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SCIENZA E TECNICA

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a cura di Ennio Salvia

Il terremoto è inevitabile non così i morti e le distruzioni La ferita emiliana, e quella aquilana, devono indurre ad una prevenzione più efficace

I

l terremoto dell’Emilia ha ancora una volta dimostrato, se pur ce ne fosse stato bisogno, che gli studi sulla sismologia sono soggetti a profondi cambiamenti. Fino ad oggi, questo territorio, ora martoriato, sembrava dovessero essere meno soggetto a questi fenomeni. Si diceva, infatti, che i depositi alluvionali della pianura padana fossero praticamente dei terreni a basso rischio sismico e come tali venivano catalogati. Quanto avvenuto il 20 maggio ha sottolineato la impossibilità, alla luce delle conoscenze attuali, di poter prevedere un terremoto. L’unico dato, su cui gli studiosi allo stato possono basare le loro proiezioni, è quello statistico ovvero la conoscenza di eventi sismici nel passato, dei loro effetti sui manufatti e della loro frequenza. Sapere ogni quanto tempo si ripresenta il fenomeno tellurico in una certa zona è un indice importante perché l’energia liberata poi dovrà avere un certo tempo per riformarsi e riuscire alla superficie. Ma, come tutti i fenomeni complessi della natura, possono essere imprevedibili, non rispettare la ciclicità, presentarsi sotto forme diverse. In Emilia, in effetti, dopo la prima grande scossa si aspettavano, come quasi sempre, una serie di scosse

“Chiesa di Buona compra” in provincia di Ferrara minori, liberanti l’energia residua. Ed invece, probabilmente, la prima fatturazione di una faglia ne ha generato altre. Non c’è dubbio che parlare di “scosse di assestamento”, nel corso di una crisi sismica come quella che ha interessato la Pianura Padana Emiliana, è stato fuorviante. Si è data la falsa impressione che dopo la scossa iniziale (20 maggio, magnitudo 5.9) la sequenza dovesse necessariamente evolvere con scosse minori. Invece nella Pianura Padana si sta ripetendo un meccanismo che abbiamo già osservato nel corso delle recenti crisi sismiche dell’Aquilano

(2009) e dell’Appennino UmbroMarchigiano (1997): non è un un’unica faglia a rompersi e a generare le forti scosse, ma faglie diverse che si attivano una in conseguenza dell’altra; oppure segmenti diversi di una stessa faglia che si attivano uno dopo l’altro. Un episodio assolutamente imprevedibile. Da secoli il sistema di fratture nascoste sotto i sedimenti della Pianura Padana Emiliana si caricava di energia per effetto della compressione esercitata dal margine settentrionale dell’Appennino, che spinge da sud. L’energia liberata dalla rottura della prima

faglia, molto probabilmente, ha perturbato tutto il sistema, facendo scattare anche altre faglie o segmenti vicini. Ecco perché, a distanza di nove giorni (29 maggio) si sono replicati terremoti di violenza paragonabile alla prima scossa. In questi casi parlare di sequenza destinata a esaurirsi è un azzardo: nessuno può dire come evolverà la crisi sismica, se declinerà o se si riaccenderà per la rottura di una nuova faglia. In Italia si è cominciato tardi a pensare alla prevenzione solo dopo il disastroso sisma del Friuli (1976) e quello altrettanto distruttivo dell’Irpinia (1980) ma solo nel 2003 vennero elaborati i criteri da rispettare nelle costruzioni. Ma se si pensa a tutte le costruzioni abusive di cui è disseminato il nostro Paese e a tutti i condoni edilizi concessi, allora viene da pensare che solo una piccola parte dei nostri manufatti sono idonei a reggere una scossa tellurica. Il pericolo maggiore, però, ora è l’oblio: passata l’emozione dell’avvenimento luttuoso tutto ritornerà come prima, tra l’indifferenza delle Istituzioni. Fino al prossimo terremoto.

Ennio Salvia

Un sapone magnetico per salvare l’isola del Giglio

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Arriva dall’Università di Bristol l’invenzione che potrebbe cambiare in positivo le sorti dell’isola

razie a questa nuova scoperta, tanti altri patrimoni naturali marini potrebbero essere preservati da eventuali maree nere. La nave da crociera Costa Concordia giace lì, immensa e minacciosa, a tenere tutti col fiato sospeso. Oltre al peso della perdita di vite umane, le preoccupazioni sono anche altre: scongiurare un disastro ambientale. La Concordia porta ancora con sé tonnellate e tonnellate di carburante che potrebbero disperdersi in mare e provocare danni irreparabili a tutto l’ambiente circostante. Se la nave abbandonasse la sua attuale posizione inclinata su un fianco, per poi sprofondare negli abissi di un mare che in poco tempo diventerebbe color petrolio, sarebbe l’inizio di un caos con pochi precedenti. L’idea che potrebbe servire a scongiurare una tragedia di tale portata arriva dall’Inghilterra, precisamente dall’Università di Bristol. Un gruppo di scienziati, guidati dal professor Julian Eastoe, ha di recente pubblicato i risultati di un’interessante ricerca su Angewandte Chemie, rivista accademica tedesca che si occupa di chimica. Il team di ricercatori ha messo a punto un sistema innovativo di rimozione del

petrolio e degli idrocarburi dall’acqua: un sapone sensibile al campo magnetico, manovrabile dall’esterno e in grado di bonificare l’acqua inquinata, senza l’apporto di componenti chimiche nocive per l’ambiente. Il sapone magnetico è in grado di vincere, con buoni risultati, la forza di gravità anche se utilizzato in tubi appositamente riempiti di acqua e petrolio. L’attuazione di questo nuovo sistema di pulizia dei mari potrebbe, garantire la preservazione non solo della bellezza delle coste e delle attrazioni turistiche e naturalistiche tipiche dei paesaggi marini, ma anche della fauna. Se la Costa Concordia dovesse malauguratamente disperdere il proprio carburante, sarebbe auspicabile una tempestiva applicazione del sistema ideato dagli scienziati di Bristol. Per salvare le coste dell’Italia tirrenica, da un futuro nero petrolio.

Rosario Sannino

La Costa Concordia ripresa dietro il fanale rosso all’imboccatura di Giglio Porto Inchinatasi il 13 gennaio 2012 si sta operando per la rimozione della nave

Ristorante Villa “Er Più” Via Domitiana km 44,200 Lago Patria, Giugliano in Campania Tel.

Tel. 081 509 1405


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