Spread Music - Diffusione digitale di contenuti musicali

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"Somebody was trying to tell me that CDs are better than vinyl because they don't have any surface noise. I said, 'Listen, mate, life has surface noise'." John Peel




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Introduzione

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Premessa

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Breve viaggio nella storia della musica tra analogico e digitale

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Dagli albori della musica analogica all’avvento del digitale

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La rivoluzione digitale e la nascita dei distributori digitali

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Effetto streaming: cosa Ѐ cambiato

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Piattaforme di streaming

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Ripercussioni dello streaming sul mercato musicale

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Digital music marketing: alcune considerazioni ed approcci

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Il cambiamento delle abitudini di ascolto

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Music Branding, storytelling e approcci non convenzionali

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Piattaforme di self-publishing

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Vynil (still) rocks

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SPREAD MUSIC

Case studies Spread Project

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Conclusione

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Bibliografia e sitografia


INTRODUZIONE Vi piace ascoltare musica? Sicuramente sì. A tutti noi piace farlo perché, oltre che un’arte ed una scienza, la musica rappresenta un’esperienza emotiva ed una metodologia espressiva che fanno parte dell’uomo e ne caratterizzano la cultura. Ma il modo in cui la produciamo ed ascoltiamo è diverso rispetto a quindici, dieci o cinque anni fa; viviamo in un’era di elevato progresso tecnologico in cui il nostro pc può sostituire degnamente uno studio di registrazione, oltre a contenere più brani di quanti non ne abbiano mai registrati i nostri genitori su cassetta da ragazzi. La maggior parte di noi non rimpiange i tempi in cui si consumavano i vinili e si puliva la polvere dal dorso dei cd, ma si ricorda facilemente di quando abbiamo ripescato felici in Rete qualche vecchio pezzo; Internet ci dà la possibilità di riconoscere al volo canzoni di cui conosciamo il motivo senza sapere chi le ha scritte, e di avere la sensazione di conoscere, seppure superficialmente, molti più artisti. Non serve aver studiato il pensiero del filosofo Gianbattista Vico per cogliere i corsi e i ricorsi storici che si celano dietro i recenti sviluppi del mercato musicale: le sette note e il progresso tecnologico si sono incontrati (e scontrati) spesso nel corso degli anni e senza l’invenzione del fonografo nel 1877 il concetto stesso di musica registrata non sarebbe forse mai esistito. L’atto stesso di spostare un’arte comunicativa astratta su di un livello fisico ha significato automaticamente la sua mercificazione e la conseguente nascita di un modello di business vero e proprio. Molti fattori influenzano l’Industria Musicale: fattori di domanda come la crescita/decrescita demografica, il tempo libero dei consumatori, la loro domanda relativa alle attività nel tempo libero e la loro capacità di spesa, fattori di offerta come la disponibilità, lo sviluppo e il marketing di nuovi contenuti, le barriere all’entrata, strutture e segmenti industriali (in particolare sistemi di distribuzione) ed infine tecnologia e nuovi formati. Ma mai come negli ultimi anni il settore si è trovato di fronte a un «nulla sarà più come prima» di questa portata. Una rivoluzione, appunto. 6


Citando Gianni Sibilla, «l’industria estende il proprio dominio su entrambi i poli della comunicazione musicale: gli artisti-produttori e gli ascoltatori-riproduttori, facendo da mediatore comunicativo e tecnologico»1; in particolare ad esser cambiati sono quei due lati della stessa medaglia dove i confini sono sempre più sfumati: come la musica si mescola agli altri media e come essa influenza e viene influenzata dall’suo che ne fanno le persone. Un settore per molti versi oscuro, in particolare da quando molte compagnie hanno aperto a privati la possibilità di distribuire un proprio prodotto audio (singolo, album o EP) anche senza un contratto discografico con un’etichetta (major o indie che sia). Il mercato della musica lanciata su iTunes, Amazon MP3 e siti simili da artisti unsigned si è moltiplicato a dismisura nel corso degli anni e oramai l’era digitale ha portato top artists a rinunciare al supporto finanziario della major e a iniziare un percorso personale di distribuzione e promozione senza per forza cercare una label o fondarne una propria. Ecco perché le dinamiche di cui andremo a trattare in questo testo saranno quelle di coloro che, nel mondo musicale, hanno lasciato o stanno lasciando un segno profondo a livello di marketing. Obiettivo di questo percorso è guardare alla musica nella sua accezione più vicina al concetto di produzione e di mercato, per realizzare un’analisi sulla distribuzione digitale di contenuti, in particolare musicali, ed evidenziando le contaminazioni artistiche tra musica, arti visive e comunicazione di massa in quest’ era dei contenuti “liquidi” e dispersi. Per far ciò si è deciso però di partire da una panoramica di base su come la musica è diventata digitale e ha iniziato a essere commercializzata senza l’ausilio di un supporto fisico. In particolare il primo capitolo si concentra sul resoconto sintetico dell’evoluzione della musica registrata fino

1 G. Sibilla - Musica e media digitali. Tecnologie, linguaggi e forme sociali dei suoni, dal walkman all’iPod - Milano, Bompiani, 2010 SPREAD MUSIC

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all’analisi dell’era Pre-Napster, chiamata Dot-com bubble2: dall’invenzione dell’MP3, alla creazione degli e-store di musica digitali e al loro successo commerciale dopo il boom planetario del modello Napster che ha rappresentato un passaggio fondamentale per la migrazione al modello iTunes nei primi anni Duemila. Si proseguirà soffermandosi sulle dinamiche che dagli anni Novanta in poi hanno portato al cambio di paradigma nei modelli di business (non solo in ambito musicale) per far fronte a situazioni di mercato sempre più instabili e complesse generate dal fatto che la globalizzazione veniva favorita dalle forti innovazioni tecnologiche, come l’accesso diffuso ai personal computer ed internet che semplificavano e favorivano le interazioni e la diffusione di informazioni e contenuti. In questo scenario assume particolare rilevanza il fenomeno dello streaming, che rendendo disponibile in qualsiasi luogo e momento la fruizione di contenuti musicali e la loro condivisione, ha da un lato sminuito il valore intrinseco del prodotto mentre dall’altro ha accentuato – anche ai fini di marketing – il valore emotivo dello stesso, in un contesto in cui la creatività della società e delle comunità postmoderne si esprime con la condivisione di queste emozioni attraverso dei rituali e facendo uso di codici, gerghi, simboli etc. L’ultima parte di questo percorso sarà infatti dedicata all’elaborazione di una strategia di comunicazione accompagnata al design di un brand che si proponga di valorizzare l’aspetto inclusivo e sociale della musica liquida, ponendosi come obbiettivo la diffusione di contenuti più o meno “di nicchia” ma egualmente considerati qualitativamente rilevanti, attraverso differenti metodologie di broadcasting che possonno variare dall’utilizzo di quelle piattaforme digitali connesse alla Rete ad alcune più vicine alla riproduzione analogica e/o dal vivo con la finalità di delineare una concezione sostenibile di consumo musicale.

2 La Bolla delle Dot-com (in inglese Dot-com Bubble) è stata una bolla speculativa sviluppatasi tra il 1997 e il 2000 (ovvero quando l’indice NASDAQ, il 10 marzo 2000, raggiunse il suo punto massimo a 5132.52 punti nel trading intraday prima di chiudere a 5048.62 punti).

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Premessa Durante la stesura del presente testo si è osservata la situazione di riferimento da alcuni punti di vista - mediatico, tecnico e culturale – che secondo l’autore hanno contribuito a delineare un panoramica sufficientemente dettagliata dell’argomento ai fini accademici. Proprio per rispettare la natura accademica del lavoro, e, si è ritenuto opportuno rifarsi anche a studi di mercato di settore come i report di organismi quali IFPI3, RIAA 4, FIMI5 per basarsi su dati autorevoli circa l’ambiente di business; riguardo ai testi che si troveranno citati, ve ne sono alcuni riguardanti il marketing – ritenuti necessari per addentrarsi nelle dinamiche basilari all’interno delle quali si va ad operare – ed altri di natura specialistica riguardanti in particolar modo l’evoluzione dell’industria musicale, ma anche degli strumenti e medium di diffusione della musica. Dal punto di vista del design, verranno in seguito analizzati alcuni casi studio ritenuti rilevanti per la propria innovatività e/o per l’impatto mediatico che hanno rappresentato; vista la scarsità di testi attualmente editi focalizzati in questo senso, molte informazioni sono state raccolte attraverso il Web da media e piattaforme di distribuzione – quali Wired, BillBoard, Pitchfork, Mass Appeal, Vice 6 – dedicate al settore musicale. Infine, si è ritenuto opportuno raccogliere in appendice quei contenuti (prevalentemente di natura tecnica) non legati al design ed alla comunicazione e quindi non indispensabili ai fini della ricerca, ma comunque interessanti per una più completa comprensione delle dinamiche legate alla distribuzione digitale di contenuti musicali.

3 International Federation of the Phonographic Industry (Federazione Internazionale dell’Industria Fonografica), organizzazione che rappresenta gli interessi dell’industria discografica a livello mondiale. 4

Recording Industry Association of America

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Federazione Industria Musicale Italiana

6 Società di media e contenuti localizzate in una o più nazioni comprendenti testate giornalistiche, piattaforme di distribuzione digitali ed anche etichette discografiche come nel caso di Pitchfork e Mass Appeal. SPREAD MUSIC

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BREVE VIAGGIO NELLA STORIA DELLA MUSICA TRA ANALOGICO E DIGITALE Nonostante manchi gran parte della storia della musica antica, il Novecento e gli anni del nuovo millennio rappresentano un interminabile hard disk relativo al mondo musicale, e questo perché negli ultimi 100-150 anni il progresso tecnologico ha avuto un’accelerazione senza paragoni. In pochi decenni sono nati la maggioranza dei nuovi generi musicali di cui siamo a conoscenza e il mercato ha assunto un ruolo essenziale nella produzione di strumenti e mezzi. Anche il modo di ascoltare la musica – come vedremo in seguito in maniera più approfondita – ha subito un’evoluzione uguale e parallela. Possedere una radio grande come un attuale televisore da 15 pollici e tenerla in casa voleva dire prestigio, serate in famiglia ad ascoltare il notiziario sul divano e un oggetto di culto simile ad un soprammobile di cui andare fieri. Così dal giradischi di nostro padre, che forse ancora teniamo in salotto, si è arrivati a dispositivi sempre più potenti e sempre più piccoli, quasi da perdersi nelle borse, dopo aver passato un periodo in cui le tasche delle giacche erano sformate a causa dei grandi lettori CD che hanno segnato buona parte della generazione pre-iPod.

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DAGLI ALBORI DELLA MUSICA ANALOGICA ALL’AVVENTO DEL DIGITALE 12 agosto 1877. In una stanza di un’abitazione nel Newark, nello Stato del New Jersey, un Thomas Edison all’alba dei trent’anni realizzava nel suo diario il primo schizzo a mano di un marchingegno complicato, costituito da un rullo d’ ottone sostenuto da un asse filettato. Alcuni mesi dopo, nonostante lo scetticismo dei suoi collaboratori, Edison annunciava l’invenzione del cosiddetto fonografo, dando una dimostrazione pratica del primo vero strumento pensato e realizzato per registrare e riprodurre il suono1. La registrazione e la riproduzione sonora legarono indissolubilmente la musica in quanto forma d’ arte ad un’attività economica di tipo industriale: la discografia. Prima del nostro anno zero, in cui il fonografo cambiò le regole del suono, la musica era relegata a una forma scritta comprensibile solo a pochi, tra le righe di uno spartito, o esisteva solo nell’atto della sua esecuzione. Poi, l’opera musicale assunse Fonografo del 1897

una forma materiale; il giornalista ed esperto di musica digitale Gianni Sibilla definisce questo come il primo grande periodo tecnologico della musica, quello appunto analogico2. Dopo il fonografo di Edison del 1877 e il grammofono di Berliner del 1887, i media di inizio Novecento divennero un valido alleato per inserire questa forma d’arte all’interno di un contesto più legato a una forma di business. Lo sviluppo tecnologico che ha caratterizzato il periodo dalla rivoluzione industriale ai primi anni del Novecento fece sì che le imprese, come anche i consumatori, si evolvessero nel mercato, motivo per cui la comunicazione assunse valenza strategica. Dal 1920 iniziò a farsi strada con forza la diffusione della musica via radio, alternata in maniera sempre più costante ai notiziari che trasmettevano informazione. Ciò fu possibile grazie agli esperimenti volti alla trasmissione di contenuti sonori fruibili in tempo reale, condotti alla fine del XIX secolo da grandi personalità scientifiche

1 La data è indicata tra gli altri nel sito America’s Story, progetto della Library of Congress degli USA. Fonte: http://www.americaslibrary.gov/jb/recon/jb_recon_phongrph_1.html 2 G. Sibilla - Musica e media digitali. Tecnologie, linguaggi e forme sociali dei suoni, dal walkman all’iPod - Milano, Bompiani, 2010

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dell’epoca come Nikola Tesla, Julio Cerbera e Guglielmo Marconi. Quest’ultimo fu il primo, nel 1920, a trasmettere il primo regolare servizio radiofonico della storia, per due ore consecutive al giorno, per un periodo di due settimane. In breve tempo, la radio si diffuse in maniera così rapida che negli Stati Uniti già nel 1922 si contavano ben 187 stazioni, un pubblico in grande crescita ed un numero di ricevitori funzionanti che alla fine di quell’anno toccò quota 750 mila. Nel 1922 venne fondata, in Gran Bretagna la più antica radio del mondo tuttora esistente: la BBC. Si trattò della prima radicale innovazione nelle comunicazioni di massa dopo l’invenzione della stampa e conobbe subito un grandissimo successo, soprattutto in America e in Europa. Come sempre accade, la tecnologia, una volta messa a punto, generò nuovi contenuti, linguaggi, immaginari, ed anche produttori e prodotti, consumi e consumatori. Proseguendo su questa scia, che vide nel frattempo la crescita

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delle esibizioni di musica dal vivo in locali, piazze, scuole e teatri, l’industria musicale iniziò ad avvicinarsi alla sua accezione più moderna solo nel secondo dopoguerra, con la vasta diffusione di jukebox e di altri supporti domestici, che portarono realmente la musica all’intero delle vite private degli individui. Il secolo scorso fu protagonista dell’ascesa di alcuni magici oggetti che hanno portato la musica nel cuore delle persone. Il disco in vinile, elegante ma al tempo stesso dall’aria sporca, fu ufficialmente introdotto nel 1948 dalla Columbia Records negli Stati Uniti d’America come evoluzione del precedente disco a 78 giri, dalle caratteristiche simili, realizzato in gommalacca; si è poi evoluto in diversi formati di vario diametro a 33 e 45 giri.Fino agli inizi degli anni Quaranta, le copertine dei dischi erano però tutte identiche e «il modo in cui si vendevano i dischi era ridicolo». Ad affermarlo fu Alex Steinweiss, il graphic designer “inventore” delle copertine dei dischi in vinile, scomparso qualche anno fa dopo una vita dedicata al design e all’illustrazione. Dopo essere stato assunto nel 1939 dalla Columbia Records, nonostante gli iniziali dubbi dell’etichetta discografica, Steinweiss ebbe il via libera in qualità di direttore artistico, promettendo un modo originale e accattivante per promuovere le copertine dei dischi3. Così come avveniva per molti prodotti realizzati nei decenni precedenti, per i quali il packaging e l’immagine che si stampava su di essi erano spesso piccole opere d’ arte derivanti dal clima artistico-culturale che si respirava, capitò lo stesso anche per i vinili, in quanto veri e propri prodotti all’interno di una confezione. Passaggio essenziale, questo, all’ interno di un tipico processo di mercificazione: il servizio, l’esperienza, ha alla sua base un oggetto che deve assumere una forma fisica definitiva dai tratti estetici caratteristici con cui presentarsi al consumatore finale.

3 S. Heller. Alex Steinweiss, Originator of Artistic Album Covers, Dies at 94. The New York Times, 19/07/2011

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Domenica 17 Luglio 2011, all’età di 94 anni, si è spento Alex Steinweiss. Creatore di più di 25.000 copertine, l’insieme delle sue opere è stato dipinto dai critici come «musica per gli occhi». Steinweiss cambiò la strategia di marketing nella vendita del disco in vinile, modificando l’anonimo contenitore di color marrone con cui venivano venduti i dischi. L’innovazione di Steinweiss fu subito sensazionale, la Columbia aumentò infatti di 8 volte la produzione dei dischi.

Esempio di packaging moderno per vinile (Awaken, My Love! by Childish Gambino)

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Quando si percepì il bisogno di una fruizione più adatta a una vita in movimento, la forma fisica del prodotto cambiò, ma il concetto di materializzazione dell’esperienza rimase invariato. L’audiocassetta (o musicassetta), introdotta sul mercato nel 1963, visse un lungo periodo di prosperità, dagli anni Sessanta fino a poco prima degli inizi del Duemila. Ma uno stereo era ingombrante e scomodo, così la Sony nel 1979 decise di lanciare il Walkman (letteralmente “uomo che cammina”, un mangiacassette portatile), spingendo ancora di più sull’acceleratore di un cambiamento già in atto. Con la possibilità di registrare ciò che si voleva nei due lati della cassetta, le persone iniziarono inconsapevolmente a creare i primi prototipi di playlist, ponendo le basi di un’era in cui la musica che si ascolta viene scelta e mescolata dal singolo fruitore. Ecco i primi accenni di una creazione personale del prodotto che vedrà la sua forma più completa con l’avvento di tecnologie digitali e software in grado di trasformare gli utenti/spettatori in creatori dalle infinite possibilità. Nonostante la loro lunga vita, le audiocassette hanno visto un declino rapidissimo e sono scomparse senza molto preavviso, inghiottite ovviamente da CD, lettori CD ed Mp3 che il progresso tecnologico ha sfornato in rapida successione nel giro di qualche anno. Il progetto iniziale del CD fu sviluppato e seguito intorno alla metà degli anni Sessanta da due grosse aziende, DuPont e Philips, che unirono le forze per capitalizzare i valori dei rispettivi “giacimenti” di materiali e i vantaggi in campo tecnologico. La joint venture tra le due imprese però non durò a lungo. La DuPont non fu affatto entusiasta dell’idea che il compact disc presentasse tali capacità di memorizzare informazioni: oltre 600 MB di dati e più di un’ora di musica registrabile risultavano davvero alquanto eccessive in confronto alle vere necessità dell’epoca, dal momento che un PC possedeva memorie che non superavano i 20 MB. Un salto troppo azzardato per assecondare un bisogno che ancora non c’era. Inoltre, in termini di abitudini di consumo e fruizione, le persone erano ancora legate al disco in vinile e, almeno per i vent’ anni

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successivi, nessuno ebbe intenzione di sostituire un oggetto così sacro e idilliaco come il giradischi con un costoso lettore CD. Si stava vivendo un’ulteriore accelerazione dovuta all’ innovazione e all’ introduzione di un nuovo mezzo che cambia di nuovo le dinamiche di produzione e distribuzione: la registrazione su nastro viene definitivamente abbandonata, per convertirsi alla religione del CD4. Il CD presentava una fisicità tutta sua rispetto a prima: era distante dall’audiocassetta ed era decisamente più piccolo del vinile. Del resto però la sua forma rimaneva tonda e quindi si è potuto riproporre la copertina quadrata con un’immagine frontale, tipica dei vecchi dischi, che era andata perdendosi con l’audiocassetta; in questo modo si è creato una sorta di collegamento con una preferenza di consumo del passato, correlata principalmente a un attributo fisico del prodotto. La musicassetta e i lettori CD ed Mp3 hanno influenzato molto gli stili di vita e al contempo sono stati essi stessi strumenti nei quali si riflettevano i comportamenti di più culture.

Il compact disk, letteralmente “disco compatto”, è un tipo standardizzato di disco ottico utilizzato in vari ambiti per la memorizzazione di informazioni in formato digitale. Il CD Audio fu il primo tipo messo in commercio nel 1982, concepito per la memorizzazione di flussi audio.

L’Mp3 è una tecnologia digitale per registrare dati audio (un algoritmo di compressione audio di tipo lossy, tecnicamente parlando) in grado di ridurre drasticamente la quantità di dati richiesti per memorizzare un suono, mantenendo comunque una riproduzione accettabilmente fedele dell’originale . Il formato Mp3 è da inquadrarsi nell’attività di ricerca della codifica per i media digitali da parte dei gestori di reti di Telecomunicazioni e aziende del settore durante gli anni Ottanta-Novanta; il progetto prese vita nel 1988 con la costituzione del team di lavoro internazionale coordinato dall’ing. Leonardo Chiariglione denominato MPEG – acronimo di Moving Picture Experts Group - originariamente costituito per la codifica video per apparati di registrazione, e che in seguito si occupò anche della codifica audio. Nel marzo 1992 lo CSELT di Torino (di cui all’epoca Chiariglione era Vice Presidente) mostrò la prima versione funzionante del sistema MPEG-1, sia localmente su un personal computer, che

4 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 25 SPREAD MUSIC

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in rete. MPEG approvò in via definitiva a novembre 1992 lo standard ISO/IEC 11172-3, corrispondente all’MPEG Audio Layer III (questa la dicitura estesa); l’acronimo Mp3 fu ideato nel 1997 via email da un gruppo di addetti ai lavori. L’Mp3 non è l’unico formato di audio digitale esistente , ma ha contribuito drasticamente prima alla diffusione del CD durante gli anni Novanta, e poi a quella dei lettori Mp3; nel 1998 vennero commercializzati i primissimi lettori, uno dei quali fu al centro di una causa legale tra la RIAA e il produttore Rio per una presunta infrazione del copyright per le tracce memorizzate nel lettore. Il tribunale diede torto alla RIAA e permise la diffusione dei lettori MP3 nel mercato domestico5. Era il 2001 quando il gioiellino di casa Apple sbarcava sul mercato statunitense nel a sua prima versione (denominata poi “Classic”), un piccolo mattone da 5 GB dal design minimale, utilizzabile attraverso una ghiera circolare che permetteva lo scorrimento rapido della propria libreria col solo uso del pollice. Nasceva l’iPod, e con esso da un lato una folta schiera di dispositivi di nuova generazione atti alla riproduzione di musica in formato digitale, da un altro la cosiddetta “Generazione iPod”6; esso ha diffuso «una nuova modalità di produrre, distribuire e consumare musica»7 in modalità mobile. Così come il termine Walkman, marchio registrato dalla Sony, è diventato in breve tempo sinonimo di una vasta categoria di hardware portatili di marche diverse con cui riprodurre musica attraverso audiocassette e CD, col tempo l’iPod ha finito per indicare erroneamente qualsiasi tipo di lettore Mp3 portatile all’ interno del quale caricare una libreria di brani da noi scelti.

5 1998-2008: il lettore mp3 compie 10 anni, MaCityNet, 11 marzo 2008. Ultima consultazione Febbraio 2018. 6 The iPod Generation (devices and desires of the next generation of radio listeners) è il titolo di una ricerca realizzata nel 2004 dal ’OFCOM, l’ente britannico di vigilanza in tema di comunicazione. 7 G. Sibilla - Musica e media digitali. Tecnologie, linguaggi e forme sociali dei suoni, dal walkman all’iPod - Milano, Bompiani, 2010

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Quando il nome di un brand, di un prodotto o di una sua categoria finisce con l’identificare, se pur erroneamente, una gamma di prodotti dalle caratteristiche simili indipendentemente dalla marca, significa che quel brand ha acquisito un immenso potere, conquistando un vasto spazio nella mente del consumatore. È un fenomeno che viene identificato da alcuni come “volgarizzazione del marchio”8. Ma ciò a cui volgiamo maggiormente le nostre attenzioni ai fini del futuro della musica, è il fatto che è stato – in tutte le sue versioni e “generazioni” – anche l’ultimo vero lettore musicale portatile a basarsi sul concetto di possesso di musica, prima dell’avvento dei servizi on demand.

L’ iPod è stato il primo a presiedere il mercato dei supporti di musica digitali (rappresentando il 65% dell’industria), nonché il primo relativo ai lettori di musica in generale (basati su memoria fisica) a raggiungere cifre di vendita talmente elevate da detenere per un anno oltre il 90% della quota di mercato negli Stati Uniti (il 92% nel 2004). Nel 2008 Steve Jobs rese poi noto che le vendite totali di iPod ammontavano a 160 milioni di unità e che la percentuale di mercato statunitense aveva ormai superato il 73%.

8 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 29 SPREAD MUSIC

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LA 'RIVOLUZIONE DIGITALE' E LA NASCITA DEI DISTRIBUTORI DIGITALI

L’iconica catena di distribuzione musicale canadese Sam the Record Man è stata la prima ad entrare in bancarotta nel 2001 a seguito della rivoluzione digitale musicale che l’ha costretta a chiudere uno dopo l’altro tutti i suoi 140 punti vendita sparsi da costa a costa lungo tutto il territorio canadese.

La musica su supporto fisico sta ormai sparendo; l’evoluzione verso la distribuzione digitale ha condotto ad una fase di calo progressiva che ha portato in breve tempo quasi a dimezzare le vendite di CD. Anche per il vinile, nonostante sia tornato di moda negli ultimi anni, la sua diffusione è limitata a scopi promozionali e di collezionismo. La radio funziona ancora, ma allo stesso modo è un mezzo promozionale lontano dalla musica comprata o da quella suonata. È l’ultimo passo nella catena produttiva per far sentire un disco che è stato o sarà pubblicato a breve. Ormai pubblicare un prodotto musicale oggi, significa renderlo disponibile su iTunes e negli altri negozi digitali. Per capire come sono nati i distributori digitali è indispensabile partire dalla genesi della musica venduta come file. I primi e-stores si sono sviluppati quando ancora iTunes Store non esisteva ma già si cominciavano a elaborare strategie per fornire un’esperienza di fruizione della musica completamente nuova. Nel 1993 era nato il formato MP3, una delle più importanti rivoluzioni tecnologiche dell’ultimo secolo,

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e nel 1998 era stato fondato, sull’onda del Dot-com Bubble a Miami da Ivan J. Barron, Ritmoteca.com, il primo store online di musica in formato MP31. Sempre nel 1998 era nata eMusic con la proposizione di un modello alternativo di distribuzione digitale. eMusic si rivolgeva alle etichette indipendenti che volevano saltare sul treno della fruizione digitale di musica al consumatore ed era la prima società a fornire contenuti musicali attraverso il pagamento di un abbonamento mensile. In seguito le major hanno provato a finanziare servizi proprietari di distribuzione digitale ma i primi tentativi fallirono miseramente. Napster prese piede nel 1999 col suo modello di file-sharing illegale e mise in luce la debolezza del sistema digitale major2. Creato

dal

diciottenne

studente

universitario

Shawn

Fanning, che aveva trascorso l’intera estate a programmare codici, spinto dal folle desiderio del suo coinquilino di poter accedere a tutti i file Mp3 di cui aveva bisogno. L’ idea che aveva avuto era tanto sfrontata quanto semplice. Bastavano pochi clic e chiunque, da qualunque computer, poteva scaricare le proprie canzoni preferite dalla Rete. Il metodo su cui ci si basava era il peer-to-peer (o P2P): ci si affidava allo scambio diretto tra perfetti sconosciuti (da pari a pari, per l’appunto) di file compressi presenti nel proprio PC, a cui si aveva accesso passando per un server centrale.

«La messa in rete dei computer si accompagnò a quella degli esseri umani, consentendo la moltiplicazione delle interazioni e facilitando la condivisione diretta di informazioni»*

1 T. Caronna. Digital Music Delivery. Viaggio nella distribuzione digitale di contenuti musicali.© 2014 Tommaso Caronna,Edizione del Kindle (posizioni nel Kindle 193). 2

Ibidem

* P. Kotler, H. Kartajaya, I. Setiawan. Marketing 3.0 - Dal prodotto al cliente, all’anima. Milano, Il sole 24 ore, 2010 - cit. pag. 34 SPREAD MUSIC

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In ottica aziendale, crolla la concezione del prodotto fisico ricevuto grazie a una supply chain organizzata da imprese specializzate. Nel nuovo millennio la produzione e la distribuzione non avvengono più infatti solo all’ interno di fabbriche, così come il consumo non avviene solo al di fuori di esse. Sono queste le basi, ancora tremolanti ed illegali, per una visione della distribuzione di un prodotto o servizio molto più ampia, un modello che si rifà a concetti come il co-working, il networking e la sharing economy3. Napster non rappresentava il primo network di file-sharing illegale, c’erano già IRC, Hotline, Usenet, ma divenne la prima scelta per la condivisione di MP3. Al suo picco il servizio poteva contare 25 milioni di utenti, 80 milioni di brani musicali e un sistema solido basato su Windows prima e Mac poi (a solo un anno di distanza) che nonostante la mole di dati scambiati non crashava mai. Dal momento che Napster aveva fatto scuola, nacquero in breve altri programmi basati sulla stessa architettura distributiva, i quali vennero a evolversi nel corso degli anni risultando più difficili da intercettare e chiudere. Capostipite di tutti i nuovi sistemi per ottenere musica gratis è stato il famigerato eMule, il più seguito dagli utenti grazie all’avvento della banda larga, che consentiva di scaricare enormi quantità di dati e file di vario tipo, dalla musica ai film ad alta risoluzione. La pirateria musicale, nello specifico, è stata prima ignorata, poi perseguita duramente e ora viene invece affrontata ad armi pari.

3 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 41

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Il visionario Steve Jobs vide nel mercato musicale e nel suo processo evolutivo un nuovo orizzonte verso cui puntare. Il 28 aprile 2003, nell’ annunciare la versione 4 del suo iTunes, l’applicazione che permette l’organizzazione dei propri file multimediali, dichiarò la nascita di iTunes Store4. Bastò sfruttare il concetto che stava alla base di Napster, il download di un file dalla Rete, e associarlo all’ acquisto, ma questa volta in formato digitale, non fisico. Jobs era riuscito a trasformare il nemico dell’industria discografica degli anni 2000 in un’arma a proprio favore: file musicali compressi, quindi in formato più leggero, scaricati sul proprio PC, esportabili e masterizzabili in un apposito lettore, ma pagando per la qualità.

4 iTunes Store è diventato Apple Music nel 2015 in seguito all’assorbimento da parte di Apple di Beats Electronics; se ne parlerà più avanti nel capitolo relativo allo streaming. SPREAD MUSIC

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La “rivoluzione digitale” ha dunque stravolto completamente i modelli distributivi di prodotti fisici ai quali siamo stati abituati per più di un secolo. Questo taglio netto con la fisicità del prodotto ha portato a comprendere che, in un nuovo mondo fatto di beni intangibili, non era più necessario possedere scorte in magazzino, ma solo una memoria, intesa come supporto di archiviazione. Il termine rivoluzione, per quanto venga abusato in diversi ambiti quando si parla di passaggio al digitale, è l’unico in grado di esprimere al meglio il cambiamento epocale che è in atto da oltre 15 anni. Non tanto relativamente alla musica, quanto al modo in cui essa ci raggiunge. Questo pensiero rispecchia la metafora della liquidità espressa da Zygmunt Bauman5, sociologo e filosofo di origine polacca secondo il quale viviamo in una società liquida, ovvero un contesto in cui i confini e i riferimenti sociali di un tempo vengono modificati e sfumano fino a perdersi; il concetto sta a indicare qualcosa che non ha più forma e contorni definiti, o meglio assume di volta in volta quelli del contenitore6. Nel nostro caso, così come la società anche la musica sta passando da una fase hardware a una software, da una condizione solida a una liquida7; senza andare troppo indietro nel tempo, uno stesso album musicale prima aveva le sembianze di un vinile, poi di una musicassetta, più tardi ancora di un cd, quindi di un hard disk, infine fa di un iPod o smartphone, e via dicendo. La musica liquida, dove la metti sta: del resto sono soltanto bit, soltanto semplici sequenze di 0 e di 1, messe in fila in maniera di volta in volta differente.

5 G. Bosetti. Zygmunt Bauman: “Così la paura avvelena la società liquida”. Repubblica, 5 Aprile 2014. Fonte: http://www.repubblica.it/cultura/2014/04/05/news/ bauman_paura_ilibra-82719807/ 6 G. Bonanomi, R. Zonin. Musica Liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dello streaming. Informant, 2014. Edizione del Kindle (posizioni nel Kindle 54-57). 7 La prima rivista a adottare l’espressione “musica liquida” è stata l’americana Audio Review, nel 2005.

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ANATOMIA DELLA MUSICA "LIQUIDA"

Supporto fisico CD, vinile

Radio FM, online

File Lettori mp3, hi-fi, console, pc, smarthone

Streaming PC, smartphone, hi-fi, console

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Tornando ai distributori digitali, alla base del successo vi sono due importanti fattori: il primo è il cosiddetto “catalogo infinito”: l’album di un artista in particolare poteva essere venduto sotto forma di dati digitali scaricabili dalla Rete, il tutto in maniera legale ed economicamente corretta e controllata. Il catalogo di prodotti a disposizione di un utente all’ interno di uno store è praticamente illimitato: il

concetto di sold-out non esiste più e le nicchie di mercato, prima più difficili da raggiungere, sono lontane un semplice clic. Tale concetto è assimilabile alla teoria della Long Tail, “coda lunga”8, ideata da Chris Anderson (ex direttore di Wired USA), e che incarna l’essenza di moltissimi siti e servizi online come Amazon, eBay e Google. Nel momento in cui si assiste al passaggio «da un mercato di massa a una massa di mercati […] dalle scelte infinite»9, le aziende che sfruttano questo tipo di strategia non si rivol8 Cfr. C . Anderson, La coda lunga - Da un mercato di massa a una massa di mercati, Torino, Codice Edizioni, 2007 e https://www.wired.com/2004/10/tail/ 9

gono più soltanto a un mercato massificato, ma orientano i propri sforzi focalizzandosi su quelle nicchie la cui domanda di prodotto è troppo spesso irraggiungibile o non così considerevole agli occhi dei media tradizionali.

Ivi, cit.

8 C . Anderson, La coda lunga - Da un mercato di massa a una massa di mercati. Torino, Codice Edizioni, 2007 ANATOMIA DELLA CODA LUNGA

6.100

I 9servizi Ivi, cit.di vendita online dispongono di un inventario decisamente

Media di riproduzioni mensili su Rhapsody

più ampio dei tradizionali punti vendita. Rhapsody, ad esempio, offre 19 volte il numero di canzoni dello stock della catena Wal-Mart di 39.000 tracce. L’interesse per le tracce meno conosciute disponibili su Rhapsody (sotto indicate in giallo) forma la cosiddetta Coda Lunga. Intanto, anche se i consumatori si affollano sui prodotti mainstream

2.000

(libri, musica, film), c’è una consistente domanda di prodotti di nicchia disponibili solo online.

1.000

0

39.000

100.000

200.000

Titoli classificati per popolarità

26 Erik Brynjotfsson e Jeffrey Hu (MIT), Michael Smith, Carnagie Mellon ; Barnes & Noble; Netflix; RealNetworks Fonte:

500.000


Ciò permette di accompagnare l’utente consumatore lungo una concatenazione di prodotti appunto di nicchia che altrimenti non scoprirebbe e che, aggregati tra loro, compongono un mercato dalle vendite significative. Questo però ci porta direttamente al secondo fattore, comunemente denominato “la morte dell’album”, come conseguenza del primo. Per assecondare il desiderio degli internet user di ascoltare la musica che cercavano, così come funzionava per il download da piattaforme P2P, Apple pensò bene di porre un prezzo non soltanto all’album ma anche alla singola canzone. Un singolo brano all’interno dello Store oggi costa 69 centesimi, 99 centesimi oppure 1,29 € e, una volta acquistato tramite carta di credito, viene automaticamente scaricato nella nostra libreria di iTunes in formato Mp3. Prima di procedere all’ acquisto, possiamo scegliere se un brano ci piace o meno ascoltando un’anteprima di 30 secondi o 1 minuto e mezzo per canzone in modo completamente gratuito. Per quanto ancora lontano, vi ritroviamo un primo riferimento al futuro modello freemium della music industry che verrà analizzato in seguito. La diffusione di Internet – e successivamente dei social network – insieme ai fattori globalizzanti della nostra epoca nella quale l’uomo vive in perenne carenza di tempo, hanno probabilmente contribuito a rendere gli utenti più affamati di nuovi contenuti ma al tempo stesso hanno diminuito il livello della loro attenzione verso determinati argomenti. Ciò si può evincere anche dal fatto che l’utente medio non riesce più a prestare interesse, soliamente, per un intero album. Certo questo non è il motivo principale della drastica diminuzione delle vendite di album degli ultimi dieci anni, ma ne è sicuramente complice10.

10 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 47 SPREAD MUSIC

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SYNTHETICAL

MUSIC DELIVERY SUPPORTS

Il disco in vinile, noto anche come microsolco o semplicemente disco o vinile, è un supporto per la memorizzazione analogica di segnali sonori. È stato ufficialmente introdotto nel 1948 dalla Columbia records negli Stati Uniti d’America come evoluzione del precedente disco a 78 giri, dalle simili caratteristiche, realizzato in gommalacca.

TIMELINE

Il fonografo è stato il primo strumento in grado di registrare e riprodurre il suono, progettato da Thomas Edison. Il suo funzionamento era basato sull’incisione di un solco su un rullo di ottone che, girando a velocità sufficientemente alta, permetteva alla puntina di emettere vibrazioni udibili.

I Technics SL-1200 costituiscono una serie di giradischi fabbricati dall’ottobre del 1972 al 2010 da Matsushita sotto il marchio Technics. Dal 1972 ne sono state vendute più di tre milioni di unità; sono considerati tra i giradischi più duraturi ed affidabili mai prodotti

1963

1920 1877

1948

1979 1972

Frutto di una serie di esperimenti svolti dalla fine dell’800, nacque la radio come mezzo di comunicazione di massa nel 1920, quando la stazione Marconi di Chelmsford in Cornovaglia trasmise il primo regolare servizio radiofonico della storia. Il termine tecnico per una tale diffusione è broadcasting.

Una musicassetta (conosciuta anche come audiocassetta, cassetta a nastro, o semplicemente cassetta) è un supporto fonografico a nastro magnetico. L’originale prodotto fu immesso sul mercato dalla Philips; molto diffusa e popolare dalla metà degli anni ‘60, ha resistito all’avvento del CD per cadere velocemente in disuso agli inizi degli anni Duemila.

supporti / piattaforme dispositivi iconici

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Il Walkman originariamente era un lettore di musicassette prodotto da Sony; gradualmente si diffuse in modo tanto capillare che, nel linguaggio comune, il termine Walkman rappresenterà qualsiasi lettore di audiocassette portatile.

1982


Napster è attualmente un provider di musica online della Roxio, Inc. Il nome dell’azienda e il logo derivano dall’omonimo servizio di file sharing peer2peer, attivo dal giugno 1999 fino alla sua chiusura nel luglio 2001 dovuta ad una serie di azioni legali. Il marchio viene acquistato più tardi dalla Roxio per capitalizzare la popolarità del vecchio servizio (esplose su larga scala tra il 1999 ed il 2000).

Il compact disc è una tipologia standardizzata di disco ottico utilizzata in vari ambiti per la memorizzazione di informazioni in formato digitale; il CD Audio fu il primo tipo di compact disc messo in commercio nei primi anni ottanta, concepito per la memorizzazione di flussi audio.

L’iTunes Music Store è un negozio on-line per la vendita di musica digitale, video musicali, film e applicazioni mobili, gestito dalla Apple Inc. È stato lanciato il 28 aprile 2003 in contemporanea con la versione 4 di iTunes, l’applicazione freeware senza la quale non è possibile avere accesso al negozio.

1992

2001 1999

MP3 (noto anche come MPEG Audio Layer III) è un algoritmo di compressione audio di tipo lossy, sviluppato dal gruppo MPEG, in grado di ridurre drasticamente la quantità di dati richiesti per memorizzare un suono, mantenendo comunque una riproduzione accettabilmente fedele del file originale non compresso.

L’iPod è un lettore di musica digitale basato su hard disk e memoria flash presentato sul mercato da Apple il 23 ottobre 2001, del quale esistono vari modelli che si sono articolati in diverse generazioni. L’iPod detiene il primato nel settore dei lettori di musica digitale, rappresentando ben il 75% del mercato nel 2006. È il lettore MP3 più venduto e famoso al mondo.

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2005

2008

2003

YouTube è una piattaforma di video sharing fondata il 14 febbraio 2005; nel novembre 2006 è stato acquistato da Google per circa 1,7 miliardi di dollari. Veicola la maggior parte della musica fruita in streaming (come vedremo in seguito).

Streaming

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EFFETTO STREAMING: COSA È CAMBIATO Entriamo quindi nell’ultima delle tre fasi di transizione che l’industria discografica globale sta attraversando: dopo il passaggio dal fisico al digitale e dopo la transizione dal supporto di riproduzione fisso a mobile, la fase cruciale che ridefinisce maggiormente i modelli di business è quella che va dal download allo streaming. Lo streaming non è un prodotto né un modello di business, bensì un medium di consumo di musica (così come i supporti fisici del passato ed i lettori Mp3) costituito da applicativi software su dispositivi adatti alla riproduzione sonora1. Il termine streaming è ciò che meglio descrive la natura e la funzionalità di questo medium. Deriva dal verbo inglese “to stream” , “fluire” , e ciò che viene messo a disposizione degli utenti è proprio un enorme flusso, anzi più flussi di musica che appaiono interminabili e sfuggevoli: correnti musicali che si fondono insieme, organizzate in migliaia di playlist, suddivise per generi e tematiche musicali. Il concetto di musica liquida non potrebbe essere meglio rappresentato.

1 Definizione tratta da: M. Mulligan, A. Simpson. The Streaming Effect: Assessing The Impact Of Streaming Music Behaviour. MIDiA Research, 2014 - pag. 5 SPREAD MUSIC

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È opportuno chiarire un ulteriore concetto chiave proprio della musica liquida e dello streaming in particolare: mentre la prima transizione (dal supporto fisico al download) coincide con un adeguamento dell’industria ai comportamenti dei consumatori, l’ulteriore passaggio allo streaming impone un radicale cambio di paradigma2. Questo ulteriore tassello fondamentale per comprendere il fenomeno lo dobbiamo all’economista americano Jeremy Rifkin, che già nel 2000 parlava di «era dell’accesso»3 proprio per indicare lo sconvolgimento del concetto di proprietà e conseguentemente dei precedenti modelli di mercato basati sulla vendita del prodotto. In sintesi, siccome i mercati stanno cedendo il posto alle reti, l’acquisto di un bene presente su un dato mercato è sostituito dall’accesso alla rete in cui è presente quel bene. Per fare chiarezza, c’è da dire che la proprietà del bene resta nelle mani del venditore, il quale affitta e noleggia a fronte di un canone o tassa di iscrizione. Quindi non si parla più di venditori e compratori, bensì di fornitori e utenti; non si punta al singolo scambio di beni, ma a una relazione commerciale duratura. Questa è la conseguenza di un altro fattore: i beni invecchiano più velocemente, possederli non è conveniente4. Nel nostro ambito di riferimento – quello della fruizione musicale, ma analogamente avviene anche per contenuti editoriali e cinematografici - si passa infatti dalla proprietà del contenuto all’accesso condiviso per l’utente su piattaforme digitali access-based5. Questa metodologia di utilizzo è alla base del modello di business che è alla base dei servizi di streaming, come vedremo tra poco.

2 Secondo Thomas Kuhn ne “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, il paradigma è «un risultato scientifico universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello interpretativo e soluzioni per una data comunità di scienziati». Esso è quindi un modello dominante, utilizzato per studiare una determinata disciplina, all’interno del quale si individuano l’oggetto di studio, le problematiche connesse ad esso e la tecnica migliore per affrontarle. Secondo Kuhn, le rivoluzioni scientifiche sono caratterizzate da un cambio di paradigma.

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3

J. Rifkin, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy. Mondadori, 2000

4 G. Bonanomi, R. Zonin. Musica Liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dello streaming. Informant, 2014. Edizione del Kindle (posizioni nel Kindle 69) 5 In informatica, tale meccanismo prende il nome di Role-based access control (in italiano: Controllo degli accessi basato sui ruoli; in sigla RBAC) ed è una tecnica di accesso a sistemi ristretti per utenti autorizzati; esso risponde a molte necessità di organizzazioni commerciali e governative. Infatti, il RBAC può essere usato per controllare l’accesso ai contenuti e la sicurezza nelle piattaforme composte da migliaia di utenti.


PIATTAFORME DI STREAMING Il mare magnum dello streaming di musica è costituito da una proliferazione negli ultimi anni di piattaforme digitali per la riproduzione ad abbonamento, forse a causa del mercato molto proficuo, delle tendenze legate alla tecnologia digitale, che vedono lo streaming come l’ultima frontiera delle soluzioni di comunicazione via Web. Prenderemo in esame alcune delle piattaforme commerciali più famose e utilizzate, ed alcune delle minori che presentano una value propo-

sition6 con tratti particolarmente distintivi.

Il portale www.whymusicmatters.com offre una panoramica completa delle piattaforme di streaming musicale e video, dei distributori digitali e dei rivenditori online di musica e video su supporti fisici esistenti. Per quanto riguarda i competitor commerciali, essi adottano modelli di business di tipo freemium7 che si assomigliano un po’ tutti, anche se con lievi differenze di prezzo e funzioni. Questi prevedono due tipologie di utilizzo: la prima opzione è lo streaming gratuito, in cui l’ascolto è intervallato da brevi ma costanti spot pubblicitari; ulteriori limitazioni consistono nel vincolo della riproduzione casuale o la possibilità di riprodurre gratuitamente solo alcune ore di musica in un certo arco temporale. La seconda modalità invece è la versione premium: qualità delle canzoni superiore, possibilità di ascoltarle offline scaricando i brani e totale assenza di intervalli pubblicitari. Le identità di queste piattaforme si assomigliano però un po’ tutte, non offrendo grossi vantaggi competitivi. Del resto, come sostiene Philip Kotler, «in un mercato saturo di prodotti dalle caratteristiche simili, il significato è la proposta di valore del nuovo marketing»8.

6 Value Proposition: letteralmente proposta di valore. È la promessa di un’ esperienza e insieme di benefici che il consumatore può aspettarsi dal ’ offerta di mercato di una data azienda. 7 Freemium (contrazione dei termini free, inteso come gratuito, e premium) è una strategia di prezzo che consiste nell’offrire gratuitamente una versione di base di un prodotto proprietario (prevalentemente software proprietario) e nel proporre a pagamento funzionalità aggiuntive. 8 P. Kotler, H. Kartajaya, I. Setiawan. Marketing 3.0 - Dal prodotto al cliente, all’anima. Milano, Il sole 24 ore, 2010 - cit. pag. 34

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«Tutta la musica che vuoi, a portata di mano, sempre.»

È questo lo slogan che viene ripetuto in maniera incessante negli intervalli pubblicitari durante l’ascolto di musica dall’app Spotify. Con l’obiettivo di «creare un modello di business che rispondesse alla crisi del mercato musicale»9, lo svedese Daniel Ek – prima CEO di µTorrent, il più popolare client di BitTorrent – fonda la compagnia nel 2006 e, due anni dopo, lancia la piattaforma di streaming. La musica può essere visualizzata per artista, album, etichetta, genere o playlist così come grazie a ricerche dirette; sui dispositivi desktop un collegamento permette all’ascoltatore di acquistare materiale selezionato presso venditori di terze parti. Gli utenti possono seguirsi a vicenda, creare playlist e condividerle, e modificarle con la collaborazione di altri utenti; questi possono inoltre collegare i loro account con quelli esistenti su Facebook e Twitter, e ogni contenuto musicale può essere condiviso in forma di link. È possibile creare anche delle stazioni radio, partendo da un brano o da una playlist.

9

34

S. Lacy, How Daniel become Goliath. Startups.com, 12/3/2017


A presiedere il mercato europeo fino alla prima metà del 2015 sono stati Spotify e la piattaforma Deezer. Di origine francese

e lanciato nello stesso anno del suo verde rivale, Deezer è un altro servizio di musica on demand che presenta caratteristi-

che molto simili a Spotify per funzionalità e tecnologia, e che

specialmente offre un’ampia rosa di artisti indipendenti, di nicchia, non legati quindi a etichette e contratti discografici nazionali o internazionali.

Partito forse con meno visibilità rispetto al collega svedese, ad oggi vanta un pubblico di utenti molto vasto, circa 5 milio-

ni di abbonati a pagamento in 180 paesi; sono oltre 30 milioni le canzoni accessibili in entrambe le piattaforme, ma questo numero è stato raggiunto prima dal servizio francese10.

Altre caratteristiche: integrazione con i principali social

network, possibilità di seguire le attività altrui e di essere seguiti, funzione Flow (per ascoltare altri brani simili ai nostri

preferiti), oltre a un’offerta di base gratuita e due livelli di abbonamento da 4,99 e 9,99 euro al mese, come Spotify.

10 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 50 SPREAD MUSIC

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Ulteriore servizio degno di menzione è Apple Music, portale lanciato a Giugno 2015 dopo l’acquisto della Beats Electronics e, conseguentemente, della sua piattaforma di streaming Beats Music, caratterizzata da una cura dei contenuti maggiore rispetto ai suoi concorrenti e un alto livello di personalizzazione e desiderio di conoscere le nostre preferenze musicali, aspetto che le altre piattaforme non approfondiscono. Apple Music ha inoltre sostituito l’iTunes Music Store (inglobandolo) ed è fruibile tramite software iTunes, all’interno del quale nella libreria personale l’utente trova, nello stesso spazio, anche tutte le canzoni disponibili in streaming. In pratica i suoi “possedimenti” digitali si mescolano a oggetti ancora più liquidi che appartengono alla Rete, disponibili per tutti. La differenziazione rispetto ai competitor risiede proprio in questa sfumatura di contorni tra possesso e accesso; anche per Spotify, d’altro canto, vi è la possibilità di ascoltare i brani presenti in maniera “fisica” nel nostro PC, ma con Apple Music questo connubio appare leggermente più evidente, anche se ancora incompleto.

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L’ idea del cantante Jay-Z era quella di un servizio di streaming che permettesse agli artisti di guadagnare il giusto compenso, maggiore quindi rispetto a quello di Spotify e soci, senza passare per le case discografiche. Tidal però è stato un insuccesso reso ancora più eclatante dai volti noti che l’hanno appoggiato (tra cui Kanye West e Rihanna). Il servizio dà in realtà l’idea di essere stato creato dagli artisti per gli artisti, focalizzando la propria proposta di valore – oltre che sul pagamento delle royalties - sulla qualità superiore dell’audio ad alta definizione; caratteristica che però risulta inutile in quanto si perde utilizzando supporti quotidiani come gli smartphone, oltre a richiedere connessioni performanti non alla portata di tutti per poter sostenere l’elevato traffico di dati necessario allo streaming dei files AAC a 320 kb/s11.

11 Progettato per essere il successore del formato Mp3, AAC in genere può fornire una migliore qualità audio a parità di fattore di compressione rispetto al predecessore. SPREAD MUSIC

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Oltre a questi colossi e ai loro fratelli minori esistono poi altri servizi di streaming meno conosciuti, che trovandosi però ai margini non riescono ad emergere. Fa effetto vedere il nome di Napster, paladino della pirateria degli anni Novanta, in questo elenco di servizi di streaming musicali legali. Eppure il servizio che un tempo attirò gli strali di tutte le major discografiche, ora ribattezzato Napster Unlimited, ormai è passato dall’altra parte. I giganti del mercato Google e Amazon non hanno potuto fare a meno di mettere il proprio zampino anche nell’ambito musicale, rispettivamente con Google Play Music Unlimited (attivo dal 2012, che non ha riscosso il successo sperato) ed Amazon Music Unlimited (lanciato a Gennaio 2016, con uno dei più vasti cataloghi - ben 50 milioni di brani). Anche Sony e Microsoft colgono l’occasione per integrare l’offerta legata alle proprie gaming console con servizi di fruizione musicale: Sony Music Unlimited (solo 12 euro all’anno per gli iscritti al network PlayStation Plus) e Xbox Music (il cui abbonamento e utilizzo possono essere accorpati a quelli del network Xbox Live). Infine, citiamo Telecom che con TIMmusic (ex Telecom Italia Cubomusica) tenta di inserire lo streaming musicale nella propria fornitura di servizi legati alle telecomunicazioni.

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Comparazione delle principali piattaforme di streaming per milioni di utenti

Rhapsody Sony Music SoundCloud

Play.me

Xbox Music

Spotify >75mln

Apple Music >15mln

Pandora Grooveshark

Napster Unlimited

Google Play Music >10mln

Al 2017 i servizi di music streaming contano complessivamente centinaia di milioni di utenti (paganti e non).

Deezer >16mln

Fonte: M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016

Complice di questo successo è stata la gavetta – per modo di dire – nei primi anni di vita di Spotify e simili, trascorsi a colonizzare i computer di milioni di utenti in tutto il mondo: è ciò che accade quando un prodotto o un servizio spopola in molti paesi del mondo ma tarda ad arrivare in altri: si creano aspettative altissime e bisogni nuovi che rasentano il capriccio, ma quando finalmente questo apre i battenti vi è un normale e ben sperato boom, la cui eco non sempre si esaurisce in breve tempo. Parlando di streaming, Netflix è un caso analogo: pur essendo nato nel ’ 97 come servizio di noleggio di DVD e videogame via Internet, nel 2008 si è trasformato in un servizio di cinema in streaming on demand, espandendosi in altri paesi del mondo nel 2010. In Italia però è arrivato solamente a ottobre del 2015, acclamato a gran voce con una promozione intelligente e accattivante e accolto con un sospiro di sollievo da chi aveva quasi perso ogni speranza. Del resto anche la semplice attesa può essere una buona, per quanto fastidiosa, strategia di marketing .

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Spotify e quasi tutti gli altri servizi di streaming, sono social discovery engine: offrono cioè la possibilità di scoprire nuova musica in modo completamente automatico. Basta usare le pagine dedicate; queste danno suggerimenti in base alla musica che già si ascolta, alle nuove uscite discografiche degli artisti che segui e ai brani preferiti da te e dagli amici. Spotify permette anche di scoprire quando un artista si trova nella nostra zona per un concerto. Per iniziare basta scegliere una playlist o una stazione radio. Ce ne sono davvero di un’infinità di tipi, non solo suddivise per stile musicale ma anche per mood, da scegliere in base al proprio stato d’animo del momento, o in base alla situazione che ci si sta preparando a vivere. Con le piattaforme digitali possiamo sperimentare nuove sensazioni date dalla sorpresa di un brano inaspettato che dipinge alla perfezione un nostro pensiero, un’emozione racchiusa dentro di noi e impossibile da esprimere se non attraverso la musica.

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Questo è ciò che viene definito serendipity digitale, termine con cui si intende, sostanzialmente, cercare qualcosa e trovare qualcos’altro12. Esso indica infatti proprio il piacere della scoperta casuale. Per come sono concepiti e organizzati i sistemi di streaming musicale, la scoperta di nuova musica è una componente essenziale. Il funzionamento alla base di molti di questi servizi è di tipo algoritmico13, tipico di quello dei social network e di molti siti di e-commerce come Amazon ed eBay. Ogni player si vanta di avere in catalogo un numero di brani compreso tra i 20 ed i 50 milioni; contando cover, remix e live, YouTube da solo ne offre probabilmente molti di più. Di conseguenza, gli algoritmi sono necessari per gestire l’abbondanza di contenuti che sono oggi messi a disposizione dell’ascoltatore. È in quest’ottica che va interpretata l’acquisizione da parte di Spotify di Echo Nest, azienda americana che fornisce servizi utili al riconoscimento delle preferenze musicali, proponendo agli ascoltatori un elenco di artisti e brani compatibili con i loro generi preferiti.

12 G. Bonanomi, R. Zonin. Musica Liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dello streaming. Informant, 2014. Edizione del Kindle (posizioni nel Kindle 102) 13 Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari in un tempo ragionevole. è un concetto fondamentale dell'informatica, così come anche della fase di programmazione dello sviluppo di un software: preso un problema da automatizzare, la programmazione costituisce essenzialmente la traduzione o codifica di un algoritmo per tale problema in programma, scritto in un certo linguaggio, che può essere quindi effettivamente eseguito da un calcolatore rappresentandone la logica di elaborazione. SPREAD MUSIC

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Anche se spesso i servizi di musica on demand e di radio in streaming sono sovrapponibili, si è deciso di tenerli separati e dedicare a ognuno una riflessione a sé. Perché, in fin dei conti, stiamo parlando di meccanismi di ascolto della musica un po’ diversi: nel caso della musica in streaming on demand, siamo noi a cercare i brani e a comporre le playlist. Le radio in streaming, come quelle via etere, invece propongono il loro palinsesto, le sequenze di brani. In teoria, l’unica differenza tra una radio tradizionale ed una web radio è il mezzo trasmissivo. Mentre la normale radio sfrutta la modulazione di frequenze elettromagnetiche e trasmette un segnale via etere, le web radio sfruttano la rete Internet. In entrambi i casi si tratti di mezzi di comunicazione di massa puramente acustici. Fatta questa premessa, c’è da dire che le web radio si discostano parecchio dalle radio tradizionali; queste ultime sono caratterizzate principalmente dal fatto che l’ascoltatore desideri che qualcuno scelga la musica da ascoltare per lui e che lo faccia senza preconcetti sui propri gusti musicali. In molti casi rendono possibile l’ascolto in streaming via Internet della trasmissione radiofonica, quindi è possibile ascoltarle anche se ad esempio non si ha una radio. Molte web radio le emulano in tutto e per tutto (nelle attrezzature, palinsesto e target), molte altre curano delle nicchie di interesse, non soltanto musicali. Esse per esistere non necessitano di grandi investimenti (tecnici ne burocratici) ma in generale hanno meno ascoltatori delle radio FM tradizionali. Molte trasmettono saltuariamente e per poco tempo, frastagliando quest’ambiente e creando impulsività negli ascolti14. Quando si parla di web radio, ci si può quindi riferire a emittenti tradizionali che trasmettono anche in streaming tramite i propri siti web, ed a siti o app come TuneIn Radio che permettono di ascoltare migliaia di stazioni radio nel mondo; oppure si può fare riferimento a piattaforme come 8tracks Radio o JazzRadio che permettono invece di ascoltare dei

14 G. Bonanomi, R. Zonin. Musica Liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dellostreaming. Informant, 2014. Edizione del Kindle (posizioni nel Kindle 943)

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flussi di di musica, come con la funzione Radio delle piattaforme di streaming che abbiamo citato finora. Tuttavia in questi casi, è possibile ascoltare delle playlist (migliaia) create appositamente, spesso da curatori dedicati e specializzati, divise per genere.

Tune In Radio. tunein.com/radio JazzRadio www.jazzradio.com

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RIPERCUSSIONI DELLO STREAMING SUL MERCATO MUSICALE La storia dell'industria discografica negli ultimi 20 anni racconta dunque una trasformazione profonda: dal fisico al digitale. A ben vedere, lo streaming e le nuove frontiere del digitale stanno avendo un impatto sempre più notevole sulla vendita e l’utilizzo di prodotti legati alla fruizione musicale, sia fisici che digitali stessi, in un continuo ciclo evolutivo. Questi dati, come vedremo, si mescolano a sentimenti contrastanti e riflessioni di opposta natura: da un lato tali servizi sono ritenuti lo strascico di quella (per molti eccessiva) libertà esaltata dal digitale e da fantasmi come il file sharing che hanno messo in ginocchio la vendita di quei supporti fisici che tutt’ora non riescono a riprendersi; dall’altro il fatto che queste piattaforme siano legali rappresenta una possibile forma di sostenibilità che le case discografiche hanno imparato a sfruttare. Mentre le vendite fisiche restano significative in alcune aree geografiche e per alcuni artisti, non c'è dubbio che la chiave della crescita sia nello sviluppo e nella diffusione dello streaming. Le case discografiche e i distributori sono stati determinanti in questa evoluzione, rilasciando licenze per più di 40 milioni di tracce verso centinaia di servizi digitali nel mondo e sviluppando sistemi per un sempre maggiore accesso alla musica. Se il mercato digitale continuerà a crescere, cresceranno di conseguenza anche i compensi agli artisti, così come gli investimenti1. Sappiamo bene che ci sono persone che non pagheranno mai per la musica: offrire loro un servizio gratuito e legale significa allontanarli dalla pirateria, portando profitto agli artisti. In quest’ottica, anche il modello di business ad accesso freemium (che abbiamo già descritto in precedenza) rappresenta un “approccio scalare” che è fondamentale per la divulgazione dei servizi di streaming, perché riesce ad attrarre i clienti eliminando la barriera del prezzo2.

1

Global Music Report 2017. Annual State of the industry - IFPI, 2017

2 G. Bonanomi, R. Zonin. Musica Liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dello streaming. Informant, 2014. Edizione del Kindle (posizione nel Kindle 820)

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Guadagni dell’industria discografica globale 1999–2016 (Miliardi US$)

Guadagni dell’industria discografica globale per segmento (2016)

Prima di vedere un ritorno alla crescita nel 2015, l'industria discografica ha perso il 40% dei suoi introiti tra il 1999 ed il 2014

Fonte: Global Music Report 2017. Annual State of the industry - IFPI, 2017

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Gli ascolti in streaming hanno addirittura raggiunto un peso tale per l’industria che recentemente, il primo febbraio 2016, la Recording Industry Association of America ha deciso di promuovere una nuova metodologia secondo la quale d’ora in poi verranno assegnati dei veri riconoscimenti anche a quegli artisti che generano cifre di ascolto molto alte nelle piattaforme come Spotify. Si parla degli stessi riconoscimenti ufficiali che vengono dati a chi vende il famigerato milione di dischi (fisici): il disco d’ oro, il disco di platino e il multi-platino. La crescita esponenziale di dati incredibilmente dettagliati sulla audience musicale è un aspetto che ha fortemente cambiato l'approccio strategico al mercato discografico. C’è infatti grande attenzione e lavoro da parte dell'industria per comprendere come meglio interpretarli ed utilizzarli. Alcune delle playlist più influenti, come la "Discovery Weekly" di Spotify, sono guidate dall'utilizzo analitico di dati sugli utenti. Dietro le quinte, le case discografiche stanno certamente usando i dati disponibili in modo sempre più sofisti-

Crescita dello streaming (2009-14)

cato, così da definire in maniera più dettagliata le proprie

Fonte:IFPI DIgital Music Report 2015

strategie e sviluppare sempre meglio carriere artistiche in collaborazione con manager ed artisti stessi.

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Tuttavia, oltre al fatto di aver schiacciato il mercato del disco (inteso come prodotto fisico), l’avvento dello streaming ha generato due ulteriori contrasti: ci riferiamo al cosiddetto Value Gap ed al pagamento delle royalties. Il Value Gap descrive la crescente disparità tra quello che le piattaforme di upload, come YouTube, generano dall’utilizzo della musica ed i ricavi che tornano a coloro che lavorano per la creazione di quei contenuti musicali ed investono in essi. Si tratta della maggiore minaccia alla futura sostenibilità dell’industria musicale. I servizi upload di streaming video, beneficiando della errata applicazione dei “safe harbours” , comprendono la più ampia audience di servizi musicale, stimata intorno ai 900 milioni di utenti. I ricavi determinati per gli aventi diritto attraverso questi servizi nel 2016 raggiungono i 553 milioni di dollari.In contrasto, una ben minore base di 212 milioni di utenti per i servizi on demand di audio streaming, che hanno negoziato le licenze su termini corretti, contribuiscono per oltre 3.9 miliardi di dollari. La Commissione Europea ha identificato il value gap come una distorsione del mercato che necessita di un intervento normativo e ha proposto una bozza che è attualmente in discussione presso il Parlamento Europeo3.

Comparazione tra utenti e introiti delle piattaforme di audio e video streaming

Fonte: Global Music Report 2017. Annual State of the industry - IFPI, 2017 3

Ivi SPREAD MUSIC

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Per quanto riguarda il pagamento delle royalties agli artisti, la situazione è alquanto controversa. Conoscere quanto arriva nelle tasche dei musicisti una volta che clicco un brano su Spotify, Deezer & co. non è semplice, perché queste società non sono disposte a rendere trasparenti questi dati. Però ormai molti artisti hanno cominciato a rendere pubblici i loro guadagni, come forma di protesta nei confronti delle piattaforme di streaming. Una delle prime è stata la violoncellista Zoe Keating. Nel 2012 Zoe ha pubblicato sull'Atlantic il resoconto dei soldi ricevuti da Spotify per 70.000 click Zoe Keating

sulle sue canzoni: poco meno di 300 dollari 4. Da questo ed altri casi simili possiamo dedurre che, in euro, ogni play su una canzone ascoltata tramite Spotify vale circa 0,0036/0,0040 euro. Quota lorda: il servizio versa i soldi alle etichette, che a loro volta trattengono una parte e distribuiscono il resto agli artisti. Sembrano briciole, eppure Spotify versa il 70% di quello che guadagna in diritti musicali ed è ancora un'azienda in perdita, anche se in crescita di utenti. Si difende infatti assicurando che col passare del tempo la quota di utenti paganti aumenterà, proporzionalmente con gli introiti, e che comunque lo streaming premia gli artisti in pubblicità e fan-base5. Tuttavia, la Storia si ripete molto più spesso di quanto crediamo. Negli anni trenta del Novecento la FCC americana, la commissione federale sulle Comunicazioni, ostacolava la trasmissione di musica registrata alla radio, facendo il gioco delle lobby della musica dell'epoca, che temevano che la radio avrebbe fatto diminuire la vendita di dischi. La corte Federale nel 1940 stabilì una volta per tutte che gli artisti non avevano alcun controllo legale sull'uso della loro musica registrata; una volta che questa era stata venduta, e le radio poterono trasmetterla liberamente. Dopo la demonizzazione della radio fu la volta delle cassette: le compagnie discografiche tentarono di dissuadere le registrazioni domestiche perché temevano che la gente

4 R. Meyer, Why Spotify Doesn't Make Sense for Musicians: 70,000 Listens Earns Less Than $300. The Atlantic, 28/6/2012 5

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T. Bonini, Non sentirsi in colpa con Spotify. Doppiozero.com, 13/11/2013


duplicasse i singoli di successo dalla radio e non comprasse più i 45 giri. Lanciarono anche una fallimentare campagna contro le cassette con lo slogan “L'home taping sta uccidendo la musica”. La stessa cosa accadde quando arrivarono gli mp3 e Napster. La tecnologia ha sempre minacciato di “uccidere la musica” e finora non l'hai mai fatto. Nel frattempo le radio, un tempo il nemico giurato dell'industria musicale, ne sono poi diventate le migliori amiche, così amiche da prendere soldi sotto banco per trasmettere alcune canzoni e non altre, vedi il caso Payola6.

6 Con il termine payola si indica, nel mondo del business musicale, una pratica illecita che consiste nel pagamento di un DJ o di un direttore radiofonico da parte di una società di edizioni (ASCAP, BMI, SIAE eccetera) o di etichette discografiche in cambio della messa in onda dei brani da loro prodotti. Il nome deriva dall'unione delle parole inglesi "pay" (pagare) e, alternativamente, "pianola" (nome desueto per indicare un pianoforte elettrico) o "victrola" (una famosa marca di riproduttori sonori, RCA Victor). SPREAD MUSIC

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DIGITAL MUSIC MARKETING: ALCUNE CONSIDERAZIONI ED APPROCCI La musica è il motore principale di una vasta economia. Nei precedenti capitoli abbiamo compreso i passaggi tecnici, economici e culturali che hanno determinato la creazione e lo sviluppo di uno dei business mondiali più “disrupted” dalla continua trasformazione, i cui soggetti principali, siano essi consumatori o produttori, sono portati a adeguarsi ai cambiamenti di un broad environment1 sempre pronto a tracciare nuove strade. I soldi ormai si fanno essenzialmente con i concerti e poco con le vendite di dischi; lo streaming può invece aiutare a far scoprire nuovi artisti, soprattutto quelli della scena underground che godono di poca visibilità sui mass media e di rari passaggi radiofonici. Per quanto la vasta galassia dello streaming esplorata precedentemente rappresenti solo una parte – seppur oggi predominante – dell’esteso universo della Musica, la vera forza di gravità in tutto ciò sono le persone.

1 Con Broad Environment (o Macro Environment) si intende l’insieme dei sei ambienti di marketing esterni a un’azienda: ambiente demografico, economico, naturale, tecnologico, politico-legale e socio-culturale. SPREAD MUSIC

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Per riuscire a generare un prodotto redditizio, artisti, produttori e case discografiche devono tenere conto costantemente delle tendenze che la cultura – e quindi l’industria discografica – attraversa, e questo per far fronte alla domanda dei consumatori. Attualmente quest’ultima si sintetizza in due bisogni riscontrati, dovuti a fattori di tipo sociale e tecnologico: la disponibilità immediata di tutta la musica su tutti i dispositivi mobile, e una gamma di servizi che offrano scelte sempre più diversificate. Il primo è dovuto ad un fattore tecnologico: il progresso della tecnologia ci ha ormai abituati ad avere tutto e subito, in qualsiasi luogo. Un accesso a qualsiasi tipo di informazione o file, che sta via via dimenticando il peso e la “ricchezza” di possedere – fisicamente o digitalmente – un’informazione, grazie a una connessione che permette una costante compresenza virtuale. Per quanto riguarda la musica, il 2014 è stato l’anno in cui si è consolidato definitivamente il passaggio da modelli basati sul possesso a modelli basati sull’ accesso2. La gamma di servizi richiesti dai consumatori si rifà invece a un fattore social e a tutte quelle piattaforme di streaming di cui abbiamo ampiamente discusso nei capitoli precedenti. La differenziazione di scelte, abbonamenti, caratteristiche e disponibilità di cataloghi offre oramai una value proposition cucita su misura su ogni possibile utente3.Tutto ciò disegna il quadro perfetto della cultura attuale del consumatore: la cultura «dell’immediatezza e dell’accesso istantaneo e in movimento»4. Per questi motivi, affrontare la crisi dell’industria musicale vuol dire cambiare modo di agire a livello di mercato, sia per le case discografiche che per i musicisti. Di fronte alla rivoluzione bisogna dunque trovarsi preparati e riuscire a sopravvivere assecondando il cambiamento e/o facendone parte.

2 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 78 3

Ibidem

4 IFPI Digital Music Report 2015: tracciare la strada verso la crescita sostenibile, report di ricerca condotta dall’ IFPI, International Federation of Phonographic Industry, 2015 – cit.

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Promozione musicale in pillole

I contenuti sui social network e sulle piattaforme di video streaming sono i più efficaci, perchè raggiungono direttamente l'utente finale

ADV ADV

La musica può essere ascolata e/o acquistata in modo immediato online, o più tradizionalmente in copia fisica

$$

$$

$$

Web Condivisione

Live Social

ADV Promozione

Ascolti

$$ Guadagni

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IL CAMBIAMENTO DELLE ABITUDINI DI ASCOLTO

Abbiamo visto come la possibilità di creare compilation personali di brani fosse la linfa vitale dei buoni vecchi iPod. Con la trasposizione in digitale dei contenuti, anche il modo in cui questi vengono aggregati è cambiato. In passato, che avessimo voluto registrare una serie di brani su una cassetta, masterizzarli su un CD o caricarli sul nostro lettore Mp3, eravamo costretti ad accontentarci delle canzoni che noi stessi avevamo acquistato o scaricato. Oggi, i distributori digitali e le piattaforme di streaming hanno combinato quell’hobby così personale con la nuova tecnologia. È stato facile con l’avvento degli smartphone, anche perchè avendo a disposizione in qualsiasi luogo e momento (previa connessione ad Internet) un catalogo di svariati milioni di brani, le possibilità che si prospettano sono pressoché illimitate. Così come è illimitato il numero di playlist create nel Web: immaginando di analizzare un ipotetico database comprensivo di tutte le piattaforme che permettono questo tipo di compilation online, si evince un fortissimo cambiamento delle abitudini di ascolto e delle preferenze nei consumatori-fruitori.

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La playlist sembra essere il nuovo formato di ascolto che sta mandando in pensione album e singoli, vista anche la drastica diminuzione di acquisti relativi a questi ultimi. Anche per questo motivo molti artisti, ultimamente, si limitano a distribuire la propria musica in EP5 e non più come album. La playlist, dunque, è il nuovo album, a cui è stato dato un valore aggiunto di tipo funzionale ed economico. Non è un caso che gli stessi artisti abbiano iniziato ad associare ai propri profili delle raccolte che racchiudono i loro migliori e/o più famosi brani, proprio come si farebbe con un disco “Best Of”. Così come le etichette, che possono promuovere tutti gli artisti del proprio roster6 contemporaneamente, semplicemente creando playlist che ne contengano i brani migliori e pubblicizzandole online Questo tipo di azioni di marketing attiva in primis un circolo di diffusione rapidissima per quelle date canzoni, in quanto un utente che ascolterà una traccia che gli piace la caricherà in una propria playlist, la quale verrà ascoltata da altri utenti che caricheranno a loro volta il brano in un’altra ancora e così via, in un gioco simile al passaparola. Successivamente quegli ascolti si tramuteranno in denaro che prima giungerà alle major e poi agli artisti. Di ciò, a quanto pare, si è reso conto il mondo della discografia più tradizionale, che se fino a poco tempo fa vedeva in Spotify e soci un nemico, inizia ora ad avvicinarsi a essi con il metodo più antico del mondo: il denaro. Tutto questo ci rimanda indietro agli anni ’40, quando i discografici pagavano i disc jokey con delle mazzette per riprodurre le canzoni del loro catalogo; questa pratica ovviamente illegale fu chiamata “payola”7 e a quanto pare è sopravvissuta o tornata di moda in uno scenario più liquido.

5 Acronimo di Extended Play, indica una raccolta di brani musicali il cui numero di brani diversi è inferiore a un album. Originariamente il termine si riferiva alle edizioni in vinile, che a seconda dei contenuti potevano essere catalogate come maxi single o mini album. 6 Traducibile letteralmente come “albo”, il roster è l’elenco dei soggetti legati, iscritti o facenti parti di un’associazione, azienda o categoria professionale. In ambito discografico, il roster di un’etichetta è composto dagli artisti che hanno un contratto con essa e pubblicano i propri lavori avvalendosi dei suoi servizi. 7 Cfr. nota ## SPREAD MUSIC

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La rivista di musica statunitense Bilboard l’ha invece definita “playola” in onore delle moderne playlist8, affermando che molte etichette discografiche sarebbero disposte a pagare dai 2.000 ai 10.000 dollari per comprare una playlist con decine di migliaia di follower. I servizi di streaming si comportano infatti, come abbiamo visto, da veri e propri social media, favorendo l’interazione tra gli utenti ma senza l’ausilio delle chat. Proprio in mancanza di parole, questi possono ora sfoderare la loro creatività mostrando la capacità di fondere e mescolare accuratamente brani di diversa natura, racchiudendoli in playlist condivisibili e “seguibili” , nell’ottica della condivisione sociale nella sua accezione più attuale del termine, quella cioè secondo la quale tutto il mondo sa ciò che fai e pensi. Ecco che nasce la figura del “creatore di playlist”. All’ interno del suo sito, nella sezione “Lavora con noi” , Deezer ricerca dei music content curator che uniscano la loro conoscenza in materia di marketing con la creatività al fine di realizzare playlist accattivanti con i brani più indicati per i diversi tipi di target. Se prima la figura del curatore era avvezza a Web e copywriting, ora si reinventa nel campo sempre più vasto dello streaming e del digitale per soddisfare un bisogno a quanto pare in crescita. Se un tempo il ruolo di content curator era riservato solo a chi lavorava in un museo e allestiva delle mostre, ora si sta diffondendo ovunque online. Sempre più professionisti filtrano, organizzano, contestualizzano i contenuti aggiungendo loro valore; si tratta dello stesso processo realizzatosi in ambito musicale con la rivoluzione in corso.

8 How ‘Playola’ isinfiltrating streaming services: pay for play isdefinitely happening, Billboard.com, Glenn People, agosto 2015. e Playola: la bustarella al tempo del a musica in streaming, Rockit.it,Nur Al Habash, settembre 2015.

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Oggi la curation è esattamente l’asset di maggior valore avocato a sé dai i servizi di streaming, anzi, a ben vedere dagli stessi utenti.Gli strumenti di condivisione delle informazioni permettono a ciascuno di diventare un curatore: il solo fatto che ci piaccia un brano, di suggerirlo a tutti, di preparare delle playlist (magari arricchendole con delle note) ci permette di fare da filtro per gli altri. Inoltre, la content curation, unita alla caratteristica di discovery engine9 delle piattaforme musicali digitali, ha delineato un’ulteriore abitudine di ascolto propria dell’era digitale, ovvero la propensione alla ricerca di nuova musica, anche e soprattutto di nicchia. Questo perché grazie alle piattaforme digitali, l’utente si ritrova facilitato (e magari incoraggiato) nella scoperta di contenuti che non lo raggiungerebbero10 facendo affidamento esclusivamente sui mass media tradizionali. Questi restano infatti il miglior modo per raggiungere una vasta audience solo per quegli artisti definiti “major” , che con una solida realtà discografica alle spalle possono permettersi di affrontare i costi di una promozione di questo tipo.

9

Cfr. "Social Discovery Engine" - pag.40

10

Cfr. "La Coda Lunga" - pag. 26

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MUSIC BRANDING, STORYTELLING E APPROCCI NON CONVENZIONALI

Giunti a questo punto siamo in grado di affermare che ogni artista, band, etichetta o progetto di divulgazione musicale è a tutti gli effetti un brand che necessita di una strategia di marketing e di un piano di comunicazione adeguati per raggiungere qualsiasi tipo di obiettivo si sia posto. «Il brand o marca […] è risorsa di vantaggio competitivo e, al contempo, fonte di valore per il consumatore»11. Riuscire a fare brand management significa disegnare un’identità specifica fatta di valori e contenuti duraturi nel tempo e in grado di differenziare la marca dai competitor. La rivoluzione digitale di cui abbiamo ampiamente trattato ha rimodellato la struttura del cosiddetto marketing mix, ovvero l’insieme articolato degli strumenti di comunicazione che si ripartivano in above the line (comprendente i media tradizionali come tv, radio e stampa) e below the line (promozioni, public relation e sponsorizzazioni). La comunicazione digitale invece si trova esattamente fuori da questa linea trasparente, né sotto né sopra. Compito del brand è comprendere in quale spazio comunicativo agire: essendoci sempre più una convergenza tecnologica e comunicativa, nella quale i mass media tradizionali si mescolano ai social e al concetto di below the line, un brand può crearsi un marketing mix personale e “fai-da-te” , combinando gli strumenti a disposizione attorno a questa linea di separazione immaginaria.

11 P. Kotler, H. Kartajaya, I. Setiawan, Marketing 3.0 - Dal prodotto al cliente, all'anima, Milano, Il sole 24 ore, 2010

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• Ampiezza, struttura, tendenze del mercato • Segmentazione • Concorrenza • Esigenze e attese dei consumatori

• Confronto tra le prestazioni di mercato proprie e dei concorrenti • Diagnosi delle cause della diversità di prestazioni

vs.

Scelta del/dei segmenti di mercato

essere percepiti come diversi e preferibili

trasmettere al consumatore

Progettazione del programma delle leve/azioni di marketing

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Social network, blog e community, guerrilla e street marketing, piattaforme di crowdfunding, mobile e siti web per la musica in free download: le combinazioni possibili risultano pressoché infinite. Ogni brand che si rispetti deve essere in grado di definire e riassumere sinteticamente la propria missione, visione e valori12. Sono queste le fondamenta su cui costruire una valida strategia di comunicazione attraverso la quale trasmettere la propria identità. La mission di un’impresa, piccola o grande che sia, «è la sua ragione d’ essere, la giustificazione stessa della sua esistenza»13. Conoscere noi stessi e riassumere l’unicità del nostro operato e di ciò per cui possiamo essere riconosciuti, è il primo passo per pianificare il futuro del nostro progetto. Solitamente la missione aziendale va esplicitata, in maniera sintetica, in modo tale da renderla memorizzabile ed evocativa nella mente del consumatore; mentre la missione riguarda passato e presente, la visione punta invece a un futuro in cui sono coinvolti desideri ed emozioni. La mission e la vision aziendali, insieme ai valori che vogliamo trasmettere, vanno a delineare l’essenza umana e artistica del nostro brand, ovvero quella parte che costituirà il primo approccio con il pubblico.

12

Ibidem

13 M. P. Favaretto, La strategia di comunicazione nell’era digitale. Padova, libreriauniversitaria.it Edizioni, 2013 – pag. 45

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Questo approccio in ottica di marketing 3.014 è particolarmente affine all’ambito musicale, dove il fruitore non è mosso da necessità pratiche che si concretizzano nell’acquisto di un prodotto. Egli ascolta la musica che gli piace, e tendenzialmente preferisce determinati generi e/o artisti principalmente in base a due fattori: • lo stile musicale, caratteristica più complessa del semplice ‘genere’ , con cui l’artista grazie alle proprie sonorità riesce a veicolare particolari emozioni e crearsi una firma stilistica; • i contenuti delle proprie composizioni, che sono espressione del background culturale dell’artista, in cui conseguentemente si rispecchia l’ascoltatore in virtù di determinate affinità. Infatti il marketing è cambiato insieme al mercato, che globalizzandosi, lo ha posto di fronte a una società estremamente frammentata composta da micro-gruppi sociali. Diventa dunque sempre più difficile conoscere le abitudini e gli stili di vita dei consumatori, per poter immettere sul mercato prodotti e servizi che si adattino a un giusto target, proprio perché in una società così articolata non è più possibile effettuare delle segmentazioni di mercato attraverso una visione macrosociale, cioè quella che classifica gli individui secondo criteri come la cultura15, la subcultura16 e la classe sociale17.

14 Usando le parole degli autori Kotler, Kartajaya e Setiawan nel testo Marketing 3.0 – Dal prodotto al cliente all’anima, il marketing 3.0 si prefissa di generare un beneficio oggettivo, intendendo il brand come la cura ad un disagio percepito. «Esso eleva il concetto di marketing alla sfera delle aspirazioni, dei valori e dello spirito umano […] integrando marketing emozionale ed umano» (cit. op. cit.). 15 Per cultura si intende quell'insieme complesso fatto di «conoscenze, credenze, convinzioni, arte, morale, leggi, costumi e di qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro della società». 16 La subcultura raggruppa individui che all’interno della società hanno caratteristiche simili come ad esempio l’età, l’etnia, la religione, il sesso. 17 Fanno parte di una stessa classe sociale quegli individui che si trovano «in una posizione simile nell'ambito della struttura governata dalle relazioni economiche e politiche di una società». SPREAD MUSIC

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Successivamente sarà necessario identificare il tipo di prodotto (o servizio) concreto da far arrivare a tale pubblico. Esso può essere semplicemente identificabile con un album (o un singolo) e con un concerto live oppure con del merchandising, se pensiamo ovviamente in un’ottica di prodotto, fisico o digitale, pur sempre fruibile. In passato, si cercava di far saltare all’occhio un prodotto alle persone che navigano nei negozi di dischi fisici con immagini appariscenti e accattivanti, ma di questi tempi è più importante che questa immagine (unitamente ad un simbolo o logo) possa essere replicata e proliferare su molti media diversi. Da questo punto di vista la copertina ha mantenuto la supremazia, in quanto si è evoluta (complici i cambiamenti dei formati avvenuti nel corso degli anni) in prodotto grafico cross-platform18 con la funzione primaria di comunicare con immediatezza all’ascoltatore la natura estetica ed emozionale del prodotto musicale che rappresenta.

18 In informatica il termine multi-piattaforma può essere riferito ad un linguaggio di programmazione, ad un’applicazione software o ad un dispositivo hardware che funziona su più di un sistema o appunto, piattaforma. In questa sede, possiamo osservare come il prodotto musicale sia fruibile su una varietà di supporti che variano da quelli canonici analogici ai moderni riproduttori multimediali (hardware e software).

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La musica è infatti il vero e unico prodotto, ma presenta molteplici sfaccettature. Se la musica di un artista dev’essere venduta (o donata), come scegliere in che modo distribuirla e quale forma fisica o digitale farle assumere? Ora che, come abbiamo visto precedentemente, le playlist possono essere considerate come i nuovi album, molti artisti caricano nelle piattaforme in streaming solamente una serie di singoli e l’uscita del disco diviene spesso solo la raccolta degli stessi, venduto principalmente in digitale e fruito attraverso ulteriori playlist generate dagli utenti. Alla luce dei fatti, ha senso che il prodotto finale dell’artista sfoci in un album? La risposta è soggettiva e di-

Muse

pende da molti fattori quali obiettivi e differenziazione. Ad esempio, la rock band inglese Muse, in un’intervista del 201519, ha affermato che il loro ultimo disco, Drones, era valido solo perché rappresentava un concept album e quindi aveva senso ascoltarlo dall’inizio alla fine. Il nome che si attribuisce a questi progetti nasce negli anni ’70-’80, ed identifica un prodotto musicale in cui le canzoni possono essere viste come mini-prodotti. Nel loro insieme queste possono rappresentare un intreccio di piccole storie concatenate, che danno vita ad una trama completa e definita. Solo se però ogni brano è, a livello si senso, concatenato all’altro si ottiene un album compatto20. Quello che ne deriverà sarà un prodotto che fa dello storytelling la sua punta di diamante, con una narrazione di fondo perfettamente riutilizzabile ai fini di marketing. Oltre che nel caso dei concept album, per un brand è oggi di vitale importanza l’uso dello storytelling21.

19 A. Greene, Inside Muse's 'Drones' Strike: Matt Bellamy on High-Concept LP. Rolling Stone US, 8/5/2015 20 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 118 21 L'atto del narrare storie, disciplina che usa i principi della retorica e della narratologia, impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, spec. in ambito politico, economico ed aziendale. SPREAD MUSIC

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In un contesto di mercato in cui vige sempre di più l’interesse per l’immaterialità dei prodotti, l’attenzione delle persone ai fini di consumo volge verso la comunicazione intrapresa da un’azienda e ciò che riesce a trasmettere attraverso di essa. Al 99% dei consumatori non interessa infatti il marketing intrapreso da un brand, bensì la sua corporate identity, ovvero l’insieme costituito dai valori comunicati e le relazioni instaurate. La vita di un brand, nella sua interezza, deve diventare la verità da raccontare all’utente: è quel tipo di condivisione che dà al consumatore la libertà di credere in quel brand. Il primo passo per uno storytelling dinamico è trovare la giusta piattaforma digitale in cui voler operare, quella dove i fruitori sono più ricettivi in merito alla storia che si vuole proporre. Facebook, Twitter, Instagram e YouTube, ad esempio, sono social network nei quali si esprime al meglio la forza della narratività dei diversi tipi di contenuti. Sono, inoltre, i principali canali attraverso i quali è possibile condividere questi ultimi nel bacino del mondo virtuale, laddove si trovano ipoteticamente tutti i possibili fruitori.

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Le pagine di altri artisti, etichette, club e locali, studi di registrazione e agenzie di management e booking permettono inoltre di avere accesso a un database infinito di informazioni e contatti utili sfruttabili dal brand per i propri interessi. In generale i social media possono presentare delle caratteristiche di base, le quali, se sfruttate con intelligenza, possono trasformarsi in opportunità per la crescita di un brand. Le tre aree di concentrazione attorno alle quali ruotano opportunità e minacce sono: rete di informazione e contatti; visibilità e condivisione; possibilità di self publishing e self

promoting. Per quanto riguarda i primi due punti, le piattaforme che abbiamo citato possono essere un ottimo trampolino di lancio, ma anche un’arma a doppio taglio; la grande quantità di utenti e pagine dedicate costituisce infatti un overload22 informativo. I nostri contenuti sui social potrebbero brillare di luce propria, risaltando in mezzo ai molti privi di senso, oppure perdersi nella fitta nebbia passando inosservati.

22

Trad. ing. “sovraccarico, sovraffollamento”.

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Chi siamo?

Ci sono diversi modi per misurare le azioni di risposta dei consumatori relativamente a un’attività sui social da parte di un brand. Il processo di coinvolgimento si può riassumere in quattro passaggi, qui di seguito riportati23. 1. Aumentare la consapevolezza riguardo la musica che facciamo/trattiamo

Attirare l'attenzione

Diffondere la voce riguardo chi siamo e cosa e come lo facciamo, con le prime operazioni promozionali volte a comunicare l’identità e l’essenza artistica del brand musicale. 2. Attrarre potenziali ascoltatori Deliziare

l’ascoltatore

e

distribuire

entertainment,

trasmettere entusiasmo con un prodotto coinvolgente e che smuova sentimenti ed emozioni (ci focalizzeremo su questo aspetto nel prossimo paragrafo trattando di archetipi e

Coinvolgimento & Fedeltà

viralità). 3. Coinvolgimento e fedeltà Stimolare la partecipazione alle azioni del brand attraverso il marketing online (social media) e offline. 4. Sostenitors / Ambassadors / Prosumer Rendere l’ascoltatore fedele un ambassador, ovvero un sostenitore che divulghi il verbo di quel progetto artistico, fino a voler collaborare e fare parte del processo di creazione del prodotto musicale (re-mix, crowdfunding, partner ecc.) e

Sostenitors Ambassadors Prosumers Coinvolgere l'ultente nel processo di creazione del prodotto

diventare così un prosumer 24. Così come un tempo tutte le storie venivano raccontate e tramandate, mantenendo in vita nel tempo un contenuto che si aggrappava all’animo delle persone, oggi lo stesso processo avviene tramite il passaparola 25, che sia ancora in forma orale oppure sui social media.

23 Rielaborazione sintetica tratta da M. Gardellin, G. Vannini in Music Marketing 3.0 (vedi bibliografia) del modello piramidale “Engagement Food Chain” di Jim Sterne, storica figura nel mondo della Web Analytics, proposta nel suo libro Social Media Metrics: How to Measure and Optimize Your Marketing Investment, Wiley, 2010. 24 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 111 25 Buzz Marketing: tecnica di marketing basata sul passaparola in Internet, al fine di raggiungere nel minor tempo possibile un gruppo di utenti interessato al tema, al prodotto o al servizio che si intende diffondere.

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Il trasmettere questi “contenuti” aumenta l’esperienza partecipativa di una comunità, ed è su questo che si fonda il senso della viralità. In ogni caso, l’auspicabile viralità di un contenuto e la sua condivisione sono fattori strettamente legati alla qualità intrinseca del prodotto ed alle sensazioni che veicola. Tale viralità arriva in maniera spontanea e non esiste una regola fissa per costruirla ed ottenerla. L’idea proposta deve quindi essere sostanzialmente significativa, ovvero intensa e ricca di senso per chi la percepisce; solo in questo modo essa può stimolare sentimenti e valori profondi26. Secondo Pallera27, il viral-dna è costituito da un macro-insieme comprendente pathos (emozioni), ethos (valori), e logos (ragionamento logico, utilità), il cui incrociarsi dà vita al mithos, ovvero il senso. Non è un caso che il termine greco che significa “senso” riporti immediatamente alla parola “mito”. L’ elemento principale per trasmettere un senso è proprio attraverso una narrazione significativa che smuova l’animo delle persone e stimoli all’entusiasmo. Quello del mito, del resto, non è un paragone così lontano al mondo del marketing: i brand e i prodotti di oggi incarnano in qualche modo miti e leggende più o meno antiche e, nella loro esaltazione, pare ne abbiano davvero preso il posto. Ovviamente non tutti i contenuti condivisi in un social network rappresentano delle storie. Molti sono spesso privi di senso e dunque non sono idonei a durare nel tempo, o a essere tramandati. Secondo Kotler, un modello che può influire positivamente sulla diffusione di un’idea consiste nella creazione di narrazioni di marca che possano risollevare il pubblico da una tensione a livello psico-culturale e/o sociale, con l’obiettivo del raggiungimento di una catarsi28 finale.

26

Ibidem

27 Mirko Pallera, digital branding strategist, fondatore dell’azienda italiana Ninja Marketing (che si occupa di marketing non convenzionale) e docente della start-up Ninja Academy; è autore del libro Create! Progettare idee contagiose (e rendere il mondo migliore), Sperling & Kupfer, 2012. 28 Il termine "catarsi" viene utilizzato con il significato di "scarica, sfogo, espressione, liberazione". Nella filosofia e nella psicologia occidentale la catarsi ha assunto un significato simbolico e spirituale. SPREAD MUSIC

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Per costruire una narrazione simile, si può ricorrere inoltre all’uso di archetipi 29. Il termine “archetipo” proviene dal greco archetypon (archè: principio, e topos: modello) ed è un concetto la cui teoria a noi più vicina deriva dagli studi di Carl Gustav Jung, psicoanalista svizzero del Novecento , che individuò dodici figure archetipiche, identificate per mezzo di personaggi ipotetici, le cui caratteristiche e funzioni si rispecchiano nella vita delle persone, e quindi anche in quella di un brand; studi più recenti hanno infatti evidenziato forti legami tra i concetti psicologici e sociali dell’archetipo e le caratteristiche della marca. Di seguito è riportato lo schema dei dodici archetipi nell’elaborazione di Margaret Mark e Carol S. Pearson (rispettivamente brand guru e psicologa) e dei relativi esempi di brand.

29 Il termine viene usato, attualmente, per indicare, in ambito filosofico, la forma preesistente e primitiva di un pensiero; in psicologia da Jung ed altri autori, per indicare le idee innate e predeterminate dell'inconscio umano e, in narratologia, i metaconcetti di un'opera letteraria espressi nei suoi personaggi e nella struttura della narrazione.

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Se il brand utilizza delle figure narrative con significati nei quali le persone si possono identificare, si ha la possibilità di attuare una comunicazione in grado di instaurare una più intima percezione del brand da parte del pubblico. Complice è anche il fatto che i dodici personaggi archetipici incarnano tutti dei valori positivi, nei quali l’uomo finisce per riconoscersi. L’uso degli archetipi in un brand, e della conseguente pianificazione del suo stile comunicativo, scava nell’ animo delle persone: esse, di fronte alla marca, si trovano in realtà di fronte a se stesse, sono chiamate a interrogarsi, a scoprire delle emozioni sul piano individuale e dunque a compiere un viaggio interiore30. Per quanto riguarda il self promoting, gli strumenti e le pratiche di marketing che abbiamo citato (archetipal branding, buzz e viral marketing) convergono e si fondono sotto l’egida del più vasto campo del marketing non convenzionale. Esso è nato in modo spontaneo come risposta alla perdita di forza di persuasione del marketing tradizionale: le marche hanno iniziato a sperimentare mezzi e tecniche di comunicazione alternativi e fuori dagli schemi (non necessariamente originati dalle nuove tecnologie), in contrapposizione alla promozione omologata e massificata di cui le aziende facevano uso senza ottenere un vero vantaggio competitivo. Jay Conrad Levinson fu uno dei primi a esplorare le possibili strategie della comunicazione non convenzionale, definendole guerrilla marketing31. Cercando di sintetizzare le definizioni fornite anche da altri autori, possiamo definirlo questo campo come una strategia pubblicitaria fuori dagli schemi fissi e precostituiti, che supera i confini tracciati dai media tradizionali viaggiando parallelamente ad essi, per arrivare ad essere ovunque32.

30 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 112 31 J. C. Lewinson. Guerrilla Marketing – Mente, persuasione, mercato. Castelvecchi, 2007 32 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 123 SPREAD MUSIC

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Una semplice azione di guerrilla marketing può colpire l’attenzione del consumatore in un modo che non si aspetta, farlo emozionare e spingerlo magari a interessarsi al prodotto. Fare lo stesso puntando a generare un’energia sociale condivisa, può dare vita a uno scenario dentro il quale le persone – non più solo consumatori – vogliono muoversi e agire. Una campagna non convenzionale produce quindi risultati migliori se porta con sé un’ideologia di fondo che parli all’ anima delle persone. Se quest’ideologia, e quindi la sua narrazione archetipica di fondo, si fa portavoce di una serie di valori, tensioni ed emozioni, essa può far nascere una community. Con un prodotto che vuole trasmettere un messaggio preciso e con un filo narrativo fatto di elementi scindibili, i quali possono dar vita ognuna a storie parallele attraverso cui raccontare il brand, l’uso del marketing non convenzionale può portare a molteplici vie. Facendo riferimento all’ambito indipendente, ogni artista o etichetta di questo tipo, proprio per l’indipendenza da logiche di tipo industriale, ha libera possibilità di scegliere come promuoversi. Sia che si occupino da soli della propria autopromozione, sia che questa venga gestita da un’etichetta indipendente o come spesso avviene da collettivi di persone gestiti in autonomia, le possibilità sono molteplici e lasciano spazio all’ uso di diversi approcci e metodologie di marketing che si possono mescolare tra loro offrendo sempre nuovi sviluppi espressivi.

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PIATTAFORME DI SELF-PUBLISHING Uno dei problemi maggiormente riscontrati dagli artisti che vogliono rendere visibile il proprio operato in Rete, è l’impossibilità di avere uno spazio personale all’ interno del quale vendere la propria musica. I social network svolgono la funzione di vetrina per la propria immagine e pista di lancio per la condivisione di contenuti di interesse, ma non sono dedicati ed attrezzati per la vendita diretta di musica digitale. Al contrario invece, un sito web ben fatto, strutturato in modo da permettere una facile compravendita di un prodotto, presenta troppo spesso costi e gestione fuori portata per dei giovani musicisti. Esistono delle piattaforme online di distribuzione della musica, che possiamo definire di self-publishing. Riservate prevalentemente ai musicisti, permettono a chiunque di caricare online e promuovere le proprie creazioni artistiche (anche condividendole sui social network), così come di ascoltare e commentare quelle altrui. Tutto senza l’ausilio e la necessità di passare attraverso un’etichetta discografica, e a costo zero; vengono per questo utilizzate come vetrine personali dagli artisti. C’è ad esempio SoundCloud, fondato nel 2008, che col tempo si è trasformato in un enorme serbatoio di musica (ogni minuto vengono caricate 12 ore di suoni). Viene spesso usato anche da artisti mainstream per rendere disponibili contenuti come remix o brani inediti, gratuitamente e anche in free download.

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MixCloud è invece una piattaforma dedicata prettamente all'ambito radiofonico professionale ed ai Dj; è infatti possibile caricarvi i propri mix e selezioni realizzate in studio mixcloud.com

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o dal vivo. Gli ascoltatori possono godersi ore di musica sapientemente miscelate da professionisti della musica.


Dall’ interfaccia semplice, una via di mezzo tra un blog e un catalogo di prodotti online, Bandcamp consente a qualunque artista di mettere in vendita la propria musica direttamente sulla piattaforma, senza il fardello di dover costruire un proprio sito. Iscrivendosi gratuitamente, i musicisti possono infatti creare e personalizzare dei veri e propri micrositi all’interno dei quali vendere i propri brani e album. In sostanza Bandcamp concede spazi di vendita personalizzabili, dove l’artista può liberamente scegliere quanto far pagare il proprio album o, addirittura, di farlo decidere all’ acquirente. La vendita inoltre è sia digitale, con tanto di file .zip e .pdf con immagini e biografie, che su supporti fisici spedibili. Ovviamente per sostenersi il sito trattiene una percentuale sulle vendite: il 15% sugli incassi degli artisti, che però scende al 10% se si superano i 5000 dollari di incasso.

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bancamp.com

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Avvalersi di queste piattaforme permette agli artisti di vendere la propria musica senza possedere o appoggiarsi ad una label e senza un contratto discografico, o per mezzo di una label il cui obbiettivo è vendere in modo esclusivo tramite il proprio sito web o tramite BandCamp e siti simili (generalmente sfruttando PayPal per i pagamenti)33. Sia per la produzione che per la promozione di musica, ci si Piattaforme di crowdfunding

può avvalere inoltre della pratica del crowdfunding. Il termine deriva dalla fusione di “crowd” (folla) e “funding” (finanziamento) ed è stato coniato nel 2006 da Michael Sullivan, ma è solo grazie a Kickstarter qualche anno dopo che è stato utilizzato in maniera massificata, indicando il finanziamento derivante dalla folla grazie all’ausilio del Web. Diventato uno dei metodi finanziari più social e tecnologici del nuovo millennio, il funzionamento che sta alla base è semplice: se si ha un progetto in cui si crede (culturale o meno che sia), lo si propone sulla piattaforma, la quale diventa automaticamente una vetrina sul mondo, e si imposta una cifra minima che si intende raggiungere; se il progetto appassiona il pubblico, questo può donare una cifra a sua scelta tra le opzioni prestabilite, diventando così finanziatore in cambio di diversi tipi di premi finali. Se la cifra minima impostata viene raggiunta o addirittura superata, il progetto di crowdfunding va a buon fine e l’autore procede con la sua realizzazione e la consegna dei premi; nel caso contrario, i soldi tornano ai finanziatori. Ognuna delle tante piattaforme di crowdfunding in giro per il mondo presenta una sezione dedicata alla musica, dal già citato Kickstarter a Indiegogo a ArtistShare. In Europa i musicisti indipendenti inglesi si rivolgono a PledgeMusic, attraverso il quale i fan pagano in anticipo l’artista per un album a cui sta ancora lavorando; si parla poi della francese Oocto e della tedesca Sell a Band34.

33 T. Caronna. Digital Music Delivery. Viaggio nella distribuzione digitale di contenuti musicali. © 2014 Tommaso Caronna, Edizione del Kindle (posizione nel Kindle 718) 34 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido. Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 – pag. 101

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Ma è italiana la piattaforma di raccolta fondi per progetti musicali che sta letteralmente spopolando, non solo in Europa ma anche in altri continenti. Musicraiser è stata fondata nel 2012 ed è nata dalla mente di due persone che nella musica hanno navigato per anni nonostante la loro età: Giovanni Gulino, voce della band pop-rock Marta sui Tubi, e la sua compagna Tania Varuni, dj e produttrice, hanno messo in piedi un sistema trasparente e innovativo per permettere ai musicisti emergenti di farsi conoscere. In soli tre anni dal lancio, Musicraiser ha ottenuto risultati importanti, arrivando a finanziare oltre 500 progetti (senza contare quelli proposti che vengono scartati o che non raggiungono la cifra minima), di cui una cinquantina derivanti da tutto il mondo. Questo è stato segno che il servizio si è dimostrato adatto a rispondere al bisogno di finanziamento e promozione per artisti e band, «in questa epoca in cui l’industria discografica fa fatica a investire su chi non persegue logiche meramente commerciali ma punta alla qualità artistica»35. I vantaggi offerti dal crowdfunding sono molteplici: una distribuzione digitale gratuita, investimenti nella promozione e, tra le altre, la possibilità di suonare dal vivo a uno degli eventi targati Musicraiser. Il servizio “Ticket Pre-order” permette di realizzare una campagna promozionale coinvolgente per la prevendita dei biglietti di un live o di qualsiasi altro tipo di spettacolo e si rivolge agli organizzatori di concerti, i promoter e i gestori dei locali.

35 V. Rusconi, Musica e crowdfunding. Parla il fondatore di MusicRaiser: “i tempi stanno cambiando”, www.repubblica.it, 2015. SPREAD MUSIC

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L’ulteriore servizio “Album Pre-order” riguarda invece il processo di marketing antecedente all’ uscita di un disco ed è rivolto ad artisti professionisti, etichette discografiche e manager. Esso si basa sul principio di dare valore al proprio album ancora prima che esca, e questo a causa del sempre minore acquisto di CD ed Mp3. La campagna prevede il coinvolgendo dei fan, ai quali vengono dati contenuti esclusivi mentre il disco è ancora in fase di produzione. Tutto questo è una co-creazione sostenuta e permessa dai fan. Sono loro, ancora una volta, il vero motore di questa economia. Musicraiser presenta poi dei servizi extra. Oltre alla produzione e stampa fisica di dischi e alla distribuzione nelle piattaforme di streaming, un servizio in particolare, da poco lanciato, risulta interessante dal punto di vista delle nuove frontiere della musica live nel mercato musicale mondiale. “Wishow” (fusione tra “wish” , desiderare e “show”) si schiera dalla parte degli addetti ai lavori nell’ organizzazione di uno spettacolo, ma è rivolto in realtà anche a tutti coloro che desiderano organizzarne uno. In sostanza, se si vende in prevendita un numero stabilito di biglietti necessari al finanziamento di un evento, questo verrà realizzato. Questo tipo di meccanismo capovolge completamente la situazione, rovescia ogni principio di distribuzione e di decisione della musica dal vivo a cui siamo stati abituati per decenni. Inizialmente erano le case discografiche e le agenzie di management delle band a decidere dove gli artisti dovevano suonare. Col tempo poi, alcuni musicisti hanno preso in mano il loro destino, scegliendo autonomamente dove esibirsi; questa seconda possibilità è ora amplificata e coadiuvata alle esigenze del pubblico. Quelli che abbiamo descritto sono modelli distributivi alternativi, possibili e ampiamente utilizzati perché approcciabili da chiunque.

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VINYL (STILL) ROCKS

I dischi in vinile hanno davvero un futuro? Sembra di si. Nati nella seconda metà del 1800, durarono fino alla fine degli anni ’80, quando sua maestà il CD portò la musica nel dominio digitale, con tanti saluti per la puntina che fece innamorare di Elvis Presley e dei Beatles. Tuttavia, ad oggi, il successo del leggendario disco nero è una realtà così solida che è tornato ad avere una propria classifica in molti paesi. C’è da fare una premessa. I dati sulle vendite dei vinili sono un po’ contrastanti, ma prendendo come riferimento il mercato discografico principale, gli Stati Uniti, le cose si fanno più chiare. Qui, tra il 1993 e il 1994 si è toccato il punto più basso nelle vendite di vinili, che si sono assestate ben al di sotto del mezzo milione di unità. Poi, alti e bassi fino al 2006 e, da questo momento, come per magia, le vendite sono tornate a salire, finora senza fermarsi mai. La crescita del vinile è stata registrata in quarantanove mercati nel mondo; dopo 10 anni successivi di crescita, nel 2016 il vinile rappresentava il 10.5% di tutte le vendite fisiche e il 3.6% dei ricavi totali nel mondo.

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Sembrano esserci indicazioni di un collegamento diretto tra lo streaming e la crescita della vendita di vinili. Queste sono infatti cresciute fortemente in Paesi come la Norvegia, la Danimarca, l'Australia, il Sud Corea in concomitanza alla progressiva diffusione dello streaming36. Analizzando i dati sulle vendite di dischi, si può notare però che per quanto riguarda le nuove uscite le edizioni sul supporto fisico sono ben poche, mentre negli altri casi si tratta di riedizioni di vecchi classici. Nella top chart 2015 italiana ci sono solo due nuovi lavori (Gilmour e Jovanotti); il pluripremiato “Random Access Memories” dei Daft Punk, negli Stati Uniti, ha venduto solo 50mila copie in vinile. Nel momento in cui “25” , l’album di Adele, ha toccato quota 7 milioni di copie vendute in formato digitale,

40

sfiorava le 116mila copie col

35

vecchio supporto analogico37.

30

Va fatta un’ulteriore precisazione: stiamo parlando di dati di

25

vendita relativi ad artisti main-

20

stream, ed in queste classifiche

15

non sono presenti nomi indie in senso stretto; quindi se è vero

10

2016

2015

2014

2013

2012

2011

2010

2009

2008

2007

2006

2005

2004

2003

2002

2001

mati, vendono molto meno, è 2000

0 1999

che i vinili, rispetto ad altri for-

1998

5

1997

(milioni)

Vendite di vinili nel mondo, 1997–2016 (unità)

altrettanto vero che non essere nella top 20 equivale a vendere davvero poco.

Crescita della quota dei ricavi dal vinile, 2007–2016

Da qui prende piede l’idea che il

12%

rinnovamento del mercato del vinile dipenda quasi esclusi-

Percentuale tutti i ricavi 10%

vamente da due nicchie: quelle degli

8%

appassionati

‘audiofili’ ,

legati al supporto che offrirebbe

6% 4%

Fonte: Global Music Report 2017. Annual State of the industry - IFPI, 2017

2% 0%

78

36 2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

Ivi

37 R. Meggiato, Il vinile ha davvero un futuro? Wired Italia, 25/1/2016


una qualità del suono superiore (cosa non necessariamente vera38), e i DJ con la necessità di un approccio più fisico al mestiere. Non è un caso che, oggettivamente, i vinili di nuova uscita abbiano prezzi piuttosto alti: sono dedicati a un pubblico con discrete possibilità economiche. Anche perché, oggi, produrre vinili non può essere economico, a meno di non voler puntare ad una grossa produzione. Esistono aziende che si occupano di distribuzione e, nel contempo, di pressatura dischi, lucrando alle spalle di moltissimi. Una volta ottenute tracce musicali dagli artisti si rivolgono ad un master engineer, ad un grafico e ad un pressing

plant39. Il prodotto finito verrà poi mandato al distributore, che provvederà a spedirlo ai negozi sparsi nel mondo. Per ottenere un profitto seguendo tale trafila però è necessario pubblicare dieci o venti dischi all’anno e ciò comporta un investimento economico non indifferente; per molti questo è un limite invalicabile.

38

M. Richardon, Does Vinyl Really Sound Better? Pitchfork, 29/7/2013

39 Pressing plant (impianto di stampa) indica, in gergo tecnico, un’azienda e/o uno stabilimento che si occupa di stampare musica su supporti fisici. SPREAD MUSIC

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Tuttavia, volendo rimanere su tirature limitate, il processo non è poi così costoso. Esistono infatti svariate aziende nel modo che si occupano di produrre dischi in vinile, non necessariamente in elevate quantità, e accettando commissioni da chiunque (senza bisogno di un’etichetta a fare da tramite). Possiamo quindi citare la United Record Pressing (USA), The Vinyl Factory (Regno Unito) e l’italiana Phono Press. Per un’artista emergente, collettivo o etichetta che vogliano arricchire il proprio catalogo con stampe promozionali in vinile, una scelta ragionevole potrebbe essere quella di rivolgersi ad una di queste aziende, e occuparsi autonomamente della promozione e distribuzione dei prodotti, magari avvalendosi delle piattaforme citate nel precedente paragrafo e del crowdfunding per finanziarsi ed farsi pubblicità. Le prerogative della spagnola Fundamental Records sono due, musica e design. Più il livello della prima è alto, maggiore dovrà essere l’attenzione rivolta al secondo. Partita ufficialmente nel 2010 con la prima uscita, sviluppa

80


dunque un concept che consiste nel pubblicare musica (electro con inclinazioni ambient) su dischi abbinati a confezioni ultraspeciali con annessi “gadget” tipo record bag, slipmat e t-shirt. Ogni uscita su Fundamental Records è limitata ad una quantità esigua di copie, alcune numerate a mano e sempre racchiuse in package speciali. Il suo target quindi è legato più ai collezionisti che ai Dj, dal momento che il mercato del vinile è ormai tenuto in vita da gente che compra musica per ascoltarla sul giradischi in casa e non dai DJ. Quanti disc jockey nel mondo adoperano ancora vinili nelle discoteche? Fundamental Records cura inoltre il processo produttivo di vinili e copertine per altre label; ciò che la differenzia dalle classiche etichette è proprio la cura del processo produttivo dalla A alla Z, con un iter che potremmo definire quasi “casalingo”. Quindi il proprio modello di business non si avvale di un distributore, così come avveniva tempo addietro, bypassando un passaggio della catena40.

40 G. Impellezzieri, Fundamental Records, quando l’imperativo è l’unicità. Soundwall.it, 1/3/2017 SPREAD MUSIC

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CASE STUDIES In questa sezione si è deciso di identificare con dei casi studio quei brand musicali che in ottica di marketing, design e comunicazione visiva rappresentano esempi calzanti delle pratiche che abbiamo finora esaminato in linea teorica. In primis, vogliamo gettare un rapido sguardo ai cambiamenti avvenuti nella modalità di distribuzione di prodotti musicali, in seguito alla modificazione delle abitudini di ascolto e co-creazione da parte dei fruitori. Che la musica di domani tenda – o venga spinta dagli artisti più influenti – verso correnti come il download gratuito o il remix di brani con licenza Creative Commons, non è solamente un’utopia che spaventa le case discografiche, ma una realtà liquida che può nascondere grandi possibilità e al tempo stesso dubbi con cui fare i conti.

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Due artisti in particolare hanno fatto sentire il proprio nome in merito a queste correnti musico-filosofiche. Il primo è un musicista che ha fatto la storia del rock californiano degli anni ’ 90 il cui volto è spesso e ben volentieri lontano dai riflettori: John Frusciante, ex chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, si è espresso sull’ idea di una musica donata ai fan in maniera totalmente gratuita, contrario al fatto che l’unico modo per ottenere musica sia pagare. «Dare musica da scaricare gratis serve a ricordare che l’espressione artistica è una questione di donare, non prendere o vendere. L’atto creativo è il fine ultimo della vita, mentre il guadagno concerne più il cibo, i vestiti, le necessità, i comfort…»1. Il secondo invece è un musicista, dj e produttore discografico britannico di soli 27 anni che sogna un mondo in cui il John Frusciante

copyright smetta di esistere, così da permettere un re-mix di tutte le canzoni del mondo. Jamie Smith (in arte Jamie XX) è una figura particolarmente eclettica quanto giovane: dopo alcuni anni tra dischi in studio con vere e proprie band ed esibizioni come disc jokey fondendo il digitale con i vecchi vinili, questo giovane talento – forse uno dei prossimi capo-stipiti della musica di domani – risulta talmente influente sulle nuove generazioni da potersi permettere di dire tutto ciò che pensa riguardo la musica. Non ci sono arroganza o prese di posizione contro le grandi compagnie, solo una sana e fervi-da visione di un possibile futuro, nel quale il prodotto musicale apparterrebbe a chiunque e a giovarne sarebbero unicamente l’arte e la creatività. In questo scenario in cui gli avvenimenti diventano possibile materia di studio, le crociate di Taylor Swift, Thom Yorke e i moti anarchici di Reznor2, i sogni di Frusciante e gente giovane come Jamie xx e, danno una visione di cosa potrebbe succedere al futuro della social music in streaming se gli

Jamie "XX" Smith

interessi del music business spingessero verso una massificazione industriale che dà ai consumatori un servizio quasi gratuito a scapito degli artisti che lo rendono possibile. È un’immagine forse molto simile a quella di lavoratori

1 Intervista a John Frusciante in John Frusciante sta mettendo in free download un bel po’ di musica, Rolling Stone, novembre 2015. 2

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Cfr. "Alcune controversie più o meno famose - pag. 48


sottopagati per realizzare un prodotto da vendere all’ignaro consumatore medio. In un simile scenario, se chi realizza il prodotto si ribellasse o smettesse di creare, l’industria ne risentirebbe tremendamente. Tuttavia c’è da tener conto che molti artisti, già da tempo, distribuiscono parte della propria musica in maniera gratuita, prevalentemente per scopi promozionali. Uno dei primi esempi di una campagna moderna è rappresentato dal lancio del quarto album in studio dei Coldplay Viva la Vida (Death and all his friends). Nell’aprile del 2008 sul sito della band vennero annunciate data di pubblicazione e tracklist; questa venne inoltre usata come colonna sonora della campagna pubblicitaria del nuovo iPod, mentre il primo singolo estratto, Violet Hill, venne offerto in download gratuito dal 29 aprile al 6 maggio su www.coldplay.com. Il gruppo annunciò inoltre una serie di concerti gratuiti per i fan a Londra, New York e Barcellona in giugno oltre alle date del tour ufficiale. Nei primi giorni di giugno l’album finì comunque in rete su uno dei tanti siti pre-release e la band dal canto suo rispose mettendolo a disposizione in streaming sulla propria pagina di

Coldplay Viva La Vida (Death adn all his friends)

Myspace, mentre si apprestava ad iniziare una serie di apparizioni sui top media americani per trainare il nuovo lavoro. Viva la Vida debuttò al numero uno in classifica in 36 paesi, alla fine di giugno si ritrovò ad aver venduto più di qualunque altro nella storia del download digitale e alla fine del 2008 risultò l’album più venduto dell’anno su iTunes (più di 2 milioni di copie). L’Lp venne commercializzato anche in formato vinile, sempre capace di catturare l’attenzione degli audiofili, circa una settimana dopo la release ufficiale.

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I Foo Fighters rappresentano l’esempio perfetto di band che è riuscita a evolversi nel tempo pur mantenendo la propria identità – proprio come una vera azienda innovativa – e a realizzare azioni di forte impatto sociale fuori dal comune, pur nella loro semplicità. La band in questione è riuscita davvero a interpretare una tensione sociale, provando ad alleviarla o ad affrontarla con la propria comunicazione, la musica, trasmettendo messaggi di uguaglianza e mostrando che il rock non è sinonimo di “cattivo”. Compiere un’azione improvvisa, in un luogo e in un moFoo Fighters

mento inaspettati, e in una situazione che mira a zittire la comunicazione promozionale di un tour, finisce per aumentare maggiormente l’interesse e le aspettative che si creano attorno a quel prodotto musicale. Le circostanze di tensione createsi hanno permesso alla band-brand di far parlare – bene – di sé. Come quando il 31 agosto del 2011, a Kansas City nel Missouri, si stava tenendo una protesta contro i diritti gay organizzata dal a Westboro Baptist Church, una delle Chiese più conservatrici e forse estremiste d’America. Quest’ultima si era scagliata contro il video di Hot Buns, realizzato per la promozione del North American Tour 2011, che ritraeva i membri della band in una serie di scene divertenti, ironiche e alquanto provocatorie; a detta della comunità religiosa, esso «incitava alla fornicazione e all’ adulterio».

Foo Fighters Hot Buns

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Durante quel 31 agosto, i manifestanti erano infatti scesi in strada anche in occasione del concerto della band proprio a Kansas City, territorio dei battisti. Dal canto loro i Foo Fighters non rimasero a guardare: saliti su un palco mobile e travestiti come i personaggi del video che aveva causato tanto odio, si rivolsero ai manifestanti cantando una canzone allegra appositamente scritta in risposta alle loro proteste discriminanti. L’ azione fu ov-

Foo Fighters Sonic Highways album cover

viamente ripresa e caricata sui social, mostrando come la band abbia saputo rispondere con sarcasmo a un messaggio di odio3. Parlando

di

storytelling,

la

fitta

trama che collega l’industria musicale e la vita delle persone è ben rappresentata in un progetto chiamato

Sonic Highways, l’album-serie tv del gruppo rock: un business case che può dare una visione, seppur forse ristretta, di questo immenso legame. È proprio dai legami e dalle connessioni che Dave Grohl, il leader e cantante della famosa rock band americana, è partito per dar vita a un progetto

musicale

effettivamente

mai affrontato prima. Per realizzare il loro ottavo album e festeggiare i vent’ anni della loro carriera, i Foo Fighters decisero, tra il 2013 e il 2014, di intraprendere una strada effettivamente mai percorsa prima e di fissare l’asticella a un livello superiore. «Iniziò tutto con l’idea che l’ambiente in cui si registra un disco automaticamente influenza il risultato finale. Non solo lo studio, ma la città e le sue persone. La loro storia. Quando riascolto le nostre registrazioni, ricordo tutto dell’esperienza vissuta. È come se ascoltassi dei ricordi»4.

3

D. Creps, Watch Foo Fighters Rickroll Westboro Baptist Church. Rolling Stone, 23/8/2015

4

C. Saviano, Le "Sonic Highways" dei Foo Fighters. Disco e tv senza tradire Cobain. Repubblica, 19/11/2014. SPREAD MUSIC

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Il concetto che Dave Grohl vuole esprimere è che se la gente sapesse di più riguardo le persone e i luoghi in cui viene fatta la musica, si sentirebbe più connessa a quest’ultima. Durante i loro vent’ anni di musica insieme, dichiarano, sono stati in moltissimi luoghi e città degli Stati Uniti, ma mai il tempo necessario per godere di ciò che ogni luogo aveva da offrire. La band partì allora per cercare ispirazione in molte di quelle città ed è così che è nata l’idea di registrare delle canzoni in diversi studi lungo tutto il Paese, lavorando con produttori, musicisti e tecnici del suono differenti, in ambienti culturali totalmente nuovi. Otto città, otto brani e otto episodi, uno per ogni città. Chicago, Washington D.C, Nashville, Austin, Los Angeles, New Orleans, Seattle e New York: sono queste le tappe delle sonic highways (nome del disco e del documentario), le autostrade sonore che hanno visto i Foo Fighters registrare in studi leggendari, facendosi influenzare dalla collaborazione dei musicisti del luogo. Il documentario divenne una vera e In basso a sinistra: Sonic Highways album, interno del packaging (edizione vinile) con mappa del viaggio. In basso a destra: Sonic Highways documentary DVD

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propria serie tv (diretta dallo stesso Dave Grohl e prodotta dal canale americano HBO), nella quale in ogni episodio si rivivono le contaminazioni culturali che la musica di ogni città ha attraversato nel corso degli anni.


Sonic Highways rappresenta un esempio di concept album in cui la narrazione riveste un ruolo di primaria importanza, ma non è l’unico; vogliamo quindi citare alcuni atri casi emblematici. Uno di questo è l’ancor più recente album della rock band Muse pubblicato a giugno 2015 e intitolato Drones. Si tratta di un lavoro dalla concezione molto orwelliana, incentrato sulla progressiva disumanizzazione

Muse Drones album cover

della civiltà, rappresentata in maniera simbolica dal sopravvento dei droni, che si comportano come psicopatici in un mondo senza etica. La storia che fa da filo conduttore durante il corso dell’album (descritta da

Dead Inside fino ad Aftermath) ruota attorno a una persona che perde la propria fede e la propria sicurezza, divenendo facilmente manipolabile da alcune forze oscure, fino a quando comprende di non voler essere più usato e, ribellandosi, inizia a ritrovare fiducia nell'amore e nell'umanità. I due brani conclusivi, The Globalist e l'omonimo Drones, secondo le dichiarazioni del frontman, narrano il finale dalla prospettiva opposta, quella negativa. Si parla infatti dei fantasmi dei morti sconosciuti uccisi dai robot che non vedranno mai la giustizia e di cui non conosceremo mai le identità (come nel caso dei desaparecidos sudamericani). L'album ha debuttato direttamente al primo posto della Official Albums Chart, diventando il quinto disco consecutivo del gruppo al numero uno in classifica. È inoltre il primo album nella carriera del gruppo ad aver raggiunto la vetta della Billboard 200 negli Stati Uniti d'America.

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Uno dei casi in cui la forza di un’immagine immediatamente riconoscibile, legata al prodotto musicale, consiste nel progetto Run The Jewels, che possiamo ritenere uno dei più innovativi apparsi nel panorama musicale degli ultimi anni. I Run The Jewels (noti anche con l’acronimo RTJ) sono un duo rap americano formatosi nel 2013. Costruendosi l’immagine di due chiassosi rapinatori, pronti ad aggredire il mainstream1, sono noti per il loro stile ironico, aggressivo e anticonformista.

1

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J. Weiner, Il Combat Rap dei Run the Jewels, Rolling Stone Italia, 16/4/2017


Vengono presi in considerazione in questa sede per il loro approccio critico a tematiche spesso controverse di carattere politico e sociale (ad esempio: disuguaglianza economico/ sociale, abusi di potere, corruzione dell’autorità) e per l’abi-

In basso: Run The Jewels (2013) Run The Jewels II (2014) Run The Jewels III (2016)

lità che hanno dimostrato nel creare un immaginario che trova riscontro in una larga fan-base (Il loro debutto del 2013 e RTJ2, il seguito del 2014, hanno venduto centinaia di milioni di copie; i loro concerti fanno sold-out in tutto il mondo); un gran risultato per un gruppo considerabile tutto sommato “underground” , dal momento che i loro album (e singoli) sono sempre stati pubblicati sotto etichette indipendenti. Il duo ha elaborato una comunicazione visiva che lo identifica tramite il gesto - due mani contrapposte, una che forma una pistola, l’altra chiusa a pugno che tiene una catena - raffigurato sulle copertine dei tre album finora rilasciati, che ricalcano in differenti chiavi grafiche lo stesso artwork, che viene utilizzato in tutti i visual su tutte le piattaforme creando così un’identità visiva univoca e riconoscibile. Tale iconografia viene riproposta ulteriormente on-stage nella scenografia delle performance live, ma non solo.

In alto Run The Jewels performing @ City National Civic, San Jose, California, 2/2/2017 (foto by gettyimages)

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Degna di menzione è anche la metodologia di distribuzione legata al terzo album in studio, messo in free download in formato Mp3 sul sito ufficiale i giorno di Natale 2016; sul sito sono comunque linkati tutti i servizi di streaming e negozi digitali in cui l’album è disponibile. Sono inoltre disponibili per l’acquisto la versione CD e due versioni promozionali, entrambe sold-out: una in doppio vinile f.to 180 gr. color oro e una in formato musicassetta.

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In un’epoca in cui il videoclip musicale è uno strumento fondamentale nella promozione di un’artista, i Run The Jewels sanno come sfruttarlo al meglio ricalcando un immaginario fatto di ironia ed eccessi. Come nel caso di Blockbuster Night Part 1, diretto da Trevor Kane, la clip proietta i rapper come una coppia di paramedici impertinenti che passano il loro tempo a mettersi nei guai: scorrazzare per le stradea bordo della propria ambulanza, oppure tentare pigramente di salvare un gatto bloccato su un albero allettandolo con un giocattolo. Oppure Call Ticketron (fig. 3), diretto da Brad e Brian Palmer dello studio Surround, che vede il duo prepararsi per un’esibizione al Madison Square Garden di New York, per poi scoprire che ad attenderli non c’è alcun pubblico e che la città sta per essere invasa da strane presenze aliene.

Ma in questa sede ci si vuole concentrare su altri video dai contenuti più polemici, in cui si affrontano tematiche controverse e scottanti come quella degli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine - un tema attuale in America, soprattutto negli ultimi anni. 94


Nel video Legend Has It i due si ritrovano in una stazione di polizia per prendere parte a un riconoscimento pilotato, durante il quale vengono accostati ad altri sospettati improbabili, ma che alla fine vengono visti compiere anch’essi delle azioni illecite (la suora gioca d’azzardo, la bambina fuma una sigaretta).

Mentre in Close Your Eyes (And Count to F**k) quello tra un giovane afroamericano ed un polizziotto bianco viene ironicamente e metaforicamente rappresentato come un rapporto di coppia con evidenti incomprensioni coniugali.

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Brillantemente diretto da Sam Pilling, Nobody Speak è una potente, seppur buffa, affermazione sullo stato disfunzionale della stagione politica attuale. Il cortometraggio si apre in quelle che potrebbero facilmente essere le Nazioni Unite, dove un folto gruppo di diplomatici si è riunito per risolvere apparentemente i problemi del mondo. Ma le tensioni sono alte quando due uomini si affrontano, aggredendosi verbalmente l’un l’altro; alla fine del video, nell’intera stanza regna una mischia totale mentre i diplomatici si attaccano violentemente l’un l’altro. Eloquente, sul finale, lo sguardo di disapprovazione di un’inserviente. Non è l’unico filmato in cui sono presenti dei chiari riferimenti politici.

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Nel video di Lie, Cheat, Steal il duo indossa le maschere di George Bush e Barack Obama e si abbraccia in allegria, una gag che suggerisce come i due presidenti siano più amici di quanto dovrebbero, viste le diverse ideologie. Nel caso di Don’t Get Captured, il filmato denuncia la gentrificazione dei quartieri popolari e la speculazione economica messa in atto dai poteri forti, a discapito dei meno ricchi. Dietro le animazioni in clay motion, è facile riconoscere la mano di Chris Hopewell, il regista del videoclip di “Burn The Witch” dei Radiohead.

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Vogliamo infine concentrarci sulle piattaforme di divulgazione musicale, il cui approccio giornalistico si fonde con l'utilizzo dei social media e moderne tecnologie di broadcasting. Mass Appeal (traducibile come “appello di massa” o “attrazione della massa”) è una società di media e contenuti inizialmente concepita come graffiti fanzine, poi cresciuta fino a inglobare in un modello cross-platform una propria testata giornalistica, un sito, l’etichetta musicale e un’agenzia di comunicazione, oltre a produrre contenuti cinematografici e televisivi.Il risultato, aderente alla mission dell’azienda, è di documentare la cultura giovanile a livello mondiale divulgando elementi di musica, arte e stile che progrediscono nelle culture urbane. Questa si configura infatti come una piattaforma di divulgazione musicale a 360°, composta da svariate rubriche il cui intento è quello di approfondire tematiche legate, oltre che al business, alle dinamiche di fondo ed al background culturale di artisti e produttori. Sul proprio canale YouTube sono ospitati, suddivisi in playlist che ricordano molto i canali di un network televisivo, i vari format, ognuno con un focus Canale Youtube Mass Appeal

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specifico.


massappeal.com

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pitchfork.com

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Quello di Mass Appeal è un modello a cui si rifanno molteplici testate giornalistiche, che si sono evolute e settorializzate negli anni. Tra le più variegate citiamo, oltre alla famosissima Rolling Stone, l’americana Pitchfork (con una particolare propensione per l’ambito indie) e Noisey, la costola musicale della testata Vice (già parte del gruppo editoriale Condè Nast, lo stesso di Wired). 100


Raccolte per anno

Ultime recensioni album

Pitchfork propone inoltre una serie di selezioni musicali tematiche sul proprio profilo Spotify

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Rolling Stone

Noisey In basso: Wired

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Gli inglesi Blaise Bellville e Charles Drakeford sono ideatori e gestori della Boiler Room1; hanno offerto al popolo della notte la possibilità di vedere e soprattutto ascoltare i migliori artisti del panorama elettronico mondiale con un solo click. Le dirette streaming erano già state concepite anni prima, quindi non si tratta in questo caso di aver inventato il concept, ma di averlo plasmato con un marchio di fabbrica e curato in modo tale che potesse essere esaltante musicalmente parlando. Il progetto Boiler Room ha avuto nascita nel 2010 quando i due decisero di trasmettere in diretta streaming le registrazioni di un podcast dell’ora defunto Platform Magazine. Ci fu da subito una grande reazione da parte del pubblico, perciò lo show fu reiterato la settimana seguente e praticamente ogni settimana da allora. Il concetto rivoluzionario è quello di lasciare gli spettatori fisicamente presenti alle spalle del dj invece che di fronte, lasciando solo “la rete” a guardare in faccia chi si esibisce. Essenzialmente è perché tutto ciò funziona meglio online; un video di qualcuno che da le spalle alla videocamera sembra strano e non ti fa sentire parte di esso se lo stai guardando in rete.Ciò che è tangibile oggi è la semplicità con cui si può trasmettere in tutto il mondo tramite la rete anche con mezzi non professionali. Il progetto Boiler Room si avvale di un equipment relativamente poco oneroso - e ciò è parte della sua filosofia - dal momento che «non siamo un’emittente TV e banalmente non abbiamo il budget per diventarlo […] e non è mai stato il nostro obbiettivo trasformarci in un club o comunque non nella sua classica forma»2. Quello che risulta sorprendente è la continuità e il costante miglioramento che sono riusciti ad offrire nel corso dei 3 anni in cui hanno operato; il pubblico è cresciuto immensamente in maniera rapidissima negli ultimi due anni (ovviamente il numero di visite dipende principalmente dall’importanza dello show; nei casi migliori si sono raggiunti i 500.000 contatti).

1

F. Raconi, Boiler Room: il futuro del clubbing è qui? SoundWall.it, 8/4/2013

2

Ivi, cit. SPREAD MUSIC

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Partiti con base londinese, hanno inizialmente coinvolto amici e figure conosciute nei loro trascorsi nell’ambiente musicale, andando poi pian piano ad allargare il roster di artisti di pari passo con la loro crescita; oggi i ragazzi possono vantare tre sedi stabili come Londra, Berlino e Los Angeles, più diversi episodi girati in posti stupendi come ad esempio Lisbona e Cape Town. La decisione di organizzare eventi regolari legati a Boiler Room a Berlino dipende dal fatto che la città in questione è una di quelle che hanno sfornato così tanta buona musica per così tanti anni, più o meno come Londra, perciò è stato abbastanza facile far funzionare Boiler Room anche lì. Una volta che lo show si era stabilito anche a Berlino, si comiciò a pensare di organizzare anche qualcosa di regolare al di là dell’Oceano. Il suono di Los Angeles sembrò una scelta ovvia per far si che il pubblico europeo ci si potesse identificare; la Stones Throw (etichetta hip hop fondata da Peanut Butter Wolf nel 1996) si offrì per il primo show. Il format prevede inoltre la scelta di permettere l’accesso solo a pochi fortunati invece che aprirlo a tutti; stando agli organizzatori sostanzialmente il budget per i nostri eventi non permette di affittare grandi location. Oltretutto certi spazi non creano l’ambiente intimo che aiuta un dj o un musicista ad esprimersi al meglio delle sua possibilità. L’unico motivo per cui artisti come Erykah Badu o Carl Craig verrebbero ad esibirsi in mezzo a una folla del genere sarebbe perché metà delle persone presenti sarebbero loro amici. Qualsiasi DJ che partecipa deve sentirsi libero di suonare ciò che preferisce nel modo che più gli aggrada. Sotto questo aspetto avere la folla alle spalle aiuta molto: non si tratta più di esibirsi di fronte a una grande arena, è come “suonare in cameretta”. Gli artisti suoneranno prettamente musica che loro stessi vogliono ascoltare, così da offrire una selezione particolarmente ricercata e raffinata. Boiler Room trasmette le sue dirette dal proprio sito ufficiale – boilerroom.tv – da cui si possono sfogliare i podcast per genere e data; il progetto, oltre che sui social è presente su Youtube con un canale attraverso cui trasmette contenuti extra oltre alle dirette, e su SoundCloud.

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Boiler Room ha proposto un'esibizione live del duo rap Run The Jewels usando per la prima volta la tecnologia di ripresa a 360° in streaming live su YouTube Londra, 15 Dicembre 2015

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A sinistra: boilerroom.tv In basso: canali YouTube e SoundCloud di Boiler Room

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SPREAD PROJECT Spread Project nasce come progetto di divulgazione a tutto campo, che a partire dalla musica si propone di abbracciare ciò che di artistico e culturale ruota attorno ad essa. Spread Project propone selezioni musicali come strumento per la conoscenza, lo scambio e la diffusione di contenuti musicali. Ha inoltre la volontà di approfondire aspetti meno noti legati al music business, alla produzione musicale ed agli ambienti culturali correlati. Servendosi dei mezzi comunicativi propri dell’era digitale (social media), di una propria piattaforma web e delle differenti metodologie di broadcasting disponibili, S.P. punta a svolgere le proprie attività sia online, che offline ad es. in contesti di musica live. Il progetto nasce da e si concretizza per quei microgruppi sociali che si identificano in particolari nicchie culturali. Si tiene infatti conto di un’abitudine di consumo più o meno in crescita, che riguarda il fatto che gli utenti cercano (anche) la musica sconosciuta, di più e con più facilità rispetto a prima. Quella musica appunto di nicchia, indipendente, che spesso non passa in radio. Incoraggiando a farla conoscere, e magari acquistarla, S.P. cerca di delineare una concezione sostenibile ci consumo musicale. L’obiettivo è di valorizzare l’aspetto inclusivo e sociale della musica liquida, facendo leva su quegli aspetti emozionali come il fascino del vinile, la stravaganza della moda, la dirompente energia della danza e la coinvolgente espressività della fotografia. Spread è rivolto a tutti coloro che provano una connessione ed un feeling con il progetto, a coloro che condividono la medesima idea di sharing, ai curiosi nei confronti della sana condivisione, agli addetti ai lavori ed ai profani accomunati dalla visione dello scambio come una delle principali forme di crescita collettiva.

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CONCEPT Proporre contenuti musicali sotto forma di selezioni musicali (playlist) in broadcasting online ed offline (dj set, live). Approfondire aspetti meno noti legati a musica e cultura.

MISSION Valorizzare l’aspetto inclusivo e sociale della musica, e incoraggiare scoperta, diffusione e magari l’acquisto di musica indipendente. Delineare una concezione sostenibile di consumo musicale.

VISION Valorizzare la musica underground e indipendente, e le sub-culture legatevi. Porre particolare attenzione alla content curation, strutturando contenuti che siano ricercati ed aderenti ai generi di riferimento.

VALUE PROPOSITION Il termine inglese “spread” che significa “diffusione, distribuzione” + project per riassumere l’identità di, appunto, un progetto dalle forme espressive mutevoli.

NAMING Giovani / età 17-35 anni / fruitori di contesti urbani / utenti di piattaforme streaming e social media Ambiti/generi di riferimento: elettronica - rock -rap

TARGET

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COME FUNZIONA Per la condivisione online, Spread Project si propone di traslare le proprie selezioni musicali in forma di playlist sulle principali piattaforme di streaming online, così da permetterne l’ascolto in maniera legale e conforme alle volontà di consumo del singolo utente.

La selezione di musica dal vivo si articolerà in più appuntamenti domenicali a cadenza non stabilita in un fascia oraria pomeridiana/serale, accompagnata da un documentario (audio-video) live dell’evento che riprenda la totalità della serata, permettendo all’utente di sentirsi parte della condivisione e spettatore attivo.

Inoltre, la diffusione dei contenuti, musicali (playlist) e non (news, articoli, recensioni, eventi etc.) avverrà tramite la propria piattaforma web e i social media selezionati.

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1

2

Nel progettare il logo, ci si è ispirati a brand musicali, streetwear e di cultura urbana, riassumendone i tratti stilistici. Al logotipo1 composto con caratteri sans-serif italic (quidi dinamicità) si è deciso di accompagnare un segno grafico2 che richiama i concetti di insieme (quindi community) e diffusione; a partire dal nome un cerchio si espande frammentandosi. Tale segno costituisce inoltre un richiamo estetico identificabile dagli addetti ai lavori (dj, di cui è anche principalmente composto lo staff del progetto) in quanto ricorda visivamente la corolla del piatto del celebre giradischi Technichs SL1200. Appurata la modalità di utilizzo del suddetto logo, destinato principalmente a device digitali e supporti video, la scelta conseguenziale è di rendere il logo dinamico, sfruttando la tagline3 secondo necessità per comunicare sinteticamente le caratteristiche del progetto.

3

112


IDENTITÀ VISIVA Sono state elaborate delle linee guida, in base ad elementi standardizzati, che permettano la creazione di elaborati

grafici

multipiattaforma,

secondo

necessità.

I seguenti criteri sono inoltre relativi al web design della sito del progetto.

Tipografia

Elementi grafici ^

^

Fira Sans Bold PROXIMA NOVA EXTRABOLD CAPS Headers

Fira Sans Medium PROXIMA NOVA CONDENSED SEMIBOLD CAPS

Subheaders

Fira Sans

Text

Colori

Glitch

^

^

#1c2550 #fa516e #33cbce

#032d9b

#6aff 7f

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Ăˆ stato inoltre progettato un template per l'elaborazione grafica delle copertina per le playlist tematiche. CosĂŹ facendo, combinando gli elementi di base dell'identitĂ

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visiva coordinata, è possibile creare copertine che mantengano lo stesso taglio stilistico rendendole riconoscibili e ricollegabili al brand.

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WEB Il fulcro delle attivitĂ di divulgazione del brand Spread Project sarĂ la propria piattaforma web, un sito progettato per ospitare adeguatamente i diversi tipi di contenuti che si intende trattare. Nel seguente diagramma, unitamente alla sitemap, vediamo schematizzate le relazioni tra le piattaforme esterne adatte a veicolare i singoli contenuti in base alla propria natura.

Homepage

Collections (playlists)

Live

News (blog page)

About

Playlist page

Event page

Post page

Contatti

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Homepage

Collections La sezione in cui saranno raggruppate le playlist, con streaming integrato e link a piattaforme esterne

Being Social Rimandi rapidi agli ltimi post inseriti sulle pagine ufficiali del progetto su piattaforme terze

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Live Sezione in cui collocare informazioni ed aggiornamenti sugli eventi in corso e futuri; archivio delle dirette streaming

Articolo

About Pagina dove raccontare sinteticamente il progetto e fornire contatti

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ADVERTISING Le piattaforme online ed i social network sono, come abbiamo visto, ottimi strumenti per la promozione di artisti, collettivi ed eventi. Ma proprio nel caso di una performance live, l'attivitĂ di promozione online va coordinata con quella di advertising offline sul territorio interessato, cosĂŹ da raggiungere la massima diffusione e visibilitĂ . Mezzi pubblicitari offline legati all'ambito musicale sono tipicamente manifesti, flyer e gadget vari come adesivi o spille da regalare sul luogo dell'evento, per rafforzare l'immagine del brand nella memoria dopo che questo si sia svolto.

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CONCLUSIONE La musica ha sempre accompagnato l’uomo lungo la sua storia, divenendo vero e proprio fenomeno culturale. L’evoluzione della tecnica ha operato grandi innovazioni in campo musicale, innovazioni che oggi vanno di pari passo con le nuove tecnologie digitali, portando in un lasso di tempo relativamente breve all’abbandono dei supporti analogici (vinili, audiocassette, CD ed Mp3) e passando nel giro di pochi decenni ai supporti digitali fino a giungere alla musica “liquida” , nella sua accezione legata al fenomeno dello streaming. In questo elaborato tale evoluzione è stata dissertata in concomitanza alle variazioni dei modelli di business a cui l’ambito musicale ha dovuto adeguarsi, e ai nuovi modelli di marketing che occorre mettere in campo per favorirne la diffusione. Esso si conclude proponendo una strategia di comunicazione accompagnata al design di un brand, denominato Spread Project, volti a valorizzare l’aspetto inclusivo e sociale della musica liquida unitamente alla diffusione di contenuti “di nicchia” , attraverso differenti metodologie di broadcasting che vanno dall’utilizzo di piattaforme digitali alle riproduzioni analogiche e/o dal vivo, al fine di valorizzare quegli ambienti culturali divenendo un possibile punto di riferimento per gli ascoltatori.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Global Music Report 2017. Annual State of the industry IFPI, 2017 Connecting with Music. Music consumer insight report IFPI, 2017 M. Gardellin, G. Vannini. Music Marketing 3.0: Storie e strategie per l’emersione dell’artista indipendente nel nuovo mercato liquido.Padova, Libreriauniversitaria.it Edizioni, 2016 T. Caronna. Digital Music Delivery. Viaggio nella distribuzione digitale di contenuti musicali. © 2014 Tommaso Caronna, Edizione del Kindle G. Bonanomi, R. Zonin. Musica Liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dello streaming. Informant, 2014. Edizione del Kindle M. Mulligan, A. Simpson. The Streaming Effect: Assessing The Impact Of Streaming Music Behaviour. MIDiA Research, 2014 G. Sibilla. Musica e media digitali. Tecnologie, linguaggi e forme sociali dei suoni, dal walkman all’iPod. Milano, Bompiani, 2010 P. Kotler, H. Kartajaya, I. Setiawan. Marketing 3.0 - Dal prodotto al cliente, all’anima. Milano, Il sole 24 ore, 2010 J. Friedlander, C. D. Weiblinger. Vynil (still) rocks. RIAA Music Notes Blog, 31/01/2018 https://www.riaa.com/vinyl-still-rocks/ J. Weiner, Il Combat Rap dei Run the Jewels, Rolling Stone Italia, 16/4/2017 http://www.rollingstone.it/musica/news-musica/ il-combat-rap-dei-run-the-jewels/2017-04-16/ S. Lacy, How Daniel become Goliath. Startups.com, 12/3/2017 https://www.startups.co/articles/ how-daniel-became-goliath

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R. Meggiato, Il vinile ha davvero un futuro? Wired Italia, 25/1/2016 https://www.wired.it/gadget/audio-e-tv/2016/01/25/ vinile-davvero-futuro/ A. Greene, Inside Muse's 'Drones' Strike: Matt Bellamy on High-Concept LP. Rolling Stone US, 8/5/2015 https://www.rollingstone.com/music/features/insidemuses-drones-strike-matt-bellamy-on-high-conceptlp-20150508 D. Creps, Watch Foo Fighters Rickroll Westboro Baptist Church. Rolling Stone, 23/8/2015 https://www.rollingstone.com/music/news/watch-foo-fighters-rickroll-westboro-baptist-church-20150823 G. Bosetti. Zygmunt Bauman: “Così la paura avvelena la società liquida”. Repubblica, 5 Aprile 2014. www.repubblica.it/cultura/2014/04/05/news/ bauman_paura_ilibra-82719807/ T. Bonini, Non sentirsi in colpa con Spotify. Doppiozero. com, 13/11/2013 http://www.doppiozero.com/materiali/chefare/ non-sentirsi-colpa-con-spotify M. Richardon, Does Vinyl Really Sound Better? Pitchfork, 29/7/2013 https://pitchfork.com/ thepitch/29-does-vinyl-really-sound-better/ F. Raconi, Boiler Room: il futuro del clubbing è qui? SoundWall.it, 8/4/2013 https://www.soundwall.it/ boilerroom-il-futuro-del-clubbing-e-qui/ R. Meyer, Why Spotify Doesn't Make Sense for Musicians: 70,000 Listens Earns Less Than $300. The Atlantic, 28/6/2012 https://www.theatlantic.com/technology/archive/2012/06/ why-spotify-doesnt-make-sense-for-musicians-70-000listens-earns-less-than-300/259136/

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G. Impellezzieri, Fundamental Records, quando l’imperativo è l’unicità. Soundwall.it, 1/3/2017 https://www.soundwall.it/ fundamental-records-quando-limperativo-e-lunicita/ S. Heller. Alex Steinweiss, Originator of Artistic Album Covers, Dies at 94. The New York Times, 19/07/2011 http://www.nytimes.com/2011/07/20/business/media/ alex-steinweiss-originator-of-artistic-album-covers-dies-at-94.html 1998-2008: il lettore mp3 compie 10 anni. MaCityNet, 11/03/2008 https://www.macitynet. it/1998-2008_il_lettore_mp3_compie_10_anni/ http://www.americaslibrary.gov/jb/recon/jb_recon_phongrph_1.html The iPod Generation (devices and desires of the next generation of radio listeners). OFCOM, 2004 http://stakeholders.ofcom.org.uk/binaries/research/radio-research/ipod.pdf https://www.wired.com/2004/10/tail/ https://www.startups.co/articles/ how-daniel-became-goliath www.ifpi.org www.fimi.it www.soundreef.com www.midiaresearch.com

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