Leopardi, primavera

Page 1

VOLUME  2 Il Neoclassicismo e il Romanticismo

I classici • Giacomo Leopardi Canti, Alla primavera o delle favole antiche

Giacomo Leopardi Alla primavera o delle favole antiche Opera: Canti, VII Punti chiave:

Metro: canzone libera La vicinanza tra natura e uomo nel mondo antico L’impossibilità di riprodurre il mito nel presente L’invocazione alla natura Lo stile classicheggiante

«O

pera di 12 giorni, Gen. 1822» secondo l’autografo di Leopardi, Alla primavera, o delle favole antiche venne pubblicata nell’edizione bolognese del 1824 e successivamente nei Canti (1831). Nell’edizione definitiva delle poesie leopardiane (1845) occupa la settima posizione, dopo il Bruto minore e prima dell’Inno ai Patriarchi. Tema centrale sono, come rivela il titolo, le «favole antiche», ossia i miti degli uomini primitivi del mondo classico pagano, mentre dedicata alle «favole» della tradizione religiosa e biblica sarà il citato Inno ai Patriarchi. La canzone è una lunga celebrazione del mondo clas-

Schema metrico: canzone libera, divisa in cinque strofe, ciascuna composta da 19 versi endecasillabi e settenari, con rime e assonanze variamente disposte. 1-14. Perché… innanzi tempo?: Costruisci così: Per quanto (Perché) il sole ripari i danni causati dal cielo durante il periodo invernale (i celesti danni) e per quanto l’aria malata (l’aure inferme) venga ravvivata da Zefiro, il vento della primavera, grazie al quale l’ombra pesante delle nubi, allontanata e divisa (fugata e sparta) si disperde nel fondo della valle (s’avvalla); per quanto gli uccelli deboli e indifesi (inerme) affidino (credano) il petto al vento, e la luce diurna nei boschi in cui penetra (penetrati boschi) e fra le sciolte brine (pruine) infonda agli animali inquieti (commosse belve) nuovo desiderio d’amore e di speranza; forse nelle menti umane stanche e avvolte dal dolore ritorna la giovinezza (la bella età), che la disgrazia e la luce funesta della verità (atra face del ver) hanno consumato prima del tempo (innanzi tempo)? Il paragone primavera/giovinezza instaurato da Leopardi in questa prima domanda retorica, dunque, non regge: se la primavera ritorna, non può invece tornare la giovinezza. 14. Ottenebrati e spenti: oscurati e bui. 15. di febo: del sole. Febo, o Apollo, era il dio del sole, al misero: al mortale, all’uomo, la cui condizione è quella di miseria. 16. sempiterno: in eterno, per sempre.

5 10 15

Perché i celesti danni ristori il sole, e perché l’aure inferme Zefiro avvivi, onde fugata e sparta delle nubi la grave ombra s’avvalla; credano il petto inerme gli augelli al vento, e la diurna luce novo d’amor desio, nova speranza ne’ penetrati boschi e fra le sciolte pruine induca alle commosse belve; forse alle stanche e nel dolor sepolte umane menti riede la bella età, cui la sciagura e l’atra face del ver consunse innanzi tempo? Ottenebrati e spenti di febo i raggi al misero non sono in sempiterno? ed anco, primavera odorata, inspiri e tenti questo gelido cor, questo ch’amara nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?

ed anco: e ancora. 17. inspiri e tenti: soffi dentro il cuore dell’uomo e lo metti alla prova. Si tratta di due latinismi. 18-19. ch’amara… impara?: che impara a conoscere la vecchiaia già nel fiore della sua giovinezza? Si noti, lungo questa stro-

G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori

leop_primavera.indd 1

sico e della sua qualità mitopoietica, capace, cioè, di creare miti, leggende, racconti per spiegare e dare un significato alla realtà che circonda l’uomo. L’idea di fondo è quella che alla natura piena di vita e abitata dalle divinità nei tempi antichi se ne è sostituita una sterile e senza più anima nel mondo contemporaneo. Scrive Leopardi nella Nota ai Canti: «La stanchezza, il riposo e il silenzio che regnano nelle città, e più nelle campagne, sull’ora del mezzogiorno, rendettero quell’ora agli antichi misteriosa e secreta come quelle della notte: onde fu creduto che sul mezzodì più specialmente si facessero vedere o sentire gli Dei, le ninfe, i silvani, i fauni e le anime de’ morti».

1

fa, l’impiego della figura retorica dell’anticlimax, ossia un’elencazione di elementi che va dal generale al particolare: le umane menti, il misero, questo cor. L’intento è qui quello di focalizzare l’attenzione sul protagonista della canzone: il cuore dell’uomo, appunto.

Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A.

26/08/14 16:35


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.