Le Nebbie di Plutone

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Luigi Viazzo

Le Nebbie

di

Plutone


Le Nebbie di Plutone Luigi Viazzo

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Copyright Š 2017 Luigi Viazzo

Ai miei genitori perchĂŠ devo tutto a loro

Tutti i diritti riservati.

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CAPITOLO I

L’ALBA DEL 2119 – PARTE I

pag. 5

CAPITOLO II

KIRI

pag. 6

CAPITOLO III

LA BATTAGLIA DI IO

pag. 11

CAPITOLO IV

L’AMICO DI INFANZIA

pag. 13

CAPITOLO V

LA OLODISCO

pag. 18

CAPITOLO VI

L’ALBA DEL 2015

pag. 21

CAPITOLO VII

IL LIVELLO 8

pag. 25

CAPITOLO VIII

LA GIUSTIZIA OLOGRAFICA

pag. 31

CAPITOLO IX

L’ALBA DEL 2119 – PARTE II

pag. 34

CAPITOLO X

IL DIRETTORE

pag. 35

CAPITOLO XI

LA STAZIONE ARES 1

pag. 39

CAPITOLO XII

LA FUGA DA GANIMEDE

pag. 41

CAPITOLO XIII

LA BATTAGLIA DI TITANO

pag. 44

CAPITOLO XIV

LA BASE CARONTE A

pag. 46

CAPITOLO XV

LE NEBBIE DI PLUTONE

pag. 51

CAPITOLO XVI

I GHIACCI DI PLUTONE

pag. 54

CAPITOLO XVII

LE MINIERE PARTE I

pag. 57

CAPITOLO XVIII

IL VIAGGIO MITICO

pag. 58

CAPITOLO XIX

LE MINIERE PARTE II

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mettendo in fuga due ragazzi, che stavano armeggiando intorno ad un sintetizzatore di bevande. Un uomo sulla quarantina li fissò, con espressione interrogativa. - Cos’hai da guardare tu? - gli chiese Eric, digrignando i denti. - Nulla signore, mi scusi - rispose l’uomo, toccandosi il cappello in segno di rispettoso saluto. Un lontano sibilo segnalò l’arrivo del treno.

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CAPITOLO VII: IL LIVELLO 8 - Perché pensi che ci riconosceranno facilmente? - chiese Mattew, mentre le luci della galleria del metro impressionavano i suoi occhi. - Secondo te, dove sono andati Tom ed Adam? - chiese Eric. - Forse conoscevano un altro passaggio segreto... - abbozzò Mattew. - Sì, verso la centrale di polizia - aggiunse Eric, con rabbia. - Non riesco a credere che si siano infilati, spontaneamente, nella tana del lupo - bisbigliò Mattew, per non farsi sentire da due passeggeri appena saliti. - Per tua informazione, Adam è figlio del dottor Alfred Floyd. - Il Borgomastro della contea? - chiese Mattew, incrociando lo sguardo di un ubriaco che, barcollando, era riuscito ad abbarbicarsi a un sostegno della vettura, mentre un inconscio rigurgito di birra saliva dal suo stomaco. - Esatto! - rispose Eric - Tom, invece, è figlio di Terence Larson, il noto manager della City. - Ehi voi due, perché non mi arrestate? In fondo, ho alzato il gomito, ed anche questo è un reato - disse l’ubriaco, mentre i suoi occhi spenti, e dai contorni irreali, riflettevano le luci della galleria. - Va via! - gli intimò Eric, accompagnando le sue parole con un eloquente gesto della mano - E su chi pensi faranno ricadere la colpa, quei due figli di papà? - aggiunse Eric. - Se mi arrestate, almeno avrò un tetto sotto cui dormire - disse ancora l’ubriaco, alzando il sacchetto di carta che racchiudeva la sua estasi alcolica. - Ora capisco - disse Mattew, guardando due operai della manutenzione del metro, che salivano sulla loro carrozza - anche tuo padre, però, è un pezzo grosso dell’esercito. Potresti sfruttare anche tu la cosa a tuo favore. - Mio padre è un semplice tenente al quale, dopo questo disastro, verranno anche tolti i gradi - rispose Eric. - Ma se sei così sicuro che ci abbiano identificati, mi sembra, ancor, più stravagante la tua idea di andare alla Stazione Centrale - disse Mattew, che sentiva il gusto della birra farsi sempre più insistente. - Ehi voi due, vi sto parlando - disse l’ubriaco, con la tipica cantilena impastata di chi ha bevuto troppo. - Vedi Mattew, alla Stazione Centrale si può scendere al Livello 8 e lì potremo nasconderci per un po’ - disse Eric, ignorando l’ubriaco che si avvicinava. Questi, però, lo strattonò per una manica della sua tenuta. Eric, con un preciso gancio destro, lo stese, proprio mentre le porte della carrozza si aprivano, sul marciapiede delle fermata PO. - Il tempo passa, ma le pessime abitudini della polizia non mutano - disse uno degli uomini, che erano saliti sulla carrozza. - Eric, ma non hai mai sentito le terrificanti storie sul Livello 8?

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- Sono leggende Mattew - rispose Eric, con tono di voce poco convinto - e poi, tu non hai mai sentito le leggende, riguardanti il carcere di Londra? - Vorrei tanto denunciarvi! - disse l’uomo che curava l’ubriaco, ancora k.o. per il colpo ricevuto. - Vuole, forse, andare a fare prelievi al carcere, nel reparto infettivi? ringhiò Eric, dopo aver notato la spilla olografica, che segnalava la sua appartenenza all’ordine dei Medici del Regno Unito. In quel momento, le porte della carrozza si aprirono sulla Stazione Centrale, facendo comparire le infinite e deserte rampe di scale mobili. - Ma la nostra uniforme non è sufficiente, per passare inosservati? - chiese Mattew, mentre cominciavano a salire dalla rampa. - Per alcuni giorni, la nostra faccia sarà troppo popolare, per poter andare in giro - rispose Eric, mentre cominciavano ad apparire le luci della grande sala della stazione - anche con questa copertura. Mattew annuì, guardando un gruppo di supporters del Glasgow Rangers che, infagottati nelle sciarpe olografiche della loro squadra di calcio, scendevano verso i treni. - Dovremo attraversare il salone centrale della stazione, per arrivare agli ascensori per il livello 8. Quindi, mi raccomando: calma e sangue freddo disse Eric, mentre le scale mobili li facevano risalire, pigramente, verso la luce. - In questo momento, non si riescono a scorgere, né la cima né il fondo della scala pensò Mattew, cercando di trovare la cosa interessante o divertente. Quando scesero dalla scala mobile, videro un signore che inseriva una moneta in uno schermo del video giornale. Pochi secondi dopo, apparvero le loro due fotografie. “50 MORTI PER UNO STUPIDO SCHERZO!“ - Sentenziava il titolo, che campeggiava sullo schermo “DUE COMPLICI SI SONO GIÀ COSTITUITI”. - Ma le due menti del piano sono ancora in libertà - disse Eric, mentre inforcava un paio di vecchi occhiali da aviatore del XX secolo. - Mettili anche tu - disse Eric, passandone un altro paio a Mattew - forse riusciranno a nascondere quella tua espressione cadaverica. Mattew indossò quegli occhiali a goccia, con la tipica movenza dell’automa che si era, oramai, impossessata di lui. - Chi frequenta la stazione a quest’ora, per fortuna, è più interessata alle magiche polverine bianche che alle notizie di stretta attualità - disse Mattew, guardando la grande hall della Stazione Centrale. In quel momento, dall’altra parte della grande sala, fecero la loro comparsa le divise rosso-azzurre degli uomini della Sicurezza Nazionale Britannica. Mattew si irrigidì. - Calmati, non possono averci riconosciuti da così lontano - disse Eric andiamo di qui.

Cercando di non dare troppo nell’occhio, si avvicinarono ad un ascensore di servizio. Eric tolse la piccola grata ed iniziò a maneggiare sui comandi. - Questa era la specialità di Tom, quel maledetto traditore! - imprecò Eric, mentre staccava due cavetti e tentava di metterli in contatto. Nel frattempo, l’arrivo degli agenti della Sicurezza Nazionale aveva causato un fuggi fuggi generale, fra i vagabondi ed i balordi che stazionavano nel salone. Due agenti si avvicinavano ad Eric, che non era ancora riuscito a far aprire le due paratie dell’ascensore. - Stanno arrivando - disse Mattew, sottovoce, mentre il terrore cominciava ad attanagliare ogni suo muscolo. - Qualcuno ha cercato di forzare il pannello - esordì Eric, con voce ferma, quando si girò per cercare di giustificare il suo tentativo di scasso. - Con tutti i balordi che circolano qui dentro, può accadere anche questo disse il più anziano dei due poliziotti. - Mai balordi, come quei due dell’aviotaxi - ribatté Eric, cercando di attirare l’attenzione dei due miliziani lontano da Mattew, i cui nervi si stavano avvicinando ad una situazione critica. I due bobbies annuirono all’unisono. - Cos’ha il tuo collega? - chiese, ancora, il poliziotto anziano, cercando di capire cosa stesse succedendo a Mattew. Nonostante il suo volto fosse coperto dall’ombra del grande cappello a campana e dai larghi occhiali, Mattew lasciava trasparire un inquietante stato d’animo. - Un suo parente è perito nell’incidente; è molto scosso, - rispose Eric. - Oh, mi dispiace molto; condoglianze! - disse il poliziotto giovane, che si tolse il guanto destro ed allungò la mano verso Mattew. - Grazie - balbettò Mattew che tolse, a sua volta, la mano tremante dal guanto e afferrò quella del “suo collega”. - E’ davvero molto scosso - disse il poliziotto anziano, stringendogli, a sua volta, la mano - ma stai tranquillo! Li prenderemo, quei due bastardi. Mattew annuì, sfoggiando un sorriso spettrale. - Perché non ti fai esentare dal servizio? - chiese il poliziotto anziano. - Ha un fortissimo senso del dovere ed un grande attaccamento a questa divisa - rispose Eric, sostituendosi all’amico. - Lascia fare a me - disse il poliziotto giovane, avvicinandosi al pannello. Dopo che ebbe schiacciato tre pulsanti di colore grigio, il display dell’ascensore si accese, segnalandone l’imminente arrivo. Ti ringrazio - disse Eric - quando avremo terminato la nostra ispezione quaggiù, saremo ben felici di unirci a voi, per ricercare quei due disgraziati. - Le vostre due facce, però, mi sembrano, in qualche modo, familiari - disse il poliziotto giovane. - Non credo, siamo stati trasferiti ad Edimburgo da poco. Sino la mese scorso, eravamo a Glasgow - ribatté Eric, mentre il berretto olografico

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riusciva a nascondere, a stento, il rivolo di sudore che gli scendeva dalle tempie. - Speriamo che nessuno di loro sia mai stato di servizio a Glasgow; sarebbe proprio il colmo - pensò Mattew, fissando la paratia dell’ascensore che si apriva - ancora pochi centimetri e saremo salvi. - Ti invidio, molto. Io sto gelando - disse un terzo poliziotto che li aveva raggiunti, indicando il rivolo di sudore di Eric. - Sarà la rabbia per quello che è successo. - Sei un vero attore consumato - pensò Mattew, che si sentiva divorare dalla tensione. - Certa gente non ha neppure rispetto per le feste - disse il terzo poliziotto. - Oltreché delle persone - disse il poliziotto anziano. - Naturalmente. Ciò era sottinteso - si affrettò a dire l’altro. - I genitori, oggigiorno non riescono più ad educare i propri figli adeguatamente - disse un anziano signore, che si intromise nella discussione. Il bagliore rossastro del mattino si insinuava nella grande sala del Stazione Centrale, creando suggestive scie di luce che anonimi viaggiatori fendevano, passo dopo passo. - Un raggio di luce, proprio come quello - disse l’anziano signore, indicando la luminescenza, che filtrava da un rosone di energia colorata - Quello lanciato dal cannone era, però, mortale. - Anche i raggi del Sole possono essere pericolosi - aggiunse il poliziotto giovane, aggiustandosi il cappello olografico - la luce solare può danneggiare la retina, se viene osservata, direttamente, durante il giorno. - Perché indossate quei vecchi occhiali a goccia? - chiese l’anziano signore ad Eric e Mattew - C’è qualche connessione coi danni della luce solare? - No, è un vezzo; mi fa sentire più autoritario - ribatté Eric, guardando, con acceso desiderio, la porta dell’ascensore. - Ah! Un interessante caso di training autogeno, di autoconvinzione; si potrebbe definire un effetto placebo vitreo - disse, meditabondo, il poliziotto anziano. Il poliziotto, arrivato per ultimo, esplose in una fragorosa risata. - Ma non era una battuta! - pensò Mattew, incrociando lo sguardo del filosofo del placebo vitreo, che lo stava squadrando. - E non dimentichiamo le malattie delle pelle, a causa della luce solare sentenziò il poliziotto giovane, rinfilandosi il guanto che si era sfilato, per stringere la mano a Mattew. - Ora, noi andiamo - disse Eric, deglutendo la tensione che si era accumulata, durante quella discussione da incubo. - Ok, a presto! - disse il poliziotto anziano, facendo un cenno con la mano, mentre i due si avviavano all’ascensore. - Ma un po’ di tintarella non ha mai ammazzato nessuno! - disse, a muso duro, l’anziano signore agli altri due poliziotti.

- Ehi voi due, aspettate! - disse la voce del poliziotto giovane. Mattew ed Eric si fermarono ad un passo dall’ascensore. - Tra un po’, esploderà! - pensò Mattew, sentendo il suo cuore battere all’impazzata. I due amici si voltarono, all’unisono, verso i poliziotti. - Scusate, ragazzi. Mi rendo, perfettamente, conto del fatto che non siano affari miei. Non posso fare a meno, però, di farvi notare che la vostra capigliatura è, decisamente, fuori ordinanza. Se vi becca un sergente, saranno guai grossi. - Ti ringrazio. Volevo proprio usare le forbici laser, questa mattina. Poi, questo allarme improvviso ha scombussolato i miei piani - rispose Eric, la cui tensione cominciava a sciogliersi. - Comunque, lo farò al più presto. - Anch’io - recuperò le corde vocali Mattew, guardando, però, in terra, visto che non riusciva più a sostenere lo sguardo dei suoi interlocutori. - Ma per noi, gente del nord, un po’ di tintarella è un piacere, a cui riesce difficile rinunziare - disse ancora l’anziano signore, sempre più coinvolto in quella stravagante discussione. - Già, quei quattro viziatelli! Hanno scombussolato i piani di tutti noi. Vorrei, proprio, trovarmeli di fronte e guardarli negli occhi - disse il poliziotto giovane, fissando le verdi lenti degli occhiali di Eric e Mattew. - A presto amico! - disse Eric, retrocedendo verso l’ascensore. Il poliziotto li salutò, con un gesto della mano. - Andiamo via da quel gruppo di pazzi! - disse Mattew, lanciando ad Eric uno sguardo allucinato, mentre le paratie dell’ascensore si chiudevano.. - Mamma mia, credevo di morire - disse Eric. - Sembravi così sicuro di te stesso - ribatté Mattew, mostrandosi sorpreso. - Sì, ma a quale prezzo! - disse Eric, asciugandosi il sudore coi guanti olografici bianchi. I due si sedettero in silenzio, sul pavimento dell’ascensore, cercando di recuperare fiato. - Come arriveremo al Livello 8? - chiese Mattew, nel momento in cui la porta dell’ascensore si aprì. - Proseguendo lungo questo corridoio - rispose Eric, indicando l’oscurità che si apriva davanti a loro - si arriva ad un altro ascensore, anche se temo che sia fuori uso. Comunque, anche attraverso la scaletta di emergenza, si arriverà al vecchio deposito delle motrici. - Ma tu, come fai a sapere tutte queste cose? - chiese Mattew, mentre i loro passi risuonavano nella galleria, coprendo il lento e snervante rumore delle gocce che cadevano dal soffitto. - Ho un mini cd rom sulla struttura urbana dell’intera città di Edimburgo rispose Eric, cercando uno spiraglio di luce nella galleria che si apriva davanti a loro - La città, oramai non ha più segreti, per me. - Sei un mago Mister Ferguson - disse Mattew.

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- Aspetta - disse Eric, fermando con un braccio Mattew. Poi tornò dentro l’ascensore e sfilò un pannello, da cui trasse una torcia, con la quale illuminò la galleria. In sottofondo, si sentiva il rumore ovattato e lontano dei treni. - L’idea di andare al Livello 8 mi terrorizza, anche se, spesso, le dicerie popolari esagerano sulla realtà dei fatti - pensò Mattew, guardandosi attorno, per scovare creature d’ombra. Due topi squittirono alla luce e si diedero ad una precipitosa fuga. - Dove hai trovato il programma di queste divise? - chiese Mattew, mentre una goccia di umidità sporca cadeva sulla sua uniforme. - Al mercato nero si può trovare qualsiasi cosa - ribatté Eric ridendo, mentre il cono di luce della sua pila avanzava nella galleria. L’ascensore, come previsto da Eric, non funzionava. Dopo aver sfilato la grata del pavimento, iniziarono la discesa del pozzo. Freddi pioli metallici, arrugginiti dal tempo, li portarono verso il Livello 8. Di tanto in tanto, una zaffata di aria ammuffita segnalava il lontano passaggio di una vettura, mentre scendevano verso quell’inferno tecnologico, che prometteva solo i lontani squittii dei topi. - Chissà, fino quando durerà la lampada? - pensò Mattew, mentre cercava di scorgere qualche particolare nel pozzo oscuro, che si apriva sotto di loro. - Parla Mattew, di’ qualcosa! Altrimenti, mi scoppia la testa! - disse Eric. - Non so, proprio, cosa dirti; il mio cervello è ancora sul tetto del grattacielo - ribatté Mattew, col fiatone, mentre i pioli gelidi della scala gli bruciavano le mani. - Raccontami della battaglia su Giove - disse Eric, mentre il suo respiro affannoso levava una nuvoletta di fiato. Mattew, illuminato da quella richiesta, cominciò a narrare la sua esperienza olografica che lo fece evadere, per un po’, da quella terribile realtà sotterranea. Il tonfo dei piedi di Eric, che toccarono sonoramente il pavimento, lo riportò alla realtà. - Riprendiamo fiato e risparmiamo un po’ la lampada - disse Eric, spegnendo la luce della torcia. I due si sedettero sul viscido ed unto pavimento. - Se solo oggi avessi deciso di non rinverdire il passato e fossi rimasto a giocare, coi miei simulatori di volo - sospirò Mattew. - Ho sempre creduto che certe cose siano scritte da qualcuno, che non conosciamo e poi, io Adam e Tom, sapevamo benissimo dei rischi connessi alle nostre bravate. Nessuno ci aveva obbligato a far “scodare” gli aviotaxi in volo - disse, con amarezza Eric, in quel buio silenzioso come la morte Probabilmente, non vedrò più la ragazza, incontrata l’altra notte alla olodisco. Questo è l’unico vero rimpianto che riesca ad avere, in questo momento.

- Non ho mai apprezzato tanto i rumori, come in questo momento intervenne Mattew - In fondo, il rumore denota vita, è una parte di noi. Solo la fine dell’esistenza porta, con sé, il silenzio assoluto ed immutabile. Poi, Mattew chiuse gli occhi, cercando una luce spirituale in quel buio opprimente, che gli consentisse di vincere la tentazione di far riaccendere la torcia, mentre ogni respiro portava, nei suoi polmoni, un rivoltante odore di opprimente claustrofobia. - Mi spiace anche per tuo padre - sospirò, poi, Mattew - mi ricordo di lui, quando venivo a casa tua e ci dava dei consigli, per i nostri giochi militari. - Almeno tu, hai un buon ricordo di lui! - rispose Eric, le cui lacrime si opponevano alle palpebre, che facevano forza verso il basso, per non riaprirsi. - Perché dici così? - Non vedo mio padre da due anni. Oramai, è un “marziano” a tutti gli effetti. Pensa che, quando gli ho detto che mia madre era fuggita col suo miglior amico, ha ribattuto che era meglio così, piuttosto che vederla fra le braccia di uno sconosciuto. Non era dispiaciuto, neanche un po’. Quelle notizie fecero calare il silenzio nel buio. - Mi dispiace di averti perso di vista, per così tanti anni - ritrovò la forza di parlare Mattew che cercava, in ogni pausa fra le parole, di sentire qualche rumore che lo facesse sentire vivo - Eravamo cresciuti insieme ed io, ad un certo punto, sono sparito. - Inseguivi il tuo sogno! - rispose Eric - Adesso riapro gli occhi e mi risveglio nel mio letto - pensò Mattew - e scopro che questa notte è stata un lungo incubo. Il buio continuava, però, ad avvolgerlo. - Si dice che il miglior modo, per esorcizzare la paura, sia parlare di ciò che si teme - disse Mattew, ascoltando lo squittio di un topo. - Vuoi parlare delle leggende del Livello 8? - Sì - rispose Mattew. - Mentre scendevamo, mi son ricordato delle voci, riguardanti sacrifici di bambini rapiti, gare di freccette su persone vive, esperimenti medici su cavie umane. - Oggi, per noi, c’è l’inferno ovunque, caro Mattew: in cielo, in terra e nel sottosuolo. Ora andiamo - disse Eric, riaccendendo la torcia in direzione della lurida galleria, che attendeva di ingoiarli. Un fuggi fuggi di topi, accompagnò la loro partenza. - Sono contento che tu mi sia ancora amico - disse Mattew, afferrando il braccio di Eric. - Ne usciremo, vedrai e, soprattutto, lo faremo insieme - rispose Eric, battendogli una mano sulla spalla. - Chissà, se il deposito sarà più spaventoso alla luce oppure al buio? - disse, sorridendo, Mattew. Eric sorrise, a sua volta. Poi spense e riaccese la luce, come per tentare l’esperimento. Dopo questo intermezzo spiritoso, i due

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ripresero a fendere il buio. Terminata galleria, arrivarono finalmente nel deposito. Un’officina, grande quanto un campo da calcio, si apriva al loro sguardo. Decine di motrici e vagoni, dai colori sgargianti, anche se oramai ricoperti dallo sporco e dalle ragnatele, fissavano l’oscurità coi loro fari spenti. - Entriamo, sto morendo dal sonno! - disse Eric, indicando la motrice che si trovava vicino a loro. Phoenix era il nome stampato sul suo fianco, accompagnato dal logo di un di un uccello, formato da migliaia di puntini grigi. - Lo stesso nome dell’aviotaxi ! - pensò Mattew, con un tuffo al cuore Con un calcio ben assestato, Eric fece crollare il portello di entrata. Sui sedili, di plastica consumata, dei macchinisti, ebbe termine, in termini biologici, quella terribile giornata. Il sonno li sorprese, su quel freddo giaciglio di fortuna. - Ottima carne da riciclo! - eruttò una voce rauca, nascosta da un accecante raggio luminoso. - Quanto varranno i reni di quello biondo? - chiese un’altra voce, mentre Mattew fendeva il sottile ed impalpabile velo che separa il sonno dalla realtà. Con una gomitata tentò di risvegliare Eric, mentre uno dei due uomini sguainava un enorme coltello. Eric, però, non dava segni di vita. - Adesso, vediamo cosa possiamo recuperare dal vostro pancino - disse l’uomo col coltello, avvicinandosi e lanciando una risata terrificante. Eric si alzò di scatto, colpendolo al basso ventre, mentre Mattew, dopo un momento di incertezza, afferrò il coltello caduto e, con un lancio perfetto, centrò l’altro uomo alla gola. La lama trapassò la carne, inchiodandolo alla paratia di plastica, mentre il sangue cominciava a zampillare dalla sua carotide e l’uomo, percorso da sussultanti fremiti e la bava alla bocca, cercava di articolare parole senza senso. - Prendi la torcia! - urlò Eric, mentre, con un preciso calcio al costato, rendeva definitivamente inoffensivo l’altro “ladro di organi”. Quando uscirono dalla motrice, videro la luce di alcune torce provenire dalla galleria, da cui erano arrivati. - Di qua! - disse Eric, cominciando a correre lungo la rotaia dove riposava la Phoenix. - Prendeteli, stanno scappando di qua! - urlò l’uomo che Eric aveva messo k.o. Le sue parole fecero scattare i suoi compagni come molle. L’eco della corsa degli uomini, che correvano verso di loro, rimbombò nella grande officina abbandonata. - Avremmo dovuto uccidere anche lui! - pensò Mattew - anche se, per oggi, credo di aver già ucciso abbastanza.

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I nomi delle motrici, avvolte nei loro colori sgargianti e sfumati dal sudiciume, sfrecciavano davanti ai loro occhi, apparendo e sparendo nella luce tremolante della torcia. EAGLE, SWAN, CROW, APUS, DERRICK, PAVO, TUCANA, FLY, li guardavano fuggire dai predatori di organi. - Seguendo la rotaia, dovremmo arrivare alla Linea 12 - ansimò Eric, con voce rotta dallo sforzo fisico, quando uscirono dall’officina. Mattew, frattanto, si era portato davanti ad Eric, per sfruttare meglio la luce della sua torcia. Le torce del rumoroso esercito che li braccava da vicino, si preannunziavano, però, sinistramente vicine. - Di qua! - ordinò Eric, illuminando la biforcazione sinistra della galleria. Un coltello, lanciato dalle tenebre, passò fra i due amici, andando a rimbalzare, rumorosamente, contro la parete alle loro spalle. I due ripresero a correre affannosamente. A un tratto, Eric mise un piede in fallo, in una buca occultata dall’oscurità. Un urlo strozzato segnalò l’evento a Mattew, che si trovava alcuni metri avanti a lui. Quando si girò per andare ad aiutarlo, vide due uomini uscire da una paratia di sicurezza e trapassargli il petto, con un lungo coltello. - Scap... - riuscì appena a mormorare Eric, prima che le parole si gelassero nella sua gola. Lo sguardo fisso ed immobile dei suoi occhi azzurri lo fulminò, mentre scendeva inanimato verso il ferro arrugginito della rotaia. Mattew capì, subito, di non poterlo più aiutare e, dopo alcuni interminabili istanti, le sue gambe lo spinsero lontano da quelle creature degli abissi ferroviari, che correvano verso di lui. Una luce fioca e lontana lo guidò verso la salvezza; corse, a perdifiato, con lo sguardo fisso, come se fosse in trance, riuscendo, solamente, a pensare di correre il più velocemente possibile. Quando sentì lo sferragliare dei treni, uscì dalla sua autoipnosi e trovò il coraggio per voltarsi, per guardare verso i suoi inseguitori. - Li ho seminati! Forse è finita! - pensò, iniziando a salire i pioli metallici della scaletta di emergenza, che aveva di fronte - Ma Eric, mio Dio... Ora aveva il tempo anche per piangere. Terminata l’ascensione della scaletta, giunse al marciapiede di emergenza e, di lì, corse fino alla più vicina fermata. Dopo aver cambiato due linee, prese la 23, quella per Liverpool. In quegli interminabili momenti di paura, la sua mente aveva partorito un’idea: voleva scendere alla fermata di Barrow e, da lì, raggiungere l’Isola di Man.

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CAPITOLO VIII: LA GIUSTIZIA OLOGRAFICA

Quando decise di muoversi, una forza invisibile lo bloccò, impedendogli qualsiasi movimento. - Un laccio energetico - pensò Mattew, realizzando che la sua corsa era finita forse è meglio così, o almeno è bello crederlo. Dopo quel pensiero, uno strano ghigno si impossessò del suo viso. Poi, una mano si posò, con forza, sulla sua spalla, mentre un’altra gli attorcigliò il braccio, dietro alla schiena. - Suo padre aveva ragione, dicendo che lo avremmo trovato qui - disse la voce greve del poliziotto. - Patrick Mc Leyl, ti odio - riuscì ad urlare al mare, mentre lo stavano portando verso una macchina a reazione, e scoppiava in un pianto liberatorio.

“LA VIA DI FUGA”, era il nome del gioco elettronico col quale, quando era piccolo, trascorreva intere giornate. Mentre le luci si susseguivano, fermata dopo fermata, ricordò un giorno di Natale, in cui aveva giocato una partita memorabile con suo padre Suo padre, quel giorno, aveva impersonato un terribile killer, all’inseguimento di un testimone chiave di un processo. Il testimone, cioè lui, era riuscito a seminare il suo mortale nemico nel metro, e poi si era diretto al porto di quella cittadina di mare dell’Inghilterra centrale. Una volta giunto lì, era riuscito a rubare una barca a motore, e si era rifugiato sulla splendida isola del Mare d’Irlanda. - Una delle poche volte, in cui mio padre abbia trovato il tempo per giocare con me pensò Mattew, guardando un gruppo di passeggeri che, pur ignorandolo, si manteneva a debita distanza dalla sua uniforme. - Speriamo che questa copertura regga, ancora per un po’ - pensò Mattew, attaccandosi alla maniglia della vettura, per compensare lo strappo dell’ennesima partenza - È un vero peccato che laggiù abbia perso gli occhiali, e ho anche lasciato a casa il dischetto degli occhiali olografici. Laggiù... ho anche lasciato il mio miglior amico che mi ha aiutato sino alla morte. Meritavo io di fare quella fine orribile. Amare lacrime cominciarono a solcargli il viso. L’aria frizzante del dopo temporale lo accolse, all’uscita del metro. Con passo spedito, passò davanti a due poliziotti della Sicurezza Nazionale, che lo salutarono con un cenno, notando la sua uniforme olografica sudicia ed il suo aspetto trasandato. Mentre ricambiava il saluto, li vide parlottare fra di loro. - Devo cercare di assumere un aspetto accettabile - pensò, dirigendosi verso i bagni pubblici del porto, dove fece scorrere un po’ d’acqua sulla divisa, che si asciugò immediatamente. - È una vera fortuna che gli abiti olografici si asciughino istantaneamente - pensò, guardando nello specchio incrostato del bagno la sua faccia, segnata dagli avvenimenti delle ultime ore. Quando uscì, guardò il mare che stava sciogliendo sue le increspature, nella tiepida brezza primaverile. - Questa notte partirò per l’Isola di Man. Come vorrei che Eric fosse qui, per consigliarmi e aiutarmi! pensò, con un tuffo la cuore - Ma cosa farò, una volta arrivato laggiù? - si domandò - Non riesco proprio ad immaginare quale tipo di vita mi attenda; sempre che io riesca ancora ad avere una vita, diversa da quella di un vegetale, dopo tutto quello che ho visto e combinato... L’ultimo sguardo di Eric ancora gli baluginò davanti, ed una lacrima prese a solcargli il viso, fino a quando uno sbuffo di vento la sollevò in aria, portandola verso il mare.

Il fitto brusìo della sala fu zittito da un lampo di luce, che annunziò l’arrivo del Pubblico Accusatore della Corona che, da Londra, avrebbe condotto la terribile accusa nei confronti di Mattew, Tom, Adam ed Eric (quest’ultimo era stato dichiarato contumace, visto che il suo corpo non era stato rinvenuto e che le asserzioni di Mattew non erano state credute). Li avrebbe, infatti, accusati in base al General Murder, il peggior istituto del diritto penale britannico. Il Pubblico Accusatore olografico tratteggiò la figura dei quattro colpevoli, con parole dure e sprezzanti. - Una gioventù marcia, senza valori ed ideali, sempre alla ricerca di emozioni forti, anche a costo di mettere in pratica giochi pericolosi - disse, dal suo scranno di legno massiccio e reale - Per individui di questo tipo - proseguì l’ologramma, con grande foga ed accanimento - è necessaria una punizione esemplare, per far capire ai loro coetanei, ed a quelli che si affacceranno in futuro alla ribalta della vita, di non seguirne l’esempio. Il Pubblico Accusatore continuò la sua terribile requisitoria contro i quattro ma, non essendo presente in aula, aveva costantemente mosso il suo indice accusatore verso la Giuria, creando uno strano effetto. - Ci sarebbe da ridere, se soltanto ne avessi la forza - pensò Mattew - considerando, soprattutto, il fatto che anche la Giuria non è reale, per motivi di sicurezza. Questo è, infatti, un processo di classe 1A e sarei curioso di sapere quale minaccia rappresentiamo, per giustificare una tale misura. “La legge, a volte, al di là di quanto sta scritto sui Codici rom, dovrebbe prevedere anche il buon senso. L’arringa degli avvocati delle parti fu appassionata. Mattew fu patrocinato dall’Avvocato Steiner, un giovane principe del foro, che suo padre aveva pagato profumatamente e a cui aveva demandato anche la presenza in aula, visto che lui non si era presentato. - Ha pagato quest’uomo per una questione di facciata. Non si può lasciare un figlio nelle “grinfie” della giustizia, senza l’adeguata difesa, che la legge vuole veder assicurata a ciascuno. I suoi colleghi ed i suoi superiori ne avrebbero tratto una pessima impressione -

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pensò Mattew, osservando il suo avvocato, che cercava di sminuire le sue responsabilità - È incredibile, è la prima volta, in questa settimana, che mio padre occupa la mia mente. L’Avvocato Steiner si produsse in un’ottima difesa, facendo leva sul disagio giovanile. - Le cause di questa insoddisfatta inquietudine - disse - affondano nelle carenze della società di cui, in definitiva, sono responsabili tutti, compresi gli adulti che tanto si lamentano delle bravate di questi giovani, i quali potrebbero essere anche loro figli. Un brusio di disapprovazione si levò nell’aula, al suono di quelle parole, obbligando lo Judex Primus a richiamare il pubblico. Steiner, poi, parlò dell’esistenza di Mattew, segnata dalla precoce scomparsa della madre, un avvenimento che aveva condizionato in maniera indelebile la sua esistenza, lasciando in lui carenze affettive notevoli. Poi, focalizzò l’attenzione dei giurati sulla cocente delusione, causatagli dalla recente bocciatura all’Accademia. Affermò, inoltre, che le responsabilità di quella sera andavano ulteriormente riconsiderate, alla luce di due considerazioni: la prima era che il suo assistito non era completamente lucido, a causa dell’alcool ingerito e dall’eccitazione da branco che aveva pervaso lui ed i suoi compagni, in quella giornata trascorsa fra stadi, birrerie e olodisco La seconda considerazione si basava sul fatto che il suo assistito era maggiorenne, nel momento in cui aveva commesso il reato, da solo cinque ore. - Come si può stabilire una differenza abissale di pena, per solo cinque ore? - chiese l’avvocato alla platea, allargando le braccia con un gesto teatrale L’equità e la stessa idea del diritto si oppongono ad una siffatta prospettiva. Grazie a queste parole, davvero toccanti, milioni di persone, che si erano collegate alla Rete per seguire il processo, furono partecipi delle vicende di Mattew, provando per lui un po’ di compassione ed alleviando l’odio che si era riversato sulla sua persona. Nonostante avesse ricevuto, nei giorni del processo, alcuni messaggi di incoraggiamento, soprattutto da parte di coetanei, sapeva che, se fosse uscito da quell’aula, lo avrebbero linciato. - TIENI DURO MATTEW - comparve sul mini computer del suo avvocato, mentre questi arringava la platea, alla ricerca di comprensione per il suo cliente. - La compassione non mi interessa - pensò Mattew, incrociando lo sguardo apatico ed olografico di un’anziana giurata - aspetto solo la mia condanna, che sarà una sorta di liberazione. “Gradirei, però, sapere perché si possano la trasmettere in Rete i processi, senza che l’imputato si possa opporre. “Perché tutti devono essere a conoscenza degli affari altrui? - si domandò Mattew, guardando la microscopica luce della telecamera computerizzata che lo riprendeva - Il potere dei media, da oramai due secoli, non guarda più in faccia a

nessuno. Visto che non ci si può opporre ad esso, tanto vale conviverci, cercando di limitare i danni. Come, però? “E poi, perché la gente gode tanto nel vedere le disgrazie altrui? Forse, perché sono così reali, in questa società, dove nulla sembra essere tale? “No, a ben vedere, anche in passato la gente accorreva a vedere i condannati sulle forche, vomitavano addosso a loro insulti e, in quel periodo, non esistevano né computer, né ologrammi. “La folla, la massa informe e anonima aveva solo bisogno, oggi come allora, di sentirsi diversa e migliore, di innalzarsi su un piedistallo che li elevasse al di sopra di qualcuno, del condannato che, probabilmente, neppure conoscevano. Magari, non sapeva il motivo per cui si trovava sulla forca; però gli sputava in faccia. Mentre questi pensieri turbinavano nella sua mente, terminò l’arringa dell’Avvocato Steiner e iniziò quella dell’Avvocato Obich, che difese l’imputato Eric Ferguson, dichiarato contumace. - Difende la persona, che ho visto morire davanti ai miei occhi, anche se nessuno mi ha creduto - pensò Mattew, trattenendo a stento le lacrime, mentre guardava l’immagine olografica della Giustizia bendata, coi due piatti della sua bilancia, in sospensione sopra l’aula. L’arringa dell’avvocato Obich seguì, molto da vicino, quella di Steiner. - Suo padre avrà ingaggiato l’avvocato per difendere la memoria del buon Eric? - si domandò Mattew - Oppure l’avrà fatto per difendere il buon nome della famiglia ? “Sarà, almeno lui, convinto della morte di Eric? “Avrà, almeno lui, ancora fiducia in quello che dico? “Oppure, nessuno mi crede più? Il Tenente George Ferguson, che per fortuna non era stato degradato per la bravata del figlio, non avrebbe mai potuto rispondere alle sue domande. Non aveva potuto abbandonare il suo incarico su Marte, poiché doveva sovrintendere a importantissime operazioni legate all’abbandono del “Progetto Rosso”. Almeno, così aveva detto. - Povero Eric - pensò ancora Mattew, mentre continuava l’arringa olografica dell’Avvocato Obich dal suo studio di New York - non riuscirò mai a dimenticare il modo in cui mi avevi tratto dagli impicci, quella domenica mattina. E tutti quegli sforzi hanno portato come, unico risultato, alla tua terribile morte. Mattew abbassò gli occhi, per non regalare alla telecamera quei momenti di dolorosa intimità. Nel secondo giorno del processo, la parola passò agli avvocati Jones e Dow, che dovevano difendere i “due martiri” del processo: Adam e Tom. Quei due bravi ragazzi, trascinati alla perdizione dalle menti malvagie di Eric (che oramai non poteva più difendersi) e di Mattew, che li avevano spinti a partecipare a quella bravata ed e far loro da spalla, in quel gioco di morte. - E le altre volte, in cui avevano sparato, quando io non c’ero? Come avrei potuto spingerli a compiere quegli atti ? Con la sola forza del pensiero? - si chiese Mattew, mentre l’avvocato Jones si infervorava nella difesa dei due, che non lo

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