzato i propri sogni. Donne le cui aspirazioni, legittime, si sono concretizzate in un lavoro soddisfacente, donne che trovano riparo e conforto in famiglie, degne di essere definite tali, donne su cui si riversano le aspettative di tanti uomini ed altrettante donne. Vorrei poter raccontare sempre, così come accade in questo numero nella rubrica “Ad personam” di Micky De Finis, di donne giunte ai vertici della carriera come è accaduto per Emma Marcegaglia e come sta accadendo a Susanna Camusso, che a novembre, scaduto il mandato di Guglielmo Epifani, sarà eletta nuovo Segretario Generale della CGIL. Una vera rivoluzione nel mondo del lavoro in cui, per la prima volta nella storia, due donne si ritroveranno a sedere al tavolo più importante delle trattative, una di fronte all’altra, a difendere interessi contrastanti quali possono essere quelli degli industriali e dei lavoratori. Confindustria contro il “Sindacato” per antonomasia, la CGIL, primo sindacato libero nato come frutto della Resistenza e della Liberazione dopo la parentesi fascista, durante la quale erano state sciolte le associazioni operaie precedenti. Un braccio di ferro fortemente sentito negli ultimi mesi, segnati da una crisi economica che ha, gioco forza, inasprito i rapporti tra operai e “padroni” (permettetemi la crudezza del termine). Uno scontro alla pari tra due donne chiamate a rappresentare due folte schiere costituite, e qui l’interessante paradosso, soprattutto da uomini. Vorrei parlare solo di questo, dicevo, ma, come tante altre volte, non è possibile. Non lo è perché l’attualità cede il passo alla cronaca che si tinge di nero. E la famiglia, da riparo sicuro, diventa l’altare del sacrificio riparatore. Perché è questo che sembrano essere stati gli omicidi di Sarah Scazzi e Lea Garofalo: vite stroncate per punire un’onta subita. Nel primo caso (ma naturalmente è ancora tutto da dimostrare) la punizione arriva per impedire che una molestia sessuale avvenuta in ambito familiare diventi pubblica, nel secondo colpisce una collaboratrice di giustizia che ha infranto il patto per la vita di chi è legato alla ‘ndrangheta. E come nei rituali più macabri, non c’è altro modo per lavare l’onta, se non con il sangue di chi ha peccato. Sarah strangolata e gettata in un pozzo, Lea rapita e uccisa dal suo ex compagno. Per lo stato di decomposizione del giovane corpo, alla madre di Sarah è stato sconsigliato di vederne il cadavere. Per i familiari di Lea questo potrebbe neppure essere motivo di discussione: il suo corpo è stato sciolto nell’acido. Non c’è più.


o t t o b re duemiladieci

3


4

o t t o b re duemiladieci

personaggio

STEFANIA CREATURA GIORNALISTA AUTRICE DI UN DOCU-FILM SUL PREMIER

“Le dame e il Cavaliere” come sesso e potere condizionano la politica italiana 110 minuti per una riflessione sulla storia contemporanea Giovane e di grandi aspettative, Stefania Creatura è una giornalista foggiana che ha realizzato la video-inchiesta “Le dame e il cavaliere”, coordinata da Franco Frasassi insieme ad Andrea Annessi Mecci, Andrea Petrosino e Luisa Sgarra. Si tratta di un docu-film, prodotto dalla Telemaco, che racconta mediante testimonianze inedite, intercettazioni e registrazioni ambientali, le vicende pubbliche e private del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dalle feste a Palazzo Grazioli agli scontri con la ex moglie Veronica Lario, scandali e sexy-gate condensati in 110 minuti. Il docu-film racconta quello che accade dentro e fuori le “stanze del potere”. Vicende di cui si è parlato ampiamente, sia in tv che sulla carta stampata. Cosa c’è di nuovo nel vostro lavoro? Noi facciamo il punto su una situazione alla quale - ahimé - ci siamo assuefatti anziché indignarci. Dimostriamo come l’attenzione verso giovani donne piacenti (alle quali si concedono favori di ogni genere, dal ruolo in una fiction alle nomine in politica) possa gravare sul nostro Paese. La novità della nostra inchiesta sta nella forma e nella sostanza: è un film vero e proprio, con una colonna sonora, una sceneggiatura dinamica, un montaggio incalzante e pillole di ironia. Amara però. Inoltre, non credo si sia parlato ampiamente di tutte le vicende raccontate nel film. Penso all’intervista rilasciata da Antonello Zappadu, il fotoreporter dello scandalo di villa Certosa, oppure ai “trappoloni” tesi a chi voleva indagare sul rapporto tra il premier e la giovanissima Noemi Letizia. Attraverso “Le dame e il Cavaliere” chiediamo al pubblico di riflettere su come sia stato possibile arrivare a tale degrado.

Come sei stata coinvolta in questo lavoro? Ho iniziato a lavorare con Franco Fracassi grazie ad un master in giornalismo che ho conseguito a Roma. Per me giornalisti si nasce, significa avere una determinata forma mentis e saper filtrare criticamente la realtà, prescindendo dalle convinzioni personali. Ho iniziato questo cammino a 20 anni, anche se è una “missione” che sentivo già da bambina, da quando a 7 anni chiesi ai miei genitori una Meano Blanca, la mia prima macchina da scrivere elettronica. Quali sono state le difficoltà incontrate nella preparazione del vostro lavoro? Sono state tante, a livello pratico e psicologico. Terminato il docu-film abbiamo capito che superare le barricate tra noi giornalisti indipendenti e i grandi nomi del circuito mediatico non sarebbe stato semplice. Il film vale ed è di interesse pubblico, eppure nessuno ha il coraggio di allegare “Le dame e il Cavaliere” al proprio giornale, nonostante sia stato ritenuto inattaccabile da 4 diversi uffici legali. Così abbiamo deciso di stampare le copie del film autofinanziando il tutto, e abbiamo iniziato a pubblicizzarci tramite la nostra pagina Facebook che, ad oggi, conta oltre 18.000 sostenitori. Se dovesse passare la cosiddetta “legge Bavaglio”, però, il vostro docu-film verrebbe messo al bando… Si, ma noi non smetteremo di difendere la

CARTA D’IDENTITÁ Nom

libertà d’informazione e il nostro film. Ane Stefania che la stampa estera ne ha parlato, primi Cognome Cr eatura tra tutti El Paìs e il Sunday Times, preceNata a Fo gg ia duti da L’Unità, il Manifesto e poi L’EspresIl 26/07/1983 so e Repubblica. Siamo diventati un picResidente a Ro colo caso editoriale e chi ci sta aiutando, Professione Giomrna alista acquistando e promuovendo il film, sta Hobby Leggere dando una mano alla democrazia e alla Libro Scritti Corsari libera informazione. di Pier Paolo Pasolin i Alla fine del film sono riportati i noFilm Quarto potere mi di chi, per paura o per reticenza, non di Orson Welles ha voluto rilasciare dichiarazioni sull’argomento. Quanto può essere pericoloso il silenzio? Il silenzio e l’apatia sono colpevoli quan- come il nostro lavoro non sia né fazioso né to coloro che appoggiano questo sistema. La privo di contraddittorio. lista di nomi che compare alla fine del film Maria Grazia Frisaldi ha un duplice scopo: innanzitutto quello della trasparenza dell’informazione. Era giusto “Le dame e il Cavaliere” rendere pubblico l’elenco tutti quelli che - di è reperibile a Foggia alla libreria Ubik, destra o di sinistra - sono stati interpellati per al costo di 10 euro. questa inchiesta. In secondo luogo dimostra


o t t o b re duemiladieci

attualità

5

Monitoraggio e ampliamento di servizi e strutture

Violenza su donne e bambini stono 3 a Bari, 2 a Brindisi e nella B.A.T., 1 a Lecce e Taranto), 3 case-rifugio specifiche per le vittime di tratta, 1 consultorio ospedaliero, 3 equipes multidisciplinari, 1 servizio telefonico. Con i suoi 9 servizi complessivi, la provincia di Foggia si colloca al secondo posto, dopo Bari, tra le sei province pugliesi. Tutta la documentazione sul fenomeno è reperibile sul sito www.stopviolence.it, finanziato grazie alla partecipazione al progetto europeo nell’ambito del programma DAPHNE.”

Dalla Regione Puglia un progetto per comprendere come il territorio tutela le vittime di abusi Costruire una rete dei servizi territoriali e realizzare il Piano di Interventi Locale per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza di genere e contro i minori, previsto dal Programma triennale approvato a fine 2008 dalla Regione Puglia. E’ l’obiettivo del ciclo di incontri “No alla violenza contro donne e bambini” organizzati dall’assessore regionale al Welfare presso le 6 province pugliesi. Durante questi incontri, a cui hanno partecipato gli assessori provinciali alle politiche sociali, gli operatori della Regione Puglia coinvolti sulla tematica, gli Ambiti territoriali di zona della provincia di riferimento e gli organismi locali di parità, l’as-

sessore al ramo Elena Gentile ha annunciato che per l’attuazione dei Piani di Interventi Locali, la Regione mette a disposizione 2.300.000,00 euro da destinare al potenziamento dei servizi pubblici e alla costruzione della rete, attraverso protocolli operativi, con tutti gli operatori pubblici e privati. Lo scorso 13 ottobre è stata la volta di Foggia. Il progetto nasce dalla constatazione che, per contribuire alla tutela delle donne contro ogni forma di violenza, per prevenirla e dare una risposta a violenza avvenuta, occorre dare sostegno alle vittime e ai gruppi a rischio, ma anche monitorare gli interventi realizzati. E’ essenziale che gli enti pubblici a tutti i livelli, ma anche la

Per essere , affrontata ro cont la violenza deve on le donne n come essere vista za n un’emerge n ma come u le ocia problema s

popolazione, siano a conoscenza della portata e delle caratteristiche del fenomeno e delle strutture e i servizi a loro disposizione, in modo che possa essere attivata una vasta rete di supporto in caso di bisogno. Per tale ragione la Regione Puglia, attraverso il programma “Daphne” ha censito le strutture attualmente esistenti nelle varie province. Dal censimento risultano attivi a Foggia: un centro antiviolenza (ne esi-

DIRITTI UMANI VIOLATI

La rete delle donne di Foggia per Sakineh Quasi 140 mila firmatari, tra cui sette Premi Nobel e due ministri della Cultura. Continua ad allungarsi l'appello di Repubblica per la scarcerazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la quarantatreenne iraniana condannata alla lapidazione per adulterio e concorso in omicidio. Sembrerebbe quindi inutile aggiungersi al coro già ragguardevole e autorevole che si è creato intorno al suo caso. Eppure noi vogliamo farlo perché pensiamo che nessuna voce è piccola o inutile, tanto più quella delle donne da sempre abituate più ad essere dette da altri che a dirsi. Per noi donne chiedere la liberazione di Sakineh

vuol dire sottolineare e ribadire il desiderio di libertà che attraversa la nostra esperienza personale; vuol dire rompere con la violenza, quella della forza e della sopraffazione compulsa di corpi contro altri corpi; vuol dire smascherare il malinteso senso della virilità che corre come un filo rosso-sangue e attraversa società ed epoche, persone e linguaggi. Perché Sakineh Mohammadi Ashtiani? Forse perché ci rappresenta molto più di quello che consapevolmente crediamo. Ogni volta che vogliamo sottrarci, che abbiamo paura del segno della pietra sulla faccia, stiamo colludendo e stiamo tradendo il desiderio profondo di libertà.

FOGGIA, UN NOME, UNA STRADA...

CHILDREN’S HOUSE

Chi era Pietro Giannone?

Una scuola d’inglese dedicata ai bambini

Alla figura di Pietro Giannone la città di Foggia ha intitolato, oltre che un istituto di scuola superiore, un corso ed un cortile. Il corso si sviluppa da piazza Cavour a piazza Maria Grazia Barone, il cortile è delimitato da via Tenente Iorio, via Rosati, via Pepe e dallo stesso corso Giannone. Ma chi era Pietro Giannone? Discendente da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), fu un filosofo apprezzato del XVIII secolo. Nato ad Ischitella (cittadina garganica) nel 1676, compì gli studi di Giurisprudenza a Napoli interessandosi fin da subito alla filosofia, in particolare al pensiero di Cartesio. Perseguito a causa delle sue idee in materia religiosa, visse prima a Vienna, poi a Ginevra, dove si convertì al calvinismo. Attirato con inganno in Italia, venne arrestato. Morì in carcere a Torino nel 1748. Giannone deve la sua fama all’Istoria civile del Regno di Napoli, tradotta in inglese, francese e tedesco, e ammirata da intellettuali come Voltaire, Gibbon e Montesquieu. Proprio nell’Istoria civile il filosofo assunse una posizione critica nei confronti della religione a causa della quale fu sottoposto a stretti controlli spionistici. Fu la sua visione anticlericale a costargli l’esilio. Il tema fondamentale dell’ Istoria civile è costituito dalla lotta fra lo Stato e la Chiesa, ossia fra il Regno di

Napoli e la Curia romana. Second o Giann o n e l’unico a promuovere la civiltà ed il progresso è lo Stato, mentre la Chiesa coincide con il Male assoluto, ed è sempre causa di involuzione ed oscurantismo. Occorre quindi, è categorico il filosofo, liberare l’autorità laica da ogni indebita ingerenza da parte della Chiesa. Sul piano filosofico, la sua opera più importante è invece il Triregno. A Pietro Giannone sono intitolati vari istituti scolastici anche fuori dal territorio pugliese, tra cui lo storico Liceo classico Pietro Giannone di Benevento e quello di Caserta.

Children’s house è il nuovo centro linguistico che sorge in via Miranda, alle spalle del centro commerciale Mongolfiera. La sede accoglie bambini a partire dai tre anni d’età. Il metodo offerto nella scuola parte dal presupposto che i bambini, specie in età infantile, possiedono una “mente assorbente”, riescono ad apprendere una lingua M. Manuela Dota Titolare Children’s House straniera in modo del tutto autentico, secondo il medesimo processo in cui imparano la lingua italiana. Nella Children’s house le attività si svolgono interamente in lingua inglese ed hanno alla base un approccio ludico e multisensoriale, applicato a contesti pratici basati sul gioco. Quest’ultimo non come parte della lezione, ma la lezione continuamente informata dal gioco e trasformata appunto in un contesto ludico di apprendimento: nel circolo virtuoso tra gioco e lingua, le regole si apprendono attraverso la lingua, e la lingua si perfeziona attraverso il gioco. La sede è dotata di due ambienti, il primo multimediale è dedicato ai ragazzi delle scuole medie superiori, il secondo è a “misura di bambino” con tavolini, sedie, librerie, carrelli porta riviste e porta pitture, materiale multisensoriale per l’apprendimento della lingua inglese. Il personale è altamente qualificato in metodologie dei processi di acquisizione delle lingue straniere, pedagogia ed è naturalmente madrelingua inglese. L’obiettivo della Children’s house è formare bambini bilingue. La loro straordinaria capacità di acquisizione di una o più lingue straniere si configura come momento educativo che mira a valorizzare il fanciullo, formando una personalità decentrata che coglie ogni diversità come momento di arricchimento. La Children’s House è a disposizione per ogni informazione o più semplicemente per una visita alla sede in Via Miranda,8 (alle spalle del centro commerciale mongolfiera) Tel. 3285539508.


6

o t t o b re duemiladieci

inchiesta

Alzheimer: il tunnel dove la memoria si perde. Risuona solo l’eco di ricordi lontani

Non ti scordar di me

Quando il presente diventa estraneo e il passato è l’unico compagno di vita

E’ come un interruttore impazzito, che non risponde più ai comandi e che, pian piano, spegne le luci delle stanze del nostro cervello. Ad una ad una, fino a lasciare il buio. Una mano inesorabile che prende i nostri ricordi e, come dadi, li agita in un gioco perverso e li lancia a caso sul tavolo della viFabrizio Bentivoglio e Francesca Neri in ta. L’ Alzheimer confonde le menti, le trasforma e quello che era ieri giure“Una sconfinata giovinezza” resti che è oggi, quello che è oggi, semplicemente, non c’è più. Resta la sofferenza dei parenti, resta “Una sconfinata giovinezza”, come quella che dà il titolo all’ultimo film di Pupi Avati in cui la struggente storia d’amore tra i protagonisti è, agli occhi del regista, “come una favola per bambini: Chicca e Lino si amano tanto, ma non sono riusciti ad avere figli: finché Lino non torna bambino, e ChicAnna Russo ca si trova ad accudire il figlio che non ha mai avuto”.

Tutti i volti della demenza Diagnosi e cura. Il punto sulla ricerca Da un’analisi della popolazione con più di 65 anni, in Puglia, dati ISTAT alla mano, ci sono 45.732 persone affette da demenza di cui 31.441 malate di Alzheimer. In provincia di Foggia, dei 7.679 casi, 5.279 sono ricollegabili all’Alzheimer. Complice dell’aumento delle malattie croniche invalidanti, tra cui proprio le demenze, c’è il progressivo invecchiamento della popolazione mondiale. Ma quali sono le cause di tali patologie ed esistono cure appropriate? Lo abbiamo chiesto al dott. Luigi Ariano, geriatra degli Ospedali Riuniti di Foggia. L’Alzheimer è una forma di demenza. Cosa si intende con questo termine? La demenza è una malattia del cervello che comporta la compromissione progressiva delle funzioni cognitive (quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio, la capacità di orientarsi, di svolgere compiti motori complessi) tale da pregiudicare la possibilità di una vita autonoma. Tra i sintomi più caratteristici ci sono quelli psichici (ansia, depressione, ideazione delirante, allucinazioni), irritabilità o vera aggressività (più spesso verbale, raramente fisica), insonnia, apatia, tendenza a comportamenti ripetitivi e senza uno scopo apparente, riduzione dell’appetito e modificazioni del comportamento sessuale. Alle alterazioni delle capacità mentali si asso-

cia una progressiva compromissione delle capacità di vita autonoma. Nelle fasi iniziali si assiste al deterioramento delle funzioni complesse quali saper usare il denaro, utilizzare i mezzi di trasporto e di comunicazione, gestire la casa ed assumere correttamente i farmaci. Con la progressione della malattia vengono compromesse anche le attività quotidiane di base (igiene personale, abbigliamento, mobilità, continenza). Nelle fasi avanzate compaiono complicanze quali cadute, malnutrizione ed infezioni che possono essere fatali per il paziente. La forma più diffusa di demenza è la malattia di Alzheimer. E’ difficile diagnosticarla? Non è facile riconoscere i primi segni della malattia anche perché è diffusa l’opinione che l’invecchiamento si accompagni inesorabilmente alla perdita di memoria e quindi la diagnosi spesso viene fatta quando la malattia è avanzata. Alla comparsa dei primi sintomi è importante rivolgersi a Centri esperti come le Unità di Valutazione Alzheimer. Esiste una cura per l’Alzheimer? Purtroppo, ad oggi, non esiste una terapia in grado di guarire la demenza. Alcuni farmaci possono rallentare il decorso e migliorare i disturbi del comportamento, ma è importante che la terapia farmacolo-

gica sia associata ad un trattamento di tipo riabilitativo cognitivo e comportamentale per meglio controllare i sintomi e rallentare il decorso della malattia. La strada più battuta dalla ricerca è quella dei vaccini. Essendo l’Alzheimer un accumulo di una sostanza tossica, l’amiloide, che distrugge i neuroni, si sta tentando di creare un vaccino capace di ripulire da questa sostanza. E’ ancora però in fase sperimentale. Ed una predisposizione genetica alla malattia? Spesso, quando in famiglia esistono casi di Alzheimer, si ricorre alla mappa genetica per verificare la presenza di eventuali mutazioni genetiche. E’ probabile che il figlio di un genitore affetto da Alzheimer possa avere le stesse mutazioni genetiche, ma questo non significa che avrà la stessa malattia del padre. Non è dimostrato che chi abbia mutazioni genetiche si ammali di conseguenza. Quindi non si può prevedere? Assolutamente no. Attualmente non si conosce neppure la causa vera della malattia. Oggi si conoscono solo i fattori di rischio come l’ipertensione, il diabete, il colesterolo, ma ripeto, non esiste un nesso preciso di causa-effetto. Altri fattori sono le mutazioni genetiche, i trauma cranici e la scolarità. Sembra infatti che chi allena il cervello di più di altri attiva più neuroni e ne ha a disposizione un numero maggiore se

Il parere del geriatra aggredito dalla malattia, ma si tratta di ipotesi non confermate. A che età si manifesta? Di solito intorno ai 50 anni. Si muore di Alzheimer o di complicanze? Si muore di Alzheimer che a sua volta crea complicanze come disfagia, polminite, piaghe da decubito. Di solito la malattia si protrae per 10 – 12 anni, ma esistono forme, soprattutto nelle persone più giovani, molto aggressive che portano al decesso anche in 4-5 anni. Quanto è importante l’assistenza? E’ fondamentale nella gestione sia della patologia che delle sue complicanze. Per questo il familiare coinvolto in prima persona nella cura, deve avere adeguate conoscenze sulle manifestazioni della malattia e sul loro trattamento. Al tempo stesso è però essenziale che, in caso di bisogno, possa avere un supporto sanitario e socio-economico da parte dei servizi presenti sul territorio. A chi è possibile rivolgersi? A Foggia esistono tre U.V.A. (Unità di Valutazione Alzheimer), due ai Riuniti ed uno all’istituto Don Uva (quest’ultimo è più specializzato in tema di Riabilitazione): si tratta di centri in grado di fare una diagnosi precoce e corretta e di assegnar un trattamento adeguato. a.r.

RALLENTARE L’EVOLUZIONE DELLA MALATTIA È POSSIBILE

L’importanza della riabilitazione Fondamentale è stimolare memoria e orientamento

L’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa progressiva per la quale, nonostante le promettenti scoperte mediche degli ultimi anni, attualmente non esistono terapie risolutive. La non curabilità di questa malattia induce spesso i familiari ad assumere, nel momento stesso in cui la diagnosi viene confermata, un atteggiamento di prematura rassegnazione, che porta a considerare il congiunto come un paziente da accudire, controllare o, il più delle volte, “sopportare”, a discapito delle sue facoltà residue che, non stimolate, decadono velocemente. Le ricerche più recenti, seppure con risultati controversi, dimostrano che proprio nelle fasi iniziali della malattia è possibile agire sul suo decorso, rallentando l’evoluzione della disabilità sia a livello co-

gnitivo che funzionale. Esiste, dunque, uno “spazio di curabilità” che, associando la giusta terapia farmacologica a stimolazione ed esercizi ripetuti, permette di ritardare il declino delle diverse funzioni colpite, migliorando quindi la condizione dell’anziano e, di riflesso, il benessere dei familiari e di quanti si occupano di lui. Gli interventi riabilitativi attualmente utilizzati sono molteplici e comprendono tutte le possibili manifestazioni cliniche delle demenze, dai deficit cognitivi (memoria, linguaggio, attenzione) e affettivi (depressione, ansia), alle disabilità nelle attività di vita quotidiana, fino ai disturbi sensoriali e motori. Per l’Alzheimer, gli interventi cognitivi più utilizzati si basano sulla stimolazione della Memoria e

dell’Orientamento, funzioni maggiormente intaccate da questo tipo di demenza. La Terapia di Riorientamento nella realtà (ROT), ad esempio, cerca di orientare il paziente confuso rispetto alla propria storia personale, al tempo e all’ambiente, stimolandolo continuamente con informazioni riguardanti queste tre aree. Tra gli interventi specifici per la memoria troviamo il Memory Training, che permette di rafforzare i diversi tipi di memoria attraverso l’associazione del dato da ricordare a persone o oggetti che hanno un significato affettivo per l’anziano e le varie Mnemotechiche, che costituiscono un ottimo esercizio anche in assenza di patologia. Esistono poi diversi tipi di intervento che si concentrano sui disturbi emotivi e comportamentali, principali fonti di stress per il care-

giver del malato di Alzheimer. Accanto alle tradizionali tecniche di Rilassamento e alla Terapia Comportamentale, fanno parte di questo gruppo la Terapia Occupazionale, la Validation Therapy, la Terapia di Reminiscenza e le ormai di moda Musicoterapia e Pet Therapy. Ciò che accomuna questi approcci, oltre a un’indiscussa utilità sul piano cognitivo e funzionale, è l’obiettivo generale di migliorare la condizione dell’anziano e di chi se ne occupa, riducendo i comportamenti disfunzionali e migliorando il tono dell’umore, la socializzazione e l’autostima attraverso il coinvolgimento del soggetto nelle attività più diverse, da quelle domestiche, espressive o artistiche (Terapia occupazionale), alla musica e alla cura degli animali, fino ad una vera e propria terapia basa-

ta sul ricordo di esperienze piacevoli della propria vita (Reminiscenza). Questa breve e non esauriente panoramica è solo un accenno alle numerose possibilità che le conoscenze attuali offrono nella lotta contro l’Alzheimer. In attesa che i progressi medici e scientifici permettano di sconfiggere definitivamente questo male, è confortante sapere che, nel nostro piccolo, qualcosa è già possibile. Aurora Martina Meneo Psicologa


o t t o b re duemiladieci

inchiesta

7

Da dieci anni a Foggia, l’associazione “Santa Rita” è un interlocutore prezioso per migliaia di famiglie

E’ il volontariato l’impalcatura di sostegno per famiglie e malati Il presidente Vincenzo Cipriani: “C’è confusione, le istituzioni non riescono a dare risposte concrete” Quando si scopre di avere un familiare o un amico malato di Alzheimer, prima ancora di metabolizzare dolore e dispiacere, si piomba nella disperazione e nell’impotenza. Come intervenire e come comportarsi di fronte a questa malattia neurodegenerativa di cui molto c’è da sapere e di cui ancora si ha paura di parlare? E’ questa una delle domande poste con più frequenza al Punto d’ascolto dell’associazione Alzheimer “Santa Rita” di Foggia, nata dieci anni fa con l’intento di offrire aiuto, conforto e sostegno (morale, materiale, legale e psicologico) ai malati e alle loro famiglie. Il centro è attivo nel capoluogo dauno con due sportelli presenti in via Lucera, 110 e in via Urbano, 33. “Oggi per mancanza di risorse e di capacità politica – spiega Vincenzo Cipriani, presidente dell’associazione “Santa Rita” - migliaia di famiglie colpite dall’Alzheimer sono letteralmente abbandonate dalle istituzioni, che non sono in grado di dare risposte adeguate ed hanno come unico conforto solo

l’attività delle associazioni Alzheimer che, nel loro piccolo, informano, sostengono e accompagnano le famiglie nel difficile e lungo per-

corso della malattia. L’Alzheimer – continua Cipriani - conta 1 milione di malati in Italia e 5mila solo nella nostra Provincia, eppure, al momento, in termini di assistenza c’è grande confusione, a causa del grave vuoto in materia, da parte della politica e delle istituzioni”. La mission dell’associazione “Santa Rita” è quella di colmare,

nei limiti del possibile, tale vuoto offrendo aiuto e supporto ai malati, alle loro famiglie o a chi li assiste, in maniera diretta o attraverso una linea telefonica (0881.748824) attiva 24 ore su 24. L’associazione, quindi, si pone come anello di congiunzione tra le famiglie e le strutture di riferimento, creando una impalcatura di sostegno necessaria per affrontare il lungo corso (in media dieci anni) della malattia, offrendo tutte le informazioni necessarie per salvaguardare sia il malato che la famiglia stessa dall’isolamento sociale. I volontari dell’associazione, che riunisce professionisti in campo medico, legale e psicologico, offrono consulenze gratuite di vario genere per preparare la famiglia a conoscere e affrontare, con consapevolezza e coscienza, il carico dell’assistenza al malato di Alzheimer. Il principale problema riscontrato dalle famiglie, infatti, è la mancanza di assistenza domiciliare integrata, che oggi grava per l’80% sulle famiglie, sia in termini psicologici che economici, per una

spesa media di circa 30.000 euro all’anno. “Mentre esiste già la possibilità di una ospedalizzazione temporanea (Centro di Riabilitazione) e continua (lungodegenza nelle Residenze Sanitarie Assistite), utili rispettivamente nella fase iniziale e finale della malattia – continua Cipriani - manca un centro diurno in città dove poter accogliere quotidianamente i malati di Alzheimer, rispondendo concretamente a due diverse necessità: da una parte alleviare parzialmente le famiglie dal carico dell’assistenza continua, e dall’altra rallentare il percorso degenerativo della malattia, attraverso una serie di attività programma-

te, dalla musicoterapia alla conservazione della propria biografia, dall’orticultura ai semplici benefici scaturiti dall’esercitare una vita sociale controllata”. Per Cipriani, è necessario risvegliare in tutti il senso della dignità della persona e della solidarietà. Per questo, l’associazione “Santa Rita” ha sottoscritto un Patto d’Aiuto con la FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) e le Acli che, sulla base delle specifiche e rispettive linee programmatiche e di azione, hanno deciso di dar vita nella provincia di Foggia ad una iniziativa di rete e di prossimità con i soggetti affetti dalla malattia. Maria Grazia Frisaldi

LA STORIA DI TERESA: “MIO PADRE AFFETTO DA ALHEIMER

Malattia del non ritorno Il dramma di non essere riconosciuti e le difficoltà nel gestire la vita quotidiana “Il malato diventa un’altra persona. Ad un certo punto della vita non conosce più il coniuge, i figli, i nipoti, vive in un mondo tutto suo, immagina cose che in realtà non esistono e a noi parenti non è dato sapere come si vive in quel mondo”. E’ il racconto di Teresa che con l’Alzheimer ha imparato a fare i conti quando il padre, Giuseppe, si ammalò della terribile, silente malattia del non ritorno. “Mio padre era anziano ed aveva altre problematiche per cui il suo calvario è durato circa cinque anni, ma ci sono pazienti che convivono con la malattia per oltre quindici anni”. La prima persona che Giuseppe ha dimenticato è stata sua moglie. “Un giorno ha chiesto a mia madre chi fosse. Lei inizialmente pensava che scherzasse. ‘Ma come, non ti ricor-

di?’ gli diceva e gli mostrava le foto di loro due insieme. Lui sembrava convincersi, ma poi ricominciava a raccontare che la moglie lo aveva lasciato, che era andata via di casa. Semplicemente rifiutava di vedere nella donna che gli stava accanto la stessa che tanti anni prima aveva sposato”. Il padre di Teresa era infatti ossessionato dalla foto che li ritraeva nel giorno del matrimonio. “Voleva mia madre così come l’aveva sposata. Poi ha dimenticato casa sua. Non ricordava di essere vissuto lì negli ultimi cinquant’anni. Voleva tornare nella casa dove era nato e cresciuto. Stava regredendo a quella che era la sua vita di tanto tempo fa”. All’esordio della malattia Teresa lo seguiva in auto per timore che perdesse l’orientamento e non riuscisse più a rientrare. Poi gli

ha impedito di uscire da solo. E mentre il padre diventava giorno dopo giorno una persona diversa da come l’aveva conosciuta lei, sono nati i problemi di gestione della vita quotidiana. “Il fatto è che il malato non controlla più gli istinti, diventa aggressivo, non distingue più il giorno dalla notte. Può aprire la porta, correre per le scale, urlare di notte. Gestire quei momenti è difficilissimo. Mia madre si spaventava. E’ una malattia lunga, subdola e quando la scopri, comincia per tutti un grande calvario. Il malato di Alzheimer è una persona che ha bisogno di aiuto per mangiare e fare tutte le cose quotidiane. Devi gestire materialmente la sua vita quo-

tidiana senza dimenticare i tuoi doveri con gli altri membri della famiglia. In queste situazioni il tempo non basta mai. Devi pensare a mille cose. L’unico lusso che mi sono presa in quegli anni è stata la bota-

nica. Riuscivo a rilassarmi e a non pensare solo quando ero sul terrazzo e mi prendevo cura delle mie piante”. Teresa ha perso suo padre un anno e mezzo fa. Aveva 79 anni

ed è morto per complicanze polmonari. Di lui ha un insieme di ricordi, ma quello che non riesce a dimenticare è la sofferenza degli ultimi giorni. “Ho sempre l’immagine di lui steso nel letto di ospedale. Non riesco e non voglio dimenticarlo. Non è vero che passa il tempo e dimentichi. Ti manca sempre. E’ difficile andare nella casa dove lo hai sempre visto e non trovarlo più. Tante volte ho pregato che mio padre morisse perché lo vedevo soffrire ma poi mi rendevo conto che lo amavo ancora di più, proprio nella sua fragilità”. Rimane il timore che la malattia possa essere trasmessa geneticamente. “La sorella di mio padre ha la stessa patologia. C’è sempre l’incubo che un giorno possa toccare a me ammalarmi”.


8

o t t o b re duemiladieci

società

AD PERSONAM

di Micky de Finis

Quando il potere è donna Mi era stato chiesto dall’Editore di pensare a voce alta sul potere delle donne. Argomento di grande attualità, molto controverso, perchè spesso recupera oziose discussioni su vecchi spartiti. Invero, sono sempre stato convinto dell’assoluta parità tra i sessi, a prescindere dalle valutazioni genetiche che spesso lanciano logiche di lettura in cui non mi avventurerei, per difetto di competenza. E giusto per non correre il minimo del rischio, ho preferito girare il tema ad una giovane donna, di grande avvenire e di sicuro

prossimo successo. E’ Francesca Cascioli, foggiana ma ormai romana d’adozione, un bel cervello al femminile di cui presto si parlerà. E ne sono felice perchè la conosco da bambina. Ora è una donna che vuol contare. A Francesca lascio dunque il compito di parlare per “6Donna” di Emma Marcegaglia e Susanna Camusso, prossima guida nazionale della CGIL. Meglio chiedere ad una donna cosa succede quando il potere è donna. Alla prossima e buona lettura. Micky de Finis.

Susanna Camusso alla segreteria generale della CGIL E’ la risposta operaia alla Confindustria di Emma Marcegaglia DI FRANCESCA CASCIOLI Susanna Camusso fonte: CGIL.it / Valeria Collina

Sindacalista di trentennale esperienza e velista di comprovata abilità, Susanna Camusso (milanese, classe 1955) dal prossimo novembre sarà alla guida di una tra le associazioni maschili per definizione, il più grande ed antico sindacato italiano, la GCIL. Per la prima volta nella storia del sindacato ci sarà una donna a ricoprire il ruolo di segretario generale - succedendo a Guglielmo Epifani, in carica dal 2002 – e ad attenderla ci saranno 6 milioni di iscritti, 8 anni di duro lavoro ed una congiuntura economica pesantissima, aspetti che la Camusso dovrebbe essere in grado di fronteggiare considerando che il suo impegno come sindacalista è iniziato prestissimo, a vent’anni, durante gli studi per la laurea – non conseguita – in archeologia; e così sono seguiti trentacinque anni di militanza, fino a quando Sergio Cofferati l’ha portata alla segreteria lombarda e poi Guglielmo Epifani a quella confederale nel 2008, facendola già studiare da leader. Un percorso di tutto rispetto per colei che viene già considerata la risposta operaia alla Confindustria di Emma Marcegaglia, altra rara donna ai vertici. Laurea con lode in Economia Aziendale alla Bocconi nel 1989, un MBA (Master in Business Administration) presso la New York University negli USA, ingresso nella confederazione degli industriali all’età di 21 anni e consigliere e amministratore delegato insieme al fratello nell’azienda di famiglia, la Marcegaglia s.p.a., colosso della lavorazione dell’acciaio. Anche nel caso di Emma Marcegaglia, nominata a Presidente di Confindustria per il quadriennio 20082012, si è trattato della prima donna a ricoprire tale incarico in 98 anni di storia dell’associazione. “Finalmente” diranno in molte, due donne ai vertici una del sindacato, l’altra di Confindustria, non è una “coincidenza” che capita spesso in Italia, Paese dove notoriamente l’occupazione e la leadership femminili non decollano. A lavorare è solo il 46% delle donne e la loro partecipazione ai CdA delle società non arriva neanche al 4% contro una media europea dell’ 11%. Dati alla mano, verrebbe dunque da meravigliarsi delle posizioni di rilievo raggiunte dalla Camusso e dalla Marcegaglia dalle quali, in qualità di mosche bianche nel panorama italiano, molte donne

si aspettano grandi cose, grande intesa e grandi collaborazioni, in altre parole, un qualche segnale per continuare quella rivoluzione delle pari opportunità che sembra essersi un po’ incartata. Purtroppo, da noi invece accade – a differenza degli altri Paesi - che sono le italiane stesse a non essere in grado di fare sistema, di mettersi d’accordo, neppure quando hanno raggiunto posti di potere; manca una coalizione pro donne nella classe dirigente che si impegni concretamente per creare pari opportunità nel mondo del lavoro, un’èlite capace di promuovere azioni mirate e di fare pressione sulle decisioni politiche. Quindi, la questione va ben oltre superficiali considerazioni sulla parità uomo-donna o sulle quote rosa. Il punto è piuttosto: ci conviene escludere la forza lavoro femminile dai posti di comando della politica, dell’economia, dell’informazione, della magistratura, della società e dell’informazione del nostro Paese? Tralasciando aspetti ideologici e convinzioni femministe sui quali ormai tutto è stato detto, quanto ci costa questa “emarginazione” in termini economici? Siamo l’ultimo Paese in Europa – con l’eccezione di Malta – in fatto di partecipazione delle donne al mondo del lavoro dal un punto di vista quantitativo; ciò significa che l’obiettivo posto dalla Strategia di Lisbona (programma di riforme approvato dalla UE nel 2000) che impone il raggiungimento di un tasso di occupazione femminile del 60% entro il 2010, in Italia verrà disatteso con pesanti ripercussioni sotto svariati punti di vista. Recenti studi della Goldman Sachs hanno addirittura dimostrato che se si superasse il divario uomodonna nel panorama economico italiano, il PIL nazionale aumenterebbe al 22%, diventando il più alto di tutt’Europa; basti pensare al collegamento logico secondo il quale più donne lavorano, più cresce la richiesta di servizi, l’aumento della domanda renderebbe necessari ulteriori posti di lavoro che a loro volta ridurrebbero il rischio di ristrettezze economiche per le famiglie; ciò permetterebbe alle coppie di mettere al mondo più figli andando a attenuare altresì il problema dell’invecchiamento della società. Questo a dimostrazione del fatto che l’incremento dell’occupazione femminile non solo fa crescere le aziende ma anche la società e le economie dei Paesi che puntano su tale risorsa. Nella maggior parte dei casi, in Italia l’ostacolo più grande all’occupazione femminile è rappresentato dalla maternità. Il 27% delle donne italiane abbandona il lavoro dopo il primo figlio, colpa di un welfare inesistente che tutela solo in parte le mamme che si trovano a barcamenarsi tra famiglia e lavoro al quale sottraggono del tempo, con rinunce che i loro colleghi maschi non sono obbligati a fare. A tal proposito Roger Abravanel nel suo libro “Meritocrazia” avvalora tale tesi sostenendo che “famiglia e stato sono i responsabili della condizione della donna. La famiglia la assorbe totalmente e la colpevolizza quando vuole realizzarsi, oltre che come madre e come moglie, anche nel lavoro. Lo stato la penalizza con un welfare che protegge i capi famiglia e non incentiva le donne a pren-

Emma Marcegaglia

dere rischi: la tutela con congedi di maternità molto più lunghi rispetto ad altri Paesi, ma non crea gli asili nido e la flessibilità sul lavoro.” E’ con grandi speranze quindi che facciamo allora un sincero in bocca al lupo a Susanna Camusso, leader e madre, sindacalista e femminista convinta dalla quale aspettiamo qualche segnale che qualcosa può cambiare, che non servirà più il lanternino per cercare mamme-manager e che l’Italia, si spera, possa finalmente scrollarsi di dosso quella reputazione di fanalino di coda in fatto di pari opportunità – nel senso più ampio e corretto del termine – e puntare su una concreta Valorizzazione delle Differenze, quelle differenze che hanno sempre rappresentato il nostro principale fattore di vantaggio competitivo e che da sempre permettono a noi italiani di distinguerci ai quattro angoli del globo.

Mensile di attualità e informazione. Registrazione presso il Tribunale di Foggia n° 2/2002 del 26/09/2002 Editore Publicentro Servizi Pubblicitari s.r.l. Direttore Responsabile Anna Russo Caporedattore Angela Dalicco Hanno collaborato Micky de Finis Rosa Cotugno Maria Grazia Frisaldi Mariangela Mariani Simona Guerrera Francesca Cascioli Rubriche arch. Antonietta Ciavarella dott.ssa Cristina Belmonte dott.ssa Alessandra D’Apolito dott.ssa Maria Grazia Bellantuono dott.ssa Marilena Tomaiuolo dott.ssa Tonia Cafazzo dott.ssa Stefania Fariello Luigia De Vito Redazione Foggia Via Tressanti, I trav. (vill. Artig.) Tel. 0881.56.33.26 - Fax 0881.56.33.19 e-mail 6donna@virgilio.it Impaginazione e stampa Publicentro Graphic La collaborazione è volontaria e gratuita. I testi e le foto da voi inviate non verranno restituite. Questo numero è stato stampato in 43mila copie e distribuito gratuitamente a domicilio nella città di Foggia


moda

o t t o b re duemiladieci

9


10

o t t o b re duemiladieci

bellezza

Acido ialuronico: un valido aiuto contro i segni dell’invecchiamento

Belle per sempre Indolore e versatile, si presta ad un utilizzo variegato in diversi campi della medicina Tante donne, e anche uomini, al giorno d’oggi ricorrono sempre più spesso alla chirurgia estetica nel nome della dea Giovinezza. All’insorgere dei primi segni del tempo, in molti, infatti, intraprendono una battaglia per eliminare la stanchezza dal viso a suon di bisturi e cliniche private. Esiste però un’alternativa valida e sicuramente meno rischiosa della chirurgia estetica. La offre l‘acido ialuronico. Questa sostanza è una componente fondamentale dei tessuti connettivi dell’uomo e degli altri mammiferi. Conferisce alla pelle quelle sue particolari proprietà di resistenza e mantenimento della forma. Una sua mancanza determina un indebolimento della pelle promuovendo la formazione di rughe ed inestetismi. La sua concentrazione nei tessuti del corpo tende a diminuire con l’avanzare dell’età. L’acido ialuronico, infatti, noto per

le sue proprietà idratanti ed anti-age, è uno dei componenti fondamentali del tessuto connettivo ed ha la funzione di conferire alla pelle elasticità. La sua mancanza può determinare un indebolimento ed una ridotta compattezza, con il conseguente formarsi precoce delle rughe. Ed è in questo frangente che l’acido ialuronico interv i e n e come”componente cementante”, utile per prevenire l’impoverimento dell’epidermide. Validi aiuti per un’attività idratante ed anti-age sono i preparati all’acido ialuronico in crema, sieri e sotto forma di integratori. La particolare struttura chimica dona all’acido ialuronico numerosissime proprietà che lo rendono particolarmente utile sia in campo medico che estetico. La sua capacità di legare acqua ed altre sostanze dà infatti origine a gel protettivi, particolarmente utili per la cute e le articolazioni. Applicazioni topiOltre ad essere utilizzato come alleato per la propria bellezza, che e iniel’acido ialuronico può avere tante altre proprietà benefiche in diz i o n i versi campi: periodiche chirurgia otologica l’acido ialuronico viene utilizzato come rigedi questa nerante di membrane timpaniche forate; sostanza chirurgia oftalmica per la produzione di lacrime artificiali e infavoriscoterventi sul corpo vitreo dell’occhio; no il rimartrologia come lubrificante antiflogistico e preservante del lipolpaquido sinoviale delle articolazioni. mento dei grassi del-

I mille usi dell’acido ialuronico

la pelle che con il tempo perde elasticità consentendo, nell’immediato, un visibile miglioramento dell’aspetto esteriore. Gel e creme sono utilizzate per

ricreare volume nelle zone del viso dove, a causa dell’età, si è verificato una sorta di svuotamento o per ridonare armonia a zigomi e labbra. Le parti trattate recuperano in breve plasticità e rotondità con un piacevole effetto lifting che elimina il reticolo delle rughe superficiali. Con il passare del tempo ed abitudini di vita sbagliate come alimentazione scorretta, fumo e alcool, l’acido ialuronico diminuisce di concentrazione e nascono i primi disturbi. Pertanto è usato anche come integratore in capsule o in bustine monodose idrosolubili, da prendere a cicli di due o tre volte l’anno. Creato facilmente in laboratorio, non provoca ipersensibilità o effetti collaterali. Simona Felicita Guerrera


o t t o b re duemiladieci

moda

11

La collezione autunno-inverno veste le over 40 con un gusto aristochic

I classici cambiano look Tornano i pantaloni larghi e trionfa il cardigan Beate le quarantenni e oltre, perché il regno della moda apre le porte alla donna moderna e dinamica con qualche anno in più. L’over fa tendenza. Mentre la rivoluzione del Plus Size Fashion conquista le passerelle, replica provocatoria ed anticonformista alla moda grissino, la donna over 40 finisce sotto i riflettori e diventa oggetto del desiderio delle case di moda. La collezione autunno-inverno 2010/2011 veste con piacere le ‘over’ con un gusto aristochic. Nelle boutique Liolà ad una donna non si chiede l’età, perché anche molti anni dopo gli ‘anta’ potrà essere moderna e modaiola, senza problemi di taglia. Il lusso etico 100% Made in Italy dal filo al prodotto finito è il co-

mune denominatore di una collezione che reinventa il classico per una sophisticated lady. I filati in maglia sono indiscussi protagonisti delle prossime due stagioni insieme alle nuove tecnologie di stampa a 24 colori, che consentono di disporre di una infinita gamma di combinazioni. Il tailleur, completamente rivisitato, è frutto di insoliti abbinamenti, proposti direttamente nelle boutique: il vecchio concetto del tailleur due pezzi già confezionato è ormai superato. Dallo sport chic all’eleganza da cerimonia, la donna sofisticata e dinamica indossa un pantalone o una gonna plissettata, e ha un cardigan per ogni occasione. Mariangela Mariani

PANTALONI, UN MUST Linee morbide dalla vita in giù per la donna con i pantaloni, il capo a cui non potrà rinunciare per tutto l’inverno. Abbandonato il modello a sigaretta, costato fatica a quante hanno visto lievitare i fianchi per l’effetto slim, viene riproposto il taglio anni ’60, che sfuma la zampa tornata in auge qualche anno fa. Comodo, è una garanzia per ogni donna, perché la sua linea veste bene e copre ogni imperfezione. L’alternativa è la gonna plissè: in maglia, finemente lavorata, e rigorosamente fino al ginocchio. BEIGE, IL COLORE DELL’ANNO Il beige, nelle sue varianti, dal fango al toffee, è indiscutibilmente il colore primario delle prossime collezioni, ma aveva fatto la sua comparsa sulle passerelle già nella primavera/estate. Nelle tonalità più tenui è l’ideale per la maglieria, dal mattino alla sera. Non poteva mancare il viola, ormai titolare da più di una stagione, ed il maculato continua ad insinuarsi rivendicando il suo ruolo di coraggioso alleato della donna più audace. Ma la vera novità è l’ingresso prepotente del rosso, in una calda e accattivante nuance che va alla ricerca del grigio. IL TRIONFO DEL CARDIGAN Il capo più gettonato è il maglioncino aperto avanti, indossato come una giacca informale, comodo in ogni occasione. La linea Tricot impreziosisce ogni cardigan con inedite applicazioni, come le rose lavorate con raffinati tessuti. L’alternativa è la giacca destrutturata, modello anni ’60 in lana cotta o nell’elegantissimo black and white. Sotto la giacca un golfino, semplice per la donna easy chic, o lavorato per la sera. TEMPO DI PARKA È la ricerca dei particolari a rendere prezioso il parka, irresistibile con gli inserti in pelliccia. Ogni temperatura ha il suo cappotto, dalla versione più leggera fino a quella per i grandi freddi. Insieme alla mantella, scalderà il prossimo inverno. BOTTO, SOFISTICATA E CREATIVA Stampe eleganti e uniche, per la donna sofisticata e creativa della linea Botto. Le stampe floreali, in una gamma di colori più ricca grazie alle nuove tecnologie, rendono unica la maglieria ed i raffinati tailleur. Il jersey o i filati in maglia sono la trama di una tela per un dipinto d’autore, che non passa inosservato.


12

o t t o b re duemiladieci

mondo bimbi

La creatività dei bambini come uno sfogo che non va veicolato

Liberi

CREARE

di

E’ importante saper incoraggiare l’originalità, la modalità di espressione, unica e personale Lunedì tennis, martedì nuoto, mercoledì inglese, giovedì catechismo e venerdì… creatività! Il genitore del bambino perfetto, quello che già viene immaginato come il manager del futuro, non si accontenta più di crescere un piccolo poliglotta informatizzato e sportivissimo. Adesso per essere à la page, un figlio deve anche coltivare talenti artistici: saper suonare uno strumento musicale o almeno cantare, danzare, dipingere. Questa spinta all’espressione artistica è un fenomeno di moda in continuo aumento, come dimostra il fiorire di scuole di ogni tipo, dal corso di danza del ventre per bambini, alle più disparate accademie di recitazione, lavori in cartapesta e chi più ne ha più ne metta. Ma è davvero questo il modo giusto per stimolare la fantasia dei più piccoli?

CREATIVITA’ FA RIMA CON REALTA’ Bisogna innanzitutto capire che cos’è questa anelata creatività. Per definirla come farebbe uno psicologo, si può dire che si tratta di una modalità di relazione con la realtà e con il proprio mondo interno. In pratica, il bambino arriva a conoscere la realtà per mezzo del confronto fra il suo mondo interiore e il contesto in cui si trova. Questo processo creativo per i bambini è innato e deve essere lasciato libero di fluire e svilupparsi liberamente. Per il bambino fino a due, tre anni, la creatività non è un’attività artistica, ma piuttosto qualcosa di vitale che si esprime attraverso l’azione. In questa fase, la funzione del genitore deve essere di assoluto rispetto dei modi e dei tempi di crescita del bambino. Tenendo conto anche della sua esigenza di avere momenti di riposo, di solitudine, di silenzio per rielaborare le informazioni e le emozioni ricevute. Il bambino, fin da piccolo, deve essere messo in condizioni di abituarsi a

stare da solo, a bastare a se stesso. Nei negozi di giocattoli si può trovare un’infinità di oggetti studiati per stimolare la creatività. E’ sempre meglio preferire i giocattoli poco strutturati, coma la plastilina o le costruzioni. Anche dedicare un cassetto della cameretta per mettere a disposizione vestiti vecchi, travestimenti dei carnevali passati, foulard o scampoli di stoffa: sarà una risorsa importante quando i bambini vogliono cimentarsi con i giochi di ruolo. Una scatola con pennarelli, gessetti, tempere, carta da pacchi usata, forbici e colla è un’inesauribile fonte di idee da tenere a portata di mano.

MA E’ SOLO UN GIOCO Un errore che il genitore apprensivo rischia di fare è aspettarsi risultati eclatanti da ogni attività che impegna il proprio figlio. Il pericolo è quello di trasmettere ansia al bambino, che non sentirà di potersi esprimere liberamente e si concentrerà troppo sul risultato. Per tranquillizzarlo, qualsiasi prodotto va accolto con lodi e con entusiasmo. Anche il disegno più astruso, la canzoncina più stonata, sono espressioni della sua creatività e delle sue emozioni. Una cattiva interpretazione del concetto di creatività (il classico “lavoretto ben fatto da mostrare ai nonni”), spinge i bambini verso l’imitazione stereotipata, l’ adattarsi a un concetto di “bello” che sia condiviso dai compagni, dai maestri e dai genitori. E’ importante invece saper incoraggiare l’originalità, la modalità di espressione, unica e personale, di ciascuno. Attenzione poi a non confondere la creatività con il talento artistico. Se la prima è propria di ogni bambino, il secondo è una caratteristica non comune e non espressa da tutti nello stesso modo. Il genitore deve saper osservare, ascoltare e accogliere il desiderio del figlio, se ne ha. E’ insensato imporre la danza classica a una ragazza che preferisce la pallavolo solo “perché dona grazia e flessuosità”. Questo non vuole dire rinunciare del tutto ad arricchire il mondo dei propri figli, anzi. E’ giusto esporli a quanto il loro ambiente offre, incoraggiandoli alla riflessione, ma senza opprimerli. Una passeggiata in un bosco offre molti stimoli alla creatività, ma anche imparare una lingua diversa, la visione di un film o cartone animato, la lettura di un bel libro o l’ascolto di musica piacevole quando siamo a casa. Angela Dalicco


o t t o b re duemiladieci

13


14

o t t o b re duemiladieci

arte

Dipinti, diari, musica come veicoli del mondo interiore per uscire allo scoperto

ARTETERAPIA per esprimere fuori il proprio “sentire dentro”

Attraverso l’espressione artistica è possibile comunicare, ma anche affrontare meglio gli eventi della vita Gli artisti più grandi sono coloro che riescono a trasformare in pittura, scrittura, composizione musicale il loro mondo emotivo, tanto da farlo diventare caratterizzante della loro produzione artistica. La cinematografia, forma d’arte di immediata fruibilità, ha rivelato a tutti la nostalgia per il passato del mitico Fellini, la inconfondibile sottile malinconia di Troisi, la nevrotica ansia di Woody Allen, la gioia di vivere di Benigni; emozioni che diventano un vero e proprio fil rouge che pervade e contraddistingue il loro lavoro. L’arte è quindi depositaria di emozioni, ma anche motore di salvezza. Alda Merini ha trascorso parte della sua vita in un ospedale psichiatrico. Le liriche più belle sembra essere proprio quelle scritte in quel periodo. La poesia è stato uno strumento valido per mantenere i con-

tatti con il mondo reale, per alleggerire il peso di un ricovero ospedaliero mai accettato. L’arte, dunque, per guarire, per meglio affrontare gli eventi della vita, evidenziandone gioie e dolori. La prima forma artistica terapeutica a cui tutti possiamo accedere è il diario; fino a qualche generazione fa da tenere rigorosamente segreto, ora da poter eventualmente condividere con l’universo intero, sotto forma di blog. Il diario, o blog su internet, è la nostra opera d’arte salvifica. Scrivere poche righe al giorno può diventare una terapia da seguire: al pari della assunzione di un farmaco, dovrebbe essere prescritto dal medico di famiglia. Il transito del livello emotivo che avviene dal pensiero alla carta, opera su vari fronti un’azione di benessere. I meccanismi di difesa che si innalzano a fronteggiare le asperità della vi-

ta quotidiana, trovano uno spontaneo abbassamento durante la scrittura di una pagina di diario. Il consegnare il nostro “ sentire dentro” alle pagine bianche di un quaderno equivale al riequilibrio delle tensioni, dovute all’emozione provata nel particolare momento. Altre forme di consegna possono rivelarsi benefiche per il corpo e per la mente. Suonare il pianoforte, dipingere una tela, manipolare pasta di sale, fotografare, inventare un passo di danza diventano il veicolo del mondo interiore per uscire allo scoperto. Il prodotto finale è il risultato della sensibilità di cui tutti ci avvaliamo; molto spesso, le grandi ope-

re d’arte nascono perché il loro creatore ha consegnato all’esterno ogni minimo particolare della propria interiorità, senza risparmiarsi e senza trascurare la più piccola sensazione. La trasmissione della consegna, infine, può essere talmente profonda che arriva a coloro che ne usufruiscono in maniera devastante. La sindrome di Stendhal è un malessere che colpisce coloro che vengono rapiti dalla immensa bellezza di un quadro; provoca tachicardia, stato confusionale, vertigini. Provoca, quindi, ancora emozioni, talmente forti da coinvolgere fisiologicamente l’osservatore. L’energia trasmessa attraverso

le manifestazioni artistiche può e deve, a sua volta, non venire dispersa, ma essere utilizzata ed incanalata per dare vita ad altri prodotti artistici. Alla fine della visione di un film, dopo aver visitato un museo, sentito una canzone, aver assistito ad una trasmissione televisiva, incameriamo le nuove emozioni e rendiamone partecipi gli altri, attraverso le espressioni che meglio si attengono alla nostra personalità. Il beneficio che ne trarremo sarà individuale, come in ogni forma di terapia, ma avrà l’immediatezza dell’effetto come connotazione particolare. dott.ssa Anita D’Atri Psicologa


o t t o b re duemiladieci

architetto

Minimalismo nuova filosofia d’arredo

Open Door, vuoto e libertà senza confini Giardini in soggiorno per celebrare la vita all’aria aperta e il contatto con la natura Si possono identificare tante tipologie di casa, quanti sono gli stili di vita esistenti. Luci, colori, tessuti, mobili, tutto ciò che entra in scena nel palcoscenico di casa diventa attore della rappresentazione domestica in ogni sua parte. Negli ultimi anni lo stile minimalista è considerato un movimento alla moda e di notevole influenza anche per l’arredo delle nostre abitazioni. Adolf Loos, con il suo testo provocatorio Ornamento e Delitto, pubblicato nel 1908 sottolineava l’utilità della produzione di oggetti di forma semplice e funzionale e l’eliminazione di tutto ciò che è considerato superfluo. Le geometrie sono pure e le linee squadrate. La combinazione dei colori è precisa: bianco, nero e grigio perla combinati al massimo con beige naturale o marrone. L’arcobaleno dei colori si restringe dunque a poche tonalità, mai più di tre mescolate tra di loro. Quadrati, rettangoli, triangoli, cerchi o ellissi, queste le forme privilegiate. Geometrie che vivono la casa, oggetti funzionali dal design compatto e lineare. Una filosofia di vita che evita il surplus in ogni ambiente domestico. Le forme, le linee

e le strutture, sono decise senza alcuna intenzione di rappresentare nessun altro oggetto o arredo che non sia quello pensato. La rinuncia

agli orpelli e alle cose inutili è predominante: tutto è ridotto agli elementi basilari, il surplus è vietato. Vivere in un ambiente minimalista è una scelta verso il minimo indispensabile. Per i soggiorni, le potenzialità spaziali vengono suggellate dalla riduzione in numero degli elementi d’arredo e vengono preferiti gli open space che contribuiscono alla sensazione di vuoto. Un nuovo modo di abitare che nel tempo si è trasformato da necessità a fenomeno di moda. In questo tipo di abitazione, ogni elemento d’arredo diventa protagonista dello spazio in cui è collocato.

Dopo l’esuberanza degli Anni ‘80, il minimalismo degli Anni ’90 e il mix di generi e stili che ha segnato la fine del millennio, si prefigurano case, ma anche ambienti pubblici, intesi come luoghi “aperti” e “fluidi”, specchi dei bisogni e dei desideri dei fruitori. Negli ultimi anni è cresciuto, inoltre, il desiderio di recuperare il contatto con il verde e gli spazi outdoor, con l’aria e il sole e di riqualificare gli spazi dedicati al tempo libero, soprattutto se all’aperto. La domanda è sempre più competente e le scelte di acquisto avvengono alla luce di consapevoli analisi degli articoli e delle informazioni messe a disposizione dai fabbricanti; per contro, l’offerta fa a gara per proporre soluzioni sempre più ricercate ed evolute da un punto di vista tecnologico, tecnico ed estetico. In un mercato immobiliare in continua crescita, almeno per quanto riguarda i prezzi, le soluzioni abitative più diffuse sono spazi ridotti, bi-trilocali, in cui il terrazzo, se opportunamente risolto, può diventare un locale in più anche grazie alle nuove tecnologie di riscaldamento per esterni e alle sempre più funzionali coperture e pavimentazioni.

Parallelamente è cresciuta l’attenzione per la casa come luogo privilegiato dove ricercare funzionalità, comfort e qualità, ma anche come spazio sociale. Oggi si dovrebbe parlare di “open door”, a testimoniare un continuum spazio-temporale tra l’interno e l’esterno, che coinvolge tanto la progettazione quanto le tendenze abitative, in una sorta di nuova filosofia del vivere, alla riscoperta dei valori della vita all’aria aperta e del contatto con la natura, magari creando un giardino d’inverno nel soggiorno.

Non esistono confini per il settore dell’outdoor, il contributo del design è, anche in questo settore, sempre più importante e determinante. Ma il vero segreto è che l’outdo-

15

DI ANTONIETTA CIAVARELLA

Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563324

or design si è fatto flessibile. Flessibile perché facile da interpretare, semplice da abbinare. Flessibile perché ricco di varianti cromatiche, di materiali, di forme. Flessibile perché capace di rispondere concretamente alle esigenze, con soluzioni efficaci e prezzi adeguati, con format che non si impongono, ma che al contrario seguono le tendenze e i desideri del pubblico. Su linee e forme non c’è un trend prevalente. Dai più sobri stili classici con accenni retrò che impiegano materiali e lavorazioni più tradizionali, la resina sta acquisendo charme e la si ritrova in oggetti che spaziano dai vasi e dagli accessori per giardino ai complementi d’arredo, dalle strutture portanti di gazebo, fioriere e spalliere a divani, tavoli e sedie, fino ai pouf e alle poltrone, accompagnandosi a legni pregiati, materiali naturali e metalli lavorati. La filosofia del brand Serralunga, azienda italiana fondata nel 1825, nasce proprio da questa necessità: creare un ambiente esterno che ci rispecchi, arredandolo con componenti di design che siano belli e funzionali allo stesso tempo. Idee intelligenti per ricreare un ambiente che abbia le stesse funzioni del suo corrispettivo interno, ma con il fascino dell’aria di primavera o d’estate, con la luce del tramonto o con la favola del buio notturno a fare da sfondo.


16

o t t o b re duemiladieci

cucina

Bruciore di stomaco, acidità, pesantezza

Verza, un ortaggio di stagione dalle tante virtù benefiche Dalla natura una cura per la gastrite Per chi soffre di gastrite, l’alternativa ai farmaci e ai piccoli pasti frequenti è il succo di verza. Sembrerà strano consigliare un ortaggio difficile da digerire per un problema di stomaco: eppure funziona. Lo sapevano bene gli antichi che, già ai tempi dei Romani, la utilizzavano per curare l’ulcera: una degenerazione della gastrite che provoca veri e propri “buchi” nello stomaco. La sostanza responsabile di questi straordinari miglioramenti è il gefarnato (acido grasso) che protegge le pareti dello stomaco dall’azione dei succhi gastrici. Chi soffre di gastrite sa che all’inizio il disturbo si manifesta con bruciori di stomaco e acidità. Poi, quando il problema si cronicizza, la digestione diventa lentissima. Così il cibo finisce per rimanere molte ore nello stomaco causando pesantezza. In questo caso si rivelano utilissimi gli isotiocianati contenuti nella verza. Sono sostanze dette “stomachici” proprio perché favoriscono la digestione, agevolando lo svuotamento dello stomaco. Inoltre, grazie al loro contenuto di zolfo (responsabile del cattivo odore che si sprigiona dalla verza quando la si cucina) agiscono come disinfettanti. Curare la gastrite è facile: basta bere due bicchieri di succo fresco la mattina, a digiuno, per tre settimane. Per preparare due bicchieri di succo occorrono due cespi (circa 500 grammi) di verza. UNA TRIBU’ NUMEROSA Alla famiglia delle brassicacee (dette anche crucifere) appartengono più di duemila varietà. Le più utilizzate in cucina sono: broccoli, cavolini di Bruxelles, cavoli cappucci, cavoli neri e cavolfiori. Le proprietà curative sono comuni a tutti. Il cavolfiore, però, sembra possedere alcune caratteristiche aggiuntive: recenti studi dimostrano che aiuta a combattere il tumore al seno inibendone la crescita. L’affinità fra seno e cavolfiore si ritrova anche nella tradizione popolare, che consigliava alle neo mamme di mettere una foglia di cavolfiore sul seno, dopo il parto, per favorire la montata lattea. Angela Dalicco

INVOLTINI DI VERZA VEGETARIANI Ingredienti 8 grandi foglie di verza - 3 patate medie 2 dl di latte - 30 g di burro o di olio evo 500 g di funghi champignon - 1 spicchio d'aglio - 1 mazzetto di prezzemolo - 3 cucchiaio di olio evo - sale - pepe

Alleata della bellezza Non lo si immaginerebbe mai, perché fa venire in mente rustici minestroni fumanti, ma la verza è una valida alleata della bellezza, ancora grazie agli isotiocianati e al loro contenuto di zolfo, dalle proprietà depurative, disinfettanti e rivitalizzanti. RIGENERA LA PELLE E’ sufficiente mezzo bicchiere di centrifugato di verza: si beve la mattina a digiuno. ELIMINA L’ACNE Va stesa sul viso sotto forma di pappina, ottenuta sminuzzando alcune foglie di verza. RINFORZA I CAPELLI La medesima preparazione usata per l’acne può essere utilizzata sulla capigliatura. In questo caso lo zolfo migliora l’irrorazione sanguigna del bulbo, svolgendo un’azione rivitalizzante.

Prevenzione con la dieta Ricca di vitamine è un ingrediente essenziale nell’alimentazione L’ortaggio è ricco di cumarine e fenoli, antiossidanti molto efficaci, che lo rendono ottimo per curare l’astenia (l’eccessiva spossatezza), l’afonia (la mancanza di voce), per disintossicare e per depurare. Inoltre, ha un elevato contenuto di vitamine e minerali: ferro, calcio, fosforo, potassio, magnesio e silicio. Le virtù terapeutiche della verza hanno altri due impieghi specifici: PREVENIRE L’ANEMIA: la carenza di ferro viene riequilibrata dalla clorofilla. Se si è anemiche è consigliabile mangiare ogni giorno almeno due etti di verza cruda in insalata, condita con limone, che aggiunge vitamina C e rende meglio assorbile il ferro. GUARIRE LE BRONCHITI ed eliminare il catarro grazie agli isotiocianati, che funzionano da antimicrobici e fluidificano il muco e alle mucillagini, che svolgono un’azione emolliente. Si prepara un decotto con tre-quattro foglie di verza e 50 gr. di porro in un litro d’acqua, lasciando bollire. Quindi si filtra e si aggiungono, a questo sciroppo, due cucchiaini di miele.

Preparazione Lessare le patate in acqua bollente; pelarle e passarle allo schiacciapatate, raccogliendo il passato in una casseruola. Aggiungere il latte e l'olio; salare, pepare e fare addensare su fiamma bassa mescolando continuamente. Una volta pronto salare e pepare. Lavare le foglie di verza e scottarle in acqua bollente salata; adagiarle ben distese su un piatto. Mondare e pulire i funghi; tagliarli a fettine e saltarli in padella con un filo d'olio e l'aglio. A cottura ultimata salare e spolverizzare con il prezzemolo tritato. Mescolare il purè con metà dei funghi e distribuire il composto sulle foglie di verza; arrotolare formando degli involtini.

Foderare una teglia con carta forno e disporvi gli involtini. Cospargere con un filo d'olio e cuocere a 180° per 15 minuti. Togliere gli involtini dal forno e distribuire nei piatti accompagnando con i restanti funghi trifolati.


o t t o b re duemiladieci

Nel momento più intenso della vita di una donna

Parto cesareo o naturale?

GINECOLOGA DI ALESSANDRA D’APOLITO Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

Dubbi, incertezze, vantaggi e risultati scientifici Dopo i recenti casi di cronaca e a fronte di una percentuale di parti chirurgici, il 38%, che supera del doppio la soglia fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (15%), il ministero della Salute punta ad accelerare le raccomandazioni che sta mettendo a punto l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Raccomandazioni cliniche, spiegano all’Istituto, che seguono quelle già pubblicate in merito alla comunicazione tra le donne e gli operatori sanitari, con l’obiettivo di favorire scelte consapevoli e condivise sul parto e anche quello di far diminuire un numero di cesarei che lo

stesso ISS definisce “allarmante”. Il secondo documento potrebbe essere pronto per il prossimo febbraio, e riguarderà le indicazioni cliniche per il parto cesareo, sia programmato che in emergenza. Le linee guida, però, dovrebbero essere accompagnate da “strumenti di verifica e percorsi di implementazione delle buone pratiche” per essere davvero efficaci. Nei Paesi industrializzati le più comuni indicazioni al taglio cesareo sono: precedente taglio cesareo (30%), distocia (30%), presentazione podalica (11%) e distress fetale (10%); la restante percentuale è costituita da una serie di indicazioni più o meno assolute e/o relative (età materna, gemellarità, fattori sociali, culturali ed economici). I vantaggi di un parto spontaneo rispetto al TC sono: • un minor rischio di infezioni; • meno cicatrici uteri-

Coliche salivari e ascessi ghiandolari

ne (che espone al rischio in una successiva gravidanza di placenta accreta che a sua volta espone a rischio di emorragia post-partum grave); • minor dolore, immobilità e degenza in ospedale; • minori costi. La nascita naturale è forse l’esperienza emozionale e fisica più intensa della femminilità, che rafforza l’identità femminile e promuove il legame madre-bambino. Il dolore del travaglio di parto è sicuramente l’aspetto più rilevante per una donna. La valenza del dolore dipende molto dall’ambiente culturale, socio-economico, dall’interpretazione socio-culturale e da filosofia e stile della vita. L’informazione completa sui vantaggi e gli svantaggi di ogni procedura sarebbe auspicabile prima del travaglio o, meglio ancora, prima della gravidanza, così che la donna possa decidere in tutta tranquillità per una procedura o l’altra. Nel momento del dolore il desiderio di uscirne è predominante e si accetta qualsiasi cosa. Ma non è una

scelta libera. E’ molto importante quindi per una donna seguire i corsi di preparazione al parto che non spiegano solo “come si partorisce” ma soprattutto descrivono gli aspetti fisiologici del parto e l’utilità del dolore come elemento essenziale del travaglio fisiologico che stimola il cervello a rilasciare gli ormoni indispensabili allo svolgimento armonioso del travaglio.Una buona preparazione alla “motivazione al dolore” e alle sue funzioni dovrebbe entrare in tutti i corsi, insieme a un lavoro corporeo che offra strumenti di contenimento del dolore. “Il parto naturale è difficile, però il corpo della donna è predisposto per questa funzione. Quando una donna partorisce senza farmaci, senza anestesia, senza interventi medici, strumentali, apprende di essere forte e potente. Apprende la fiducia in sé. Apprende a fidarsi di sé stessa. Una volta che realizza la propria forza e il proprio potere, avrà un’attitudine diversa verso il dolore, le malattie, il disagio, la fatica, le situazioni difficili, per il resto della sua vita” (Paulina Perez “Special Women”).

L’OTORINO DI MARILENA TOMAIUOLO

Scialoendoscopia contro i calcoli delle ghiandole salivari

Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

Il nuovo approccio endoscopico per la diagnosi e la rimozione chirurgica Le ghiandole salivari maggiori: parotidi, sottomandibolari e sottolinguali possono essere colpite da una patologia particolarmente fastidiosa come la scialolitiasi, cioè la formazione di calcoli salivari all’interno dei dotti escretori o, più raramente, intraghiandolari. La scialolitiasi, già nota ai tempi di Ippocrate(400 a.C.), colpisce circa l’1% delle ghiandole salivari nell’uomo, è localizzata più frequentemente nelle ghiandole sottomandibolari (80% dei casi) e nelle parotidi (30-40%). I calcoli sono composti da un insieme di sostanze: organiche come glicoproteine e mucopolisaccaridi, inorganiche come carbonato e fosfato di calcio. Tali calcoli possono essere unici o multipli e variano molto nella forma, crescendo di dimensioni negli anni. Tale crescita determina spesso una dilatazione dei dotti ghiandolari che crea ristagno salivare ed infezioni batteriche. Tale affezione è caratterizzata dalla comparsa di dolore alla masticazione, ridotta produzione di saliva (iposcialia), e infiammazioni o

veri e propri ascessi ghiandolari. La manifestazione più frequente nota come “colica salivare”, a carattere ricorrente, ci orienta verso l’eziologia calcolotica della malattia. I mezzi diagnostici a nostra disposizione, oltre all’ecografia ghiandolare utile per evidenziare le formazioni litiasiche, sono rappresentati da metodi radiografici come la scialografia, utile per studiare la morfologia dei dotti, ma a volte poco agevole per l’incannulamento difficoltoso, la RM e la TC

e la più precisa scialoRC, che studia la ramificazione dei dotti senza esporre il paziente alle radiazioni, usate nella semplice scialografia. Oggi, grazie al perfezionamento delle tecniche endoscopiche, abbiamo a disposizione anche un altro mezzo diagnostico che è la scialoendoscopia, che consente l’esplorazione diretta e più completa del sistema duttale delle ghiandole salivari. Qualora non vadano incontro ad espulsione spontanea, si rende necessaria la rimozione dei calcoli salivari, che può avvenire secondo diverse modalità più o meno invasive. La litotrissia extracorporea come per i calcoli renali, rappresenta un approccio conservativo. Sviluppata negli anni ‘90, ha una percentuale di successo variabile dal 50 al

70% ma richiede varie sedute e il problema rimane con l’espulsione dei frammenti che, se incompleta, causa litiasi ricorrenti. La scialoendoscopia consente, essendo dotata anche di un canale operativo, di intervenire direttamente visualizzando il calcolo sotto guida endoscopica, e di rimuoverlo con particolari cestelli per intero o, se troppo grosso, mediante frammentazione laser. La tecnica classica per via esterna prevede l’apertura e la marsupializzazione del dotto interessato, più valida per i calcoli prossimali, meno per i più profondi. L’asportazione della ghiandola sottomandibolare è riservata, pur essendo un intervento abbastanza frequente, alle forme inveterate con interessamento fibrotico del tessuto ghiandolare, ormai alterato nella sua funzione dai ripetuti episodi infiammatori. La parotide invece molto raramente è asportata per fenomeni infiammatori, poiché l’intervento è gravato da serie complicanze come la paralisi del nervo faciale.

17

in poche parole

Pro e contro Il ricorso al parto cesareo in Italia è cresciuto dall’11% del 1980 al 38% del 2008, ben al di sopra dei valori riscontrati negli altri Paesi europei, con punte massime registrate al sud (Campania in testa con il 62%). Il taglio cesareo è diventato, negli ultimi decenni, grazie al miglioramento delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche, un intervento sempre più sicuro in termini di mortalità e morbosità materne e quindi sempre più ampiamente praticato. Sono molteplici le valutazioni che inducono una donna e l’equipe medica ad optare alternativamente per un parto cesareo o vaginale. Il taglio cesareo viene preferito perché abbrevia la durata del travaglio, in tal modo l’ansia della partoriente si riduce e si alleviano anche i timori dei familiari perché considerano il TC più sicuro ai fini del benessere materno e fetale, soprattutto dopo un pregresso TC. Le mutate condizioni sociali e di costume hanno contribuito, inoltre, ad aumentare il ricorso al TC in virtù del diritto riconosciuto dalla legge alla donna di disporre del proprio corpo come meglio crede; di qui la legittimità ad aderire alla richiesta di TC da parte di una gestante anche senza indicazione medica. Per non parlare del ricorso al TC da parte del personale sanitario nell’ottica della “medicina difensiva” per evitare il rischio di essere incolpati per negligenza, imperizia o inosservanza della legge. Infatti si è diffusa tanto l’idea che eventuali esiti avversi siano sempre collegati alla non effettuazione di un TC contribuendo conseguentemente ad aumentare la pratica del parto per via addominale. Ma proprio chi si sottopone a cesareo è più a rischio di incorrere in problemi legati al parto che, in alcuni casi, possono portare alla morte. L’indice di mortalità materna in Italia si attesta a 11,9 ogni centomila nati vivi, come ha rilevato lo stesso ISS in un rapporto del 2010 in cui viene sottolineato come il dato ufficiale, basato solo sui certificati di morte, sia “sottostimato del 75%”. Anche per questo dato, c’é una differenza tra il Nord e il Sud del Paese, con i valori più bassi registrati al Nord e in Toscana (8 morti per 100.000 nati vivi) e quelli più elevati nel Lazio (13 morti per 100.000 nati vivi) e in Sicilia (22 morti per 100.000 nati vivi). a.d’a.


18

o t t o b re duemiladieci

in poche parole

I numeri dell’obesità L’obesità risulta essere il disordine nutrizionale più frequente nei Paesi sviluppati e in particolare l’obesità infantile è certamente uno dei problemi più frequenti in età pediatrica. L’obesità infantile non rappresenta solo un rischio per la salute, ma una grossa sofferenza psicologica per il bambino. Per questo è necessario non sottovalutare il problema. Negli USA, circa il 15% dei bambini (tra i 6 e gli 11 anni) e il 15,5% degli adolescenti (tra i 12 e i 19 anni) sono obesi. In Italia i risultati di un’indagine promossa dal Ministero della Salute indicano che all’età di 9 anni in città campione di Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Campania, Puglia e Calabria il 23,9% dei bambini è in soprappeso ed il 13,6% è obeso. Il rischio relativo per un bambino obeso di diventare un adulto obeso aumenta con l’età ed è direttamente proporzionale alla gravità dell’eccesso ponderale. Fra i bambini obesi in età prescolare, dal 26 al 41% è obeso da adulto, e fra i bambini in età scolare tale percentuale sale al 69%. Nell’insie-

Dalla fine del secondo millennio è in aumento in tutto il mondo

Obesità infantile a rischio un bambino su tre Importante è modificare le abitudini alimentari dell’intera famiglia

L’obesità può essere definita come un eccesso di tessuto adiposo in grado di indurre un aumento significativo di rischi per la salute (malattie cardiovascolari, pressione alta, diabete, ipercolesterolemia). La terapia dell’obesità infantile si propone non solo di ridurre il sovrappeso, ma di fare in modo che questo risultato sia durevole e consolidato. Le recidive in questo campo infatti sono molto frequenti, soprattutto se non si agisce sulle abitudini alimentari dell’intera famiglia. Il problema non deve essere né sottovalutato né medicalizza-

to, l’azione deve svolgersi contemporaneamente sul piano della terapia e su quello dell’educazione alimentare di tutta la famiglia e si deve puntare sul graduale, ma costante incremento dell’attività fisica, anche di quella quotidiana. E’ essenziale che l’attività fisica diventi un’abitudine regolare, il piccolo obeso deve essere incoraggiato ad andare a scuola a piedi o in bici, a fare le scale a piedi oppure a praticare uno sport. Gli sport consigliati sono quelli a sforzo costante, come il nuoto, il pattinaggio, la danza, o comunque qualsiasi attività piacevole per il bambino. L’attività fisica contribuirebbe in questo modo ad incentivare il calo ponderale e a mantenerlo nel tempo, impiegando parte del tempo del bambino in modo salutare, divertente e impegnandolo anche socialmente,

riducendo così il tempo dedicato al consumo di cibo. Solitamente, invece, i bambini in sovrappeso o obesi evitano qualsiasi forma di competizione sportiva, per paura di far brutta figura o per pigrizia e preferiscono trascorrere molto tempo davanti alla tv o ai videogiochi e magari sgranocchiando cibi molto calorici o cosiddetti “cibi spazzatura” (es. patatine, merendine, cioccolata, panini super farciti…). Questo spiega la necessità di una terapia che sia anche comportamentale, che corregga cioè gli errori del bambino che in realtà sono il riflesso di errori che fa la famiglia stessa in primo luogo. E’ importante anche la “filosofia degli incentivi”, offerti al bambino come premio per il risultato raggiunto. Per ciò che riguarda il regime dietetico, è importante for-

Quando il dialogo s’interrompe serve un ausilio

NUTRIZIONISTA DI STEFANIA FARIELLO Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

nire al bambino pasti soddisfacenti e che producano sazietà. Innanzitutto è opportuno che i bambini facciano una sana colazione, che invece, spesso manca. Inoltre è importante anche la merenda a scuola per il bambino in età scolare, per una esigenza nutrizionale, per arrivare a pranzo meno affamato e per non sentirsi diverso dagli altri bambini. Quale la migliore merenda? La regola d’oro è variare: una porzione di frutta fresca, uno yogurt, un piccolo panino (magari col pomodoro o col prosciutto), una barretta ai cereali, qualche biscotto, una fetta di ciambella fatta in casa senza troppi grassi, una spremuta di arancia…Nell’alimentazione di un bambino obeso l’obiettivo è ridurre progressivamente l’apporto di grassi e di zuccheri semplici (caramelle, cioccolata, merendine, succhi di frutta o altre bevande zuccherate…), aumentare il consumo di carboidrati a lento assorbimento (amidi della pasta e dei legumi), e abituarli a mangiare più verdura e frutta ricchi di vitamine, sali minerali e fibre che saziano e stimolano la digestione. Questi principi alimentari, che sono la base della dieta mediterranea, dovrebbero essere seguiti dall’intero gruppo familiare, per evitare discriminazioni a tavola e soprattutto per evitare che il bambino riprenda abitudini sbagliate appena raggiunto il risultato.

MEDIATORE FAMILIARE

Pensare la Mediazione Familiare

DI TONIA CAFAZZO Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

Aiuta i genitori a considerare i figli quali portatori di bisogni affettivi me, il rischio per i bambini obesi di divenirlo da adulti varia tra 2 e 6,5 volte rispetto ai bambini non obesi. La percentuale di rischio sale all’ 83% per gli adolescenti obesi. L’avere uno o entrambi i genitori obesi è il fattore di rischio più importante per la comparsa dell’obesità in un bambino. Lo studio dei fattori genetici dell’obesità è stato fatto soprattutto su modelli animali. Nell’uomo la determinante genetica dell’obesità è comprovata dalla famigliarità di obesità, dalla correlazione del sovrappeso nei gemelli monoovulari, dall’esistenza di gruppi etnici, come gli Indiani Pima, geneticamente obesi. Il fatto che in una stessa famiglia ci sia una frequenza maggiore di obesi rispetto alla frequenza casualmente attesa non dimostra necessariamente una trasmissione ereditaria della malattia, dato che si potrebbe imputare ad un effetto delle abitudini di vita e di alimentazione del nucleo famigliare stesso. Più che tra padre e figli, la coincidenza di obesità è particolarmente frequente tra madre e figli. s.f.

Chi è il Mediatore Familiare? Molti, al suono di questo termine, pensano ad una figura che incentiva e incoraggia la separazione e la Mediazione Familiare come qualcosa da rifuggire perché contro il principio cristiano dell’unione familiare. Invece il percorso di mediazione è un’alternativa costruttiva alla lite legale e il Mediatore è il terzo neutrale che aiuta le parti a valutare le varie opzioni e fa comprendere che il modo migliore per risolvere il conflitto non è lo scontro frontale in un’aula giudiziaria. Il Mediatore è un operatore di pace e mira alla salvaguardia delle relazioni umane, aiutando coloro che vogliono separarsi a vivere questa esperienza nel modo più sereno possibile. La Mediazione è un potente strumento che consente ai genitori di aprirsi verso l’assunzione di un atteggiamento più attento al figlio quale portatore di bisogni affettivi. Aiuta a ripristinare la comunicazione interrotta dalle prese di posizione, apre alla ri-considerazione dei propri bisogni ma anche a quella dell’altro, sia esso ex-coniuge che figlio. Un contesto di mediazione diventa un luogo carico di umanità, camera di decompressione del conflitto. Qui il disordine viene accolto, il dolore ha la possibilità di essere ascoltato, viene

restituita a ciascuno la propria dignità e la possibilità di vivere progettandosi. Tra gli obiettivi del Mediatore Familiare c’è quello di accordare i coniugi sull’educazione dei figli e l’organizzazione del tempo libero da trascorrere in loro compagnia. Ribadiamo che questioni familiari tanto cariche di emotività non possono essere trattate e fronteggiate in maniera adeguata in tribunale dove non ci sono né tempo né competenze, e appena fuori dell’aula si ricomincia a litigare. Il Mediatore, invece, comprende le emozioni, lavora con esse e aiuta le parti a comprenderle. I genitori separati rischiano uno scollamento tra la loro divisione ed il mantenimento del ruolo genitoriale. Possono divenire non solo separati tra loro, ma anche dai loro figli, privandoli del sostegno parentale. Fin dalla prima seduta il Mediatore si prefigge di rendere consapevoli i genitori dei bisogni dei figli e dell’influenza dei comportamenti genitoriali su di essi. Col percorso di Mediazione le parti coinvolte ottengono in breve un accordo in grado di soddisfare il più alto numero di bisogni reciproci, e con un notevole risparmio in termini economici. In mediazione, lavorano insieme con il Mediatore per il raggiungimento di

un obiettivo concreto: l’elaborazione di accordi di separazione, duraturi nel tempo perché le risoluzioni sono date dagli stessi coniugi, che saranno poi presentati al giudice per ottenere la ratifica ufficiale necessaria. Attualmente i tempi per ottenere una separazione nel migliore dei casi vanno dai 3 mesi ad un anno e oltre. La Mediazione così poco considerata nella legge 54/06 sull’affido condiviso, in altri Stati è ormai di consuetudine e si pone come percorso preliminare a quello giudiziario, rendendo fluidi i percorsi giuridici spesso inadeguati alle risoluzioni familiari, ottenendo uno snellimento delle

procedure giudiziarie in tempi accettabili. Non dobbiamo trascurare che ormai le separazioni sono una realtà che non si può più ignorare. Solo nella nostra città se ne contano a centinaia ogni anno e sono sempre più in aumento. Si può, dunque, tranquillamente affermare che la Mediazione Familiare ha come finalità quella di salvare il salvabile, nel rispetto della dignità umana ma soprattutto nell’interesse e nella salvaguardia dei diritti dei figli, specie se minori, per garantire loro una crescita psicoemotiva più sana ed equilibrata.


o t t o b re duemiladieci

Legata a difficoltà emotive nella comunicazione

Disfonia, disturbo psicogeno

LOGOPEDISTA DI CRISTINA BELMONTE Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

La terapia va formulata anche in base alla personalità del soggetto La voce determina e regola l’interazione dell’individuo con altri individui e con l’ambiente esterno. La disfonia può esprimere la difficoltà emotiva di comunicazione in determinate situazioni. Tale difficoltà viene espressa attraverso il comportamento vocale. In condizioni favorevoli, la fonazione avviene nell’ambito di una corretta immissione di aria da un’adeguata apertura del costato ed una equilibrata emissione del flusso espiratorio dove i muscoli addominali sostengono il “soffio” d’aria ed il muscolo diaframmatico lo sospingerà verso la laringe dove la sua pressione farà vibrare le corde vocali producendo il suono. Tutto ciò avviene, in natura, con modalità rilassata. Quando un evento comportante ansia sopraggiunge, lo stato d’animo di tensione passando attraverso l’incrementata attività respiratoria e l’aumentata tensione muscolare anche a livello laringeo, viene riflesso sulla voce. Cosi la laringe ed in particolare la voce diventano l’organo deputato a comunicare un disagio o un conflitto emotivo, attraverso una disfunzione: la disfonia; o un’interdizione, l’afonia o il mutismo. Quando un disturbo disfonico si

presenta in forma più o meno grave, in assenza di alterazioni strutturali o di patologie laringee, viene classificato come disfonia funzionale. Differenti disturbi funzionali della voce si verificano in relazione a ragioni differenti. La maggior parte delle disfonie funzionali, infatti, possono essere messe in relazione a cause psicologiche che interferiscono con il normale controllo volontario della fonazione. Per questa ragione, riferendosi a tali disfonie, viene usato il termine più rappresentativo di “disturbo psicogeno”. Componente non di minore importanza nella disfonia psicogena è la tensione muscolo-scheletrica generalizzata

o specificamente coinvolta nella regolazione dell’atto fonatorio da parte dei muscoli della laringe, essi essendo particolarmente sensibili allo stress emotivo. Il risultato è una disfonia di t i p o ipertonico, la quale esprime l’ansietà, la rabbia, la depressione di un particolare momento emotivo. Con questa maggior tensione muscolare la vocalizzazione richiederà maggiore sforzo per essere efficace e la forzatura, a sua volta, richiederà una tensione ancora

Per eliminare il disturbo bisogna comprendere il motivo per cui è nato

maggiore; arriveremo così al “circolo vizioso” dell’abuso vocale. Questa situazione, se perpetuata nel tempo, provocherà un’infiammazione delle mucose ed una modificazione della posizione della laringe che favorirà l’urto traumatico del bordo libero della mucosa vocale provocando un’alterazione che passerà, ad esempio, da stato edematoso a nodulo vocale. Nel disturbo disfonico da conversione l’aggressività del soggetto è rivolta verso se stesso, (mutismo o afonia), mentre nell’abuso vocale l’aggressività del soggetto è proiettata all’esterno e si manifesta con forme disfoniche più o meno gravi, che sfociano non infrequentemente in patologie organiche ( noduli vocali, granuloma da contatto) come forme secondarie di un disturbo muscolotensivo. La differenza nella manifestazione di forma del disturbo può essere ricercata nei tratti prevalenti della personalità quali fattori predisponenti. Le informazioni relative alla personalità e dai fattori psicologici potranno essere utili nella valutazione del procedimento terapeutico, consentendo l’identificazione dei soggetti a rischio di recidiva e per spiegare il fallimento di alcuni trattamenti.

PSICOLOGA DI MARIA GRAZIA BELLANTUONO Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

Vorrei essere diversa, ma non ci riesco

Importante è fare un lavoro di squadra, con familiari e conviventi Ciò che spinge un individuo, una coppia o una famiglia ad intraprendere un percorso di psicoterapia è, nella maggior parte dei casi, il desiderio di modificare una situazione divenuta insostenibile, che si traduce, solitamente, nella richiesta di cambiare qualcosa di se stesso o dell’altro. Alla base della domanda d’aiuto, dunque, c’è sempre il desiderio di risolvere un problema, di curare un sintomo, di dirimere un conflitto o, più in generale, di produrre un cambiamento. Questa condizione di malessere è all’origine della motivazione ad intraprendere una psicoterapia ma è anche, paradossalmente, il principale ostacolo al raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Quanto detto potrebbe sembrare bizzarro, ma spesso costituisce il fulcro del lavoro terapeutico poiché, mai come in questi casi, vale il detto che “non tutti mali vengono per nuocere”. E si, perché quelli psicologici sono, nella maggior parte dei casi, “mali sensati”, risposte apparentemente illogiche a situazioni che creano sofferenza e di fronte alle quali il sintomo sembra essere l’unica difesa possibile, per

quanto primitiva. Per questo il terapeuta ha il dovere di chiedersi a cosa serve e che significato ha il disturbo all’interno del contesto in cui si esprime, coinvolgendo il paziente e i suoi familiari in una ricerca di senso che deve essere condivisa per poter essere accolta e affrontata all’interno del percorso. Spesso, infatti, il sintomo viene mantenuto al fine di conservare un “vantaggio secondario” difficile da rimuovere senza la partecipazione attiva di coloro che contribuiscono ad alimentarlo. Così, potrà risultare estremamente faticoso per un paziente ansioso eliminare il sintomo, che lo mette costantemente in guardia da una situazione inconsciamente vissuta come “pericolosa”, poiché sarebbe come togliere gli aculei ad un riccio, privandolo della possibilità di difendersi dalle insidie dell’ambiente in cui vive. Prima di lavorare in direzione di un cambiamento occorre verificare quali sono i “benefici” prodotti

dal sintomo a cui il paziente non riesce, legittimamente, a rinunciare. Sono questi “vantaggi secondari”, infatti, che spiegano al terapeuta le resistenze al cambiamento, che si traducono in espressioni apparentemente paradossali quali: “vorrei tanto cambiare, ma non ci riesco”, “a che serve quello che sto facendo?”, oppure “nessuno può aiutarmi”. I disturbi di origine psicologica

hanno, in fondo, un significato adattivo, pertanto non si può pretendere di eliminarli senza comprendere il motivo per cui sono insorti e, soprattutto, le situazioni ambientali in risposta alle quali si sono strutturati. Ciò richiede, spesso, un “lavoro di squadra”, con i familiari e i conviventi oltre che con il “paziente designato”, al fine di modificare l’intero sistema che contribuisce, sia pur involontariamente, al mantenimento del sintomo. Detto questo, è possibile che le conseguenze del disturbo continuino ad essere più vantaggiose, per il paziente, dei potenziali benefici derivanti da una “guarigione”, pertanto, è come se il soggetto in questione e i suoi familiari non si sentissero pronti a modificare il loro equilibrio, sia pure disfunzionale. In questi casi, il terapeuta, nel rispetto dei tempi del paziente, dovrebbe proseguire il lavoro sulla facoltà e la responsabilità del cambiamento, pur restituendo a quest’ultimo il significato adattivo e, quindi, la legittimità delle sue resistenze.

19

in poche parole

Bullismo? Volontariato Si chiama “Il volontariato per la legalità e la cittadinanza sociale nelle scuole di Puglia” il progetto che, già approvato dalla Giunta regionale pugliese lo scorso anno, si pone l’obiettivo di contrastare e contenere il fenomeno del bullismo, riutilizzando il tempo dei ragazzi a cui è stata comminata una sanzione proprio a causa di comportamenti associati al fenomeno del bullismo. Il progetto riguarda 30 scuole in tutta la regione e 40 associazioni di volontariato. Un programma che segna la differenza rispetto alle misure correttive messe in atto dalla scuola negli ultimi anni e che va nella direzione del coinvolgimento responsabile dei ragazzi e delle istituzioni. Punto di forza, proprio la sinergia tra più enti istituzionali e non, con la finalità di riutilizzare il tempo dei ragazzi a cui è stata comminata una sanzione per motivi di bullismo per finalità sociali, affiancando le associazioni di volontariato nelle loro attività ordinarie, investendo il tempo nel potenziamento dell’intelligenza emotiva e relazionale dei ragazzi. Una unità di valutazione costituita ad hoc per i casi di bullismo a livello provinciale, esaminerà il caso, stabilirà la tipologia di intervento commisurata al comportamento sanzionabile e individuerà l’associazione di volontariato presso cui dovrà esercitare l’azione “riparatrice”. A questo punto il ragazzo sarà pronto a svolgere la sua attività di volontariato non prima, però, di aver sottoscritto un patto etico. Il patto tra studente “sospeso” e organizzazione di volontariato ha la finalità di evitare che l’allontanamento temporaneo dalla scuola si trasformi in una scelta definitiva e di promuovere il contatto con esperienze di vita alternative alla scelta di violenza, aggressività o prevaricazione, con l’obiettivo ulteriore di prevenire fenomeni di dispersione scolastica che spesso seguono alle sanzioni disciplinari. Così, ai consueti giorni di sospensione corrisponderanno mesi di attività volontaria presso organizzazioni che si occupano di soggetti fragili o che tutelano l’ambiente, il patrimonio o che promuovono cultura e benessere sul territorio. Una tabella allegata al progetto spiega nel dettaglio: ad un giorno di sospensione corrisponde un mese di attività volontaria, tre giorni equivalgono a tre mesi e 15 giorni di sospensione corrispondono a sei mesi. (Fonte genitori.it)


20

o t t o b re duemiladieci

FARMACIA

Parliamo di Menopausa

A CURA DELLA FARMACIA SANTA RITA

Sintomi e terapie, ma attenzione agli esami preventivi Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

E’ un evento fisiologico che segna nella donna il termine dell’età fertile, cioè il venir meno dell’attività ovarica, in cui le ovaie non producono più follicoli e non producono più gli estrogeni, cioè gli ormoni femminili principali, e la cui conseguenza più evidente è la scomparsa del ciclo mestruale. La menopausa si presenta tra i 45 ed i 53 anni, ma può essere precoce se compare prima dei 40 anni, o segue all’asportazione dell’utero. Non è una malattia, ma rappresenta un momento fisiologico, quindi assolutamente normale; tuttavia, determinando nella donna il termine dell’età fertile, la menopausa si identifica spesso con l’inizio della vecchiaia e comporta, quindi, dei disagi psicologici nelle donne. Inizialmente la menopausa causa sintomi fastidiosi, ma innocui, come vampate di calore, ipersudorazione, palpitazioni, arrossamento del viso, senso di affaticamento, alterazioni dell’umore, insonnia, secchezza della mucosa vaginale, conseguente alla cessata produzione di estrogeni, e poi si instaura una tendenza ad aumentare di peso. Tutti questi sintomi, con il tempo, tendono a diminuire fino a scomparire del tutto, ma le conseguenze più importanti della carenza ormonale si fanno sentire nei confronti delle ossa, del cuore e dei vasi sanguigni. Clinicamente la diagno-

si di menopausa si pone quando una donna non ha più mestruazioni da 12 mesi consecutivi, talvolta essa si verifica bruscamente, cioè all’improvviso cessano le mestruazioni, ma più spesso ciò è preceduto da una serie di alterazioni della durata del ciclo. La menopausa viene sempre confermata dagli esami ormonali, ma è opportuno recarsi dal medico già nelle prime fasi, per iniziare da subito le terapie idonee. La terapia ormonale sostitutiva viene iniziata solitamente alla comparsa dei primi sintomi (vampate di calore, sindrome depressiva, insonnia), è molto importante ed ha carattere personale, infatti viene prescritta in rapporto alla sintomatologia individuale ed al grado di accettazione da parte della donna stessa. La terapia sostitutiva, o tos, è tuttora molto studiata: inizialmente si pensava che tale trattamento non dovesse superare i cinque anni dall’inizio della menopausa ed al massimo fino ai sessant’anni, oggi si preferisce una terapia più lunga anche fino ai settant’anni. Tale atteggiamento è particolarmente indicato per combattere l’osteoporosi, che è la prima causa d’invalidità. Prima di somministrare la terapia estrogena sostitutiva occorre sottoporsi ad un accurato esame ginecologico, con pap-test e palpazione della mammella, ad un esame clinico con controllo

di peso, altezza e pressione arteriosa, seguito poi da esami ematici, focalizzati su funzionalità epatica, assetto lipidico, coagulazione e quadro ematico. I controlli clinici saranno effettuati ogni 6 mesi, gli esami ematici ogni anno, la MOC vertebrale e femorale (per la valutazione del depauperamento osseo del calcio) e la mammografia, ad intervalli di uno o due anni, secondo i casi. Altri esami necessari durante la terapia sono la biopsia endometriale con aspirazione e l’ecografia con sonda vaginale (per la valutazione dello spessore dello strato endometriale). Altri farmaci complementari, ma ugualmente importanti, in menopausa sono: il calcio, la vitamina D attivata, i fitoestrogeni, e i bifosfonati, il magnesio. Il trattamento deve essere il più possibile personalizzato e la sua durata deve dipendere da diversi fattori, come l’intensità dei sintomi, la risposta alla terapia e gli obiettivi a lungo termine. Infatti per combattere l’osteoporosi è spesso necessario proseguire con la terapia fino a tarda età. Gli interlocutori più importanti per la menopausa sono il ginecologo e anche l’ortopedico, nei casi in cui sia necessario valutare la situazione ossea, ma è bene anche parlarne con il farmacista di fiducia, che potrà chiarire qualche dubbio e consigliarvi sul modo di seguire le terapie prescritte.

DERMOESTETISTA

Una mappa per comprendere personalità, emozioni e preoccupazioni

DI LUIGIA DE VITO

E tu ... che rughe hai?SCOPRI COME SEI! Le rughe, si formano solitamente in età matura a causa di una cattiva elasticità e disidratazione della pelle, ma potrebbero formarsi anche in età giovanile, e in questo caso la responsabilità è da attribuirsi alla mimica facciale. Tali rughe vengono chiamate “Rughe d'Espressione”, causate dalla contrazione dei muscoli facciali ed esprimono: la personalità, le emozioni, la stanchezza, le preoccupazioni e lo stress di un individuo. Anche le abitudini possono contribuire, pensiamo per esempio alla bocca di un fumatore. Tale schema serve a prendere consapevolezza della natura delle nostre rughe. Nel prossimo numero consiglierò la fitness face e altri utili rimedi per combatterle e prevenire la formazione di nuove.

VINCE IL DUBBIO

DOMINA IL PENSIERO

ATTITUDINE AL COMANDO

Espressione di intensità di pensiero e di attitudine all'attività intellettuale, era, per i Cinesi, anche la ruga della collera.

Una ruga che parte tra le sopracciglia e si estende verso la fronte è tradizionalmente vista come segno di autorità e potere.

Questo tratto è tipico di chi è sempre in tensione e di chi cerca in ogni momento di avere la situazione sotto controllo.

Se numerose e profonde, queste rughe sono il segno di una situazione psichica in cui domina il dubbio.

IL SEGNO DELLA SAGGEZZA

ORGOGLIO O RIFLESSIONE

2 VASI COLMI DI LACRIME

ZAMPE DI GALLINA

Le rughe orizzontali, se tre e sottili, sono correlate alla “saggezza”, a un'indole calma e serena.

Una sola ruga indica la predisposizione alla riflessione; due segnalano una tendenza alla ipercriticità e all'orgoglio.

Presenti nell'adolescenza, rivelano una situazione passeggera dominata da un “disordine” nel campo alimentare e sessuale.

La fisiognomica legge in questi segni la voglia di ricercare e di comunicare con chi è vicino, a volte con atteggiamenti seduttivi.

LA RUGA DI MERCURIO

Chi la sfoggia è un individuo dotato di grande intuito, estrema versatilità, eloquenza e comunicativa.

UNA DIFESA DAL MONDO

Secondo la Tradizione Cinese queste sono rughe tipiche di persone ipersensibili, facili a essere ferite dal mondo circostante.

SORDO A TE STESSO

DISFUNZIONI GENITALI

TROPPI SORRISI TIRATI

A DENTI STRETTI

LA VOLONTA' BLOCCATA

A TESTA BASSA

Questo segno, forse, nasce da una sorriso stampato a forza sul volto, con cui affrontare le relazioni sociali.

Tipica di chi va sempre avanti “stringendo i denti”, questa ruga può essere l'espressione di una notevole aggressività.

SEMPRE VIGILE

Per i vostri quesiti: 6donna@virgilio.it Tel. 0881.563326

Sempre i Cinesi legano questo segno al rifiuto di ascoltare la “saggezza interiore”, nell'affrontare la vita.

Questo è da collegarsi all'impossibilità di esprimere lo spirito da dominatore che l'individuo possiede.

Il significato di questa ruga è legato a problemi all'apparato genitale o a una sessualità insoddisfacente o troppo passiva.

Spesso presenti nelle donne, queste rughe possono essere lette come una difficoltà a camminare a “testa alta”.


o t t o b re duemiladieci

piante A CURA DELLA DOTT.SSA MARIA SANTILLO

La mia infanzia, ahimè molto lontana, trascorse in una piccola comunità rurale del Subappennino Dauno. In quegli anni la scuola iniziava in ottobre avanzato e noi bambini ci ritrovavamo felici, dopo la separazione estiva, a scorazzare insieme, nei prati e nei boschi, sotto gli occhi vigili dei nonni. Il programma giornaliero era quello di scoprire anfratti misteriosi e tane di animali, di trovare pietre dalle forme insolite e, soprattutto, di segnalare all’esperto di turno (di solito una contadina attempata), la presenza di fiori particolari nelle vaste distese erbose: chi ne additava di più si fregiava, con orgoglio, del titolo di “scienziato”.

La tradizione di rinsaldare il contatto con la natura si è ripetuta puntualmente ogni anno, in questa stagione, con un lento ma inesorabile cambiamento: non più tuffi gioiosi nelle radure assolate o nelle zone ombrose fra i ciclamini odorosi, le timide margheritine, i variopinti anemoni, le svettanti spighe delle

Tutte le varietà per le stagioni fredde

I fiori dell’autunno La rivincita del crisantemo, re di balconi e aiuole graminacee spontanee, insidiosi paraventi per i cardi e le ortiche, ma tranquille visite a vivai e garden center per l’anteprima della produzione autunno-inverno. In questo periodo, il mio consueto raid, è stato gratificato dalle forme ridenti e rigogliose di alcuni vegetali, particolarmente dagli alberelli di Solanum, ultimi esemplari estivi, ricoperti, ancora oggi, da una miriade di bottoncini violetti, dai cespugli di Lantane, punteggiati da teneri mazzolini multicolori, dalle incredibili nuances dei Crisanthemum, dalla nutrita presenza di Aster (le antiche margheritine), e dalla infinita produzione del Cyclamen persicum. Quest’ultimo, simbolo di modestia e di timidezza, giunse nelle nostre terre dalla lontana Cina. La tata raccontava, mescolando realtà e fantasia, che le consorelle più grandi, intenerite dal suo aspetto minuto e fragile, l’accolsero amorevolmente e, circondandolo con le loro rassicuranti foglie, lo protessero dal freddo invernale e dalla eccessiva insolazione dei mesi caldi. I discendenti di quel lontano colonizzatore hanno mantenuto queste caratteristiche genetiche, infatti prediligono suoli freschi, ric-

chi di humus, parzialmente riparati dalla luce, come l’umido sottobosco ravvivato dalle tenui pennellate dei loro petali. Queste caratteristiche, sfruttate egreg i a -

mente dagli ibridatori, hanno permesso la produzione, in serre, di esemplari di maggiori dimensioni, con foglie cuoriformi, variegate o verde scuro, da cui si innalzano grandi fiori rossi,violetti, rosa, bianchi: utilizzati nella composizione di bordure o contrastanti macchie di colore, sembrano squarciare il grigio muro del tempo. L’altra famiglia, regina di questa stagione, è quella delle Com-

positae o Asteraceae così chiamate perché il loro fiore è, in realtà, una paffuta infiorescenza le cui fitte foglioline sono piccole entità, alcune sterili, altre fertili, riunite in un unico capolino simile ad una stellina: gli Astri, detti anche Settembrini. Nelle immagini lontane dei miei ricordi ricoprivano spontaneamente note-

21

voli estensioni in pieno sole, ora infiammano le zone verdi, pubbliche e private con tutte le sfumature del viola, del malva, del rosa e del bianco. La loro produzione ha inizio in agosto e si protrae nei mesi successivi fino all’arrivo dei primi rigori invernali, quando cedono il posto ai fratelli Crisantemi strutturalmente più robusti. Questi ultimi, un tempo emblema solo di tristi ricorrenze, attualmente sono impiegati come elegante e raffinata cornice di eventi festosi, e soprattutto per illuminare aiuole, balconi, viali, organizzati in colorati filari o interrati a formare vivaci punti focali. La loro conoscenza e diffusione in campo estetico-ornamentale è stata favorita dagli innumerevoli cultivar le cui forme fantasiose e i cui colori smaglianti sono, come sempre, opera dell’uomo. Potranno, così, queste semplici creature continuare a svolgere il duplice compito che Madre Natura assegnò loro nella notte dei tempi: tener vivo il ricordo di Chi è stato, ed anche schiudere la mente al sorriso.


22

o t t o b re duemiladieci

viaggi

L’isola di Kish, dove convivono modernità e legge islamica

L’altra faccia dell’Iran

Bellezze naturali e porto franco: la Perla del Golfo Persico fa concorrenza a Sharm e Dubai Spiaggia bianca, sabbia finissima, acqua trasparente, barriera corallina. No, non siamo ai Caraibi o in qualche isola delle Maldive, ma in Iran, più precisamente nell’isola di Kish. Novanta chilometri quadrati di paesaggi mozzafiato, con spiagge lunghissime e mare cristallino, Kish è stata denominata la “perla del Golfo Persico”. Alberghi di lusso, che fanno concorrenza a quelli di Dubai e Sharm el Sheikh, campi da golf, acquari, parchi archeologici, complessi residenziali: fu lo scià Reza Pahlavi, negli anni Sessanta, a voler trasformare Kish nel buen retiro della ricca aristocrazia persiana, promuovendo la costruzione di alberghi e ristoranti esclusivi, e valorizzando le bellezze architettoniche e paesaggistiche presenti nell’isola. La sua posizione lungo importanti rotte commerciali tra Asia e Arabia ha reso quest’isola uno dei crocevia più battuti dell’antichità, e anche del mondo moderno, se si pensa che molto del petrolio greggio destinato alle industrie dell’Occidente passa da questo stretto. Situata a 19 chilometri dalla costa iraniana, Kish è stata inserita dal New York Times nella lista delle dieci isole più belle del mondo. Anche se non ha un vero e proprio centro, la maggior parte degli edifici di Kish si trova nella zona nord-orientale; sono in molti, partendo da qui, a pedalare, lungo i chilometri di pista ciclabile che attraversano l’isola, fino a raggiungere l’angolo opposto, dove si trova il misterioso relitto di una nave greca. La “Koula F.” si arenò la notte del 25 luglio 1966 e da allora nessuno l’ha più spostata, trasformando questa enorme carcassa arrugginita in un’attrazione turistica. Notevoli i siti archeologici, che risalgono all’epoca dei grandi fasti dell’Impero persiano. Assolutamente da visitare le rovine dell’antica città di Harireh, decantata dal poeta duecentesco Sa’adi in uno dei capolavori della letteratura persiana, “Il giardino delle rose”: le mura semidiroccate lungo la costa settentrionale attirano curiosi soprattutto al tramonto, quando le pietre del sito archeologico e i ruderi del vicino castello portoghese si illuminano di giallo e di arancio. Nella stessa zona, è possibile visitare anche le payab, le antiche cisterne d’acqua simbolo dell’innata abilità persiana nel costruire sistemi idraulici: queste condotte vecchie di secoli si sviluppano nel sottosuolo dell’isola per vari chilometri; l’acqua potabile che garantivano superava il bisogno dei suoi abitanti

e così una parte veniva esportata nelle isole vicine. Già affermata come meta turistica in Oriente, l’isola di Kish deve però vincere le ritrosie del turista medio occidentale, spesso perplesso nei confronti dei dettami della legge islamica, che deve essere rispettata nell’isola. L’alcool è bandito, rigorose le norme relative all’abbigliamento. Le spiagge, poi, sono rigorosamente separate: quella riservata alle donne è circondata da alte mura e l’ingresso è sorvegliato dalle guardie. Le regole sono ferree: niente macchine fotografiche, telefonini o videocamere; al riparo da occhi indiscreti sono permessi, però, bikini e bagni in libertà. Anche la difficile situazione politica dell’Iran desta più di una preoccupazione: l’ascesa al potere del presidente Ahmadinej d e le continue tensioni con la comunità internazionale, relative soprattutto al programma nucleare iraniano, non rappre-

sentano certo un volano per le attrazioni turistiche dell’isola. Ma Kish ha un forte asso nella manica per attirare l’Occidente: l’isola, infatti, è un porto franco: un enorme duty-free dove si paga indifferentemente in euro, in dollari, in rial o in dirham. Per entrare nell’isola non si ha bisogno di alcun visto, basta richiedere alla dogana un immediato permesso per due settimane di soggiorno. Si vende di tutto: dall’elettronica di ultima generazione ai cosmetici, dai lettori dvd ai vestiti di stilisti famosi: un vero e proprio paradiso per i fanatici dello shopping. Molto interessanti sono anche le politiche per favorire gli investimenti stranieri: le imprese estere, infatti, non pagano le tasse per 15 anni, non esistono tasse di dogana, le infrastrutture sono buone e il costo dell’energia è molto basso. L’obiettivo dell’isola di Kish è quello di diventare un laboratorio per il nuovo Iran, un porto franco economico e morale, con un alto tasso di libertà individuale, dove sia possibile divertirsi e provare l’ebbrezza di vivere nell’Iran che sarà. Rosa Cotugno


salute

Ultimi giorni per prenotare le visite senologiche

Prevenzione è vita Tra le iniziative anche “Sorridi in rosa”

Ultimi giorni per la Campagna Nastro Rosa, ideata nel 1989 negli Stati Uniti da Evelyn Lauder e promossa in tutto il mondo con l’obiettivo di sensibilizzare un numero sempre più ampio di donne sull’importanza vitale della prevenzione e della diagnosi precoce dei tumori della mammella, informando il pubblico femminile anche sugli stili di vita correttamente sani da adottare e sui controlli diagnostici da effettuare. In tutto il mondo occidentale, il tumore al seno è il primo tumore femminile per numero di casi e la sua incidenza è in costante aumento, tanto da essere considerato alla stregua di una vera e propria malattia sociale. In Italia si calcola che nel 2010 i nuovi casi di tumore alla mammella saliranno a circa 42mila. Sconfiggere la malattia è possibile nella stragrande maggioranza dei casi, grazie soprattutto alla prevenzione e all’anticipazione diagnostica. Per ogni donna la prevenzione deve essere sinonimo di promozione del proprio benessere, della propria salute, ma anche della propria bellezza. Tante le iniziative che saranno realizzate, in tutta Italia, durante il mese di ottobre. Ecco di seguito quali. Molte le iniziative della LILT: Visite senologiche Ancora sino a fine ottobre gli ambulatori LILT saranno a disposizione per visite senologiche e controlli clinici strumentali. Per conoscere giorni e orari di apertura dell’ambulatorio LILT più vicino, in cui effettuare anche esami di diagnosi precoce e controlli, si può chiamare il numero verde SOS LILT 800-998877 o consultare i siti www.nastrorosa.it o www.lilt.it. Tatuaggio Nastro Rosa Presso tutte le profumerie Douglas è possibile accedere alla scatoletta di raccolta fondi Lilt e richiedere il nastro rosa da “tatuare” sulla pelle con adesivo trasferibile. E’ richiesta un contributo minimo di 1 euro ad esclusivo sostegno LILT. Sorridi in rosa L’iniziativa “Sorridi in rosa” mette a disposizione delle donne l’esperienza di Estée Lauder e Clinique nel campo della bellezza: tutte coloro che si iscriveranno al sito www.nastrorosa.it nel mese di ottobre potranno scaricare il voucher con cui recarsi presso molti corner Estée Lauder de “La Rinascente” d’Italia e quelli “Coin” per usufruire di una seduta di make up gratuita ad opera di visagisti professionisti, oppure scegliere tra uno dei servizi dei menù di bellezza Estée Lauder e Clinique, come analisi della pelle, scelta del fondotinta perfetto, percorso profumato.

o t t o b re duemiladieci

23


24

o t t o b re duemiladieci


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.