VENUS Gallery - Speciale MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo) [IT]

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MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo



VENUS Gallery

VENUS Gallery è un progetto di WorldcApp. WorldcApp ha ideato e sviluppato una piattaforma digitale (domanda di brevetto d’invenzione depositata in data 11 Dicembre 2020, n. 102020000030593) per Award/Prize/ Reward Competition, Media/Business/NonProfit community ed Aziende in ambito B2C che vogliono avvantaggiarsi di un “esercito” di influencer di tutte le dimensioni che integrano il loro potenziale. Copertina: Dasha Lapushka by Alex Comaschi Copyright: Tutti i contenuti appartengono ai rispettivi proprietari. La riproduzione di questi contenuti, senza il consenso esplicito dei legittimi proprietari, è severamente vietata. Indirizzo e Contatti: Bastioni di Porta Nuova, 21 20121 Milano (MI), Italia www.venus.gallery - info@venus.gallery WorldcApp.com - info@worldcapp.com Partita Iva: 10987970968 Note legali: WorldcApp.com/legal Stampa realizzata da Blurb.com Milano 2021


. VENUS Gallery

“La bellezza salverà il mondo” (Fëdor Dostoevskij) Puntare alla bellezza nei propri progetti richiede studio, applicazione e sperimentazione. Allo stesso modo, essere “utenti del bello” necessita di un processo di formazione e comprensione che si affina solo con l’esercizio e l’esperienza. Tuttavia lo sforzo richiesto non è fine a se stesso: è una tensione culturale che ci dota di una dimensione spirituale più alta e probabilmente capace di “salvare il mondo”. Pensate per un attimo al gioco dei Lego. Se avessimo tanti mattoncini ma di una sola forma, dimensione e colore, potremmo certamente costruire qualcosa di enorme; tuttavia la nostra capacità di espressione sarebbe costretta in una camicia di forza.


Disponendo invece di tasselli assai variegati, le idee si scontrerebbero con un unico limite realizzativo: la nostra creatività. Questa, infatti, non è altro che la capacità di acquisire, collegare e combinare elementi (mattoncini) di natura e forma diversa. Immaginate ora di sostituire il gioco dei Lego con la cultura, ed i suoi mattoncini con attività ed esperienze di carattere culturale. Anche in questo caso, la qualità delle idee sarebbe in stretta relazione con la nostra creatività e quindi, con la varietà delle attività ed esperienze rispettivamente svolte e vissute.

Vision .



Vision La cultura non è una forma di intrattenimento per pochi; non è un territorio dominato da un’élite; non è un vestito che indossiamo per mostrare al mondo quanto siamo smart; non è un diploma o un certificato grazie al quale le persone possano intuire quanti e quali musei abbiamo visitato o quanti e quali libri abbiamo letto; e soprattutto, non è un piedistallo dal quale snobbare gli altri. Troppo spesso assistiamo a questo uso improprio. La cultura è quell’insieme di espressioni di eccellenza dell’intelletto umano, considerate collettivamente e poste tutte sullo stesso piano. Vale a dire che non hanno più ragione di esistere distinzioni tra serie A e B. Le scelte culturali devono essere pilotate esclusivamente dalla nostra curiosità interdisciplinare e non da retrograde classificazioni e contrapposizioni tra (come dicono gli anglosassoni) highbrow e lowbrow culture. La buona notizia è che questo processo di democratizzazione della cultura è attualmente in corso, come chiaramente dimostrato da alcune personalità visionarie come quelle che seguono: Una giornalista e conduttrice televisiva londinese – Pandora Sykes – ha scritto un articolo interessante riguardo al fenomeno del calendario Pirelli: “liquidarlo come una raccolta di pin-up – scrive Pandora – significherebbe fraintendere il suo ruolo e sottovalutare la sua rilevanza culturale … il calendario Pirelli, nato per rendere omaggio a donne di fama mondiale, è diventato da tempo un potente motore del pensiero progressista”. Un architetto italiano – Massimiliano Fuksas – una volta dichiarò in un’intervista che, se la sua fonte di ispirazione si fosse limitata all’architettura, avrebbe trascorso il suo tempo a creare unicamente copie di edifici costruiti nel passato, anche se con materiali moderni. Leonard Bernstein, dall’alto della sua straordinaria carriera di compositore, pianista e direttore d’orchestra, quando ad un concerto qualcuno applaudiva nel momento sbagliato (il peggior “reato” nel mondo della musica classica) non usava quell’atteggiamento snob che condanna la cultura a rinchiudersi entro i suoi confini elitari, ma esclamava: “finalmente in sala è entrata una persona nuova!”. Immaginiamo ora come sarebbe il mondo se l’approccio innovativo e aperto di Sykes e la curiosità interdisciplinare e culturale di Fuksas fossero regolarmente incoraggiati ricevendo la stessa calorosa accoglienza che Bernstein riservava ai suoi nuovi spettatori! La cultura non sarebbe più considerata fine a se stessa, ma una fonte inesauribile di opportunità ed esperienze che la nostra creatività può combinare e ricombinare per ricavarne idee di qualità e soluzioni innovative. Questa è la vision di VENUS Gallery: una piattaforma (non solo una rivista) per (contribuire a) svelare che la bellezza è solo la punta di un iceberg che nasconde davvero il potere di salvare il mondo.

Il Team di VENUS Gallery


MAXXI Testi di Martina D’Alessio (Lab2.0) - Foto di Alex Comaschi - Modella: Dasha Lapushka



MAXXI

È stata soprannominata “La Regina delle Curve” dal quotidiano britannico The Guardian che ha aggiunto: “Zaha Hadid ha liberato la geometria architettonica, donandole una nuova identità”. I suoi lavori principali includono il centro acquatico per le Olimpiadi di Londra 2012, il Broad Art Museum della Michigan State University negli Stati Uniti e il Teatro dell’Opera di Guangzhou in Cina. Alcuni suoi lavori sono stati presentati postumi e molti degli edifici da lei progettati erano ancora in costruzione al momento della sua morte, tra cui lo stadio Al Wakrah in Qatar, sede della Coppa del Mondo FIFA del 2022.

Il MAXXI è un museo nazionale di arte e architettura contemporanea, situato nel quartiere Flaminio di Roma. È stato progettato dal celebre architetto Zaha Hadid e dedicato alla sperimentazione e all’innovazione nell’arte e nell’architettura. Nata a Baghdad nel 1950, Zaha Hadid è stata la prima donna a ricevere (nel 2004) il Premio Pritzker. Ha vinto il Premio Stirling nel 2010 e nel 2011. Nel 2012, è stata nominata dalla regina Elisabetta II “Dama di Commenda dell’Ordine dell’Impero Britannico”, una tra le onorificenze più importanti del Regno Unito.

ZAHA HADID



Partite dal pensiero.

avanguardie russe.

Un suggerimento lasciato ai giovani che racchiude tutto ciò che è stato il lavoro di una delle più importanti figure dell’architettura contemporanea.

La sua tesi di laurea è un inno al Suprematismo di Malevich, un manifesto futurista forse più apprezzato per il suo lato artistico, iconografico, che per l’idea architettonica che c’è dietro.

Partite dal pensiero. Dai disegni. Un suggerimento che contiene in sé un monito: non abbiate fretta di fare. Sognate l’architettura e, poi, trovate il modo di tirarla fuori dai vostri sogni. C’è il fervore artistico degli anni ’80, ci sono le sperimentazioni, la scoperta continua di nuovi materiali, le influenze dell’avanguardismo russo degli anni ’20 e il Decostruttivismo europeo. È questo lo scenario in cui cresce e si forma il genio visionario di Zaha Hadid. Prima la laurea in matematica conseguita all’università di Beirut, poi gli studi in architettura a Londra. La Hadid appare esasperare, da subito, quella teoria di “caos calcolato” e di geometria frammentata che la distingueranno per tutta la sua carriera, affascinata com’è dal Decostruttivismo e da tutte le correnti nate in seno alle

Malevich’s Tektonik è una fotografia di come la Hadid e molti altri giovani architetti del periodo immaginano il nuovo millennio. Un’illustrazione e, forse, niente di più. Per i primi dieci anni della sua carriera, infatti, a tanto si fermerà la sua produzione architettonica: ai disegni. Sono gli anni della teoria e della sperimentazione, anni in cui va delineandosi e definendosi il carattere poco diplomatico e deciso dell’architetto anglo-iracheno. Sono gli anni della prima, sostanziale frattura con il Decostruttivismo. La sua non appartenenza al paradigma occidentale la sposta su uno stile di pensiero fortemente personalizzato che con il tempo verrà definito “arabità” e che ha a che fare con i suoi studi matematici e la sua struttura culturale.




“Sognate l’architettura e, poi, trovate il modo di tirarla fuori dai vostri sogni.”



Si va formando, nell’architetto anglo-iracheno, l’idea di una connessione biunivoca tra le cose, della possibilità di un intreccio che in realtà il Decostruttivismo non contempla: la linea continua di Zaha Hadid. I disegni della Hadid sono tessiture di linee che corrono nello spazio, senza contesto, avvolte l’una all’altra come i fili dei tappeti della tradizione araba. Tessiture, non griglie. Un disordine ordinato, un caos che può essere generato solo a partire dall’imposizione di una regola. È dinamismo, uno schema fuori da ogni schema. Uno sguardo al futuro che si concretizza già con la realizzazione della prima opera firmata dall’architetto, la Vitra Fire Station di Weil am Rheim, struttura priva di basamento che sembra emergere direttamente dal terreno in un incastro perfettamente scomposto di piani e direzioni diverse. Non c’è compromesso nell’architettura della Hadid e ciò alimenta da subito il dibattito mai davvero concluso sul pensiero dell’architetto.

Si tira in ballo il concetto di funzionalità, ci si chiede se Zaha Hadid non incarni i peggiori impulsi dell’esuberanza architettonica recente, di quel virtuosismo scultoreo che partorisce spazi per un mondo immaginario, surreale. La Hadid riesce a dividere la critica così come fa con le sue opere. Confonde e meraviglia, offende in certi casi, ed ammalia. Appare, ella stessa, indefinibile, come la sua architettura. E costruisce, nonostante le critiche. È il caso del MAXXI di Roma, per il progetto del quale vince il concorso di idee bandito dal Ministero per i beni e le attività culturali nel 1998. Le continue minacce di interruzione dei lavori, le accuse di un design irrealistico e fuori dal contesto urbano, le polemiche sui costi e le problematiche legate ai fondi che ad ogni nuovo turno amministrativo sembrano sparire, sono solo alcune delle vicende legate al complesso cantiere del Centro per le Arti Contemporanee della capitale.


Eppure, nel 2010, viene presentato ai cittadini romani lo “spazio” del MAXXI. Un ambiente non urbano che si fonde con la città, finendo per sembrare parte integrante del groviglio di strade cittadine. I volumi che compongono il complesso sono linee che scorrono le une sulle altre, come binari, intrecciando direzioni diverse e definendo uno spazio che sembra fluire. Dinamico, come in tutte le altre opere dell’architetto anglo-iracheno. Non esiste un accesso principale, né vengono indicati i percorsi da seguire: il MAXXI è una dimensione in cui perdersi, in cui è il visitatore a scegliere in che modo vivere l’architettura. Hadid svincola il museo dall’idea dei quadri appesi alle pareti e, in questo modo, gli elementi verticali sono liberi di confondersi tra loro, di intersecarsi o di aprirsi verso l’esterno. I volumi generati da queste pareti sinuose mostrano di avere un proprio carattere ed esigono risposte di allestimento forti. È come se tutta la struttura chiedesse ai curatori di non ripetere ciò che è stato fatto in

precedenza, ma di sperimentare, di rinnovare. Lo stile futurista dell’opera non si limita all’organizzazione spaziale, ma ha una sua influenza anche nella scelta dei materiali e nell’uso della luce. Le pareti portanti sono in calcestruzzo faccia a vista, rivestite di uno strato di resina lucidante e caratterizzate soltanto dalle tracce delle casseforme impiegate per la posa in opera. La soluzione dà continuità agli elementi, avvalorando l’idea di flusso che si intende trasmettere. In copertura, lucernari in cemento fibrorinforzato corrono parallelamente alle pareti ed ai sistemi di illuminazione artificiale, senza spezzare l’andamento degli ambienti. Come i materiali, anche i percorsi verticali giocano a favore della dinamicità dello spazio. Le scale vengono dilatate fino a divenire percorsi, realizzate in metallo nero ed autoportanti. Un intricato groviglio di ponti e passerelle collega i tre livelli dell’edificio, iterando in altezza lo schema di pianta.




“Lo stile futurista dell’opera non si limita all’organizzazione spaziale, ma ha una sua influenza anche nella scelta dei materiali e nell’uso della luce.”


Tutto il progetto parte da linee che vengono deformate attraverso magie prospettiche e un uso sapiente dei materiali, la fluidità degli spazi creata abolendo i limiti e le divisioni tra ambienti adiacenti. Il MAXXI è un’immagine surreale che si confonde con la città, un innesto paradossale su edifici storici esistenti, un parco urbano che si trasforma in spazio espositivo. È un contenitore che toglie, in un certo senso, importanza al contenuto e diventa, esso stesso, arte. Ed è in quest’ultima frase che forse si sintetizza tutta la critica ed il favore che l’architettura di Zaha Hadid ha attirato. La Hadid progetta sognando, immagina spazi che grazie all’avvento del design parametrico ed ai consolidati studi tecnici riesce, poi, a realizzare.

La sua è un’architettura di processo, senza limiti di spazio o forma. È la capacità dell’architetto, come dirà Norman Foster, di andare oltre la visione grafica. Senza voler entrare nel merito della critica architettonica, è forse questa la più grande eredità che la Hadid ci lascia: l’aver dimostrato che un edificio disegnato, uno schizzo, è un’idea. E come tale, in qualche modo, già esiste. In questo risiede il genio sublime e irrazionale di Zaha Hadid: nell’averci permesso di camminare all’interno di quelle che, per molti, erano solo sue visioni. Partite dal pensiero, come Zaha.

Martina D’Alessio (Lab2.0) www.lab2dot0.com



Nata in Bielorussia nel 1993, Dasha Lapushka mostra sin da bambina una spiccata attitudine per le arti creative.

Alex Comaschi

Trasferitasi in Italia all’età di 12 anni, frequenta il liceo scientifico, convinta però che la sua vera strada sia il mondo della moda. Vinti svariati concorsi di bellezza, crea un profilo Instagram (dasha.lapushka) tramite il quale è seguita assiduamente da un’ampia community di sostenitori. Diventata mamma in giovane età, divide regolarmente il proprio tempo tra famiglia e lavoro. Dasha è anche una pittrice: ha recentemente esposto i suoi quadri in una mostra di Palazzo Ferraioli, a Roma.

Dopo una lunga carriera da “fotoamatore professionista” in cui ha immortalato ed esaltato la figura femminile, Alex Comaschi assume il ruolo di Direttore Artistico di VENUS Gallery, un progetto innovativo dedicato alla bellezza e all’eleganza. Da 13 anni, Alex coltiva questa passione nel suo studio fotografico privato di Roma in cui, ad oggi, ha ospitato più di 700 modelle provenienti da ogni parte del mondo. Il suo motto è: “La mia foto migliore è quella che devo ancora scattare”.

Dasha Lapushka




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