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L U ZE R!

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CULTURE PATHOS NULLA


Malcom McLaren - 1946-2010, R.I.P. LUZER! ti abbraccia, vecchia volpe del punk.

LUZER! (free press) è reperibile presso: Brescia random: Pride bar, Arte in te, Fabbrica del cacao, Bodeguita, Frisco, Viselli’s, Bazaar wear, Kandinski records, Lio bar, Boys loft, Tipo 00, Magic bus, Stilemio, Ivan bar, Oslo, La Bicicletta, Latteria Molloy, Le Tits, Bar da Franco, Vinile 45, Nave di Harlock, Minoia store, Franci e Marco, atenei universitari & many more… Maybe (Travagliato), Romano (Villachiara)...Orzinuovi: Barbel, Forbice shop, Pacorock cafè, La Crisalide. Bergamo: Bazaar Wear, Coffee’n’television... certi negozi, certi clubs, certi atenei, e a seconda delle nostre gite… Milano. Diretto responsabile: Elia Zupelli (direttore@luzer.it) Hanno scritto e collaborato: Emanuele Birocchi, Michele Boselli, Alice Cavalli, Enrico Ludovico Decca, Phil Delcorso, Maria Emelianova, Stefano Garbagnati, Francesca Martinelli, Giovanni Mensi, Sami Nakari, Marco Stizioli, Alessandra Troncana, Federico Urietti, Patty Valsecchi, Francesco Vezzola, Elia Zupelli Grafica e impaginazione: Stefano Garbagnati (garba2@inwind.it) e Marco Stizioli Webdesigner: Ludovico Per contatti, opinioni e collaborazioni: redazione@luzer.it Facebook: Luzer Rezul

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idle of the month

Un piccolo spazio per ripercorrere le vicende, lo spirito, il messaggio, ( i miracoli?) di personaggi degni di essere chiamati idoli.

ALDO BUSI

Aldo Busi, 62 anni, da Montichiari, professione: punto di domanda. Si potrebbe bozzare: illuminato, dandy col vizio della penna sporca, comparsatore tv, mente da salotti, professore, misantropo, straordinario amatore, geniaccio, traduttore. Tutto tremendamente sbagliato. La recente e adorabile marchetta sull’Isola dei Famosi (lui l’ha chiamata “pantomima”) ha dato il là a una nuova possibile rilettura “Del fu” Sodomie in corpo 11: Busi è tutte queste cose insieme, mischiate in modo coatto a un’intelligenza sopraffina e a una rarissima conoscenza del mezzo mediatico. Chiedere alla Ventura, che ancora gongola per le poderose avances “fake” dell’omo-intellettuale, e si strugge per un’audience mai così alla frutta da che il fortunato reality sull’isolotto ha modo di esistere… Busi ha fatto la parte del leone, regalando ad un format atrofizzato, quella verve e quell’ironia al vetriolo sufficienti a rubare la scena e a mantenere a galla (con ascolti oltre la sussistenza) una baracca sgangherata di cialtroni, figli di papà sfigati, e vecchie oche. Poi si è rotto i testicoli e ha fatto le valigie. Sua maestà Rai, che da un po’ di tempo a questa parte sembra un patetico tribunale dell’inquisizione degli stessi mostri che crea, cosa fa? Lo silura dal palinsesto per uno sproloquio anticleriale in prima serata, salvo poi riesumarlo con collegamenti e lettere fantasma nei programmi succedanei. Un suicidio, un’autorete di ascolti mentre il programma affoga, invece di limitarsi a naufragare. Ma Busi non è morto per davvero. Se è vero che la tv e i suoi consumatori oggi seguono una parabola della popolarità che funziona più o meno sugli assi “creiamo l’antagonista ribelle

Il senza tetto dei famosi

meglio se intelligente - mettiamolo al bando - poi tra qualche tempo lo dissotterriamo per volere nazional-popolare e lo accogliamo a braccia aperte poiché redento”, non c’è che dire: strategia azzeccata. Una mina vagante come Busi, però, là sopra avrebbe fatto comodo ancora per molto: è lì che crolla l’asino. Ed è lì che giace la grossa burla di Busi. Lui si prende una palata di quattrini, regala un coupe de theatrè dietro all’altro e poi tutti al diavolo. Busi comanda Busi, e gli autori frignano. Ha tessuto lodi al pube di Simona, ha fatto la coppia che scoppia con la decrepita Sandra Milo, ha provato ad insegnare l’italiano a qualche mentecatto dei soliti, poi molte scene isteriche e qualche capriccio con Loredana Lecciso, la ninfa dai capelli unti. Ma l’ha fatto con stile. Il suo. E con lo stesso se ne è andato. Perché quando si ha a che fare con determinati personaggi, si deve sapere quello cui si andrà incontro: inutile rimuginare sul latte versato. D’altronde, il mancato premio Nobel bresciano, ha costruito una carriera intorno alla provocazione, all’ostentazione delle proprie inclinazio-ni sessuali, al profondo boicottamento di Vaticano & company, al truce esibizionismo: dunque di cosa si indignano i neo censori (gli stessi che cacciano Bigazzi perché si mangia i gatti del Valdarno)!? Prendere o lasciare. E noi prendiamo (magari Lui sorriderebbe…), perché in una tv che non è realtà, e non deve esserlo, che almeno la fiction sia fatta in bello stile (e cattivo gusto). Quindi, “Aldo Busi libero subito!”: se dovessimo avanzare una pagina, l’editoriale del prossimo numero potrebbe essere Tuo. Uso il (la) condizionale. Con stima, Elia Z.


retro-spektiva Se l’inorganico è cool:

carne e dispositivi in David Cronenberg

Il cinema di David Cronenberg esplora quella porzione di mondo in cui la carne (meglio se guasta) ed il dispositivo tecnologico trovano la propria unione. Felice o meno, si tratta di un’unione forzata (prodotto della scissione dell’uomo dal proprio ambiente naturale). Com’è noto, nel rapporto col dispositivo si celano inquietanti possibilità: auto-accrescimento, ricerca di perfezione, completamento; e, insieme, auto-distruzione, desiderio di contaminazione, annichilimento (si veda il servizio fotografico Makeover Madness, di Steven Meisel). La relazione è quanto mai ambigua: sotterranee corrono infinite pluralità (di cause, di significati, di effetti). Al principio sta un fatto: l’uomo non si basta. O meglio: non si basta nella pratica, nel governo delle cose che stanno fuori di sé. Il dispositivo interviene in questa dimensione di insufficienza biologica con un’azione (originariamente) salvifica: gestire, controllare, orientare per il miglioramento (magari con una strategia). L’anomalia dell’unione uomomacchina sta nell’indipendenza del dispositivo dalla struttura ontologica del soggetto: l’attività del dispositivo non ha fondamento nell’essere. Quel che ci vuol dire Cronenberg è che il dispositivo (l’apparato tecnologico, il feticcio medico, la contaminazione organica) produce il soggetto, nel senso che viene interiorizzato dall’individuo; in base alla strategia sottesa, l’individuo diviene un “soggetto orientato” (secondo Foucault, dal potere). Come dire: il dispositivo trasforma. Ma in quale senso? In quello provvidenziale (come si diceva più sopra) o, viceversa, in quello catastrofico? Il significato originario (greco) di Katastrophē, ancor prima che di distruzione, è proprio di svolta, rovesciamento: trasformazione… La trasformazione dell’essere che sta alla base dell’uomo è una catastrofe. Cronenberg sonda da sempre questo fertile terreno della contaminazione, della patologia, del male (il corpo estraneo che vien “da sotto”, spesso frutto d’una contaminatio tecnologica). Fin dagli inizi delinea un genere che con l’horror classico c’entra ben poco (“Horror venereo”, lo chiamano; per qualcun altro è “Body-Horror”). Nel filone - tra gli altri Yuzna (Society - The Horror), Miike (Visitor Q), Tsukamoto (Tetsuo - The Iron Man). Col metterli insieme si rischia l’accozzaglia. Ma c’è un tratto decisivo che li unisce: la passione per il dettaglio macabro, quello perverso, ossessivo. La tendenza al feticismo. Condividono quella morbosa mania dell’indugiare sulla ferita, sulla macchina che cerca spazio nella carne, sull’infezione. Nella mania c’è raffinata riflessione (spesso veicolata da uno spiccato interesse per la para-psicologia). Il capolavoro del canadese é Crash [1996], una parabola - troppo lucida per un confino nella semplice allucinazione - intorno alla macchina come appendice del corpo organico. L’eccitazione, lì, proviene dal consumare sul luogo del disastro, tra le lamiere (più che ovvia la liaison con La mostra delle Atrocità di Ballard). I protagonisti sono alla ricerca dell’”incidente d’auto perfetto”, di un’opera d’arte. La sinergia corpo-macchina dà vita: è la fertilità della catastrofe (salvezza e disastro coincidono ora!). L’organico (tumefatto, lacerato) diviene prova della propria “soggettivizzazione orientata”; il dispositivo ha preso il sopravvento e pianificato un nuovo significato: l’essere deflagra, l’apparato tecnologico trova dimora, e il soggetto si libera all’inorganico “che è in lui”. Giovanni Mensi 4 demarsay@hotmail.it


pro-spektiva Shutter Island

Sulle tracce del nuovo cinema di Scorsese

Shutter Island, l’ultimo film di Martin Scorsese, è un thriller psicologico ad alta tensione, raffinato ed elegante. Eppure, nonostante l’indubbia qualità estetica, credo che per gli appassionati di cinema e per i fans di Scorsese in particolare, il film lasci un po’ di amaro in bocca. Iniziamo col dire che, per quanto riguarda l’aspetto tecnico, Scorsese si avvale come al solito di grandi collaboratori: la fotografia di Robert Richardson (Kill Bill, Inglorious Bastards, The Aviator) si concentra su tonalità scure per donare al film un’atmosfera cupa e minacciosa. Al contrario, i ricordi del protagonista e le sue allucinazioni sono spesso accompagnate da colori vivi e squillanti che contrastano fortemente con la drammaticità delle immagini, creando un effetto di straniamento di grande impatto. Così come sono molto suggestive le scenografie di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (notevole, per esempio, l’interno dell’edificio C, quello destinato ai pazienti più pericolosi). Il tutto è orchestrato come al solito in modo pregevole da Scorsese che trova anche spazio

per delle piccole perle di regia (si veda in questo caso il memorabile carrello laterale che mostra in un flashback la fucilazione dei comandanti nazisti) e per omaggi cinefili a grandi maestri del passato (soprattutto Hitchcock e The red shoes di Powell-Pressburger). Il problema è che, al di là dell’innegabile qualità della “confezione”, da Scorsese ci si aspetta qualcosa di più di un film girato in modo egregio e senza sbavature. Ci si aspetta innanzitutto un’opera più personale, più rischiosa, meno legata ai canoni tipici del thriller psicologico di matrice hollywoodiana. In questo senso, il paragone con l’altro regista simbolo del cinema italo-americano è pressoché automatico: quel Francis Ford Coppola che, con gli ultimi due film (Youth without Youth e Tetro), ha mostrato la ferma volontà di voler tornare a un cinema personale e indipendente. Un tipo di cinema che appare molto lontano dallo Scorsese di oggi, regista un tempo scomodo e ingombrante (si pensi allo “scandaloso” The Last Temptation of Christ), sempre capace di realizzare opere personali e di grande impatto. E non mi riferisco solo ai film degli anni ’70 (da Mean Streets a Raging Bull) ma anche a certe commedie amare degli anni ‘80 (Re per una notte, Fuori Orario) e ai capolavori della maturità (Quei bravi ragazzi, Casinò, L’età dell’innocenza). Un cinema che, da Gangs of New York in poi (vera opera spartiacque nella carriera del regista), non ho più ritrovato se non a tratti, come dei lampi isolati a ricordare la bellezza di un cinema che fu e che spero possa un giorno ritornare. Michele Boselli

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movie playlist

Alice in Wonderland, di Tim Burton Quella di Burton è una grossa sfida: trattare il doppio Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò impostando una specie di sequel. Soprattutto se a girarlo ci si mette un autore dal tratto inconfondibile qual è lui. Il risultato dà di che riflettere (nel cinema contemporaneo è già buon segno). L’errore di parte della critica, a mio parere, sta nel paragonare le varie trasposizioni del romanzo di Carroll l’una all’altra. Non ha senso perché prendono spunto da un romanzo già sballato di per sé. Né Disney (nel ’51), né Burton, di fatto (e giustamente), seguono pedissequamente l’intreccio (sempre che un intreccio d’origine da seguire ci sia). In quest’ultima versione il regista riesce a conservare il proprio tocco tipicamente scenografico (sembra di stare in Sleepy Hollow) applicandolo ad un’Alice rivisitata, ma, insieme, riconoscibile. S’alternano colpi di genio, visionari (come ci si aspetta dalla ditta Carroll/Burton) con strane cadute di tono, e di stile (quelle che si potrebbero definire “trovate commerciali” - si veda il balletto del Cappellaio nel finale). L’opera risulta forse eccessivamente “movimentata” (più che alle prese con le spade, il Cappellaio me lo immagino sorseggiare del Thé). Comunque nel complesso (e, ripeto, accantonati i paragoni), quest’Alice attira a sé più plausi che fischi. L’idea originale é della Disney stessa (in cui Burton comincia la sua carriera d’animatore nell’81). La sceneggiatura è della Woolverton. Pare che Burton sia stato attirato ed assoldato a scatola chiusa (con doppio contratto per altrettanti film: è in programma la rivisitazione di un suo vecchio cortometraggio, Frankenweenie). Per un grande autore uscire da una confezione destinata al grande pubblico con dignità è un successo, tutto sommato. Ne abbiam visti tanti di ingenui scivolare sui verdoni facili. Voto: ■■□□ Fantastic Mr Fox, di Wes Anderson L’ex enfant prodige del cinema americano torna con un piccolo gioiello d’animazione che racconta la storia (tratta da una favola di Roald Dahl) di una volpe, Mr. Fox, e della sua famiglia, in fuga dagli agricoltori della zona dopo che Mr. Fox, rinunciando alla vita da cittadino modello che lo aveva contraddistinto fino a quel momento, decide di seguire la sua natura selvaggia di volpe ladra e mascalzona. Alla faccia delle nuove tecniche digitali, Fantastic Mr. Fox utilizza la “vecchia” stop motion (la stessa tecnologia utilizzata da Tim Burton ne La Sposa Cadavere) fatta di pupazzi animati e fondali in cartapesta, che ha richiesto uno sforzo produttivo e artistico non irrilevante (due anni di lavorazione, 150 artisti tra animatori e artigiani, 535 pupazzi utilizzati) ma che ha dato risultati stupefacenti. Il film mantiene quella comicità sofisticata e radical-chic tipica del regista, caratterizzata da dialoghi surreali (spesso sottolineati dalla mancanza di un sottofondo musicale) e situazioni paradossali che si susseguono a ritmo incalzante. Un grande contributo alla riuscita della pellicola è dato dalle voci (tra le altre si ricordano quelle di George Clooney e Meryl Streep per i personaggi principali di Mr. e Mrs. Fox) che assumono qui un ruolo particolare nel trasmettere quell’atmosfera “alla Tenenbaum” che si respira per tutto il film. Noi lo abbiamo visto per voi in un’anteprima parigina e ve lo consigliamo caldamente: un’ulteriore conferma dell’importanza dei film d’animazione nel cinema di oggi, un cinema dove, per fortuna, la libertà e la fantasia la fanno ancora da padrone. Voto: ■■■□

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Giovanni Mensi & Michele Boselli



10 DISCHI IN 10 RIGHE GOLDFRAPP Head First Giungo al singolo Rocket e mi annoio. Però i Goldfrapp meritano attenzione (ricordiamo Felt Mountain) perciò digerisco il pasto per intero. Se avete voglia di semplici e allegri suoni 80’s degustate pure; se siete in cerca di novità e qualità fermatevi al video su youtube che è carino. MGMT - Congratulations A due anni dal boom, il pericoloso secondo disco. Quanti gruppi abbiamo perso così? I due ragazzi di Brooklyn fortunatamente schivano la trappola, non limitandosi al compitino “successione di colorate perline danzerecce” ma incidendo nove canzoni che sono nove piccole avventure musicali (nessuna delle quali volutamente singolo) tra wonky-pop e folktronica dall’aria retrò. L’album tra l’altro è gratis in streaming sul sito ufficiale: accomodarsi! THE RECORD’S - De Flora et Fauna Qualcuno ha detto che se i The Record’s fossero inglesi a quest’ora sarebbero già sulla copertina del NME…visto l’hype e l’impatto di questo secondo album, ci si potrebbe anche credere! La perfezione non è di questo mondo, ma qui ci si va molto vicino: il disco scorre via, facilissimo all’ascolto benché denso e importante (pop di primissima) e quando finisce si ha solo voglia di premere “repeat”. Una perla, rara. G.o.D - Generation on Dope Trifolare punk, core, metallo non purista e melodie teen: è questo più o meno quello che fanno i G.o.D nella loro prova d’esordio. E se da una parte c’è la confezioncina giusta e si fiuta possibilità di presa rapida, dall’altra lascia un briciolo di amaro in bocca per quella sensazione di piano poco urgente e molto ragionato per essere “la prima volta” (appunto). Ok sia per chi fa stage diving che per i ribelli fake con Bon Jovi nelle cuffie. SIKITIKIS - Dischi Fuori Moda Torna col botto il pop “guitarless” dei Sikitikis che devono avere capito la ricetta perfetta per fare cose belle e intelligenti, con quel gradevolissimo profumo di aggeggi analogici, vintage e parole benefiche. Si fila dritto tutto d’un fiato e quando ci si ingolfa per qualche secondo è solo per mandare in loop capolavori cristallini come Tsunami.

ADAM GREEN Minor Love Un disco fragile, il nuovo di Adam Green. Atmosfere malinconiche, chitarre intime e testi disillusi. I pezzi sono belli e rimandano (è paragone azzardato) al Lou Reed della combo “Berlin” / “Transformer”. Brani come Breaking Locks sono una perfetta colonna sonora per stare sdraiati sul lettone a fissare il soffitto e non pensare a nulla. Però a disco finito non sorge il desiderio di rifarlo. WE HAVE BAND - WHB Esordio piacevole, ma non rivoluzionario; un disco dai ritmi da tardo aperitivo, elegante quanto basta, che tradisce però eccessive e sfacciate influenze post-punk (Honey trap, fa il verso agli ESG). Il suono non è fresco, puzza di chiuso e dopo poco stanca. GORILLAZ - Plastic Beach I Gorillaz non sono un cartone. Plastic Beach lascia un’idea di musica concreta e tangibile: una successione di canzoni godibili, ognuna delle quali porta una collaborazione diversa. Il risultato è che sa stupirti e non tedia mai: pochi i pezzi morti, molti sono pop e ci piace. Anticipato dalla bellissima Stylo (evitate il video che proprio non ce la fa).

BAUSTELLE - I Mitici dell’Occidente Da un videoclip (Gli spietati) si capiscono molte cose: ad esempio che Bianconi and co. da un pò di tempo a questa parte giocano somministrando a go-go banali topoi per alternativi che non ce la fanno. E poi come al solito “ironia questa sconosciuta”. Tutto così heavy, nel senso di stucchevole: anche gli episodi come Follonica, potenzialmente illuminati, cedono il passo sotto il peso barbaro del voler tenere i piedi in due scarpe: l’alt pop lo-fi e le fascinazioni da classifica (giustamente inevitabili). Jarvis de noantri, ora che è maturo, funziona meglio come autore e la bella voce di Rachele, poveretta, è ridotta ai minimi termini. Peccato. THE ACID EATERS - Omonymous Ep. Sgargiante come la cover in stile “pulp magazine” che lo contiene. Spettri buoni di surf-punk americano dove le parole non hanno peso e i riff zompettano frivoli frivoli all’urlo “powerpop Uber Alles”. Non c’è impegno e nemmeno originalità, ma a cosa servono quando hai poco più che vent’anni e sogni di essere Dee Dee Ramone? A.A V. V.

2 MANY DJ’S live @ Vox club (Nonantola, Modena): Ore 1:30. I fratelli Dewaele from BELGIUM, per i quali ci siamo sparati 150km, finalmente si impossessano della consolle del Vox, circondati da visuals davvero ben fatti (un’orca che volteggia su un gregge di pecore ed un carlino che si scatena con cuffie da dj). Non hanno bisogno di eccessi, piercing, vestiti alla moda o maschere alla Bloody Beetroots: sono anticonformisti, pasteggiano con cappuccino, spaccano il dancefloor. Si parte. La loro selection di pezzi elettronici, che spaziano dai più eclettici Justice e Vitalic ai più conosciuti Tiga e Mr Oizo, non lascia spazio all’immobilità. Folla in delirio! Durante il loro mash-up carico di suoni distorti e tecnicamente impeccabile spuntano i Ricchi e Poveri con Sarà perché ti amo e con loro uno striscione (il primo che vediamo ad un dj set!) che recita ‘2 many lovers’. Stravaganza e buonumore. 2 ore e mezza in compagnia di Stephen e David volano: troppi djs al giorno d’oggi, ma loro sanno sempre distinguersi. Serata orgasmica. Cialis? No. 2 many djs!!! Beero & Aly 9 aprile 2010


Una selezione random di dischi e videoclip che a me (mi) piacciono... Buon divertimento!!! LITTLE JOY - Keep me in mind Alle volte, somigliare pesantemente a una band (specie se a una band di bella levatura) non è detto che sia una zavorra insopportabile. Lo sanno bene gli Strokes, ehm… i Little Joy da L.A., progettino side di Fab Moretti che porta saggiamente un po’ di sciatta attitudine Newyorkese sulla west coast. Il risultato è questo bel pastiche citazionista da assumere in over-dosi quando si ha voglia di ciondolare su spiagge infinite o di ingannare l’ansia suburbana da cemento. Stranamente funziona in entrambe le situazioni. THE FARM - Rising sun Piena Madchester, piena Hacienda, piena xtc-generation…ma da Liverpool. Mina vagante della dance alternativa che dilagava in Uk nei primissimi 90’s, The Farm sono la parafrasi più groovy e meno lisergica degli Happy Mondays di “Bummed”. Tastiere di quelle 93 proprio, cadenza baggy, cori rimbalazanti come vocine e una drum machine dritta così che è impossibile non chiudere gli occhi e sognare un’epoca (immaginandosi in acido dentro a un rave anche se siete straight). CINZIA GENDERIAN - Un buco di chiave Bossa nova “de la bourgeoisie” targato 1976. No, no, non si parla di trash o di cose preziose orrendamente belle: qua c’è una 14 enne pop-porno (ora è imbalsamata) che interpreta con edonismo e grazia sopraffina una gag à la Fenech-Vitali con la sceneggiatura di De Sade. In più ci mette ironia e quella malizia implume. Traducendo: champagne, pizzi e sete preziose, tendaggi, serrature e aria provo-decadente, ma sempre con buon gusto e ad occhio strizzato. Culto. THE DRUMS - Saddest summer Niente di meglio che una canzone sull’estate di primavera. Perché anche se titolo e parole suggeriscono l’iconografia di una stagione che per i Drums non deve essere poi molto allegra, l’impatto sonoro è viceversa terapeutico, euforizzante, perfetto in pomeriggi tiepidi di brezza timida e sole sui 20. Sul finale ci sono pure dei suoni che simulano i botti la notte di Ferragosto, e siccome siamo ad Aprile e abbiamo tutti tanta voglia di Lei, va benissimo ingurgitare il buon augurio ringraziando di cuore. ESTHER PHILLIPS - What a difference a day makes Se questo magnfico pezzo è il più coverizzato di sempre dopo Tainted Love e Georgia on my mind, un motivo deve esserci. A dire il vero ce ne sono diversi, di motivi: ha il fascino barbiturico delle grandi voci femminili nere e jazzate, è al contempo cangiante e leggerissima, parla d’amore con parole semplici e lascia ad ognuno la democratica libertà di amarla nella salsa che più gradisce. Io, ad esempio, la adoro servita dopo cena in questo arrangiamento disco-patiné accompagnata da un martini cocktail all’oliva. E se il piede si muove da solo è tutto normale. Elia Z.


Clubbing corner ep.9 KNOCKING AT THE DISCO DOOR

É capitato a tutti prima o poi di trovarsi di fronte all’antipatica pratica della selezione all’ingresso di una discoteca. La frustrazione è un sentimento comune quando si viene rimbalzati in prima persona ma anche quando sono i nostri compagni di nottata ad essere ravvisati come “non adatti”, a volte scherniti come sfigati perchè esclusi rispetto agli entranti... fortunatissimi. Spesso è una questione di sguardi, di accessori vincenti o del taglio di capelli unusual (la tinta fucsia la danno per vincente dal ’97). Tutto si gioca in pochi minuti mentre si è in coda alla corte del door selector, investito per l’occasione di un potere temporale da far invidia a L’uomo del Monte. Diverse sono le reazioni quando si viene respinti da un locale: c’è chi aspetta in coda per ore invano cercando di patteggiare l’ingresso; altri se ne vanno sconsolati ma col desiderio di rivincita (del tipo “non sai che cazzo mi metto la prossima volta”); altri ancora se la prendono parecchio con i buttafuori di turno, “poveri” omaccioni dal collo largo la cui colpa è solo quella di attenersi ai criteri di selezione espressamente dettati dal proprietario. Spesso l’investitura viene affidata a pr impor-

di Phil Delcorso

tanti: il gayo snob va per la maggiore, è l’unico che rimbalza anche le donzelle se necessario, non ti fa passare neanche se ti metti a supplicarlo. Senti di tutto all’ingresso delle disco: dalle minacce verbali a rancori con vendette premeditate. C’è chi spavaldo impugna la legge appellandosi al “famoso” articolo 187, secondo il quale i locali pubblici non possono impedire l’accesso a nessuno, men che meno se la tutela dell’ordine pubblico è affidata a buttafuori (magari senza licenza) e non alle forze di polizia. La selezione sarebbe quindi illegale. In realtà le discoteche rientrano nella categoria dei luoghi privati adibiti a pubblico spettacolo, niente 187 quindi e ognuno stabilisce le sue regole per l’accesso al proprio locale. Queste regole si basano su un principio commerciale molto elementare, che vuole che il gestore si adoperi per riempire e non per svuotare il suo locale. Purtroppo spesso si punta su una pubblicità a tappeto, senza preoccuparsi di incuriosire solo il pubblico che è davvero interessato al tipo di serata (sto parlando di musica) e non è capitato lì solo perchè in città tutti ne parlano. Quando una “situazione” diventa moda piace al dandy così come ai curiosi sprovveduti, ma anche ai tamarri d’assalto... i guastafeste. Ci si riduce quindi al filtro della selezione “a pelle”, senz’altro spiacevole e riduttiva, solo per garantire il regolare svoglimento della serata: troppe volte capita di far un’ora di strada per andare a ballare, e di ritrovarsi poi in sale stracolme di gente dove i soliti “furbi” si fanno spazio a colpi di gomito. Qualche dj idealista direbbe che la selezione andrebbe fatta solo con la musica: più anima e meno bassi in levare. Di sicuro l’atmosfera ne gioverebbe ma il condizionale è d’obbligo finchè il senso civico generale e l’educazione rimangono fuori dalla porta. 10


Hits in the box

Sbi r c i a m o n e l l e v a ligie dei djs/selector che ogni fine settimana c i fanno muovere le chiappe EZIOZ From “Revolver” one night [electro/indie/pump] FRANZ FERDINAND: Do you want to (Erol Alkan’s glam racket rmx) MARAL SALMASSI: Let’s rock the party (Fukkk Offf rmx) MARTIN SOLVEIG: One 2.3 four DIGITALISM: Pogo (Osawa rmx) PARA ONE: Dudun dun (Mstrkrft rmx) COFFEE’N’TELEVISION selection TIGA: What you need From We Are The Gang (BG) VITALIC: No fun [musica acusmatica/per nastro/pop/techno] RIOT IN BELGIUM: The acid never lies FRIENDLY FIRES: Skelton boy (Grum rmx) RICKY SHAYNE: Uno dei mods YEAH YEAH YEAHS: Heads will roll(A-Trank rmx) CAJUN HEART: Got to find a way CURTIS MAYFIELD: Move on up PAUL BHN VIVIAN GIRLS: Moped girls Freelance THE XX: Crystalised soundcloud.com/PaulBHN MO-DETTES: White mice [techno/house/dub] DELTA 5: Mind our your business COCKNEY REJECTS: I’m forever ORLANDO VOORN: The blowing bubbles power of beauty MADNESS: Nightboat to cairo AMIR: Narrativity (Justin APHEX TWIN: Avril 14th Drake rmx) NINO MANFREDI: Tanto pe canta IAN O’DONOVAN: Cosmic aligment SCUBA: Three sided shape THROBBING GRISTLE: Hot on the heels of love GUSTAVO LAMAS: Mares (Luke Hess deep rmx) LIQUID LIQUID: Optimo PAUL BHN: She used to sleepwalk DELANO SMITH: Nebula CLARO INTELECTO: Chadderton D.C. DJ SOULMIND from Disco volante/ Gomma [discofunk/deep house/techno detroit] DEEJAY DAVE from Razzputin/Contemporary SUN RA AND HIS SOLAR ORKESTRA: Ufo standard mag GLENN UNDERGROUND: Afro gente [alt pop/no rave/tronica] BILLY LOVE: Melloghettomental GERALD MITCHELL: MARTELO: Wasted (Asap edit) Fly high like eagles ELLRICH/PLACE: Fucking society MARVIN BELTON: (Olav Basoski rmx) In the light 2020 SOUNDSYSTEM: Psycho (Tdb SCOTT FERGUSON: mix) Revolution (main mix) JOHN & JEHN: Time for the devil PIRAHNAHEAD: BOYS NOIZE: Sweet light (Boris DluMirror muse gosch rmx) RADIO SLAVE: VOODOO CHILLI: Love song (extendNo sleep (part three) ed loop mix) DEREK SCOTT: THE GLASS: I wanna be dancin The agency (P&D rmx) LATE OF THE PIER: Blueberry HENRYK SCHWARZ & THE PHENOMENAL HANDCLAP ONCE AGAIN: BAND: 15 to 20 Kuniyuki ANTHRAX: Got the time


Z om on: Come dire: svolta sonora, stessa personalità. Dopo oltre dieci anni di palchi e al giro di boa del sesto disco ufficiale i T.A.R.M. continuano a dare la sensazione di non voler essere “mai come voi”. Poco da fare, quando si tratta di attitudine. E qui ce n’è da vendere. Nuovo disco, tour in partenza, generazioni, la discografia e le scene di controcultura, in un lungo pour purri da cui filtra tutto l’animo sognante di una band che crede ancora in un mondo nuovo. Ne abbiamo parlato con il frontman, Davide Toffolo. Ciao ragazzi, benvenuti “all’incredibile spetaculo de la vida e de la muerte”… è un piacere ospitarvi sulle pagine della nostra fanza! Impossibile non cominciare dalla fine: “Primitivi del futuro”, il nuovo album uscito ormai da più di un mese. Un lavoro intriso di suggestioni d’oltreoceano e vibra reggae-dub mischiate con la vostra tipica inclinazione r’n’r che fa star bene. Come è stata la gestazione del disco e quali influenze (non solo musicali) ci stanno dietro? Ci sono Lee Perry, King Tubby, Bob Marley, The Clash, Casino Royale, The Police, Gregory Isaacs, Burning Spear, The Specials, Mellow Mood, B.r. Stylers, Resistence in dub, John Zerzan, Robert Crumb, I ragazzi morti di prima, tre anni di vita in comune, frammenti di ossa delle persone che ci sono state vicine e un pochetto di poesia. Stralci utopistici (“L’ultima rivolta nel quartiere Villanova non ha fatto feriti”), disincanto post-urbano (la title track), amore-amaro che sfugge e si dimentica (“La ballata delle ossa”): è il vostro disco della maturità o vi sentite ancora dei tardoadolescenti (magari un po’cresciuti)? I nostri dischi sono tutti ‘adulti’. Non c’è niente di ingenuo. Questo disco più che adulto è un disco blu. Ma resta un disco dei “Tre allegri” in tutti i sensi. Un disco per muoversi e per pensare. Come dicono i ragazzi per spiegare la nostra musica agli adulti. Trovo molto singolare questa asimmetria tra ritmiche in levare, da finestrini giù a primavera, e uno spirito di vaga malinconia: come dire, serenità e fiele in un sol boccone… Il primo disco che ho comperato da cosciente in vita mia è stato “Survival” di Marley and the Wailers e a me sembrava pieno di tutto quello che nella musica solitamente non trovavo: passione, politica, musica, rivoluzione. E molti brani malinconici, in minore. Per me il reggae è questo.


Tre Allegri Ragazzi Morti

Di Elia Z.

C’è un tour in partenza ad Aprile, che il 24 farà tappa proprio a Brescia, al Lattepiù: cosa dobbiamo aspettarci per quella sera, e più in generale dallo spettacolo che porterete sul palco in giro per la Penisola? Ci saranno tutte le canzoni nuove e molte del repertorio, soprattutto della “Seconda rivoluzione sessuale”. E poi c’è una sorpresa: risuoneremo tutto il primo nostro disco, in versione dub. Assicuro il divertimento. E anche la possibilità di pensare. Qual è il vostro approccio alle nuove generazioni, al vostro pubblico e come si è evoluto negli anni? Forse dovresti rivolgere la domanda alla rovescia. Cioè dovresti chiederlo ai nuovi che vengono ai concerti. Da parte mia, mi sento profondamente con loro, dalla loro parte. Non li sento diversi dagli altri ragazzi di 15 anni prima. E neanche di 30 anni prima ancora, quando ero ragazzino io. Ma davvero non so se dico le cose giuste. Penso che vogliano un mondo diverso da quello che hanno intorno. E noi non assomigliamo molto a quello che c’è intorno. Immaginario fumettistico e maschere da “ragazzi morti” ovvero musica e immagine, nel vostro caso specifico un’immagine che è quasi una non immagine: che rapporto corre secondo voi tra questi due universi? L’ immagine e la musica sono una cosa sola. E come la musica anche l’immagine contiene tanti messaggi. Eliminare la nostra immagine corporea ci ha trasformati in un’idea. E le idee non invecchiano tanto come le persone. Quanto conta nella vostra arte il concetto di “background”, o più semplicemente di “influenza”… avete dei miti? Personalmente ho sempre preferito vivere le esperienze invece di mitizzarle. L’etichetta discografica “La Tempesta”, da voi fondata, produce oggi alcune delle più interessanti realtà indipendenti di casa nostra (Teatro degli Orrori, Zen Circus,


Le Luci della Centrale Elettrica…): parliamo un po’ di questa side-esperienza e del senso della parola indipendente (appunto), oggi. Questa che pubblichiamo è musica libera, libera dagli schemi classici dell’economia musicale e della proprietà. Per questo motivo ha un suono e una forza così evidente. E’ musica indipendente perchè è di proprietà degli artisti e non di altri. E’ musica che parla di noi, in lingua italiana. E’ una specie di rifondazione della musica popolare italiana. A proposito di discografia e dintorni: che scenari si stanno aprendo secondo voi dopo il duro tracollo di qualche anno fa… è ancora “di moda” parlare di crisi discografica? Mai piaciute le mode, nel senso dell’omologazione dei gusti. Ho sempre preferito i bizzarri ai modaioli. La medicina del pop mainstream si chiama “talent show” o è solo una grossa bufala di plastica…cosa ne pensate della musica in tv? La musica è assente dalla tv. La tv alimenta il proprio immaginario, ma ha poco a che fare con quello che sta intorno. Con questo non voglio criminalizzare chi guarda ancora i talent show: se ti diverte, fa pure. Poi la prossima stagione magari ti appassioni di isole e di famosi. Qua a Brescia, in circuiti tutt’altro che televisivi, si respira parecchio fermento musicale da qualche anno a questa parte, tanto che si parla con sempre più insistenza di una vera e propria scena (anche su organi d’informazione extra-locali): ne avete sentito parlare e c’è qualche band che ha attirato la vostra attenzione? Non siamo Talent Scout nel senso tradizionale ma quando ci sono cose belle in genere ce ne accorgiamo. Penso ad esempio ad Ettore Giuradei... Per concludere, sempre a proposito di “scene” (anomale), ci parlate in poche parole della vostra città, Pordenone, e di quella geniale meteora che fu il Great Complotto. Era tanti anni fa. 1980 , per la precisione. I ragazzi erano una cinquantina. Avevano dai 13 ai 20 anni. Ti rendi conto? Io ne avevo 15. I ragazzi scappavano di mano ai genitori piccolissimi e volevano un mondo diverso. Una rivoluzione. Il punk. Io lo voglio ancora un mondo nuovo. E voi?

Luzer! vi ringrazia di quore con la q per questa chiaccherata e rinnova l’appuntamento tra un pugno di giorni sotto al palco con tanto pathos. Thanks to Davide Toffolo, Enrico Molteni,Luca Masseroni. Credits: www.treallegriragazzimorti.it


tu o, jpatty music consultant vvvn vvi consiglia questi eventi : e LA NAVE DI HARLOCK Ven 14/5 VALLANZASKA

eVINILE45 Sab 24/4 MY AWESOME MIXTAPE Sab 01/5 ADAM FICEK (BABYSHAMBLES) Dj Set Sab 8/5 DEAD MEADOW (USA) + Van Cleef Continental Sab 15/5 A TOYS ORCHESTRA Sab 22/5 ED WOOD - New CD Sab 29/5 THOC - New EP

eLIO BAR Ven 23/4 LOW FREQUENCY CLUB Ven 30/4 THE TRAINERS + LE CASE DEL FUTURO Ven 07/5 MOJOMATICS Ven 14/05 TRABANT Ven 21/5 THE VICARS (GB) + SMELLERS Ven 28/5 ATARI + MI AMI (USA) eLATTERIA MOLLOY Sab 24/4 MONOLITHIC (con Kenneth Kapstad- MOTORPSYCHO) + Andj Dj+Kickass Dj Set Gio 27/4 LORDS OF ALTAMONT (from Los Angeles, California) eDISCO VOLANTE @CLUB PACHA BRESCIA Sab 24/4 SWEAT Dj from London: PlasticPippo & special guest TONY_C

eTIPO ZEROZERO Ven 23/4 BRUNORI SAS Dom 25/4 FRAULEN ROTTENMEIER eLATTE PIU’ Gio 22/4 A WILHELM SCREAM (Melodic HC from Usa) + Foreplay (BS) + Action Man Ven 23/4 THIS IS A STAND OFF (Melodic Punk from Canada) + The Old The Young and The Others (Bs) Sab 24/4 TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI - New CD Primitivi del futuro Ven 30/4 PERSIANA JONES + Totale Apatia (Bs) + Sniper Dogs (Bs/Cr) Sab 8/5 GIANLUCA PEROTTA THE MAP Sab 15/5 MADAME SADOWSKY Sab 22/5 MINISTRI Sab 29/5 UPON THIS DAWNING eLE TRE TITS Mer 21/4 GENTLEMEN’S AGREEMENT Giov 29/4 9V BATTERIES

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garage filosofico

ovvero Elogio della follia di E. da Rotterdam Citazione da sapere per essere colti: “[…] se la saggezza si fonda sull’esperienza, a chi meglio conviene fregiarsi dell’appellativo di saggio? Al sapiente che, parte per modestia, parte per timidezza, nulla intraprende, o al folle che né il pudore, di cui è privo, né il pericolo, che non misura, distolgono da qualche cosa? Il sapiente si rifugia nei libri degli antichi e ne trae sottigliezze verbali. Il folle affronta da vicino le situazioni coi relativi rischi e così acquista, se non erro, la saggezza.”

Clicco su un link che mi porta a una pagina di informazioni sull’Elogio e manco a farlo apposta compare questa scritta: “Smart may have the brains, but stupid has the balls. Be stupid”. Rileggo un paio di volte, mi informo sulla campagna della Diesel, trovo altri slogan come quelli che tappezzavano i muri di Milano e penso ad Erasmo: “Caro Erasmo”, gli direi “non sai quanto ti apprezzano oggi! Tutti i jackass del mondo praticamente stanno adottando la tua filosofia di vita e probabilmente nemmeno lo sanno”. Da ora in poi daranno il merito alla Diesel. Peccato però che quella della Diesel sia solo una campagna pubblicitaria, e non una satira di un intellettuale del Cinquecento che di fronte alla demenza della società preferisce diffondere un po’ di superiore Follia. Così se lo scritto di Erasmo era fine a se stesso – come ogni scritto letterario del resto – purtroppo per la pubblicità non è lo stesso, come è evidente: i famosi jeans a 180 € ce li vogliono veramente vendere. Renzo Rosso, fondatore della marca, non ha fatto altro che attaccare un modello pseudo-anticonformista (tutti ci dicono di essere intelligenti e lui ci dice di essere stupidi!) al suo marchio per renderlo più accattivante, più vicino ai giovani. L’unico difetto del suo Be stupid è che non ha niente di spensierato e impulsivo, liberatorio e trasgressivo come vuole propugnare l’imprenditore: è solo la solita bell’e buona legittimazione del sistema servita solo più intelligentemente. Ed è pure caratterizzata da un sostrato di incoerenza: è difficile infatti credere che non abbiano usato un po’ di brains per ideare la campagna! Ma non prendiamocela con la Diesel, perché è esaltante come ha ammesso ad alta voce uno dei temi fondanti della nostra società: essa infatti dice: “Siate stupidi!”, a cui subito segue spontaneamente come un eco “… E fateci fare tanti soldi!”. Una capacità di sintesi e chiarezza veramente esemplari nel mostrare quanto la nostra società consumistica faccia di tutto per rigirarci un po’ come le pare, e questo soprattutto dando credito ai nostri desideri (di evasione) e non chiedendoci niente di più di quello che siamo (anzi). E in questa grande manovra ci siamo dentro tutti, dato che è lo schema per cui il mondo ancora oggi è in piedi, uno schema attivo da sempre, anche se oggi forse in un modo più pensato e studiato, più tecnologico, più ambiguo. Ma non è forse quello che vogliamo? È infatti Erasmo stesso che critica ai sapienti la loro naturale tendenza a rivelare il reale volto delle cose, perché “dissipare l’illusione significa togliere il senso all’intero dramma, quando a tenere avvinti gli sguardi degli spettatori è proprio la finzione, il trucco”. Fo Elettrica & CdFE



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