Diogene 31rit new

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ISSNÂ 1826-4778 - N. 31 - Giugno 2013 - www.diogenemagazine.it - 8 euro

Il Mondo Matrimonio e famiglia

Trimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - C1/PG

Il Dossier Europa

Di e t r o l o s p e c c h i o Il Panopticon e Facebook F i l o s o fi a d e l l a v i ta quotidiana Melanconia


Nel prossimo numero Passione civile Restando coerenti con l’impegno che la nostra rivista ha scelto di avere nei confronti della vita politica e sociale, abbiamo preferito finora occuparci di temi concreti e urgenti che la sfera della politica deve affrontare, e non sempre affronta (senza che per questo smettano di essere all’ordine del giorno). Non ci siamo per nulla occupati di schieramenti, e continueremo a non farlo. Nel prossimo numero ci chiederemo: ma cosa può fare la società civile in tempi come quelli che stiamo vivendo? Certo, può impegnarsi e mobilitarsi, e noi studieremo alcuni casi concreti ponendoci le domande di sempre: in che cosa la filosofia può aiutare a comprendere le scelte di chi s’impegna con passione civile? e quali sono i valori e i pensieri di chi lo fa? Nel nostro paese c’è una cosa che accade e va in controtendenza: molti s’impegnano davvero con passione civile. Noi vorremmo capire perché lo fanno, e che mondo potrebbe nascere se il loro modo di intendere i rapporti sociali e politici divenisse comune. Certo, ci chiederemo se si tratta di utopia, e per rispondere a questa domanda ci faremo aiutare dal pensiero di un padre fondatore del pensiero politico, Niccolò Machiavelli, che di sicuro non è stato tenero con i sognatori e gli utopisti. I luoghi della filosofia Per fare filosofia qualsiasi luogo va bene. Ma ci sono luoghi migliori di altri. Di fatto, in due millenni e mezzo di storia le aree in cui la produzione filosofica si è addensata sono veramente poche. A parte località isolate, tutta la produzione del mondo greco si è concentrata in alcune città della Magna Grecia e della Sicilia e in pochissime della Grecia e dell’Egeo. Una parte preponderante della filosofia moderna è stata elaborata in Italia, per lo più a Firenze, e nel triangolo ideale che unisce Londra, Parigi, Amsterdam. Dal prossimo numero cominceremo a occuparci dei luoghi della filosofia, per descriverli e commentare il rapporto dei filosofi con la realtà geografica, ma anche sociale e politica, in cui hanno operato. Da dove cominciare? Per ragioni che chiariremo, i primi luoghi di cui parleremo saranno l’antica Elea, in Magna Grecia, e le capitali della Sicilia greca del V secolo a.C.: Agrigento e Siracusa. Filosofia della vita quotidiana La sezione dedicata alla filosofia della vita quotidiana raccoglie contributi diversi, per lo più nati da esperienze locali o dal dialogo tra la redazione e gli autori. Possiamo dirlo? Siamo veramente sorpresi che in Italia tante persone si occupino di filosofia a livelli elevati in realtà locali, con un forte rapporto col loro territorio. La nostra rivista si limita, in questo caso, a raccogliere delle voci. Diogene Magazine è prodotto da una redazione indipendente e responsabile in modo autonomo delle scelte editoriali, nella convinzione che la filosofia possa essere davvero utile a tutti e parlare a chiunque desideri misurarsi con la sua identità. Coerentemente, propone di leggere la realtà, e quindi anche l’attualità, con gli occhi dei filosofi. Diogene Magazine utilizza quindi gli strumenti propri della tradizione filosofica, che in Occidente ha le sue origini nel mondo ellenico, in parallelo con altre tradizioni dell’antico Oriente. Diogene Magazine dal n. 29 (dicembre 2012 – febbraio 2013) è edito da Edizioni del Giardino dei Pensieri.

Periodico Trimestrale fondato nel 2005 da Ubaldo Nicola Anno 8, Numero 31 Giugno 2013 Autorizzazione n. 617 del Tribunale di Pavia, 30/05/2005 Editore Edizioni del Giardino dei Pensieri Direttore responsabile Mario Trombino E-mail: direzione@diogenemagazine.it Redazione Via Cardano 34, 27100 Pavia Via Mazzini 146, 40137 Bologna Tel. 051.340396 E-mail: redazione@diogenemagazine.it Sito Internet www.diogenemagazine.it Redazione Cristiana Baffone, Alberto Barli, Silvia Carlesi, Augusto Cavadi, Viola Ciano, Gabriele Corrao, Francesco Dipalo, Cintia Faraco, Lodovico Gherardi, Serena Lietti, Elena Maggio, Michele Magnani, Erika Panaccione, Serena Passarello, Stefano Scrima Proposte di collaborazione Preghiamo di inviare le proposte di collaborazione redazionale, di pubblicazione di articoli, di collaborazione per la creazione delle immagini, mediante messaggi in posta elettronica all’indirizzo della redazione: redazione@diogenemagazine.it Grafica Jimmi Knows S.C.P., Barcelona (ES) Impaginazione Joelle srl, Via Biturgense Cerbara, 06012, Città di Castello, (PG) Fotolito e stampa Tipostampa srl – Sangiustino (PG) Costo a fascicolo Un fascicolo e 8,00 Costo degli abbonamenti - Abbonamento per un anno, (4 numeri) e 25,00 - Abbonamento per due anni, (8 numeri) e 40,00 - “Diogene in regalo”: e 15,00 [è un abbonamento regalo sottoscritto da un abbonato a favore di una terza persona] - Biblioteche: un abbonamento e 25,00 Per abbonarsi - Versamento in Conto corrente postale n. 1009422252, intestato a Edizioni del Giardino dei Pensieri - Bonifico Iban IT-44-Z-07601-02400-001009422252, Edizioni del Giardino dei Pensieri - Pulsante “Come abbonarsi” del sito di Diogene www.diogenemagazine.it - Se si tratta di un abbonamento “Diogene in dono” si prega di specificarlo nella causale indicando nome, cognome e indirizzo postale della persona che riceverà i 4 numeri di Diogene. Pubblicità Tel. 051.340396 E-mail: redazione@diogenemagazine.it Autori di questo numero Eugenio Agosta, Alessandro Alfieri, Stefania Carbone, Silvia Carlesi, Stefano Cazzato, Angela Chiaino, Anna Colaiacovo, Salvatore Fricano, Paolo Lollo, Tommaso Montagna, Serena Passarello, Andrea Porcarelli, Stefano Scrima, Mario Trombino © 2013 Edizioni del Giardino dei Pensieri di Mario Trombino Via Mazzini 146 – 40137 Bologna www.ilgiardinodeipensieri.eu redazione@ilgiardinodeipensieri.eu


EDITORIALE

Vane immagini

ISSN 1826-4778 - N. 31 - Giugno 2013 - www.diogenemagazine.it - 8 euro

Il Mondo Matrimonio e famiglia

n Mario Trombino Direttore di Diogene

L

’estate del 1899, esattamente centoquattordici anni fa, fu piuttosto agitata in Italia. La situazione sociale era molto pesante e il Governo propose in Parlamento alcune leggi, che per il loro carattere furono subito battezzate dai giornali “leggi eccezionali”, perché limitavano la libertà di stampa, di riunione, i diritti costituzionali insomma. In Parlamento persino deputati espressione della maggioranza reagirono malissimo. Di fronte a un Parlamento ostile, il Governo finì con l’imporre che, superata la data del 20 luglio, le leggi sarebbero comunque entrate in vigore, anche senza l’approvazione delle Camere. Era un attacco diretto al sistema parlamentale, e come tale venne percepito. A difendere il Parlamento furono in molti, e il discorso più importante lo tenne un uomo che era alla Camera da decenni, e da ragazzo era stato sulle barricate, al tempo delle lotte risorgimentali. Disse: “Signori, alle libere agitazioni dei Governi liberi si può preferire la calma e la tranquillità dei Governi assoluti, si può pensare che le discussioni, le deliberazioni, le lotte parlamentari abbiano più inconvenienti che vantaggi; ma finché non si distruggono queste istituzioni, che furono meta suprema delle nostre aspirazioni nel dì del servaggio, non si possono sostituire le vane immagini alla sostanza del regime rappresentativo”. Quest’uomo politico, molto anziano, era Giuseppe Zanardelli, e avrebbe formato un nuovo governo di lì a poco. Era un uomo che si ricordava bene come si stava quando il Parlamento non c’era (e infatti nel suo discorso ricordò il “dì del servaggio”). Ora, non si può proprio dire che quel Parlamento fosse interamente composto da personalità di specchiata onestà. Gli scandali nel 1899 si susseguivano, gravissimi, da oltre un decennio, ed episodi di corruzione venivano alla luce continuamente. E c’era chi proponeva “vane immagini” al posto del regime rappresentativo, cioè del Parlamento.

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Il dossIer Europa

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Non so se è il caso di richiamare questo episodio proprio questa estate di centoquattordici anni dopo. Ma forse sì, perché di vane immagini la storia d’Italia è stata molto ricca negli anni successivi al 1899. Anzi, sono poi diventate una costante, e il nostro paese si abituò a vivere in una sorta di mondo di sogno, in cui alla realtà si sostituivano le immagini della propaganda. La gente ci credeva? Chissà, è difficile dirlo. Ma erano altri tempi, no? Oggi ad un mondo di sogno e a vane immagini retoriche non crederebbe più nessuno, vero? Oggi c’è la rete, che smaschera tutto, no? Nel caso invece non sia così, e seguire vane immagini si riveli una storia italiana fin troppo tipica, forse è per noi necessario far memoria del fatto che in una rivista di filosofia chi fa il nostro lavoro ha una condanna certa: deve occuparsi del reale, di tutto il reale, e non inseguire mondi di sogni, se non in quanto anche i sogni fanno parte della realtà, ma appunto in quanto sogni – e bisogna imparare a riconoscerli come tali. Il filosofo non è un poeta, né un giornalista, né un blogger. Ora, perché mai è un vero guaio vivere insieme in un mondo di sogni scambiati per realtà? Lo è per una ragione precisa: perché il sogno è di alcuni (che in genere non stanno sognando affatto, ma ingannano gli altri, a volte anche se stessi, a quanto pare dalla storia), non di tutti, e quel che è un sogno per alcuni è un incubo per altri, che se ne accorgono sempre troppo tardi. Sognando, gli altri sono nel mio sogno, e starci per loro può essere un incubo. Il sospetto è che qualcuno stia cercando di farci vivere in un mondo di sogni, e che abbia interesse a farlo. Ne parleremo in vari articoli di questo numero, perché compito della filosofia è, da sempre, smascherare questo tipo di inganni. Ma il compito è difficilissimo, perché i sogni sono belli (finché la realtà non si vendica) e svegliarsi richiede sforzo consapevole. n 3


SOMMARIO

3 Vane immagini Editoriale

6 Forse è meglio rileggerlo nIL MONDO

8 matrimonio e famiglia 10

Breve storia del diritto di famiglia Quando l’amore è regolato dalle leggi Tommaso Montagna

15

Maternità Quando avere figli è un problema Silvia Carlesi

20

L’amore come creatore di diritti Quando il diritto d’amare è un diritto negato Mario Trombino

nIL DOSSIER

26

europa

28

Un antico mito Europa e il disco della Luna Redazione Diogene Magazine

33 4

Idee d’Europa a confronto L’Europa dei filosofi Angela Chiaino e Stefano Scrima

nDIETRO LO SPECCHIO

38 sistemi di potere e di controllo 40

Il Panopticon e Facebook Ci fanno socializzare per dominarci meglio Stefania Carbone Talent Show

fanno divertire per dominarci meglio 44 CiAlessandro Alfieri

48

Psicoanalisi e politica La Nota Blu Paolo Lollo Robert Owen

52 Ristrutturare il capitalismo Stefano Cazzato

56

Educazione e politica Un nuovo rinascimento grazie all’educazione Andrea Porcarelli DIOGENE MAGAZINE N. 31 Giugno 2013


SOMMARIO

nPENSARE PER IMMAGINI n FILOSOFIA DELLA VITA QUOTIDIANA

62 IDENTITÀ 64

Cercare la propria strada Orientarsi Eugenio Agosta

69

Una precisa immagine di sé Narciso Anna Colaiacovo

75

Uno stato interiore molto filosofico Melanconia Salvatore Fricano

81

Il mondo virtuale Una difficile e attuale formula filosofica: esse est percipi Serena Passarello

85

Cimiteri e città La città dei vivi Stefano Scrimaa

DIOGENE MAGAZINE N. 31 Giugno 2013

per immagini la filosofia di 90 pensare spinoza 92 Leggere Spinoza

93

La follia del timore e della superstizione degli uomini, Giulia Amici

senza titolo, 94 Ancora Leonardo De Sanctis vista come una nuova nascita, 95 LaLunamorte Lanzoni occhi di Sidney, 95 Agli Federica Lai

96 Flavia Lamagna

Non più schiavo

97

I tre stadi della consapevolezza – il potere della mente sugli affetti Francesca Brini 5


Lo Stanford’s James H. Clark Center in una immagine notturna

Forse è meglio rileggerlo

.

Lo avete mai letto? È il celeberrimo discorso che Steve Jobs tenne il 12 Giugno 2005 ai neolaureati dell’Università di Stanford. Stiamo preparando un articolo su questo testo, che ha forti richiami a temi che sono stati propri del nostro Rinascimento. Se volete, inviateci i vostri commenti, per aiutarci nel lavoro di riflessione sul testo, all’indirizzo redazione@diogenemagazine.it “Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono di più avvicinato ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie. La prima storia parla di “unire i puntini”. Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente. Allora perché ho smesso? Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda ma ragazza-madre, decise perciò di darmi in adozione. Desiderava ardentemente che io fossi adottato da laureati, così tutto fu approntato affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato: per questo si rifiutò di firmare i documenti definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università. Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. 6

Ok, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti. Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio: il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto, erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’ e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende la migliore tipografia, così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e trovavo ciò affascinante. Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’ e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo. Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete… questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita. La mia seconda storia parla di amore e di perdita. Fui molto fortunato – ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro, e in dieci anni Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione – il Macintosh – un anno prima, e avevo appena compiuto trent’anni… quando venni licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona – che pensavamo DIOGENE MAGAZINE N. 31 Giugno 2013


fosse di grande talento – per dirigere la compagnia con me, e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più, e tutto questo fu devastante. Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente: era stato un vero fallimento pubblico, e arrivai addirittura a pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare. Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita. Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme. Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un saporaccio, ma presumo che ‘il paziente’ ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi. La mia terza storia parla della morte. Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa. Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto – tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento – sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione DIOGENE MAGAZINE N. 31 Giugno 2013

che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore. Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle sette e trenta del mattino, e mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile, e avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai tuoi figli tutto quello che avresti potuto nei successivi dieci anni in pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi ‘addio’. Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella sera ho fatto una biopsia: mi infilarono una sonda nella gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava di una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene. Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto intellettuale: Nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. È l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’ e sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la verità. Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario. Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si chiamava The whole Earth catalog, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idealista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali. Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi. Siate affamati. Siate folli”. n 7


il mo n do - matrimo n io e fami g lia

Matrimonio e famiglia

Manifestazione parigina dell’aprile 2013 contro la nuova legge sui matrimoni in Francia, poi approvata.

Ne abbiamo diritto qualsiasi siano le nostre tendenze e i nostri caratteri naturali? Dobbiamo andare ai massimi sistemi: non si affrontano questioni di questo tipo senza ricorrere ai fondamenti del nostro stesso essere, e quindi della natura universale, perché ne siamo parte.

Q n  Redazione Diogene Magazine 8

uando in redazione cominciammo a discutere, mesi fa, della natura della famiglia e dei diritti che vi sono connessi ci fu subito chiaro che si trattava di un tema la cui rilevanza filosofica era altissima. Era in quel momento un tema di stretta attualità politica in diversi paesi intorno a noi (erano i mesi delle manifestazioni parigine che hanno accompagnato il varo di una nuova legge molto controversa sul diritto di famiglia), e il dibattito aveva assunto toni fortemente emotivi. Le considerazioni filosofiche erano chiamate in causa solo marginalmente. Eppure i filosofi hanno molte considerazioni da fare sulla famiglia e sui suoi diritti. Questa sezione di Diogene apre il tema, accennando appena ad alcuni problemi

coi tre articoli che abbiamo selezionato, tanto è vasto il campo problematico. Che cos’è un campo problematico in filosofia Sarà bene precisare che cosa intendiamo con campo problematico in filosofia, e in che senso usiamo questa espressione. È sempre possibile individuare un problema alla volta, e affrontare quello. Lo facciamo tutti i giorni, quando ci concentriamo su qualcosa che ci fa problema. Ma non sempre questa maniera di procedere è la migliore, perché a volte i problemi sembrano sorgere uno dopo l’altro, come se fosse in atto qualcosa di nascosto che li genera. In casi così, concentrarsi su un problema alla volta potrebbe… non risolvere il problema! DIOGENE MAGAZINE N. 31 giugno 2013


il mo n do - matrimo n io e fami g lia Semplicemente sappiamo che risolto uno ne sta per nascere un altro, come quando un’automobile dai molti anni di vita che è stata tenuta con poca cura si rompe continuamente. Ora sono i freni, ora è la frizione, e così via. Oppure come quando un bambino si ammala in continuazione: forse il problema non è il singolo raffreddore o la tosse, o le otiti che si susseguono, ma qualcosa a monte della singola malattia che ne favorisce la venuta o limita le difese. In questi casi, quando i problemi sorgono a grappolo, o a catena, o in serie, anche senza legami evidenti tra loro, è opportuno allargare lo sguardo dal problema al campo problematico che li genera. Che cos’è? È l’insieme delle condizioni a monte del problema singolo. Quest’ultimo può essere spiegato e compreso in maniera corretta solo comprendendo lo scenario in cui si inscrive. Serve, insomma, una sorta di mappa delle condizioni e dei problemi a monte. Ora, quando il problema è la risposta a domande del tipo: che cos’è una famiglia? chi ha diritto di formarne una? Esaminare questo tema concentrandosi su di esse può non essere risolutivo. Ci si troverà di fronte a posizioni in contrasto, tra le quali si potrà scegliere per lo più emotivamente, o sulla base di valori non negoziabili di vario tipo che però sono sì vissuti come non negoziabili, ma non sono affatto condivisi. La scelta è a quale corteo partecipare, ma questo non aiuta a risolvere il problema. Non per chi voglia usare gli strumenti della filosofia, almeno, e quindi quelli della analisi razionale. Che fare allora? “Società naturale fondata sul matrimonio” In filosofia una via di indagine è appunto ricostruire il campo problematico che genera lo specifico problema della famiglia. E poiché la filosofia ha questo di caratteristico, che tenta di risalire da tutto quello di cui facciamo esperienza alle ragioni nascoste per cui accade quel che accade, è questa via all’indietro che dobbiamo percorrere. È un po’ come in un’indagine poliziesca, da libro giallo. Con la differenza che il singolo caso non è mai davvero singolo: la realtà è unita da una trama di rimandi da un evento all’altro così fitta, che ogni singola nostra esperienza – ogni evento che accade e di cui sappiamo che accade – è collegato a tutti gli altri. Tutti? Eh sì, si direbbe di sì, proprio tutti. Magari alla lontana, ma non si può non tenerne conto, se si vuol capire. Più o meno, per semplificare, come non si può fare a meno di ricordare (implicitamente, certo, la DIOGENE MAGAZINE N. 31 giugno 2013

bilancia non ce lo ricorda da sé) che cos’è la gravitazione universale per rispondere allo domanda: quanto peso stamattina? più o meno di ieri? Partiamo quindi da un dato certo: la definizione di famiglia che dà la nostra costituzione. La chiama “società naturale fondata sul matrimonio” (è il celebre articolo 29). Dov’è il problema? È qui: per natura ciascuno di noi può essere portato a formare la società che chiamiamo famiglia anche con persone che non rientrano in quello che lo Stato intende per matrimonio. Dunque, ed esplicitamente: – visto che questo accade per natura, ciascuno di noi ha diritto di formare una famiglia, e quindi lo Stato ha il dovere di intendere il matrimonio in modo tale da contemplare tutti i casi possibili? – e ancora: visto che questo accade per natura, ciascuno di noi ha diritto di formare una famiglia anche senza ricorrere al matrimonio, ma con pieno riconoscimento da parte dei propri simili e dallo Stato? Le leggi di molti paesi europei sono state modificate negli ultimi anni per rispondere di sì a queste due domande. In Italia la risposta è no, ma a noi adesso non interessa la risposta interessano le domande. Quindi, qual è il campo problematico che dobbiamo chiarire se vogliamo comprendere questo specifico problema? Che cos’è la natura? Il campo problematico è percorso da due distinte vie di indagine. Seguiamo la prima, che ci porta a problematizzare la dizione società naturale: se è per natura che gli uomini formano famiglia, che cos’è la natura? Se è la fonte dei diritti individuali, ovviamente tutti gli individui hanno diritto a formare famiglia. Anche due donne o due uomini tra loro? Ovviamente sì, se è la loro natura a spingerli a farlo. Ma la natura è davvero la fonte di diritti individuali? Difficile rispondere a questa domanda: noi “correggiamo” molte volte e in serena coscienza la natura. Combattiamo le malattie, ma anche enti che non sono malattie come i serpenti velenosi o gli animali feroci, e li recintiamo perché non facciano danni a noi, mentre ci arroghiamo il diritto di fare molti danni a loro. Lo abbiamo questo diritto? Se sì, allora non è minimamente detto che la natura sia davvero la fonte dei diritti individuali, e forse alcune famiglie come società naturali possono (o devono) essere combattute e si deve impedire loro di esistere (e men che meno di adottare dei bambini).

È ovvio che una risposta filosofica a queste domande richiede la risposta alla domanda a monte: che cos’è la natura? E a quest’altra, davvero da un milione di dollari: c’è qualcuno dietro la natura? Ricordando che la natura è universale, e quella individuale di ciascuno di noi ne è parte. Non viviamo altrove, non siamo altrove. Non siamo altrove? Eppure… Esiste una sfera del diritto separata da quella della natura? Eppure, c’è una seconda via di indagine. La norma costituzionale che abbiamo richiamato è stata messa ai voti da parte di un organismo, la nostra Assemblea Costituente del 1946‘47, e approvata. A monte, la stessa Assemblea Costituente derivava la sua legittimità da un voto popolare. Quindi la norma in questione, come tutte le norme costituzionali, è stata scelta, non data o trovata. Poteva essere diversa? Certo, sarebbe stato sufficiente che a vincere la seconda guerra mondiale fosse stata un’alleanza diversa. Quella norma conterrebbe un esplicito e vincolante elemento razziale. Dunque su questo campo non siamo nell’ambito della natura, ma in quello della libertà umana. In che rapporto sta con la natura? Certo, non siamo liberi dalla necessità naturale (una legge dello Stato non potrà modificare una legge di natura); ma siamo liberi di costruire i nostri sistemi giuridici non tenendo conto di quanto ci chiede la natura? Certo, qualcuno ne soffrirà, è ovvio, perché la sua natura non ne sarà modificata in nulla. Ma esiste una sfera del diritto separata da quella della natura, in cui la nostra libertà può essere esercitata? Massimi sistemi Ecco, siamo passati da un singolo problema ai massimi sistemi. Per alcuni è una accusa, per un filosofo è la norma. Vorremmo fare un esempio: non va forse ai massimi sistemi chi dice che esiste Dio, che Dio ha iscritto le sue leggi nel nostro cuore, e noi dobbiamo seguirle, per cui il matrimonio deve essere…? I puntini sono per brevità, ma si possono sostituire con delle frasi. Che riportano il discorso dai massimi sistemi (Dio) a una certa non negoziabile concezione della famiglia, e quindi a partecipare a un certo corteo piuttosto che a un altro. Dai massimi sistemi non se ne esce. Ci siamo dentro. n 9


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Quando l’amore è regolato dalle leggi

Diritto di famiglia: che storia c’è dietro? Al contrario di quello che si potrebbe pensare, la concezione giuridica della famiglia si è profondamente modificata negli ultimi secoli non seguendo un percorso lineare, ma i tortuosi movimenti della storia politica: tra fughe rivoluzionarie e bruschi ritorni alla tradizione

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er due persone che oggi decidono di sposarsi è del tutto ovvio che si troveranno in un regime di piena parità comprese le scelte da compiere per i figli e, se lo desiderano, sanno che i loro patrimoni saranno del tutto separati. Nel 1975 una legge in Italia ha sancito con chiarezza questa situazione. Ma di ovvio in questa materia non c’è proprio nulla, e questa situazione è recentissima. Per tanto tempo non è stato così. Che storia c’è dietro?

n  Tommaso Montagna Giornalista 10

Alla fine del Settecento Non partiremo da Adamo ed Eva, limitiamoci agli ultimi due secoli. Nell’età

moderna la tradizionale concezione della famiglia entrò in crisi, come molte altre tradizioni consolidate, all’epoca della Rivoluzione Francese. Era del resto un’eredità davvero antica, risalente ai primi secoli dopo il Mille, quando nella cultura dell’epoca, fortemente permeata da una visione cristiana dell’uomo e della società, si era riscoperto il valore del diritto romano, con le sue codificazioni. In Italia, però, alcune ventate di novità in materia di famiglia approdarono già cinque anni prima che la Bastiglia cadesse sotto i colpi degli insorti, desiderosi, più che di DIOGENE MAGAZINE N. 31 giugno 2013


il mo n do - matrimo n io e fami g lia liberare i soli sette prigionieri detenuti, di entrare in possesso della polvere da sparo in essa costudita, utile per armare i fucili e i cannoni recuperati all’Hotel des Invalides. Infatti già nel 1784 Giuseppe II, imperatore asburgico, aveva introdotto in Lombardia il matrimonio civile: pur mantenendo un’idea di matrimonio di ispirazione cattolica, il suo editto confermava la possibilità che lo Stato potesse accedere alla disciplina autonomamente. Fu un tentativo, come ce ne furono altri, di cambiamento, o meglio di innovazione. A parte questo, il vero punto di non ritorno per la storia del diritto di famiglia in Europa è rappresentato da ciò che accadde dopo la rivoluzione francese, prima col diritto dell’epoca rivoluzionaria, poi con l’avvento di Napoleone e con la conseguente promulgazione del suo Codice Civile nel 1804: un testo che mirava a enunciare norme scritte da sostituirsi alla miriade di leggi locali vigenti, che avevamo più che altro forma di consuetudine. La prima epoca rivoluzionaria La radicale politica di rottura col passato invocata dagli insorti parigini del 1789, con i loro ideali libertà, uguaglianza e fraternità, condusse a drastiche decisioni normative anche in tema di diritto di famiglia. Già nel 1792, venne introdotto il divorzio e liberalizzata una delle sue cause: l’incompatibilità di umore e di carattere. È facile intuire che i coniugi, con una clausola del genere, potevano sciogliere il vincolo con estrema facilità. Nel medesimo anno, arrivò un altro attacco giuridico per quanti credevano (soprattutto nel Mezzogiorno francese, legato com’era al diritto romano) nel carattere vitalizio della patria potestà: ai padri venne vietato di esercitare il potere sui figli maggiori di 21 anni. Detto questo, va però anche ricordato che la caduta dell’Antico Regime non modificò in profondità la concezione normativa del mondo femmiDIOGENE MAGAZINE N. 31 giugno 2013

L’imperatore d’Austria Giuseppe II (1741-1790), in un ritratto ufficiale di Joseph Hickl (1771), oggi al Museum Karlplatz di Vienna.

nile. Nonostante fosse stata concessa alla donna la facoltà di divorziare, la moglie doveva sottostare alla ferrea potestà del marito La conferma la diede, senza indugio, lo stesso Ro-

berspierre, che nel 1793 fece ghigliottinare Olympe de Gouges, al secolo Marie Gouze, che aveva proposto una Dichiarazione dei diritti delle donne. 11


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Il diritto romano e i nomi in famiglia La società dell’antica Roma era fondata sul primato maschile. La famiglia, in quanto nucleo di individui legati da parentela, era lo specchio di una gerarchia ferrea che voleva identificare il pater quale detentore del comando. E già dal nome si capiva tutto. Tanto è che i nomi maschili contenevano, obbligatoriamente, tre nomi propri. Il praenomen (l’odierno nome proprio), il nomen (per noi oggi sarebbe il cognome) che individuava la gens, ovvero la stirpe di appartenenza e il cognomen (che poteva rimarcare caratteristiche fisiche o di personalità ed indicava la famiglia all’interno della gens). Facoltativi erano l’agnomen (un secondo cognomen) e l’adozione. Alle donne, l’Urbe non attribuiva grande considerazione. Queste ultime, più che dal nome personale, venivano riconosciute dal nome gentilizio (il nomen), declinato al femminile. Nel periodo antico sembra che le donne conservassero comunque il praenomen, poi scomparso in età repubblicana. Il vuoto, secondo alcuni storici, pare lasciato per ragioni di pudicizia. I nostri antenati romani potrebbero aver ereditato dai Sabini, forse grazie anche al famigerato ratto, la credenza che il prenome fosse una parte della persona. Pronunciarlo, in riferimento alle donne, significava commettere un atto di intimità intollerabile.

Jean-Jacques-Régis de Cambacérès, duca di Parma, in una litografia di François Séraphin Delpech, databile al 1830. 12

Napoleone e il suo Codice Civile Una radicale inversione di tendenza era stata in realtà proposta nel primo progetto di redazione di un Codice Civile, anni prima della sua effettiva realizzazione da parte di Napoleone. Cambacèrés, fautore del lavoro, aveva dichiarato “ridicola” la potestà maritale e aveva quindi proposto l’amministrazione comune dei beni, ma poco dopo si instaurò il regime del Terrore e il progetto fu abbandonato. Qualche anno più tardi, nel 1796, fu lo stesso Cambacèrés, responsabile questa volta del terzo tentativo di redazione del Codice, tornò sui suoi passi, o meglio sulle orme lasciate dagli antichi romani, e restituì lo scettro al marito, rinforzandone la potestà e ricacciando la donna al gradino famigliare più basso. In ogni caso anche questo terzo progetto fallì. Dopo lo slancio indipendente di Target, che ebbe una certa influenza, toccò a Jacqueminot guidare il lavoro di redazione del Codice. Napoleone era già al potere grazie al colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799), e il giurista francese decise di soffocare definitivamente la donna (a livello giuridico, si capisce) portando all’apice il potere del marito. Il Codice Civile napoleonico, infatti, ha un impianto romano (e non poche contaminazioni cattoliche), non solo nella struttura ma anche in talune discipline specifiche, tra cui la famiglia. Essa è considerata il vivaio dello Stato, tanto che il divorzio è un’eccezione (le sette cause della legislazione rivoluzionaria vengono ridotte a tre). La patria potestà è corredata da ampi poteri di correzione, mentre la moglie deve obbedire al marito ed è incapace di alienare beni, comparire in giudizio (e altro) se non autorizzata dal coniuge. Addirittura vi è un trattamento differente dell’adulterio, in base a chi lo commette. Per la donna risulta essere più grave in quanto provoca una minaccia alla stabilità della coppia, attraverso l’eventuale nascita di figli adulterini. E a proposito di figli, fu lo stesso imperatore corso a voler distinguere quelli naturali da quelli legittimi. Nel Codice sono presenti anche conquiste rivoluzionarie, come nella materia successoria in cui maschi e femmine sono equiparati, e alcune importanti DIOGENE MAGAZINE N. 31 giugno 2013


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Una copia del Codice napoleonico (Code civil) conservata all’Historisches Museum der Pfalz, a Speyer in Germania.

novità, quale l’introduzione della comunione dei beni. Retaggio dell’antica Urbe è invece il recupero del regime dotale. Dati i rapporti tra la Francia napoleonica e l’Italia, quasi tutte le regioni italiane in epoca napoleonica adottarono il Codice Civile francese. Il Codice austriaco Quasi contemporaneo al codice napoleonico, è il codice austriaco (in sigla ABGB). Entrata in vigore nel 1811, quest’opera giuridica si presenta come marcatamente liberale ed ispirata a idee davvero egualitarie. Per quanto concerne la famiglia, vediamo che la patria potestà è compensata da una serie di doveri in capo al padre, la cui trasgressione determina la perdita del potere. Lo stesso padre non aveva, a differenza del Codice francese, l’usufrutto dei beni dei figli, ma solo la loro amministrazione. Alla madre spettava la cura del corpo e della salute. Futuristica è poi la disciplina dell’educazione della prole, da impartirsi secondo le inclinazioni naturali dei figli. Nelle norme austriache, la donna non era affatto incapace, anzi poteva amministrare il proprio patrimonio, stare in giudizio e stipulare contratti. DIOGENE MAGAZINE N. 31 giugno 2013

Dopo la caduta di Napoleone, l’ABGB venne introdotto nel Regno Lombardo-Veneto, che entrò a far parte dell’Impero Austriaco, nel 1816. Il diritto di famiglia in Italia negli anni della Restaurazione A parte la situazione del LombardoVeneto, nelle altre regioni italiane con la caduta di Napoleone anche il codice da lui voluto venne abrogato o messo in discussione. Detto questo, non c’è dubbio però che fu notevole l’influenza che la legislazione francese, pregna di continui rimandi al diritto romano, ebbe sugli ordinamenti italiani, anche negli anni della Restaurazione, che fu comunque caratterizzata da un ritorno ad un società autoritaria. In questo clima era quasi naturale che proliferasse la concezione patriarcale della famiglia. Gli stessi rapporti tra Stato e Chiesa, tanto ostili nei decenni passati, tornarono ad essere distesi e venne abbandonata qualsiasi velleità di laicizzazione del matrimonio. La patria potestà riprese vigore (addirittura nel codice sardo era perpetua) e la donna era costretta ad una condizione di subordinazione sempre più profonda.

Il diritto di famiglia nell’Italia unita Dopo il 1861 in una Italia in subbuglio, appena unita dai Mille, la famiglia, in quanto istituzione che incarna valori liberali e laici fu al centro delle discussioni che prepararono l’introduzione del nuovo codice che prese il nome di Codice Pisanelli. La controversia oppose tradizionalisti e liberali soprattutto per quanto riguardava la condizione giuridica della donna. In questo senso, il Codice Pisanelli, entrato in vigore per sostituire le leggi vigenti negli Stati pre-unitari, fu il frutto di una serie di compromessi. Fu reintrodotto il matrimonio civile (norma che di fatto ebbe scarsa applicazione) e venne eliminato il divorzio. Era possibile la sola separazione, causata, ad esempio, dal tradimento da parte della moglie o dal mantenimento di una concubina da parte del marito. Ricomparve più che mai l’autorità del marito (su pressione del ministro della giustizia Giuseppe Vacca): la donna poteva agire autonomamente solo in caso di separazione addebitabile al marito, che d’altro canto era preposto alla gestione di tutto il patrimonio familiare. La patria potestà spettava ad entrambi i genitori, ma veniva esercitata dal padre. E qualora nessuno potesse praticarla, si formava un Consiglio di Famiglia, anche per autorizzare una vedova a nuove nozze, fissando le regole dell’educazione dei figli del primo matrimonio. Il periodo successivo all’emanazione del Codice Pisanelli venne caratterizzato da un quasi assoluto immobilismo legislativo. Per avere una novità bisogna aspettare il 1919, quando fu emanata una legge che diede piena capacità giuridica alle donne: in qualche modo era un tardivo compenso per i servizi resi mentre gli uomini erano al fronte1. Gli influssi liberali del codice austriaco e di un certo liberalismo d’oltralpe non avevano comunque mai cessato di infervorare le discussioni sul divorzio, che annoverava, tra i suoi sostenitori, Giuseppe Zanardelli. (1) La regolamentazione della convivenza in Italia non è poi così recente. Basti pensare che già nel 1918, a conclusione del primo conflitto mondiale, fu emanata la prima legge italiana in proposito. Grazie a questa norma, se ci fossero stati tutti i requisiti del caso, anche la convivente, quindi non soltanto la vedova, avrebbe potuto chiedere e ottenere la pensione di guerra.

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