Le bucoliche

A cura di: Dininno Francesco Palasciano Lucrezia Pestrichella Giovanni Pucci Giuseppe Vilella Luigi

INDICE 1. LE BUCOLICHE 2. TRADUZIONE PRIMA ECLOGA 3.CARATTERISTICHE PRIMA ECLOGA 4. METRICA 5.CESURA 6.ANALISI METRICA 7.COMMENTO

1. LE BUCOLICHE Già in epoca pagana in Virgilio si identifica il sapiens onnisciente e il massimo auctor latino.

La prima opera virgiliana sono le Bucoliche (bucolica carmina) scritta tra il 42 e il 39 a.C., in un periodo di anni drammatici per la società romana, quelli successivi allo scontro di Filippi.

Il termine “Bucoliche” deriva dal greco βουκόλος = pastore, mandriano, bovaro; sono state definite anche ἐκλογαί, egloghe, ovvero "poesie scelte".

Pastori che cantano le sofferenze d’amore mentre osservano pascolare le greggi indolenti, immersi in una natura pacificata e in armonia con l’uomo: è il paesaggio della poesia bucolica, la cui origine viene fatta risalire al poeta greco Teocrito.

Teocrito ambienta i suoi scritti nell’Arcadia.

Geograficamente l’Arcadia è una regione montuosa della Grecia, posta al centro del Peloponneso e chiusa da ogni lato da catene di monti.

Nelle Bucoliche, l’Arcadia da un lato coincide concettualmente con l’atarassia epicurea, di cui rappresenta per così dire il correlativo oggettivo, dall’altro si identifica sentimentalmente con la poesia stessa, in una triangolazione che sembra promettere al poeta-pastore la salvaguardia delle brutture dell’esistenza. Nelle bucoliche l’Arcadia non esprime un paesaggio reale, ma neppure un paesaggio mitico; per la sua coincidenza con la poesia, essa diventa “paesaggio lirico”, un buen retiro, in cui il poeta cerca rifugio dagli affanni.

Struttura dell’opera L’opera è composta da dieci ecloghe in esametri, alcune in forma lirico-narrativa, altre in forma di dialogo.

Eccetto la quinta e la decima ecloga, le altre seguono una struttura simmetrica e possono essere disposte a coppie secondo i temi affrontati al loro interno: 1-9: Tema autobiografico delle Espropriazioni 2-8: Racconti di lamenti amorosi 3-7: Dialoghi e gare poetiche tra due pastori [su struttura “amebea”, alternata], fortemente idealizzati, che si dedicano al pascolo ma che come “poeti” svolgono il loro otium letterario 4-8: Il poeta trascende il genere bucolico parlando in prima persona con tematiche paulo maiora

2. TRADUZIONE PRIMA ECLOGA MELIBEO O Titiro, stando tu rilassandoti all'ombra dell'ampio faggio componi una musica silvestre con la sottile zampogna noi lasciamo i confini della patria e i dolci campi: noi fuggiamo dalla patria. Tu, o Titiro, oziando nell'ombra fai risuonare per i boschi il nome della dolce Amarillida.

TITIRO Oh, Melibeo, un dio ci ha donato questa pace.

Infatti egli sarà sempre un dio per me; un tenero agnello dai miei ovili spesso bagnerà il suo altare.

Egli permise ai miei buoi di vagare liberamente, come vedi, e mi permise di suonare ciò che voglio col mio flauto agreste.

M. In verità non ti invidio, ma piuttosto mi stupisco: dappertutto in tutti i campi c’è tale confusione. Ecco, io stesso afflitto mando avanti le caprette; anche questa a fatica, Titiro, conduco: qui infatti, tra i folti noccioli, or ora ha abbandonato due gemelli, speranza del gregge, dopo averli partoriti ahimè sulla nuda pietra.

Spesso ricordo che le querce colpite dal fulmine ci predissero questa sventura, se la mente non fosse stata stolta.

Allora, Titiro, dicci chi è questo dio.

T. Oh Melibeo, io stolto reputavo la città che chiamano Roma fosse simile a questa nostra, in cui spesso noi pastori siamo soliti spingere i teneri agnelli: così avevo imparato che i cagnolini sono simili ai cani, così i capretti alle madri; così solevo paragonare le piccole cose a quelle grandi.

Ma questa città di tanto leva il capo sopra le altre città, quanto i cipressi usano sollevarsi sui flessibili viburni.

M. E quale grande motivo avevi tu di vedere Roma?

T. La libertà che, seppur tardi, mi guardò inerte dopo che a me, quando mi rasavo, la barba cadeva più bianca; si girò a guardare tuttavia e dopo lungo tempo giunse, Dopo aver preso Amarillide, lasciai Galatea.

Infatti, infatti confesso, mentre stavo con Galatea, non c'era libertà di speranza, né cura per il denaro. per quanto dai miei recinti uscissero molti animali, e grasso formaggio fosse fabbricato per la città poco riconoscente, la mia mano destra non tornava mai a casa piena di denaro.

M. Mi stupivo perché tu invocavi mesta gli dei, Amarillide; perché lasciavi pendere i suoi frutti dall'albero: Titiro era lontano da qui. Gli stessi pini, le stesse fonti, questi stessi alberi te, te, proprio te invocavano o Titiro.

T. Che avrei dovuto fare? Non era lecito che uscissi dalla schiavitù, né altrove che io trovassi dei così propizi.

Qui a Roma, o Melibeo, conobbi quel giovane per cui ogni anno per dodici giorni i nostri altari fumano. costui rispose a me che gli chiedevo: «Come prima, servi, fate pascolare i buoi e soggiogate i tori ».

M. Oh vecchio fortunato, quindi i campi rimarranno tuoi e per te grandi abbastanza, nonostante la nuda pietra e la palude copra tutti i pascoli con il giunco fangoso.

I pascoli inconsueti non nuoceranno alle pecore gravide e non ti danneggeranno i contagi maligni del bestiame vicino.

Oh vecchio fortunato, qui tra i fiumi conosciuti e le fonti sacre godrai il fresco ombroso; da un lato sul vicino confine la siepe di sempre, succhiata dalle api Iblee, spesso con lieve sussurro ti persuaderà ad addormentarti; dall'altro ai piedi di una rupe canterà nell'aria il potatore, tuttavia le roche colombe, oggetto della tua cura, e la tortora non cesseranno di gemere dall'alto olmo.

T. Perciò pascoleranno in cielo i cervi leggeri, e le acque restituiranno sulla riva i pesci nudi e, avendo errato a lungo luno nei territori dell'altro, l'esule Parto berrà l'acqua dell'Arar e il Germano quella del Tigri, prima che il volto di lui sia cancellato.

M. Noi, invece, raggiungeremo gli africani assetati e in parte verremo, alla Scizia, e raggiungeremo l'asse vorticoso di fango, e raggiungeremo gli estremi Britanni del tutto divisi dal resto del mondo.

Giammai fra lungo tempo rivedendo la terra dei padre e il tetto del povero tugurio costituito da zolle d'erba, mio regno, potrò contemplare le spighe di grano?

Un empio soldato possederà questi terreni così coltivati, un barbaro possederà queste messi? Ecco a che punto la discordia ha condotto gli infelici cittadini; per costoro abbiamo seminato i campi!

Ora, o Melibeo, innesta i peri, metti in ordine le viti!

Andate, mie caprette, greggi un tempo felici.

D'ora in avanti non vi vedrò più, io, da lontano, sdraiato in una verde grotta, pendere da una rupe spugnosa; non canterò più nessun canto; non sarò più il vostro pastore, o caprette quando brucherete il fiorente citiso e gli amari salici.

T. Questa notte, tuttavia, potevi riposare con me sopra verdi fronde: io ho pomi maturi, castagne gustose e latte munto.

E già da lontano i tetti dei casolari fumano, e dagli alti monti scendono ombre più lunghe

3. CARATTERISTICHE PRIMA ECLOGA La prima ecloga si presta a introdurre il tema della natura simbolica attribuita da Virgilio all’Arcadia e dei complessi rapporti che intercorrono tra l’Arcadia stessa e la Storia. Questa ecloga, dialogata, ha come protagonisti due anziani pastori dalle sorti diverse: Melibeo, costretto dalle discordie civili ad abbandonare i suoi campi, assegnati ad un barbaro soldato, e Titiro, che invece può conservare il possesso dei suoi beni grazie all’intervento di un deus.

Una delle caratteristiche fondamentali dell’ecloga è infatti la perfetta fusione di poesia e di storia, di mondo arcadico idealizzato e vicende storiche che ne rompono la pace, la serenità.

La figura del Deus Per garantire l’otium dei pastori c’è però bisogno di un elemento esterno che garantisca a sua volta l’ordine: l’elemento è il Deus, figura che è stata vagamente interpretata. Per molti il Deus è Ottaviano, quindi un omaggio alla figura di imperatore che si sta delineando come la più importante sullo scenario romano. Per altri ci si riferisce al politico e oratore Asinio Pollione, al giuroconsulto Alfeno Varo o al politico e poeta Cornelio Gallo.

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Del carme veniva proposta già dagli antichi un’interpretazione in chiave allegorica , giustificata per altro dalle convenzioni stesse del genere bucolico: anche Teocrito infatti aveva raffigurato in qualche caso sotto le maschere dei pastori se stesso e altri personaggi reali. È possibile dunque leggere l’intero componimento 2 posto in apertura alla raccolta servendoci dell’interpretazione allegorica , mediante la quale sotto le maschere del pastore Titiro si celerebbe lo stesso Virgilio

4. LA METRICA Il metro utilizzato nella prima egloga scritta da Virgilio è l’esametro dattilico che si presenta con il seguente schema:

Il termine esametro dattilico suggerirebbe una sequenza di sei dattili. In realtà un esametro dattilico è costituito da 5 dattili e da un piede finale costituito da due sillabe, la prima delle quali è sempre lunga, mentre la seconda può essere indifferentemente lunga o breve. L’ultimo piede quindi non è mai un dattilo, ma è uno spondeo ˉ ˉ o un trocheoˉ ˘.

Si noterà inoltre che i primi 5 piedi dello schema non sono rappresentati da semplici dattili ˉ˘˘, come suggerirebbe l'aggettivo dattilico. Ciascuno dei primi 5 piedi può infatti essere costituito indifferentemente da dattilo o da uno spondeo.

Questo significa che il numero totale delle sillabe di un esametro può variare da un minimo di 12 (quando in tutte le sedi è presente uno spondeo; in tal caso l'esametro è definito olospondaico) a un massimo di 17 (quando in tutte le sedi è presente un dattilo; in tal caso l'esametro è definito olodattilico). È piuttosto raro l'esametro con spondeo in 5a sede (in tal caso si parla di esametro spondaico).

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La parola cesura (dal latino caesura = taglio) viene utilizzata dai metricologi per indicare una pausa che, all'interno di un verso, può essere collocata tra la fine di una parola e l'inizio della parola successiva, sia allo scopo di consentire un breve respiro a chi recita, sia soprattutto per sottolineare, mediante una sospensione appena percettibile, la struttura semantica del testo.

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Il verso che per la sua frequenza e il suo ampio respiro ha richiamato maggiormente l'attenzione degli studiosi di metrica a proposito di cesure è l'esametro dattilico.

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Ci sono diversi tipi di cesure:

5. LA CESURA Nelle bucoliche Virgilio utilizza la cesura chiamata pentemimera ( o semiquinaria), anche se nei versi che vanno dal 6 al 25 possiamo ritrovare altre cesure presenti oltre la pentemimera.

Ad esempio: Nel verso 7, una pentemimera e una dieresi bucolica; Nel verso 9, una pentemimera e una semi ternaria; Nel verso 11, una pentemimera e una dieresi bucolica; Nel verso 12, una pentemimera e una semiternaria; Nel verso 15, una pentemimera e una semiternaria.

6. ANALISI METRICA

LEGENDA ORO: omeoteleuti VERDE: elisioni ROSSO: allitterazioni

Ō Mĕlĭboēĕ, dĕūs | nōbīs haēc ōtĭă fēcīt: nāmque ĕrĭt īllĕ mĭhī | sēmpēr dĕŭs; | īllĭŭs ārām saēpĕ tĕnēr nōstrīs | ăb ŏvīlĭbŭs īmbŭĕt āgnūs. Īllĕ mĕās | ērrārĕ bŏvēs, | ūt cērnĭs, ĕt īpsūm lūdĕrĕ quaē vēllēm | călămō pērmīsĭt ăgrēstī.

ME. Nōn ĕquĭd(em) īnvĭdĕō, | mīrōr măgĭs: | ūndĭquĕ tōtīs ūsque ădĕō | tūrbātŭr ăgrīs! | Ēn īpsĕ căpēllās prōtĭnŭs aēgĕr ăgo; hānc | ĕtĭām vīx, Tītўrĕ, dūcō: hīc īntēr dēnsās | cŏrўlōs mŏdŏ nāmquĕ gĕmēllōs, spēm grĕgĭs, ā, | sĭlĭce īn nūdā | cōnīxă rĕlīquīt.

Saēpĕ măl(um) hōc nōbīs, | sī mēns nōn laēvă fŭīssēt, dē caēlō tāctās | mĕmĭnī praēdīcĕrĕ quērcūs.

Sēd tămĕn īstĕ dĕūs | quī sīt, dā, Tītўrĕ, nōbīs.

TI. Ūrbēm quām dīcūnt | Rōmām, Mĕlĭboēĕ, pŭtāvī stūltŭs ĕgo huīc nōstraē | sĭmĭlēm, quō saēpĕ sŏlēmūs pāstōrēs ŏvĭūm | tĕnĕrōs dēpēllĕrĕ fētūs.

Sīc cănĭbūs cătŭlōs | sĭmĭlīs, sīc mātrĭbŭs haēdōs nōrām, sīc pārvīs | cōmpōnĕrĕ māgnă sŏlēbām.

Vēr(um) haēc tānt(um) ălĭās | īntēr căpŭt ēxtŭlĭt ūrbēs quāntūm lēntă sŏlēnt | īntēr vībūrnă cŭprēssī.

7.COMMENTO In questo tratto dell’egloga ambientato nella campagna latina simile all’Arcadia*, Virgilio elogia il deus che l’ha salvato dall’espropriazione delle terre attraverso il dialogo di due pastori che raggiungono la tranquillità attraverso la poesia e l’ otium, con la sua raffinata poesia* influenzata dagli eleganti caratteri alessandrini* e dai poeti greci come Teocrito*.

ARCADIA* Regione storica della Grecia.

Nel corso della letteratura è diventata topos letterario considerandola come mondo idilliaco.

Prevalentemente occupata da pastori che si dedicavano alla poesia, non era necessario lavorare la terra per vivere perché la natura provvedeva a ciò. Secondo la mitologia ci abitava Pan(Dio greco), che la possedeva e ci viveva assieme a ninfe e spiriti della natura.

L’Arcadia viene ripresa nel corso del Rinascimento come luogo idilliaco e portatore di felicità: Jacopo Sammazzaro nel suo poema Arcadia fissò la sua concezione di Arcadia come mondo perduto portatore di ai principi alessandrini. felicità duratura( idea di Arcadia ripresa da Tasso).

Le Bucoliche presenta una novità: il paesaggio, che non è solo cornice come in Teocrito ma rispecchia lo stato d’animo dei personaggi. Vi è una sorta di Arcadia immaginaria, poiché rispecchia la necessità del poeta di allontanarsi dal mondo reale.

LINGUAGGIO BUCOLICO VIRGLIANO* La lingua delle Bucoliche è generalmente un latino semplice, lineare, urbano che si discosta dalla tipologia del dialetto usato da Teocrito. Virgilio predilige la paratassi e le interiezioni dando così l’impressione di naturalezza e spontaneità.

POESIA NEOTERICA*

TEOCRITO*

Movimento letterario che si sviluppa a Roma nell’ età di Cesare e si ispira alle concezioni alessandrine. Le caratteristiche sono la brevitas, il labor limae e la doctrina.

Teocrito, poeta siciliano, è considerato l’inventore del genere bucolico e del genere idillico. La descrizione poetica del mondo pastorale e dei suoi usi e costumi la troviamo già nell’Iliade.

Teocrito mostra l’adesione alla poetica dell’ellenismo aderendo