Forme della mobilità e del verde in ambiente urbano.

Dottorato di Ricerca in Pianificazione Urbana e Territoriale D’Arch BIO03

FORME DELLA MOBILITÀ E DEL VERDE IN AMBIENTE URBANO Criticità, strategie e nuove sfide di integrazione

IL DOTTORE

IL COORDINATORE

LUCA RAIMONDO

PROF. FRANCESCO LO PICCOLO

IL TUTOR

CO TUTOR

PROF. GIUSEPPE BAZAN

PROF. NICOLA GIULIANO LEONE

CICLO XXIV ANNO CONSEGUIMENTO TITOLO 2015

Forme della mobilitĂ e del verde in ambiente urbano CriticitĂ , strategie e nuove sfide di integrazione Dottorando: Luca Raimondo Coordinatore: Prof. Francesco Lo Piccolo Tutor: Prof. Giuseppe Bazan Co-tutor: Proff. Nicola Giuliano Leone

1

3

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4

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Forme della mobilità e del verde in ambiente urbano

Esperienze di interazione e casi studio tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

Considerazioni conclusive

Il metodo e la struttura della ricerca

1

Il sistema della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

2

Il sistema del verde urbano: strategie, caratteri e costi

3

Interazioni tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

4

Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobiilità e verde in ambito urbano

5

Caso studio: la Città di Barcellona

6

Risultati della ricerca

Parte 1°

B

Parte 2°

Tema della ricerca

Le basi di partenza scientifica

Parte 3°

Inquadramento del contesto della ricerca

A

Inquadramento

Criticità, strategie e nuove sfide di integrazione

Contenuti Ringraziamenti Introduzione Abstract Inquadramento del contesto della ricerca

11

A. Le basi di partenza scientifica

A.1 La città nello scenario di crisi

A.2 Gli indirizzi programmatici della ricerca

A.3 Le ragioni e gli obiettivi della ricerca B. Il metodo e la struttura della ricerca

B.1 Struttura metodologica della ricerca

B.2 Risultati attesi

B.3 Casi di studio

Conversazioni: G. La Malfa, S. Trigilia

13

29

33

Parte prima Tema della ricerca 1. Il sistema della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

1.1. La strategia EU sulla mobilità

1.1.1 La questione dell’ambiente urbano

1.1.2 La sicurezza stradale

1.1.3 La mobilità sostenibile

1.1.4 I progetti europei

1.1.5 L’Europa dei territori e la mobilità veloce

1.1.6 I corridoi transeuropei e l’alta velocità in Europa e in Italia

1.1.7 I fenomeni di mutazione nella geografia territoriale italiana

1.2. I caratteri della mobilità

1.2.1 L’urbanistica della mobilità

1.2.2 La mobilità in Europa e in Italia

1.2.3 La valorizzazione degli spazi pubblici

1.3. I costi della mobilità urbana

1.3.1 La mobilità urbana

1.3.2 Le problematiche attuali

1.3.3 Il prezzo da pagare

Conversazioni: G. Campione, F. Coppola, C. De Vito, V. Riggio 2. Il sistema del verde urbano: strategie, caratteri e costi

2.1. La strategia ambientale in Europa e in Italia

2.1.1 Le regioni biogeografiche europee

2.1.2 Le regioni biogeografiche italiane

2.1.3 I valori microambientali del verde urbano

2.1.4 Il verde urbano e la regolazione del comfort termico urbano

2.1.5 Il verde urbano e la gestione delle risorse idriche

2.1.6 Il verde urbano e il miglioramento della qualità dell’aria

2.1.7 Il verde urbano e la riduzione del rumore

2.2. I caratteri del verde urbano

2.2.1 Il sistema del verde e il Piano

2.2.2 La sostenibilità del verde urbano

2.2.3 Il ruolo del verde quale regolatore urbano

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93

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2.2.4 La flora urbica spontanea 2.3. I costi del verde urbano

2.3.1 Edafologia e flora

2.3.2 Costi di manutenzione

2.3.3 Ciclo idrico e di irrigazione

2.3.4 Illuminazione

Conversazioni: Josep Maria Montserrat, Giuseppe Barbera

3. Interazioni tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

3.1. La Green economy

3.1.1 Le città e il cambiamento ambientale

3.1.2 La pianificazione urbana

3.1.3 La mobilità sostenibile

3.1.4 Il ruolo del verde

3.2. Le infrastrutture verdi in ambiti urbani e semi-urbani

3.2.1 I concetti generali e la storia

3.2.2 Il ruolo delle Infrastrutture verdi in ambito urbano

3.2.3 le infrastrutture verdi e le infrastrutture grigie

3.3. La biodiversità urbana e i servizi ecosistemici

3.3.1 La necessità di conservare e valorizzare la biodiversità

3.3.2 Il ruolo della biodiversità urbana

3.3.3 Le funzioni della biodiversità urbana

3.3.4 Il ruolo dei servizi ecosistemici

3.3.5 Il peso dei disservizi ecosistemici

Conversazioni: Carlo Blasi Considerazioni finali sulla parte I

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Parte seconda Esperienze di interazione e caso studio tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano 4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde

4.1. Le città e le forme della vivibilità

4.1.1 L’organizzazione di una Infrastruttura verde

4.1.2 I progetti in corso di realizzazione

4.2. Il rinnovamento urbano

4.2.1 In Europa

4.2.2 In Italia

4.2.3 Le realizzazioni

4.3. Le città e le interazioni tra mobilità e verde

4.3.1 Le infrastrutture verdi in Europa

4.3.2 I piani urbani di mobilità sostenibile 5. Il caso studio: la Città di Barcellona

5.1. La città e i suoi progetti

5.1.1 Il sistema della mobilità a Barcellona

5.1.2 Il sistema del verde a Barcellona

5.1.3 Interazioni tra mobilità e verde a Barcellona

5.1.4 Le riflessioni a margine

Conversazioni: Oriol Bohigas, Salvador Rueda Considerazioni finali sulla parte II

237

251

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269

301

Parte terza Considerazioni conclusive 6. I risultati della ricerca 319

6.1 Aspetti generali

6.2 Interazioni tra il sistema della mobilitĂ e del verde

6.3 CriticitĂ

6.4 Strategie

6.5 Nuove prospettive di integrazione tra il sistema della mobilitĂ e del verde in

ambito urbano

Bibliografia Tematica Documenti e Appendici

327 341

Ringraziamenti Questo lavoro è l’esito di un processo di integrazione, sviluppato nel corso del triennio di ricerca, tra relazioni intrattenute con le Ferrovie dello Stato italiane, il Comune di Palermo, l’Arma dei Carabinieri e l’Universitat Politècnica delle Catalunya de Barcelona. I risultati della ricerca non sempre hanno soddisfatto le aspettative, pur essendo coerenti con l’assunto iniziale di indagare le relazioni esistenti tra i sistemi della mobilità e del verde. Tanti e importanti sono stati i contributi, diretti e indiretti, che hanno condotto alla maturazione delle riflessioni contenute nella ricerca.

Il primo ringraziamento va al mio tutor prof. Nicola Giuliano Leone, fonte di ispirazione e riferimento fondamentale per le scelte che nel corso del triennio hanno reso possibile la mia maturazione disciplinare intesa sia come capacità di creare relazioni tra istituzioni che operano nel comune interesse della Città, sia anche come suggeritore attento per le interviste rivolte alle personalità dei vari settori della società civile. Senza il suo apporto e la sua esperienza, certamente, non sarebbero state possibili le interazioni che hanno reso fattibile questa ricerca. Unitamente, esprimo il mio ringraziamento al prof. Giuseppe Bazan, tutor per gli aspetti botanici e vegetazionali, prezioso collaboratore e ascoltatore attento a cui è andato l’onere di accogliere e dirimere il groviglio dei miei molti dubbi e delle mie tante perplessità che hanno costellato il presente lavoro, mi ha seguito e guidato in tutti gli aspetti connessi alle infrastrutture verdi e fornito il rigore che è proprio delle scienze botaniche. Inoltre, un doveroso ringraziamento lo rivolgo al collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Pianificazione Urbana e Territoriale e, in particolare, al lavoro svolto dal suo coordinatore, il prof. Francesco Lo Piccolo, che ha incoraggiato la creazione di sinergie tra istituzioni differenti.

Ringrazio, inoltre, gli intervistati presenti nella ricerca, preziosissimi per l’incoraggiamento a proseguire nel cammino iniziato. Il prof. architetto Oriol Bohigas, meraviglioso interprete e protagonista dell’architettura e dell’urbanistica di Barcellona. Francesco Coppola, vice-Presidente di QVQC, Carlo De Vito nella qualità di amministratore delegato di Sistemi Urbani delle Ferrovie dello Stato italiane, Giorgio La Malfa della Fondazione Ugo La Malfa, Sergio Trigilia nella veste di Ministro per la Coesione Territoriale, Vito Riggio Presidente di Enac, Tullio Giuffrè nella veste di Assessore alla Mobilità del Comune di Palermo, Josep Maria Montserrat direttore dell’orto botanico di Barcellona, Giuseppe Barbera nella veste di Assessore al Bene comune, Vivibilità, Verde, Reti telematiche e Innovazione del Comune di Palermo, Carlo Blasi direttore del dipartimento di biologia vegetale della Sapienza di Roma, Salvador Rueda assessore di Bcnecologia Urbana dell’Ayuntamiento di Barcellona, Andrea Piraino professore di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Palermo.

A Laura Scaduto, già dottore di ricerca in pianificazione, persona di grande sensibilità e generosità, rivolgo i miei ringraziamenti più sinceri.

Ancora, ringrazio Carmen Maté, Cynthia Echave e Elisabet López, unitamente a tutto lo staff di Bcnecologia Urbana per il loro prezioso sostegno ricevuto nel corso del mio periodo di ricerca trascorso nella capitale catalana.

Infine è la volta del mio ringraziamento rivolto a tutti coloro i quali hanno dato un contribuito indiretto ma decisivo alla ricerca. A Caterina “Condesa” Anastasia e Annagiulia “Picén” Parizzi, splendide compagne della mia avventura barcelonese; Ad Agata Buscemi e Jordí Bellmunt.

Infine al prof. Franco Maria Raimondo, che nel corso di questi ultimi diciotto anni ha seguito e incoraggiato il mio percorso formativo. A lui, il mio abbraccio più affettuoso.

Introduzione È certamente arduo rispondere alla domanda su cosa sia rimasto oggi del significato “cittadinanza”, specialmente se si considerano i decenni di politiche neoliberiste che hanno sgretolato il tessuto sociale ed esaltato la libertà dell’individuo, a scapito della dimensione collettiva (Baumann, 2010). L’effetto della logica culturale dei “manager” ha lasciato traccia ed è sotto gli occhi di tutti: ovunque sorgono nelle città complessi residenziali caratterizzati da edifici alieni, autoreferenziali, massificati, astratti, collegati tra loro da importanti infrastrutture e attraversate senza sosta da un traffico veicolare insostenibile; così facendo, questa logica del profitto sulla rendita ha imposto la sua presenza al paesaggio urbano e reso sempre più difficile il riconoscimento dei principi insediativi e culturali che hanno ispirato le comunità. Nella città dei lunghi, intensi e frequenti spostamenti, il cittadino vive uno stato di perenne contraddizione: per un verso egli riconosce a se stesso la condizione di un senso di libertà assodata; per altro verso vive nell’impotenza di cambiare i modelli e i consumi imposti dal mercato proprio perché, in relazione alle loro leggi, hanno perso valore gli strumenti, fisici e giuridici, che nel corso della storia hanno caratterizzato le città e nutrito l’impegno collettivo: gli spazi urbani, le piazze, le strade, oltre che gli edifici pubblici, espressioni civiche nelle quali hanno preso forma idee quali “bene pubblico”, “equità” o “condivisione di valori comuni”. E lo è ancor di più alla luce del fatto che il termine città deriva dal latino civitas, - stessa radice di civilitas (trad. civiltà), intendendo sia l’insieme delle qualità che caratterizza un membro di una comunità urbana, sia la precisa appartenenza ad uno stile di vita strettamente connesso alle attività che insistono nella città stessa. Come affrontare i problemi di scala locale, pur sapendo che questi sono la diretta derivazione di modelli economici e culturali di carattere globale? Queste domande suggeriscono di intraprendere un cammino di conoscenza che consenta di oltrepassare i tradizionali confini del progetto di Piano e, al contempo, di guardare, ascoltare e far comprendere le pratiche e gli strumenti di indagine più di pertinenza delle discipline olistiche. Parlare di città e di come si produca l’inquinamento derivante dalle forme dell’organizzazione dell’uomo significa interrogarsi sia su come l’uomo vive la casa-città, sia anche su come la gestisce; equivale cioè a parlare di ecologia e di economia urbana, conoscerne gli elementi che li caratterizzano e le tendenze in atto. Le relazioni tra i due termini, apparentemente lontani, sono in realtà più stringenti di quanto si possa immaginare, già a partire dalla loro origine semantica. Ambedue le parole, infatti, contengono la medesima radice greca oikos (casa) ma dove l’ecologia, della casa ne intende lo studio (logos), l’economia con la desinenza (nomos) volge l’attenzione alla sua amministrazione (Odum E. P., 2006). La differenza sostanziale consiste nel fatto che l’economia si è evoluta nel tempo con modelli che hanno seguito l’evoluzione stessa della città, cercando di interpretare le esigenze di chi nella città vive e lavora; allo stato attuale, sembra che il modello economico sia andato oltre a quelli che sono i bisogni degli uomini, imponendo regole, concetti e leggi di mercato di carattere globale, perciò incapaci di rispondere alle domande e alle richieste che provengono dalla singola città e dal suo immediato contesto territoriale.

Le regole dell’ecologia rispondono alle leggi della natura e ci spiegano che sono di supporto all’uomo quando questi ne coglie le ragioni spaziali e gli sviluppi nel tempo; tempo scandito dal ciclo delle stagioni, del calore e dell’energia necessarie affinché i

fatti della natura si possano manifestare nello spazio attraverso il gioco delle logiche della successione e della stabilità del sistema. Le due discipline definiscono la problematica “casa” sotto due distinte ottiche e nei fatti si sono tradotte, per intendere la stessa cosa, in una visione della dimensione Tempo praticamente opposta. Probabilmente, questa visione opposta di intendere “oikos” è il metro per capire il termine “Crisi”.

Jeremy Rifkin, pur ammettendo la probabilità che si possa essere fuori tempo massimo, individua precise relazioni causa-effetto tra le crisi dei sistemi economico, ambientale e climatico sostenendo, altresì, la necessità di rivedere i nostri modelli organizzativi connessi ai nostri stili di vita.

“Stiamo vivendo un periodo storico di enorme precarietà. Incombe infatti su di noi la prospettiva concreta di un tracollo economico globale, della portata di quello verificatosi durante la Grande Depressione negli anni Trenta. La crisi creditizia globale è aggravata dalla crisi energetica globale e dalla crisi del cambiamento del clima globale, e tutte insieme contribuiscono a creare un possibile cataclisma per la civiltà umana, diverso da qualsiasi altra cosa alla quale si sia assistito finora. Le tre crisi globali sono collegate tra loro e si alimentano reciprocamente. Affrontare questa triplice minaccia che incombe sul nostro stile di vita obbliga a dare il via a una nuova programmazione economica che riesca a trasformare in modo efficiente le avversità contingenti in altrettante opportunità” (Rifkin J., 2008).

In tutti e tre gli scenari di crisi, i dati statistici ci dicono che il sistema città-mobilità è il responsabile principale se si considera che il 50% della popolazione mondiale risiede, lavora e comunque si relaziona con la città e se gli stessi dati preannunciano una crescita percentuale della popolazione europea pari all’84%; è, infatti, dalle città che fuoriescono la maggior parte delle emissioni che alterano i meccanismi funzionali della biosfera, nei diversi comparti che la compongono. Su tali presupposti, nel 1994 ad Aalborg, in Danimarca, 323 città europee hanno ratificato un accordo per un «modello urbano sostenibile», ritenendo che fosse indispensabile un inversione di rotta a favore del capitale di risorse rappresentato da aria, acqua, suolo e foreste. In tale sede, veniva dichiarata la necessità di rivedere gli strumenti tecnici e politici, affinchè i modelli di produzione, consumo e uso del territorio tenessero maggior conto delle specificità dei siti, quindi delle caratteristiche ecologiche al contorno. Allo stesso tempo, si auspicava anche l’adozione di nuovi modelli di crescita economica e nuovi approcci di sviluppo che non considerassero la realtà economica su soli basi quantitative, come ad esempio, quello rappresentato dal PIL (Prodotto Interno Lordo).

Attualmente, il solo indicatore che individua la crescita è il PIL che definisce il valore monetario delle merci, cioè il calcolo dei prodotti e dei servizi scambiati con il denaro. Se quindi si afferma, pur senza ancora aver interrogato i dati ambientali messi a disposizione dalle agenzie governative, che l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo dipende dal modello organizzativo che l’uomo si è dato, alla luce della gravità ambientale che insiste sugli ambienti urbani, rimane ancora il dubbio su cosa debba esattamente intendersi con il concetto di crescita economica, termine nodale attorno al quale ruotano le attività che avvengono in seno ad ogni città. La mobilità, fenomeno che interessa una dimensione principalmente locale, quindi urbana, è il tramite attraverso cui si muovono le popolazioni e le merci, quindi il maggior artefice che contribuisce in maniera decisiva ad innalzare il PIL. In Europa, il 72% della popolazione si concentra nelle città, nelle quali si produce quasi l’85% del PIL (United Nations, 2012).

Dalla scala globale a quella locale, l’economia, lo stile di vita e l’organizzazione delle popolazioni si basano sul concetto della crescita economica e lo fanno con sistemi di tecnologia avanzata molto energivori, con produzione di merci, con uso e consumo di risorse tendenti a esplorare e espandersi verso nuovo territori. Il sistema con cui le città mettono in atto le proprie strategie di crescita avviene tramite un robusto e potente sistema infrastrutturale attraverso il quale è possibile lo scambio di merci, il flusso di popolazioni che si muove per lavorare, per spendere, per vendere. Tutto ciò ha generato negli ultimi venti anni dipendenza sempre crescente verso fonti energetiche fossili, surriscaldamento globale, quindi inquinamento atmosferico, emissioni di gas serra, congestione del traffico e incidentalità e relativi costi collettivi e ambientali.

Delle già citate esternalità negative, il solo fenomeno della congestione cronica è responsabile di una perdita annua di circa 100 miliardi di euro, grossomodo pari a circa l’1% del PIL. Le emissioni atmosferiche e acustiche provenienti dal traffico urbano generano il 40% delle emissioni di CO2 e il 70 % delle altre fonti inquinanti (Libro Verde [COM – 2007, 551]).

Sebbene, quindi, la maggiore quantità di merce benzina consumata non è un bene per i valori ambientali ed ecosistemici, pur tuttavia il disagio collettivo e ambientale è il meccanismo che consente di accrescere il benessere collettivo e quello proprio, secondo quanto evidenziato dal PIL. Benessere collettivo che cresce ancor più se, a seguito di stanchezza e stress, si verificano incidenti che comportano spese aggiuntive di riparazione attraverso l’acquisto di pezzi di ricambio, richieste di prestazioni professionali e quant’altro ancora. Acquistare merci, contribuisce a incrementare la crescita economica, ma non comporta necessariamente una produzione di beni poiché, come si può facilmente intuire, molte merci non sono beni e molti beni non sono merci (Pallante, 2007).

A fronte di tutto questo, gli studi continuano ad indagare e analizzare la domanda, l’andamento dei prezzi delle fonti energetiche e dei costi occorrenti per la sicurezza energetica, i possibili scenari alle scale globali, continentali e delle singole nazioni, affinché siano sempre sotto osservazione sia la riduzione della concentrazione di CO2, sia i suoi riflessi sull’andamento del PIL di ogni nazione (ENEA, 2009). Le argomentazioni sugli scenari economici, come anche l’individuazione di possibili alternative al sistema economico in atto esulano, ovviamente, dagli obiettivi di questa ricerca.

L’assunto di base è che il sistema economico in atto, piaccia o meno, è quello con il quale ci dovrà confrontare per tanto tempo ancora, almeno fintanto che non ci sarà una flessione negativa della domanda di trasporto su mezzi privati. Per tale ragione, la ricerca considera elementi centrali del suo corpus, l’indagine delle forme di mitigazione urbana capaci di attenuare gli effetti derivati direttamente dal traffico veicolare, intra ed extramoenia.

La città è il sistema più complesso che la società umana abbia mai creato. Talmente complesso da somigliare sempre più ad un organismo biologico, che vive grazie a delicati equilibri metabolici, e come tra gli organismi biologici non ce ne sono due identici (F. Butera, 2004). Sebbene il modello economico tutt’ora in voga è quello che vorrebbe si uniformasse qualsiasi cosa (edifici e layout urbani che si ripetono da una parte all’altra del mondo), pur tuttavia ogni città ha caratteristiche uniche. Per ogni organismo-città, ciascuno dei quali connotato da un suo ambiente specifico, esiste una specifica organizzazione che ha logiche interne tali da imporre un determinato e specifico uso dell’ecosistema, un uso delle risorse e, conseguentemente, un peculiare inquinamento prodotto. L’inquinamento, qualunque esso sia, comporta che una

società lo ignori e per tale ragione continua ad andare avanti con il proprio modello di sviluppo politico/economico; oppure che ne faccia oggetto di controllo e di prevenzione.

In questo contesto, la mobilità e le varie forme attraverso cui questa realizza la sua espressione, è una lente d’ingrandimento dalla quale è possibile mettere in dettaglio gli usi impropri dello spazio pubblico urbano, come anche le gravissime forme d’inquinamento ambientale che rendono le città quasi invivibili e comunque causa di patologie molto serie a carico dei nostri apparati vitali.

Le differenti forme di inquinamento prodotte dalle forme di organizzazione insediativa e, particolarmente, da quelle della mobilità, oggi più che mai interagiscono sulla salute degli ecosistemi e quindi dell’uomo; in ambito atmosferico (sintomi respiratori, fino ad arrivare ai decessi da malattie cardiovascolari e al tumore al polmone), in ambito acustico (danni all’udito, impedimento nella comunicazione acustica e orientamento nello spazio, irritazione del sistema nervoso centrale e vegetativo, disturbo del sonno e dei momenti di riposo, riduzione della capacità di lavoro), in acque superficiali e sotterranee, consumo e inquinamento del suolo (avvelenamento da metalli pesanti), da fonte elettromagnetica (forme tumorali in età infantile).

La lettura delle frammentazioni ecologiche, sicuramente può dare delle risposte in tal senso, e la vegetazione urbana, al di là delle facili considerazioni relative agli indubbi valori strutturali ed estetico-paesaggistici, sarà indagata e progettata per la funzione che esso esercita all’interno del contesto urbano, così come in ambito territoriale.

E ancora: alle già conosciute valenze naturalistiche e di barriera fono-assorbente, la ricerca approfondisce quella relativa alla funzione climatica, di fitorimediazione e di bioaccumulo. Il monitoraggio della fitodiversità urbana e territoriale è di fondamentale importanza ai fini di una corretta gestione e riorganizzazione degli insediamenti. Le immagini telerilevate, consentono una restituzione di dati e informazioni molto precise relative alla qualità e quantità di vegetazione, per il fatto che gli indici di valutazione sono sensibili alle variazioni di contenuto idrico fogliare, della biomassa e dei pigmenti fotosintetici.

La mobilità costituisce l’ossatura portante dell’economia Europea, poiché in grado di creare collegamenti tra le varie scale della catena produttiva, oltre che in grado di produrre occupazione. In quanto tale viene riconosciuta quale elemento fondamentale della qualità della vita e motore della crescita economica, sociale e culturale. Già dal 2001 la Commissione Europea tramite l’adozione del Libro Bianco sui trasporti è il maggiore promotore di una politica di supporto alle autorità locali, per la diffusione di una cultura della mobilità urbana caratterizzata da un trasporto urbano sostenibile e accessibile. Nel territorio europeo, almeno 1/5 del totale dei collegamenti è rappresentato da percorsi urbani e se, come detto prima, si considera che le città soffrono particolarmente gli effetti della congestione del traffico, ciò significa che le popolazioni e le merci impiegano gran parte del tempo nei trasporti urbani, pubblici o privati, con i conseguenti e già ricordati impatti negativi sull’ambiente e sulla qualità di vita delle persone.

A complicare lo scenario di crisi globale, è intervenuta nei primi mesi del 2008 una crisi di natura finanziaria esplosa negli Stati Uniti nell’estate del 2007 con lo scandalo dei mutui subprime, cui hanno fatto seguito l’incremento dei prezzi delle materie prime (petrolio in primis), la conseguente crisi alimentare mondiale, un’elevata inflazione globale, la minaccia della recessione in tutto il mondo, così come una crisi creditizia e crisi di fiducia dei mercati borsistici. Il 2012 appena iniziato ha registrato l’allarga-

mento della crisi ai debiti sovrani e alle finanze pubbliche di molti paesi dell’Eurozona, alcuni dei quali salvati in extremis dal rischio di insolvenza.

In questo contesto di crisi generalizzata, l’Italia del 2012 costituisce l’avanguardia per i profondi cambiamenti strutturali e sociali che stanno avvenendo, non senza “spargimenti di sangue”, a seguito delle politiche di risanamento economico chieste dal Parlamento Europeo e poste in essere dall’attuale governo Monti. Le misure per la crescita economica, di contrasto alla recessione in atto e al risanamento del debito pubblico, il ricorso a maggiori sacrifici per attuare il pareggio di bilancio richiesto dalla UE, le misure delle liberalizzazioni su vasta scala (Assicurazioni, farmacie, professioni tecniche, notai, carburanti) e, infine, il rincaro del prezzo del gasolio, l’aumento dei pedaggi autostradali, delle polizze d’assicurazione e del numero dei pagamenti che arrivano con un ritardo di 120 giorni, hanno inciso sulla vita dei lavoratori italiani. In particolare, hanno risentito della crisi coloro i quali lavorano proprio lungo le strade e le autostrade italiane che, reagendo allo stato di vessazione economica hanno bloccato le forniture di merci e interrotto le comunicazioni per ricordare a tutti che l’86 % del trasporto commerciale si fa ancora su gomma. I dati Istat (2009) sulla quota di trasporto merci su strada, nei maggiori paesi europei, ci raccontano con maggiore nitidezza l’entità di quanto accaduto nei giorni di inizio 2012: su un totale di 23.402.361 Tir circolanti in Europa, l’Italia si colloca al terzo posto con 4.735.111 Tir, dopo Francia (6.309.390) e Spagna (5.459.641) con una percentuale di trasporto merci su strada pari all’88,9%, per un totale di 1,46 mld di tonnellate di merci.

Tutte le strade, urbane, regionali e nazionali, sono tornate ad essere teatro delle rivendicazioni sociali e la protesta di coloro i quali lungo le strade, di terra e di mare lavorano, hanno affermato al mondo quanto sia strategica la questione della “mobilità” anche a dispetto delle logiche del mercato globale, reso di fatto inerme.

In sintesi, la protesta ha interessato 20.000 tassisti, 90.000 imprese (ognuna delle quali possiede almeno 5 veicoli) lungo le autostrade, i controllori di volo per l’intero traffico aereo, il personale delle ferrovie e dei trasporti urbani, vari comitati agricoli, i pescherecci che hanno bloccato i porti impedendo l’ingresso delle merci sui containers. I supermercati si sono velocemente svuotati di merce fresca (frutta, ortaggi, carne, latte), sospesi i distributori di carburante, bloccate le distribuzioni di farmaci, chiuse le industrie per il blocco del rifornimento di componenti nei vari stabilimenti.

Lo scenario del Paese che ne è derivato ha avuto aspetti al limite del paradossale: da una parte la gente che usa il cellulare, il computer, che comunica attraverso i Social Network e manifesta le sue idee con Twitter e Facebook, ben inserita in un contesto globale dove le distanze sono immateriali e la comunicazione avviene attraverso la Rete; dall’altra parte la stessa gente che, con gli stessi cellulari, gli stessi computer, gli stessi Social Network, realizzava quanto le azioni quotidiane di chiunque siano fortemente vincolate ad una realtà “fisica”, piuttosto che a quella “immateriale” della Rete.

Abstract In ambito disciplinare, tecnico e politico istituzionale sempre più rilievo è dato al tema della sostenibilità ambientale dei contesti urbani. Questo tema è in particolare strettamente connesso a due concetti chiave: la mobilità e il verde. Tra le disfunzioni del metabolismo urbano si annoverano inquinamento atmosferico e rumore associato ai sistemi di trasporto, contaminazione delle acque di falda, consumo energetico e altro ancora. In particolare, incidono sul clima urbano le conseguenze del sistema di mobilitá inefficiente che condiziona e limita lo spazio pubblico nelle sue accezioni di luogo di scambio, sosta, integrazione tra le diverse compagini sociali che compongono la cittadinanza. Per altro verso, il verde gioca un ruolo di valorizzazione dell’ambiente urbano e attua meccanismi di fitodepurazione essenziali per il benessere all’interno dell’ambiente urbano. Nella ricerca si mettono a confronto le strategie, i caratteri e i costi per la collettività delle due componenti oggetto di studio e si svolge un’indagine volta a capire qualità da una parte e inefficienze dall’altra allorquando avviene o meno l’integrazione tra i due sistemi. Per comprendere i meccanismi di integrazione tra i due sistemi si sono indagati i concetti e le esperienze connesse alla tematica delle Green Infrastructures con le quali le città pianificano l’abitabilità degli spazi urbani e la loro accessibilità nel tentativo di aumentare i livelli di benessere urbano per i cittadini e l’appetibilità turistica. Si sono analizzate le trasformazioni che stanno avvenendo nelle grandi città del mondo e si è affrontato il caso studio della città di Barcellona, i suoi progetti di integrazione attuati tra sistema di mobilità e sistema del verde urbano, nonché i processi di trasformazione urbanistica in atto.

Keywords: Ecosystem; Green Infrastructures; Urban biodiversity; Urban planning; Urban Mobility.

Parte prima

Inquadramento del contesto della ricerca

Inquadramento

15

Inquadramento 16

Le basi di partenza scientifiche

Le basi di partenza scientifica A.1 La città nello scenario di crisi

Le politiche europee su mobilità e ambiente intraprese al fine di essere maggiormente competitive nel contesto degli Stati Membri, uniti per economia e finanza (ma non ancora politicamente), hanno prodotto nell’arco di almeno 40 anni progressi considerevoli. Tra tutti, probabilmente merita particolare attenzione quello relativo alla raggiunta consapevolezza che non vi possa essere sviluppo economico se all’interno dei parametri che lo caratterizzano, non sono compresi anche gli indici di valutazione dell’ambiente. A conferma di questa affermazione c’è il fatto che l’UE ha sviluppato norme ambientali fra le più rigorose al mondo. Le priorità attualmente perseguite - la protezione delle specie a rischio di estinzione e degli habitat minacciati, un uso più accorto ed efficiente delle risorse naturali – di fatto scostituiscono un supporto per l’economia poiché favoriscono innovatività e l’imprenditorialità. Cosicché, nel corso di questi decenni si sono accumulati dati che consentono di trarre considerazioni utili sullo potenzialità di sviluppo economico europeo.

Se si fa riferimento alla quantità e qualità dei dati di natura ambientale, cui ha fatto seguito un costante aggiornamento e conseguente affinazione per effetto del progresso tecnologico avuto nel corso degli anni, si comprende anche perché i piani strategici europei pongono la sostenibilità ambientale e segnatamente la vivibilità urbana come condizione imprescindibile per lo sviluppo economico. Quali sono, dunque, le condizioni ecologiche e ambientali in Europa che, nella prospettiva di lungo respiro rappresentata dalle “sfida tra i continenti”, stanno alla base delle anzidette decisioni?

Il dato di partenza, acclarato dai numeri forniti dallo studio delle Nazioni Unite (World Urbanization Prospects The 2011 Revision), ci dice che la crescita della popolazione è sempre in gran parte un fenomeno urbano che si concentra nelle aree del mondo in piena fase di sviluppo.

Tra il 2011 e il 2050, la popolazione mondiale dovrebbe aumentare di 2,3 miliardi, passando da 7,0 miliardi a 9,3 miliardi.

Allo stesso tempo, la popolazione che vive nelle aree urbane

Inquadramento

A.

17

Inquadramento

Inquadramento del contesto della ricerca

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dovrebbe crescere di 2,6 miliardi, passando da 3,6 miliardi nel 2011 a 6,3 miliardi nel 2050.

Stando alle previsioni, le aree urbane di tutto il mondo saranno chiamate ad assorbire tutta la crescita della popolazione prevista per i prossimi quattro decenni, mentre allo stesso tempo, in esse sarà attratta parte della popolazione rurale. Ciò, conseguentemente, a discapito delle attività agricole di nicchia, quelle cioè che tradizionalmente garantiscono la continuità del prodotto alimentare con i valori della tradizione legata al paesaggio naturale e culturale, nonché della biodiversità dei luoghi.

Ragion per cui si attende che la popolazione del mondo rurale dovrebbe iniziare a diminuire, in circa una decina di anni, di circa 0,6 miliardi di abitanti in meno, rispetto a quelli attesi nel 2050 ad oggi. Inoltre, un altro dato interessante che si estrae dallo studio delle Nazioni Unite è quello riguardante i luoghi nei quali si prevede che avverrà la crescita di popolazione nel mondo: la maggior parte della quale è prevista nelle aree urbane dei paesi nelle regioni del mondo meno sviluppate. In particolare, l’Asia dovrebbe vedere la sua crescita di popolazione urbana di 1,8 miliardi, l’Africa di 0,9 miliardi, e in America Latina e nei Caraibi di 0,2 miliardi.

Popolazione urbana nelle maggiori regioni del mondo (% della popolazione totale).

Fonte: UN, Department of Economic and Social Affairs, Population Division.

Sviluppo regionale della popolazione urbana e rurale, 1950, 2011 and 2050 (% della popolazione totale).

Fonte: UN, Department of Economic and Social Affairs, Population Division.

Le basi di partenza scientifiche

I numeri forniti dal rapporto sono proiezioni da prendere a riferimento non certo per la loro capacità profetica. Purtuttavia, assumono tutta la loro importanza drammatica se a queste si associa il concetto che ad una crescita di popolazione corrisponde anche un cambiamento del regime che regola la dieta alimentare, trascinando con se anche argomentazioni relative all’uso delle risorse primarie che garantiscono il cibo. I dati forniti dalla FAO (FAO, 2013) dicono chiaramente che oggi la domanda di cibo legata alle risorse naturali va diventando, per varie ragioni, sempre più scarsa: la produzione di biocarburante, il sequestro di carbonio, la conservazione delle foreste, la produzione di legname, la coltivazione di specie non edibili rappresentano solo alcuni fattori che insieme tolgono terreno utile alla produzione di cibo. Inoltre, alla scarsità di terra si aggiunge l’incremento di quote sempre più esigue di acqua utile all’irrigazione dei campi, fenomeno questo direttamente connesso al cambiamento climatico. Nelle regioni asiatiche, infatti, lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya sta sempre più riducendo il flusso del Gange, del Fiume Giallo, dell’Hindo e del Mekong fenomeno che, parallelamente, sarà affiancato all’aumento del livello del mare che farà salire il livello del sale nell’acqua dolce. Ancora, le inondazioni contamineranno l’acqua pulita.

In questo contesto, esprime quindi una valenza fondamentale la questione dell’energia e segnatamente dell’acqua necessaria per la produzione di cibo atta a soddisfare la popolazione residente nelle città. Più precisamente, il passaggio da una dieta proveniente prevalentemente dall’agricoltura ad una maggiormente ricca di proteine animali, quindi verso una dieta mista, presuppone un aumento di ben quattro volte il normale consumo d’acqua poiché ciò è quel che succede quando si passa da terreni coltivabili a terreni che, invece, esigono carne (Prodi R., 2011, Weis T., 2013).

L’aspetto legato al cambiamento di regime alimentare nelle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, congiunto alla scarsità di quote di acqua disponibili per l’irrigazione dei campi, incidono sulla sostenibilità di estese porzioni regionali nel mondo.

Ad esempio, ciò che sta accadendo in Medio Oriente ed in particolare in Arabia Saudita, riflette un caso paradigmatico che potrebbe esprimersi in altre regioni del mondo: le falde acquifere in via di rapido esaurimento e le aree irrigate in diminuzione registrano una drastica diminuzione della produzione di grano, scesa di due terzi dal 2007. Dati che, indicano la tendenza di una regione a dipendere completamente dalle importazioni estere.

Da questo tipo di scenario, derivano principalmente due fenomeni: 1) Gli stati mediorientali sono tra i più grandi investitori in terreni in Africa: questa scelta non è guidata dalla mancanza di terra,

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Il Nord-America è la più urbanizzata tra tutte le maggiori aree geografiche: Nel 2010, circa l’82 % della popolazione viveva in aree urbane, appena sotto il 64 % nel 1950. Sulla base di questi dati, le proiezioni sulla popolazione urbana del Nord-America dicono che questa toccherà circa l’89% nel 2050. Anche l’America Latina appare molto urbanizzata. Circa il 79% della popolazione viveva in aree urbane nel 2010. Nel 1950, la percentuale urbana era solo del 41%. Nel 2050, questa è proiettata a raggiungere l’87%.

Per quanto riguarda la popolazione urbana europea, nel 1950, appena poco della metà di questa viveva in aree urbane. Nel corso del anni la crescita è stata più lenta rispetto a quella avvenuta in America Latina, arrivando a toccare nel 2010 appena circa il 73%. In Asia l’urbanizazione è stata bassa nel 1950 - solo il 17% liveva in aree urbane. Oggi, questa è incrementata fino al 44% - appena poco superiore al livello di urbanizzazione dell’America Latina nel 19650. Si prevede che questa toccherà quota 64% nel 2050. L’Oceania è l’unica regione maggiore, dove il livello di urbanizzazione si mantiene su livelli pressochè costanti, rilevando un picco della popolazione del 70% avvenuto intorno al 1970. Non si prevedono cambiamenti per i prossimi decenni. L’Africa ha ancora i livelli di popolazione più bassi: appena sopra il 39% nel 2010, con percentuali di crescita che non raggiungeranno il 58% nel 2050. Nel 1950, soltanto il 14% della popolazione viveva in aree urbane.

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ma dalla mancanza d’acqua (Brown L., 2011).

Molti governi e élites dei paesi in via di sviluppo stanno mettendo sul mercato grandi porzioni di terreni a prezzi bassissimi in compravendite estremamente corrotte. Mentre compagnie e investitori incassano, i governi in uno stato di insicurezza alimentare si affrettano per assicurarsi le scorte. La corsa alla terra è iniziata con la crisi dei prezzi alimentari nel 2008, e continua incessante: in Africa in 12 mesi c’è stato l’equivalente dell’investimento in terreni effettuato in 22 anni (Rapporto Oxfam Italia, Gennaio 2013).

Un fenomeno tuttora in corso riguarda la tendenza in atto al land grab (accaparramento) tra le nazioni emergenti di estese porzioni di terra da coltivare. Nazioni come la Cina, ad esempio, attraverso i canali di accordi internazionali, comprano e affittano terreni in Africa e Sud America, proprio allo scopo di avere un controllo maggiore sulla propria produzione di derrate alimentari.

2) L’altro fenomeno è quello identificabile con l’urbanizzazione che sottrae terreno all’agricoltura, per il quale si stanno tentando di mettere in atto strategie atte al contenimento o alla tendenza alla dispersione.

Stando quindi a questi numeri è chiaro che il futuro caratterizzato dalla presenza del BRICS (acronimo di Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa, accomunati da alcune caratteristiche simili, tra le quali: economia in via di sviluppo, popolazione numerosa, vastità territoriale, abbondanti risorse naturali strategiche e interessati, nell’ultimo decennio, da una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale) sarà certamente caratterizzato da conflitti bellici la cui causa sarà dettata dall’esigenza primaria di soddisfare la fame e la sete. Ancora una volta nella storia dell’uomo, malgrado l’evoluzione tecnologica e le scoperte scientifiche abbiano consentito un generale miglioramento della qualità di vita nei contesti urbani, tuttavia resta il fatto che i problemi sono quelli di sempre: l’appropriazione dello spazio vitale, la fame, la sete, le emigrazioni di massa verso condizioni di vita capaci di garantire sicurezza.

Anche se si sono stabilizzate le basi, i valori, gli obiettivi e i presupposti per lo sviluppo della progettazione urbana sostenibile - che significa che da oggi si utilizzano le scarse e limitate risorse in modo razionale e responsabile, in modo da garantire lo sviluppo delle generazioni future - la verità è che, oggi, (il concetto di sostenibilità ambientale) non è consolidato come un nuovo corpo di dottrina. (Fernando Gaja i Diaz, F. 2006).

Le basi di partenza scientifiche

Proprio la mobilità urbana che si fa garante degli spostamenti di uomini e merci, rappresenta il nodo strategico per gli obiettivi di sostenibilità ambientale e, certamente, la principale sfida da raccogliere per i governi delle città: come anticipato in premessa il maggiore sostegno per l’economia di grande scala deriva proprio dalle città poiché è in esse che si concentrano maggiormente le attività umane; è anche vero che le stesse sono le maggiori responsabili delle pressioni sull’ambiente e sulla qualità della vita. Tutte le sfide finalizzate ad invertire il trend negativo che agisce sull’ambiente e, di riflesso, sulla nostra salute, devono quindi partire proprio dalla città, perché è lì che risiede la maggiore domanda di generi di prima necessità, di servizi, di insediamenti produttivi, residenziali e lavorativi. Gl interpreti di uno sviluppo la cui direzione sia favorevole all’esaltazione dei valori ambientali, ritengono che non puo’ che essere la città “il crogiuolo della nuova cultura della sostenibilità” (Socco et al., 2002, p.10).

Lo scenario futuro è quello della “Sfida dei Continenti” in cui, insieme al già citato panorama mondiale caratterizzato dal BRICS, si prospetta la possibilità di un teatro costituito da tre grandi continenti che saranno chiamati a determinare le logiche dell’economia e della mobilità di merci e persone: da un lato la potenza occidentale degli USA, dall’altra parte l’Asia che insieme chiedono a gran voce un arbitro che possa avere l’autorevolezza di saper controllare il loro scambi commerciali ed economici, ruolo che dovrebbe essere naturalmente rappresentato dalla nostra Europa. Allo stato attuale, l’Unione Europea, è un’identità economica e culturale che, però, non è unita da un punto di vista politico. È chiaramente un’occasione di non facile realizzazione alla luce dei fatti di crisi che agitano i paesi del sud-Europa.

I governi europei dovrebbero capire che la loro nazione, intesa come nazione che corre da sola, in questo mondo è finita. Come nazione che rimane con una propria identità, ma che contribuisce a un progetto comune, invece ha un enorme spazio. [...] Quando spiego ai miei studenti all’estero l’Unione Europea, con i suoi errori, le sue occasioni, dico che l’Europa tutta insieme è il più grande mercato del mondo, il più grande esportatore del mondo, accumula il più alto reddito del mondo, ma che separatamente i Paesi che la compongono non hanno la forza di farlo.

(Prodi, R. 2011, pag. 21).

Nella prospettiva più o meno lontana di questo scenario, la scelta strategica intrapresa dalla Commissione Europea di puntare sui temi della mobilità e sostenibilità ambientale, è stato fin

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da principio, quindi già a partire dagli anni ‘90, improntato dalla consapevolezza che questi due fattori non potessero in alcun modo essere slegati dal ruolo che si è data l’Europa, in seno allo scacchiere economico globale. Cosa sta succedendo, quindi, intorno a questo scenario, all’interno di ogni singolo Stato membro? Quali tendenze in atto al loro interno dovrebbero lasciar presupporre che il futuro possa essere in effetti quello della formazione di un’unica Nazione Europea meglio chiamata Stati Uniti d’Europa, così come prefigurato dai lavori della Commissione Europea? A tal proposito, per ciò che concerne l’Italia, è interessante il contributo e l’interpretazione che di queste tendenze in atto ne dà Andrea Piraino quando afferma che l’urbanizzazione intensa nel territorio, agevolata dalla presenza di opere infrastrutturali e di una mobilità privata sempre più estesa tra la popolazione, ha fatto si che si saldassero tra loro i centri, un tempo isolati, che costituivano al tempo stesso riferimento per il territorio e al tempo stesso identità culturale. Essendo avvenuta la saldatura tra quei comuni un tempo isolati nel territorio, tanto gli abitanti dei luoghi, quanto coloro che in quei territori si trovavano a transitare, hanno perciò perso i riferimenti di quei punti del paesaggio traguardando i quali e attraverso i quali era loro possibile l’individuazione di quei valori e principi identitari che consentivano di capire in quale regione o porzione di territorio ci si trovasse.

Macroregioni e Macrocity sono istituzioni di forma moderna, non rigide come le vecchie istituzioni fondate sulla sovranità […]. Per le politiche Comunitarie, ispirate dalla Commissione diretta da Jacques Delors nel 1993 (Presidente della Commissione Europea dal 1985-94), […] oggi il territorio è diventato il vero soggetto protagonista, non è più l’oggetto dell’esercizio del potere, il perimetro entro cui si esercitava il potere politico: è il territorio che detta le regole, i tempi, le istituzioni. (Piraino A., 2009).

La mobilità che, come si è visto, è una delle maggiori cause di dispersione urbana nel territorio, pertanto, è il settore strategico maggiormente attenzionato perché è attraverso questa che si stanno producendo i maggiori sforzi in funzione di una sua riqualificazione di settore, affinché si possa pensare un’inversione di tendenza a favore dell’uso responsabile delle risorse energetiche. Al contempo, è altrettanto chiaro che, in nome di uno sviluppo che sappia garantire benessere e sicurezza per le generazioni future, ciascuno Stato membro dell’Unione Europea, è chiamato già da subito a invertire il trend che vede nell’urbanizzazione crescente la causa prima di sottrazione di terreno agricolo buono.

A dimostrazione del fatto che il territorio e l’ambiente hanno

Le basi di partenza scientifiche

assunto il ruolo che a loro compete, l’analisi dei documenti prodotti dalla CE rivela all’interno dei lavori due fattori fondamentali: • le città sono il settore organizzativo trainante dell’economia, degli investimenti e degli affari in Europa, tanto alla scala locale quanto a quella globale; • le città sono le matrici di problemi ambientali che si ripercuotono sul microclima urbano incidendo pesantemente sulla vivibilità e che, a loro volta, agiscono per altro verso attraverso dissesti del macroclima sulle economie di scala globale.

Al di là delle considerazioni circa la capacità o meno di aver mantenuto fede agli impegni pattuiti, i lavori della Commissione Europea hanno seguito nel corso di questi anni il fil-rouge della «città quale patrimonio europeo» la cui necessità primaria è quella di dotarsi di una pianificazione che sappia aggiornarsi ed adeguarsi in prospettiva delle sfide future in merito a potenzialità di crescita, risparmio energetico e creazione di posti di lavoro. È forse ancora presto per trarre conclusioni sul senso della politica Europea di questi anni; Gli interpreti e gli opinionisti più accreditati nel campo della geopolitica, nei vari Stati, sono già concordi sul fatto che, probabilmente, nel corso di questo decennio appena passato, improntato da una interpretazione troppo liberista dei mercati finanziari, ci sia stata da parte dei governatori poca attenzione alle economie reali che frattanto intervenivano in seno alle città. Si è compresa la necessità di una pianificazione che assumesse al suo interno anche l’adozione di “buone pratiche” volte al miglioramento delle condizioni di vivibilità nelle aree urbane, allo stato attuale compromesse dal trasporto urbano e, nella maggior parte dei casi, imperniato quasi del tutto sull’uso massiccio delle auto private. Oltre alle già acclarate ripercussioni sulla salute dei cittadini, le esternalità negative sono causa di elevati livelli di inquinamento acustico e atmosferico (CE, 2001), oltre che di ingenti costi economici in funzione della sostenibilità ambientale urbana, derivati dalla mobilità (urbana, metropolitana e regionale).

Nonostante siano ormai noti a tutti le pesanti esternalità del trasporto urbano, tuttavia i lavori della Commissione Europea non lasciano dubbio sul fatto che la mobilità debba essere il settore strategico da potenziare in tutti i maggiori centri europei, proprio perché ad essa hanno riconosciuto la prerogativa di costituire un fattore vitale e di rinnovamento per le città, una garanzia alla popolazione per l’accesso ai beni di prima necessità, ai servizi, alla capacità di poter economizzare e risparmiare risorse e, non per ultimo, un’opportunità sia di lavoro che di svago (CE, 2006).

Affinché tutto questo possa essere messo in pratica, nei documenti prodotti si evince chiaramente la necessità di agire: 1) tramite un cambiamento di riferimento energetico con azioni che possano limitare la mono-dipendenza energetica delle città dalle

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fonti fossili, pur riconoscendo a queste ultime il “merito” di aver reso possibile un generale miglioramento socio-economico dei territori nazionali, grazie all’intenso sfruttamento del combustibile necessario alla crescita economica; 2) tramite la diffusione di pratiche legate alla condivisione dei beni di consumo.

Oggi, il risultato di questo lungo processo durato quasi 25 anni, è quello di una politica europea che indirizza i governi e le amministrazioni verso forme che favoriscono la mobilità sostenibile e, parimenti, evoca una maggiore limitazione del trasporto individuale su gomma all’interno delle aree urbane allo scopo di invogliare all’uso del mezzo pubblico, potenziare la pedonalizzazione liberando così le strade dalle auto e, al tempo stesso, valorizzare lo spazio pubblico con l’inserimento di vegetazione urbana. Per ciò che concerne le organizzazioni urbane, in esse sono promosse le innovazioni relative ai progetti di riqualificazione urbana volte a prevedere un riequilibrio intermodale all’interno delle aree cittadine, favorendo il trasporto pubblico, soprattutto su ferro, e gli spostamenti pedonali e ciclabili (CE, 2012).

Esposizione a livelli nocivi di inquinamento dell’aria in Europa nel corso del 2011

In generale, i dati confermano che nel periodo che va dal 2012 al 2013 non ci sono state variazioni apprezzabili e che, nel corso del 2011, il settore dei trasporti è responsabile del 58% di tutti gli NOx emessi nel Continente Europeo a 33 Stati, dei quali il 32% proveniente dal solo dal trasporto su strada. Inoltre, la quota del settore dei trasporti relativamente al totale delle emissioni di PM 2, 5 è del 27%, mentre il trasporto internazionale è il solo responsabile per il 17% di tutta la SOX emessa.

Metodi conosciuti come “Tecniche fonte di ripartizione”, hanno stimato che il contributo medio del traffico urbano e locale, per ciò che attiene la Concentrazione di PM10 è del 35% mentre è fino al 64% per le concentrazioni di NO2 (EEA, 2012).

Le basi di partenza scientifiche

Parallelamente all’insorgere delle politiche con indirizzo liberista, nel corso di quest’ultimo decennio, l’ambito della comunità scientifica internazionale e particolarmente della pianificazione urbana è stato caratterizzato dalla ripresa di maggior vigore del tema della resilienza urbana, cioè dell’interesse verso la capacità che hanno in generale i sistemi organizzati, umani e non, di attivare processi di adattamento nei confronti di fattori esterni di perturbazione. Il concetto, che non è nuovo all’interno degli ambiti scientifici, lungo l’arco di tempo che inizia partire dalla fine della prima metà del ‘900, è transitato attraverso vari settori disciplinari: dall’ingegneria, in cui la resilienza indicava la capacità posseduta da un elemento di resistere agli agenti esterni e la conseguente azione di ripristino delle condizioni d’origine; all’ecologia per la quale il concetto individuava la capacità di un sistema di adattarsi a eventi e fenomeni esterni, ma che l’azione di ripristino dava luogo ad un modello organizzativo inedito del sistema, cioè simile al precedente ma sostanzialmente diverso.

La resilienza urbana, come nuova branca della conoscenza delle scienze umane approdate nelle scienze della pianificazione, indaga la città intesa come un sistema vulnerabile agli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico (piogge violentissime e improvvise sempre più di carattere tropicale che si alternano a fenomeni di siccità, isole di calore urbano, etc.).

Per la città, i governi sono sempre più spesso chiamati a ripensare le proprie forme di organizzazione spaziale affinché i centri possano aumentare la loro resilienza sia nel breve che nel lungo periodo.

Sebbene ci sia qualche disaccordo circa il modo di misurare e definire la resilienza tra le diverse letterature scientifiche, tuttavia si è sostanzialmente d’accordo su questi punti: • le città devono diventare resilienti ad un ampia gamma di urti e sollecitazioni affinché siano preparate ad adattarsi al cambiamento climatico; • gli sforzi affinché sia possibile invertire il trend negativo che provoca il cambiamento climatico, devono essere affiancati agli sforzi che promuovano uno sviluppo urbano incentrato sulle problematiche connesse con la sostenibilità ambientale.

Le città, come è noto, costituiscono il 50% della popolazione mondiale e hanno un consumo di energia variabile tra il 60% e l’80%. In Europa, il valore del consumo d’energia e delle emissoni di gas climalterante si aggira intorno al 69%. Gli effetti si evidenziano con dissesti idrogeologici del territorio e con danni consistenti nelle aree urbane non adeguatamente attrezzate allo scopo, in quanto le trasformazioni sono state troppo veloci e comunque dettate da logiche poco attinenti ai valori e alle regole del territorio. A partire da questi dati, risulta quindi comprensibile quanto la valorizzazione della resilienza sia un obiettivo fon-

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damentale, sia per l’adattabilità, sia per i fattore di mitigazione tanto delle aree urbane, quanto di quelle metropolitane.

Il Libro Bianco del 2011 (COM(2011)144), rappresenta compiutamente il processo conclusivo del percorso strategico compiuto dalla Commissione Europea in materia di mobilità e trasporti. Sinteticamente i principali obiettivi sui quali punta il Libro Bianco sono i seguenti: • dimezzamento, entro il 2030, dell’uso di autovetture alimentate con il carburante tradizionale; • totale eliminazione, entro il 2050, del parco macchine europeo alimentato con il carburante tradizionale; L’intento è naturalmente quello di limitare e attenuare l’emissione di gas serra, con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2°C, oltre che di ridurre la dipendenza dal petrolio, considerato che nei decenni futuri si ridurrà la sua disponibilità, nonché la sicurezza delle sue fonti di approvvigionamento. Tuttavia, rilevano i lavori della CE, affinché possa essere messa in atto in misura maggiore l’affrancamento dal petrolio, è necessario che avvenga un rinnovamento infrastrutturale; ciò, anche in considerazione del fatto che i dati restutuiscono una condizione di relativo miglioramento tecnologico dei trasporti in materia di emissioni di gas climalteranti. Per tale ragione, la Commissone Europea ha auspicato e suggerito che qualunque azione di rinnovamento urbano dovesse passare attraverso un riammodernamento della mobilità poiché è da essa che discendono a cascata le condizioni di ricchezza, occupazione, miglioramento degli scambi commerciali, dell’accessibilità geografica e, chiaramente, della mobilità delle persone. Il sistema infrastrutturale e dei trasporti dovrà quindi essere più sostenibile affinché risulti meno il peso della dipendenza dal petrolio, aumenti la quota dell’uso delle energie rinnovabili, diminuiscano i livelli di emissioni di CO2 e conseguentemente i costi sociali dovuti alla congestione e all’inquinamento atmosferico.

A.2 Gli indirizzi programmatici della ricerca Le città dovranno, quindi, riorganizzarsi in funzione della sostenibilità ambientale e la mobilità ne rappresenta il settore cardine attraverso cui basare questa linea strategica. Una riqualificazione urbana che, città per città, dovrà essere condotta prevedendo il miglioramento energetico dei veicoli che dovranno avere sistemi di propulsione sostenibili (elettrico, aria compressa, idrogeno), l’incremento della multimodalità e una maggiore efficenza dei trasporti e dell’infrastruttura grazie all’uso dei sistemi di informazione e gestione del traffico. In ambito urbano, quindi, è auspicabile che sia messa in atto una strategia mista per ridurre la congestione e le emissioni; pertanto,

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la pianificazione territoriale, dovrà prevedere sia una riorganizzazione dell’assetto spaziale-funzionale delle città con relativo potenziamento della mobilità pedonale e ciclabile, sia un’innovazione tecnologica, infrastrutturale e di servizi per il trasporto pubblici, per i modi di trasporto non motorizzati e per la ricarica/ rifornimento dei veicoli puliti. Inoltre, le città al di sopra di una certa dimensione dovranno essere incoraggiate ad adottare piani di mobilità urbana che raggruppino tutti questi elementi e che siano perfettamente coerenti con i piani integrati di mobilità urbana, oltre che a dotarsi di certificati di efficienza della mobilità urbana e delle verifiche di sostenibilità, requisiti essenziali affinché possa essere resa fattibile, da parte della Comunità Europea, l’erogazione di finanziamenti dei fondi di coesione e di sviluppo regionale alla presentazione da parte di città e regioni.

Il tema della valorizzazione e qualificazione dello spazio pubblico in ambito urbano sta vivendo un momento di forte crescita di interesse in tutta Europa. Il difficilissimo momento di crisi economico, climatico ed energetico, nel quale si trovano ad operare i governi degli Stati membri, ha di fatto dato impulso a politiche strategiche che sembrano guardare con sempre più attenzione alle tematiche ambientali, intese quali opportunità capaci di dare impulso e sviluppo alle economie in sofferenza dei territori e delle città. Il significato di ecosistema, a seguito della congiuntura economica avversa, è quindi concetto che non è solo esclusivo delle scienze naturali ma che, gioco forza, è entrato anche nell’alveo delle discipline della pianificazione urbana e territoriale.

La consapevolezza della vulnerabilità urbana, quindi delle regole che reggono l’economia locale e di grande scala, hanno messo in dubbio la validità di tutti gli schemi organizzativi che nel corso di almeno cinquanta anni di storia hanno favorito la produzione dei beni di consumo e caratterizzato al contempo la crescita disordinata delle città nel territorio. Ciò perché, nel corso del tempo, i modelli di sviluppo economico adottati per la gestione delle risorse, non hanno basato la loro organizzazione sul recupero e il riciclaggio dei residui (carta o imballaggi di varia natura) determinando un duplice effetto: per un verso lo sfruttamento sempre più intensivo delle risorse forestali per la produzione della cellulosa e conseguenti impatti devastanti ai danni degli ecosistemi; per altro verso, sempre per la carenza di organizzazione in seno ai modelli di produzione di merce e prodotti di consumo, si è accresciuta la necessità di smaltire ingenti quantità di materiale, non recuperato e riciclato, nelle discariche o tramite gli inceneritori, immettendo contaminanti sia in atmosfera che nelle falde acquifere del sottosuolo. Il binomio, sfruttamento delle risorse, impatto sull’ambiente, agendo negativamente e in misura sempre maggiore sul sistema di tenuta

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degli ecosistemi, ha reso improrogabile la questione di una più razionale gestione delle risorse e della parallela riduzione della pressione esercitata dai sistemi urbani in seno al loro contesto territoriale.

Questa ricerca non avalla la tesi che per diminuire la pressione antropica sugli ecosistemi si debba agire sulla complessità della città poiché non è questo che è messo in discussione; Non vuole indagare soluzioni volte a semplificare la complessità dell’organismo urbano costituita da professionisti, da artisti, da operai e, per estensione, dalla diversità di usi e costumi che la caratterizzano e che, attraverso l’uso di nuove tecnologie, di hardwares e softwares sono in grado di organizzare meglio il flusso di informazioni dentro le città.

Si sa, infatti, che il cortocircuito che causa impatti negativi all’ambiente è la mancanza di una organizzazione adeguata alle nuove esigenze e, in seconda battuta, l’interruzione delle informazioni capaci di aumentare le incertezze della gestione e allontanare la capacità di anticipo agli eventi che agiscono negativamente sulle organizzazioni stesse (Rueda, 2011).

Il campo d’indagine della ricerca, mettendo a punto un sistema di scenari di simulazione, è costruito per cercare di rendere più efficenti le organizzazioni complesse, cioè per aumentare l’informazione organizzata all’interno dei contesti urbani migliorandola. Si ritiene, cioè, insieme ad una migliore organizzazione delle informazioni in seno alle città, che lavorare sulla complessità urbana possa dare maggiori vantaggi rispetto a quei contesti più semplificati come possono esserlo, ad esempio, i contesti caratterizzati dal fenomeno di diffusione urbana nel territorio. Più il contesto è fitto, come nel caso dei centri storici e dei tessuti consolidati delle città mediterranee, è più sono fitti gli scambi di informazione; diversamente da ciò che, invece, accade nei tessuti che caratterizzano la città diffusa.

Infine va fatta una riflessione sul concetto di “sviluppo sostenibile”, spesso evocato in modo improprio dai principali canali di divulgazione: non v’è dubbio che, l’attuale strategia di competizione delle città, volta ad accrescere la pressione sui principali ecosistemi della terra, contiene nel significato della parola “sviluppo” quanto di più “insostenibile” si possa intendere. Da qui la considerazione che allo stato attuale, se nulla si cambia per invertire le logiche che sottendono la competitività economica, il binomio “sviluppo sostenibile” è una vera e propria contraddizione in termini (Rueda, 2011).

La ricerca, quindi, pone l’assunto che l’indagine sincrona sul monitoraggio ambientale e la mobilità, ai fini della riqualificazione dello spazio pubblico, può avvenire solo a patto che si ponga come condizione necessaria l’esigenza di pervenire ad un cambio di regole affinché il binomio “sviluppo sostenibile”

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non debba essere contraddittorio nei termini in cui le attuali regole invece lo rendono. La ricerca si pone l’obiettivo di individuare soluzioni tendenti ad attenuare gli effetti della mobilità sugli insediamenti umani, attraverso correttivi dell’ambiente urbano e dell’organizzazione e lo persegue cercando di portare un contributo allo sviluppo della riflessione attorno e sul tema del monitoraggio ambientale all’interno dei contesti urbani.

Gli ambiti tematici, i criteri e le misure affrontate dalla ricerca comprendono l’analisi e la descrizione del contesto relativo all’ambito di studio (Palermo e Barcellona); la compattezza e la funzionalità urbana (occupazione del suolo, spazio urbano e abitabilità, nonché mobilità e servizi); la complessità urbana (interrelazioni tra complessità urbana con spazi verdi e biodiversità); l’efficienza urbana (energia e risorse).

In particolare si propone di ricondurre a unità concettuale e coerenza il tema della strada urbana, intesa sia quale tracciato funzionale capace di soddisfare le esigenze dettate dalla mobilità multimodale, sia anche sotto il punto di vista del manufatto architettonico che possiede in nuce le qualità della sostenibilità ambientale e dei valori della fitodiversità. L’elemento strada, quindi, inteso come fatto urbano che in differenti situazioni insediative, spaziali e funzionali, diviene capace di concorrere alla costruzione dei diversi paesaggi della contemporaneità, oltre che tradurre le interazioni tra mobilità e verde urbano.

A.3 Le ragioni e gli obiettivi della ricerca Allo stato attuale, le organizzazioni degli insediamenti umani e le condizioni ambientali interne ad esse, rivelano una crisi ancora tutta da decifrare e da indagare tra i modelli di crescita economica, energetica ed ecologica; al contempo questi stessi modelli, mettono in discussione gli indubbi valori storici, culturali e civili che hanno caratterizzato le vicende delle città nel corso della loro esistenza. Ben inteso, questa difficile dialettica tra uomo e ambiente intorno ad esso è un problema che esiste praticamente da sempre, da quando cioè l’uomo ha cominciato ad organizzarsi all’interno di società stanziali. In esse, la grande concentrazione della popolazione aumentava l’esposizione alle malattie infettive, le quali hanno fatto costantemente da sfondo all’evoluzione delle società complesse. Le epidemie hanno sempre seguito l’evoluzione delle forme attraverso cui l’uomo interagiva con l’ambiente: l’addomesticazione degli animali, lo sviluppo dell’agricoltura, la carenza di impianti di smaltimento dei reflui con la conseguente diminuizione di acqua potabile, l’aumento della frequenza dei contatti tra popolazioni lontane tra loro geograficamente, hanno dato vita a differenti tipi di agenti patogeni strettamente riconducibili al tipo di organizzazione

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stanziale. Fino a prima della Rivoluzione industriale, sebbene l’interazione uomo-ambiente si esplicasse con un impatto pur sempre notevole, tuttavia, i processi ecologici ambientali avevano meccanismi di ripresa abbastanza efficienti, soprattutto se si considera che il consumo di energia, pur modesto, si basava principalmente sull’uso di risorse rinnovabili, ossia legno, vento e acqua.

A partire dal XVIII secolo, il deciso incremento della produzione industriale, cui fece seguito l’aumento di speculazioni edilizie, l’enorme sviluppo dei trasporti pubblici e della rete infrastrutturale, attuarono cambiamenti nello stile di vita così come nei consumi e, al contempo, ha evoluto la natura delle patologie all’interno degli insediamenti umani: diminuirono le epidemie infettive, pur sempre presenti, ma la gente cominciò ad essere colpita da malattie non contagiose, direttamente derivate dalle mutate abitudini alimentari e da un pesantissimo inquinamento ambientale. Così, fino a giungere ai giorni nostri nei quali, pur diminuendo sensibilmente i casi di morte per infezione, tuttavia si registra l’incremento di decessi per cancro dovuti ad una dieta ricca di cibi prodotto industrialmente (ed elaborati a volte in dispregio dei minimi requisiti di sicurezza), all’inquinamento delle falde acquifere e dell’aria e, infine per gli effetti derivati dagli strumenti di cui si serve il modello di crescita economica che gravita attorno alle attività urbane. Tra questi strumenti, quello rappresentato dal sistema della mobilità costituisce senza dubbio la sorgente a più ampia diffusione planetaria.

Un sistema di mobilità inefficiente (infrastrutture e mezzi di trasporto, nelle varie modalità), é una delle cause responsabili degli squilibri ambientali urbani. In questi contesti, l’inefficienza si traduce attraverso varie forme: gli spazi delle città diventano luogo esclusivo delle automobili, perdendo progressivamente la loro funzione di luoghi pubblici. I pedoni in generale, e segnatamente i bambini e gli anziani, hanno spazi ridotti al minimo: i marciapiedi, gli slarghi, le piazze, le arene di cinema all’aperto, spesso si trasformano in occasioni di parcheggio, di stazioni di servizio per il rifornimento di carburante, di stazioni per il lavaggio dell’auto. Quando ciò accade, diminuisce la sicurezza per i pedoni e per i ciclisti, le classi più vulnerabili in una città, il che costituisce, cosa ancor più grave, il segno di una democrazia incompiuta delle aree urbane. E ancora: un sistema di mobilità inefficiente è la causa principale degli squilibri dei valori ambientali che, in alcuni casi, può raggiungere caratteri di irreversibilità; ad esempio, la perdita di fitodiversità urbana, indispensabile fattore di mitigazione delle esternalità negative, si accompagna ad almeno quattordici distinte forme di inquinamento che agiscono prepotentemente sull’uomo e condizionano, come mai é successo in precedenza, la sua vita.

Le basi di partenza scientifiche

Il punto di vista di questo lavoro pone come assunto di base la consapevolezza che all’interno delle città ci sia un intreccio irrisolto tra organizzazione umana e mobilità, responsabili di produrre inquinamento, quindi diminuizione della qualità di vita. La ricerca, alla luce di una rilettura delle modalità di gestione degli insediamenti umani individua, cioè, una linea di lavoro che individui soluzioni tendenti ad attenuare gli effetti della mobilità sugli insediamenti umani, attraverso correttivi dell’ambiente urbano e dell’organizzazione.

Ad esempio, Nei contesti urbani la natura, di cui una delle tanti componenti è rappresentata dal cosiddetto “verde urbano”, è in buona parte ridotta a frammenti isolati, scarsamente connessi, senza cioé che questi costituiscano tra loro un sistema organico. Tale residuo di natura, le cui dinamiche ecologiche non possono avvenire secondo un naturale ciclo delle cose, viste le ridottissime dimensioni e la totale assenza di connessioni, necessita invece di essere potenziato, aiutato, cioè considerato come una risorsa imprescindibile perché possano incrementarsi accettabili livelli di benessere ambientale urbano. In tal senso, come si vedrà nelle pagine successive, la ricerca considera un elemento strutturante del percorso conoscitivo, la branca di sapere che è tutt’ora conosciuta con il nome anglosassone di Green Infrastructures che, sia alla scala territoriale che a quella urbana, trova ragioni affinché possano i contesti urbani godere di apprezzabili livelli di benessesse ambientale. Le cosiddette “Infrastrutture verdi” possono cioé affiancarsi alle “infrastrutture grigie” riservate al settore della mobilità attraverso metodologie e strumenti che la ricerca cercherà di esemplificare. le città oggi alternano zone in cui esiste un’alta qualità della vita, ad altre ricche di angoli spogli e poveri di qualità urbana.

La città va ripensata affinché una più diffusa qualità della vita nei luoghi pubblici possa renderla certamente più equa e, al contempo rendere il nostro sistema economico più competitivo al fine di affrontare il grave momento di crisi congiunturale. Pertanto, il lavoro di ricerca vuol essere un primo tentativo di aprirsi al dibattito sui micro sistemi, su come utilizzare lo spazio pubblico urbano per invertire la rotta e trasformare in meglio le condizioni di vita all’interno delle nostre città, dapprima e del Paese poi.

Il rilancio delle aree in crisi, specialmente quelle del Mediterraneo, deve partire dalla rivisitazione dei luoghi di socializzazione, da un ripensamento profondo della città, dalla rivisitazione di luoghi urbani capaci di diventare nuovi canali di sviluppo, che sappiano attrarre flussi turistici. Si tratta cioé di innescare piccoli passi per rendere le città più gradevoli e ospitali.

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Metodo e struttura della ricerca B.1. La struttura metodologica della ricerca Nell’ambito del più generale contesto circa le condizioni di vivibilità all’interno degli ambienti urbani, la ricerca individua nelle infrastrutture verdi il campo d’azione attraverso cui molte città nel mondo stanno organizzandosi per superare la crisi energetica, economica e ambientale. Più nello specifico, si indagano le interazioni sussistenti tra i corridoi della mobilità e il verde urbano e di come la mutua relazione tra queste due componenti urbane ha apportato decisi benefici ai contesti urbani nei quali questo particolare tipo di infrastruttura è stato applicato. In molte realtà urbane e in contesti considerati critici o che, comunque, hanno richiesto un progetto di trasformazione, si è individuato nella frammentazione sul territorio e conseguente depauperamento delle dinamiche tra le diverse componenti ecosistemiche, indotta dalla diffusione delle infrastrutture del sistema della mobilità, il contesto ideale per invertire il trend negativo circa le condizioni di vivibilità all’interno dei contesti urbani. Si sono accertati in molti casi che i pesanti processi di urbanizzazione hanno certamente diminuito l’efficacia del sistema verde nell’attenuare gli effetti delle azioni derivate dalla mobilità di uomini e merci, riducendo altresì le dinamiche ecologiche. Al fine di comprendere le interazioni che sussistono tra “mobilità” e “verde”, ci si è posto le seguenti domande: a) quali metodologie sono state adottate, nei casi esaminati per evidenziare lo stress causato dalle disfunzioni delle reti ecologiche determinate dal rapporto disarmonico tra i due sistemi della mobilità e del verde; b) quali strategie sono state sviluppate per ridurre questo stress e incrementare la funzionalità ecologica del verde urbano; c) quali interventi si sono resi necessari o quali direzioni sono state intraprese per applicare le suddette strategie.

La ricerca è strutturata in tre parti.

Nel corso della prima parte, la dissertazione cerca di forni-

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B

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re un quadro esaustivo delle forme della mobilità e del verde.

La seconda parte esamina alcune esperienze di pianificazione condotte in ambito urbano tese a risolvere il problema delle interazioni disarmoniche tra sistema della mobilità e del verde, quindi anche delle realizzazioni effettive. Affronta il caso studio di Barcellona, una città che sta investendo tantissimo nella direzione della sostenibilità urbana e, in particolare, nell’ambito del potenziamento delle reti ecologiche e delle infrastrutture verdi.

Barcellona, una città che più volte nel corso della sua ricca e colta storia ha dimostrato di sapersi rinnovare, ancora una volta sta mettendo in atto strategie di rigenerazione urbana, concernente l’interazione tra i due sistemi della mobilità e del verde, tracciando una direzione verso la quale si indirizzeranno molte altre città. La terza parte, infine, espone gli indirizzi, i risultati cui è pervenuta la ricerca e le considerazioni conclusive.

B.2 Risultati attesi I risultati attesi, alla luce delle analisi condotte con il fine di evidenziare il tema della riqualificazione delle aree urbane, mirano a ben individuare quanto sia importante in seno alla pianificazione prendere in considerazione le valenze ecologiche di un contesto urbano, affinché queste possano diventare elemento di ispirazione o di impulso e perché le trasformazioni urbane avvengano nel rispetto dei valori connessi al benessere ambientale, economico e occupazionale. La ricerca, quindi, non vuole essere un compendio di soluzioni ma, piuttosto, l’individuazione di pratiche e metodologie che, nei casi indagati, sono stati capaci di avviare processi di riqualificazione urbana nei quali l’evoluzione e la crescita degli spazi urbani è avvenuto coerentemente con un logico sistema di mobilità. La crescita delle aree verdi, che comporta il recupero e la conservazione degli habitat urbani e il miglioramento della mobilità, si confronta necessariamente con l’esigenza di inventarsi nuovi modelli organizzativi che, a loro volta, innescano l’aumento della vivibilità e dell’occupazione, quindi un generale benessere economico diffuso. Tali nuovi modelli, in ordine all’obiettivo di ridurre l’impatto delle attività urbane legate al traffico veicolare, deve passare attraverso il potenziamento delle aree destinate esclusivamente all’uso dei pedoni e delle biciclette. Ciò, consente di introdurre nuovi servizi adatti a persone con ridotte capacità motorie, creare accessi a differenti sistemi di trasporto o insediare aree per il gioco infantile e per l’arredo urbano. Malgrado le città godano di indubbi favori climatici che favoriscono la crescita di forme rigogliose del verde, tuttavia ciò è insufficiente se non si passa alla fase della riorganizzazione del sistema della mobilità e, in particola-

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re di quella che preveda e integri all’interno le tematiche della sostenibilità ambientale ed energetica: quindi, il potenziamento della mobilità dolce nei contesti urbani e la previsione di nuove forme di captazione delle acque piovane, sottoforma di infrastrutture verdi che, piuttosto che affiancare le infrastrutture stradali preesistenti, sono invece in essa comprese. I corridoi della mobilità comprendono e superano l’attuale concetto di strada inteso come mero nastro trasportatore per implementarlo di nuove funzioni e nuove strutture costruttive. In tal senso, la strada diviene un elemento tridimensionale dotato di una propria autonomia capace di dare un più che valido contributo all’aumento dei livelli di benessere urbano. La vegetazione capace di captare e favorire l’infiltrazione delle acque di laminazione, come pure l’adozione di materiali porosi in grado di aumentare il grado di permeabilità delle superfici, la differenziazione gerarchica delle strade e le conseguenti connotazioni morfologiche che queste assumono in relazione alla vegetazione che ospitano, diventano, perciò, elementi fondanti nel progetto del piano urbanistico.

B.3 Caso di studio Barcellona è una città certamente difficile da mettere a paragone con altre per i caratteri civili, sociali ed economici che l’hanno contraddistinta nel corso della storia: tanto proiettata verso il futuro da sempre, così come nel corso della sua storia ha dimostrato di sapersi mettere in discussione, di rinnovarsi e trovare stimoli inediti affinché anche le nuove e future generazioni potessero scommettere i fatti della loro esistenza. Malgrado la sua posizione marginale nello specchio d’acqua del Mediterraneo, Barcellona è stata capace di stare al centro di interessi tra le logiche di mercato provenienti dall’Est e desiderose di interloquire con i grossi HUB direttamente prospicenti l’Atlantico. Dal primo piano regolatore ispirato da Oriol Bohigas e dalla generazione di giovani progettisti progressisti che hanno saputo dare nuovo valore al concetto di spazio pubblico con la realizzazione di centinaia di nuove piazze, giardini, parchi, dalla città olimpica del ‘92 per arrivare alla metropoli del Forum delle Culture del 2004, adesso Barcellona sembra vivere una nuova stagione attraverso i diversi progetti, tutti di matrice ecologica, che stanno conferendo un volto nuovo e inedito alla città: il progetto delle Supermanzanas, il piano della mobilità sostenibile 2013-2018, il Barcelona green infrastructure and biodiversity plan 2020, il grande progetto del parco lineare della stazione La Sagrera, il progetto per il primo quartiere ecosostenibile 22@ bcn, sono stati studiati e direttamente esaminati sottoforma di esperienza all’estero per un periodo complessivo di 12 mesi.

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Giorgio la Malfa

L’Europa e la politica infrastrutturale Conversazione con Giorgio la Malfa

Giorgio La Malfa

C’è una grande contraddizione nella politoca europea di questi anni. Cioè, da un lato c’è la volontà di una sempre più profonda Unione tra i Paesi, che potrebbe andare manifestarsi con le grandi infrastrutture di tipo europeo, grandi corridoi; dall’altro c’è per un verso una scarsità di fondi europei messi a disposizione da questi e per altro verso abbiamo dei vincoli imposti ai singoli Stati nazionali che tendono a determinare un contenimento, se non una vera e propria flessione delle spese per gli investimenti. Quindi, un po’ in tutta Europa si trova, ma noi in particolare ci troviamo che nel corso di questi ultimi anni abbiamo cercato di contribuire al riequilibrio dei bilanci fondamentalmente distribuendo fondi in conto capitale, che sono scesi a livelli che non erano mai stati così bassi nel corso del tempo. Quindi, l’Europa aspirerebbe a darci le strutture di un Paese integrato ma poi non ha né a livello europeo, né a livello nazionale i fondi per realizzare tutto questo. Naturalmente, su questo punto non è che si possa semplicemente accusare di miopia l’Europa, cioè a dire “ho rilevato questa contraddizione e dire che è una contraddizione irrisolta”, perché dietro a questa impostazione c’è una diversità di concezioni economiche; 1) una che dice che la premessa dello sviluppo è tenere i conti in ordine; 2) l’altra che dice che i conti stanno in ordine quando c’è uno sviluppo. Funzionari europei mostrano dei grafici che indicano che c’è una stretta correlazione tra il tasso di sviluppo, il tasso di disoccupazione e l’equilibrio dei conti. Cioè che nei paesi nei quali si constata un migliore andamento dei livelli di occupazione questo suggerisce, in un certo senso, una relazione tra questi due fenomeni e questo viene fuori con chiarezza dalle tabelle: cioè Paesi che hanno alta disoccupazione hanno anche alti squilibri di bilancio; Paesi che hanno bassa disoccupazione hanno bassi squilibri di bilancio. Gli equilibri di bilancio sono parenti stretti della piena occupazione. Il problema è che questo grafico può essere letto in due modi opposti: uno può dire che dove c’è disordine finanziario c’è anche disoccupazione o uno può dire che dove c’è disoccupazione, c’è crisi, le entrate fiscali sono più basse, il deficit pubblico cresce. Oppure può dire, dove c’è disordine fiscale non può esserci sviluppo.

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Quindi, gli economisti sono profondamente divisi su questo e in Europa c’è una divisione molto profonda nel pensiero. La dottrina dominante europea è che prima si mettono ordine nei conti e a quel punto il sistema riprenderà a crescere e dentro questa crescita ci saranno le risorse per fare le infrastrutture che uniranno l’Europa. Un’altra metà degli economisti, come sono io, pensano che è illusorio che se uno fa uno sforzo fortissimo per mettere i conti in ordine, senza rilanciare l’economia, ottiene soltanto di creare disoccupazione e che quindi bisognerebbe avere il coraggio europeo di affrontare tutti insieme il problema del rilancio dell’economia, come fanno gli americani o come fanno i giapponesi; cioè decidendo se si deve aumentare il deficit pubblico lo si aumenta e se si fanno delle infrastrutture con il deficit questo non fa affatto male all’economia ma anzi, alla lunga, produce le condizioni per lo sviluppo.

LR: d’altra parte in un momento come questo di crisi, non ci si può certo fermare!

GLM: Questa è la mia tesi ma non è quella della dottrina ufficiale di Maastricht.

LR: che è quindi in contraddizione con quello che è il sistema unitario di grandi infrastrutture e TEN-T. GLM: Questa è la mia impressione: ci sono delle ambizioni che se uno aspetta che l’Europa sia con i conti in ordine, prima di poter fare queste grandi spese infrastrutturali, di fatto aspetterà per molti anni e non le farà mai.

LR: La domanda successiva è proprio quella e cioè: le regole di austerity europee…

GLM: Questa è la mia opinione però per correttezza devo dire che è un’opinione controversa nel senso che si può anche pensare il contrario: cioè che per avere una buona politica infrastrutturale bisogna avere prima di tutto i conti in ordine.

LR: Astenersi fino alla morte al credo dell’austerity o distaccarsene?

GLM: La mia opinione è quella di distaccarsene al più presto ma, per correttezza, Lei dovrebbe per così dire intervistare un elemento dell’altra “tribù” e troverebbe che le darebbe ottime argomentazioni contro questa mia idea. L’idea che si possa anticipare con un attivismo, ecc, la politica rispetto all’equilibrio dei conti. La giustificazione potrebbe essere: se voi tentate

Giorgio la Malfa

questa strada, i mercati reagiranno portando a talmente alti i tassi di interesse sul debito pubblico che voi vi troverete a non avere quelle risorse che pensavate di avere. Avrete soltanto più debiti per pagare le banche. Quindi, sfortunatamente, noi abbiamo scritto nel trattato le regole del rigore ma non abbiamo scritto nel Trattato le regole dello sviluppo. Cioè, il Trattato di Maastricht dice sostanzialmente, certamente, molte parole sullo sviluppo ma anche molte regole sui conti in ordine: il deficit del 3%, il rapporto debito/PIL; quindi, ha l’aspirazione a sostenere lo sviluppo dell’Europa ma i vincoli di farlo con i conti in ordine.

Questa è una contraddizione insuperabile.

LR: Quando è stato istituito l’euro, Lei è stata una delle poche voci critiche evidenziando i difetti insiti sulle modalità con le quali sono stati stabiliti i tassi di cambio.

GLM: Si, ma non è tanto questo il punto. La mia critica non si apportava tanto sui tassi di cambio scelti tra le monete; cioè, se l’Italia entrò in Europa con un tasso di cambio di 1900 lire, è chiaro che se fosse entrata con un tasso di 2000, 2100, cioè con una lira più svalutata, avrebbe avuto un vantaggio competitivo maggiore. Cioè noi abbiamo avuto una forte rivalutazione della lira al momento dell’ingresso e questo, naturalmente, ha danneggiato le nostre esportazioni perché le ha rese più costose rispetto agli altri Paesi. Ma questo è uno dei problemi: il problema principale che io ho denunciato riguardava proprio quello di cui abbiamo parlato nei momenti precedenti, cioè l’assenza di una responsabilità di politica economica al centro dell’Europa. Venivano tolti agli Stati nazionali gli strumenti della politica economica, la politica monetaria, la politica del cambio e le politiche di bilancio che venivano fissate e non si stabiliva che sarebbe stata l’Europa a fare la politica monetaria perché lo si è dato alla Banca centrale, ma non si è identificato un Ministro del Tesoro Europeo che avesse lui la responsabilità della piena occupazione. Cioè manca in Europa, a seguito del Trattato di Maastricht, un centro che sia responsabile dell’andamento economico complessivo dell’Europa. C’è un centro che è responsabile della lotta alla disoccupazione. Stati Nazionali e Commissione Europea hanno genericamente ancora questa responsabilità ma né l’uno, né l’altro ha i mezzi finanziari per fare la lotta alla disoccupazione. Questo, naturalmente, riflette queste note differenze di pensiero perché mentre io penso che la lotta alla disoccupazione, in certe circostanze e in una situazione di crisi come questa, richieda la finanza pubblica, l’altra tribù (diciamo così) pensa che la lotta alla disoccupazione la si fa rendendo flessibili il mercato del lavoro, che è un’altra strada.

Allora, non c’è bisogno nel senso che è inutile e addirittura

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dannoso spendere più in deficit; basta solo allentare i vincoli del mercato del lavoro. E allora: la strada è rendere facile o cambiare l’art. 18 per quanto riguarda l’Italia. Io lo considererei un errore perché l’unica conseguenza sarebbe di aggravare la disoccupazione ma metà degli economisti sostiene invece che quella è la leva. Gli economisti sfortunatamente non hanno verità.

Sul punto fondamentale della teoria economica, negli ultimi 300 anni, non si è fatto nessun passo avanti; ciò, perché non è come l’ingegneria o come la matematica. È come un pendolo in cui non ha le caratteristiche di una Scienza; ha alcune apparenze delle Scienze naturali (usa la matematica, la statistica) ma non ha la struttura e non ha le possibilità di ripetere in laboratorio gli esperimenti. Quindi, la prova delle teorie è nelle statistiche storiche le quali possono essere interpretate a secondo dei casi.

Ci sono tante storielle sull’economia, ma la più bella è quella sulle statistiche che diceva Churcill: “non fidatevi delle statistiche a meno che non l’abbiate manipolate di persona”. E questo è il problema cioè è un problema di natura politica. In fondo uno deve rispondere a questa domanda: ho fiducia che, lasciato a se stesso, il sistema economico produca buoni risultati? Se è così, allora meno interventi dello Stato si fanno e meglio è. Se uno pensa, politicamente, che il sistema capitalistico funziona abbastanza bene ma non è perfetto e che un poco di azione politica per correggere gli esiti spontanei del capitalismo è utile, anzi indispensabile, allora intervenga. Tra queste due visioni politiche non c’è una terza via né una risposta scientifica: l’unica cosa è provarle. Quale è il problema dell’Europa? mentre negli USA o in Giappone i cittadini votano e nel votare Obama scelgono anche una politica economica diversa da quella che farebbe il suo oppositore, in Europa il voto su questo punto non è possibile perché non c’è un voto su cui noi eleggiamo il governo Europeo e ne affidiamo il mandato. E non c’è un’Unità politica e poiché l’Unità politica non ci sarà nei prossimi anni (io certamente non la vedrò), o meglio, io penso che l’Europa politica non si vedrà. Punto. perché l’Unione politica dell’Europa era figlia delle condizioni dell’immediato dopoguerra. Allora c’erano tutte le condizioni che favorivano l’Unione. C’erano la debolezza degli Stati nazionali che non volevano o si vergognavano e quindi non avevano resistenze a trasferire alla Confederazione europea i poteri; secondo, c’era un nemico comune. Gli USA sono nati perché c’era la guerra con l’Inghilterra, cioè c’era il nemico comune che era Re Giorgio III e dovendosi difendere da Re Giorgio III che voleva affermare i suoi diritti, Gli Usa si sono uniti, le tredici colonie si sono unite e il 4 luglio del 1776 a Filadelfia hanno costituito l’Unione. L’europa aveva qualcosa di analogo nell’immediato dopoguerra: era l’Unione Sovietica cioè la paura dell’invazione comunista teneva insieme Paesi che si erano

Giorgio la Malfa

fatti la guerra tra di loro, per oltre 100 anni come la Francia, la Germania e così via. Gli USA che guardavano questo fenomeno europeo da fuori avevano bisogno e interesse a mettere insieme gli europei per evitare ad un certo punto di mettersi in confronto loro con i russi sulla divisione dell’Europa. Questo ha creato i primi passi all’Unione europea, dal Mercato Comune, ecc.

Quando si è arrivati ai passi più difficili, di quelli che coinvolgono i centri della sovranità, la moneta, la difesa, quelle condizioni sono venute meno; cioè, la caduta del muro di Berlino, la fine del Comunismo, ha paradossalmente rallentato il processo di unificazione europea, è venuta meno la paura e i singoli Stati nazionali hanno cominciato a dire: ma noi, perché dobbiamo trasferire all’Europa? questo processo continuerà perché gli argomenti a favore dell’Unità europea sono tutti argomenti, diciamo, sofisticati del tipo: “l’EU nel mondo, rispetto alla Cina o gli Stati Uniti, non può andare avanti divisa”, tutti argomenti molto veri ma nessuno dei quali tocca il cuore.

IO: quindi, nemmeno Prodi sbaglia quando, nel corso di una sua intervista, afferma che i singoli Stati dell’EU da soli non possiamo andare molto lontano.

GLM: Certamente no! Quando l’Italia si unì, questa consapevolezza l’avevano. Poi è arrivato il Sig, Cavour che ha fatto la guerra di Crimea, ha fatto delle alleanze con i francesi e hanno concepito di conquistare il resto d’Italia da parte dei Savoia. Cioè, l’Unione italiana non è stata soltanto il culto del Sogno culturale ma il frutto di condizioni politiche specifiche che l’hanno consentita.

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Sergio Trigilia

Il progetto locale Conversazione con Sergio Trigilia

LR: Parlare di città e di come si produca inquinamento dentro la città, significa anche parlare delle forme di dis-organizzazione.

Nel contesto dello scenario di crisi in atto, ci s’interroga per un verso su come l’uomo viva la casa-città, ma per altro verso anche di come questi la gestisca. Jeremy Rifkin sostiene che questa crisi si manifesti attraverso tre componenti, rispettivamente di natura economica, climatica ed energetica e che queste si alimentino a vicenda. Le città intese come realtà locali, sono strettamente connesse alle regole dell’economia globale, tuttora in crisi; pur tuttavia, Lei nel suo libro Un progetto per l’Italia sostiene che per le realtà locali questa crisi possa costituire un’opportunità.

Sergio Trigilia

ST: La globalizzazione, intesa come “globalizzazione economica” e quindi come crescente internazionalizzazione dell’economia, nel senso di una maggiore concorrenza delle imprese a livello mondiale, esercita un fattore destabilizzante sui territori e sulla loro l’economia. Lo si capisce benissimo da questi paesi emergenti, specie su certi tipi di produzione. Però, a mio parere bisogna attirare l’attenzione non solo sui vincoli, ma sulle possibilità di riorganizzazione del territorio che questi processi determinano. In particolare su quel libro io cerco di attirare l’attenzione su due aspetti.

1.

Da un lato il fatto che il territorio diventa più importante, paradossalmente in questa situazione, cioè acquista una sua autonomia, una sua capacità di contrastare le tendenze destabilizzanti del mercato globale, quanto più favorisce due cose: a) lo spostamento verso un tipo di produzioni che sono meno soggette alla concorrenza di costo, ossia produzioni che competano meno sul costo del lavoro e più sulla qualità; b) l’innovatività della produzione legata a un rapporto più stretto con gli avanzamenti tecnico scientifici. Vuol dire economie esterne che favoriscano innovazione e la qualità nel processo produttivo. Economie esterne vuol dire che il territorio ridiventa importante da questo punto di vista nella misura in cui riesce ad organizzarsi per rendere il contesto, quindi l’ambiente, più favorevole nell’innovazione dei processi economici.

2.

La globalizzazione, nel momento in cui destabilizza le

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attività produttive tradizionali crea nuove opportunità per beni immobili, cioè per beni che non sono riproducibili attraverso la produzione seriale e quindi soggetti alla concorrenza, in particolare dei Paesi emergenti. Ad esempio, il Palazzo dei Normanni, una data porzione di costa, l’Etna – cioè i beni immobili – costituiscono una buona opportunità se si considera che grazie alla globalizzazione, saranno oggetto di domanda crescente proprio grazie ai movimenti dei ceti e i redditi medi nei Paesi emergenti. Anche da questo punto di vista, il territorio, in una situazione di globalizzazione può ritornare ad avere una sua centralità. Vuol dire che la capacità di resistere ai flussi e alle pressioni del mercato globale è in qualche modo legata al fatto che il territorio esprime una sua soggettualità, cioè a dire sia in grado di agire come un soggetto collettivo capace di darsi un suo coordinamento tra pubblico e privato.

Non tutti ci riusciranno, però gli esempi di città che in qualche modo resistono, si organizzano, si attrezzano, continuano a essere dinamiche, sono esempi di città che si danno sostanzialmente un progetto, contrariamente a tutta la retorica del postmoderno. “Darsi un progetto” vuol dire, in alcuni casi, puntare di più sulle attività innovative legate a produzioni di frontiera quali le biotecnologie, l’aerospazio, i media, ecc. Per fare questo, dal punto di vista urbanistico la città deve attrezzarsi delle economie materiali e immateriali a creare quelle economie esterne che oggi sono cruciali perché si determini un successo in attività fortemente innovative. Questo è dovuto al fatto che, a differenza del passato, le attività innovative sono il frutto di una costruzione sociale radicata, cioè di reti, di relazioni, di input diversi che si combinano con una dimensione territoriale forte; cioè, c’è un radicamento territoriale di queste attività. Quindi, esiste la capacità di produrre economie esterne; bisogna cioè non solo essere collegati bene col mondo, ma anche che ci siano università e centri di ricerca qualificati, che siano altresì capaci di mettersi in contatto col mondo delle imprese, affinché si riesca a valorizzare direttamente il potenziale delle università e della ricerca per la creazione d’imprese attraverso l’imprenditorialità accademica e scelte organizzative tipo incubatori di parchi tecnologici, di servizi formativi e finanziari. Nei paesi avanzati, la città torna quindi ad avere una sua centralità, ma nella misura in cui si dà un progetto.

La stessa cosa si può vedere anche per l’altro elemento, ossia i beni immobili legati ai beni culturali e ambientali. Se si vuole operare affinché si possano valorizzare queste cose per un turismo culturale, bisogna attrezzarsi da un punto di vista urbanistico della conservazione, dei servizi, dell’integrazione tra

Sergio Trigilia

strutture di comunicazione, strutture di servizio, di itinerari, si ha quindi bisogno cioè di un progetto.

Un bene immobile classico è da considerarsi anche l’agricoltura, una grande dimenticata, soprattutto nelle sue componenti di qualità, di nicchia, di specializzazione, diventa oggi una risorsa importante per il territorio e di nuovo anche questa presuppone una capacità di fornire economie esterne.

La mia idea è che la globalizzazione certamente destabilizza ma crea anche delle opportunità. Non tutte le città e non tutti i territori colgono queste opportunità. Riescono a coglierle quelle città che si danno un progetto e quindi funzionano da trasformatore di risorse latenti o potenziali in opportunità di sviluppo, fornendo beni collettivi che i singoli attori da soli non riescono a produrre.

Quindi, c’è un bisogno di economie esterne che sono il frutto di beni collettivi, ossia di servizi, di attrezzature, di strutture che i singoli operatori da soli non riescono a produrre ma da cui dipende il successo complessivo di una determinata filiera.

LR: Da questo ragionamento emerge che, affinché una città possa darsi un progetto e avere un ruolo centrale per il rinnovamento urbano, è necessario che attenzioni un’economia esterna (per intenderci, ciò che Lei descrive come creazione di Distretti Hi-Tech), e che al contempo promuova e potenzi i cosiddetti Beni Immobili (paesaggistici, storici, culturali) come può esserlo ad esempio l’agricoltura da Lei stesso denominata “la grande dimenticata”. Serve esaltare la qualità e le peculiarità ambientali, (nel caso delle città, l’ecosistema urbano) e in tal senso gioca un ruolo centrale la riorganizzazione della mobilità in tutte le sue declinazioni modali. Tanto per fare un esempio, la riorganizzazione della mobilità lenta comporta l’incremento delle piste ciclabili come anche la riacquisizione dello spazio pubblico affinché si esaltino le condizioni di vivibilità per il tempo libero e la sicurezza dei pedoni.

ST: Si, tutto questo c’è perché, per esempio, se lei deve fare di una città un incubatore di innovazione, deve fornire una qualità sociale e ambientale elevata, proprio perché i protagonisti di questi tipi di attività vogliono stare in posti con elevati standard ambientali e culturali per il tempo libero, ecc.

Inoltre, dal punto di vista delle cose che ci dicevamo prima – cioè quelle relative alla mobilità che è un problema importante che ha una sua specificità quindi di riorganizzazione sicuramente, delle comunicazioni interne alle città, che vanno dalle piste ciclabili a tutta la problematica dei mezzi pubblici indubbie come incentivare e potenziare il mezzo pubblico, ad esempio – il ragionamento può essere esteso al fatto che la buona mobilità non è solo il frutto di un sistema di infrastrutture

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di comunicazione ben funzionanti, ma è in qualche modo anche qualcosa che sta esterno alle strade, alle ferrovie, alle grandi vie e metropolitane in quanto tali. Mi riferisco al fatto che un progetto che permette alle città di fare le cose che dicevamo, cioè di darsi una strategia, di coordinarsi, di lavorare ad un’idea di sviluppo che non sia nel breve termine, debba intendere la mobilità non solo intesa in termini di infrastrutture di comunicazione ma vieppiù di riorganizzazione dello spazio urbano: per fare un esempio, oggi, in una città come Firenze (700.000 ab.) ogni giorno entrano ed escono altri 300.000 abitanti dalla città. Allora, avere un progetto significa certamente l’esistenza della tranvia, della metropolitana o quello che è, della pista ciclabile e altresì il fatto che vi sia integrazione tra queste cose, ma significa naturalmente riorganizzare lo spazio urbano per cui, io riavvicino in qualche modo la residenza ai luoghi di lavoro, creo più poli in cui residenza e lavoro sono più vicini, cioè creo una pluralità di poli lavoro-residenza che mi presuppone una riorganizzazione e un ridisegno dello spazio urbano, mi riduce questo carico giornaliero tra città del giorno e città della notte, difficilmente sostenibili anche dai migliori strumenti di comunicazione in termini infrastrutturali: quindi, il problema è si, certo riconducibile all’esistenza di buone infrastrutture di comunicazione, purché queste siano inserite in una logica di una città che si da un progetto, di riorganizzazione dello spazio urbano e di creazione di una pluralità di poli intorno ai quali si avvicinano le residenze e i posti di lavoro.

LR: Relativamente al tema delle aree deboli, è interessante il capitolo descrittivo dei Patti Territoriali (Alto Belice-Corleonese, Napoli e Sangro-Aventino). Sono esaminate tre situazioni completamente differenti. In particolare, per esempio, per quanto concerne il caso dell’Alto Belice-Corleonese questi non solo si distingue per come sono stati recepiti i fondi, ma è anche l’esempio di quanto questi stessi fondi siano stati spesi tutti e bene. Lei riporta le fonti e gli esempi delle cause e concause che hanno fatto si che questo circolo virtuoso si sia andato affermandosi; fatto sta che questo circolo virtuoso verteva intorno a tre assi: 1) rafforzamento filiera agroalimentare; 2) valorizzazione turistica delle risorse naturalistiche e culturali; 3) rafforzamento del tessuto civile e associazionismo.

Prescindendo quindi dalla dimensione nella quale si opera o in cui si voglia impiantare un’idea di progetto, sembra quasi che ciò che emerge sia sempre l’attenzione per la valorizzazione delle risorse territoriali, Quindi anche calibrare un progetto che sia attento a quelle che sono le caratteristiche climatiche. Ad esempio, un progetto per Palermo, quindi, sarà certamente differente da ciò che potrebbe essere per Stoccolma o Catania

Sergio Trigilia

per via delle differenti escursioni termiche di temperature massime e minime.

ST: Ciò è utile in funzione della gestione dell’energia.

Indubbiamente deve essere tutto quanto molto tarato rispetto alle specificità ambientali, sociali, economiche; poi deve essere un piano non rigido; penso che la Legge Urbanistica sia un po’ da rivedere: so che questo è un oggetto di grande dibattito all’interno degli studi urbanistici.

Io penso che, di fronte alla situazione nella quale ci troviamo, bisogna mettere delle “rigidità flessibili” cioè bisogna essere in grado di accompagnare, stimolare le trasformazioni con interventi che si aggiustano via via nel tempo a un contesto che nei fatti cambia continuamente. La vecchia strutturazione di un Piano dello Zoning, a mio parere, non funziona bene o addirittura non funziona più. Ma soprattutto bisogna cercare di integrare una pianificazione dello sviluppo con una pianificazione urbanistica, senza separare le due cose. Mentre oggi, alle volte, si fa pianificazione urbanistica ma non si fa pianificazione dello sviluppo. Ritengo che le due cose dovrebbero andare insieme.

Trattare la città con l’aspetto esclusivamente urbanistico, separato dall’aspetto di una riorganizzazione dello spazio urbano in funzione dello sviluppo è un errore, perché non consente quell’adattamento agli stimoli e ai vincoli esterni di cui dicevamo prima.

Ma quali debbono essere le condizioni affinché tutte le cose che abbiamo fin qui detto, per quanto belle, non costituiscano gli elementi per un sogno ad occhi aperti? In realtà ci sono casi di città in Europa che sono riuscite a darsi una linea di organizzazione dell’identità locale, che vuol dire riadattarsi alle nuove sfide, quindi non subire passivamente i flussi. Barcellona in Spagna oppure Torino in Italia, sono esempi che da questo punto di vista hanno avuto maggior successo. Che cosa c’è dietro a questi successi? Ci sono naturalmente vari elementi, però io vorrei sottolinearne almeno due.

1) Il primo è una capacità di lettura del territorio, cioè a dire bisogna saper leggere che cosa c’è nei luoghi e nei posti: non è una conoscenza che si acquisisce solamente con dati statistici; c’è sempre una conoscenza tacita, implicita che va estratta dagli operatori stessi che magari sanno che ci sono risorse che loro non usano ma che non si rendono ben conto di come potrebbero usarle, oppure che sono latenti o non sono apparenti.

Quindi c’è un lavoro da fare che è preliminare e che, comunque, non è sufficiente. I casi di successo mostrano innanzitutto che è importantissima nei territori la presenza di una leadership, di parte della classe dirigente delle città. Una leadership individuale che però diventi poi una leadership collettiva, cioè

Inquadramento

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Inquadramento

Conversazioni

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che costruisca un gruppo di soggetti e di Istituzioni, pubbliche e private, che vanno in armonia, che cooperano insieme intorno ad un progetto di sviluppo delle città. Quello che noi sappiamo è che è difficile che queste cose emergano se non c’è una leadership forte che invecchia: cioè in qualche modo lega anche le sue chances di carriera politiche e di successo ecc, ad un progetto di trasformazione della città, piuttosto che ad una politica di immagine o una politica di distribuzione di favori. Non sempre si danno queste condizioni: sicuramente questa è una condizione necessaria, forse non sufficiente ma, certamente, la prima tra le condizioni necessarie insieme a quella di sapere leggere il territorio.

2) Il secondo elemento è che questa leadership stessa riesca ad organizzare processi di coinvolgimento dei vari soggetti pubblici e privati; per avere un progetto, che è un problema, occorre avere un coordinamento delle pluralità di soggetti istituzionali che insistono sul territorio; Provincia, Regione, Comune, ecc. L’arte di riuscire a fare un progetto dipende anche dalla capacità di saper coordinare, di riuscire a fare marciare insieme i soggetti, di dargli fiducia, di costruire dei ponti fiduciari tra questi soggetti altrimenti questi non si parlano.

Poi, come detto prima, la leadership occorra che coinvolga anche i soggetti privati attraverso forme di concertazione, partecipazione, in cui però si sviluppi una discussione reale.

Cioè a dire, c’è un coinvolgimento in questi attori trascinati un po’ dalla leadership che li lega, li tiene insieme e costruisce fiducia e che li porta a coinvolgere e a portare avanti ognuno, per il proprio pezzo, il progetto.

Se questo non c’è, la Città inevitabilmente subisce passivamente le cose, certi pezzi non possono svilupparsi, certi singoli operatori prendono cioè gli stimoli, dipendono cioè dalla domanda esterna. Cioè se Palermo non ha un progetto per i suoi beni culturali e il suo turismo, può darsi che il turismo stesso, comunque, cresca per quel poco tanto affinché gli operatori raccolgano e catturino una domanda di gente che viene da fuori (soprattutto da fuori l’Italia) desiderosa di vedere Palermo.

Ma per una città, un conto è essere oggetto di flussi che arrivano dall’esterno e rispondere a questi flussi attraverso stimoli non coordinati, altro conto è se, viceversa, c’è un progetto, quindi una capacità proattiva di attrarre, di fare. Questo fa la differenza.

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Tema della ricerca

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Parte prima

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1. La strategia EU sulla mobilità

Il sistema della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi 1.1. La strategia Europea sulla mobilità Qualche dato può certamente aiutare a comprendere l’impor‑ tanza della mobilità nell’ambito della strategia europea relativa‑ mente alle future sfide della competitività da parte delle imprese europee inserite nel più generale contesto dell’economia mon‑ diale. Nonostante l’Unione Europea non abbia ancora raggiunto un’unione politica, tuttavia i dati aggregati ci confermano l’esi‑ stenza di una strategia di carattere unitario e che la mobilità è fondamentale per la sua economia, come anche per la sua com‑ pagine sociale e, non ultimo, per il suo ambiente. Si è constatato, infatti, che solo il settore dei trasporti impiega direttamente circa dieci milioni di persone e rappresenta il 4,5% dell’occupazione totale, generando il 5% circa del prodotto interno lordo (PIL). La produzione di attrezzature per i trasporti rappresenta un ulte‑ riore 1,7% del PIL e pesa sull’occupazione per 1,5%. (Eurostat) La sua mobilità è di fatto il perno strategico essenziale ai fini della crescita e della creazione di posti di lavoro. Infatti, vanta la flotta di mezzi navali più estesa del mondo; impiega diretta‑ mente oltre 300.000 marinai imbarcati su navi mercantili e altri 3 milioni nell’indotto. Anche la rete europea dei porti riserva dati interessanti registrando ogni anno gli attracchi di oltre 80.000 navi mercantili. Ugualmente anche la rete degli aeroporti e delle linee aeree dell’UE impiegano attualmente 670.000 lavoratori, mentre altri 3,2 milioni di persone dipendono in modo diretto o indiretto dal settore del trasporto aereo. Solo nel corso dell’anno 2009, oltre 750 milioni di persone (un terzo del mercato mon‑ diale) hanno utilizzato gli aeroporti dell’Unione europea. (fonte Eurostat, 2009) Questi dati sulla crescita economica non sono però depurati da percentuali connesse alle conseguenze negative che si tradu‑ cono nella forma di impatti ambientali, economici e sociali. Per tale ragione i lavori della Commissione Europea, al fine di ri‑ durne le esternalità negative, hanno inserito, tra le priorità del settore trasporti merci e passeggeri, l’obiettivo di pervenire ad una più efficace ed efficente organizzazione del trasporto inter‑

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modale. Organizzare e potenziare l’intermodalità è quindi una necessità primaria. Il trasporto merci e la logistica comprendo‑ no il trasporto e il magazzinaggio, che attualmente rappresenta per le imprese europee il 10‑15% del costo di un prodotto finito.

Anche la qualità dei servizi di trasporto ha un forte impatto eco‑ nomico e sociale sulla qualità di vita dei cittadini: ben il 13,2% in media del bilancio delle famiglie è, infatti, destinato a beni e servizi di trasporto (fonte Eurostat, 2009). Tuttavia, come detto prima, gli stessi dati di crescita hanno un forte impatto ambien‑ tale riverberandosi con danni sia alle condizioni di vivibilità delle persone, sia alla salute umana e ambientale stessa. Tali impatti, infatti, agiscono non solo alla scala locale (poichè la maggior percentuale delle attività umane di trasporto passeggeri e merci insiste sui sistemi urbani), ma anche a livello globale. In relazio‑ ne alle condizioni di vivibilità negli ambienti urbani, il fenomeno della congestione stradale si manifesta con costi derivanti dal traffico e dagli ingorghi che pesano ogni anno per circa l’1,1% sul prodotto interno lordo (PIL). Ad esempio, nella sola Londra, il 20% dei pendolari è costretto a perdere oltre due ore di tem‑ po al giorno per spostarsi tra la propria abitazione e il luogo di lavoro; un dispendio di tempo salatissimo se si considera che la somma delle ore impiegate per andare e tornare dalla residenza al luogo di lavoro, costituiscono un giorno lavorativo in più per ogni settimana. Proprio Londra, per tentare di invertire questo trend impressionante, sia per numeri di soggetti interessati che esprime, sia anche per le qualità di vivibilità stessa che i numeri stessi suggeriscono, sta mettendo in atto politiche volte ad una maggiore sostenibilità urbana cominciando a porre maggiore at‑ tenzione verso le fasce deboli della mobilità, cioè a dire i pedoni.

Londra, assurgendo nuovamente al ruolo primaziale tra le capitali europee, propone un sistema impressionante, per quantità ed efficacia, di nuove opportunità pedonali, di piste ciclabili accompagnato da una drastica restrizione della circolazione veicolare. Dimostra così che ripensare ai sistemi di mobilità e, più in generale, all’accessibilità in una prospettiva orientata ai sistemi innovativi e rivolta al “camminare” è una delle priorità delle città contemporanee anche per fronteggiare la sfida del cambiamento climatico. (La Greca, 2012).

In Germania, che allo stato attuale vanta la migliore economia del continente, il 37% dei lavoratori impiega un’ora al giorno per spostarsi da e verso il luogo di lavoro.

Se si considerano, poi, i riflessi negativi sull’ambiente, i dati re‑ stituiscono numeri preoccupanti: nella UE, al solo settore dei tra‑ sporti sono addebitabili il 35% dei consumi energetici e circa il 21% dell’emissione di gas serra. I problemi che agiscono nella sfera globale si interconnettono quindi con le problematiche le‑ gate alla sfera locale e la loro mutua interdipendenza si fa tanto

1. La strategia EU sulla mobilità

più forte e stringente quanto più le problematiche della mobilità su accennate si addensano nei contesti urbani: è nelle città, in‑ fatti, che si intensificano le interazioni spaziali e le problemati‑ che connesse alla mobilità, all’accessibilità nei luoghi residenza/ lavoro, alle disfunzioni e disorganizzazioni degli spazi pubblici urbani. E ancora: l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) sti‑ ma che, entro il 2050, il numero delle auto aumenterà fino a ol‑ tre 2,2 miliardi a livello mondiale, la crescita più intensa avverrà nelle economie emergenti e, di conseguenza, si fa sempre più stretta la “finestra” per un aumento di soli 2°C. Un rapida transizione verso un sistema energetico piú sostenibile è piú urgente che mai - questa l’analisi dell’Aie (Agenzia Internazionale per l’Energia) che dimo‑ stra come il raggiungimento degli obiettivi concordati a livello internazionale di limitare il riscaldamento globale a 2°C stia diventando piú difficile e piú costoso ogni anno che passa - un aumento di 3,5°C derivante dalle politiche annunciate dai diversi Stati nazionali potrebbe esporre il mondo a conseguenze catastrofiche dal momento che lo scioglimento del permafrost nelle regioni artiche potreb‑ be portare risultati imprevedibili. (Maria Van der Hoeven, 2012. Discorso del direttore esecutivo dell’AIE, nell’am‑ bito della Cop 18 delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici).

Allo stato attuale, infatti, poichè gli automobilisti dell’UE possie‑ dono attualmente un terzo dei 750 milioni di veicoli presenti nel mondo, ne consegue che le soluzioni che l’UE adotterà ai fini di contenere le emissioni e i costi che gravono sull’ambiente e sulla salute, quindi a favore di un trasporto che sia il più sostenibile possibile, saranno esportate in misura sempre maggiore in tutto il mondo. Anche in relazione a questo aspetto, le scelte adottate dalla UE in materia di mobilità sostenibile acquisiscono impor‑ tanza strategica. Nel più generale contesto della complessità che governa l’asset della mobilità europea, il tema della mobilità sostenibile è quindi quello che maggiormente ha impegnato i lavori della Commissione, specialmente per ciò che concerne la messa a punto di una strategia capace di connettere le poli‑ tiche dei vari Paesi Membri, alle varie scale nazionali, regionali e locali. Il cammino di questi lavori intorno ai temi della mobilità e dei trasporti integrati si vuol far iniziare nel 1992, con la ste‑ sura del Libro bianco, lo sviluppo futuro della politica comune dei trasporti, successivamente integrato con il Libro bianco del 2001, intitolato La politica europea dei trasporti europei fino al 2010: il momento delle scelte; quindi è proseguito con il do‑ cumento di riesame intermedio dell’ottobre 2006, Mantenere

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l’Europa in movimento - un Europa sostenibile per il nostro continente, e infine con il Libro bianco del Marzo 2011, Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile. Nono‑ stante il cammino abbia registrato nel corso di questi ultimi venti anni pause, a cui hanno fatto seguito ripartenze e nuovi spunti di riflessione, tuttavia gli obiettivi strategici, in nome della que‑ stione della mobilità in ambito urbano, oggetto di questa ricerca, hanno trovato un loro punto di piena affermazione nel 2007 con il Libro Verde “Verso una nuova cultura della mobilità” che, di fatto è diventato il testo di riferimento fondamentale in materia di politiche di mobilità urbana sostenibile. Il libro afferma, tra le tesi sostenute ed esplicitate, che la sfida da condurre per la causa della sostenibilità deve essere inerente sia allo sviluppo econo‑ mico, sia a quello sociale espresso come grado di accessibilità al territorio, sia ancora a quello ambientale con particolare rife‑ rimento alla qualità di vita e tutela ambientale nei contesti urba‑ ni. Nell’ambito, quindi, della sfida per una migliore mobilità che sia maggiormente sostenibile in ragione della sfera ambientale, economica e sociale, sono state individuate cinque tematiche.

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per un traffico scorrevole nelle città.

Si evidenzia la necessità di attenzionare il problema della con‑ gestione del traffico cittadino che impatta negativamente sul piano economico, aumentando i costi esterni marginali da con‑ gestione sia della mobilità privata sulle principali strade di scor‑ rimento, sia del trasporto pubblico; impatta altresì sul piano so‑ ciale poiché limita l’accessibilità e la finalità stessa per cui ci si muove tramite i mezzi di trasporto, determinando diseguaglian‑ ze, iniquità e colpendo in particolar modo i soggetti più deboli; impatta la compagine ambientale poiché determina esternallità per effetto dell’accumulo dei gas di scarico dei mezzi di traspor‑ to, riverberandosi su problematiche di carattere sanitario e di degrado urbano. Il libro non individua una soluzione univoca per il raggiungimento di tale obiettivo e pertanto elenca una serie di suggerimenti, rivolti alle autorità locali e regionali, affinché: 1. rendano gli spostamenti pedonali e in bicicletta più attraenti e sicuri, cercando di implementare l’intermodalità tra questi ultimi e le altre politiche di trasporto; 2. ottimizzino l’uso dell’automobile privata attraverso la promo‑ zione di politiche di condivisione (“car sharing” e “carpoo‑ ling”), la riduzione dei parcheggi liberi in favore della diffu‑ sione di quelli a pagamento; 3. Relativamente al trasporto merci, attenuino il transito dei mezzi a lungo raggio attraverso la città, incoraggiando la

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per una città più pulita

In ambito urbano e per ciò che concerne la sostenibilità am‑ bientale, i problemi maggiori sono stati individuati nel rumore e nell’uso prevalente di carburanti derivati dal petrolio, responsa‑ bili di emissioni di CO2 e di inquinanti atmosferici. Per risolverli, il Consiglio europeo ha stabilito che entro il 2020 dovranno ridursi le emissioni di gas serra in ragione del 20%.

Il raggiungimento di tale obiettivo presuppone uno sforzo coordi‑ nato da parte delle amministrazioni locali che dovranno cercare di adottare provvedimenti volti ad ampliare, riadattare e riqualifi‑ care i sistemi puliti di trasporto urbano (filobus, tram, metropoli‑ tana e ferrovia suburbana) oltre che avviare progetti finalizzati a potenziare il trasporto urbano sostenibile. Naturalmente, anche in questo caso, sono previsti molteplici soluzioni. L’adozione di nuove tecnologie pulite e a basso contenuto energetico oppure di carburanti alternativi come i biocarburanti, l’idrogeno e le pile a combustibile; il rinnovo dei parco veicoli per favorire l’uso delle autovetture pulite a basso contenuto energetico; la limitazione degli effetti del traffico segnalando esempi di buone pratiche e auspicando altresi la loro diffusione (isole pedonali, accesso limitato, limiti di velocità, pedaggio urbano).

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per un trasporto urbano più intelligente

Nell’ambito della sostenibilità sociale, la Commissione sugge‑ risce di implementare e potenziare l’utilizzo delle tecnologie informatiche e di localizzazione, al fine di ovviare alla sempre crescente intensità del traffico merci e passeggeri, cui sono soggette le città europee, impossibilitate ad espandere le infra‑ strutture per motivi legati alla presenza dei vincoli ambientali.

I sistemi di Trasporto Intelligenti (STI), se integrati già a livello di pianificazione delle reti infrastrutturali, possono dare un più che valido contributo ai sistemi di informazione e assistenza (informazioni ai viaggiatori sui modi di trasporto, tempi di viag‑ gio, gestione delle flotte di veicoli). Il miglioramento dell’infor‑ mazione favorisce il compimento di una scelta maggiormente consapevole in quanto a modalità e orari di trasporto privato e collettivo. É stato calcolato che una gestione maggiormente ac‑ corta e oculata dello spazio stradale consente un risparmio del 20-30% di capacità, vista l’esistenza dei vincoli ambientali che limitano l’espansione infrastrutturale. Una migliore gestione dei sistemi di trasporto mediante l’adozione di una pianificazione che comprenda l’integrazione tra infrastrutture dotate di sistemi di interazione con il guidatore, può consentire un miglioramento

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distribuzione delle merci al suo interno per mezzo di veicoli più piccoli, agili ed ecologicamente sostenibili.

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della logistica urbana delle merci.

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per un trasporto urbano accessibile

Ancora connesso alla sfera della sostenibilità sociale, l’accessi‑ bilità è la misura che garantisce in primo luogo alle persone fisi‑ che, disabili o a mobilità ridotta, agli anziani, agli adulti con bam‑ bini piccoli e ai bambini stessi, un accesso di qualità al sistema di mobilità urbana nella sua duplice componente di infrastruttura e di servizio. Migliorare l’accessibilità significa rendere efficienti le infrastrutture urbane, quindi le strade, le piste ciclabili, ecc., come pure i treni, gli autobus, ma implica anche la valorizzazio‑ ne degli spazi pubblici, dei parcheggi, delle fermate d’autobus, delle stazioni, ecc., dotate di tutte le misure necessarie a favorire un accesso agevole a tutti, indipendentemente dalle condizioni di mobilità. L’accessibilità deve anche essere garantita a livello di rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Quindi è importante potenziale l’intermodalità tra i sistemi aeroportuali, portuali e in‑ terportuali e le stazioni ferroviarie al fine di agevolare il trasporto merci. Per far questo, sia a livello urbano, sia ancora a livello extra-urbano, sono state individuate varie opzioni: 1. trasporti collettivi rispondenti alle esigenze dei cittadini (ef‑ ficienza per aumentare la competitività, flessibilità per il tra‑ sporto merci e passeggeri, accessibilità garantita alle fascie sociali di basso reddito, oltre che agli anziani e bambini); 2. quadro giuridico comunitario idoneo per appalti e servizi; 3. diffusione di soluzioni innovative (l’uso di taxi puliti e dotati di STI come anello della catena di trasporto collettivo per un servizio “su misura”); 4. interconnessione equilibrate delle aree suburbanizzate e contrasto alla dispersione umana (trasporto a richiesta o li‑ nee che intersecano le reti urbane a struttura per lo più ra‑ diale, cioè orientate verso il centro città).

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per un trasporto urbano sicuro

Ogni cittadino dell’UE dovrebbe poter vivere e spostarsi in tutta sicurezza all’interno degli Stati Membri e aver garantita l’incolu‑ mità nel muoversi, all’interno degli agglomerati urbani, a piedi, in bicicletta, guidando un’automobile o un camion. É necessario che le infrastrutture garantiscano le massime condizioni di si‑ curezza ma, altresì, che i cittadini stessi siano consapevoli dei rischi ai quali sono esposti, che il loro comportamento non si manifesti in modo responsabile affinché sia protetta la propria vita e quella degli altri.

Perché tutto quanto espresso nel Libro Verde 2007 sia realizza‑

1. La strategia EU sulla mobilità

bile, è necessario poter costruire una nuova cultura della mobi‑ lità attraverso un sapiente sistema di raccolta di conoscenze e dati, una rinnovata capacità di recepire risorse finanziarie per potenziare la rete infrastrutturale e i centri di interscambio mo‑ dale, e dove la rete si mostrasse deficitaria, investire nella manu‑ tenzione, nel rinnovo dei mezzi di trasporto, nella partecipazione e sensibilizzazione del pubblico così come nella progettazione di un efficace sistema di comunicazione. Infatti, offrire un livello elevato di accessibilità ai cittadini e alle imprese in tutto il territo‑ rio dell’Unione europea, risponde ai criteri di sostenibilità sociali che, ad esempio, si traduce 1. Tutelare l’ambiente, garantire la sicurezza dell’approvvigio‑ namento energetico, promuovere norme in materia di lavoro per il settore e tutelare i passeggeri e i cittadini; 2. favorire l’innovazione a sostegno dei primi due obiettivi di mobilità e tutela rendendo più efficente e sostenibile un set‑ tore in così forte crescita come quello dei trasporti; 3. stabilire connessioni internazionali nell’ambito di politiche tese al conseguimento della mobilità sostenibile e dell’inno‑ vazione.

Infine è del 2009 la Comunicazione della Commissione al Parla‑ mento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni con il Piano d’azione sulla mobilità urbana [COM(2009) 490 def.] con la quale si propone di stabilire un quadro comune che promuova lo sviluppo di po‑ litiche di mobilità urbana. E cioè che le attività promosse dalle amministrazioni locali devono contribuire ad una mobilità urba‑ na più sostenibile, più adatta alle esigenze di un sistema dei trasporti più concorrenziale; più aderente alle istanze promosse dall’Unione europea (UE) in materia di lotta contro i cambiamen‑ ti climatici, crescita e occupazione, coesione sociale, salute e sicurezza. Inoltre, si fa mensione sul fatto che gli agglomerati devono affrontare i problemi demografici e le preoccupazioni sociali (persone a mobilità ridotta, famiglie e bambini) e che gli impatti della mobilità urbana sull’efficienza dei trasporti sono a lungo raggio, cioè si sottolinea il fatto che nelle aree urbane, la mobilità urbana è considerata come parte integrante delle reti transeuropee di trasporto.

1.1.1 La questione dell’ambiente urbano Diverse sono le città poichè peculiari sono le loro storie e vicen‑ de urbanistiche, comuni sono però le criticità che pone a queste il tema dello sviluppo sostenibile e del connesso tema della vivi‑

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bilità urbana. Relativamente al concetto di “ sviluppo sostenibi‑ le”, sebbene questi sia spesso abusato e per il quale negli ultimi trent’anni sono state tante definizioni, tuttavia nel corso del tem‑ po sono state avanzate ipotesi di una migliore definizione a ri‑ guardo (Basiago, 1995; Martens, 2006). A tal riguardo sono stati scritti parecchi articoli e pubblicazioni scientifiche che, nel cor‑ so degli anni, hanno via via acclarato nuovi significati sulla de‑ finizione di sviluppo sostenibile. Su cosa sia la sostenibilità alla luce dei nuovi scenari globali (Martens, 2006), su cosa significhi (Hueting & Reijnders, 2004) e come questa possa essere mes‑ sa in opera e identificata (Hopwood, Mellor, & O’Brien, 2005).

Relativamente all’ambiente urbano, non mancano gli studi sul fatto di considerare le città alla stessa stregua di un ecosistema (Botkin, 1997), come ancora sul ruolo e contributo dei parchi e dei giardini nei contesti urbani (Marc Parés-Franzi et al. 2006).

Sono stati anche sperimentati approcci di valutazione sulla base di indici capaci di misurare e investigare circa lo stato ecosiste‑ mico nelle città allo scopo di aiutare i processi decisionali degli amministratori e dei pianificatori (Yigitcanlar et al. 2012). Paral‑ lelamente al dibattito scientifico e anche grazie alla prodotta ri‑ cerca scientifica in atto, la Comunità Europea, già a partire dalla Comunicazione n. 218 del 1990 con il Libro Verde sull’ambiente urbano, ha prodotto molteplici documenti volti a impostare un disegno strategico che unificasse le azioni degli Stati Membri a favore della sostenibilità urbana. A questo ha fatto seguito nel 1997, al fine di definire gli obiettivi e le strategie a lungo termine dell’Unione in materia di sostenibilità ambientale urbana, la Co‑ municazione “La problematica urbana: orientamenti per un di‑ battito europeo” e nel 1998 il “Quadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell’Unione Europea”. Queste strategie sono state sistematizzate nel 2002 con “Ambiente 2010: il nostro fu‑ turo” (2002/1600/CE) che costituisce il sesto programma comu‑ nitario di azione in materia di ambiente, con il quale tra le sette strategie tematiche individuate nel testo viene individuata quella specifica dell’ambiente urbano. Quali sono gli obiettivi e gli in‑ tenti di questa strategia europea? Tra gli obiettivi figura quello di migliorare la qualità di vita per i cittadini dell’Unione oltre che l’efficenza dei sistemi urbani per ciò che concerne le sue sfere economiche e sociali; tra gli intenti, quello di stabilire un quadro condiviso nel quale le realtà urbane, caratterizzate dalle diver‑ se peculiarità storiche, economiche e politiche, possano trovare dei riferimenti per gestire l’ambiente urbano per applicazione delle best practices individuate nel sesto programma. Le strate‑ gie sono nulla senza le azioni necessarie a garantirne un soste‑ gno e, per questa ragione, un importante contributo in tal senso è stato apportato, nel 2004, dalla Comunicazione n. 60/04: “Co‑ municazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento eu‑

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ropeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Verso una strategia tematica sull’ambiente urbano”.

A partire da questo testo, fino ad arrivare alla ratifica avvenuta il giorno 11 gennaio 2006 (Comunicazione 718/2005, Strategia tematica sull’ambiente urbano), è stato possibile elaborare le li‑ nee d’azione per le politiche da perseguire da parte dei Paesi Membri dell’Unione. In tale documento, vengono individuate cri‑ ticità che caratterizzano il concetto stesso di sostenibilità all’in‑ terno dei contesti urbani europei che sono riassumibili comple‑ sivamente in quattro grandi assi, su ciascuno dei quali si basa la strategia europea in merito alla sostenibilità urbana. A livello urbano il concetto di sostenibilità coinvolgerebbe il comparto dell’edilizia, della gestione stessa urbana, della progettazione urbana e, non ultima, di una mobilità che sia attenta ai valori ecosistemici. Queste sono proprio le criticità delle città europee (ma non solo) sulle quali si gioca la partita della sostenibilità ur‑ bana (Socco, C., 2009). É quindi chiaro che, per venire a capo della questione della vivibilità negli ambienti urbani, occorre in‑ nanzitutto un approccio transdisciplinare che consenta di fissa‑ re i criteri per lo studio delle relazioni tra le diverse compagini urbane. Relativamente a ciò che concerne l’edificato urbano, va evidenziato che questi alimenta il dibattito su un’altra forma di cambiamento climatico, differente dal cambiamento climati‑ co globale: si tratta di un’alterazione microclimatica di origine prettamente antropica, chiamato “isola di calore” ovvero il riscal‑ damento dovuto all’urbanizzazione, della bolla d’aria presente sopra le città di medie e grandi dimensioni. A partire da Gordon Manley che, nel 1958 per prima ne descrisse il fenomeno, sono stati in tanti a studiare le isole di calore in quanto associazione tra la temperatura superficiale dell’aria e quella della superfi‑ cie urbana (Grimmond & Oke, 2002; Quattrochi & Ridd, 1994; Shepherd & Burian, 2003; Rosenzweig et al., 2009). Se il global warming ha comportato un aumento delle temperature medie di 0.5-0.6 °C in un secolo, nello stesso periodo l’effetto delle grandi realtà urbane è stato in molti casi superiore. Ad esempio, secon‑ do alcuni studi condotti presso il CNR di Bologna (T. Georgiadis, F. Rossi, G. Maracchi ) la città di Milano in 158 anni ha registrato un aumento complessivo della temperatura dell’aria al suolo di 2.5°C per la massime e di 0.9°C per le minime. Si è cioè compre‑ so che il vero problema per la popolazione di domani, di cui più della metà già oggi risiede nelle città (si prevede che nel 2030 la percentuale salga al 63%), sarà più quello dell’effetto urbano che non quello del cambiamento globale. Una comprensione sempre più stringente di questo fenomeno consentirà di fornire gli strumenti scientifici necessari per una pianificazione urbana più attenta ai valori dell’ecosostenibilità. Certamente si evite‑ rebbero gli episodi che hanno caratterizzato l’estate del 2003,

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quando a causa di un inadeguato sistema di preparazione, si sono registrati oltre 35.000 morti in eccesso nella sola Europa occidentale e, sempre in eccesso, 4.175 decessi rispetto all’an‑ no precedente in Italia. Stando a quanto recita la Comunicazio‑ ne della Commissione dell’11 febbraio 2004 «Verso una strate‑ gia tematica sull’ambiente urbano» [COM(2004) 60 - Gazzetta ufficiale C 98 del 23.04.2004], l’istituzione di specifici piani per gestione urbana sostenibile consentirebbero di: • combinare la gestione delle funzioni obbligatorie attribuite ai comuni dalla normativa europea (direttive sulla qualità dell’aria e sul rumore ambientale); • intensificare la cooperazione tra i vari livelli di governo (loca‑ le, regionale e nazionale) e tra i diversi servizi delle ammini‑ strazioni locali; • assicurare la necessaria continuità alla politica ambientale nonostante l’avvicendamento delle amministrazioni comuna‑ li; • assicurare una migliore comparabilità delle 500 principali città europee per quanto riguarda obblighi ed iniziative am‑ bientali.

1.1.2 La sicurezza stradale Tra le problematiche e le complessità insite nel concetto stesso di mobilità urbana, quello della sicurezza stradale rappresenta un rilievo particolare per via delle implicazioni contenute sia a livello etico, per i sempre alti costi umani che comporta, sia ovviamente anche a livello economico, perché gli standard di sicurezza e il loro mantenimento ha ovviamente un costo. I dati sull’incidentali‑ tà stradale ci dicono che nel 2009, sulle strade dell’Unione euro‑ pea sono morte più di 35.000 persone (l’equivalente di una città di medie dimensioni) e i feriti sono stati non meno di 1.500.000. Il costo per la società è altissimo: nel 2009 ammontava a circa 130 miliardi di euro Comunicazione{SEC(2010) 903} “Verso uno spa‑ zio europeo della sicurezza stradale: orientamenti 2011-2020 per la sicurezza stradale”. In questo documento si dice che, in linea prioritaria debbono poter valere le seguenti tre azioni: – creazione di un quadro strutturato e coerente di cooperazione basato sulle migliori pratiche diffuse tra gli Stati membri, condi‑ zione necessaria per un’attuazione efficace degli orientamenti 2011-2020 per la sicurezza stradale; – elaborazione di una strategia per i feriti e gli interventi di primo soccorso, per dare una risposta alla necessità sempre più pres‑ sante di ridurre il numero di feriti sulle strade; – miglioramento della sicurezza degli utenti vulnerabili della stra‑

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da e in particolare dei motociclisti, che alla luce delle statistiche sull’incidentalità destano particolare preoccupazione.

La questione della sicurezza, verrà in seguito ripresa e appro‑ fondita nel Libro Bianco 2011 (Tabella di marcia verso uno spa‑ zio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile), nel quale il concetto di trasporto sicu‑ ro sarà esteso a quello della “Pubblica sicurezza nei trasporti”, aereo e marino, sia dei passeggeri che delle merci. Inoltre si fa menzione della definizione del “trasporto sicuro”, condizione essenziale per i cittadini europei e del ruolo essenziale rivestito dalle Agenzie nelle modalità dell’aviazione civile (adeguamen‑ to alle nuove tecnologie), del trasporto marittimo (protezione dell’ambiente dall’inquinamento provocato dalle navi) e del tra‑ sporto ferroviario (l’armonizzazione e controllo della certificazio‑ ne di sicurezza). Viene, inoltre, fatta mensione del concetto di sicurezza da punto a punto (“End to end”), cioè dei tratti della catena logistica in tutti i modi di trasporto, tale da garantire flu‑ idità degli scambi attraverso un innalzamento dei livelli di pre‑ venzione contro gli attacchi terroristici o di pirateria. Per ciò che concerne la sicurezza delle vite umane, il testo pone l’ambizioso traguardo di “zero vittime” nella sicurezza stradale che raggiun‑ gerebbe applicando tecnologie per la sicurezza stradale –quali sistemi di assistenza alla guida, limitatori (intelligenti) di velocità, dispositivi che invitano ad allacciare le cinture di sicurezza, ser‑ vizio e-Call, sistemi cooperativi e interfacce veicolo-infrastruttu‑ ra – e migliorando i controlli tecnici dei veicoli anche per i siste‑ mi di propulsione alternativi; elaborando una strategia d’azione organica per gli interventi in caso di gravi incidenti stradali e per i servizi di emergenza; incentivando e incoraggiando la for‑ mazione e l’educazione di tutti gli utenti, con l’applicazione di buone pratiche raggiunte attraverso l’uso degli equipaggiamenti di sicurezza (cinture, indumenti protettivi, dispositivi antimano‑ missione). Infine, aumentare i livelli di sicurezza, anche grazie a infrastrutture più sicure e adeguate tecnologie dei veicoli, ver‑ so tutti gli utenti e cittadini particolarmente vulnerabili o esposti a minacce e offese dirette (incidenti) o indirette (inquinamento acustico e atmosferico) quali pedoni, ciclisti e motociclisti.

1.1.3 La mobilità sostenibile Quali sono i presupposti che danno sostanza all’idea della mo‑ bilità sostenibile? In linea generale, come è noto, la politica dei trasporti è stata uno dei primi settori politici contemplati dai trat‑ tati di Roma del 25 marzo 1957, con il quale si istituiva la Comu‑ nità economica europea, entrata in vigore il 1° gennaio 1958.

Infatti, in quella sede gli Stati membri avevano sottolineato l’im‑

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portanza di una politica comune dei trasporti dedicando all’ar‑ gomento un intero titolo (Titolo IV artt. 74-84). L’apertura dei mer‑ cati dei trasporti e la creazione di condizioni concorrenziali eque, ha fatto si che negli ultimi anni acquisisse sempre mag‑ giore peso l’idea di una «mobilità sostenibile», in particolare nel contesto di un sempre più intensificarsi dei traffici merci e pas‑ seggeri all’interno e tra i Paesi dell’Unione e, parallelamente, del costante aumento delle emissioni dei gas a effetto serra del set‑ tore trasporti che, di fatto, minacciano di compromettere gli obiettivi strategici in materia di clima dell’Unione europea. La base giuridica è da ricercarsi nell’Articolo 4, paragrafo 2, lettera g), e titolo VI del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) che recita: “L’Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nei principali seguenti settori: a) mercato interno, b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato, c) coesione economica, so‑ ciale e territoriale, d) agricoltura e pesca, tranne la conservazio‑ ne delle risorse biologiche del mare, e) ambiente, f) protezione dei consumatori, g) trasporti, h) reti transeuropee, i) energia, j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia, k) problemi comuni di si‑ curezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato. Quella dei trasporti è stata quindi una delle prime politiche comuni della Comunità. Il princi‑ pale obiettivo iniziale era l’istituzione di un mercato comune dei trasporti, ovvero il conseguimento della libera prestazione dei servizi e dell’apertura dei mercati. Ad eccezione del settore fer‑ roviario, per il quale il mercato interno è stato solo parzialmente realizzato, mancando la costruzione di alcuni elementi nevralgi‑ ci di collegamento delle TEN-T delle reti di Alta Velocità, tuttavia allo stato attuale tale obiettivo si può considerare in gran parte raggiunto. In definitiva, l’apertura dei mercati dei trasporti, il completamento del mercato interno dell’Unione, l’abolizione del‑ le frontiere interne a seguito degli Accordi di Schengen (19851995), la riduzione dei prezzi dei trasporti derivante dall’apertu‑ ra e dalla liberalizzazione dei mercati dei trasporti, le modifiche a livello di sistema di produzione e di gestione dello stoccaggio hanno portato a un considerevole aumento del traffico, con l’esi‑ to che la circolazione di persone e merci negli ultimi 30 anni è più che raddoppiata. Se quindi, da un lato il settore dei trasporti ha prodotto economia e prosperità e dinamismo tra i Paesi mem‑ bri dell’Unione, per altro verso lo stesso settore dei trasporti ha prodotto esternalità negative, sottoforma di costi sociali ed eco‑ logici sempre crescenti. Sono queste ragioni che stanno alla base dell’idea di una «mobilità sostenibile», idea che ha acqui‑ sito nel corso del tempo sempre maggiore importanza, ma un’idea che tenta di risolvere due obiettivi tra loro in contraddi‑ zione o che comunque sembrano inconciliabili: per un verso vi è

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la necessità di garantire una mobilità di merci e persone quanto più fluida ed efficente possibile, in quanto elemento centrale per un mercato interno competitivo, nonché requisito per la libera circolazione delle persone. Per altro verso, si tenta parimenti di ridurre i costi indotti da incidenti stradali, malattie respiratorie, cambiamenti climatici, inquinamento acustico, danni ambientali e congestionamenti che derivano proprio dall’intensificarsi dei traffici suddetti. Quindi, in assenza di immediate alternative all’attuale trend di approvvigionamento energetico, dipendente in larga parte dalle fonti fossili, si cerca di contrastare l’aumento del traffico. É per tale ragione, quindi, che il 28 marzo 2011 la Comissione europea ha adottato il nuovo Libro bianco, Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile, nel quale in modo esaustivo si fa cenno alla necessità di rendere quanto più fluido possibile il trasporto di uomini e merci, così come di perfeziona‑ re la sicurezza degli scambi End-to-End in favore della sicurez‑ za dei trasporti. Naturalmente, l’idea della mobilità sostenibile presuppone una visione globale che contempli un approccio in‑ tegrato in cui all’ottimizzazione dell’efficienza del sistema dei trasporti, si coniuga l’organizzazione e la sicurezza, nonché la riduzione dei consumi di energia e dell’impatto ambientale.

Quindi, la promozione della competitività di modi di trasporto più

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How has EU Research and Innovation funding evolved over recent years?

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rispettosi dell’ambiente, l’integrazione del trasporto combinato e dell’intermodalità all’interno di di catene di trasporto. Indubbia‑ mente il settore trasporti è il maggior responsabile dei dissesti ambientali e quindi quello a cui si riversano le aspettative mag‑ giore per quanto riguarda la lotta contro il riscaldamento globa‑ le. Infatti, se per un verso il settore dei trasporti produce quasi un quarto del totale delle emissioni di gas a effetto serra (GES) dell’Unione a 27, per altro verso esso è ancora lungi dal contri‑ buire in modo percettibile agli obiettivi climatici dell’UE volti a ridurre entro il 2020 le emissioni di CO2 di almeno il 20% rispet‑ to al livello del 1990. Sono stati fatti molti sforzi in tutti gli altri settori strategici dell’Unione ma, per ciò che concerne l’aumento delle emissioni dei GES del settore dei trasporti, si sono prodot‑ ti ben pochi progressi. Infatti, tra il 1990 e il 2007, le emissioni dei GES dovute ai trasporti, che rientrano nell’ambito del proto‑ collo di Kyoto, sono aumentate del 26%. I dettagli sul trasporto del futuro nei territori dell’Unione sono riportati nel Libro bianco attraverso dieci obiettivi che disegnano un sistema dei trasporti competitivo ed efficiente sul piano delle risorse, per conseguire l’obiettivo di ridurre del 60% le emissioni di gas serra. In partico‑ lare, per ciò che riguarda la messa a punto e l’utilizzo di carbu‑ ranti e sistemi di propulsione innovativi e sostenibili, si pone di 1) Dimezzare entro il 2030 nei trasporti urbani l’uso delle autovettu‑ re “alimentate con carburanti tradizionali” ed eliminarlo del tutto entro il 2050; conseguire nelle principali città un sistema di logi‑ stica urbana a zero emissioni di CO2 entro il 2030. 2) Nel settore dell’aviazione utilizzare entro il 2050 il 40% di carburanti a basso tenore di carbonio; sempre entro il 2050 ridurre nell’Unione eu‑ ropea del 40% (e se praticabile del 50%11) le emissioni di CO2 provocate dagli oli combustibili utilizzati nel trasporto marittimo.

Al fine rendere più efficaci le catene logistiche multimodali, e parallelamente conseguire un incremento dell’uso di modi di tra‑ sporto più efficienti sotto il profilo energetico, si pone di 3) Sulle percorrenze superiori a 300 km, entro il 2030, il 30% del traspor‑ to di merci su strada dovrebbe essere trasferito verso altri modi, quali la ferrovia o le vie navigabili. Nel 2050 questa percentuale dovrebbe passare al 50% grazie a corridoi merci efficienti ed ecologici. Per conseguire questo obiettivo dovranno essere messe a punto infrastrutture adeguate. 4) Completare entro il 2050 la rete ferroviaria europea ad alta velocità e triplicare entro il 2030 la rete ferroviaria ad alta velocità esistente e mantenere in tutti gli Stati membri una fitta rete ferroviaria in modo tale che entro il 2050 la maggior parte del trasporto di passeggeri sulle medie distanze dovrebbe avvenire per ferrovia. 5) Entro il 2030 dovrebbe essere pienamente operativa in tutta l’Unione europea una “rete essenziale” TEN-T multimodale e nel 2050 una rete di qualità e capacità elevate con una serie di servizi di informazio‑

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ne connessi. (6) Collegare entro il 2050 tutti i principali aeropor‑ ti della rete alla rete ferroviaria, di preferenza quella ad alta velo‑ cità; garantire che tutti i principali porti marittimi siano sufficientemente collegati al sistema di trasporto merci per ferro‑ via e, laddove possibile, alle vie navigabili interne. Infine, per migliorare l’efficienza dei trasporti e dell’uso delle infrastrutture mediante sistemi d’informazione e incentivi di mercato, il libro bianco si pone l’obiettivo di 7) Rendere operativa in Europa en‑ tro il 2020 l’infrastruttura modernizzata per la gestione del traffi‑ co aereo (SESAR12) e portate a termine lo spazio aereo comune europeo. Applicare sistemi equivalenti di gestione del traffico via terra e marittimo (ERTMS13, ITS14, SSN e LRIT15, RIS16) nonché il sistema globale di navigazione satellitare europeo (Galileo). 8) Definire entro 2020 un quadro per un sistema euro‑ peo di informazione, gestione e pagamento nel settore dei tra‑ sporti multimodali. 9) Avvicinarsi entro il 2050 all’obiettivo “zero vittime” nel trasporto su strada. Conformemente a tale obiettivo il numero di vittime dovrebbe essere dimezzato entro il 2020 e l’Unione europea dovrebbe imporsi come leader mondiale per quanto riguarda la sicurezza in tutti i modi di trasporto. 10) Pro‑ cedere verso la piena applicazione dei principi “chi utilizza paga” e “chi inquina paga”, facendo in modo che il settore pri‑ vato si impegni per eliminare le distorsioni – tra cui i sussidi dan‑ nosi – generare entrate e garantire i finanziamenti per investi‑ menti futuri nel settore dei trasporti.

In definitiva, nonostante l’Europa fin dal suo primo atto costi‑ tutivo abbia opportunamente messo tra le priorità strategiche quella di uno sviluppo dei trasporti che agevolasse i processi di integrazione tra i popoli, nonchè innalzasse i livelli occupazio‑ nali e di benessere generale, nella macroscala così come nella scala urbana, tuttavia nel contesto del costante aumento delle emissioni dei gas a effetto serra del settore, si può dire che lo sviluppo e l’intensificarsi di questi di fatto minacci di compro‑ mettere gli obiettivi climatici dell’Unione europea.

1.1.4 I progetti europei Europa 2020, la strategia decennale per la crescita sviluppata dall’Unione europea, è stata messa a punto non solo per uscire dalla crisi che imperversa nelle economie di molti paesi dell’area euro, segnatamente quelli che insistono nella fascia meridiona‑ le della regione Europea, ma anche per superare i limiti di un modello di crescita insostenibile e creare, in tal modo, le condi‑ zioni per un diverso tipo di sviluppo economico, più intelligen‑ te, sostenibile e solidale. Pertanto, Europa 2020 si articola in 5 obiettivi: occupazione, ricerca e sviluppo, cambiamenti climatici

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e sostenibilità energetica (nello specifico: riduzione delle emis‑ sioni di gas serra del 20% rispetto al 1990, 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili, aumento del 20% dell’ef‑ ficienza energetica), istruzione, lotta alla povertà e all’emargina‑ zione. Per attuare il progetto di una comunità siffatta, l’Unione Europea incoraggia lo sviluppo e attuazione di progetti che in‑ terpretano lo spirito di Europa 2020, attraverso una strategia di erogazione di risorse comunitarie articolata in due grandi bloc‑ chi: i fondi erogati agli Stati membri e gestiti dalle regioni d’Eu‑ ropa per l’attuazione della politica di coesione (fondi strutturali) e i fondi diretti, gestiti dalla Comunità Europea, per l’implemen‑ tazione di azioni in ambiti tematici ben definiti. Dal 1° gennaio 2014 è attivo Horizon 2020, il programma dell’Unione Europea per il finanziamento della ricerca e dell’innovazione, con una do‑ tazione di quasi 80 miliardi di euro per un periodo di sette anni (2014-2020).

Horizon 2020 Il progetto di finanziamento indirizzerà le risorse verso tre prio‑ rità distinte: 1. Excellent Science: 24,6 miliardi di euro, con l’obiettivo di svi‑ luppare la ricerca in Europa, dando accesso ai ricercatori talentuosi ad infrastrutture di ricerca prioritarie, cercando di rendere l’Europa un luogo attraente per i migliori ricercatori del mondo, facendo leva sul successo del Consiglio euro‑ peo della ricerca (ERC) e, infine, offrendo ai ricercatori parti‑ colarmente dotati opportunità di formazione e carriera con le azioni previste dal progetto Marie Skłodowska-Curie.

2. Industrial Leadership: 17,9 miliardi di euro con l’obiettivo di portare investimenti in tecnologie industriali essenziali, inco‑ raggiando la crescita delle aziende europee fornendo loro fonti di finanziamento e il potenziale di innovazione espresso dalle PMI a diventare imprese leader a livello mondiale.

3. Societal Challenges: 31,7 miliardi di euro con l’obiettivo di confermare le strategie di Europa 2020 per ciò che concer‑ ne le grandi preoccupazioni condivise dai cittadini europei e di altri paesi. Per tale ragione, i finanziamenti si concentre‑ ranno sulle seguenti sfide: • sanità, cambiamenti demografici e benessere; • sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e marittima e bioeconomia; • energia da fonti sicure, pulita ed efficiente; • trasporti intelligenti, ecologici e integrati;

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• azione per il clima, efficienza sotto il profilo delle risorse e materie prime; • società inclusive, innovative e sicure.

In tal senso, lo sviluppo sostenibile (obiettivi climatici e ambien‑ tali) sarà certamente un obiettivo di Horizon 2020. Particolare attenzione verrà dedicata, inoltre, al ruolo dello IET (Istituto euro‑ peo di Innovazione e Tecnologia), alle attività del Centro Comu‑ ne di Ricerca, così come alla ricerca e all’innovazione in materia di energia nucleare (fonte http://ec.europa.eu/programmes/ho‑ rizon2020/h2020-sections). Come si può notare, quindi, il tema “Trasporti” è stato inserito all’interno della sezione “Societal Challenges” dal titolo “Smart, green and integrated transport”.

“This Challenge aims to boost the competitiveness of the European transport industries and achieve a European transport system that is resource-efficient, climate-andenvironmentally-friendly, safe and seamless for the bene‑ fit of all citizens, the economy and society.”

Il tema dei trasporti prevede un budget di 6.339.000 € per il pe‑ riodo 2014-2020 affinché possa contribuire alla realizzazione di quattro obiettivi chiave: 1. Finanziamenti per un trasporto che sia efficiente ma nel ri‑ spetto dell’ambiente. Quindi aeromobili, veicoli e navi che riducano al minimo l’impatto di questi sul clima e l’ambiente, attraverso lo sviluppo di apparecchiature intelligenti, infra‑ strutture e servizi e migliorando i trasporti e la mobilità in aree urbane.

2. Finanziamenti per una migliore mobilità costituita dal poten‑ ziamento del trasporto pubblico e riduzione del trasporto privato, più sicurezza con una sostanziale riduzione della congestione urbana oltre che di incidenti, morti e feriti, un miglioramento anche concettuale del sistema di trasporto della mobilità di persone e merci, della logistica.

3. Finanziamenti per una leadership globale per l’industria eu‑ ropea dei trasporti rafforzando la competitività e le presta‑ zioni delle industrie manifatturiera europea dei trasporti e dei servizi connessi, compresi i processi logistici e mantenere le aree di leadership europea (ad esempio, come l’aeronauti‑ ca).

4. Finanziamenti per il miglioramento delle politiche volte all’in‑ novazione, affinchè si possano affrontare le sfide poste dai trasporti e le esigenze della società ad essa collegate.

Attività queste che sono indirizzate affinchè si incoraggino inviti a presentare proposte: Mobilità per la crescita, veicoli verdi e

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FESR 2014-2020 Il programma di finanziamento per la politica di coesione pre‑ vede, nel contesto del bilancio unionale 2014-2020, un investi‑ mento negli Stati membri e nelle loro regioni e città pari a 325 miliardi di euro per realizzare gli obiettivi in tema di crescita e occupazione nonché per affrontare le problematiche legate allo sviluppo urbano sostenibile, al cambiamento climatico, alla di‑ pendenza energetica e all’esclusione sociale per l’appunto nel‑ le aree urbane. I principi base del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) hanno un significato duplice: da una parte concentrare le risorse in un’ottica integrata per puntare alle aree con problematiche urbane specifiche; al tempo stesso, i progetti per le aree urbane finanziati dal FESR devono essere integrati per rispondere agli obiettivi più ampi previsti dai programmi. Gli Stati membri dell’Unione europea si adoperano per utilizzare il Fondo sociale europeo (FSE), in sinergia con il FESR, allo sco‑ po di sostenere misure correlate all’occupazione, all’istruzione, all’inclusione sociale e alla capacità istituzionale, progettate e realizzate nell’ambito di strategie integrate.

CIVITAS 2020 CIVITAS — acronimo che sta per “CIties-VITAlity-Sustainability” — è un’iniziativa finanziata dal programma quadro di ricerca dell’Unione Europea per sostenere le città nei loro sforzi di inno‑ vazione per una mobilità urbana più sostenibile, con gli obiettivi di: • promuovere ed implementare misure per un trasporto urba‑ no sostenibile, pulito ed efficiente dal punto di vista energe‑ tico; • implementare pacchetti integrati di tecnologia e strategie nel settore energetico e dei trasporti; • costruire massa critica e mercato per l’innovazione.

Avviata all’inizio del 2002 CIVITAS ha dato vita a: CIVITAS I (Fase 2002-2006, nell’ambito del Quinto programma Quadro per la ricerca), con 19 città raggruppate in 4 progetti dimostrativi; CIVITAS II (Fase 2005-2009, inserito nel Sesto Programma Qua‑ dro di Ricerca), con 17 città raggruppate in 4 progetti dimostra‑ tivi.

CIVITAS Plus (Fase 2008-2012, inserito nel Settimo Programma

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strade preferenziali per la piccola impresa per l’innovazione dei trasporti (fonte: http://ec.europa.eu/programmes/horizon2020/ en/h2020-section/smart-green-and-integrated-transport).

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Quadro di Ricerca); con 25 città raggruppate in 5 progetti dimo‑ strativi; CIVITAS Plus II (Fase 2012-2016. Dall’inizio del programma, sono state coinvolte un totale di 69 città in tutta Europa.

1.1.5 L’Europa dei territori e la mobilità veloce

Il Piano Delors sulla crescita economica, sull’occupazione e sull’innovazione dell’Europa comunitaria, ha comportato che i lavori della Commissione integrassero, all’interno delle norme che costituiscono le basi dell’Unione, la diversità territoriale qua‑ le valore aggiunto per lo sviluppo economico. Non più, quindi, un’Europa degli Stati Nazione, in cui il popolo ha la prevalenza sullo Stato e sulla sua organizzazione, ma una concezione net‑ tamente a favore del territorio e delle sue specificità climatiche, vegetazionali, ecosistemiche, storiche e culturali. È il territorio il protagonista di questa stagione europea; il soggetto su cui non è più possibile esercitare un potere politico da parte dello Stato o un uso puramente strumentale che, prima d’allora, è stato a danno dei valori anzidetti.

Per ciò che concerne la mobilità veloce e, nella fattispecie, le TEN-T (Trans-European Transport Networks), infatti, i grandi cor‑ ridoi di attraversamento europei sono stati disegnati (e da poco revisionati o se vogliamo ricalibrati) senza tener conto delle spe‑ cificità che si evincono solo in una scala di approfondimento, a livello di Stato, ma in un ambito che non è più di competenza dello Stato stesso. Le trasformazioni del territorio vengono infatti definite dalla concertazione tra i costruttori delle reti da una par‑ te e la Regione dall’altra. Il fatto, certamente, costituisce di per sé una svolta epocale, se si considera che non è più consentito ai grandi gruppi imprenditoriali di agire nel proprio interesse, senza tener conto del fattore territorio. Nell’Europa di Delors, da sempre a favore di una politica volta a promuovere le istanze avanzate dai fautori del pensiero federalista, sono i valori del territorio a dettare le regole, i tempi e le istituzioni. Come si pone, allora, la politica europea dei trasporti rispetto a questa nuova concezione della governance territoriale? Sono state rispettate le aspettative in relazione a questo progetto politico? Vi sono ancora le condizioni affinché si concretizzi il disegno politico di Delors alla luce del panorama di crisi che caratterizza l’Europa dei nostri giorni? I fatti che avvengono nelle nostre città e nei territori limitrofi ci raccontano, in effetti, che le azioni perpretate ai danni del bene pubblico continuano ad accadere e che la speculazione finanziaria ha cominciato nuovamente a mordere i governi dei paesi periferici dell’area Euro. La tristemente famosa

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sigla PIGS, con la quale si vuol mettere in risalto le “finanze al‑ legre” di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna è diventata il nostro spauracchio e, al contempo, l’oggetto di derisione da parte dei rappresentanti di quei governi che si sono distinti per il virtuosi‑ smo con il quale hanno gestito la propria spesa pubblica. Tut‑ to ciò, è chiaro, è un segno inequivocabile di frammentazione dell’area Euro e, parimenti, un allontanamento sempre più deci‑ so dal progetto di unità politica europea. Le tensioni sociali già manifestate in Grecia, in Spagna e in Italia, che, inevitabilmente, nutrono l’egoismo dei singoli Stati e depauperano di fatto una certa forma di solidarietà, rischiano di creare un effetto domino le cui conseguenze nefaste sarebbero estese al resto del conti‑ nente europeo. Il fenomeno trova già evidenze concrete anche il quelle città, è il caso di Barcellona, che fino ad appena 10-15 anni fa si distinguevano nel panorama europeo quale esempio di virtuosismo per come erano riuscite a rigenerarsi, dando vita ad un dibattito architettonico e urbanistico ed oggi pervase da un profondo senso di crisi economica e sociale che non manca di rilevare il lato oscuro e le contraddizioni del modello di svilup‑ po tanto osannato.

“Barcellona è un esempio emblematico di città globale non scevro di lati oscuri da mettere in luce, per la quale risulta difficile proporre un modello alternativo o anche solo prevedere quale direzione prenderà quello attuale, anche perché la crisi economica di questi anni blocca qualsiasi trasformazione e spinge a rivedere le tappe di un processo di cui solo ora si possono cominciare a cogliere gli effetti positivi e quelli negativi. Si può allora provare a guardare e ascoltare ciò che ora c’è, ciò che rimane dopo trent’anni di piani, progetti e politiche sulla città” (Ingrosso C., 2011).

Oggi Barcellona è una splendida città per tutti i turisti che vi giungono e nella quale vi trovano servizi di mobilità efficienti, tali da soddisfare qualsiasi esigenza legata alla fruizione dei luoghi da visitare. Al contempo è la città della crisi per i suoi abitanti e per coloro i quali vi risiedono da anni. In tanti, specialmente tra i professionisti, dopo aver costruito un progetto di vita con la concretezza di una casa e di una famiglia, sono stati costretti a chiudere i propri studi professionali e a lasciare la città alla ricer‑ ca di nuove occupazioni in luoghi anche molto lontani.

La mobilità, quindi, consente di alimentare l’industria del turi‑ smo, la sola che allo stato attuale è capace di sorreggere l’eco‑ nomia di una città, posta di fronte ai morsi della crisi economica e occupazionale determinata dall’economia globale (Tidore C., 2013). Ci si chiede come sia possibile sperimentare attraverso

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la mobilità, trasformazioni capaci di imprimere nuove forme di organizzazione tanto nei territori quanto nelle città. Come ci si muove tra i territori attraversati dalla crisi economica? Qual è lo stato dei trasporti europei e come è stato impostato il sistema di comunicazioni tra i vari Stati dell’Unione?

L’Europa dei trasporti e delle comunicazioni tra i Paesi Membri, è il risultato dei vari processi di scambi economici e di relazioni sociali le cui dinamiche sono da inquadrare sulla scala globa‑ le, quindi ben al di là dei limiti stessi del Vecchio Continente.

L’Unione Europea, a partire dagli anni ’90 ha intrapreso le se‑ guenti politiche di sostegno alla mobilità, nell’ottica di una strut‑ turazione della rete dei trasporti che prevedesse, quindi, il già descritto scenario di un continente da preparare in vista delle sfide che la globalizzazione impone. Come già accennato, nel corso di questi anni la linea seguita sembra essere stata quella di una politica liberista fondata sui concetti di efficienza e fun‑ zionalità (Leone N.G., Piraino A., 2004) che, nel caso delle infra‑ strutture, non sempre sono state attente e rispettose dei valori espressi dal contesto territoriale. Nella fattispecie della mobilità veloce, dal punto di vista strategico particolare importanza as‑ sume il comparto della mobilità su ferro, proprio perché questo ha nel suo DNA proprio tutte quelle caratteristiche sulle quali la Comunità europea basa la sua azione di competitività e sviluppo economico, sociale e culturale, tanto ben delineate nel Piano Europa 2020: riduzione delle emissioni di gas serra del 20 %, innalzamento al 20 % della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e il risparmio energetico al 20 %, il tutto entro il 2020.

Riassumendo, le politiche: • hanno voluto promuovere il mercato concorrenziale dei tra‑ sporti, nella convinzione che tale regime potesse incoraggiare un miglioramento degli standard qualitativi dei servizi offerti al cliente e una contemporanea riduzione dei prezzi, con interventi finalizzati a innescare processi di liberalizzazione dei servizi di trasporto aereo e ferroviari; • hanno favorito i processi infrastrutturali per la cooperazione, per la costruzione e la modernizzazione di corridoi d’interesse comune e d’interconnessione transeuropea (TEN-T).

Per ciò che concerne la modalità ferroviaria, direttamen‑ te coinvolta nella costruzione delle reti di interconnessione ter‑ ritoriale, questi processi di liberalizzazione sono stati avviati, in sede comunitaria, dalla Direttiva del Consiglio 91/440/CEE, del 29 luglio 1991, relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, intesa a favorire secondo quanto recita l’Art. 1, “l’adeguamento delle ferrovie comunitarie alle esigenze del mercato unico e ad accrescere l’efficienza delle medesime: assicurando l’autono‑ mia gestionale delle imprese ferroviarie; separando la gestione dell’infrastruttura ferroviaria e l’esercizio di servizi di trasporto da

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parte delle imprese ferroviarie, operando una separazione con‑ tabile obbligatoria e una separazione organica o istituzionale facoltativa; risanando la struttura finanziaria delle imprese fer‑ roviarie; garantendo il diritto d’accesso alle reti ferroviarie degli Stati membri per le associazioni internazionali di imprese ferro‑ viarie, nonché per le imprese ferroviarie che effettuano trasporti combinati internazionali di merci”.

A questa Direttiva ha fatto seguito l’emanazione del “primo pacchetto ferroviario”, che si compone a sua volta di tre direttive, approvate il 26 febbraio 2001, inteso ad agevolare l’apertura del mercato alla concorrenza, a garantire l’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture e l’utilizzo ottimale delle stesse, nonché a promuovere la sicurezza secondo stan‑ dard e criteri di controllo comuni in ambito europeo.

• Direttiva 2001/12/CE, che modifica la direttiva 91/440/CEE del Consiglio relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie; • Direttiva 2001/13/CE, che modifica la direttiva 95/18/CE del Consiglio relativa alle licenze delle imprese ferroviarie; • Direttiva 2001/14/CE, relativa alla ripartizione della capacita di infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti per l’utiliz‑ zo dell’infrastruttura ferroviaria.

Un “secondo pacchetto ferroviario”, approvato in data 29 apri‑ le 2004, importante ai fini della costituzione dell’Agenzia fer‑ roviaria europea (Regolamento (CE) n. 881/2004) contiene le seguenti direttive: • Regolamento (CE) n. 881/2004, che istituisce un’Agenzia fer‑ roviaria europea la quale fornisce assistenza tecnica ai lavori per lo sviluppo dell’interoperabilità e l’implementazione della sicurezza1; • Direttiva 2004/49/CE che prevede un complesso di misure per accrescere il livello di sicurezza delle ferrovie comunitarie, in considerazione dello sviluppo dell’interoperabilità delle reti (c.d. direttiva sulla sicurezza delle ferrovie); • Direttiva 2004/50/CE che modifica le precedenti direttive sull’interoperabilità in considerazione dell’istituzione dell’Agen‑ zia ferroviaria europea, disposta con il regolamento n.

881/2004/CE; • Direttiva 2004/51/CE, relativa allo sviluppo delle ferrovie co‑

1

Relativamente all’Agenzia ferroviaria europea (ERA), questa ha sede in Francia ed ha l’obiettivo di raccordare tra loro le reti ferroviarie europee, potendo in tal maniera rendere i treni più sicuri e facendo sì che possano attraversare le frontiere nazionali senza fermarsi. Dal 2006, l’Agenzia lavora per sviluppare specifiche tecniche e misure e obiettivi di sicurezza comuni ed economicamente sostenibili, in collaborazione con le aziende ferroviarie, le autorità nazionali, le istituzioni dell’UE e altri organismi; prepara relazioni sulla sicurezza delle ferrovie nell’UE; guida gli sforzi per istituire norme di segnalamento uniformi in tutta l’Europa. La sua sede principale è in Francia a Valenciennes e dispone di un centro distaccato a Lille deputato alle conferenze internazionali.

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Forme della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

munitarie, che prevede un ampliamento della concorrenza per quanto concerne il trasporto nazionale delle merci.

Infine, nel corso del 2007 è stato approvato il cosidetto “Terzo pacchetto ferroviario” finalizzato alla formazione di uno spazio ferroviario europeo integrato, affinché i trasporti ferroviari potessero essere più competitivi e attraenti per gli utenti. Il pac‑ chetto si compone dei seguenti atti: • Direttiva 2007/58/CE, con lo scopo di aprire il mercato dei ser‑ vizi internazionali di trasporto passeggeri all’interno della Comu‑ nità (apertura effettiva dal 01 Gennaio 2010); • Direttiva 2007/59/CE relativa alla certificazione dei macchini‑ sti addetti alla guida di locomotori e treni sul sistema ferroviario della Comunità; • Regolamento 1371/2007 relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.

Tutto il suddetto corpus legislativo, ha avuto lo scopo di definire i contorni e gli ambiti d’azione dei diversi attori/sogget‑ ti della Comunità Europea che agiscono in seno alle Istituzio‑ ni politiche, agli enti preposti alla gestione delle infrastrutture ferroviarie, delle imprese ferroviarie, della regolazione sugli ac‑ cessi e sulle regole del pedaggio da parte degli enti ministeriali o delle Autority e, infine, della committenza pubblica. Non più quindi un’Europa degli Stati Nazione, quanto piuttosto l’Europa delle Regioni che, nelle proprie politiche tiene conto che le infra‑ strutture subiranno influenze notevoli per effetto dell’incremento dei servizi affidabili e adeguati a persone con mobilità ridotta, in considerazione della tendenza della popolazione europea ad invecchiare; dell’incremento e intensificazione dei servizi tra i paesi, per soddisfare le esigenze dei flussi migratori dai propri paesi d’origine; dell’urbanizzazione crescente che sarà causa di crescenti costi dovuti alla congestione urbana e riflessi negativi alla qualità della vita dei cittadini; dei problemi di vulnerabili‑ tà infrastrutturale e della sicurezza, per effetto dei cambiamenti climatici; pressione crescente su porti, aeroporti e loro vie d’ac‑ cesso per via dell’intensificarsi dei trasporti alla dimensione glo‑ bale.

“Il settore ferroviario rappresenta un modo di trasporto ecologico che può contribuire ad istituire nuove forme di mobilità efficienti sotto il profilo energetico, limitando i rischi di aggravare l’inquinamento, la congestione e (so‑ prattutto se si utilizzano carburanti che non hanno origine fossile) i cambiamenti climatici. Può garantire servizi di qualità, affidabili e sicuri e dunque agevolare lo sviluppo sostenibile dell’economia europea.

Come dimostrato dalla crisi della nube vulcanica, il co‑ stante sviluppo di modi di trasporto diversi è fondamen‑

1. La strategia EU sulla mobilità

tale per garantire la flessibilità del sistema di trasporto europeo da cui dipende la nostra economia. Questa di‑ versità è importante anche perché garantisce un’ampia gamma di opzioni per far fronte alle sfide dei cambia‑ menti climatici e della sicurezza energetica” (cfr. Com‑ missione UE 2009).

Cosa ha comportato nei fatti questo nuovo modo di intende‑ re il territorio dal punto di vista della mobilità? E in che senso considerare l’importanza che assume la mobilità nel contesto di questa importante scelta strategica? Le politiche comunita‑ rie di mobilità integrata, basata prevalentemente sul sistema del trasporto su ferro, stanno generando, ormai da tempo, una tra‑ sformazione strutturale dei territori di tutti gli Stati membri. Non v’è dubbio, infatti, che l’intera rete ferroviaria costituisca nei fatti una grande e potente infrastruttura continentale che, adesso più che mai a seguito del processo di unificazione, necessita di es‑ sere rivisitata, aggiornata e potenziata. Operazioni queste che andrebbero condotte, certamente sempre nel rispetto dei valori territoriali espresse da ogni singola nazione, ma comunque con il preciso scopo di conferire una rappresentazione di unità eu‑ ropea. Se volessimo fare un paragone, potremmo dire che la portata di questa metamorfosi in atto è per verti versi analoga a quella che deriva dalla grande rete di strade e di acquedotti messa a punto nell’antichità dagli antichi Romani; la scelta dei tracciati, dei materiali e la perizia progettuale degli ingegneri di allora, ha consentito di restituire un’immagine dell’Europa che tutt’ora ne costituisce la cifra più caratteristica. Proprio la cor‑ relazione tra infrastruttura e impianti insediativi costituisce, per qualunque viaggiatore, l’esperienza che più imprime il tratto più indimenticabile, specialmente per ciò che concerne la percezio‑ ne dei paesaggi urbani e naturali.

La qualificazione dell’ambiente, determinata dall’inserimento delle infrastrutture nel territorio e, scendendo alla scala insedia‑ tiva, il miglioramento delle condizioni di vivibilità dovrebbe esse‑ re la funzione da svolgere dalla rete di strade e ferrovia, specie per l’ampia facoltà di movimenti delle persone e delle merci.

1.1.6 I corridoi transeuropei e l’alta velocità in Europa e in Italia Le reti transeuropee di trasporto merci sono state concepite in attuazione ai dettami della Convenzione di Lisbona varata dai go‑ verni dei paesi dell’Unione agli inizi del 2000. È oramai pensiero condiviso, espresso anche nell’ultimo aggior‑ namento del Libro Bianco 2011 che la competitività europea di‑

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pende molto dalla capacità di poter agire nella logistica per ridur‑ re l’incidenza dei costi di trasporto sul valore finale dei prodotti destinati al mercato interno. Diminuisce la lunghezza della filiera e con essa i tempi di partenza - arrivo dei prodotti, così come il prezzo finale dei prodotti stessi che giungono al mercato; al tempo stesso, si agevolano le esportazioni dei prodotti industriali sui mercati internazionali. La risoluzione dei nodi critici o del‑ le strozzature, nella logistica delle reti di distribuzione, dovreb‑ be poter agevolare la coesione territoriale all’interno degli Stati dell’Unione. Come funzionano le reti TEN-T? Le reti transeuropee sono quindi reti di collegamento che si muovono nella prevalente logica delle direttrici Nord-Sud ed est-Ovest. Questa logica ha la finalità di restituire all’Europa il ruolo centrale se, in prospettiva dell’unione politica, diventa piattaforma di interscambio di mercati import-export tra quella Atlantico - Pacifica e quella Asiatica, con l’obiettivo di colmare le lacune tra le reti di trasporto degli Stati membri, rimuovere gli ostacoli che ancora impediscono il buon funzionamento del mercato interno e per superare gli ostacoli tec‑ nici di standard incompatibili per il traffico ferroviario. A partire da gennaio 2014, l’Unione europea ha promosso e rafforzato catene di trasporto senza soluzione di continuità per passeggeri e merci, mantenendo il passo con le future tendenze tecnologiche. Tutto ciò nell’aspirazione che questo progetto possa aiutare l’economia nel suo recupero e crescita, grazie ad un budget di 26 mld € fino al 2020. Lo sforzo economico in atto, è funzionale al fatto che, così impostate, le reti TEN-T possano divenire capaci di integrare le intermodalità di mobilità alle diverse scale, continentale, na‑ zionale, regionale, locale. Allo stato attuale, la rete TEN-T è stata identificata nell’allegato del regolamento CEF (Connecting Euro‑ pe Facility cioé “Meccanismo per Collegare l’Europa”) mediante nove corridoi intermodali a costituire ciò che viene definito “Core Network Corridors”, introdotti per eliminare i cosidetti “colli di bot‑ tiglia” (ossia i principali ostacoli di attraversamento che provoca‑ no congestione del trasporto di uomini e merci), per costruire gli attraversi transfrontalieri e per promuovere l’integrazione modale e l’interoperabilità dei trasporti tra gli Stati membri. Il regolamento CEF, il documento che descrive il piano di investimenti destinato a migliorare le reti europee di trasporto, energia e digitali, presenta‑ to il 19 ottobre 2013 dalla Commissione Europea nell’ambito del‑ la proposta di bilancio pluriennale dell’Ue 2014-2020, include un elenco dei progetti pre-individuati per un eventuale finanziamento dell’UE nel periodo 2014 - 2020, in base al loro valore aggiunto per lo sviluppo della TEN-T e il loro stato di maturità. Per ciascun corridoio verrà redatto un piano di lavoro, guidato da un coordina‑ tore europeo, che avrà come fine quello di definire lo stato attuale delle infrastrutture, un programma per la rimozione, le strozzature operative e amministrative fisiche, tecniche, e una panoramica

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TRANS-EUROPEAN TRANSPORT NETWORK

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TEN-T CORE NETWORK CORRIDORS

BASED ON THE OUTCOME OF THE INFORMAL TRILOGUE OF 27th JUNE 2013

La rete europea dei nove corridoi intermodali. L’Italia è attraversata da ben quattro di questi.

(Fonte: http://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/ten-t-guidelines/corridors/doc/ten-t-corridor-map-2013.pdf).

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delle risorse finanziarie (UE, internazionale, nazionale, regionale e locali, pubblici e privati).

1. Il Corridoio Scandinavo-Mediterraneo è un asse nord-sud cru‑ ciale per l’economia europea. Attraversa il Mar Baltico, dalla Finlandia alla Svezia, la Germania, le Alpi e l’Italia. Collega i principali centri urbani, i porti della Scandinavia e Germania settentrionale per continuare verso i centri industrializzati di alta produzione della Germania meridionale, dell’Austria e del Nord Italia. Infine i porti italiani e La Valletta a Malta. I progetti più importanti in questo corridoio sono l’attraversamento Feh‑ marnbelt fisso e il traforo del Brennero. Si estende, attraverso il mare, dal Sud Italia verso la Sicilia e verso Malta da Bari.

2. Il Corridoio Mare del Nord-Mar Baltico collega i porti della sponda orientale del Mar Baltico con i porti del Mare del Nord.

La Finlandia con l’Estonia saranno collegati con il traghetto, i tre Stati Baltici saranno collegati tramite strade e collegamenti ferroviari, da un lato con la Polonia e la Germania e dall’al‑ tro con i Paesi Bassi e il Belgio. Il progetto più importante è “Baltic Rail”, una ferrovia a scartamento europeo standard tra Tallinn, Riga, Kaunas e la parte nord-orientale della Polonia.

3. Il Corridoio Mare del Nord-Mediterraneo si estende dall’Irlan‑ da e il nord del Regno Unito attraverso i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo per il Mar Mediterraneo, nel sud della Fran‑ cia a Marsiglia. Questo corridoio multimodale, comprendente vie navigabili interne nel Benelux e in Francia, si propone non solo di offrire migliori servizi multimodali tra i porti del Mare del Nord, i bacini idrografici Maas, Reno, Schelda, Senna, Saona e Rodano e porti di Fos-sur-Mer e Marsiglia, ma anche una migliore interconnessione delle isole britanniche con l’Europa continentale.

4. Il Corridoio Baltico-Adriatico è uno dei più importanti assi stra‑ dali e ferroviari transeuropei. Collega il Mar Baltico con il Mare Adriatico, attraverso le aree industrializzate della Polonia me‑ ridionale (Slesia), le città di Vienna e Bratislava, la regione al‑ pina orientale e il Nord Italia. Comprende importanti progetti ferroviari come la galleria di base del Semmering e Koralm ferroviario in Austria e sezioni transfrontaliere tra Polonia, Cro‑ azia e Slovacchia.

5. Il Corridoio Medio-Orientale corridoio collega le interfacce marittime del Nord, Baltico, del Mar Nero e del Mar Mediterra‑ neo, con lo scopo di ottimizzare l’uso dei porti interessati e le relative autostrade del mare. Il fiume Elba, inteso come via na‑ vigabile, migliorerà i collegamenti multimodali tra la Germania del Nord, la Repubblica ceca, la regione pannonica e Sud-Est Europa. Infine, si estende attraverso il mare, dalla Grecia, lam‑ bendo l’isola di Creta fino a raggiungere Cipro.

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6. Il Corridoio Reno-Alpino, detto anche Corridoio dei due mari collegando l’Atlantico con il Mediterraneo, costituisce una delle più trafficate vie di trasporto merci in Europa, collegando i porti del Mare del Nord di Rotterdam e Anversa al bacino del Mediterraneo a Genova, passando per la Svizzera e alcuni dei principali centri economici del Rhein-Ruhr, la Rhein-MainNeckar, le regioni e la città di Milano. Il Reno è inteso come via navigabile. Progetti chiave sono i trafori, in parte già comple‑ tati in Svizzera e le loro vie di accesso in Germania e in Italia.

7. Il Corridoio Atlantico collega la parte occidentale della peni‑ sola iberica e porti di Le Havre e Rouen a Parigi e in seguito a Mannheim/Strasburgo, con linee ferroviarie sia ad alta veloci‑ tà che convenzionali. La Senna è intesa come via navigabile.

La dimensione marittima svolge un ruolo cruciale in questo corridoio.

8. Il Corridoio Reno-Danubio, ha il corso d’acqua del Danubio come spina dorsale principale a collegare le regioni centrali vicino a Strasburgo e Francoforte attraverso la Germania me‑ ridionale a Vienna, Bratislava, Budapest e, infine, il Mar Nero, con un ramo importante che collega Monaco di Baviera a Pra‑ ga, Zilina, Košice nella Slovacchia orientale e il confine con l’Ucraina.

9. Infine il Corridoio Mediterraneo che collega la penisola ibe‑ rica con il confine ungherese-ucraino. Essa segue le coste mediterranee della Spagna e della Francia, attraversa le Alpi verso est attraverso il nord Italia, lasciando la costa adriatica in Slovenia e Croazia verso l’Ungheria. Oltre al fiume Po e al‑ cuni altri canali nel Nord Italia, si compone di strada e ferrovia.

Progetti ferroviari chiave lungo questo corridoio ci sono i col‑ legamenti ferroviari dell’Alta Velocità Torino-Lione e la sezione di Venezia-Lubiana.

Naturalmente, non mancano i dubbi per ciò che concerne la fat‑ tibilità di tale grande e immensa opera infrastrutturale, specie se inquadrata nel contesto di crisi congiunturale che investe l’Euro‑ pa e la stessa essenza unionale. Le prospettive della sua tenuta e della sua evoluzione, il possibile futuro dei Paesi meridiona‑ li dell’area Euro (PIGS) la cui opinione pubblica oggi avversa le politiche di austerity promosse dalla Commissione Europea.

Sono elementi che aggiungono incertezza ma che non possono comunque impedire il processo di integrazione tra le economie.

1.1.7 Fenomeni di mutazione nella geografia territoriale italiana Sono in atto grandi cambiamenti che si stanno verificando sul

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territorio e sull’ambiente per effetto delle infrastrutture, ivi com‑ prese anche le grandi infrastrutture immateriali e con queste le ipotesi di sviluppo, gli obiettivi e le cosiddette missions che l’Unione Europea si è data dal 2014 al 2020 con la messa in campo delle Smart-city e di interventi massicci in termini di inte‑ grazioni nelle maggiori città europee. In Italia stanno avvenendo trasformazioni per effetto della rete ferroviaria ad Alta Velocità europea, allo stesso modo di come nel corso degli anni ‘60 l’Italia stessa è stata teatro di grandi trasformazioni per effetto dell’in‑ frastrutturazione stradale che ha costituito il fattore determinante dello sviluppo e del famoso “Miracolo Italiano”. Naturalmente il contesto storico attuale è profondamente differente rispetto a quello dell’Italia degli anni ‘50 e ‘60, cioè a dire, di una Nazione sofferente che usciva provatissima ed umiliata da una guerra e nella quale, la voglia di riscatto dell’opinione pubblica fece da motore trainante al processo di industrializzazione e infrastrut‑ turazione italiana. Oggi, come già scritto in precedenza, questo processo di infrastrutturazione è accompagnato, al contrario, da sentimenti contrastanti e contraddittori che pervadono la compa‑ gine sociale italiana ed europea. Su una rappresentazione che restituisca un quadro esaustivo relativamente alle trasformazioni che stanno avvenendo per effetto della rete ferroviaria dell’Alta velocità, in seno ai territori dell’Unione e nella fattispecie dell’Ita‑ lia, ancora non esiste tuttavia un quadro esaustivo: molti cantieri sono in via di definizione, alcuni di questi - come nel caso della TAV Torino-Lione - stanno al centro di pesanti contestazioni da parte delle comunità locali pesantemente avverse a che si co‑ striuisca l’opera; altri cantieri sono ancora in attesa di ricevere i finanziamenti da parte della Comunità europea per l’avvio delle opere; Altre, infine, sono tuttora in fase di studio e di definizione esecutiva. Tuttavia, in tale sede, possiamo tentare di imbastire una prima definizione di ciò che è la rete ferroviaria dell’Alta Ve‑ locità in Italia e, parallelamente provare a restituire un quadro, di certo non esaustivo, sulle trasformazioni sociali e i nuovi assetti territoriali in atto. Di tali trasformazioni ce ne da traccia il prof.

Lanfranco Senn quando, a proposito del Corridoio V, restituisce un primo parziale quadro di trasformazioni avvenute nella macro regione Padano - Veneta.

In relazione alla tematica delle reti di trasporto transeuropee, è stata effettuata una ricerca nell’ambito del PRIN2007 “Dalla città metropolitana al Corridoio metropolitano: il caso del Cor‑ ridoio padano”, in cui si evidenzia il ruolo dei centri urbani di piccola e media dimensione (minore di 7.500 abitanti) all’interno del LiMeS (Linear Metropolitan Sistem). Questi sono localizzati in posizione periferica rispetto al LiMeS e costituiscono dei veri e propri centri generatori di pendolarismo. In questi centri non sono avvenuti fenomeni di trasformazione demografica come

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invece si sono verificati nei nuclei urbani immediatamente coin‑ cidenti con il LiMeS (Senn, 2011). Ancora, sempre Senn ci da un resoconto del sistema di mobilità nella macro regione PadanoVeneta elaborato dal Politecnico di Milano, nell’ambito delle ri‑ cerche per il Piano Generale della Mobilità del 2008.

“... si evidenzia la scarsa propensione all’uso del mez‑ zo pubblico per spostamenti di durata inferiore ai trenta minuti mentre cresce la utilizzazione del mezzo pubblico ed in particolare delle ferrovie per spostamenti interpro‑ vinciali e comunque di durata superiore ai trenta minuti.

Quindi, in analogia alle tendenze delle aree metropolitane europee, la mobilità si concentra per il 70% nelle aree ur‑ bane con una ripartizione modale del trasporto che vede il 20/30 % su trasporto pubblico (10% ferrovia, tramvia e metrò, 10/20% gomma) e la rimanente quota del 70% su mezzo privato. L’analisi del territorio condotta dal Politec‑ nico conferma da un lato la situazione di squilibrio sotto il profilo trasportistico e socio economico, dall’altro la vul‑ nerabilità del sistema territoriale padano-veneto destina‑ ta ad accentuarsi a seguito della realizzazione dei grandi assi ferroviari AV/AC delle TEN-T interessanti il territorio nazionale” (Senn, 2011).

In breve, si può dire che città un tempo economicamente do‑ minanti stanno subendo una flessione della loro importanza, al contrario di altre che, poste in corrispondenza di snodi di reti brevi e lunghe, guadagnano di nuova centralità e inediti ruo‑ li territoriali. In uno scenario, quindi, in cui il mezzo privato sta lentamente cedendo il passo al trasporto ferroviario, si può dire quindi che tali interconnessioni stanno cambiando la geografia urbana e territoriale promuovendo alcuni territori e marginaliz‑ zandone altri.

Nella Città infinita (Bonomi, 2004), viene descritta una conur‑ bazione continua che da luogo ad una costellazione infinita di contesti identitari inediti che travalicano i tradizionali confini re‑ gionali.

In questo contesto, quasi indifferenziato in cui la geografia ur‑ bana include al suo interno città che tendono a perdere una precisa connotazione fisica diventando sempre più campi di re‑ lazioni, quasi fossero terminali di stazioni metropolitane, si svi‑ luppa l’AV/AC in Italia. Questa si struttura lungo due direttrici: la dorsale Torino-Milano-Napoli-Salerno-Battipaglia, che si proietta verso il Nord Europa attraverso i valichi, e verso il Sud e la Sici‑ lia da Battipaglia; la trasversale Ovest-Est Torino-Venezia-Trieste attraverso la Pianura Padana, con la bretella verso il Porto di Ge‑

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nova si completa con i collegamenti Torino-Lione fino a Lisbona ad Ovest; ad Est Venezia-Trieste-Lubiana-Kiev.

In cosa stanno consistendo le mutazioni, le trasformazioni terri‑ toriali, effetto dell’attraversamento dell’Alta Velocità ferroviaria, in Europa e in Italia? La diffusione e formazione della Alta Velocità ferroviaria, portato a temine nell’ultimo decennio, attraversa ter‑ ritori di città che, un tempo dominanti, vedono ridimensionata la loro importanza. Altre ancora acquisiscono centralità e inediti ruoli territoriali in corrispondenza di snodi di reti brevi e lunghe.

La geografia urbana tracciata dalle velocità delle interconnes‑ sioni promuove taluni territori e ne marginalizza altri. Farinelli (2007) sostiene che forse non c’è più necessità del territorio per muoversi e comunicare ma, al contempo, si accresce il bisogno di paesaggi e di luoghi dai quali e attraverso i quali è possibile stabilire relazioni significanti per dare identità agli stessi. Tutto questo cambia in maniera decisiva il modo di pensare il futuro e le sue forme.

“In Italia gli effetti dell’Alta Velocità sugli spazi dell’abitare sono già evidenti. L’entrata in funzione delle prime tratte sul corridoio I sta cambiando la domanda insediativa, i valori delle rendite urbane, le forme delle città e gli stili di vita. Alcune tratte, come per esempio la Napoli-Roma, la Roma-Firenze e soprattutto la Bologna-Firenze e la Milano-Torino funzionano ormai con le frequenze e con l’utenza di un trasporto urbano. Lungo le dorsali tirrenica e padana si può scegliere di vivere e lavorare in luoghi diversi e lontani secondo le proprie convenienze, utiliz‑ zando comodamente il treno per spostamenti considerati insostenibili fino a ieri. L’offerta di residenze a costi competitivi a Torino ai cittadini o ai city users milanesi, la pendolarità Napoli-Ro‑ ma sempre più intensa, la riorganizzazione del sistema dei trasporti vallivi in Trentino in funzione dei nodi AV e le politiche di valorizzazione immobiliare delle aree ferrovia‑ rie dismesse lungo i tracciati dell’Alta Velocità sono solo alcuni dei sintomi più evidenti di questo fenomeno.

Si potrebbe dire che la rete AV sia attualmente l’unico sistema di trasporto pubblico in grado di strutturare i campi di relazioni fisiche e di conferire qualità di rete alla nuova condizione insediativa molecolare del territorio na‑ zionale diventando, nei fatti, la linea metropolitana della città infinita italiana”. (Ricci, 2011) Ancora, di queste trasformazioni ne danno contezza alcuni studi del CERTeT dell’Università Bocconi di Milano, nei quali vengo‑ no messi a confronto il sistema dell’Alta Velocità ferroviaria con il

1. La strategia EU sulla mobilità

trasporto aereo, oramai tra di loro fortemente concorrenziali per le tratte inferiori alle 500 miglia. Cioè a dire, che se per un verso questo ultimo decennio ha visto la formazione della dorsale AV/ AC che collega Torino con Salerno, per altro verso si è registrata una crisi del vettore aereo di riferimento nazionale, l’Alitalia, che sulle rotte nazionali deve il 34% delle entrate economiche grazie alla tratta Roma-Milano (Baccelli et al. 2011). Proprio prendendo come riferimento il punto di vista di un passeggero che ha la necessità di muoversi tra Roma e Milano, è possibile stabilire l’effettivo regime concorrenziale esistente tra il sistema AV/AC ferroviario e il trasporto aereo in cui il primo, grazie alla riduzione dei tempi da parte del trasporto su ferro capace di arrivare di‑ rettamente in città (oggi poco meno di tre ore) registra un tempo totale di viaggio (comprensivo dei trasferimenti città-terminal e dei tempi di attesa nei terminal) sostanzialmente simile rispetto a quello dell’aereo.

Roma-Milano: Su questa specifica tratta, è previsto che entro il 2015 i treni AV la percorreranno in due ore e venti minuti a fronte delle attuali tre ore. In particolare il risparmio di tempo sarà con‑ seguito grazie al completamento del sottopassaggio del nodo di Bologna che consentirà un risparmio di 10 minuti e quello di Firenze entro il 2015 (altri 10 minuti risparmiati), a interventi migliorativi sulla rete e infine all’entrata in servizio del nuovo tre‑ no che potrà raggiungere velocità di 360 km/h. Se guardiamo nello specifico le singole tratte che interessano le maggiori città italiane, ci si rende conto di quanto notevole sia la portata delle trasformazioni che stanno avvenendo in seno alle città stesse e al modo di concepire il binomio residenza-lavoro, grazie alla contrazione dei tempi di percorrenza come riportato di seguito.

Torino-Milano: Si sviluppa per 125 km, attraversa il territorio di 41 comuni, è funzionale anche al collegamento con l’aeroporto di Malpensa ed è interconnessa con le città di Vercelli e Novara.

L’originario tempo di percorrenza della linea storica 1h45’ si è ridotto a circa 1h, a seguito di lavori sulla Torino-Novara avvenuti nel 2006 in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino e sulla tratta Novara-Milano, avvenuti nel 2009.

Milano-Bologna: Si sviluppa per circa 182 km lungo la direzione dell’autostrada del Sole, attraversa il territorio di ben 42 comu‑ ni, interconnette Piacenza, Fidenza, Parma e Modena e effettua una fermata per servizio passeggeri nella bellissima stazione di Calatrava. Dagli originari 1h42’ di percorrenza, adesso le città di Milano e Bologna sono raggiungibili in circa 1h di percorrenza.

Bologna-Firenze: Si sviluppa per ben 73 km in una teoria conti‑ nua di gallerie su circa 78 km complessivi, attraversa 12 comuni dell’Appennino Tosco-Emiliano e collega i due capoluoghi di re‑ gione in circa 32’ rispetto agli originari 58’.

Roma-Napoli: Si sviluppa per circa 205 km; è interconnessa

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Forme della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

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con la linea storica Roma-Napoli (via Cassino) a Frosinone, a Cassino ed a Caserta ed attraversa il territorio di ben 62 comu‑ ni. Il tempo di percorrenza della relazione Roma-Napoli origina‑ riamente di 1h45’si è ridotto ad 1h10’ a seguito dell’attivazione dell’intera tratta intervenuta a dicembre 2009 (fonte RFI).

“L’Alta Velocità, quindi, sta segnando un cambiamento radicale nel modo di vivere la città (mentre prima, resi‑ denza, lavoro e svago si svolgevano nello stesso centro, oggi i cerchi si sono staccati) ed il territorio (spostamen‑ to degli impianti industriali fuori dalle città in cui restano solo i servizi, le stazioni che cambiano il proprio ruolo da luoghi di passaggio ad autentiche piazze urbane): oggi in città sono disponibili aree ampie per nuove funzioni, nuove destinazioni, nuovi usi. In definitiva, l’Alta Veloci‑ tà/Alta Capacità e la riorganizzazione ai livelli regionale, provinciale e comunale, di tutto il sistema del trasporto integrato – da quello su ferro a quello su gomma, agli aeroporti, ai porti – stanno configurando un nuovo as‑ setto del territorio nazionale con nuove gerarchie, nuovi valori, nuove centralità: secondo alcuni studiosi, sembra che il nostro Paese si stia riarticolando in una possibile macro-regione-metropolitana-settentrionale, in una pos‑ sibile area metropolitana-centrale, in una probabile re‑ gione-metropolitana-centro-meridionale ed in un ampio territorio a Sud di Bari e Battipaglia che si estende fino a Reggio Calabria ed alla Sicilia” (De Vito, 2011).

2. I caratteri della mobilità

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La città, luogo nel quale avvengono fenomeni naturali e artificia‑ li, è stata sempre un’entità complessa. Oggi lo è ancor di più se si considera che la società locale – dentro la quale dinamiche culturali, sociali e politiche si influenzano a vicenda – cerca di darsi un’organizzazione finalizzata alla creazione di processi e di relazioni globalizzanti che di fatto indeboliscono i suoi confini fino ad annullarli. Da qui ne deriva la contemporanea presen‑ za delle due dimensioni espresse dal neo vocabolo “glocale” (Unnia, 1997). Proprio questa interazione (globale e locale) ha fatto si che tornasse di stringente attualità la problematica delle grandi città, queste ultime considerate le vere detentrici degli assetti economici mondiali. Tale interazione “glocale”, quindi, non soltanto sta determinando di fatto una inedita geografia di interazioni globali, con fenomeni ancora tutti da decifrare e con creazione di vere e proprie “autostrade digitali” lungo le quali transitano informazioni e transazioni economiche rilevanti, bensì ha anche dato nuova identità agli assetti urbani (Bassetti, 2007), alle popolazioni, ai gruppi sociali ed ai loro stili di vita e conse‑ guentemente, in particolar modo negli ultimi tre decenni, gra‑ zie alla diffusione della rete internet, al ruolo politico e al potere stesso delle città all’interno delle sfere d’influenza nelle regioni continentali. È cambiato, con la città anche il concetto di lavoro.

Lavoro che non è più diretta espressione di un’azione volta alla manutenzione degli edifici, delle strade, delle piazze da parte di amministrazioni, oggi più che mai in difficoltà ad assolvere le più ordinarie mansioni che ad essa spetterebbe, ma anche lavoro che, quindi, invade indirettamente le città con effetti che vanno al di sopra delle normali competenze di cui sono normalmen‑ te dotate le amministrazioni stesse: inquinamento ambientale, elettromagnetico, acustico, piogge acide, inquinamenti di falda, ecc.

Ragion per cui oggi si assiste ad un fenomeno in cui la stratifi‑ cazione storica registrata nei territori con il lavoro agrario e nei centri storici, tramite i manufatti, si affianca a casi e brani urbani che si caratterizzano per un sapore di estraneità, proprio perché il lavoro dell’uomo sembra essere arrivato in modo indiretto o comunque da molto lontano.

Da una parte l’accumularsi di un “lavoro storico”fatto di modifiche permanenti, aggiustaggi e stratificazioni, dall’altro gli effetti, anche sulla natura, delle scorie di un lavoro lontano (inquinamento, plastiche, ecc.) definisco‑ no ed arricchiscono il molto usato termine “recupero” trasferendone il significato da categoria della conserva‑ zione a paradigma progettuale: descrizione di una nuo‑

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1.2. I caratteri della mobilità urbana

Parte 1°

Forme della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

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va emergente condizione dell’attività di trasformazione.

Recuperare ha sempre significato la messa a frutto di qualcosa che si stava perdendo, il cui riutilizzo è il più delle volte per un uso diverso da quello originario. Oggi è divenuta, man mano una realtà operante diffusamente, condizione permanente di un dialogo con il già costruito.

(Leone, 2004).

Recuperare gli spazi urbani, recuperare condizioni di abitabili‑ tà legate al benessere, riappropriarsi della città semplicemente passeggiando o andando in bicicletta, sostare nelle piazze, ne‑ gli spazi urbani minimi seduti in una panchina sotto le fronde di un albero, aumentare condizioni di sicurezza mentre ci si muove in città, sembrano essere gli imperativi categorici per imbastire le condizioni del progetto urbano. Nel contesto della globalizza‑ zione, la città che si dà un “Progetto” volto all’innovazione e alla ricerca della qualità.

L’innovazione e la ricerca della qualità dipendono meno dalle singole aziende isolate, e sono invece maggiormane‑ te radicate nella capacità del contesto istituzionale locale di offrire un ambiente favorevole: economie esterne mate‑ riali e immateriali (infrastrutture, servizi, ricerca, formazio‑ ne, ma anche qualità sociale e urbana, reti cooperative tra imprese e capacità di collaborazione tra attori pubblici e privati nel governo dei territori). Lo sviluppo locale alimen‑ ta così la costruzione sociale dell’innovazione offrendo beni collettivi di cui i singoli attori hanno più bisogno, ma che non sono inn grado di produrre da soli. (Trigilia, 2005).

Se quindi, darsi un progetto volto all’innovazione e alla ricerca della qualità passa anche attraverso il recupero dei valori urbani che esistono in virtù di un lavoro storicizzato (Leone, 2004), cioè a dire per la messa in campo di quelle condizioni che favori‑ scono l’offerta di un ambiente urbano favorevole capace di in‑ coraggiare l’incubazione di economie interne ed esterne, allora il progetto della mobilità urbana e della riqualificazione urbana costituisce un punto nevralgico e strategicamente decisivo al fine di ottenere le migliori condizioni affinché il “darsi un pro‑ getto” diventi la chiave per accedere alle condizioni di sviluppo economico e sociale. Vedremo, quindi, come il progetto della mobilità urbana rappresenta l’opportunità perché la costruzione sociale dell’innovazione possa essere interpretata come “capa‑ cità dei soggetti locali di collaborare per produrre beni collettivi e valorizzazione di beni comuni” (Trigilia, 2005).

2. I caratteri della mobilità

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La definizione di sostenibilità, secondo Brundtland, era la seguente: « lo svilup‑ po sostenibile è uno sviluppo che soddi‑ sfi i bisogni del presente senza compro‑ mettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri » (WCED, 1987).

Non, quindi, di ambiente in quanto tale, quanto piuttosto di qualità ambientale, anche urbana, relazionata al benessere delle persone. Il principio etico secondo cui la responsabilità da parte delle gene‑ razioni d’oggi nei confronti delle genera‑ zioni future, abbraccia toccando quindi almeno due aspetti dell’ecosostenibilità: il mantenimento delle risorse e l’equilibrio ambientale del nostro pianeta.

Il riuso e il recupero dell’esistente

Invertire il trend della dispersione insediativa

In letteratura, è già ampiamente trattato il tema della sostenibilità dei processi di urbanizzazione. Si è visto come il Club di Roma (1968) sia stato in grado di produrre, dopo appena quattro anni, il Rapporto Meadow (1972) nel quale si esponeva con dati in‑ confutabili che lo sviluppo a scala planetaria, basato sull’utilizzo delle risorse fossili, non si potesse considerare illimitato e che, l’ambiente fosse chiaramente incapace di assorbire e smaltire gli inquinanti immessi in atmosfera. Appena un lustro più tardi sarebbe stata la volta di James Lovelock con il suo Gaia: a New Look at Life on Earth (1979), il primo scienziato a considerare la Terra come un vero e proprio Pianeta vivente, definizione che ri‑ scosse molta fortuna, sia nel dibattito accademico come anche nell’ambito di iniziative da parte di organismi internazionali che hanno riscosso ampio favore in seno all’opinione pubblica.

Bisognava giungere al 1987 per poter veder all’opera la Com‑ missione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) con il rapporto Brundtland, all’epoca ne era il Presidente, (conosciuto anche come Our Common Future) in cui, per la prima volta, vie‑ ne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile.

Da allora, l’urbanistica si è dovuta confrontare, non senza dolo‑ ri e rinunce, con questo principio legato al mantenimento delle risorse, quindi al recupero dell’esistente come forma di proget‑ tazione capace di restituire valore, alla luce delle mutate condi‑ zioni ambientali ed economiche.

Quello della conoscenza e del dialogo con le “trasforma‑ zioni materiali” è il periodo che nei fatti stiamo attraver‑ sando. In esso emerge con maggiore forza la coscienza di avere di fronte un territorio già tutto solcato dal lavoro dell’uomo, in relazione al quale il tema prevalente divie‑ ne il problema del riuso e del recupero. È quetso per‑ corso che ha permesso di acquisire elementi di matu‑ rità alla materia urbanistica. Essi la salvaguardano dal rischio delle attrazioni ludiche ed estetizzanti in cui può spesso inciampare il mestiere di architetto (Leone, 2004).

Tra tutte le tematiche sulle quali l’urbanistica ha dovuto rifonda‑ re in parte la propria disciplina, vi è quella del recupero o, se vogliamo, della ristrutturazione dell’esistente che abbraccia, tra gli altri, il tema della dispersione insediativa, cioè a dire lo sfrut‑ tamento irragionevole delle risorse, dello sfruttamento dei suoli e, conseguentemente, quello della mobilità che maggiormente influisce nella qualità ambientale urbana. I territori sono stati per la massima parte pianificati e costruiti per una mobilità dipen‑ dente, quasi esclusivamente, dall’utilizzo automobile privata che

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1.2.1 L’urbanistica della mobilità

Parte 1°

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Forme della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

nei fatti ha determinato la dispersione urbana, condizione che oggi, alla luce delle già acclarate condizioni di crisi economica e ambientale, appare insostenibile. Ristrutturare l’esistente per recuperare spazi e brani di suolo strappati alla collettività equi‑ vale per l’urbanistica pensare a reti di spazi pubblici con attrez‑ zature e servizi, spazi possibilmente compatti che accolgono molteplici funzioni, connessi tra loro attraverso brani urbani di vegetazione, ancora attuare la riduzione dello spazio della car‑ reggiata riservato alle auto per aumentare gli standard di sicu‑ rezza affinché possano sussistere le migliori condizioni per la mobilità pedonale e ciclistica, ecc.

Ancora, l’urbanistica deve poter riuscire a eliminare la privatiz‑ zazione dello spazio residenziale, favorendo l’accessibilità ai giardini pubblici, ai parchi agricoli, agli orti urbani, grazie ad una mobibilità integrata con un potente sistema infrastrutturale informatico.

Alla domanda di “natura”, capace di attenuare gli effetti inqui‑ nanti dell’attuale sistema di mobilità, si può rispondere tramite la messa a punto di un sistema infrastrutturale “verde” che si integra con quella “grigia” in modo efficace, quindi con la cre‑ azione di corridoi ecologici che si insinuano in tutto il territorio urbanizzato, con la conservazione e valorizzazione della rete di parchi urbani da ricavare attraverso il riuso delle aree dismesse dalle vecchie attività industriali o ferroviarie e con la messa a sistema di tutti i terreni coltivabili per la creazione di un’agri‑ coltura multifunzionale. Il recupero degli spazi residuali come pure delle condizioni di sicurezza affinché possa mettersi in atto una mobilità “sostenibile” alternativa, cioé la progettazione di percorsi pedonali e ciclabili, capaci di connettere non soltanto differenti parti urbane ma anche capaci di generare in queste ultime mixité delle funzioni. Ciò, sia sulle corte distanze a scala di quartiere, come anche alle scale più vaste.

La riduzione del traffico e delle esternalità negative legate all’uso dell’automobile, il miglioramento degli standard di abita‑ bilità dell’urbano in ogni sua parte mediante un accorto e attento sistema di indicatori ambientali, l’accessibilità ad ogni parte di territorio urbano garantita dal trasporto pubblico, dal trasporto collettivo (aumento del numero degli autobus puliti, tram, me‑ tropolitana leggera di superficie, ecc.), ma anche le pratiche di car sharing così come il recupero degli spazi residuali urbani funzionali alla intermodalità, diventano l’oggetto primario di qua‑ lunque modello di pianificazione urbanistica, cioè di un progetto che la città si dà affinché possa essere in grado di affrontare le sfide della società globale. Se l’attenzione alla sostenibilità deve necessariamente essere non soltanto ambientale, ma anche economica e sociale, è anche vero che la progettazione urba‑ nistica degli ultimi anni si è soprattutto concentrata sulla dimen‑

Valorizzare gli spazi pubblici

Aumentare gli standard di sicurezza per i pedoni

Eliminare la privatizzazione dello spazio residenziale

2. I caratteri della mobilità

sione ambientale della sostenibilità. Anche nell’urbanistica del recupero dell’urbanizzazione dispersa esistente, la dimensione ambientale della sostenibilità diventa essere sempre più impor‑ tante: la tutela dell’acqua, della flora e della biodiversità, risulta strettamente connessa all’attenzione al cambiamento climatico e al risparmio energetico. Infatti, acquistano importanza sia la previsione d’uso di tecnologie bioclimatiche ed ecocompatibili, sia la gestione energetica (impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili, soluzioni bioclimatiche, impianti di erogazione elettrica per le vetture pulite), lo studio del contenimento degli inquinanti (riduzione degli impatti dovuti ai trasporti, inserimento di spazi verdi e utilizzo della vegetazione) e la ristrutturazione dei corsi d’acqua.

1.2.2 La Mobilità in Europa e in Italia Nelle città europee vive più del 70% della popolazione dell’UE e si genera l’85% circa del PIL dell’Unione. Per l’Europa, che è ter‑ ra di città e che vanta una fitta rete di nuclei urbani grandi e me‑ dio piccoli tra loro intensamente interconnessi, gli spostamenti nei territori iniziano e terminano in una città. Gli effetti sono noti e conosciuti, già accennati nel corso di questo capitolo: grave congestione del traffico, scarsa qualità dell’aria, inquinamento acustico e livelli di emissioni di CO2 elevati. La congestione del traffico urbano pregiudica gli obiettivi europei, in materia di po‑ litica dei trasporti che le consente di poter essere competitiva ed efficiente sul piano delle risorse. Al contempo, in molte aree urbane si è assistita ad una crescente domanda di mobilità ur‑ bana, creando di fatto una situazione che non è più sosteni‑ bile. Relativamente alla domanda di mobilità, ci si basa anche sui dati di Eurobarometro, dai quali risulta che i cittadini europei sono preoccupati per l’impatto negativo della mobilità urbana e molti di loro sono pessimisti sulle possibilità di miglioramento della mobilità nelle loro città. Infatti, una grande maggioranza ritiene che la congestione del traffico (76%), la qualità dell’aria (81%) e gli incidenti (73%) siano un grave problema. Meno di un quarto di essi crede che la situazione migliorerà in futuro (24%), mentre molti ritengono che rimarrà invariata (35%) o che peg‑ giorerà (37%). (fonte http://www.europarl.europa.eu).

In effetti negli ultimi anni, la mobilità in Europa, prevalentemente sviluppata sull’uso del mezzo privato, ha indotto una intensa e diffusa trasformazione della forma degli insediamenti, tale da essere paragonata alla rivoluzione industriale del secolo scor‑ so. Anche adesso, come allora, gli eccessi sull’uso smodato dei suoli, attraversati dalle grandi arterie di collegamento, hanno determinato modifiche assai profonde sul modo di essere e di

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pensare il territorio, il paesaggio e le città. Gli effetti di tale scon‑ volgimento sull’uso smodato dei suoli, densamente abitati e at‑ traversati, hanno di fatto determinato ciò che Bonomi definisce Città infinita (2004), ovvero un “arcipelago” continuo di luoghi che dichiarano certamente una volontà di radicamento residen‑ ziale in cui però, le attività di movimento e di comunicazione diventano assolutamente centrali nelle pratiche quotidiane. A tal riguardo, l’indirizzo assunto in questi ultimi due decenni dalla Commissione europea è stato quello di offrire contributi finan‑ ziari mirati, da investire nella ricerca e nello sviluppo di “piani di mobilità urbana sostenibile” e promuovere l’adozione delle migliori pratiche da parte delle Amministrazioni urbane affinché queste fossero stimolate ad adottare modi di trasporto più soste‑ nibili e più ecologici nelle aree urbane.

Ad esempio, per ciò che concerne il Piano di qualità dell’aria si può constatare come sono già tante le città che lo hanno già adottato o sono in dirittura d’arrivo per la sua approvazione.

Nel caso di Parigi, la città ha adottato oltre al Piano di qualità dell’aria (PPA - Plan de Protection de l’Atmosphere) basandosi sulla legge, approvata il 30 dicembre 1996, (LAURE - Loi sur l’Air et l’Utilisation Rationnelle de l’Energie) nella quale si afferma • • • • • •

il diritto di respirare aria che non sia dannosa per la salute; il diritto all’informazione sulla qualità dell’aria e sui suoi effetti; la responsabilità di ciascun cittadino; l’obbligo della vigilanza; gli obiettivi di qualità dell’aria fissati dallo Stato; gli strumenti di pianificazione per ridurre l’inquinamento dell’aria e dei suoi effetti.

Il PPA è giunto già alla seconda revisione essendo stata ap‑ provata la prima nel 2006 la prima volta e l’ultima del 25 marzo 2013. Questa edizione del Piano è fondata su 24 punti, suddivisi in: • Un nucleo centrale del PPA rappresentato da 11 misure di regolamentazione, tutti di competenza dei Prefetti e ripartiti e specificati negli ordini tra le prefetture. Tale corpus di norme abbracciano aspetti dei comportamenti da seguire all’inter‑ no delle abitazioni (limitazione delle emissioni di particolato dovute ai singoli impianti a legna), sulla gestione dei rifiuti, sulle emissioni industriali e ancora sul traffico di tutti i sistemi di trasporto (aerei, pubblico urbano, privato).

• 2 obiettivi che definiscono le azioni locali di competenza del‑ la autorità; • 7 misure di accompagnamento, relative alla sensibilizza‑ zione del pubblico e al miglioramento della qualità dell’aria,

Un utile strumento di consultazione per capire quanto le città si stiano dando da fare per migliorare le condizioni di vita per i propri cittadini è il sito ELTIS, The Urban Mobility Portal della Comuni‑ tà europea (www.eltis.org) che contiene tantissimi casi di studio relativamente a misure, progetti e buone pratiche di pia‑ nificazione della mobilità all’interno delle aree metropolitane realizzati in Europa.

2. I caratteri della mobilità

quindi anche il miglioramento di tutti i settori dei trasporti; • 4 studi complementari che prevedono lo studio di fattibilità di un bypass che eviti l’attraversamento del cuore della città da parte dei mezzi pesanti in transito; Lo studio sulla ripartizio‑ ne della rete stradale multimodale; l’esame sulla possibilità di adeguare le tasse di atterraggio negli aeroporti di Parigi in base alle emissioni inquinanti degli aerei e l’indagine sul‑ la possibilità di sviluppare un sistema di controllo tecnico dell’inquinamento per i veicoli leggeri e per i camion.

Come si evince dal PPA, quindi l’Amministrazione ritiene che è possibile pervenire all’obiettivo di ridurre l’inquinamento nell’aria se si agisce con la modulazione del sistema dei trasporti e, so‑ pratutto, attraverso la messa a punto di indicatori ambientali e di un sistema di monitoraggio delle emissioni. Anche il Piano della mobilità sostenibile (PDP - Plan de Déplacement de Paris), approvato nel 2007, sviluppa la strada seguita da PPA di perse‑ guire obiettivi precisi e misurabili. Prevede cinque sfide per la mobilità e lo sviluppo di Parigi.

1. Pervenire ad un miglioramento della qualità dell’aria e alla riduzione dell’esternalità climatiche, acustiche, atmosferiche del sistema dei trasporti; 2. Aumentare il livelo di accessibilità alla città per tutti e, segna‑ tamente, per le categorie più deboli; 3. Incrementare i livelli di vivibilità e sicurezza negli spazi pub‑ blici (sopratutto per i ciclisti e i pedoni) 4. Affidare ai sistemi di trasporto, puliti ed efficienti, la capacità di incrementare la vitalità economica; 5. Rinforzare i collegamenti tra centro e periferia e tra questi e i paesi della regione.

“Affrontare i problemi di mobilità urbana rappresenta oggi una delle maggiori sfide del settore dei trasporti. Possiamo essere più efficaci solo con un’azione coordinata. Il potere decisionale è principalmente nelle mani delle autorità locali, che godono di una posizione privilegiata per adottare misure importanti a livello locale, con il dovuto sostegno a livello nazionale e dell’UE.” (Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione europea e Commissario per la Mobilità e i trasporti).

1.2.3 La valorizzazione degli spazi pubblici Allo stato attuale, sono ancora tante le città che nel loro espandersi e svilupparsi nel territorio non tengono in debito conto l’annessione del verde all’interno della trama urbana e la

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Forme della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

conseguente integrazione con il sistema della mobilità urbana.

Nel caso degli spazi urbani, tuttavia, il concetto di valorizzazione è quantomai complesso, poiché non riveste soltanto una valen‑ za funzionale ed estetica (una città è tanto più bella quanto più questa migliora la qualità di vita dei suoi cittadini). Non basta, cioé, integrare una buona rete del verde alla rete di mobilità (alle strade urbane, per esempio), senza tener in debito conto tutta una serie di micro interventi, misure o provvedimenti volti a mi‑ gliorare la circolazione dei cittadini e dei soggetti più vulnerabili, in particolare dei pedoni e dei ciclisti.

Ad esempio, la città di Washington sta da tempo perseguendo una politica volta a potenziare la sicurezza pedonale e ciclisti‑ ca attraverso misure di salvaguardia che stanno migliorando la qualità di vita e al contempo valorizzando gli spazi pubblici.

Washington è, cioé, un perfetto esempio di come una città sia attenta alle esigenze di tutti coloro che si muovono, siano essi residenti, pendolari o visitatori occasionali. Ha un trasporto pub‑ blico efficiente e puntuale, non solo sottoterra (un servizio di metropolitana molto efficiente e complesso), ma anche in super‑ ficie: semaforo pedonale con conto alla rovescia; pagamento del parcheggio via cellulare; box per biciclette alle stazioni della metropolitana; bikesharing di ultima generazione; spazi per le bici agli incroci, avanzati rispetto alla linea di stop; Bikestation accanto alla stazione centrale con annessi ricovero, riparazione e noleggio bici; Car2go, il carsharing di ultima generazione; tra‑ sporto bici a bordo degli autobus.

Questi interventi, fatti negli Stati Uniti, un paese tradizionalmente a favore dell’uso dell’auto privata, possono essere la dimostra‑ zione del fatto che possono essere fatti anche da noi in Europa.

Il senso di queste opere è che i costi sono molto inferiori alle co‑ siddette “grandi opere” come nel caso della Sagrera di Barcel‑ lona, ma in grado, a differenza di quelle, di migliorare il vissuto quotidiano di milioni di persone, ed anche di creare tanta occu‑ pazione nel settore della mobilità in modo diffuso e continuato.

3. I costi della mobilità

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Parallelamente allo sviluppo del concetto di sostenibilità urbana e degli adiacenti studi di settori relativi alla mobilità e al verde, si sono approfonditi negli anni anche gli studi relativi ai costi esterni della mobilità, sia essi di carattere ambientale, sia essi di carattere sociale. La Comunità Europea ha prodotto interessanti rapporti relativi alle esternalità dei trasporti, ai costi arrecati da‑ gli incidenti urbani, sia nel senso di numero delle vittime coinvolti negli incidenti, sia anche relativamente ai costi sanitari da ap‑ prontare per salvare le vite di chi si è trovato coinvolto in inciden‑ ti urbani, sia ancora in termini di tempo accumulato e occorrente per decongestionare zone urbane interessate da incidenti auto‑ mobilistici. L’argomento relativo ai costi connessi alla mobilità urbana è, perciò, quantomai complesso e relazionato tanto ad un’esigenza di semplificare al massimo il sistema della mobilità, quanto ancora all’esigenza di potenziare il sistema infrastruttu‑ rale con l’innesto di opere di mitigazione al fine di migliorare la qualità della circolazione delle fasce deboli dei residenti e dei pendolari che si trovano a muoversi in città.

1.3.1 La mobilità urbana La città è il luogo ideale per la società, per la comunicazione tra le differenti componenti che costituiscono le organizzazioni della società stessa. È un luogo ideale proprio perché, più che in ogni altra parte del mondo, offre una moltitudine di occasioni per l’incontro tra le persone e lo scambio reciproco di informa‑ zioni grazie alla fitta rete di contatti e scambi di cui è spesso teatro. Nella città, è la strada l’elemento, lo spazio urbano o, se si preferisce, il luogo per eccellenza che insieme favorisce e sin‑ tetizza tutto quanto appena detto. È nella strada che avvengono i passaggi, i giochi, le feste. Essa è, senza dubbio, il principale spazio pubblico di tutta la città. Allo stato attuale, ma sopratutto a seguito dell’avvento dei veicoli privati​​, il ruolo di luogo di re‑ lazione sociale è andato via via scemando, proprio perché alla perdita di spazio causato dall’abnorme abbondanza di automo‑ bili viene aggiunto un deterioramento della qualità urbana. Il de‑ terioramento della qualità urbana non soltanto è avvenuto sotto il profilo strettamente materico (ad esempio si sono banalizzati gli spazi, quasi unicamente uniformati con la pavimentazione in asfalto), ma vieppiù con un degrado anche causato dalla perdi‑ ta di elementi del decoro urbano, pressoché spariti: mancanza di marciapiedi, di filari di alberi, di siepi a protezione dei pedoni e poi ancora di ombra, di frescura, di silenzio.

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1.3. I costi della mobilità urbana

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Forme della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

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1.3.2 Le problematiche attuali Lo sviluppo e l’evoluzione del ruolo delle strade, fino ad oggi, è andata avanti tramite un processo che ha visto, da una parte, la perdita della funzione tradizionale che è sempre stata quel‑ la di spazio di relazione sociale, dall’altra quella di cercare di perfezionare modelli di infrastrutture in funzione quasi esclusiva dell’automobile come mezzo di trasporto privilegiato. La tenden‑ za a separare spazialmente i differenti usi urbani, creando aree urbane monofunzionali che estendono inutilmente la lunghezza del viaggio in piedi fuori dalla scala pedonale o in bicicletta, la proliferazione di zone residenziali secondo il modello della città dispersa che deturpa l’ambiente tradizionale della strada, la conversione di strade in modi specializzati esclusivamente al traffico veicolare, sono fatti che assegnano alle strade stesse un ruolo chiaramente secondario. Si potrebbe dire, senza om‑ bra di smentita, che la costruzione di una strada ha senso solo e soltanto quando la sua funzione consente in modo efficiente il transito dei veicoli. Questa riduzione di compiti assegnata alla strada non significa certo che questa non sia utilizzata, ma solo che il suo compito è stato relegato alla sola funzione di servire il mezzo di trasporto, eliminando quindi tutto il resto e cioé cam‑ minare, andare in bicicletta o con il monopattino, sostare in piedi o seduti in una panchina, socializzare, giocare (Mateos y Sanz, 1983). A tal riguardo sono state fatte tante ricerche direttamente finalizzate a “ricondurre a unità concettuale e coerenza il du‑ plice aspetto di tracciato funzionale e manufatto architettonico al fine di indagare, in differenti situazioni insediative, spaziali e funzionali, l’opera infrastrutturale in quanto fenomeno architetto‑ nico e quindi capace di concorrere alla costruzione dei diversi paesaggi della contemporaneità” (Secchi B. 2006). Lo spazio pubblico è stato ceduto di fatto all’automobilista convertendo la strada da spazio polifunzionale ad elemento specializzato per la sola circolazione e parcheggio dell’autoveicolo. Attualmente la strada è solo una mera “diminutio” rispetto a quelle che potreb‑ bero essere le sue reali caratteristiche. Di fatto è accaduto che quanto più si è ridotto il ruolo della strada al solo scopo di comu‑ nicare alla lunga distanza tramite il mezzo di trasporto, quanto più si è atrofizzato il ruolo di condensatore per le comunicazioni alla corta distanza e trasversalmente ai luoghi di arrivo, caratte‑ ristiche queste che sono più proprie del pedone e della biciclet‑ ta. Le città si sono espanse in questi ultimi 50 anni proprio in fun‑ zione del traffico motorizzato, consumando tanto spazio quanto in tutta la loro storia anteriore, passando da un modello urbano compatto ed efficiente ad un altro disperso e, chiaramente, non sostenibile. Va però fatta una precisazione riguardo al traffico veicolare e agli effetti che questo ha provocato per ciò che con‑

3. I costi della mobilità

cerne il fenomeno della dispersione urbana. E cioè a dire che la dispersione è in particolare causa dell’uso abnorme che si è fatto del veicolo privato, in alternativa all’uso del trasporto pub‑ blico. Mentre la diffusione dell’automobile si è estesa nel territo‑ rio a macchia d’olio grazie alla costruzione delle autostrade e di strade veloci urbane, viceversa l’uso del trasporto pubblico ha avuto una diffusione più concentrata in prossimità dei centri da questo stesso serviti. Ragion per cui, volendo essere più precisi, piuttosto che affermare che le città si sono sviluppate attorno al traffico motorizzato è forse più adatto affermare che lo sviluppo si è basato attorno all’uso del veicolo privato.

1.3.3 Il prezzo da pagare Insieme allo spazio e al tempo, esistono un insieme di risorse non rinnovabili (chiaramente alla scala delle attività umane) che vanno considerate in quantità fissa. Tra queste rientrano certa‑ mente i combustibili fossili che, per almeno l’80% stanno alla base della società contemporanea. Il trasporto costa ogni volta sempre più spazio, tempo, energia e denaro. E così le strade sono sempre più rumorose e l’atmosfera sempre più inquinata.

Esistono tutta una serie di costi associati all’eccesso di traffico che vale la pena di dettagliare e compararli tra le differenti mo‑ dalità del sistema di mobilità.

• Perdita di tempo. Nelle ore di punta, generalmente all’inizio e alla fine della giornata lavorativa, cioé quando ciascuno accede nel suo luogo di lavoro o fa ritorno a casa. Le con‑ gestioni urbane producono per ciascun cittadino una perdita di tempo che coinvolge sia autisti di veicoli privati, centauri, ciclisti, sia utenti del trasporto pubblico di superficie dovuto al fatto che, specialmente quest’ultimo, nella maggioranza dei casi, soffre la carenza di spazio proprio nelle strade. Gli effetti si traducono in una diminuizione decisa della velocità media da parte del traffico veicolare e, conseguentemente, in un aumento del tempo necessario a coprire il tragitto.

• Inquinamento acustico. Molti studi confermano che il rumore incide non soltanto sulla qualità della vita ma, a partire da determinati livelli sonori superiori a 60 dB (fonte EEA), anche sulla salute dei cittadini. Oltre alle misure correttive che in‑ teressano alcune fonti sonore, nel 2002 l’Unione europea ha adottato una direttiva che definisce un’impostazione genera‑ le in tema di gestione e determinazione del rumore ambien‑ tale. Il traffico stradale è la principale fonte di rumore che si accentua in caso di congestione, perché in tali circostanze, come si è già avuto modo di esprimere, aumenta il tempo di

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Forme della mobilità urbana: strategie, caratteri e costi

esposizione non soltanto al motore acceso delle automobili ma, vieppiù, alle intemperanze degli autisti insofferenti che manifestano il loro disappunto suonando il clacson della pro‑ pria vettura.

• Per ridurre l’inquinamento acustico nelle città è necessario individuare e ridurre al minimo le fonti di rumore; ciò si ottie‑ ne attuando limitazioni al traffico veicolare riducendone la velocità, oppure potenziando forme di mobilità sostenibile, in bici o a piedi, che hanno un impatto acustico trascurabile.

Quindi è intanto opportuno attuare misure di traffico come la riduzione della velocità massima della macchina. Il poten‑ ziamento del trasporto pubblico di bus urbani elettrici, inol‑ tre, toglierebbe tanti veicoli privati dalle strade eliminando di fatto congestione, limitando l’inquinamento acustico e libe‑ rando spazio nelle strade.

Conversazione con Giuseppe Campione

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Conversazione con Giuseppe Campione

LR: Messina e lo Stretto. L’immobilismo siciliano sembra rispecchiarsi nelle vicende e alterne fortune della città di Messina.

Il tema della mobilità territoriale siciliana si intreccia con il ruolo dell’isola nel Mediterraneo. In che modo i piani urbanistici hanno interpretato il ruolo nevralgico di Messina e del suo porto in seno alla geografia e al territorio dell’Isola?

Giuseppe Campione

GC: Il primo piano che viene fuori, circa la storia di Messina, negli anni Sessanta, è il Piano Spadaro. Piano consapevole del ruolo territoriale di Messina, che vive e trae significato anche come città, i geografi dicono “il sito e la posizione”. Il sito di Messina è la falce, il porto protetto, la posizione è la capacità di relazionarsi. Il Piano Spadaro, senza definire questi concetti base sul modo in cui una città si colloca sul territorio, però coglie questo tema del porto da un lato che è il sito della città e della posizione che la pone in relazione con l’esterno. L’esterno che interessa di più la città è il versante ionico, verso la provincia di Catania; Messina vivrà questo problema sempre. Il Piano che viene fuori è un piano in cui si pone come tema fondamentale, il rapporto viario della comunicazione verso il sud della città, verso tutta la fascia tirrenica. Lo si nota anche plasticamente, infatti le immagini di Messina pre-terremoto sono quelle di un porto affollato di botti che vengono da fuori e che vengono poi lavorate a Messina. A questo problema della posizione della città, si collega la divisione del lavoro. Da un lato la grande produzione agrumicola, dall’altro lato un artigianato che diventa sempre più capace di tecnologie economicamente significative, che sono quelle della lavorazione delle bucce di frutti per ricavarne le essenze e Messina diventa un luogo per questa distribuzione altrove. Che non è solo una distribuzione di cabotaggio, ma può andare anche al di là.

Questo tema del rapporto dei collegamenti, di Messina verso il Tirreno, ci sarà anche successivamente, quando per esempio si affronterà il tema del punto franco non concesso alla città e in cambio di questo “privilegio”, si ritiene che invece Messina debba poter collegare anche sul piano ferroviario la parte tirrenica e, di conseguenza, l’interno della Sicilia orientale. È

Interviste

Il caso di Messina e il ruolo del porto

Interviste

Il caso Messina e l’isolitudine siciliana

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un tema che Messina privilegia che nasce da questo sentirsi proiettata sul mare. D’altra parte l’immaginario complessivo, anche storicamente prodotto sul modo suo di essere città è quello di una città aperta sul mare ma bloccata dalle colline.

Persino Idrisi fa questo ragionamento.

Questo discorso, che è un discorso antico, sarà ripreso anche da altri studiosi e cito due momenti.

Uno è quello del Consiglio provinciale che, in questi atti post Unità, pone il problema se partecipare o meno a una sorta di sottoscrizione delle province rispetto a un passaggio delle Alpi, sotto il Frejus. I promotori di quest’iniziativa al Nord chiedono a tutte le province italiane se vogliono sostenere questo sforzo enorme che collegherà in maniera importante il Paese all’Europa.

C’era un Presidente del Consiglio provinciale che si chiama Zirilli, vecchio ministro borbonico, il quale fa una lunga relazione nella quale dice che noi non siamo in condizione di sopportare finanziariamente una spesa di tale portata. Tra l’altro, e qui vi è il punto dell’immaginario di una modalità precisa di fruizione del significato dei luoghi, dice Zirilli, Messina può andare in qualsiasi direzione, può andare verso l’Adriatico o verso il Mar Ligure.

Tutto sommato il fatto che ci sia questo passaggio sotto il Frejus ci interessa, ma noi abbiamo questa localizzazione bivalente per quanto riguarda le grandi percorrenze verso l’Europa. E aggiunge, qualunque cosa serva a migliorare la comunicazione del Paese complessivamente con l’Europa è una cosa che ci trova disponibili. Sul piano finanziario non possiamo farlo, tutto sommato il problema non è così rilevante poiché abbiamo questa possibile comunicazione bivalente.

Il secondo momento richiama una personalità, sempre in quegli anni, Eliseo Reclus, navigatore, viaggiatore, politicamente impegnato come anarchico che sull’Etna e su Messina scrive testi molto interessanti. Sente questa problematica di Messina che vuole migliorare la sua comunicazione portuale, del rimpianto dei tempi in cui il porto era una delle più grandi cose del Mediterraneo, al punto che per esempio ne fu talmente convinto Sant’Ignazio di Lodola fondatore dei Gesuiti nel 1548 (che non è che fosse un geografo o un economista), pensa il primo Collegio a Messina , alcuni anni dopo la fondazione della compagnia che si diffonderà in tutto il mondo, come metodo (a Messina saranno posti i primi fondamenti sui Gesuiti che fanno parte essenziale della storia di Messina del Cinquecento/ Seicento). Messina è il grande crocevia. Si dice no a Palermo e si preferisce Messina che avrà questo primo Collegio che poi sarà la prima università di Messina e quindi la prima proiezione esterna dei Gesuiti che poi invaderanno il mondo. Qui a Messina si pongono i primi fondamenti della Ratio Studiorum.

Dopo che ci sarà la rivolta antispagnola, Messina come luogo di

Conversazione con Giuseppe Campione

traffici e di affari non avrà grande solidarietà da parte delle altre città e resta abbastanza sola in questo conflitto. Sarà schiacciata e il porto perde una parte di questa valenza eccezionale. Reclus dice “la storia è la storia, però Messina può stare tranquilla perché adesso c’è l’apertura di Suez e come immaginario, ritroverà una speranza per un futuro possibile, avendo la via di Suez noi avremo vantaggi poichè ci troveremo su un crocevia di rotte mercantili”.

Per quanto concerne la mobilità sullo Ionio, vi saranno invece dei problemi. Quando verrà fuori, dagli atti del Consiglio Provinciale che Palermo chiede alle altre province di tassarsi per dare il via alla costruzione di questa ferrovia che deve collegare Messina con Palermo, in Consiglio provinciale nasceranno dei dibattiti un po’ particolari. Alcuni si opporranno dicendo che la tassazione non ha ragione di essere “caricata” su Messina, poiché sono le altra città a doversi spostare per confluire verso il centro dello Stretto. Verrà fuori una sorta di “primazia territoriale”, poiché Messina è punto nevralgico delle comunicazioni.

Un altro problema che si porrà sarà quello del rapporto con la provincia. Si porrà un problema che diventerà importante per tutto il Novecento sino alla costruzione delle autostrade, Messina vorrà capire come realizzare un collegamento con il resto della provincia scavalcando le colline, impresa alquanto ardua, creando in seguito un sistema di collegamento attraverso questi centri della provincia. E quindi immaginerà, da un lato un possibile progetto sulla cresta dei Peloritani verso i Nebrodi, che in qualche modo non renda esclusiva la percorrenza a mare, scelta dalle Ferrovie dello Stato e dalle Strade Statali.

Questa impostazione che sarebbe lungimirante, poiché salvaguarderebbe i centri montani, evitando di scaricare tutto il traffico sul sistema costiero, cosa che di fatto poi avverrà, in realtà non viene fuori dagli atti. Così come per dare respiro alla provincia del Val Demone, immagina di creare una direttiva che segmenti il vertice del triangolo che passi da alcuni luoghi del Tirreno ad alcuni luoghi dello Jonio, come ad esempio la Castroreale-Mandanici, oppure altre strade che seguendo un modo di percorrenza lungo le direttrici dei torrenti, sboccano sull’altro versante (jonico), smussando di fatto l’angolo siciliano, unendo quindi i due mari. Quindi il tema della mobilità è strettamente correlato alla necessità di dare seguito a quella che appare come la motivazione forte del suo essere città, del suo ruolo, e che è tutta legata al tema del porto e a tutti i servizi ad esso correlati e quindi a questo sostanziale legame tra trasporto marittimo e produttività semi industriale che da un lato è legato alle produzioni del bacino sud orientale e dall’altra parte è collegato al luogo di smistamento che sarà cioè il porto.

Tutto ciò farà sì che Messina, soprattutto per quanto riguarda le

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trasformazioni agrario industriali, verso questa verticalizzazione delle produzioni agrumicole che verranno dal sud oriente, Messina avrà una grossa presenza di tedeschi e inglesi. Soprattutto di inglesi. Interessanti sono in tal senso le considerazioni di Rosario Battaglia relativamente economia messinese e presenza degli inglesi nel Mediterraneo.

Messina ha la consapevolezza di essere un punto finale di un passaggio tra tutto ciò che avveniva in Sicilia e il continente, con un rapporto costante con Reggio Calabria, con tutto il versante reggino, con la grande conurbazione che da Reggio va verso Scilla e Bagnara; Messina viene considerata da Drasselli, storico dell’economia palermitana, come la più importante delle città calabresi e in questo rapporto di quella che chiameremo la regione dello Stretto, Messina per i servizi di cui è dotata, finisce con l’avere un ruolo quasi egemone nei confronti del territorio subcalabrese. Tant’è che molti anni dopo, Gambi, professore universitario che insegna a Messina, riguardo al tema della conurbazione dello stretto, immagina che questo futuro si possa giocare in questa vivacità dei rapporti dello Stretto, la Calabria reagisce, da un lato ci sono gli urbanisti quali Quaroni, Samonà (che calabresi non sono) che puntano tutto su questo sistema di relazioni messano-calabre, dall’altra parte ci sono gli storici calabresi, come Cìngari, che dicono “stiamo attenti a questo imbucarci di Reggio in questa strategia territoriale messinese, perché il nostro ruolo ce lo dobbiamo giocare rispetto al resto della Calabria, non possiamo essere proiettati solo sullo Stretto.

Lo Stretto rappresenterebbe una “distrazione” rispetto al ruolo di governo della Calabria”. Tutto questo sarà il motivo che sposterà di più l’interesse di Reggio verso la Calabria che alla fine esploderà nella questione amministrativa della designazione del capoluogo e nella questione religiosa che sarà la rivolta di Reggio della fine degli anni Sessanta-Settanta.

Messina che privilegia da sempre questo rapporto con la parte sud orientale, sa di giocare un rapporto con la Sicilia nord occidentale e sa che quel rapporto interessa molto la città di Palermo e infine c’è il rapporto con la Calabria in termini appunto, di mobilità. Per quest’ultimo rapporto molti sperano che possa esserci una ripresa del discorso cittadino che aggiunge alle tradizionali funzioni portuali anche questo scambio, questo processo di identificazione (Piano Samonà e Piano Quaroni).

La pianificazione dopo il terremoto si aggancia a questo problema di Messina che ha un territorio la cui ragion d’essere è la tendenza alla mobilità, alla sua vivacità di rapporti esterni. Da un lato ci sarà il problema del grande collegamento sud orientale, che diventa difficilissimo perché nell’azione di sgombero delle macerie, questa città che sembra venir fuori su due piani, quasi a gradoni, invece poi il problema verrà superato. Per quanto

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riguarda il porto c’è tutta una sottolineatura del pianificatore che verrà scelto, ossia Borzì (ma anche di quello che perde che è Guidini, un personaggio che viene dalla Lombardia).

Il piano di Guidini è più collegato ai disegni di Barcellona.

Quello di Borzì è fermo invece alla città lineare, quella che in qualche modo era la città europea, dopo gli sventramenti di Haussman a Parigi.

Il rapporto ambiente-paesaggio costruito e quindi paesaggio che diviene l’insieme di quadro ambientale e di città che ne fruisce, questo è più presente in Guidini.

Però in Borzì è centrale il porto. Il terremoto dismette alcuni progetti, quali la direttrice sul crinale dei Peloritani, altro progetto dismesso è l’attraversamento in direzione sud-orientale (smusso del vertice), però il tema del rapporto con la Calabria è un tema che resta importante e che, se il problema centrale è quello di ricostruire (che durerà trenta-quarant’anni) in ogni caso diventano momenti importanti in questa logica della ricostruzione; il porto diventa il polmone della città, che però che non viene più introitato compiutamente in città. Se il porto per esempio era veramente l’anima di Messina, così come testimoniava la grande Palazzata di Juvara (e ripresa da altri), col terremoto del 1908 finisce e non verrà più ricostruita. In questo ultimo dopoguerra verranno fuori palazzi di una certa significatività architettonica ma che sostanzialmente non sono più a servizio del porto, non c’è più una parte di città che resta a servizio del porto, che rimane un po’ più estraneo e quello che diventerà il luogo in cui si lavora, per il porto sarà la zona “falcata”. Non c’è più questa fascia urbana che era tutta proiettata sul commercio del porto.

Anche se, devo dire, lo spazio (il banchinamento) aumenta perché uno dei modi per liberarsi delle macerie del terremoto è anche quello di utilizzare lo specchio d’acqua marino. Il porto si autonomizzerà rispetto al contesto urbano. I collegamenti nord occidentali saranno portati avanti. Per esempio la vecchia strada consolare che diventerà nazionale, risulterà insufficiente. Per lungo tempo il collegamento con le Eolie, sarà diretto da Milazzo che diventerà lo spazio a terra di una situazione insulare eoliana, una sorta di proiezione sull’”isola di terra”, come la chiamerebbe un geografo allievo di Braudel, Lucien Lefebvre. Le Eolie è come se avessero un fronte isolano che diventerà il loro fronte a terra.

Per sessant’anni dopo la guerra, il collegamento con le Eolie avverrà da Messina (e non da Milazzo), con navi e aliscafi. E poi ci saranno dei collegamenti che andranno verso Milazzo.

Così come una volta c’erano i collegamenti che venivano fatti via mare (Giarre-Riposto-Catania), questa stessa cosa avvenne per Messina, bloccata dalle colline con una strada insufficiente.

Anche dalla nomenclatura si capisce che questo sforzo del trasporto dell’economia bloccata dalle colline del versante

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jonico avviene su carri e che deve essere fatto a tappe e arrivare a Messina è difficile e ci saranno dei luoghi che “segnaleranno” questo fermo notturno per poi procedere all’indomani verso i mercati (ultimo tratto per Messina).

I nuovi progettisti, che verranno fuori dopo il 1960, da un lato affronteranno lo schema dello Stretto per rafforzare il sistema di regione urbana, dall’altro affronteranno il tema del collegamento pieno della città col Val Demone e quindi si comincerà a parlare del collegamento verso il milazzese, verso la zona dei Peloritani e dei Nebrodi. Questo progetto sarà sempre mitizzato, dallo stesso nome “Messina costa nord” che poi diventerà l’inizio del sistema autostradale della Messina-Palermo, che si accompagnerà a quello della Messina - Catania.

Su tutto questo sistema del collegamento del vertice, che serve per il passaggio finale verso la Penisola, si sperimenteranno una serie di opzioni dalla metà degli anni Settanta, si penserà che è insufficiente limitarsi al tema del traghettamento e che è importante riuscire a capire come dal traghettamento la città potrà trarre dei valori aggiunti. Perché se il problema del traghettamento è diventato centrale anche sul piano istituzionale pubblico, tant’è che dalla fine dell’Ottocento il Governo finanzierà questo sistema pubblico di trasporto attraverso lo Stretto, il tema della mobilità non sarà più affrontato soltanto in tema di vie di comunicazione, ma si penserà a una sorta di grande autoporto che dia valore aggiunto agli strumenti che consentono la mobilità (proposte Russo-Frattasi della Camera di Commercio di Messina).

Il tema degli auto-porti è un tema che è stato affrontato a Messina negli anni Settanta (ce ne sono alcuni in Lombardia, a Trieste, a Gorizia), scontrandosi però con una grande assenza comunale, che non recepisce il loro valore. La Camera di Commercio di contro fornisce la parte economica e scientifica con documenti e progetti. Ma questi studi non avranno seguito.

Sulle singole scelte in materia di pianificazione urbana, c’è la capacità di sposare il progetto con le qualità territoriali e con il significato del territorio e, dall’altra parte ci sarà anche il gioco degli interessi. La città è fatta di apporti, di egemonie urbane che pilotano questo gioco degli interessi. A Messina questo pilotaggio relativo, ai lavori di ricostruzione, avviene da parte del ceto egemone fino al 1948. Quindi da un lato le valenze obiettive del territorio, dall’altro gli interessi chi fruisce quel dato territorio, soprattutto in tema di rendita di posizione (la periferizzazione, la ghettizzazione dei ceti meno abbienti, i temi dell’intervento pubblico che, avendo risorse abbastanza limitate deve seguire quello che offrono i mercati delle aree urbane, meno care man mano che ci si allontana dal centro). I temi importanti restano due: da un lato il valore da trasferire alla città, che può nascere

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dalla logica dei traghettamenti e dai servizi che la città stessa può offrire all’intero territorio regionale, anche grazie alle autostrade e, dall’altro lato, il problema di sciogliere questo nodo scorsoio delle periferie che sono intorno alla città (idea di fondo del Piano Urbani). I due aspetti non furono mai portati a compimento.

Oggi si assiste a una valorizzazione di alcune porzioni urbane esterne, ma che non entrano in rapporto con le vecchie periferie e sono quelle dovute ad una presenza commerciale di grande scambio, simile a quella palermitana e catanese, cioè le sovrastrutture del terziario.

Nemmeno l’Università riesce a risolvere il problema dello spostamento della centralità. Quando l’università tende ad espandersi, va a urbanizzare aree esterne, occupando la collina, senza però riqualificare la zona. Anzi, boicotta il centro urbano, non utilizzando per esempio il Collegio dei Gesuiti, con la speciosa motivazione che si appesantirebbe il centro della città.

Il risultato è il mancato collegamento tra il mondo del sapere e il mondo urbano, volendo di fatto realizzare dei campus senza però completarne l’esito di riqualificazione.

La consapevolezza delle periferie non esiterà se non in termini di mercato elettorale, perché il contatto con queste posizioni, sostanzialmente di sudditanza, delle periferie e delle persone che le abitano farà sì che lo scambio perverso, di tipo clientelare, familistico offrirà dei grandi risultati. E quindi il consenso verrà fuori più da queste aree esterne che non partecipano alla vita della città che non dalla città stessa. Inciderà molto di più, nella logica della formazione della decisione politica, il “personaggio” di un villaggio (Messina non ha i paesi ma ha intorno i cosiddetti villaggi) che, se è influente, verrà poi nominato “delegato municipale” per funzioni soltanto di carattere burocratico, divenendo una specie di sindaco dei luoghi, inciderà di più lui che sarà in grado di manipolare il consenso, di quanto non possa incidere un professionista in città che non ha questa propensione alla raccolta del consenso. Questi villaggi dunque incideranno non ponendo i temi della loro riqualificazione, ma ponendo il tema di alcuni loro vantaggi o personali, o di egemonia di ceti, od occupazionali.

Verranno dunque fuori i primi fatti di criminalità periferica collegata con le logiche catanesi e calabresi, che sottolineeranno questa non consapevolezza urbana. Due fatti. Il caso del parroco che difenderà un mafioso facendo leva sul fatto che si è sposato in chiesa e sul fatto che garantisce la sicurezza del villaggio e la virtù delle fanciulle. Il caso di un personaggio della politica, che adesso è protagonista a Palermo, Centorrino il quale, quando l’analisi si spinge un po’ oltre, in una tesi di laurea di cui lui era relatore, fino a entrare nell’ambito delle classi dominanti urbane, rifiuta di apporre firma alla tesi, con la motivazione che tutto

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questo dev’essere provato, lasciando di fatto il laureando nelle mani di altri, tirandosi di fatto indietro. La città quindi, per lungo tempo, negherà certe presenze.

I piani per Messina sono nell’ordine quello di Spadaro, di Borzì (come piano dopo terremoto), di Guidini (antagonista del piano Borzì), di Samonà (vincitore del concorso di idee del piano del dopoguerra, che farà invece il piano di Villa San Giovanni), di Quaroni (che farà invece il piano di Reggio Calabria) e, infine, di Urbani (ultimo momento culturale forte, piano respinto).

LR: Professore, Lei afferma di conservare gelosamente uno scritto di Gambi in cui si fa riferimento all’ineludibilità del ponte sullo Stretto. Inoltre, mi pare di capire da questa storia di Messina che con la realizzazione di questo ponte, la città potrebbe perdere la funzione di cerniera. É corretto?

GC: Il testo di Gambi è tratto dall’estratto della collana Einaudi “I valori storici dei quadri ambientali” ed è un’introduzione alla storia d’Italia di Einaudi. Il ponte aveva senso, anche in riferimento al Piano Urbani, perché era il manufatto che dava sostanza a quest’area dello Stretto. Adesso il ponte diventa un elemento trasportista in una logica nord-sud e quindi un segmento di un percorso ben preciso, il corridoio 1 (riferimento al volume “La furia di Poseidon”). Per quanto riguarda la provincia, il discorso sulla mobilità ha avuto una sua costanza, perché è stato il tema dello spostamento delle situazioni montane verso valle.

Tutti i centri montani si spostano a valle e ciò che rimane su è un luogo in necrosi con alcune attività produttive, qualche volte anche di significato, ma sono degli episodi isolati, delle nicchie. L’esempio di Tortorici con un attivo allevamento suini, ma la trasformazione e la messa in circuito dei prodotti avviene a valle. La provincia pertanto vive un processo di senescenza e soltanto adesso si ha un nuovo tipo di presenza giovane, processo estremizzato dell’alfabetizzazione universitaria che ha avuto come scopo il rendere la vita locale il meno difficile possibile, ma che di fatto è stato un buco nell’acqua a causa della mancata occupazione coincidente con il fermo produttivo.

A proposito del rapporto egemonia urbana e pianificazione, ossia il progetto che obbedisce alle logiche del paesaggio e al modo di valorizzarle in maniera propria, e d’altra parte gli interessi delle rendite di posizione, bisogna dire che questo è un aspetto costante nella realizzazione dei piani.

Per esempio Messina non ha accolto a suo tempo le scelte di Russo Frattasi sulla dislocazione verso l’esterno e quando lo ha fatto, lo ha fatto in ritardo e male, relativamente agli imbarchi all’esterno e per decenni la città si è degradata con questo flusso di tir che hanno creato numerosi incidenti mortali. Si

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sono degradate anche le grandi passeggiate a mare. Reggio Calabria di contro è riuscita a realizzare il suo waterfront con una soluzione significativa. Messina che ha anch’essa una posizione bellissima, di fatto ha massacrato il proprio waterfront.

Due i motivi più importanti che non hanno permesso alla città di valorizzare il proprio asse lungo il mare.

1. Vi era una soluzione progettuale difficile da risolvere a nord che però avrebbe compromesso le residenze di alcuni grossi personaggi della politica e delle professioni (a cominciare dal Ministro Calvi). E quindi il porto che si poteva costruire al di là della grande passeggiata, non si è mai realizzato.

2. Al centro di Messina, esiste attualmente quello che doveva essere un approdo provvisorio, e che ha creato il clima dell’intasamento viario, era possibile (proposta Russo-Frattasi) fare un grande viadotto che, scavalcando il centro abitato, collegava direttamente le uscite autostradali con il porto (come a Genova). Questo progetto fu messo da parte con la motivazione che si trattava di una soluzione antiestetica, ma sarebbe stata liberatoria. Ma anche in questo caso, la residenza di un sindaco era ubicata nei luoghi del progetto.

LR: Al nord si è creata una città diffusa, ossia una grossa area metropolitana che comprende la Lombardia, il Veneto, il Trentino e l’Emilia Romagna; al centro è quasi matura un’altra grossa area metropolitana. Con la realizzazione della TAV che collega Napoli con Bari, si sta formando un’ulteriore area metropolitana centro meridionale. Cosa mi dice a riguardo?

GC: Ai tempi di Campagna negli anni Cinquanta-Sessanta, si chiamava il nord del sud e siamo rimasti a questa condizione, ossia di una situazione isolata che però ha delle sue valenze, la Lucania cioè, e poi la periferia, la Calabria e la Sicilia.

LR: E in Sicilia le aree metropolitane Palermo-Messina-Catania che futuro possono avere?

Segnalo il testo “Atlante dei tipi geografici” IGM, riedizione dell’anno 2000 del Marinelli (1920). Lì vi stanno tutte le schede sul sistema viabilità e trasporti. In Sicilia è mancata la politica di sviluppo di insieme delle aree, in merito alla viabilità, poiché è sempre mancato un piano regionale dei trasporti.

Un altro testo è senza dubbio segnalato “Le forme del territorio italiano” di Clemente De Matteis e altri, edito da Laterza 1996.

In un volume c’è descritto il quadro calabrese verso Messina e nell’altro volume c’è quello della Sicilia occidentale.

Viene fuori il discorso della dorsale dell’Etna che si incentrava su Catania e poi l’asse calabro-siculo che passava da Messina.

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Tutte queste soluzioni sono state assorbite dal polo di Catania (Val di Noto). Questo polo ha assorbito tutto il sistema viario, con particolare riguardo per quello messinese che non ha più risentito del polo calabrese, poiché decaduto il polo di Gioia Tauro.

A Catania si è sviluppata la grande area portuale che diventa l’interfaccia di Malta, fermo il fatto che ancora nel Maghreb queste cose non sono venute fuori, ma non appena le economie saranno pronte ad affrontare la portualità maghrebbina; per cui i vantaggi che aveva Malta, in mancanza di un’attrezzatura forte sul Maghreb, in qualche modo finiranno. Attualmente la Sicilia occidentale è così differenziata: mentre il palermitano vive di un’economia terziaria, tramite la “balena” della Regione che è spiaggiata lì, ciò che può vivere di trasporto è la zona del trapanese. Verso oriente vi è poco dell’ennese, il ragusano che incide tutto su Catania (adesso faranno il tronco autostradale), il siracusano anch’esso tutto su Catania e poi gran parte del messinese perché, da prima di Taormina, sempre questo versante è confluito su Catania, basti vedere la vendita dei giornali: lì si vende “La Sicilia” di Catania e non “La Gazzetta del Sud”. E poi di fatto Messina che perde ruoli in tutti i sensi e anch’essa è come se si fosse piaggiata in questo traffico inutile delle navi da crociera.

LR: Ma Messina è geograficamente un punto nevralgico, vero o no?

GC: Non è vero. Anche questo andrebbe capito. Le ferrovie hanno abbandonato il sistema Stretto. È diminuito anche il traffico dei tir su Messina. Questo forse è dipeso dal fatto che è scaduta l’economia siciliana, che c’è meno rapporto con l’economia del nord, c’è Cefalù che sta giocando un suo ruolo, c’è Palermo che sta avendo un ruolo sempre più significativo di comunicazione verso Genova. Fatto sta che il traffico, anche nei momenti in cui il secondo porto è interrato, non pesa più tanto sul centro urbano di Messina, al punto che le ferrovie hanno pensato di rinunciare.

Mannino vendette ad una colazione con gli Agnelli, l’autostrada Palermo-Agrigento in cambio del rafforzamento del porto di Termini Imerese, perché questo serviva alla Fiat. La Fiat pensava che il grande tema era quello di dare una speranza a Gioia Tauro e quindi la realizzazione di questo grande porto che è stata la risposta al “non capoluogo” per lo smistamento mediterraneo della Fiat in un traghettamento Termini Imerese – Cefalù - Gioia Tauro. Il fatto che la ferrovia rinunci a Messina è un fatto anomalo, quando a suo tempo si era fatta pagare dai privati che avevano comprato il suo consiglio di amministrazione ottenendo tutti i permessi per contrastarla, una sorta di suicidio delle Ferrovie

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nello Stretto, che abbandonano la loro supremazia a favore dei privati, non riuscendo mai più a recuperare un ruolo, perché la burocrazia ferroviaria diventava un fattore quasi impediente della facilità a traghettare sullo Stretto.

LR: Infatti la critica che viene mossa è che le Ferrovie siano un po’ troppo attente alle aree da dismettere.

GC: Prima ancora di questo traghettamento dei privati, quando c’era il momento di crisi, tra la primavera e l’inverno, ossia quando finiva la stagione agrumicola e le Ferrovie dovevano dare una risposta in termini di tempo, perché era tutta roba deperibile, in quei momenti si immaginava di dover puntare su un segmento delle ferrovie che non era mai stato utilizzato (se non nel primissimo dopoguerra) che era l’INT (Istituto Nazionale Trasporti), una sorta di agenzia presso le Ferrovie, perché le Ferrovie portassero i carri su rotaie in giro e quindi avessero più valore aggiunto nella loro capacità di traghettare, ossia un traghetto che poi si inseriva nel territorio. Le Ferrovie rinunciano a questo rapporto “binari-città”; l’INT doveva collegare questi due momenti: la rigidità del binario con la polivalenza dei flussi urbani. Le Ferrovie perché cedono il trasporto pubblico a favore del trasporto privato? Chi manovra tutto ciò? La politica delle autostrade è come se avesse favorito il trasporto privato e avesse messo un po’ da parte le priorità ferroviarie. Ma nel traghettamento le Ferrovie rinunciano gradatamente. Rinunciano a Messina come testa di ponte. Prima elimineranno le officine, smantellando di fatto un pezzo della storia urbana della città fatta di ferrovieri, con le loro case, le loro officine. È come se i sindacati non avessero partecipato a tutto questo. Ci si chiede infatti quale sia stata l’importanza della partecipazione sindacale, rispetto a queste decisioni aziendali.

Tutto questo parte da quando le Ferrovie fanno finta di resistere in sede di svendita di Stato, al fatto che loro hanno il monopolio sullo Stretto, perdono questa battaglia, tutti diventano concorrenti, salta persino l’equiparazione delle tariffe e a quel punto il discorso è chiuso.

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Francesco Coppola

LR: Quale Velocità - Quale Città: Professore Coppola, può spiegare il significato dell’acronimo e di come questo interpreta il tema della mobilità urbana e territoriale?

Francesco Coppola

FC: L’interesse per il Progetto QVQC sta nel fatto che coinvolge tutta una serie di soggetti, istituzionali e non, rispetto al tema dello sviluppo della città, del territorio e dell’ambiente o, meglio ancora, rispetto al tema delle azioni che sono state attivate all’interno delle politiche della mobilità e del trasporto integrato dell’Unione Europea. Si tratta di azioni che si vanno attuando all’interno di una programmazione pluriennale e che ormai vanta al suo attivo per lo meno 20 anni, da quando cioè si è costituita l’Unione con la firma del Trattato di Maastricht. Da quando, quindi, tutto questo è avvenuto e ha prodotto una serie di processi di cambiamenti e trasformazioni, è possibile oggi osservare, individuare e comprendere quali sono gli attori che in questi cambiamenti giocano e svolgono un ruolo significativo.

Il progetto QVQC è nato per questa ragione: cioè per cercare di mettere a fuoco i cambiamenti e le trasformazioni territoriali e ambientali in Europa e in Italia, per effetto delle politiche per la mobilità e il trasporto integrato dell’Unione Europea.

Si tratta, quindi di politiche di carattere strategico che hanno una valenza finalizzata all’integrazione e alla coesione delle economie tra gli Stati Membri. Inoltre, il tema della mobilità è un tema Costituzionale perché garantisce ai cittadini e alle imprese pari condizioni nell’utilizzazione delle opportunità. Tutto questo discorso delle infrastrutture integrate poi vede nel ferro un fattore trainante delle politiche delle Ferrovie dello Stato Italiane. La programmazione dell’Unione Europea ha stabilito e fissato tutta una serie di indicatori e di parametri per far si che l’integrazione tra i diversi modi di trasporto poi abbia come esito finale quello di spostare grandi flussi del trasporto su gomma e del trasporto su ferro.

Quindi, la cosiddetta “cura del ferro” è una scelta strategica dell’Unione Europea e ha come obiettivo quello di riorganizzare le città e i territori intorno ad una rete complessa che ha le sue gerarchie, prima fra tutte quella costituita dalle linee veloci e poi

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Il progetto QVQC

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a scendere fino alle linee che hanno valenza metropolitana e urbana.

LR: Quindi, la rete ferroviaria come rete che connette e unisce territori e città attraverso il tema della velocità. più il collegamento è rapido, più le città si aprono scenari sociali e dinamiche territoriali mai sperimentate prima. Coinvolge, quindi, l’intero assetto e sistema della mobilità, cioé, porti, aereoporti e autostrade.

FC: Il sistema del ferro è un sistema che incardina una serie di nodi di interscambio che sono internodali, di interscambio con gli altri modi di trasporto come gli aeroporti, le Vie del Mare o la gomma; oppure ancora tra ferro e ferro. Queste politiche sono state attuate in questi anni e fanno riferimento a un corenetwork, a uno zoccolo duro di programmazione che è quello delle grandi reti europee, delle TEN-T di cui hanno ampiamente discusso l’Ing. De Vito, attuale Amm. delegato di Sistemi Urbani e l’Ing. Gianpaolo Basoli. Quindi, su QVQC e sull’idea di progetto, che è alla base di questa iniziativa culturale molto importante, sui primi tre anni di esperienza che sono stati portati a termine e sul nuovo triennio che si è aperto lo scorso anno con la sottoscrizione del nuovo Protocollo di intenti, rimando ad una nota sintetica che è disponibile e che potremmo inserire a corredo di questa intervista. Vorrei quindi parlare a questo punto del programma che si è attivato con il 2° triennio del Progetto QVQC e che riguarda ed ha come oggetto lo studio delle Aree Metropolitane nel nostro Paese. l’Ing. Carlo De Vito ha già parlato del Progetto AV/AC, di questo progetto che il Gruppo FSI sta portando avanti nel nostro Paese e di quanto e come questo progetto sia collegato alle grandi reti europee, cioè come si è alla declinazione in qualche modo, se così si può dire, delle grandi reti in Italia.

L’AV è stata giustamente definita come l’infrastruttura di interconnessione delle Aree Metropolitane Italiane. Di fatto, l’AV connette al momento sette di quelle che saranno le future Città Metropolitane e precisamente, Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli; metterà in connessione tra loro, in un prossimo futuro, Venezia, Bari e, naturalmente, Reggio Calabria che al momento non risultano connesse. Le grandi reti sono in una fase di realizzazione, secondo i programmi recentemente approvati e, per quanto riguarda il nostro Paese, risulta confermato il grande corridoio plurimodale Nord-Sud, che riassorbe il vecchio corridoio Berlino-Palermo e che presenta, come è già stato notato e rilevato, una variante nel senso che a Salerno continua verso Reggio Calabria ma con un progetto di AC e da Napoli che va verso Bari, considerando la Napoli-Bari

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come una articolazione del corridoio plurimodale Nord-Sud. A Bari c’è un prolungamento verso Taranto e Lecce; la Città di Potenza e la Regione Basilicata hanno proposto delle soluzioni di connessione che farebbe diventare questa opera in via di progettazione e realizzazione nel Sud come un’infrastruttura di grande importanza per la ricucitura e l’integrazione di una serie di territori che al momento sono marginalizzati. Le Città Metropolitane nelle Regioni a Statuto Speciale sono cinque. Se le andiamo ad indicare, notiamo che la maggior parte di queste città metropolitane hanno problemi, hanno una situazione e una struttura metropolitana, una struttura morfologica e soprattutto dei sistemi portuali che ci devono far riflettere sul possibile ruolo che esse possono avere, non solo rispetto alle Vie del Mare, quindi a questa declinazione specifica dell’intermodalità, ma rispetto a tutto il Mediterraneo. Quindi, probabilmente, questo tema nel tema, va focalizzato e messo a punto in maniera molto approfondita e puntuale; infatti, se guardiamo la Sicilia, per esempio, le tre Città Metropolitane individuate dalla Legge – Palermo, Messina e Catania – sono tutte dotate di porti. In più, la Città Metropolitane di Messina si interfaccia con la Città Metropolitana di Reggio Calabria e la Città di Catania mantiene e delinea un raporto privilegiato o prioritario con Malta che è diventata ed è stata individuata nell’ultima versione delle TEN-T Europee come il punto terminale del corridoio plurimodale NordSud. L’altra Città Metropolitana è Cagliari, con una serie di collegamenti forti con il sistema portuale Tirrenico, quindi del Lazio e della Toscana. Diventa perciò un discorso di grande interesse senza parlare poi dell’Area Metropolitana e della Città Metropolitana di Genova che, con il suo grande porto, è il terminale di uno dei corridoio plurimodali che da Rotterdam arriva fino a Genova: il cosiddetto corridoio dei 2 Mari. Genova ha, inoltre un interporto alle spalle che arriva in Piemonte fino ad Alessandria. É in definitiva una situazione di grandissimo interesse e che va messa a punto in maniera molto approfondita.

Il discorso che abbiamo costruito negli anni passati sulle reti, oggi che ci stiamo preoccupando delle aree metropolitane e del ruolo che le grandi reti, in particolare quella del ferro, stanno avendo nella interconnessione di tutte queste aree metropolitane (secondo le stime, che si aggirerebbe intorno all’80%, sembra che la maggior parte del PIL prodotto dal nostro Paese è localizzato proprio nelle aree metropolitane) ci rivela il peso e l’importanza di questo ragionamento.

Quindi, dentro al tema delle aree metropolitane va evidenziato e approfondito specificamente, se così vogliamo chiamare, il sottosistema di tutte quelle aree metropolitane che hanno rapporto con il mare, cioè che hanno nelle modalità del mare

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Il progetto QVQC

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(le Vie del Mare) il fattore trainante della loro caratterizzazione.

Sicilia (PA-CT-ME), Sardegna (CA) con la Calabria (RC), la loro messa a sistema, il loro ruolo nel Mediterraneo, le connessioni di questo sistema che è collocato nel centro del Mediterraneo con le grandi città metropolitane di Genova, Venezia e Trieste.

La riflessione che va sviluppata intorno al tema generale del sistema delle città metropolitane italiane, deve approfondire questo aspetto che sicuramente si caratterizza e connota con una serie di specificità. In questo senso, probabilmente, vanno poi esplorati e studiati tutti i rapporti e tutte le relazioni tra questo sub-sistema (per così dire) e gli altri Paesi e relative metropoli che si affacciano nel Mediterraneo (Barcellona, Valencia, Marsiglia e, naturalmente, le città del Nord-Africa, Tunisi, Algeri, Il Cairo).

La lettura attraversa certamente un momento difficile e di grande incertezza. L’incertezza riguarda la stessa Unione Europea e le prospettive della sua tenuta e della sua evoluzione, così come il possibile futuro dei Paesi meridionali dell’area Euro (PIGS).

Ciò non può impedire di continuare a strutturare il processo di integrazione tra le economie. Noi stiamo osservando i cambiamenti che stanno generando sul territorio, sull’ambiente per effetto delle infrastrutture, senza trascurare naturalmente le grandi infrastrutture immateriali e con queste le ipotesi di sviluppo, gli obiettivi e le cosiddette Missions che l’Unione Europea si è data dal 2014 al 2020 con la messa in campo delle Smart-city e di interventi massicci in termini di integrazioni nelle maggiori città europee. Quindi, queste sono i riferimenti da tenere in conto nella riflessione che stiamo provando a fare.

Per quanto riguarda le iniziative che QVQC intende proporre in Sicilia, (quindi Palermo, Catania e Messina), Calabria (Reggio Calabria) e Sardegna (Cagliari), il quadro di riferimento è un po’ quello che ho provato a delineare. Certamente, vi sono moltissimi problemi in questo momento, così come anche moltissime resistenze: la stessa riforma istituzionale, che in qualche modo è il presupposto di questo discorso, al momento presenta degli esiti così incerti e così confusi per i quali è difficile prevederne gli sbocchi. Ad ogni modo, lo sforzo di approfondimento va compiuto ugualmente; cioè, partendo dalla separatezza delle questioni, dovremo attivare e promuovere un approccio integrato ai problemi così come alla loro stessa complessità.

Questo è difficile perché non abbiamo gli strumenti per poterlo fare: le diverse discipline, gelose della propria autonomia, si riconfermano nella propria auto-referenzialità, senza provare a fare alcuno sforzo per superarsi e per costruire un oggetto comune. Questo è un limite, è un impedimento molto grosso.

Ciò nonostante, probabilmente, se noi guardiamo ai programmi e ai progetti che in ogni caso alcuni soggetti portano avanti, ci rendiamo conto che fortunatamente la loro azione on dipende

Conversazione con Francesco Coppola

dalle contingenze politiche (influenzate sicuramente) ma sta dentro delle linee di tempi medio-lunghi di programmazione e vanno identificati queste linee e le azioni, i programmi, le risorse, i progetti in via di attuazione che a queste linee si collegano. Tutto questo pacchetto di questioni va sicuramente collegato all’attività di alcuni soggetti che non sono condizionati dalle contingenze politiche. In sostanza, il programma di QVQC, per il tempo che ancora resta del triennio devono seguire questo tipo di indicazioni.

Se poi entriamo nel merito del rapporto possibile tra a mobilità e le occasioni, opportunità di sviluppo e trasformazione dentro le città o dentro le aree metropolitane, il tempo della utilizzazione di tutte le aree dimesse che appartengono al Gruppo FSI e che sono di notevole quantità (stiamo parlando di milioni e milioni di metri quadri) nelle maggiori città italiane e in tutto il territorio nazionale (parliamo naturalmente di quelle aree che non sono al momento funzionali all’esercizio ferroviario) quindi sono oggetto di possibile trasformabilità urbanistica e molte di queste sono state individuate dagli strumenti della pianificazione ordinaria come aree sensibili e interessanti per le prospettive di sviluppo metropolitano e urbano.

Il discorso, in particolare, che si può articolare e strutturare con il Gruppo FSI è quello della valenza strategica di queste aree nell’evoluzione e nella trasformazione e nello sviluppo delle città.

Il Presidente di QVQC è l’Ing. Carlo De Vito, amministratore delegato della società Sistemi Urbani del gruppo FSI. É una società partecipata al 100% da FSI, che si occupa degli assets di tutte le società del Gruppo e poi di valorizzare il patrimonio che è a questa imputata, cioè di cui si occupa direttamente.

Molte di queste aree sono vitali per la mobilità, spesso collocate in potenziali nodi di interscambio, sia intermodale che modale.

Quindi si tratta preliminarmente di capire caso per caso i diversi strumenti urbanistici di pianificazione di cui sono dotati i Comuni, che previsioni hanno operato rispetto a questo tema. È cioè possibile avviare non solo un censimento ma ricostruire in un quadro di insieme le opportunità per poi avviare, se è possibile e se c’è l’interesse con le Amministrazioni competenti, dei Tavoli di lavoro per la migliore utilizzazione, per avviare dei progetti integrati con i quali concorrere ai bandi europei previsti dal 2014 al 2020. Insomma, ci sono moltissime cose da fare da questo punto di vista, Sicuramente si va delineando ed è in via di definizione questo filone all’interno del Progetto QVQC, in quanto è possibile sperimentare in termini di laboratorio quella integrazione e incontro tra le diverse discipline che può portare a delle soluzioni produttive ed efficaci.

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Il progetto QVQC

Conversazione con Carlo De Vito

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Conversazione con Carlo De Vito

LR: I corridoi plurimodali, le grandi reti TEN-T, sono il fulcro delle politiche UE per la mobilità e il trasporto integrato. Queste po‑ litiche hanno finalità strategiche in quanto si propongono come strumento di coesione e integrazione tra le economie degli Stati Membri EU. La grave crisi mondiale e dell’Eurozona in che modo e misura si riflette su queste politiche? Cioè a dire: i rapporti tra Eurozona e Mediterraneo continuano ad avere centralità e come si è articolato in questa fase il programma AV/AC che è cardi‑ ne in Italia, non solo delle politiche per la mobilità e il trasporto integrato, ma della complessiva riorganizzazione territoriale del nostro Paese, in quanto infrastruttura di interconnessione tra tut‑ te le aree metropolitane?

Carlo De Vito

CdV: I corridoi sono lo strumento con cui l’Europa tende ad inca‑ tenare i vari Stati, in un progetto unitario che è alla base del pen‑ siero stesso dell’Europa. La formazione dell’Unione Europea av‑ viene attraverso un processo che prende avvio con il trattato del 18 Aprile 1951 per istituire la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), con lo scopo di creare interdipendenze tra i paesi membri, oltre che per evitare che un Paese potesse mobi‑ litare le proprie forze armate all’insaputa degli altri, dissipando in tal modo il clima di sfiducia e tensione successivo alla 2° guerra mondiale. Quindi nasce come realtà economica, nel tentativo di abbattere le barriere tra i popoli e le frontiere. A questo trattato faranno seguito i trattati di Roma (1957) di Bruxelles (1965), l’atto unico europeo (1987). A partire dal trattato di Maastricht (1992), prendono avvio i trattati specifici dell’Unione Europea, prose‑ guendo con Amsterdam (1997), Nizza (2001) e Lisbona (2007).

Invece è del 1994 il Consiglio Europeo di Essen, l’ultimo al quale partecipa Jacques Delors, che stabilisce la formazione delle reti transfrontaliere nei settori dei trasporti, dell’energia e dell’am‑ biente. Nel corso della formazione di questa Unità Europea, al momento solo di natura economica, i singoli stati cedono quote di sovranità all’Europa in una tendenziale aspirazione all’Unità politica. Nei fatti, questa unità politica non c’è ancora, per cui si dovrà aspettare che maturino le condizioni, probabilmente da inquadrare all’interno degli scenari mondiali. Si può perciò af‑

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Le Ferrovie in Sicilia e a Palermo

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fermare che, il simbolo del corridoio come legame dei vari Stati dell’Unione permane. Pur tuttavia, quello che in questa fase è in crisi è la possibilità di realizzarli: la domanda che ci si pone, semmai, è relativa alle economie. Cioè a dire se, soprattutto in questo momento caratterizzato da questa congiuntura, gli Stati membri sono capaci o meno di sussidiare gli Stati nazionali nella realizzazione di queste grandi reti multimodali. In questo scena‑ rio di crisi e congiuntura economica sfavorevole, cosa ha fatto la Comunità? Attraverso una Comunicazione della Commissione (A budget for Europe 2020, COM (2011) 500) l’Unione Europea ha compreso che i 30 iniziali corridoi di Essen non erano alla portata economica delle finanze europee e ha fatto una scelta, come fanno tutte le società in crisi, sulle priorità: li ha ridotti a 10 pur continuando comunque a scommettere su questo grande tema. Di questi 10 corridoi che corrono da Est ad ovest, nella parte Nord, nella parte media e sud dell’Europa e quelli trasver‑ sali verticali Nord-Sud, L’Italia ha la fortuna di averne quattro che interessano il suo Stato. Questi sono il Corridoio 3 Mediterraneo che interessa la fascia padana, il 5° corridoio Helsinki -Valletta e la sua bretella che collega Napoli a Bari e il 6° corridoio Genova - Rotterdam. Non c’è motivo di ritenere che il pensiero dell’Unità politica europea sia in crisi; casomai questa è in difficoltà, da un punto di vista politico, per ciò che concerne la realizzazione delle tappe intermedie che erano previste rispetto alla tabella di marcia prefissata ma non v’è dubbio che questa è assolutamen‑ te fondamentale se si considera che, nello scenario della com‑ petizione mondiale, solo uno Stato che supera quello Nazionale dei singoli Stati europei (se dovesse uscire solo la Germania che è un peso rilevante), può competere con le grandi economie mondiali, sia dell’Est che dell’Ovest. Oggi, infatti, sono gli Stati Uniti d’America, gli stati del Sud America con Brasile in testa, Sud Africa, India e Cina che stanno facendo le nuove economie.

Ragion per cui, in questo contesto di competizione o di sfida tra continenti, i corridoi restano lo strumento con cui l’Europa vuole riconnettersi e intorno ai quali ciascuno Stato sta sviluppando le proprie politiche di integrazione territoriale, le proprie linee di crescita, il proprio futuro non soltanto infrastrutturale ma an‑ che di riassetto economico. Quindi, pur con questa correzione di tiro che adesso dipende dalla possibilità data dalla fiscalità generale europea (i singoli Stati con la propria sovranità cedono parte della propria fiscalità all’Europa che poi li restituisce sotto‑ forma di cofinanziamento alle opere infrastrutturali), il principio e il modello rimangono validi. Per ciò che ci riguarda più diret‑ tamente, in questo momento l’Italia è concentrata nella realizza‑ zione delle tratte dell’AV sui valichi: Lione - Torino, il valico verso la Svizzera Lechberg - Gottardo e il valico del Brennero; sono i valichi che dovrebbero rendere fisicamente possibile questa

Conversazione con Carlo De Vito

interconnessione. L’impegno dell’Italia di connettersi con l’Euro‑ pa continua, inoltre, con il completamento delle tratte interne: il tratto orizzontale del Corridoio Padano, da Treviglio a Brescia e poi a Padova e la linea trasversale o la bretella che congiunge Napoli a Bari. Questi sono i grandi progetti. In questo, proprio oggi che siamo qui a Palermo, è bene fare una riflessione sulle regioni meridionali che, pur rappresentando percentuali ridotte della popolazione o dell’economia (che forse è un parametro che conta di più della popolazione) sono in questo momento al di fuori o, per meglio dire, non sono dentro l’attuazione a medio periodo del disegno delle reti. Che si fa per loro? Anche in que‑ sto caso si interviene ma con interventi di rimodulazione per la carenza di finanziamenti generali delle possibilità di realizzare.

In questo senso, quindi, la strategia in atto suggerisce di inter‑ venire non per realizzare tratte con le stesse qualità di quelli che devono portare masse considerevoli di passeggeri e di merci (e cioè, per esempio, da Salerno fino a Forlì o fino a Venezia o dalle altre parti), ma si interviene sulla tecnologia per ammodernare le infrastrutture. Problema vero: la diversa velocità dei territo‑ ri del Sud, comporta la disponibilità di minori risorse e quindi l’impossibilità di competere con il livello del mercato con quelli che sono anche i servizi commerciali di trasporto che si offro‑ no nella parte, diciamo, più fortunata del Paese. In questo, la politica di coesione sociale dell’Europa in primis, ma anche di quelle che ciascun Stato nazionale attua, dovrebbe intervenire sussidiando quelle che non sono le capacità dei popoli delle Regioni meridionali di accedere a questo o quel pezzo di territo‑ rio, dovendo sempre distinguere l’infrastruttura dal servizio che si deve erogare. Questo è come noi affrontiamo e accorciamo le distanze. La realizzazione di questi corridoi ha determinato e sta determinando ancor di più, insieme con la crisi (non ci dimen‑ tichiamo) delle diverse gerarchie dei territori, delle diverse im‑ portanze. Assistiamo, dopo quelli avvenuti nel corso degli anni 1950-1970 a nuovi e forti immigrazioni e spostamenti all’interno del territorio nazionale; soprattutto per i giovani che hanno livelli di scolarizzazione, poiché le poche occasioni di lavoro sono al Nord è aumentato il fenomeno di una consistente immigrazione e, per tale ragione, difficilmente vengono mantenute risorse di personale pregiato all’interno dei tessuti meridionali. Stesso di‑ scorso, vale ancor di più relativamente ai paesi dell’EU e anche oltre i paesi dell’EU. Di fronte a questo scenario, non v’è dubbio che il Paese deve affrontare delle riflessioni: cioè a dire se le condizioni per gestire il sistema dell’AV o dei corridoi che si van‑ no realizzando, se la capacità economica dei singoli paesi è in grado o meno di garantire quelli che saranno i servizi che, frat‑ tanto, stiamo realizzando sempre nell’idea dell’Europa. Europa che, se vuol vedere raggiunti gli obiettivi prefissati e concordati

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con i trattati e le convenzioni tra Stati, deve anch’essa applicare un poco di più il principio della sussidiarietà in nome del quale si stanno battendo i governi nazionali. Senza questo principio che l’Europa è unica e che le economie forti sussidiano le economie deboli, non si va da nessuna parte.

LR: Nell’ambito quindi della riorganizzazione nazionale, le aree metropolitane siciliane, ovviamente anche con i tempi di una crescita del meridione più lenta rispetto al resto d’Italia, si riorga‑ nizzano di conseguenza. In particolare in Sicilia, quali progetti state portando avanti per le aree di Palermo, Messina e Catania?

CdV: Per FSI, i progetti della Sicilia sono il collegamento ai gran‑ di corridoi. La riorganizzazione delle aree Me-Pa-Ct, in parte in costruzione e per altra parte in finanziamento, è un progetto che renderà accessibile il trasporto ferroviario anche ai siciliani che si sposteranno all’interno dell’isola. Si accorceranno i tempi, cer‑ to non si dimezzeranno ma, rispetto a quelli che erano i tempi di alcuni anni fa, in alcuni casi si potrebbe arrivare al dimez‑ zamento dei tempi di percorrenza. Il ragionamento da fare è, cioè, se questo sistema o questo ramo è un ramo dell’AV oppure è un ramo interno alla Regione Sicilia. Su questo le riflessioni sono in corso; la Sicilia è troppo lontana dal resto del Paese; tiene una infrastruttura ferroviaria che, ancorché ammodernata e ancorchè con notevoli dosi di upgrade capaci di garantire ve‑ locità di 200 km/h con potenziamento tecnologico, non è in con‑ dizioni di sopportare quelli che sono i tempi, oggi, del trasporto passeggeri. Le compagnie aeree, avendo avuto la possibilità di attuare una razionalizzazione, oggi sono nella condizione di offrire servizi certamente più adeguati. È indubbio che per chi dal meridione d’Italia volesse spostarsi verso le regioni a Nord è più conveniente optare per reti di comunicazione aeree anziché quelle terrestri. Vale invece l’altro ragionamento che dicevi tu: la Sicilia ha capacità e potenzialità (non dimentichiamo che ha una popolazione che è quasi paragonabile a quella della Sviz‑ zera, pur con metà della superficie territoriale) per costituire una base autonoma; è la piattaforma del Mediterraneo che, come detto nella domanda precedente costituisce una fascia critica.

Ci sono delle teorie che disegnano uno scenario in cui si rap‑ presenta un Europa del Nord che sta strutturando l’economia forte, la fascia del Nord-Africa di cuscinetto rispetto all’Africa che è il vero oggetto dello scontro tra le super potenze, (da una parte la Cina, verso la parte dell’Oceano Indiano ma dall’altra parte gli Stati Uniti) e, infine, il corridoio intermedio rappresenta‑ to da Portogallo, Spagna, Italia e Grecia. Che fanno questi Stati oggigiorno al centro del ciclone della crisi europea? È questa la domanda che dobbiamo farci per non lasciarci nella condi‑

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zione di ammettere la nostra sconfitta. Proprio perché siamo a ridosso della guerra, maggiore deve essere il nostro impegno ad agganciarci all’Europa forte. I corridoi, quindi, servono anche a mantenerci legati a quelle regioni dell’Europa settentrionale, offrendo loro però delle condizioni che garantiscano le nostre possibilità di cooperare per una crescita comune, oltre ai temi che ci riguardano e che, di fatto, mettono in discussione la no‑ stra potenza con i soci: la criminalità, la mancanza di economia, la mancanza di razionalizzazione, il disordine in generale. Ecco, se l’Europa percorre questa strada politicamente coesa, il suo Sud può guardare al Nord industriale, così come è avvenuto per l’Italia negli anni del cosiddetto “miracolo economico italiano” in cui, il sistema della coesione e la cassa del mezzogiorno, hanno determinato per l’Italia la possibilità che potessero coesistere insieme le bellezze naturali con aree del territorio produttive. La stessa scala dobbiamo cercare di applicarla in Europa. È evi‑ dente che, come nell’Italia le politiche economiche le faceva il triangolo industriale del Nord, queste politiche adesso avvengo‑ no in una scala di valori più elevata o in un parallelo più elevato.

Non tutti siamo d’accordo con le strategie in atto e proprio da questo nasce il conflitto economico e politico: qual è il nostro futuro?

LR: Ci troviamo a Palermo dove abbiamo la Stazione di Bran‑ caccio, quella Centrale, la Lolli, la Notarbartolo, il passante fer‑ roviario, l’anello della metropolitana, le aree dismesse ferroviarie da recuperare. Oggi più che mai il futuro di Palermo dipende dalle scelte che fa FSI. Ergo?

CdV: Questo tema l’abbiamo affrontato ieri (27.06.2013) con il Sindaco Orlando. Abbiamo trovato il Sindaco molto disponibile ad intraprendere un ragionamento. Se si guarda la planimetria di Palermo, ma lo stesso discorso vale allo stesso modo per qualsiasi altra città italiana, la si vede attraversata da questo fiume di ferro. È un fiume che ha molte fiumare che si allargano, prendono spazio, si biforcano. Cosa ho detto al Sindaco? Le ferrovie, che sono il male oscuro di qualsiasi città italiana, negli anni hanno determinato queste presenze ingombranti, queste chiusure, questi degradi che, però, sono anche opportunità per‑ ché rappresentano le uniche aree in cui oggi la città può pensa‑ re di intervenire per rigenerarsi. Tu hai fatto riferimento al tratto urbano compreso tra la stazione Lolli e la stazione Notarbartolo, cioè hai in pratica indicato il centro della città. Ne abbiamo par‑ lato ieri, quindi, di riprendere il vecchio progetto che avevamo tentato e che si riconnette con gli altri sistemi ai quali facevi ri‑ ferimento perché se realizziamo il passante ferroviario e l’anello ferroviario, Lolli-Notarbartolo diventa a livello di mobilità il tratto

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più servito; si può immaginare un servizio di metropolitana e di fatto si può fare perché ci stanno i mezzi, ci sta la linea tranvia‑ ria o anche diventa la nuova stazione centrale di Palermo, an‑ che con la possibilità di intervenire con la rigenerazione edilizia.

Faccio il caso del passante milanese della Stazione Garibaldi dove si è realizzato l’insediamento di Porta Nuova e, in tal senso, la Porta Nuova di Palermo può essere proprio quell’area urba‑ na che va da Lolli a Notarbartolo. L’opportunità c’è e l’abbiamo messa a disposizione del Comune. Ora sta al Comune capire se può intervenire.

Conversazione con Andrea Piraino

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Conversazione con Andrea Piraino

Premessa del Prof. Piraino: In Sicilia abbiamo circa 23.000 km di strade provinciali. Chi sarà chiamato a gestire queste strade? i Comuni o la Regione? E che cosa ne sarà delle scuole o degli Istituti superiori? A mio parere, chi parla di abolizioni, di riforme, ecc, non ha la benché minima idea, perché non sa nulla, poiché dimostrano di fatto di non conoscere né la storia, né la realtà.

Il territorio ha la sua identità, fisionomia e specificità sulle quali basi poggia il Diritto. Affrancarsi da tutto ciò equivale trovarsi nella contraddizione.

LR: Prof. Piraino, cominciamo ad inquadrare il problema dall’alto e cioè dall’Unione Europea: aderendovi, gli Stati Membri cedono parte della propria sovranità. In che senso o in che misura tutto ciò incide sulla propria organizzazione territoriale?

Andrea Piraino AP: L’argomento Unione Europea pur se molto complesso, tuttavia è riconducibile ad una lettura molto semplice: il progressivo passaggio, se pure partendo da una aggregazione di quelle che sono le funzioni economiche e non quelle politiche o di altra natura, determina intanto sui territori nazionali (e non soltanto quindi sul nostro territorio) un trascinamento verso l’alto dei sistemi di governo e dei sistemi istituzionali. Sicchè, improvvisamente (si fa per dire improvvisamente), quelli che sono i vari livelli istituzionali tendono ad avere un gradino in più.

Ora, poiché il processo di unificazione non può costituire soltanto l’aggiunta di un nuovo gradino, di un nuovo livello di governo, ma deve anche significare una razionalizzazione del sistema di governo, questo significa una cosa molto precisa: cioè, via via che avanza il processo di unificazione europea si accentua la necessità di riorganizzare i sistemi istituzionali di base. Mentre prima il sistema istituzionale di base vedeva a livello iniziale il Comune, oggi il sistema istituzionale, aggiunge un altro livello che, come dicevamo prima è quello della UE e quindi rendendo ancora più complicata la funzionalità istituzionale; per altro verso oggi, sia lo sviluppo, l’economia, le relazioni sociali, culturali e umane richiedono una semplificazione del sistema istituzionale affinché questi siano più veloci e immediati, efficienti ed efficaci.

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La revisione del Titolo V della Costituzione e le aree metropolitane

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Allora, vi è rispetto alla organizzazione del 1° livello istituzionale, perché quello più diretto e a contatto con il territorio, la necessità di un completo cambiamento. In relazione all’incidenza che il processo europeo ha sulla riorganizzazione del territorio, io dico che ha un’incidenza diretta, immediata e in qualche modo, se vogliamo usare questo termine forse anche esagerato, dirompente perché, ogni passo avanti che fa l’Unione Europea (ne deve fare ancora molti nella direzione politica) pur con tutti i suoi limiti, determina un sommovimento a livello di base.

Questa è quindi una connessione diretta tra processo di Unione Europea e processo di riorganizzazione, di riconsiderazione e di riadattamento del sistema territoriale di base.

LR: quando si forma l’EU, il territorio viene organizzato attraverso il sistema di mobilità delle TEN-T, prima denominati corridoi e adesso assi intermodali. Tramite questi assi, si determinano delle Macroregioni. In Italia si nota che i territori più a Sud sono di fatto estromessi dalla grandi reti di mobilità, e in particolare dell’AV ferroviaria che per adesso si ferma a Salerno. È possibile concepire un Europa senza la porzione più meridionale d’Italia, peraltro importante anche strategicamente, vista la sua posizione di centralità nel Mediterraneo?

AP: La Macroregione nella quale dovrebbe inserirsi la Sicilia o, se vogliamo, la Macroregione che dovrebbe costituirsi intorno alla Sicilia e al Sud, è una Macroregione del Mediterraneo.

Allora, il problema è che, purtroppo, di queste questioni credo che in Sicilia a discuterne e a sapere di cosa si tratta non siano più di una ventina di persone (non voglio esprimere giudizi per le Regioni di cui non conosco il dibattito ma, certamente, per quanto riguarda la Sicilia le cose che dico sono verificate e rispondenti alla realtà): cioè di Macroregioni, di assi, di intermodalità, non vi è nessuna attenzione perché purtroppo le questioni del Sud sono molto complicate e sono soprattutto legate ad una questione culturale; esprimibile in poche battute, che a mio giudizio consistono: nel fatto che, poiché abbiamo alimentato e continuiamo ad alimentare una convinzione: e cioè che l’Autonomia, che deve caratterizzare tutti i sistemi regionali, locali, istituzionali, ma in particolare poi l’Autonomia Regionale della Sicilia, per questioni che impropriamente o propriamente si fanno risalire alla Storia e quant’altro, viene interpretata in una maniera così totalmente distorta che ne impedisce qualunque possibilità di incidenza in processi di sviluppo o positivi. Perché viene interpretata l’Autonomia come sistema o sfera di Potere o di competenze autoreferenziale, che è ciò che fa riferimento a se stesso e non invece un sistema di apertura relazionale.

Per cui, la Macroregione, intanto, non esiste perché non può

Conversazione con Andrea Piraino

esistere, perché esiste la Sicilia che è Regione per eccellenza.

Anzi: se per caso ha qualche apertura verso l’esterno, bisogna chiuderla. Quindi, la questione delle Macroregioni è altrettanto importante come la questione della riorganizzazione dei territori di base perchè è la nuova riorganizzazione del livello statale. Cosa abbiamo detto prima? l’Unione Europea rimette in discussione il sistema Comuni-Province, per altro verso mette in discussione il sistema Regione-Stato. Quindi poiché dovremmo costruire Città Metropolitane, Liberi Consorzi o chissà come chiamarli, Distretti, dall’altro lato al posto dello Stato e delle Regioni dobbiamo costruire quelle che vengono chiamate come Macroregioni; cioè a dire delle aggregazioni che siano capaci di diventare innanzitutto autentici protagonisti dei processi di sviluppo e, in secondo luogo, terminali o referenti dei processi di mobilità dei processi di comunicazion, dei processi di relazione e di scambi. Perché non è la Sicilia che può costituire il termine di un sistema di scambi. Allora, per il Mezzogiorno e per la Sicilia in modo particolare, c’è da capire quale possa essere la Macroregione da ideare e da organizzare e costruire, perché per un verso la macroregione potrebbe immaginarsi che debba essere nient’altro la Macroregione del Sud, avendo anche un’esperienza storica che è quella del Regno delle Due Sicilie, obbedendo ad un principio che è quello della visione delle Macroregioni intese politicamente, nel senso cioè di Istituzioni interne alla UE, quindi soggette al principio della sussidiarietà e non della sovranità, ma comunque interne alla UE; dall’altro lato c’è un problema (per questo io non sono mai riuscito a farlo decollare questo dibattito nemmeno quando ero Segretario dell’ANCI) per la Sicilia: il problema della Macroregione si potrebbe configurare come una Macroregione di tipo diverso cioè una Mecroregione che non riguardi esclusivamente (oppure neppure) cioè la Sicilia con Malta, con le emergenze della sponda Sud del Mediterraneo del Nord-Africa, tale che diventerebbe in quel caso non una Macroregione politica (perché politicamente non potrebbe essere) ma diventerebbe una Macroregione economica di scambi economici. Ma di tutto questo, nei fatti, gli scambi economici ci sono già (conosco persone a vario titolo che a livello professionale, pur essendo laureate in Sicilia, hanno aperto lo studio professionale a Malta) perché a livello del mondo reale già esiste un tessuto di scambi, di relazioni, ma a livello di considerazioni istituzionali non c’è nulla.

LR: Nel 2011 Romano Prodi rilasciò un’intervista nella quale, auspicando ad una Unità politica UE, disegna uno scenario caratterizzato da quello che lui chiama “Sfida di Continenti”.

L’Europa, se non accelera il processo di Unità politica, si

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La revisione del Titolo V della Costituzione e le aree metropolitane

troverà indietro rispetto ai grandi mercati economici del blocco Occidentale USA-Brasile e di quello Asiatico. In questa logica di scenari geopolitici, la Macroregione del Sud Italia giocherebbe un ruolo strategicamente importante. Come mai, quindi, l’AV tarda ad arrivare fermandosi a Salerno e non c’è tutto l’interesse a che si realizzino le necessarie opere? non è in tal senso una contraddizione in termini?

AP: Si, lo è in effetti, anche se va fatta una riflessione più attenta: nel senso che, per molta parte è vera l’affermazione secondo la quale la responsabilità sarebbe nostra (della Sicilia) ma non per l’intera parte; cioè non nel senso che le responsabilità di questa situazione sono riconducibili intanto al Governo del nostro Paese, poi al Governo della UE perché, anche questi Governi altre al nostro, agiscono negli stessi termini sulla base di una spinta di interessi particolaristici, di interessi collocati territorialmente qui e lì e che hanno miopia cioè non hanno la capacità di guardare al futuro come se cioè, al di là della collina non ci sia nulla. Invece non è così, perché se io non proietto le mie scelte verso gli orizzonti che sono lontani è difficile insomma che quando questi orizzonti si vanno avvicinando io sono in grado di avere gli strumenti per affrontarli per risolvere il problema. E invece, purtroppo è così, per cui succede che le scelte dell’AV si fermano a Salerno perché per un verso non c’è una spinta che promana dal Sud, ma dall’altro lato siccome questa mobilità che , come abbiamo detto, ha un valore strategico e valore di carattere Europeo e Nazionale (e questo è un esempio che, io dico ai miei studenti, non si tratta di principio di sussidiarietà ma semmai di prossimità) ma in cui si può verificare che parta, invece dal basso parta una spinta dall’alto; cioè, visto che lo Stato s’accorge che il Sud non ce la fa, allora è lo Stato che propone il Corridoio per arrivare a Malta o a Trapani o Marsala. L’Unione Europea glielo propone ma questo non lo fanno perché alla fine, è come se dicesse “va beh, io i soldi che debbo investire per l’AV nel Sud, li investo per fare l’attraversamento del TAV nella Val di Susa”. Ecco dov’è l’intreccio delle responsabilità; naturalmente poi qui viene a galla tutta la debolezza della UE poiché non è un organismo politico. Però, ecco, la politica, insegnava Don Luigi Sturzo, è iniziativa quindi e non l’attività del ragioniere che mette le cose a posto; la politica è invenzione, capacità di prefigurare, di intraprendere e non solo di immaginare, quindi di avere una forza propulsiva. Allora, a prescindere da quello che sia, cioè che l’Unione Europea non ha una Costituzione – questioni che potrebbero valere per i miei colleghi Costituzionalisti (29:00) che dicono che “se non c’è la Costituzione non si può fare”, però oggi una cifra politica comunque ce l’ha e se ci fosse una spinta dell’opinione pubblica, questa cifra politica aumenterebbe

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perché questa non è tutta ricompresa o riconducibile all’intorno delle Istituzioni, cioè va al di là delle scelte delle stesse Istituzioni.

Quindi, se c’è una spinta vera da parte della base potrebbe colmarsi questo deficit politico o comunque attenuarsi.

LR: Proviamo a fare una domanda doppia. Abbiamo da una parte la Spending Review in ordine al ridisegno e dall’altra parte l’abolizione delle Province in Sicilia per effetto della Legge Crocetta 7/2013. In particolare quest’ultima è solo un fatto d’immagine oppure trova una ragion d’essere in seno alle strategie europee?

AP: Le due domande sono distinte ma non slegate, nel senso che si intersecano. Credo che Crocetta sia stato più che altro spinto da esigenze di “rivedere la spesa”. Però qui il punto è questo ed io su questo sono molto drastico; e sono molto drastico non per un principio ideologico o per un naturale attaccamento a chissà quale privilegio della politica; piuttosto sono drastico perché credo che non si possa giocare con le Istituzioni. Le Istituzioni sono cose serie che non possono costituire oggetto di interventi che sono frettolosi o in nome dell’immagine che dir si voglia.

Perché la cosiddetta abolizione delle Province, la riduzione dei Consigli comunali, l’abolizione delle giunte comunali, sono tutte cose che si possono fare! si possono abolire tutti i Comuni, si può fare tutto purché si sappia ciò che si fa nel senso che si abbia un disegno istituzionale alternativo a quello esistente che implica innanzitutto la conoscenza di quello esistente, cosa che purtroppo non sempre è vero, anche se chi scrive è un Parlamento, un’Assemblea Regionale, un Governo. E poi se oltre a conoscere quale è la realtà si abbia soprattutto chiaro quale è il disegno, l’obiettivo riformatore che si vuole sostituire alla realtà attuale. Perché se non sono chiari questi due elementi diventa tutta una discussione che se esistessero giornali seri nel nostro Paese non sarebbe degno nemmeno dei giornali, men che meno chiaramente delle leggi o dei provvedimenti che riguardano l’insieme delle persone. Allora, la Spending Review applicata alle Istituzioni con abolizioni, tagli e quanto altro ancora, in maniera particolare poi alle Province, può produrre un taglio alla cosiddetta spesa pubblica che, rispetto alla spesa pubblica che passa da queste istituzioni è veramente risibile, perché certamente non sono certamente i 10, 15, 20 milioni di indennità o di gettoni di presenza dei Consiglieri o dei Presidenti delle Province o dei Consiglieri Provinciali, degli Assessori, dei Sindaci. Ma ciò che costituisce la spesa pubblica è il 1.200.000.000 € di debiti che hanno accumulato in 5 anni gli ATO rifiuti. Io credo che noi dovremmo discutere di questo: il problema dell’EAS (Ente Acquedotto Siciliano), il problema

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degli sperperi delle ASI (Aree di Sviluppo Industriale), degli IACP (Istituto Autonomo Case Popolari), cioè esiste una miriade di Istituzioni che fanno da corollario agli Enti Locali e ai Comuni e qui immagino tutta la galassia ormai assolutamente inefficiente dei piccoli Comuni che costano solo perché qui parliamo di numeri che non sono quelli delle nove Province, nove Presidenti di Provincia, nove Consiglieri Provinciali, centinaia di Comuni in Sicilia e, a livello nazionale, di centinaia di migliaia di consiglieri comunali. Allora si che il discorso comincia a prendere corpo.

Ma accanto a questo e prima di questo c’è tutta questa miriade di società partecipate, di società strumentali, di organismi costituiti in-house e out-house che è il vero motivo dello sperpero del denaro pubblico. Perché?

1) Non è controllato politicamente perché, soprattutto da quando i partiti politici sono in crisi, cioè dal cosiddetto avvento della 2° Repubblica, se al momento della nomina degli amministratori di questi Enti vi è sicuramente un riferimento politico e partitico, all’indomani della nomina i nominati diventano autonomi e fanno quello che vogliono, cambiando partito perché il principio di fondo è quello di rafforzare il loro ruolo, di poter fare quello che ritengono di poter fare e poterlo proiettare in avanti. Quindi, sussiste una assoluta mancanza di controllo di questi Enti che sono lo strumento di impiego; adesso io non ho in questo momento le cifre precise, ma io immagino non meno del 50 % della spesa pubblica. Ciò significa quindi che non ha senso parlare dell’abolizione delle Province se io non dico una parola in ordine all’ATO rifiuti o ai distretti turistici, alle strutture private che esistono e che sono partecipate dalla politica e che sono state volute dalla politica e che gestiscono i soldi pubblici.

Non ha senso.

2) La seconda questione è che oggi le Province o gli stessi Comuni non esercitano più le competenze che dovrebbero esercitare, perché queste stesse competenze – che sono state devolute a questi enti strumentali, molto spesso per essere più flessibili o più adeguati al dinamismo – sono esercitate proprio dalla Regione attraverso un proprio apparato periferico/ territoriale che è qualche cosa che di più pernicioso non si può immaginare. Allora, va sicuramente aggredito questo sistema, smantellato totalmente e riorganizzato. Questo è quello che spero abbia voluto immaginare Il Presidente della Regione Sicilia o il Parlamento quando ha detto che in sostituzione delle Province sono istituiti i Liberi Consorzi di Comuni e le Città Metropolitane. Nel senso, cioè, che tutto questo sistema di competenze, di Poteri e di Denaro pubblico venga convogliato su delle strutture di tipo federale che, io ritengo sia questo il modo migliore per governare queste cose, che sia quello di tre Liberi Consorzi e Tre Città Metropolitane. Dico questo perché

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così dice la Legge 7/2013, sempre che poi possiamo chiamare tutti Liberi Consorzi o tutti tre Città Metropolitane. Io sono poco affezionato al nominalismo; l’importante è che ci si intenda.

Cioè, io penso che in Sicilia si costituiscono sei forze, sebbene forse sarebbe meglio parlare di cinque perché c’è il problema di Messina, molto complesso e complicato. Però io penso che in questa fase conviene avere pure Messina, in questa ripartizione e farla separata perché poi Messina se dovesse ottenere una sua propria vera identità sarebbe con Reggio Calabria. E in Sicilia avremmo un’attuazione concreta di una prima Macroregione, di una Città Metropolitana che scavalca e supera due Regioni; quindi una valenza altamente simbolica, cosa questa che già scrivevamo 30 anni fa.

LR: Professore, in un saggio pubblicato, Lei afferma che queste tre dimensioni sovra provinciali troverebbero pure una base storica nel Regno delle Due Sicilie, con i tre valli.

AP: Si, questa Legga 7/2013 che con queste indicazioni così generica delle Città Metropolitane e dei liberi Consorzi viene oggi additata come una legge manifesto, viceversa sostanziata con l’indicazione dei tre valli potrebbe diventare, a mio giudizio, interessante. Di questa cosa se ne è discusso all’interno del mio gruppo parlamentare (UDC) e ne ho parlato anche al tavolo tecnico istituito dalla Regione proprio per preparare il Disegno di Legge. Quindi ha avuto anche una sua ufficialità.

A proposito di ambiente vorrei fare un inciso: secondo me la differenza che c’è tra Città metropolitane e Libero Consorzio di Comuni sta proprio qui: e cioè che le Città Metropolitane sono caratterizzate dal riferimento ad un’area, ad un territorio fortemente antropizzato e urbanizzato, pur essendo un territorio vasto, cioè pur non essendo con conurbazioni di cui si parlava inizialmente come Città Metropolitane, ma essendo un territorio molto articolato dove c’è anche molta campagna, c’è anche molto verde, molto non costruito, molto poco infrastrutturato e poco quello metropolitano ma pur sempre un territorio piuttosto infrastrutturato e antropizzato. I territori dei Liberi Consorzi, invece, avrebbero come caratteristica quella di essere territori con prevalenza delle aree verdi, dell’ambiente, dell’agricoltura. Per cui nei Liberi Consorzi ciò che prevale è la ruralità dei territori, la loro non consumata scissione con la natura, con l’ambiente. Questo è il punto. Per cui, a differenza di quella che è la convinzione di molti e cioè che ritengono che le Città metropolitane siano i territori più progrediti, in realtà le Città Metropolitane non governano i territori più progrediti ma governano i territori più massacrati, rispetto a quelli che qui chiamiamo “Liberi consorzi” ma potremmo chiamare Province

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oppure Valli, ed ecco perché io ho voluto riscoprire il discorso di Vallo. Libero Consorzio è l’indicazione di una modalità organizzativa; Valli, invece, così come città, include anche dei valori ambientali, cioè includono il rapporto con il territorio.

Allora, a quel punto emerga la differenza nella Città appunto della prevalenza dell’elemento cittadino, antropizzato; mentre nel Vallo, l’elemento naturalistico/ambientale. Naturalmente andrebbero fatti degli studi per dimostrare questo poiché, fino a prova contraria, questa è un’affermazione da osservatore, da viaggiatore; e cioè il fatto che in realtà se uno guarda appunto le Aree Metropolitane, c’è una presenza di 1.200.000 abitanti. Vale per Palermo e grossomodo anche per Catania, anzi le supera se si considera e si ingloba anche Augusta, Priolo, Melilli, tutta la parte della Provincia di Siracusa che sono interessate al Golfo di Augusta, meglio al Golfo di Catania.

Conversazione con Vito Riggio

La mobilità aerea Conversazione con Vito Riggio

Intervista realizzata in data 06 Settembre 2013

LR: In un contesto caratterizzato da un’Europa che tarda a darsi un’unità politica, l’Italia della crisi economica è nel pieno di una riorganizzazione Istituzionale mediante la riforma del Titolo V della Costituzione. Come si colloca l’Enac in seno a questo panorama internazionale e nazionale di grande complessità e denso di aspetti tra loro contraddittori?

Vito Riggio

VR: Noi siamo, in questo momento, abbastanza ben messi perché il sistema dell’aviazione supera anche i confini dell’EU, nel senso che la Regione Europa comprende 55 Stati – quindi più dei 27 – che si sono dati delle regole comuni e che aggiornano i protocolli internazionali con il consenso dell’ICAO (International Civil Aviation Organization). Dentro questa organizzazione, noi che siamo ECAC (European Civil Aviation Conference) abbiamo avuto per anni la Presidenza con il mio predecessore e adesso godiamo della presenza del Segretario Generale – che è una carica permanente – nella persona del Vice-Direttore dell’ENAC Ing. Salvatore Sciacchitano (siciliano e che risiede a Parigi).

Quindi, sotto questo profilo, abbiamo una forte presenza sia nell’ECAC, sia ovviamente nella Commissione ma anche nell’EASA (European Aviation Safety Agency) che gradualmente sostituirà le singole aviazioni nazionali e nella quale siamo presenti con il nostro Direttore Generale. In definitiva, partecipiamo a tutta l’attività europea. Ciò è possibile in quanto (io mi permetto di dire la mia opinione), in un’ottica di integrazione il settore dell’aviazione è quello che è più facilmente governabile, proprio perché supera i problemi interni all’Unione; problemi che, almeno dal punto di osservazione dell’ECAC, emergono ormai in modo drammatico per effetto della recessione. L’ambizione di unificare attraverso la intermodalità i progetti di interconnessione per favorire un progetto economico integrato, si sta scontrando duramente con una linea di divisione che emerge in modo sempre più chiaro. Infatti, l’Europa del Nord guidata da Germania, Finlandia, Danimarca, cui aderisce poi la gran parte dei Paesi

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di contorno (compresa l’Austria) sta sostanzialmente di fatto integrandosi velocemente con la Russia ricostruendo, come è stato già in qualche modo accennato, il vecchio assetto degli imperi centrali rispetto all’Europa Mediterranea. Questa, fin tanto che ha tenuto nel rapporto del cosiddetto Capitalismo Renano, ha dato all’Italia l’illusione che potesse un po’ partecipare al processo di integrazione. L’impressione è che negli ultimi anni, con la presenza di Hollande alla Presidenza Francese, il Cancelliere tedesco Angela Merkel sia decisamente indirizzato verso l’opzione di un grande scambio tra l’alta tecnologia tedesca e materie prime russe che, nei fatti, ricostruisce i due assi, i due imperi centrali con l’Austria e l’altro asse costituito da Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia nella miserevole condizione che conosciamo. Ovviamente il Nord Africa non è mai stata un’opzione al di là di alcune chiacchiere di belle anime perché, sia per instabilità politica, sia per difficoltà economiche, questa regione non ha mai cercato realisticamente un’integrazione con l’Europa del Sud, quanto piuttosto ha sempre cercato lo scavalco nella logica che è più semplice che si cerchi tecnologia avanzata e lavoro laddove c’è, piuttosto che laddove va promosso insieme.

Quindi, tutta questa retorica sull’Italia e, in particolare, sulla Sicilia al centro del Mediterraneo, aveva un solo pregio: consolidare i nostri rapporti economici con gli unici paesi produttori – Algeria e Libia – oggi intercettati dalle difficoltà. Per fortuna, tramite l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) l’Italia gode ancora di una buona posizione. É corretto però precisare che i processi di integrazione disegnati dalla Comunità Europea sono del tutto figli di questa retorica fatta per accontentare o anime belle o interessi elettorali di pochissimo conto destinati a disperdersi come neve al sole. Per cui, mentre l’Europa Centro-Nord è un Europa che si infrastruttura da sola perché il mercato richiede investimenti in Alta Velocità ferroviaria, grandi porti e aeroporti, l’Europa del Sud, escluse la componente aeroportuale che ha una sua logica come adesso spiegherò, registra fortissime difficoltà nei suoi processi di infrastrutturazione.

LR: Quindi, volendo riassumere ciò che ENAC vede dal suo punto di osservazione, esiste un secondo asse, quello costituito dalla fascia Mediterranea, che sta in mezzo tra una forte Europa e un Nord-Africa totalmente inaffidabile per ciò che concerne la possibilità di investimenti di capitali. In questo contesto, l’Italia come sta messa? Abbiamo parlato di ENAC ma per ciò che concerne ad esempio i rapporti tra strutture aeroportuali e loro accessibilità tramite ferrovia?

VR: Per quanto riguarda le ferrovie, come sappiamo queste si fermano a Salerno e, nell’attuale circostanza di finanze

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pubbliche, sono assolutamente infondate le notizie circa i progetti di proseguimento da Salerno fino alla Sicilia. D’altra parte, se anche non bastasse il dato relativo all’investimento colossale occorrente per la loro realizzazione, vale la pena rammentare l’esperienza della Salerno-Reggio Calabria che dimostra di come l’Italia, spezzettata in municipi e intercettata da localismi, non sia in grado di realizzare grandi opere. Le ultime grandi opere sono state programmate nel 2001 e faticosamente se ne vanno realizzando pezzi; ma la grande progettazione, ancorché disegnata sugli strumenti pianificatori europei e nazionali, incontra un grandissimo ostacolo che è quello delle risorse e quello dell’amministrazione. Lo stesso vale per le tratte trasversali, cioè la prosecuzione della Napoli-Bari, nonché per l’attraversamento dell’Appennino. È di tutta evidenza che gli aeroporti hanno funzionato (e secondo me, per i prossimi 10 anni sarà ancora così) come alternativa rispetto alla mancanza di infrastrutture, così come avrebbe dovuto e potuto essere anche per la rete dei porti se fosse andata avanti la linea strategica di potenziamento delle Autostrade del Mare che però troppo lentamente si va sviluppando, a mio modo di vedere l’unica valida alternativa per togliere dalla strada i TIR che attraversano l’Italia. Gli aeroporti, invece, tramite i processi di integrazione europea che sono stati avviati almeno dal ’92 in avanti con la costruzione del Cielo Unico Europeo (Single European Sky è un’iniziativa della Commissione europea per cui la progettazione, gestione e regolamentazione, finalizzata a decongestionare i cieli europei, saranno armonizzati in tutti i territori dell’unione), hanno determinato un ancoraggio diretto delle parti periferiche del Paese – Sicilia, Sardegna e in parte Calabria – direttamente con il cuore dell’Europa tramite il fenomeno emergente delle Low Cost che ha determinato un radicale ribaltamento della vecchia logica dell’HUB che vanno intesi ormai solo per i viaggi intercontinentali. Per altro verso, i collegamenti europei che ormai sono per noi come collegamenti domestici, hanno comportato un’espansione di questi traffici da parte di tanti aeroporti. Ovviamente, tutto ciò presuppone una necessità di riordino, perché la corsa all’aeroporto Low Cost, in assenza di alternative stradali e ferroviarie e con l’incuria nei confronti dei porti (cioè con la difficoltà di utilizzare i porti soprattutto per il traffico merci), ha causato una richiesta di proliferazione di aeroporti che noi abbiamo frenato, però non del tutto: perché evidentemente, aeroporti già esistenti come Trapani, tanto per fare un esempio, sono cresciuti attraverso forme di incentivo legate naturalmente all’erogazione di finanza pubblica. Ciò perché alcune compagnie, come per esempio l’irlandese Ryanair, operano soltanto dietro la responsione di denaro pubblico. Infatti, a fronte delle poche decine di Euro che un utente spende per andare, ad esempio, da Trapani a

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Girona, v’è da parte della Provincia di Trapani l’erogazione di 3.000.000 di euro l’anno, proprio perché questo flusso che pure arricchisce il territorio, certamente ha pure un corrispettivo.

Con la crisi delle Province questo fenomeno si acuirà perché nell’attuale contesto che caratterizza il riordino istituzionale siciliano, in cui la Regione sembra dover subentrare alle Province o quello che sarà, si sconosce per quanto tempo ancora potrà avvenire questa erogazione di denaro pubblico.

Lo stesso vale per Comiso. Mentre la vera scelta sarebbe di incentivare, appunto, i due grandi aeroporti di Palermo e di Catania, ma l’unico modo realistico però per farsi è di cambiare radicalmente Team-Management della struttura che è stata a suo tempo malamente affidata agli Enti Locali che ormai sono sull’orlo del fallimento (quale ad esempio la Camera di Commercio che non è più rappresentative di interessi economici ma di interessi politici, ormai di fatto addirittura commissariati dall’Assessorato Sviluppo Economico). Allora, l’unica speranza per questa periferia europea in Italia, rappresentata dall’area tirrenica compresa tra Sicilia, Sardegna e le Puglie, è rimetterla in moto ma a condizione che a gestire gli aeroporti e ad unificarli intervengano, come noi suggeriamo, robusti processi di privatizzazione industriale. Quindi, è auspicabile un intervento che non sia solo finanziario ma anche e prevalentemente di gestione di management, con radicali modifiche dell’attuale assetto che, essendo modellato sul sistema degli Enti Locali, è basato su una funzione di compensazione sociale attraverso assunzioni e solo parzialmente, invece, su innovazione tecnologica e ricerca. Questo è la linea che sta perseguendo ENAC. Spero che adesso il nuovo Piano di privatizzazione per richiamare investitori in Italia, annunciato dal Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta, accolga il suggerimento che ENAC ha dato di partire o comunque mettere ai primi posti la privatizzazione degli aeroporti, in particolare meridionali, perché questo problema dell’ancoraggio all’Europa è fondamentale.

LR: Lei relativamente all’ancoraggio all’Europa ne parla in termini di “problema” e non di “risorsa” VR: Si, non una risorsa ma un problema anche perché l’Europa che viene qui in vacanza ha un’ampia gamma di alternative perché può andare in Grecia, va in Spagna, va nel sud della Francia, andava in Nord-Africa. La crisi nord-africana, proprio questa estate, ha dimostrato che a queste condizioni persino le due isole, Lampedusa e Pantelleria, raccolgono una parte di questo traffico. Ma nella prospettiva, assumendo che il NordAfrica si normalizzi, i costi sono più bassi rispetto a quelli del Mezzogiorno d’Italia per cui se il costo del viaggio non viene

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incentivato attraverso un aumento dei volumi, determina un ostacolo perché si somma a un costo dei servizi e quindi ad un’inefficienza dei servizi di interconnessione interna – parlo in particolare dell’accessibilità delle città, del traffico urbano, dei collegamenti tra aeroporti e città – in particolare di quelli via ferro che sono praticamente inesistenti o comunque si vanno faticosamente mettendo in piedi; è il caso della Circumetnea di Catania o del trenino di Punta Raisi che, però, va quasi regolarmente vuoto perché la gente è abituata ad andare con la propria macchina. Allora il punto quale è? Perché i siciliani vadano in vacanza al Nord è più che sufficiente quello che c’è con i low cost. Ma per convincere gli investitori europei a venire giù e a fare robusti investimenti bisogna cambiare radicalmente. Attualmente, questo è il tema più urgente da affrontare per ciò che concerne i processi di sviluppo che oggi vengono intercettati da co-gestione, accumuli di personale parassitario, illegalità diffusa. Stiamo parlando di tutti quei temi che vengono evocati da trenta anni ma di fatto non risolti.

L’aviazione può dare un unico contributo: e cioè, proprio in virtù del fatto che il cielo è libero, noi riusciamo a fare volare e non abbiamo problemi di capacità. Per la Sicilia siamo oggi a 15 mln di passeggeri che possiamo benissimo portarli a 30 mln con le attuali strutture, avendo fatto un intervento significativo sulle infrastrutture con i fondi europei. A fronte di tutti questi sforzi va detto che, attualmente, il contributo rimane isolato in quanto, affinché si possa sostenere il lavoro svolto da ENAC, è necessario che il contesto in cui insiste l’aeroporto deve poter incrementare le ragioni di questo scambio, liberando l’aeroporto che nella maggioranza dei casi è rimasto imbottigliato da una proliferazione urbanistica, irrazionale, senza regole, abusiva.

Basti vedere quello che succede nelle città in cui insiste un qualsiasi aeroporto e tra i tanti esempi mi viene in mente Napoli.

Per Napoli, il cui aeroporto è dentro la città, prevediamo la chiusura progressiva e la creazione di un nuovo aeroporto a Grazzanise. Pur tuttavia questa linea di intervento si scontra con la difficoltà della Regione Campania e dello Stato di mettere oggi in piedi un aeroporto. Quindi, è probabile che avremo problemi di saturazione con l’aeroporto di Napoli che, frattanto, stemperiamo grazie al fatto che c’è il progetto del nuovo Fiumicino che darà altri 50 mln di passeggeri. Si sa che già il Sindaco di Fiumicino ha già espresso parere negativo al fine di bloccarne l’espansione e se tale condizione ostativa dovesse permanere la situazione sarebbe quella di un’impossibilità di realizzare il raddoppio di Fiumicino, di non poter garantire Grazzanise a Sud e di non poter usufruire a Nord della base di Grosseto, che andrebbe benissimo, ma è una base militare (Grosseto sarebbe una base

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ideale, adesso che si fa l’autostrada che porterebbe da Roma in 1:00 h – 1:10 h circa, ma i militari non la cedono). In quanto a Ciampino non sappiamo ancora che fine farà ma, supponendo che chiuda, un’ipotesi al vaglio è quella di attenzionare la base di Viterbo. Anche a Viterbo troviamo forti difficoltà di carattere finanziario su intermodalità e potenziamento dei trasporti pur sapendo che, come era già stato deciso dal precedente governo, avremo la necessità di decentrare in caso di chiusura sull’attuale Fiumicino. Noi abbiamo delle perplessità in merito ma già consideriamo la sua obbligatorietà perché sappiamo che saremo costretti presto o tardi a ridimensionare Ciampino per ragioni di rumore. Quindi è chiaro che, onde evitare una situazione di pesante congestione, a questo punto è necessario puntare sul grande investimento dell’unico HUB che è Roma, con raddoppio da 35 mln a 50 mln per Fiumicino Sud e da 0 a 50 mln per il Nuovo Fiumicino: un’operazione colossale che in soli 30 anni implica un investimento già approvato di 12 mld.

Naturalmente, bisogna ora operare perché si realizzi, perché fare un nuovo aeroporto di quelle dimensioni significa anche impegnare finanza pubblica su un sistema autostradale e ferroviario. Ad esempio, lo scenario secondo il quale Roma si colleghi direttamente con l’AV, potenziando l’attuale servizio, in modo tale che dalla Cina o comunque dalle rotte intercontinentali si possa poi da Roma spostarsi verso Sud in 1:10 h a Napoli e verso Nord in 1:00 h a Firenze, quindi Bologna, cambia radicalmente l’assetto; è questa, cioè, la pianificazione che noi abbiamo immaginato e proposto al Ministro.

LR: L’attività dell’Enac prescinde da quelle che sono le attività di governo. Quali progetti avete in programma di portare avanti a qui ai prossimi trent’anni?

VR: L’Enac è un’Agenzia tecnica ed ha il dovere di proporre soluzioni. Noi abbiamo predisposto uno studio preliminare, fatto un’indagine su tutti i 47 aeroporti censiti e la proposta è quella di fare una rete Nazionale basata su 3 HUB: 1) Fiumicino diverrebbe l’HUB principale, strategico, che noi prevediamo di portare a 100 mln di passeggeri in 20 anni; 2) Malpensa sarebbe un po’ più ridimensionato rispetto alle aspettative di quando è stato costruito e di quando si basava sul principio che Alitalia fosse in grado di reggere altri HUB. Oggi sappiamo purtroppo che, come si vede anche in questi drammatici giorni, Alitalia non è in grado di reggerne nemmeno uno. Già allora si intravedeva questa difficoltà. Anche la Germania, che pure è molto più forte di noi, non ha problemi su Francoforte che tira bene ma, con la crisi che c’è in atto, avverte forti preoccupazioni sul 2° HUB di Monaco. Ad ogni

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modo, ritornando alle questioni di casa nostra, posso affermare che non ha avuto molto senso collocare un HUB a Varese, che sta a ridosso delle montagne. In tal senso, sarebbe stato molto più appropriato realizzarlo a Brescia ma fatto sta che ormai sono stati spesi 4 mld di euro. Nel nostro piano gli diamo un ruolo di 2° porta per alcuni mercati che, ovviamente, sono diversi da quelli di Roma.

3) Infine prendiamo atto che Venezia può diventare la 3° porta per alcune destinazioni e, in particolare, per la rotta Marco Polo che già inizia a funzionare.

Non prevediamo il ruolo di HUB del genere per nessun altro degli aeroporti pur sapendo che, dati alla mano, Palermo ha strutture necessarie e sufficienti per fare l’HUB intercontinentale ma non riesce a sfondare e trovare un mercato che potrebbe agevolmente essere quello del Sud-America e Nord-America.

Inoltre è un dato che la gente, comunque, preferisce arrivare a Roma e poi venire a Palermo da Roma con un volo interno minore.

Naturalmente, sebbene Palermo sia dotata di infrastrutture idonee a raccogliere (parliamo a livello aeroportuale), tuttavia una volta che si arriva a Palermo così come a Catania, poi deve fare i conti con la carenza dei collegamenti; inoltre, va anche osservato che a livello regionale, tolto Palermo e Catania e un po’ di città del barocco, oggettivamente un turista che viene per la prima volta in Europa difficilmente deciderà di fare della Sicilia la base principale della sua esplorazione.

Ed è anche logico: perché il cinese o l’indiano o il russo che già oggi ha i soldi per farsi un viaggio di un mese in Europa, è evidente che se vuole vedere la Sicilia ci sta due giorni perché poi vuole vedere Venezia, Firenze, Roma, Parigi, Londra.

Questo ragionamento non si riesce a far capire a chi è afflitto da localismi e, in tale senso, è bene che occorrerà acquisire maggiore consapevolezza sul fatto che le difficoltà geopolitiche non si superano solo con la retorica del tipo “noi siamo al centro del Mediterraneo”, proprio perché a livello infrastrutturale il Mezzogiorno, con Sicilia e Sardegna in particolare, denuncia carenze ingenti tali da acclarare il fatto che noi non siamo al centro di nulla.

Al massimo possiamo attrezzarci per accogliere qualche traffico marginale se consideriamo che ormai centinaia di milioni di persone sono in grado, rispetto a 20 anni fa, di pagarsi un viaggio di 2 settimane. Vale la pena, quindi, di entrare dentro questa catena senza l’illusione che la gente venga in Sicilia perché c’è Federico II, anche perché chi arriva, se deve scegliere tra Federico II e Firenze, va a visitare Firenze perché la città è dotata di spazi eleganti, più vivibili e di musei meglio organizzati. Nel Mezzogiorno, come in Sicilia, le città sono difficili da visitare, con un patrimonio internazionale scarsamente valorizzato e con

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risorse che si disperdono in tutte le direzioni. Non si ha un’idea progettuale e in termini di opportunità sarebbe il caso di scegliere un mercato e su quello investire le poche risorse che si hanno, essere cioè selettivi e smettere di pensare a 360° e in modo generico al mare, al sole, etc… La concorrenza internazionale spaventosa non consente più queste argomentazioni generaliste, né tanto meno che il patrimonio pubblico venga maltrattato da interessi privatistici di chi si vuol costruire la casa al mare, utile al solo scopo di passarci il weekend, impedendone di fatto un utilizzo a fini sociali. Questo è stato un errore drammatico perché prima si è costruito in modo abusivo sulle spiagge, inquinando il mare, mentre nello stesso momento a Creta, tanto per fare un esempio, si costruivano alberghi. Basti guardare il Ragusano: le uniche realtà storico-artistiche preservate sono rappresentate dalle città interne che sono ancora bellissime (Modica, Scicli) ma sol perché non ci sono le case di villeggiatura fatte dai medesimi ragusani che vanno in vacanza, godendosi loro la Sicilia perché, a seguito di un relativo arricchimento economico, credono o pretendono di fare a meno dei turisti. Qui sta tutto il problema tirrenico e della Sicilia in particolare: cioè in questa mancanza di progettualità, aggravata da questa enorme congestione umana e disorganizzazione che fa da barriera. L’aeroporto, da questo punto di vista, essendo una linea in cielo e collegando punti in area, ben regolata, è in grado di esprimere capacità, perché in grado di far venire milioni di persone. Noi facciamo viaggiare naturalmente la gente che consegniamo, poi, ad una situazione che in alcuni casi, come appena descritto, lascia molto a desiderare. Adesso, sia in conferenza Stato-Regioni, sia con l’ANCI, stiamo portando avanti dei discorsi affinché si possano prendere decisioni in merito. Parallelamente, affiancato alla disorganizzazione infrastrutturale del contesto territoriale, riscontriamo l’altra grande asimmetria costituita dalla indecisione politica: come struttura di governo tecnico del settore, sia pure a fatica, a livello europeo internazionale decidiamo: adottiamo dei regolamenti internazionali che si applicano in tutto il mondo, più o meno bene ma diciamo nella media bene (nel caso dell’ENAC feci fare una norma in una finanziaria del 2002 di delegificazione al solo fine di abrogare norme di legge incompatibili con quelle degli annessi ICAO). Allora, il punto vero è che il blocco o stallo decisionale, ovviamente, non favorisce nessun processo di investimento e di sviluppo. E noi abbiamo questa asimmetria a cui prima facevo riferimento: noi decidiamo ma poi ci confrontiamo con Autorità, soprattutto locali ma anche nazionali, che a fatica riescono a sopravvivere o a programmarsi a settimana.

Ovviamente, questo non è un modo di procedere.

LR: A Barcellona, ad esempio, grazie a un processo di grande

Conversazione con Vito Riggio

coordinamento politico e istituzionale, iniziato nel periodo postfranchista (Generalitat, Area Metropolitana, Ayundamiento) e che si è tradotto nella costruzione di un potente sistema infrastrutturale intermodale, si è pervenuti ad una condizione tale che adesso la città rappresenta il più importante HUB portuale del Mediterraneo, capace di fare concorrenza a Rotterdam che sta nella costa Atlantica. Significa che dove avviene integrazione politico-istituzionale che si traduce in intermodalità infrastrutturale, ciò non può che apportare un beneficio per la collettività stessa. Sono queste le condizioni che ENAC lamenta di non riscontrare nel panorama italiano?

VR: Ci sono due aspetti: conosco bene la situazione di Barcellona. Primo aspetto, la storia: Barcellona è una città industriale dei primi del ‘900 ed ha una storia di saperi architettonici e del territorio, urbanistiche e anche di forme che non regge paragoni. Potrebbe essere paragonabile alla Napoli dell’800 ma certamente nel ‘900 né Napoli, né Bari, né Palermo hanno avuto una tradizione di così alto prestigio. Struttura economica e struttura di saperi, con forti spinte autonomiste che in quel caso sono spinte della parte forte, ricca, storica della Spagna nei confronti invece della parte meno forte del Paese.

Secondo elemento, la collocazione geografica: posta vicino al Golfo del Leone che la mette da sempre, già a partire dal 1300, veramente al centro dei traffici del Mediterraneo; Terzo aspetto: Una sapienza stessa, dettata dalla richiesta dell’Indipendenza, che loro stessi chiamano una “storia di Complicità Istituzionali”.

Una capacità di concorrere dal punto di vista politico, partendo da posizioni anche diverse. Questa storia comincia, ovviamente, con la scelta di investire su Barcellona da parte del Governo Centrale, attuata anche per stemperare le spinte autonomiste e prosegue con forti investimenti su cultura e infrastrutture.

Anche Barcellona adesso vive una crisi e, come infatti si vede, le spinte indipendentiste si stanno rafforzando. In casa nostra, per tornare alla domanda, la Sicilia non ha mai avuto una vera spinta indipendentista e lo scimmiottamento di questi movimenti localistici che sono emersi è sempre stato esattamente al contrario: cioè, una risposta alla paventata diminuzione di risorse assistenziali dal Centro verso la periferia, ma che non è mai stato credibile perché in realtà ha sempre messo capo ad una dilapidazione di risorse autonome. Cioè, il bilancio della Regione Siciliana rispetto a quello della Cataluña è imparagonabile dal punto di vista dei risultati. Detto questo, è vero che Barcellona potrebbe essere un modello, se però si partisse dai due presupposti detti prima: 1) Robusti investimenti nell’innovazione e ricerca universitaria; 2) Robusti investimenti privati perché gli investimenti pubblici fatti qui, per esempio,

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dalle strutture pubbliche, che poi sono state sciolte, si sono rivelati un disastro. Quindi, questo conferma quello che dicevo prima: l’aeroporto di BCN sta dentro un sistema in cui c’è il porto e l’interporto. La stessa cosa dovrebbe essere e avrebbe potuto essere a Palermo. Dico avrebbe potuto essere perché nel 2001 noi avevamo immaginato di usare l’area di PalermoTermini Imerese: visto che avevamo l’aeroporto dall’altra parte, avevamo proposto di decentrare il porto di Palermo a Termini Imprese, fondamentale per fare l’interporto. Non si è voluto fare e adesso siamo in ritardo sul passante ferroviario che unisce queste due parti. Palermo è collocata come aeroporto più vicino dal lato di Trapani tanto è vero che quelli di Cefalù spesso vanno all’aeroporto di Catania. Al contrario di Palermo, Catania ha una possibilità maggiore perché su essa convergono sette Province di cui alcune di queste sono anche più dinamiche, come Siracusa e Ragusa. Se si realizza l’intervento dell’interporto di Catania, già programmato da noi (però mancano i soldi delle FSI) cioè di schierare la stazione ferroviaria dentro l’aeroporto, collegarla con la Circumetnea in modo tale che c’è anche la metropolitana e poi alle spalle fare l’interporto, si può affermare che dal punto di vista infrastrutturale la zona di Catania è molto più avanti rispetto a quella di Palermo.

LR: Infatti, dal punto di osservazione dell’ENAC, sembrerebbe che Palermo ha un momento di grande difficoltà destinato a protrarsi molto in avanti nel tempo. Al contrario di Catania per la quale le prospettive sono molto più aperte.

VR: Naturalmente Catania ha risentito più di Palermo della crisi del 2008. Di ciò ne ha pagato le conseguenze, fino al fallimento, una compagnia siciliana che pur con lodevolissime intenzioni, ha commesso l’errore strategico di tentare di imitare le grandi low cost europee non avendo, però, i capitali sufficienti per affrontare una battaglia di questo genere; cioè si è limitata a far pagare di meno senza abbassare i propri costi dettati dalla crisi in atto, dall’alto prezzo del petrolio, dalla concentrazione del mercato e, naturalmente, dalla concorrenza estera delle compagnie low cost in ascesa. Il risultato è stato quello che purtroppo conosciamo.

Tutto quanto accaduto è naturalmente grave perché, non solo ha messo sulla strada diverse persone, ma ha vieppiù scoraggiato ulteriori investimenti. Tra l’altro, ha avuto ripercussioni sull’aeroporto in cui erano basati. Ad ogni modo, in definitiva, io credo che nella prospettiva di recupero Catania sia meglio messa di Palermo, sebbene oggi siano tutte e due in una condizione di difficoltà perché la diminuizione dei traffici si sta riverberando su quello che potenzialmente è uno dei migliori

Conversazione con Vito Riggio

mercati: cioè la Sicilia. Quello della Sicilia, infatti, è un mercato potenziale proprio per questi agganci che con potrebbero sviluppare l’Europa.

Ovviamente, ecco perché io insisto, affinché questo mercato possa svilupparsi ha bisogno che ci siano settori industriali capaci di gestire aeroporti; impossibile pensare che a gestire un’attività complessa come quella degli aeroporti sia la Camera di Commercio o gli Enti Locali, in un momento in cui il Comune non ha nemmeno le risorse per la garantire la manutenzione ordinaria delle sue strade. Quindi, noi pretendiamo nell’atto che segue e accompagna la Concessione – che è il contratto di Programma – un investimento complessivo pari a 1 miliardo di listino; detto questo stiamo cercando di capire quando dovranno cominciare questi investimenti perché quelli finanziati dall’Europa a Catania si sono realizzati con una certa difficoltà, ma alla fine sono arrivati; a Palermo sono ancora andanti.

Infatti, quello che si sta realizzando è quello del Programma 2000-2007, cioè si è prodotto un ritardo che ha ormai 6 anni perché le imprese falliscono per via della gravità della crisi in atto. Però, tutto ciò malgrado, le potenzialità ci sono ancora perché le infrastrutture sono state fatte, tra l’altro realizzando questo programma di ulteriore riqualificazione e miglioramento degli indici degli standard di qualità (per noi obbligatorio perché noi siamo il servizio concedente e proprietario per conto dello Stato) e, naturalmente, a condizione che le società chiamate a gestire poi debbano corrispondere adeguatamente a questo programma.

Vedo che Palermo adesso si è decisa a privatizzare ma c’è la possibilità che il suo arrivo sul mercato avvenga in una fase in cui, peraltro, il costo del personale sia superiore allo standard accettabile, con il rischio che non troverà nessuno che vorrà caricarsi l’onere della gestione. É un po’ come accaduto per le municipalizzate: a Palermo si sono municipalizzati tutti i servizi che vengono gestiti da società private e, parimenti si è assistito al fallimento dell’AMIA la quale, per altro, si era caricata o era stata caricata anche della manutenzione stradale. In controtendenza cioè, qui si sono verificate negli anni ’90, con la spinta di un problema vero costituito dalla penetrazione mafiosa nell’attività economica, la municipalizzazione di tutti i servizi urbani. Si è visto che il problema non si elimina municipalizzando tutto perché, così come è avvenuto, poi si arriva a un socialismo antimafia che ha determinato il crollo della finanza pubblica locale. Quindi, io la vedo nerissima perché adesso il Comune è proprietario fallito, cioè di una AMIA fallita, dell’aeroporto, dei disoccupati organizzati, cioè praticamente di tutta l’attività economica che in una fase come questa rende anche difficile razionalizzare. Perché razionalizzare significa mandar via la

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gente. Dopodichè, evidentemente, in una fase di ripresa diventa tutto molto drammatico.

LR: Torniamo alla domanda iniziale che accennava alla revisione del Titolo V della Costituzione, che vede l’istituzione delle Città metropolitane (nella cui area di influenza ricadrebbero porti ed aeroporti), il riordino delle Province (in Sicilia abolite con LR 7/2013) e sostituite dai Liberi Consorzi. Cosa auspica ENAC a riguardo pur non avendo alcuna voce in capitolo, essendo una Azienda puramente tecnica?

VR: ENAC non ha titolo ad intervenire perché il nostro mandato è di vigilare sugli aeroporti. Per noi la struttura dell’Area Metropolitana, ove funzionasse, andrebbe benissimo perché risolve problemi di Spillover proprio perché generalmente un aeroporto serve, è ovvio, una dimensione più ampia della città.

Quale è, dunque, il tema?

A nostro modo di vedere, auspichiamo che non debbano essere modifiche nominalistiche. Ossia non ha senso abolire l’Istituzione Provincia per chiamarla in altro modo, soprattutto se considera il fatto che i costi delle Istituzioni, con buona approssimazione, per circa il 90% e oltre sono rappresentati da costi di personale. Allora, un conto è una riforma alla Ronald Reagan che significa cacciare via un certo numero di persone dalle strutture amministrative, un conto è una riforma alla Rosario Crocetta consistente nella chiusura della Struttura, salvo poi però dare il personale ai Comuni o alla Regione. Cioè, infatti io vorrei chiedere a Luca Bianchi (attuale assessore al bilancio della Regione Siciliana): “ma quale sarebbe il vero risparmio?”.

Quando a suo tempo noi proponemmo la soppressione delle Province e poi arrivammo alla conclusione che non si potevano fare i Liberi Consorzi perché i Comuni dovevano aggregarsi tra loro, alla fine si stabilì di istituire le Province Regionali, quindi i costi maggiori erano i costi del personale. Allora, io capisco si dica “Niente Province e facciamo 3 grandi aree”: Palermo, Catania e Messina, la quale Messina però non ha la dimensione dell’area metropolitana se non associandosi con Reggio. Ma a quel punto darebbe luogo ad una realtà interregionale denominata “Area dello Stretto”. Ma poi c’è il problema delle aree interne: la Regione Sicilia vuol fare un’Agenzia, come adesso finalmente si sta facendo a livello nazionale, per l’utilizzo dei fondi europei finalizzati alla promozione e alla gestione dei servizi della vasta area interna che è spopolata? Che in termini numerici, rispetto a Palermo e Catania, conta poco ma che avrebbe bisogno proprio di investimenti e di gente che lavora, che inventa. La divisione delle tre Valli, che avevano inventato gli Arabi e che rimase fino

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ai Borboni, era molto più ragionevole. Uno scenario, quindi, di grande complessità e di non facile realizzazione in cui non c’è bisogno di eleggere un Presidente. Per le 2 città Metropolitane basta il Sindaco e un Consiglio Metropolitano (che poi sarà pure difficile perché ogni paese vorrà la sua rappresentanza); sopprimere i Consigli comunali di Monreale e di Partitico o di Termini Imprese sarà certamente un problema. Però si può trovare un assetto: ovvero un assetto che sia in grado di decidere. Nel caso in cui non fosse nelle condizioni di saper decidere l’assetto politico, auspico che almeno ci siano delle Agenzie come nel caso dell’ENAC. Ad esempio consideriamo le strade: si può fare l’Agenzia regionale delle strade purché questa abbia i soldi per la manutenzione delle strade. Lo stesso dicasi per l’Agenzia Regionale dei Rifiuti… che cosa sono questi ATO che hanno inventato? una follia!!! Allora: io ho l’impressione che il processo di operazione demagogica delle Istituzioni sia arrivato ad un punto di non ritorno. Per ciò che mi compete, relativamente al ruolo che occupo in ENAC, di tutto questo non ho nulla da dire perché noi controlliamo aeroporti e attività aeronautiche; però da ex professore di Diritto amministrativo forse posso dire la mia… badando bene a non confondere i due piani.

LR: Esiste una concorrenza tra aeroporti-Aviazione da una parte e Ferrovie dall’altra?

VR: In linea generale non ha senso parlare di competitività perché sono due mezzi totalmente differenti. C’è però nel senso che nelle distanze inferiori a 500 km il treno è competitivo con l’aereo; quindi che un Paese come l’Italia abbia sia un collegamento aereo che un collegamento di treno veloce è del tutto ovvio. É evidente che man mano che si va razionalizzando il sistema della velocità ferroviaria, non c’è bisogno del numero di frequenze così elevato che noi abbiamo avuto in questi anni.

Ci sarebbero, cioè, minori collegamenti aerei. Noi in definitiva ragioniamo così: chi viene a Roma dal mondo deve rapidamente arrivare alla Stazione ferroviaria e prendere il treno dell’Alta Velocità. Per andare a Milano basterebbe un certo numero di frequenze per la mattina e un certo numero di frequenze per il ritorno. Ultimamente, invece, si era puntato sulla rotta RomaMilano per tentare di rinsanguare i conti della Nuova Alitalia e non poteva funzionare perché nel frattempo sull’AV ferroviaria si andava sviluppando una nuova concorrenza con l’aereo ma anche una concorrenza per abbassare i prezzi, la quale non può che proseguire. Quindi, è del tutto evidente che i collegamenti aerei servono per il collegamento Nord-Sud dell’Italia, utile e necessario affinché si salti il buco infrastrutturale. Perché in fondo, se ci fosse l’AV ferroviaria, anche da Catania a Roma ci

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si arriverebbe con molta facilità, passando lo Stretto se ci fosse il Ponte, cioè se ci fossero tutte le cose che non ci sono e che non ci saranno.

LR: non ci saranno?

VR: Non ci saranno perché non vedo proprio da dove si possono tirare fuori 5.000.000.000 € per l’AV Palermo-Catania, perché questa era la previsione iniziale. Mi accontenterei di una razionalizzazione ma forse anche con 1.500.000.000 € si potrebbe fare l’AV. Oggi è difficile: cose che non si possono fare quando ci sono i soldi non si fanno più e non si capisce con quali soldi si intenda finanziare ciò che pure è previsto dal Piano delle Infrastrutture che pure è stato fatto e credo verrà confermato anche dal Ministro Lupi che ha tutta la buona volontà di farlo.

Ma i soldi necessari per realizzare l’AV tra Napoli e Bari e per proseguire fino a RC sono tantissimi. Mi auguro che l’Italia si rimetterà in piedi e li abbia; ma al momento, se non teniamo i soldi per l’IMU è difficile trovare qualcosa di utile; hanno dovuto tagliare 300.000.000 € per la manutenzione, quindi… è un problema! Il treno deve servire tratte entro 500-600 km perché con l’AV si arriva in 3 ore da città a città, l’aereo serve per le tratte lunghe. Nei collegamenti tra Puglia, Sicilia, Sardegna e Milano e tra queste con Francoforte, Londra, Madrid, Mosca, l’aereo non ha competizione con nessuno. Anche questo è previsto nel nostro piano: potenziamento degli aeroporti terminali per i collegamenti europei, creazione di un grande HUB per i collegamenti intercontinentali, collegamento di questo HUB con l’AV di modo che, chi viene dal mondo su Roma, così come su Malpensa o su Venezia, sia messo in condizione di raggiungere agevolmente il resto d’Italia. Adesso: questo modello al Nord è già esistente tanto che chi oggi arriva a Venezia, da qui può agevolmente andare in tutte le direzioni, cioè arrivare a Milano e da Milano a Firenze e quindi a Napoli. Allora, 1/3 d’Italia ormai funziona così. E lo stesso vale per chi arriva da Roma e volesse spostarsi verso il Nord. La tragedia è per chi, da Roma, pensasse di voler andare nel Mezzogiorno perché da qui è costretto a prendere l’aereo.

LR: Quale è la situazione del sistema industriale dell’aviazione civile in questo momento?

VR: Il sistema industriale dell’aviazione civile italiana è capace di garantire collegamenti, ma è sotto schiaffo perché i costi e la concorrenza che gli fanno le grosse low cost europee, Ryanair e Easyjet, rischia di vederlo scomparire. Cioè, in questo momento l’intero sistema industriale italiano, nonostante gli sforzi che si

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sono fatti con la riorganizzazione di Alitalia, vede una difficoltà finanziaria. Questo è un grande rammarico perché Alitalia oggi funziona molto bene, però ha delle difficoltà note che riguardano la struttura finanziaria che la regge; Meridiana si regge sui soldi dell’Aga Kahn e sta tagliando, Blu Panorama è in amministrazione controllata, le altre stanno fallendo o sono già fallite. Allora, noi praticamente viaggeremo quasi tutti su aerei inglesi o irlandesi.

LR: Ovvero, il Sistema Italia è sotto scacco da società private estere?

VR: La concorrenza non è un feticcio. La concorrenza è una dolorosa necessità delle società aperte ed ha una fase distruttiva perché chi era abituato alle logiche del monopolio non riesce a stare al passo; poi se riesce a superare questa fase distruttiva, inizia una fase virtuosa che è l’abbassamento dei prezzi per i consumatori e un efficientamento. Ma quando si dice efficienza, non bisogna fare retorica; efficienza significa pagare meno la gente, avere meno garanzie per le persone, ovviamente in nome del fatto che il suo concorrente fa cose migliori di quelle che fai tu. Quindi, c’è anche una componente importante nell’innovazione ma è dolorosa. Qui, invece, sembra che prima per anni abbiamo difeso il monopolio, poi abbiamo sposato la concorrenza a tutti i costi, cosa che non hanno fatto in Francia e nemmeno in Germania, in quanto le strutture pubbliche che gestivano le grandi compagnie o le grandi produzioni industriali – non dimentichiamoci che Volkswagen è pubblica – erano assolutamente impermeabili alle logiche distruttive di tipo clientelare.

In Germania avevano e continuano ad avere una classe burocratica con un personale forse iper dimensionato, che però è riuscita a mantenere il monopolio sulle rotte intercontinentali.

Perché vede, riflettendo su quello che dicono al Paese questi giovanotti della Nouvelle-Vague monetarista e concorrenzialista: è possibile mai che una struttura regga la concorrenza senza dei processi di sostegno Istituzionale, economico, ambientale che hanno avuto sia i Tedeschi sia i francesi? Quelli lì hanno mantenuto la Proprietà Pubblica inutile, in modo tale che poi, quando hanno deciso di privatizzarla, intanto hanno resistito alla concorrenza anche con qualche sgarbo fatto; noi avevamo strutture monopolistiche fragili, anche quelle private, che rispetto all’urto sono andate in frantumi. Oggi siamo un mercato aperto a tutti che, per carità va benissimo, purché si sappia che questo costa in termini di saperi nazionali e in termini di qualità della vita delle persone. Qualità di vita che, va detto, si abbasserà.

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1. La strategia ambientale in Europa e in Italia

Il sistema del verde urbano: strategie, caratteri e costi 2.1. La strategia ambientale in Europa e in Italia Per capire e comprendere il contesto europeo, sulla base degli effettivi valori ecologici, in grado di stimolare un’econo‑ mia che includa anche indici di carattere ambientale (fino ad ora non presenti) è necessario innanzitutto poterlo descrivere a partire da effettivi studi e dati scientifici. C’è tanta letteratura scientifica in merito che espone procedure e metodi descrittivi.

In tale sede, ci si può affidare ai lavori prodotti dalla European Environmental Agency (EEA), che basa la sua attività su una classificazione delle Regioni europee su base biogeografica, individuando altresì cinque grossi temi di interesse ambientale, cioè l’inquinamento atmosferico, la biodiversità, i cambiamenti climatici, lo sfruttamento del suolo e l’acqua.

2.1.1 Le regioni biogeografiche europee In base a questa classificazione, l’Europa delle 25+2 Nazioni si suddivide in nove grandi regioni, ognuna delle quali caratte‑ rizzate da distinti fattori ambientali, vegetali e animali, presenti in base a specifici fattori geografici, climatici, geologici, biolo‑ gici e storici. In tal modo, l’Europa viene suddivisa in: Steppica, Pannoniana, Mar Nero, Boreale, Continentale, Atlantica, Alpina, Macaronesiaca e, infine, Mediterranea. La loro delimitazione si basa sull’individuazione di ambiti territoriali, indipendentemente dai loro confini politico-amministrativi e aventi caratteristiche ecologiche omogenee. Nella fattispecie, l’Italia rientra nelle tre regioni, Mediterranea, Continentale e Alpina.

Ad esempio, per ciascuna regione biogeografica si dispon‑ gono dati molto dettagliati sul rilevamento della qualità dell’aria e sull’inquinamento legato ai componenti di O3, PM10, NO2, SO2, C6H6, PM2.5, Pb, CO. Come per le altre tematiche, il data‑ base sulla qualità dell’aria consiste su una serie di rilevamenti di annata, specifici per ogni componente inquinante individuato, che raccolgono dati di misurazione e statistiche, in base alla 97/101/EC Council Decision, che stabilisce le modalità attra‑

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Forme del verde urbano: strategie, caratteri e costi

146 Il Nord-America è la più urbanizzata tra tutte le maggiori aree geografiche: Nel 2010, circa l’82 % della popolazione vi‑ veva in aree urbane, appena sotto il 64 % nel 1950. Sulla base di questi dati, le proiezioni sulla popolazione urbana del Nord-America dicono che questa toccherà circa l’89% nel 2050. Anche l’America Latina appare molto urbaniz‑ zata. Circa il 79% della popolazione vi‑ veva in aree urbane nel 2010. Nel 1950, la percentuale urbana era solo del 41%.

Nel 2050, questa è proiettata a raggiun‑ gere l’87%.

Per quanto riguarda la popolazione ur‑ bana europea, nel 1950, appena poco della metà di questa viveva in aree urba‑ ne. Nel corso del anni la crescita è sta‑ ta più lenta rispetto a quella avvenuta in America Latina, arrivando a toccare nel 2010 appena circa il 73%. In Asia l’urba‑ nizazione è stata bassa nel 1950 - solo il 17% liveva in aree urbane. Oggi, que‑ sta è incrementata fino al 44% - appena poco superiore al livello di urbanizza‑ zione dell’America Latina nel 19650. Si prevede che questa toccherà quota 64% nel 2050.

Fonte: www.eea.europa.eu - Created : Nov 12, 2009 Published : Jan 01, 2002 Last modified : Nov 29, 2012 11:41 AM

verso cui deve avvenire lo scambio reciproco di dati e informa‑ zioni dalla rete delle stazioni di monitoraggio dell’inquinamento dell’aria tra gli Stati Membri (Exchange on Informations - EoI Decision). Proprio perché l’inquinamento dell’aria è un problema comune a tutti gli Stati membri, la EEA provvede in accordo con la Comunità Europea a prendere decisioni atte a regolare lo stato dell’aria per l’intera superficie del continente. Andando nello specifico degli indicatori dello stato di salute ambientale, le componenti inquinanti vengono individuate in base al settore di

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Fig. 2: Trend in emissions of air pollutants from transport in EEA-32. (fonte: Transport emissions of air pollutants (TERM 003) - Assessment published Feb 2013)

Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Sviz‑ zera e Turchia non essendo membri dell’Unione europea, non hanno limiti di emissione stabiliti ai sensi della Direttiva sui Limiti Nazionali di Emissione 2001/81/ EC (EC, 2001). Ciò nonostante, Norvegia e Svizzera hanno ratificato il Protocollo di Gothenburg (UNECLE LRTAP), che richiede di ridurre le loro emissioni in ac‑ cordo ai limiti specificati nel protocollo del 2010. Anche Lichtenstein ha firmato ma non ha ratificato l’accordo.

La Direttiva 2008/50/EC (EC, 2008) stabi‑ lisce per gli Stati Membri, valori limiti per le maggiori concentrazioni di inquinanti in atmosfera, includendo diossido di zol‑ fo (SO2), diossido di azoto (NO2), parti‑ colato (PM 2.5 e PM10), piombo, monos‑ sido di carbonio (CO), benzene (C6H6), e ozono (O3). La progressiva introduzio‑ ne degli standard di emissione Euro ha di fatto ridotto le emissioni di NOX, CO, composti volatili organici (VOCs) e PM.

ricerca. Per quanto concerne, ad esempio, il contributo del set‑ tore dei trasporti (strada, nave, aereo e ferroviario) e dei non-tra‑ sporti, tra il 2009 e il 2010, ad eccezione del Monossido di Car‑ bonio, se ne registra un decremento con una percentuale che si aggira tra il 2.5% e il 10 %. Durante l’arco di tempo compreso tra il 1990 e 2010, i principali inquinanti che contribuiscono alla formazione di particolato acidificato e alla formazione di ozono, hanno mostrato una tendenza alla riduzione delle emissioni all’interno dei 32 Stati che partecipano al network di EEA. Come si può evincere dal grafico (Fig. 2), Il decremento per‑ centuale più largo lungo il ventennio 1990-2010 è rappresentato dall’Ossido di Carbonio (CO) con un valore pari al 76% e dalle sostanze organiche volatili non-metano (NMVOC) con un valore pari al 75%. Tuttavia, l’aumento delle attività di spedizione merci a partire dal 1990 hanno compensato le anzidette riduzioni, in particolare per Ossido di Zolfo (SOx), ma anche per Ossido di Azoto (NOx) e Particolato (PM). Allo stato attuale, le spedizioni internazionali contribuiscono con una quota pari a circa l’87% delle emissioni di Ossido di Zolfo (SOx) di tutte le modalità di tra‑ sporto. L’aumento del trasporto merci su strada spiega di fatto la maggior parte dell’aumento di Ossido d’Azoto (NOx) nel 2010.

La tabella in Fig. 3 mostra gli indicatori, per ogni distinto com‑ ponente inquinante e l’origine legata alla tipologia di trasporto

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Fig. 3: Il contributo del settore trasporti rispetto al totale delle emissioni di inquinanti in atmosfera nel 2009 (EEA-32). (fonte: Transport emissions of air pollutants (TERM 003) - Assessment published Feb 2013)

1. La strategia ambientale in Europa e in Italia

o non-trasporto e la loro concentrazione nell’arco di tempo dal 1990 al 2010. Tutti gli inquinanti possono legarsi all’interno delle sostanze acidificanti, particolato e percursori dell’ozono. In par‑ ticolare, come si vede, i trasporti sono responsabili principal‑ mente delle emissioni di Ossido di Azoto (NOx), composti orga‑ nici volatili non metanici (NMVOC), Particolato (PM) e Ossido di Carbonio (CO). Nella fattispecie, l’Ossido di Azoto (NOx) con‑ tribuisce all’acidificazione, alla formazione di particolato (PM) e dell’ozono (O3) a livello di terra, responsabile di danneggiare le foglie degli alberi, della diminuizione del valore ecologico di parchi nazionali e riserve, del valore economico delle specie ornamentali e della qualità dell’arredo urbano. Per ciò che con‑ cerne le sostanze acidificanti, l’Ossido di Azoto (NOx), l’Ossido di Zolfo (SOx) e l’Ammoniaca (NH3) rilascati in atmosfera cau‑ sano l’acidificazione dei suoli e delle acque e le conseguenti reazioni chimiche e depositi negli ecosistemi, negli edifici e nei loro materiali di costruzione, sottoforma di agenti corrosivi. Altra minaccia che investe direttamente la popolazione urbana, pre‑ giudicando lo stato di salute sottoforma di problemi a carico del nostro apparato respiratorio, è rappresentata dalla formazione del Particolato che può essere di primaria emissione di PM10 e PM2.5, oppure può agire da precursore (NOx, SOx, NH3) e conduce alla produzione secondaria di particelle inorganiche fisico-chimica nell’atmosfera. Di fatto, questo significa che una frazione importante della popolazione urbana è esposta a livelli di polveri sottili al di sopra di valori limite di qualità dell’aria fis‑ sati per la protezione della salute umana. La sola componente legata all’indicatore dell’Ossido di Azoto (NOx) che lungo l’arco di tempo di 20 anni si assesta al dato percentuale del 58% è di per sè un fatto assai preoccupante. Se consideriamo che di questa percentuale il 33% è rappresentato dagli scarichi delle automobili, è purtroppo evidente che il maggior peso lo hanno sulle spalle proprio le popolazioni urbane, specialmente quelle che vivono nei contesti urbani nei quali le strade e in generali gli spazi pubblici sono caratterizzati dal dominio incontrastato dei veicoli privati. Nella fattispecie, sono maggiormente interes‑ sati da questo fenomeno i contesti di città diffusa, in cui l’uso dell’automobile è prevalente rispetto all’uso dei mezzi pubblici; in queste realtà urbane sono particolarmente presenti, quindi, gli effetti dell’inquinamento sul clima, sia alla scala urbana che alla scala regionale.

2.1.2 Le regioni biogeografiche italiane Dal punto di vista del suo contesto, l’Italia risulta uno dei paesi a più alta diversità biogeografica in Europa: infatti nel ter‑

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ritorio nazionale si individuano ben tre regioni diverse, l’Alpina (in corrispondenza della catena alpina e dei massicci abruz‑ zesi), la Continentale (corrispondente alla Pianura Padana e all’alto litorale adriatico) che ricade nella porzione compresa tra il crinale della catena degli appennini e le Alpi, la Mediterranea (comprendente le isole maggiori, l’Italia meridionale e le regioni liguri – tirreniche).

2.1.3 I valori microambientali del verde urbano I processi ecosistemici sono il risultato di interazioni comples‑ se tra componenti biotiche e abiotiche degli ecosistemi stessi (Scott et al. 1998) dalle quali si generano beni e servizi (ES) di interesse antropico. A tal riguardo, numerose sono le classifica‑ zioni disponibili nella letteratura scientifica.

De Groot (1992) ha proposto una lista di servizi naturali distinta in quattro categorie con funzioni tra loro fortemente interdipen‑ denti. Nel modello proposto, le funzioni regolatorie relative ai processi ecologici interni agli ecosistemi stessi (cicli biogeochi‑ mici, bilanci energetici etc) influenzano le funzioni di produzione (cibo e altre materie prime) o di supporto (agricoltura, turismo, etc.) i cui benefici affluiscono ai sistemi sociali ed economici.

Classificazione dei servizi ambientali svolti del verde urbano (ISPRA, 2010)

1. La strategia ambientale in Europa e in Italia

Altri studiosi hanno riproposto altre classificazioni che pur con lievi variazioni della terminologia adoperata, presentando in li‑ nea di massima la stessa impostazione. Stig Wanden e Peter Schaber (Commissione Europea, 1998) identificano funzioni che hanno valori informativi (estetico, educativo, scientifico, orientazionale, segnale), etici (es. diritti di esistenza per tutte le creature viventi), di produzione (ad esempio la produzione di cibo, fibre, frutta) e di supporto vitale (ad esempio fissazione del carbonio da parte delle piante verdi, protezione del suolo contro l’erosione, il mantenimento della struttura del suolo e della ferti‑ lità per una sana flora e la fauna del suolo, il controllo biologico delle colture e frutti da insetti, ecc.).

Anche la città è da considerarsi un vero e proprio ecosistema e gli elementi naturali che in essa trovano sede, per quanto sot‑ toposti a ingenti pressioni antropiche, sono da considerarsi co‑ munque soggetti ai medesimi meccanismi ecosistemici esistenti in Natura. Chiesura et al. (2003) propongono per il verde urbano la seguente classificazione funzionale, considerando che, pur sottoposto agli stessi processi di interazione e scambio tra le varie matrici ambientali, tuttavia, suggerisce una riconsidera‑ zione per via delle peculiarità legate al caso specifico dei con‑ testi urbani. Si riconoscono la funzione ecologico-ambientale, la funzione igienico-sanitaria, la funzione protettiva, la funzione

Alcuni servizi ambientali, sociali ed economici del verde urbano (ISPRA, 2010)

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sociale e ricreativa, la funzione culturale e didattica, la funzione estetico-architettonica.

Si riporta a seguire una breve trattazione dei valori del verde urbano.

La presenza del verde nei tessuti urbani è un elemento di impor‑ tanza vitale nella pianificazione urbana. Tuttavia, sono stati tanti i casi di città, in Italia e in Europa che si sono sviluppati ignorando le pur minime misure di presenza di verde incorporata all’interno della trama urbana. Eppure sono innegabili i benefici che appor‑ ta la presenza del verde urbano, specialmente se si considera il fatto di essere un elemento che connota e sottolinea la partico‑ larità e specificità dei paesaggi urbani, rendendo gli stessi più o meno gradevoli o attrattivi. La differenziazione tra le diverse specie arboree, unitamente alle loro caratteristiche di portamen‑ to, colore e struttura che sono in grado di mutare la luce di una strada, la temperatura del microclima, i colori, è certamente un elemento che conferisce qualità alle parti di città. La fitodiversità arborea, quindi, è indubbiamente un valore aggiunto per la ric‑ chezza del paesaggio urbano.

Ancora, va però detto che affinché l’elemento vegetazionale possa apportare il massimo dei benefici possibili alla città, è ne‑ cessario che questo venga inteso come un vero e proprio siste‑ ma infrastrutturale, una “infrastruttura verde” che va progettata e gestita come le normali infrastrutture grigie di cui è costituita la città e per mezzo della quale è possibile la mobilità veicolare, sia essa “lenta”, sia essa “veloce” e che a queste si affianca.

Al di là delle differenze o delle peculiarità che caratterizzano il tessuto urbano, lo sviluppo della suddetta infrastruttura verde nelle città deve essere inteso come un sistema del tutto coeso e coerente non il tessuto al quale fa riferimento. Cioè a dire che, malgrado una città possa essere dotata al suo interno di magni‑ fici esempi di parchi e giardini, tuttavia questi ultimi ben poca utilità possono apportare all’intera compagine urbana se ubicati in contesti isolati o comunque non collegati tra loro tramite stra‑ de sufficentemente alberate. Il progetto dell’infrastruttura verde avrebbe quindi lo scopo di mettere a sisitema le preesistenze, dando in tal modo loro un ruolo inedito nel contesto del sistema generale urbano. Alla stessa maniera, l’infrastruttura verde gio‑ ca un ruolo cruciale proprio in quelle zone urbane di trasnizione tra le aree periferiche e le zone semirurali. A tal riguardo, vale la pena considerare che oggi il progetto delle infrastrutture di mo‑ bilità nell’ambito del processo più generale di trasformazione del paesaggio insediativo, va revisionato in relazione di un recupero della funzionalità ecologica. Non basta, cioé, recuperare spazi al solo scopo di un disegno territoriale basato sulle infrastrutture, ma il ridisegno urbano va senza dubbio inquadrato o inscritto nei canoni del dialogo interdisciplinare (B. Secchi, 2007). Il re‑

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cupero delle aree dismesse ex industriali o ex ferroviarie, nelle quali il verde non era una priorità, deve prevedere un reinseri‑ mento nel tessuto urbano che ricuce i tessuti circostanti, dando a questi la nuova funzione di nodi ecologici all’interno di una logica strategica infrastrutturale verde. Il recupero di questi spa‑ zi, sia che questo avvenga tramite un sistema viario alberato piuttosto che con copertura vegetale arborea può senza dubbio addolcire il passaggio da un tessuto densamente costruito ad uno sfrangiato proprio delle zone periferiche. Si vanno sempre più diffondendo nelle varie città che, ormai da tempo, hanno avviato programmi di rigenerazione urbana, iniziative sottoforma di creazione di cinture verdi o rinverdimenti ripariali di fiumi che attraversano la città con lo scopo di favorire la connessione tra gli spazi verdi preesistenti nella trama urbana.

Da tutto ciò ne consegue la riflessione che lo sviluppo del verde urbano deve essere inteso come una priorità, affinché possa avvenire uno sviluppo urbano capace di colmare le frammen‑ tazioni ecologiche. Non quindi una componente risultante utile a colmare le fallanze dei terreni marginali o ancora urbanistica‑ mente indefiniti. Va anche precisato che, proprio nel caso dell’in‑ serimento del verde, questo aspetto non può certamente essere compiuto senza una meticolosa indagine delle caratteristiche ambientali dei luoghi deputati ad accogliere le specie arboree: poiché senza una preventiva analisi condotta in tal senso, si corre il rischio di imporre alla componente vegetale condizioni spaziali inadeguate, stress idrico, e condizioni atmodferiche av‑ verse capaci di condizionare il loro processo di accrescimento e, di conseguenza, il benessere ambientale stesso. Oltretutto un uso inadeguato della componente del verde comporterà fre‑ quenti interventi di potatura, se non addirittura la sostituzione degli esemplari stessi, con inevitabili costi economici e ambien‑ tali ai danni della collettività.

Il risultato di una corretta configurazione della Infrastruttura verde urbana è quella di una stabilizzazione dei corridori verdi all’interno della città. Di connettere cioé le aree verdi all’interno della città tramite corridoi ecologici, ma anche di consentire la permeabilità degli elementi naturali dall’esterno verso l’interno della città stessa. Infine, vanno ricordati tra i valori microambien‑ tali del verde l’offerta ai cittadini della possibilità di riposarsi, di rilassarsi, di passeggiare o di godere della naturalezza.

2.1.4 Il verde urbano e la regolazione del confort termico locale Ancor più delle valenze estetiche, la presenza del verde all’inter‑ no del contesto urbano implica il miglioramento delle condizioni

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di abitabilità del paesaggio urbano e, segnatamente, del confort termico nel microambiente. Il bilancio di calore nella città è un fattore risultante dall’interazione tra le caratteristiche climatiche, morfologiche e dei materiali costituenti lo spazio urbano (Oke, 1979; Oke, 1982; Roth et al., 1989; Quattrochi et al., 2000). In particolare, il fenomeno dell’Isola di calore (Urban Heat Island – UHI) maggiormente evidente nella stagione invernale e durante le ore notturne (Taha, 1997; Tereshchenko e Filonov, 2001), è dovuto, appunto, per le modificazioni di questi fattori sul clima.

Le medie realizzate in differenti contesti urbanizzati hanno mo‑ strato una differenza termica di circa 4° tra le zone urbane pe‑ riferiche e quelle urbane. Ciò che determina questo scarto dif‑ ferenziale dipende dall’aumento delle vegetazione nelle zone sfrangiate delle periferie urbane e, al contempo, la riduzione delle fonti calore provenienti dal traffico urbano, dai materiali di costruzione delle infrastrutture e degli edifici e, naturalmente, dalle caratteristiche morfologiche degli spazi pubblici urbani.

Specialmente in occasione della stagione estiva, il fenomeno dell’UHI incide nella salute umana per la temperatura dell’aria in città che, in corrispondenza delle ondate di calore, non soltanto nelle ore diurne raggiunge valori più elevati rispetto alle aree rurali circostanti, ma vieppiù si mantiene elevata anche nelle ore notturne; ne deriva da ciò che si riduce la capacità di ripresa dell’organismo umano dalle condizioni di estremo calore a cui è stato sottoposto durante il giorno (Kalkstein e Davis, 1989).

In tal senso, le aree verdi svolgono un ruolo fondamentale nel‑ la mitigazione dell’Isola di calore poiché contengono un’elevata concentrazione di acqua (Taha, 1997), immagazzinano meno energia rispetto alle aree urbane (che si caratterizzano per le superfici più scure, come asfalto e vari materiali di costruzione), che in piccola parte viene riemessa soprattutto sottoforma di calore latente, mentre per la maggior parte viene utilizzata dalle piante stesse come forma di nutrimento. Diversamente, quin‑ di, dai materiali inerti di cui è composta la città che hanno la capacità di cedere il calore assai più lentamente rispetto alla vegetazione, la parte di radiazione riemessa da quest’ultima di‑ minuisce ulteriormente. In contesti privi o con scarsa percen‑ tuale di vegetazione, si verifica quello che viene definito come effetto canyon (Arnfield et al., 1999; Santamouris, 2001): nelle zone urbane densamente costruiti da palazzi molto alti, la quota di infrarosso viene in parte intrappolata dai canyon e riassorbita dai materiali di costruzione. La relazione tra la vegetazione e il microclima è, pertanto, molto importante perché più di qualsiasi altro materiale che si riscontra in città è capace di restituire indi‑ ci in grado di dire tanto sul bilancio di calore sensibile e latente.

Il fenomeno dell’evapotraspirazione (ET) fogliare ingloba il totale del vapore acqueo contenuto nel substrato e nella superficie

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fogliare. Ciò, poiché le piante hanno un’alta capacità di regola‑ re la loro temperatura per mezzo dei meccanismi di apertura e chiusura degli stomi fogliari a seconda se le foglie stanno nella parte sommitale della chioma, esposta ai raggi solari, piuttosto che nella parte basale della stessa dove restituiscono freschez‑ za sottoforma di umidità rilasciata al suolo nella zona d’ombra.

Souch and Souch (1993) hanno calcolato che l’aria al di sotto delle chiome di piccoli gruppi di alberi ha una temperatura più bassa di circa 0.7° C - 1.3° C rispetto a quella misurate nell’area circostante. Per questa ragione la presenza di alberature nelle strade così come nelle piazze delle città, specie in quelle me‑ diterranee caratterizzate da potenti oscillazioni termiche e con‑ siderevoli differenze tra temperature minime e massime, mitiga proprio gli effetti delle differenze di temperatura tra minima e massima così come nelle ore del giorno e della notte. La scelta di specie sempreverdi consente di assicurare ombra in estate e, qualora i filari di alberi sono adeguatamente posizionati, que‑ sti possono essere in grado di costituire un’efficacia barriera o anche di riparare dai venti. La traspirazione e le chiome degli alberi influenzano, quindi, non soltanto la temperatura dell’aria e l’assorbimento delle radiazioni e di calore, ma anche l’umidità relativa, la turbolenza dei venti e l’albedo, cioé il fenomeno di riflessione della luce proveniente dal Sole. Tutti questi parametri, a loro volta, condizionano il microclima, ma anche la concen‑ trazione di inquinanti in città (Nowak, 1998). Gli studi condotti all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, hanno evidenziato e misu‑ rato proprio l’effetto di “climatizzatore naturale” esercitato dagli alberi in città (Bernatzky, 1977). Simpson (1998) ha misurato che gli alberi operano un vero e proprio effetto di attenuazione delle temperature massime calcolate a mezzogiorno, con oscillazioni che vanno da 0.04°C a 0.2°C per punto percentuale di copertu‑ ra vegetale. La riduzione della temperatura atmosferica ha effetti positivi sulla qualità dell’aria perché l’emissione/formazione di molti inquinanti e precursori di ozono dipendono proprio dalla temperatura. Ne deriva, quindi, che se si vuole ottenere una mi‑ gliore qualità di vita all’interno dei contesti urbani, è opportuno agire sia nella direzione di una razionalizzazione dell’intermoda‑ lità del sistema di mobilità, ma anche affiancare alle “infrastrut‑ ture grigie” un potente sistema di “infrastruttura verde” capace di attenuare gli effetti della mobilità. Altri effetti positivi indiretti, derivati dalla presenza di verde all’interno delle città, sono stati evidenziati dagli studi condotti da McPherson (1991), che hanno evidenziato come una pianificazione urbana, incentrata sull’uso di una infrastruttura verde da innestare all’interno dei contesti urbani possano apportare benefici anche da un punto di vista economico: se, infatti, si considera che l’effetto dell’ombreggia‑ mento da parte delle chiome degli alberi in associazione con

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l’azione di evapotraspirazione riduce la quantità di energia ra‑ diante assorbita dagli edifici e l’energia radiante in energia la‑ tente, si comprende come abbassando la temperatura dell’aria diminuisce anche l’esigenza di utilizzo dei condizionatori. Si per‑ viene ad un risparmio energetico (minore uso di condizionatori) calcolando che negli Stati Uniti, la domanda di energia elettrica aumenta dal 3 al 4% per ogni grado di temperatura. Akbari et al (1992) hanno calcolato che una quota che va dal 3 all’8% circa della domanda di energia elettrica è utilizzata per il condi‑ zionamento al fine di contrastare gli effetti derivati dalle isole di calore. Per quanto riguarda il caso italiano, Barbera et al. (1991) hanno stimato per le città di Roma e Milano risparmi energetici pari all’8-11% se si perviene ad un abbassamento di 2°C della temperatura, ottenibile per mezzo di un semplice incremento del 10% delle superfici a verde. Chiaramente, i benefici non sareb‑ bero solo da ascrivere alla sfera economica ma, bensì, anche a quella della salute pubblica (minori rischi di danni da caldo).

L’effetto combinato dell’ombreggiamento e del raffrescamento sulle aree alberate costituisce un servizio ecosistemico prezio‑ sissimo per cittadini e turisti, costretti a contrastare le sempre più frequenti ondate di calore.

2.1.5 Il verde urbano e la gestione delle risorse idriche La costruzione della città moderna ha un grande impatto sul ciclo dell’acqua, la quale a sua volta riversa la sua influenza sui suoli, poco progettati per il suo convogliamento, raccolta e im‑ magazzinamento, causando stress sulle piante e animali in città.

Le strade della città sono generalmente impermeabili all’acqua perché asfaltate o lastricate e, inoltre, gli edifici stessi impedisco‑ no all’acqua che possa infiltrarsi sul terreno. Il risultato di tutto questo stato di cose sfocia nel fatto che l’acqua derivante dalla maggior piovosità si disperde, incanalandosi nel sistema delle rete fognaria, rendendo pertanto impossibile un suo riutilizzo per altri fini. Le tradizionali regole di pianificazione urbana, quindi le attuali configurazione della rete infrastrutturale dei trasporti fa si che questa acqua si perda per la città. Diversamente da quanto avviene negli ecosistemi naturali, in cui l’evaporazione è un importante mezzo di superficie raffreddamento, nell’ecosi‑ stema urbano le superfici urbane impediscono che l’acqua filtri nel terreno e che in seguito possa disperdersi per evaporazione all’atmosfera. Per altro verso, proprio l’impermeabilità stessa del suolo è causa all’interno delle città di violenti e improvvisi alla‑ gamente nelle sedi stradali, generando blocchi del traffico, con‑ gestione, inquinamento dell’aria; ed ancora, il veloce deflusso

1. La strategia ambientale in Europa e in Italia

delle acque dai suoli impermeabili urbani verso la periferia può aumentare le probabilità di inondazioni a valle. Tutto ciò dovuto al fatto che il microclima urbano, come detto in precedenza, ha temperature e condizioni atmosferiche in termini di particolato che favoriscono la formazione della pioggia per effetto della condensazione delle gocce d’acqua. Di fatto, è stato calcolato che alcune aree urbane hanno il 5-10% in più di propbabilità di di precipitazioni e considerevolmente più nuvolosità e neb‑ bia di quanto non facciano le zone circostanti (Botkin e Keller, 1995). A fronte di tutto questo scenario, la presenza del verde urbano costituisce un potentissimo effetto di mitigazione sia per gli effetti dell’acqua, devastanti per i suoli urbani ed extraurba‑ ni, sia perché può essere un più che valido aiuto ai fini di una efficiente gestione delle acque meteoriche in senso di rispar‑ mio di risorse e approvvigionamento idrico. Nelle città il suo‑ lo sprovvisto di una adeguata copertura alberata è esposto al fenomeno dell’erosione. D’altra parte, l’acqua rappresenta una risorsa indispensabile per la sopravvivenza stessa delle piante.

Le necessità idriche necessarie per il verde urbano saranno de‑ terminate attraverso fattori che sono la risultante tra le perdite, gli apporti naturali o accidentali e le necessità metaboliche della pianta. Il verde urbano non soltanto consuma acqua ma anche rappresenta un buon indicatore per ciò che concerne la qualità stessa dell’acqua. Ciò è dovuto alla capacità che ha la pianta di estrarre e ritenere i nutrienti e gli altri componenti necessari al suo funzionamento metabolico. Il verde consente a sua volta di aumentare gli indici di infiltrazione e umidità e di diminuire l’irra‑ diazione del suolo. Consente, inoltre, di immagazzinare acqua attraverso le infiltrazioni nel suolo, evitando quindi le perdite per evapotraspirazione. Il verde, cioé può essere benissimo consi‑ derato, già in sede di progetto di pianificazione, come un aiuto e un supporto ai fini di una gestione ottimale dell’acqua sia per ciò che concerne l’uso specifico per il verde stesso migliorando‑ ne la sua efficienza, sia ancora per un uso più sostenibile della risorsa idrica stessa.

2.1.6 Il verde urbano e il miglioramento della qualità dell’aria La composizione chimica dell’aria contaminata di una città è molto complessa, poiché in essa si individuano centinaia di componenti emessi dalle fonti di produzione in combinazione con i derivanti delle reazioni chimiche di questi elementi con l’at‑ mosfera. Le piante interagiscono con gli agenti contaminanti e possono fissare una quota parte di queste particelle tramite due meccanismi: per sedimentazione oppure per impatto. Come già

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esposto, la presenza degli alberi, riduce la velocità del vento e, le particelle più grosse contenute nell’atmosfera sedimenta‑ no per semplice effetto della gravità. D’altra parte, l’impatto dei queste particelle con la superficie fogliare delle piante ne frena la loro dispersione. Va detto, quindi, che ogni specie vegetale è caratterizzata da una diversa capacità di cattura del partico‑ lato e numerosi e complesse sono le variabili coinvolti in questo processo. La cattura del particolato atmosferico sulle superfici fogliari di specie arboree è all’incirca maggiore del 20-25% ri‑ spetto a quella osservata per le specie arbustive (Bunzl et al., 1989). Questo è dovuto sia per un fatto meramente quantitativo e cioè a dire perché gli alberi hanno una maggiore superficie fo‑ gliare, ma, anche perché sviluppandosi in altezza di fatto le loro foglie sono più esposte al vento rispetto a quelle degli arbusti (Mc Pherson et al., 1994; Beckett et al., 1998, 2000). In genera‑ le, piante con rami densi e fogliame fitto, sono più efficienti, poi‑ ché caratterizzate da una maggiore superficie fogliare (Beckett et al., 2000a). Va da sem quindi, che in sede di progettazione urbana del verde, la preferenza va nettamente a favore per la scelta di questo tipo di alberi, rispetto ad altri che, magari più esteticamente appetibili, tuttavia non presentano un rendimento di fitodepurazione con livelli apprezzabili pari a quello registrato per specie arboree a fogliame fitto. Una volta che il particolato si è depositato nella superficie fogliare, in seguito, le precipitazioni piovose lavano la superficie fogliare facendo si che le particelle prima contenute in atmosfera e in seguito catturate dalle foglie stesse, vengano dilavate depositandosi al suolo. Studi sulla in‑ fluenza della vegetazione sulla qualità dell’aria e sul clima urba‑ no, evidenziano almeno quattro forme di coinvolgimento della qualità dell’aria nel verde urbano: a) riduzione della temperatura e degli effetti sul microclima; b) diminuizione dei contaminanti atmosferici; c) emissione dei composti organici volatili; d) effetti energetici delle abitazioni.

Ancora, i risultati mostrano l’inflenza della vegetazione tanto nel confort termico del pedone come nel livello di qualità dell’aria dentro e nell’intorno dello spazio verde. Anche il momento del giorno condiziona la capacità dispersiva dell’atmosfera e con‑ seguentemente i livelli della qualità dell’aria. Infatti, diversi studi hanno dimostrato che il verde urbano, seppur incida in modo assai marginale sui valori di concentrazione media annua di Idrocarburi policiclici aromatici (IPA), tuttavia riesce a contenere i picchi orari di concentrazione dei contaminanti atmosferici fino a valori del 10-15% (Nowak et al., 2006; Currie e Bass, 2008).

A tal proposito, per ciò che concerne i criteri da seguire per l’inserimento del verde nelle città funzionale ad ottenere benefi‑ ci per una migliore qualità dell’aria, va detto che la valutazione

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da effettuare non è affatto semplice, poiché ciò dipende da tut‑ ta una serie di fattori locali quali (i) l’estensione della copertura arborea-arbustiva, (ii) la posizione e composizione, (iii) il clima e naturalmente (iv) il livello d’inquinamento dell’aria (Marchiol, Zerbi, 2013). Inoltre, è buona norma effettuare analisi volte ad in‑ dividuare quelle caratteristiche eco-fisiologiche delle piante che hanno un ruolo di fondamentale importanza nella mitigazione dell’aria (Brack, 2002). Alberi e arbusti, infatti, giocano un ruolo fondamentale nel mitigare i livelli crescenti di CO2 nell’aria, per‑ ché sequestrano la CO2 dall’atmosfera per formare, attraverso il processo della fotosintesi, i carboidrati essenziali per la costitu‑ zione della loro biomassa. Sono inoltre in grado di intercettare e trattenere diversi inquinanti, sia gassosi sia particellari, che, se inalati, provocano danni considerevoli alla salute.

Le sostanze inquinanti gassose presenti in atmosfera possono penetrare direttamente nelle foglie attraverso gli stomi (absorbi‑ mento) o possono diffondere attraverso la cuticola e le cere. Le sostanze idrosolubili (ad es. O3, NOx, SO2) sono preferibilmen‑ te assorbite attraverso la via stomatica e seguono, in tal modo, la via di diffusione della CO2. Le sostanze lipofiliche (ad es. idrocarburi aromatici, come benzene e toluene) penetrano nella foglia prevalentemente interagendo con lo strato epidermico, ed in particolare con la superficie cerosa che funge da “trappola” per gli inquinanti gassosi atmosferici (Holoubek et al., 2000).

2.1.7 Il verde urbano e la riduzione del rumore I livelli di inquinamento acustico sono in aumento nelle aree urbane, principalmente a causa dell’aumento del traffico non‑ ché delle attività industriali e ricreative. Secondo le stime, quasi il 20% della popolazione dell’Unione europea è vittima di livelli di inquinamento acustico ritenuti inaccettabili. Tale forma di inqui‑ namento può incidere sulla qualità della vita e sulla salute delle persone e può portare a significativi livelli di stress, disturbi del sonno e a ripercussioni negative sulla salute, come problemi car‑ diovascolari (http://www.europarl.europa.eu/aboutparliament/ it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.4.6.html). Gli alberi e gli arbusti ben selezionati, messi a dimora e curati svolgono funzione di barriera visuale, producono un certo isolamento dalle vibrazioni prodotte in città, riducono alcuni contaminanti in atmosfera e fre‑ nano l’azione del vento. In relazione al rumore, si può affermare che sono almeno due le maniere con le quali è possibile contra‑ stare il rumore: a) la distanza dalla fonte sonora, in ragione del fatto che il rumore sarà più o meno percepibile; b) un ostacolo o barriera frapposta nello spazio compreso tra la

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fonte emissiva e il punto di arrivo dell’onda sonora, capace di assorbire, deviare, riflettere o rifrangere il suono prodotto.

Secondo Grey e Deneke (1986), la diminuizione del rumore per mezzo di barriere arboree è condizionato da tanti fattori che è bene tenere in considerazione: al pari delle considerazioni già espresse per ciò che attiene alla qualità dell’aria, anche per il rumore l’efficacia del verde urbano per il contrasto dell’inquina‑ mento acustico dipenderà dalla ubicazione della barriera frangi rumori, dalla forma, dall’altezza e, in definitiva, dalla combina‑ zione di questi fattori e variabili con la fonte di generazione del rumore.

2.2 I caratteri del verde urbano

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Il concetto di “verde urbano” o “verde pubblico” nasce a partire dalla fine del ‘700 con l’Illuminismo per divenire, a seguito delle conquiste avvenute con la Rivoluzione Francese, simbolo di una raggiunta “apparente” condizione di egualitarismo sociale.

Nelle aree verdi e lungo i boulevards il borghese passeggiava a fianco con l’aristocratico possidente terriero, evento certamente impensabile se concepito all’interno dei giardini della Reggia di Versailles. L’Ottocento è il secolo che vede la nascita dei giar‑ dini pubblici in Francia, Inghilterra, Italia (Cocozza et al. 2002).

I boulevards sostituisco le vecchie cinte murarie, demolite per esigenze legate all’espansione urbana; i viali alberati e la siste‑ mazione degli squares tuttavia ripropongono ancora schemi legati alla tradizione della cosidetta “Arte dei giardini” , cioé ele‑ menti compositivi direttamente ascrivibili alla tradizione rinasci‑ mentale caratterizzata da regole formali, di simmetria, ossia di natura “disciplinata”. Tuttavia, il fatto rilevante è che questi stessi elementi della tradizione antica dell’arte dei giardini divengono e assurgono ad un ruolo di regolatori urbani, prova ne sia il fatto che nei piani e nei progetti urbanistici moderni, i materiali dello spazio verde hanno svolto ruoli molteplici. É il caso dei sistemi di parchi progettati da Olmstead nelle città americane, dei pro‑ getti parigini di Haussmann, oppure dei progetti degli anni ’30 di Wright e Le Corbusier, o di Van Eesteren per Amsterdam. In tutti questi casi, ma non soltanto in questi, il verde urbano inteso nelle sue differenti declinazioni ha contribuito a dare un volto identitario alla formazione della città moderna. Gli elementi del verde, quindi, sia intesi in senso isolato, sia ancora inseriti in logiche sistemiche, sono stati utilizzati con funzioni sanitarie e di decoro, sottoforma di elementi generatori di sviluppo urbano, conferendo nuove centralità alla città e, oggi, riscoprendo un nuovo ruolo in quelle che vengono denominate Green Infrastruc‑ tures (Infrastrutture verdi) costituendo con le reti infrastrutturali l’ossatura per le città in crescita e in trasformazione. Oggi, l’uso delle infrastrutture verdi stanno contribuendo a dare un nuovo volto alle realtà metropolitane. Città come New York, Calgari o Barcellona, devono tantissimo a questo nuovo modo di costruire la città, quindi la propria identità urbana.

Parallelamente al nuovo ruolo sociale assunto dalle forme della natura in città si assiste, vieppiù, alla diffusione dell’elemento verde che diventa “sistemico” nel contesto urbano, consente ai parchi e ai giardini la fuoriuscita o, se vogliamo, l’affrancamento dalla condizione di forma simbolica capace di riassumere al suo interno la dialettica della «natura come modello da imitare - natura come materia prima da plasmare », per divenire final‑ mente un fatto oggettivo, cioé luogo facente parte di un sistema

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2.2. I caratteri del verde urbano

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Forme della verde urbano: strategie, caratteri e costi

più complesso nel quale avvengono interazioni e scambi di informazioni biologiche tra le varie forme del vivente, uomo compreso (Arnolfi S., Filpa A. 2000). Non soltanto, quindi, luoghi del decoro e testimoni di valori civili oltre che di raggiunte affer‑ mazioni di idee progressiste, ma anche elementi di un sistema volto a migliorare le condizioni del benessere vitale all’interno dei contesti urbani.

Come anticipato sopra, oggi il verde urbano e la sua diffusione nelle città, indicata come auspicabile da Agenda 21 e dalla Carta di Aalborg, è divenuta un elemento di importanza fon‑ damentale e di imprescindibilità ai fini del miglioramento della qualità della vita nelle città. Parlando, però di caratteri e carat‑ teristiche del verde urbano, è necessario che si tenga in debito conto l’insieme di quei fattori insiti nell’elemento stesso del verde urbano affinché possano migliorarsi le sue prestazioni e, al con‑ tempo, facilitare le procedure connesse alla sua gestione, infine per consentire una più razionale pianificazione degli interventi di estensione delle aree verdi. Nei paesi anglosassoni l’urban forestry, (letteralmente: “forestazione urbana”) è la disciplina che si interessa del verde urbano, proprio quasi ad indicare la vocazione che ha il verde rurale ad innestarsi all’interno delle città, conferendo alle aree verdi inserite nella compagine urba‑ nizzataa una sorta di wilderness.

Sono diversi gli autori (Miller, 1998; Kuchelmeister, 2000; Koni‑ jnendijk et al., 2013) che concordano nel definire il sistema del verde urbano con il termine di urban forestry che, quindi, include: lembi residui di superfici agricole interne o esterne alla città, spazi naturali, incolti e abbandonati, strade alberate, viali, giardini e parchi un tempo ai margini della città ma adesso fagocitati dai processi di urbanizzazione, ville comunali, giardini cimiteriali, orti urbani ed extra urbani, aree ripariali, boschetti, frammenti di aree boscate, fasce di rispetto adiacenti ad aree stradali e ferroviarie spesso in disuso o dismesse, sponde di corsi d’acqua, incolti. Tali superfici, spesso, contengono un ele‑ vato grado di naturalità da non sottovalutare ai fini della salva‑ guardia del livello di biodiversità urbana. Tale “sistema del verde urbano” può e deve poter rappresentare per i sistemi urbani e per i cittadini una vera e propria risorsa multifunzionale oltre che assumere il ruolo di strumento di riqualificazione, rinnovamento urbano e di integrazione, specie tra la periferia e l’immediato intorno urbano.

Da un punto di vista della classificazione, i criteri per l’individua‑ zione del verde urbano differiscono a seconda della finalità alla quale viene rivolta l’attenzione. Ad esempio in Italia, secondo l’ISTAT, con verde urbano si intende “quello, disponibile per cia‑ scun cittadino, che include il verde storico, le ville, i giardini e i parchi che abbiano interesse artistico o storico e caratteristiche

2.2 I caratteri del verde urbano

di non comune bellezza (tutelati dal Codice dei beni culturali), la aree a verde attrezzato (quali i piccoli parchi e giardini di quar‑ tiere), le aree di arredo urbano (piste ciclabili, rotonde stradali, gli spartitraffico etc), i giardini scolastici, gli orti urbani, le aree sportive all’aperto, le aree destinate alla forestazione urbana ed altre tipologie di verde urbano quali orti botanici, giardini zoolo‑ gici, cimiteri, verde incolto”. Quindi troviamo: Aree di arredo urbano (Riqualificazione aree urbane a fini este‑ tici e funzionali alle funzioni del traffico urbano; Aiuole spartitraf‑ fico, aree di sosta, rotonde e barriere antinquinamento) Aree sociali (Giardini scolastici, orti botanici, vivai, giardini zoo‑ logici, cimiteri e aree residuali); Parchi urbani (Aree tutelate a norma delle disposizioni del Titolo 2 del D.Lgs 29 ottobre 1999, n. 490 e ville, giardini e parchi non tutelati a norma del Titolo 1 che si distinguono per la loro non comune bellezza…)

Verde storico (Aree tutelate a norma delle disposizioni del Titolo 2 del D.Lgs 29 ottobre 1999, n. 490 e aree sottoposte a vincoli di interesse paesaggistico, Legge 1489/39) Verde attrezzato (Verde delle circoscrizioni attrezzato per i gio‑ chi per i bambini, campi polivalenti, piste ciclabili, ecc).

Inoltre, a titolo di completezza sempre l’ISTAT riporta anche il caso degli “orti urbani”, una tipologia di crescente diffusione nelle città che, stranamente, include gli orti botanici; stranamente per‑ ché molti orti urbani sono oramai storicizzati a tal punto da aver smarrito il confine che separava un tempo l’originaria funzione di “biblioteche vive” per la visione e studio delle piante ad opera degli studiosi delle scienze botaniche, da quella che oggigiorno viene assolta in funzione dell’accoglienza di turisti desiderosi di conoscere piante annose e comunque interessanti per lo svi‑ luppo assunto nel corso dei decenni di storia. É ad esempio il caso dell’orto botanico di Palermo, già dalla fine del ‘700 meta di visitatori stranieri provenienti da tutta Europa (si rammenta il racconto appassionato che fa Goethe, al suo arrivo a Palermo avvenuto il 2 aprile 1787 e riportato nella sua opera “Viaggio in Italia”), in contiguità con il fatto di essere la sede dell’Accade‑ mia dei Regi Studi data l’istituzione della cattedra di Botanica e Materia medica. Inoltre, sono ascrivibili sottoforma di verde urbano anche le superfici agricole, sia per la loro elevata valenza ambientale in quanto parte attiva nei processi di formazione dei corridoi verdi e delle stesse infrastrutture verdi, come anche per il loro apporto ai processi di termoregolazione del microclima urbano (apporto positivo ai corridoi ecologici, mitigazione delle condizioni micro climatiche, assorbimento degli inquinanti atmo‑ sferici ecc.); ancora per il loro contributo alla caratterizzazione del paesaggio rurale che, spesso, a livello nazionale costitui‑ scono il tradizionale contrappunto visivo degli ambiti urbani. (la

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Forme della verde urbano: strategie, caratteri e costi

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campagna romana, i vigneti delle Langhe descritti da Cesare Pavese, gli uliveti delle colline fiorentine).

Relativamente ad una classificazione fatta in base a criteri connessi alle strutture vegetali, si tengono in considerazione‑ gli aspetti bioecologici e funzionali connessi all’essenza stessa delle strutture vegetali che, come è noto, possono essere estre‑ mamente diversificate. Di conseguenza, le tipologie vegetali del del verde sistemico sono diversificate in relazione al grado di naturalità più o meno elevato presente negli spazi aperti urbani.

• lembi residui di superfici agricole • spazi naturali • alberate • viali • orti botanici • giardini e parchi di ville una volta tipicamente rurali • ville comunali • orti urbani • aree ripariali • aree boscate - di superficie spesso limitata e frammentata • fasce di rispetto stradali e ferroviarie • sponde di corsi d’acqua • incolti Più semplice invece risulta la classificazione rispetto a criteri di ordine urbanistico. nello schema sotto si riporta la classifica‑ zione secondo Agostoni e Marinoni (1991).

2.2 I caratteri del verde urbano

Parte 1°

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2.1.1 Il sistema del verde e il piano La città contemporanea, grazie anche al progresso tecnologico dato dall’informatizzazione e dalle tecniche di monitoraggio ambientale fornito dagli strumenti satellitari, può oggi vantare un bagaglio di conoscenze enorme se confrontato a quello della città di appena 50 anni or sono. Per fare un esempio, le tecniche di rappresentazione delle carte tematiche della vegetazione e dello stato sull’ecologia vegetale in ambito urbano, effettuate da un GIS consentono certamente nuove e più potenti capacità di gestione relativamente ai processi ecosistemici che avvengono in seno ai sistemi del verde urbano. In tal senso, la caratterizza‑ zione della vegetazione e delle dinamiche seriali che la costitu‑ iscono, sviluppato agli inizi del ‘900 dai modelli fitosociologici del botanico Josias Braun-Blanquet, acquisisce alla luce delle moderne tecniche di rilevamento botanico una capacità capace di imprimere suggerimenti circa a modelli di sviluppo urbano.

Non più, quindi, un sistema del verde da intendersi nel suo ruolo passivo nei confronti dell’urbanizzato ma, bensì, un sistema capace di imbastire e far sperimentare forme di design urbano che aiutino l città ad essere maggiormente sostenibile. Ci si rife‑ risce, infatti al ruolo importantissimo che il verde sta sempre più guadagnando nell’ambito delle costruzioni e specificatamente

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Forme della verde urbano: strategie, caratteri e costi

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sul suo ruolo di regolatore microclimatico in seno alle coper‑ ture o nelle facciate degli edifici. Così come nelle strade urbane, nelle quali sempre più piede sta prendendo il suo utilizzo per ciò che concerne la difesa dell’urbanizzato dall’effetto delle acque di laminazione e al loro ruolo di agenti di mitigazione per la loro capacità di fltraggio.

2.2.2 La sostenibilità del verde urbano Si parla di carattere del verde in relazione ai servizi ecosiste‑ mici che questi produce in relazione alle strategie di sostenibilità urbana. Se per un verso sono indubbi i vantaggi derivanti dalla presenza del verde, per altro verso sono stati sviluppati studi relativi alle modalità di gestione del verde nelle città.

2.2.3 Il ruolo del verde per la regolazione microclimatica Le tecniche di telerilevamento degli elementi urbani, ivi inclusi quelli della vegetazione, ci consentono agevolmente di supe‑ rare la visione del verde urbano considerato nelle sue valenze e forme simboliche dotate di linguaggi universalmente ricono‑ sciuti - natura come modello da imitare o imitazione da model‑ lare - per approdare ad una concezione e caratterizzazione delle forme ed espressioni vegetali che svolgono un’azione di interazione con i restanti elementi che insistono nell’organismo urbano stesso. In particolare, dal momento che le tecniche di rilevamento ci consentono di monitorare i parametri biofisici relativi al bilancio radiativo, al ciclo idrologico e al microclima, si capisce quanto sia importante trattare il tema dei caratteri del verde alla luce delle nuove problematiche connesse ai consumi energetici, alla qualità dell’ambiente urbano in termini di salu‑ brità e confort. Le tecniche di telerilevamento, attraverso l’analisi di dati acquisiti da un dispositivo posto ad una certa distanza (sensore) rispetto all’oggetto, all’area o al fenomeno da investi‑ gare, in particolare consentono una visione del territorio precisa, istantanea ed efficace, potendo ottenere per ciò che concerne il verde urbano informazioni qualitative e quantitative inaspettate (Papale, 2005). Poiché è uno strumento che ha la possibilità di misurare le radianze spettrali, le reirradiazioni o “firme spettrali” provenienti da un qualsiasi oggetto sulla superficie terrestre, per ciò che concerne il monitoraggio della vegetazione che tra‑ dizionalmente necessita di tempi di osservazione e rilevazione molto lunghi, danno informazioni complete e aggiornate. Par‑ tendo dal principio che ciascuna specie arborea possiede una

2.2 I caratteri del verde urbano

propria personale “firma spettrale”, è possibile caratterizzare il verde urbano non soltanto nelle varie costituenti arboree speci‑ fiche, ma anche di poter stabilire, per ciascuna specie arborea lo stato di salute del singolo albero. I vantaggi delle tecniche di telerilevamento sono pertanto molteplici e notevoli al contempo: in particolare per ciò che concerne il verde urbano, non soltanto è possibile avere una visione sistemica delle sue caratteristiche, altresì, è possibile arrivare ad osservare alla scala di dettaglio un particolare non visibile ad occhio nudo quale può essere, ad esempio, una patologia vegetale in corso o per l’incapacità di trattenere le polveri sottili causata dall’insufficienza di copertura fogliare.

2.2.4 La flora urbica spontanea Ormai da tempo è stato compreso quanto sia importante atte‑ nuare le esternalità della mobilità negli ambienti urbani attra‑ verso il potenziamento della biodiversità (Swaffield, 2005), cioè della diversità biologica presente nelle città. Questa, pur con gli indubbi interessi di ordine ecologico, tuttavia ha un inte‑ resse che investe anche la dimensione culturale e sociale. Si segnala, infatti, la proliferazione di movimenti spontanei che hanno come obiettivo la riappropriazione da parte dei cittadini degli spazi abbandonati, con lo scopo di rinverdire la città per potere aumentare la qualità di vita all’interno dei contesti urbani; si tratta spesso di organizzazioni non ancora riconosciute nelle sedi ufficiali che, però, grazie alla rete, stanno avendo sempre crescente proselitismo tra i cittadini. É il caso di Guerrilla Gar‑ dening o giardinaggio libero d’assalto, un movimento sorto nel 1973, da parte di Liz Christy e il suo gruppo Green Guerrilla (It. Guerriglia verde), nella area di Bowery Houston a New York.

Organizzazioni spontanee a parte, la scelta di incrementare la diversità biologica all’interno degli ambienti urbani si associa, spesso, con iniziative di didattica ambientale e con processi partecipati di progettazione e/o gestione del verde in cui, por‑ tare la “natura” dentro la città costituisce la vera sfida ecologica, oltre alla possibilità che una data specificità biologica possa assurgere a simbolo di identità culturale. I luoghi elettivi di inse‑ diamento della flora urbica spontanea sono gli spazi marginali (margini stradali di scorrimento urbano carrabile e pedonale), le periferie urbane o anche i giardini privati, luoghi nei quali pos‑ sono trovare luogo tutte quelle fitocenosi erbacee fiorite ed este‑ ticamente gradevoli, in grado di attenuare gli effetti della mobilità come anche di dare un contributo nell’attenuazione degli effetti nefasti causati dalle acque di laminazione, particolarmente evidenti in quei luoghi dove i processi di urbanizzazione sono

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Forme della verde urbano: strategie, caratteri e costi

avvenuti con troppa velocitĂ e senza tener in debito conto delle caratteristiche climatiche e delle precipitazioni dei luoghi.

2.3 I costi del verde urbano

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Per ciò che concerne i costi relativi alla gestione del verde urbano, si fa riferimento a sole quattro categorie prima descritte nel capitolo 2: i parchi e i giardini, le piazze, l’alberatura stradale, le siepi. Vengono perciò escluse tutte le forme di verde per le quali non può essere impostata una metodologia a priori, come può esserlo nel caso del verde verticale o del verde nelle coper‑ ture degli edifici, come anche per la vegetazione spontanea o ruderale, assai complesso da computare in modo sistemico, se non con metodi d’indagine di origine telerilevata. In particolare si fa riferimento ai dati satellitari, sia multispettrali (MIVIS), sia digitali (LIDAR). Per ciascuna di queste categorie individuate ci saranno perciò delle caratterizzazioni volte ad analizzare i costi economici ed energetici di conservazione e valorizzazione del verde urbano. Anche i metodi matematici, utilizzati ai fini dell’in‑

PARCHI E GIARDINI Tipologia di spazio

Caratteristiche

Parchi e giardini grandi (> 4ha)

Spazi con una superficie permeabile superiore al 50% del totale e la cui vegetazione è ornamentale e /o necessita di manutenzione)

Parchi e giardini medi (0.8 < x < 4ha) Parchi e giardini piccoli (0.05 < x < 0.08)

PIAZZE Tipologia di spazio

Caratteristiche

Piazze grandi (> 4ha)

Spazi con una superficie permeabile inferiore al 50% del totale e la cui vegetazione è ornamentale e /o necessita di manutenzione)

Piazze medie (0.8 < x < 4ha) Piazze piccole (0.05 < x < 0.08)

ALBERATURE STRADALI Caratteristiche

Caratteristiche

Resistenza agli inquinanti atmosferici

Quercus rubra, Tilia cordata, Acer campestre, Acer platanoide

Capacità di ridurre i rumori

Acer pseudoplatanus, Tiliaplatiphyllos, Carpinus betulus, ecc.

Resistenza alle malattie

Liquidambar, Chamaecyparis, Pinus silvestris, ecc.

Ridotte esigenze di manutenzione, siccità

Celtis australis, Cercis siliquastrum, Gleditschia, Cedrus sp. Ecc.

Nessun pericolo o inconveniente

Gleditschia, Gingko biloba femmina, ecc.

Valore storico

Platanus orientalis, ecc.

Parte 1°

2.3 I costi del verde urbano

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Forme della verde urbano: strategie, caratteri e costi

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dividuazione della flora e del suo ruolo economico, si servono di modelli già ampiamente sperimentati negli Stati Uniti. Si distin‑ guono tra tutti il modello UFORE (Urban FORest Effect) elabo‑ rato agli inizi degli anni ‘90 dal Servizio Forestale del Diparti‑ mento Agricoltura degli USA (U.S.D.A).

2.3.1 Edafologia e flora Particolare importanza assumono le informazioni relative alle proprietà del suolo che condizionano la scelta e lo sviluppo delle specie vegetali, così come è altresì importante acquisire informazioni relativamente alla vegetazione che dovrà costituire o far parte di ciascuna tipologia di verde urbano prima descritta.

Negli anni passati, infatti, sono stati commessi non pochi errori nella scelta delle specie che dovevano essere a corredo delle strade urbane. Sono oramai conosciuti gli effetti devastanti delle radici del genere Ficus (benjamina e/o microcarpa) ai danni delle pavimentazioni stradali, dei marciapiedi e delle fondazioni degli edifici. Altresì, sono ancora tristemente noti gli effetti deri‑ vati dalla propagazione inarrestabile del genere Aylanthus altis‑ sima ai danni della fitodiversità.

Ad ogni modo, prima di scegliere qualsivoglia specie vegetale è sempre bene fare attenzione a ciò che costituisce la compo‑ sizione fisica o mineraria del terreno sul quale inserire le piante; ciò, infatti, determina le condizioni di permeabilità, di ritenzione dell’acqua e, conseguentemente, dei nutrienti base contenuti nel suolo. Questi fattori, incidono naturalmente nella scelta del modello di irrigazione da adottare e, conseguentemente, nei costi di gestione ai quali l’amministrazione sarà chiamata a dare conto. Anche la conoscenza del PH del suolo incide in modo significativo sulle quantità di nutrienti che saranno necessari per il mantenimento in salute del verde così come per l sua capacità di assimilazione. Incide nei costi di gestione anche la presenza di contaminanti contenuti nel suolo, fatto questo che è causa di problemi di adattamento e crescita della vegetazione. Alcuni fat‑ tori che possono essere causa di degrado delle proprietà fisicochimiche del suolo possono essere addebitati all’abuso di pesti‑ cidi, erbicidi, e funghicidi o anche ai metalli pesanti, presenti nel suolo da attività effettuate in casi anteriori all’utilizzo postumo nei parchi o nei giardini urbani. Altro fattore da tenere in considera‑ zione per ciò che riguarda la crescita della vegetazione è quella della profondità media disponibile, fattore importantissimo in funzione delle possibili interferenze con le linee elettriche, tele‑ foniche, della televisione via cavo, gas naturale, sistemi di tra‑ sporto, ecc. In tal senso, la scelta della vegetazione e la cono‑ scenza del relativo apparato radicale è condizione necessaria

2.3 I costi del verde urbano

per la riuscita di una corretta messa in posa di alberature viarie.

Viceversa, se la scelta della vegetazione non tiene in debito conto le conseguenze dell’apparato radicale, questo sarà certo causa di malformità e ammaloramenti a carico dei marciapiedi e degli impianti idrici ad esso adiacenti. Connesso alla vegeta‑ zione è il problema dell’abbondanza in città di superfici imper‑ meabili, diretta conseguenza dei processi di urbanizzazione a favore della mobilità veicolare e non solo. Ciò è causa di un cattivo smaltimento delle acque di laminazione che, nel loro procedere non incontrano terreni drenanti in grado di attenuare gli effetti a carico delle strade urbane e conseguenti episodi di congestionamento del traffico veicolare. La conoscenza delle superfici drenanti è perciò un elemento di indubbia utilità al fine di evitare i fenomeni appena sopra accennati. Quindi, l’imper‑ meabilità del suolo, ma anche l’eccessiva irrigazione effettuata a terreni poco drenanti possono certamente essere causa di problemi a carico del sistema veicolare urbano. Infine, per ciò che concerne la flora, va detto che la conoscenza della compo‑ sizione della componente vegetazionale è un elemento chiave per comprendere la capacità di adattamento della vegetazione ai cambiamenti climatici.

2.3.2 Costi di manutenzione Le opere di manutenzione degli spazi verdi sono generalmente onerose per effetto del gran dispendio di risorse e di energia occorrenti. Per tale ragione, una ben ponderata e calcolata ana‑ lisi dei costi/benefici, specifici per ciò che riguarda il capitolo della manutenzione, concorre ad un risparmio economico ed energetico non indifferente. Le azioni che più frequentemente interessano la manutenzione del verde urbano si possono rias‑ sumere nelle spese relative all’uso di fertilizzanti e agenti fito‑ sanitari, alla piantumazione e riposizionamento della flora esi‑ stente, la piantumazione di arbusti, fiori, cespugli e quant’altro occorre a tenere bene in vista l’obiettivo principale che è quello dell’accrescimento dei livelli di biodiversità vegetale urbana. Tra tutte queste azioni, la più onerosa di tutte dal punto di vista eco‑ nomico ed energetico è quella relativa alla piantumazione e cura delle alberature viarie. Sono previste le voci dei movimenti di terra da effettuarsi con differenti modelli di scavatrici meccani‑ che, dei trattamenti del suolo a cui sono associati probematiche di fertilizzazione e aerazione affinché siano garantite le migliori condizioni di accoglienza delle specie vegetali.

Parte 1°

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Parte 1°

Forme della verde urbano: strategie, caratteri e costi

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2.3.3 Ciclo idrico e di irrigazione Il fattore acqua, associato ai costi di manutenzione, è l’elemento cruciale per qualsiasi amministrazione desiderosa di conoscere i costi associati alla vegetazione dei parchi, dei giardini e delle alberature viarie. L’elemento acqua è, intanto, un elemento fonda‑ mentale per qualunque giardino poiché, presente nelle vasche o nelle fontane, garantisce in associazione all’ombra e alla ventila‑ zione un efficace sistema di condizionamento naturale dell’aria.

Va però precisato che, al di là dell’uso ricreativo dell’acqua, essa stessa è anche presente per ciò che riguarda il grande capitolo dell’irrigazione delle specie vegetali presenti tanto nei parchi e nei giardini, quanto ancora nelle alberature stradali e nelle siepi alle strade stesse associate. Ancora, l’acqua stessa va differenziata a seconda dell’origine dalla quale proviene: Si parla di acqua potabile, di acqua pluviale, di acqua rigenerata attraverso trattameni di impianti di depurazione, ancora acqua di provenienza dagli usi domestici (doccia, lavandini, vasche da bagno, lavabi, ecc) e infine, acqua freatica marginale. Ciascuna di queste tipologie di acqua presenta delle specifiche misure di costi economici ed energetici ad esse associate.

2.3.4 Illuminazione L’illuminazione degli spazi verdi è un elemento importante e indi‑ spensabile, poiché in sua assenza la vegetazione, specialmente nelle ore notturne, assume un significato negativo ascrivibile ad un vero e proprio disservizio ecosistemico. Per tale ragione, l’il‑ luminazione dei parcho e dei giardini è associata al significato di sicurezza e accessibilità degli spazi verdi. Quello del consumo di energia elettrica al fine di assicurare una buona illuminazione notturna può essere un costo non indifferente. Pur tuttavia, l’il‑ luminazione stessa rappresenta un punto chiave nella qualità di vita associata agli spazi verdi urbani. Con essa si include la sicurezza dei movimenti dei pedoni, il riconoscimento visivo dei passanti, l’orientamento e la capacità di riconoscere le peculia‑ rità del contesto spaziale attraversato e, non per ultimo come anticipato in precedenza, la percezione del senso di sicurezza personale in prossimità del transito di parchi e giardini durante le ore notturne: non soltanto minimizza il senso di paura personale ma, altresì, allontana la possibilità di eventi criminosi da parte di gente adusa a delinquere negli spazi dei parchi. Alla illumi‑ nazione sono ovviamente connesse le problematiche intorno alla tipologia della luce da utilizzare: se luce bianca o gialla, se agli alogenuri metallici oppure a incandescenza. Ancora vanno evidenziale le problematiche relative ai livelli di illuminazione

2.3 I costi del verde urbano

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Parte 1°

da utilizzare, caratteristica questa strettamente connessa alla capacitĂ di sostenere una spesa economica non indifferente in termini di costi economici ed energetici.

Parte 1째

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Forme della verde urbano: strategie, caratteri e costi

Conversazione con Josep Maria Montserrat

Flora e vegetazione in ambito urbano Conversazione con Josep Maria Montserrat Martí

JMM: Hay cuatro asesores que ya lo saben todo, es decir, cuatro técnicos que ya lo saben todos, ya no necesitan saber más, ya está en google, fotografías….

LR: Muy superficial, no?

JMM: Hoy vivimos un tiempo de superficialidad, y google ayuda..

LR: El tiempo de superficialidad.

JMM: Si, es tiempo de superficialidad, sin duda.

Josep Maria Montserrat Martí

LR: Sin duda. Esta es una pregunta para tres preguntas, no? El rol del Jardín Botánico en la óptica, en el contexto de Barcelona, del Área Metropolitana y de Cataluña.

JMM: Primero conviene explicar la lógica del propio Jardín Botánico.

LR: Vale. Entonces empresamos.

JMM: Si, y es que el Jardín obedece a unos planteamientos que se realizaron a final del siglo veinte cuando en toda Europa había jardines botánicos, por lo tanto no podíamos replicar un modelo del siglo dieciocho, como se puede ver en cualquier otra ciudad, tenemos que buscar un modelo distinto, y buscando ese propósito apareció la idea de utilizar solo plantas que en el mundo se encuentran bajo las mismas condiciones climáticas de Barcelona, eso venia un poco, desde el punto de vista poético, incluso nos inspiramos en un texto de Grace Kelly que se llamaba “princesa de Mónaco” que tenía un texto muy bonito, muy poético, que hablaba del jardín botánico de Mónaco, no sé si lo conoces, es un jardín muy singular, de plantas crasas, y la idea de agrupar plantas de todo el mundo bajo el cielo de Mónaco. Eso si lo lees al revés, coges el cielo de Barcelona, que con otras regiones del mundo lo compartes, bueno, esto es un poco el principio, no solamente esta,… ahora me viene

Interviste

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Interviste

Flora e vegetazione in ambito urbano

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a la cabeza la inspiración poética de Grace Kelly, pero bien….. la reflexión más profunda, además habíamos…, en el año 87 habíamos participado en el Congreso Internacional de Botánica en Berlín y allí pude tener conocimiento, contacto con Mikael Adessy y algunos botánicos israelís que habían hecho un jardín botánico en Jerusalén parecido en su concepción a este. Por lo tanto no era un jardín original en el mundo, si lo era un poco original en Europa, pero es fácil ser original en Europa porque todos los jardines están hechos, y por tanto, durante bastantes años fuimos el jardín botánico más moderno del mundo. He de decir que tampoco se construyen tantos jardines botánicos, verdad? En cualquier caso, si que esa lógica de ir evolucionando, hoy tenemos una perspectiva de 15 años de jardín abierto al público con plantas mediterráneas, algo hemos aprendido en este tiempo, hemos visto que cultivar plantas mediterráneas tiene muchas virtudes, que cultivar plantas que en la naturaleza viven juntas permite recuperar unas armonías, desde el punto de vista estético, que responden a unas armonías fisiológicas que se, que ocurren en la naturaleza, que no lo conocemos bien pero que existen, y al replicarlas se, funciona, funciona donde, a aquello que es más próximo a lo que nosotros tenemos, es decir, hemos, si quieres, tenido más eficacia, o más éxito, en el cultivo de las plantas europeas y turcas y norteafricanas que en el cultivo de las plantas chilenas o australianas, en parte porque conocemos menos este territorio y sobre todo porque no tenemos la misma facilidad de acceso a las plantas. Aquí, cuando hemos podido efectivamente agrupar las plantas que en la naturaleza viven de un modo u otro juntas hemos visto lo siguiente: que entre ellas se potencian, y eso se está viendo en estudios de investigación recientes que están desarrollando de nuevo ideas alrededor de la alelopatía, de la compatibilidad en el espacio por la propia emisión de gases que a cada planta sobra, le sobran fotosintatos a muchas plantas, en el mediterráneo ocurre mucho, en el período más favorable hay una disponibilidad de carbono, disponibilidad de energía y de agua muy superior a la cantidad de carbono que la planta puede fijar estructuralmente, de modo que una parte se elimina con volátiles, con sustancias volátiles orgánicas que se evaporan muy fácilmente, y eso sirve para comunicar entre especies, se conoce poco todavía, eh? Pero, pero cada vez se tiene más datos de que existen mecanismos de comunicación entre las plantas, por lo tanto, hay casos de repelencia por la presencia de individuos de la misma especie, por la proximidad, para intentar no ocupar el mismo espacio, las plantas no tienen ojos.

No pueden identificar como identificamos nosotros quien es nuestro vecino, ellos cuando son jóvenes tienen todo el espacio porque son muy pequeñas pero cuando crecen la apuesta de

Conversazione con Josep Maria Montserrat

si en lugar donde van a desarrollarse es el adecuado para… eso es ciego, no hay ninguna especie de planta que lo sepa en el mundo, es azaroso, una semilla germina donde puede.

En la naturaleza se han establecido mecanismos, digo, la fitosociología estudió mucho que plantas vivían juntas pero no comprendió porque vivían juntas. …

LR: Es diferente,…

JMM: Es diferente, ahora empezamos, se empieza a tener una idea de eso, y desde el jardín lo intuimos, nada más. Pero, pero como pauta de ordenación de plantas desde el punto de vista paisajístico es más útil de lo que creíamos al principio. ¿Qué inconvenientes tiene? Como todo tiene inconvenientes, una de las cosas que nos está pasando es que las plantas viven demasiado bien, en el jardín botánico, de modo que colapsan, llega un momento en que crecen por encima de sus capacidades genéticas para soportar plantas tan grandes, y colapsan de golpe, por lo tanto se producen defunciones, un poco al azar, de plantas en el jardín que no son atribuibles , al principio las atribuíamos a hongos y no es verdad, son plantas que colapsan por un exceso de procrecimiento demasiado rápido. Porque no tienen depredadores, porque no tienen parásitos, porque los jardineros no sabemos cómo pinzarlas. No tenemos tecnología de jardinería, que existe para muchas plantas centroeuropeas comunes en los jardines des de hace siglos, que se sabe muy bien cómo manejarlas, y en cambio las plantas mediterráneas no. Eso es un punto importante,…

LR: Es un punto importante, si…

JMM: Pero finalmente, la elección de flora mediterránea responde a otro criterio y es ¿Qué plantas podemos cultivar con el mínimo costo ambiental? Medido en términos de energía, no en términos de oportunidad biológica, que eso es otro tema.

LR: Claro, que eso es un concepto diferente…

JMM: Es un concepto distinto y hay otros riesgos que nosotros valoramos también, eh? Pero en principio la idea sería desarrollar el concepto de xerojardinería, que no solo es xerojardinería, es mucho más, es una jardinería sostenible des de el punto de vista ambiental. Eso tendría dos, dos, dos vertientes, uno: minimizar el consumo de energía y de consumos, etc. y sustancias químicas y demás, y por otro lado: minimizar el impacto de ese organismo en su entorno, es decir, hay plantas que se propagan, que pueden convertirse en invasoras, etc. eso son

Interviste

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Interviste

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los dos aspectos que hay que controlar. Pero en definitiva, si queremos tener jardines y no queremos consumir más recursos hay que estudiar este tipo de plantas y no otras. Las otras ya sabemos los recursos que consumen, y son muchos.

LR: Son muchos.

JMM: Claro, si quieres céspedes como en Inglaterra en un clima mediterráneo, en verano vas a tener que consumir mucha agua, y muchos nutrientes, y vas a contaminar freáticos y etc.

Eso sabemos que va a ser así. Y va ha haber incompatibilidad ente los céspedes y los árboles mediterráneos, que no están acostumbrados a tener tanta humedad en verano cerca del cuello de la raíz, eso traerá problemas de hongos y “admidaria” y otros. Y por lo tanto crisis, en árboles bonitos que pueden morir por la proximidad con el césped, es algo que estoy cansado de verlo y parece que la gente no lo quiere entender.

LR: Tu vives aquí en Barcelona, no? ¿Qué piensas de los árboles de la ciudad?

JMM: ¿De los árboles de la ciudad? Bueno, ahora el paso siguiente, el Jardín Botánico, ah, en este sentido, hacia la ciudad de Barcelona, su oferta principal es de, como todo jardín botánico, es un espacio de ciencia, de conservación, de educación, eso lo prestamos porque eso no importa que especies cultives para poder prestar este servicio. Otra cosa es como trasladamos la experiencia del jardín botánico al entorno urbano.

LR: Claro JMM: Eso ya es, son higos de otro cesto, que dicen en castellano. ¿Porqué? Básicamente porque la flora urbana es flora leñosa, no, no,… flora herbácea en la ciudad, puede haber muchas especies pero peas muy poco, es flora de parterre, estacional y ornamental, pero puntual, y que aquí, digo en Catalunya tendemos a poner poca, porque es cara, eh? En Francia gastan muchos más recursos en jardinería ornamental urbana, aquí parece que no tenemos dinero para poner florecitas, eh? Por lo tanto, la jardinería urbana se centra mucho en la arboricultura urbana, más que en jardinería en sentido más amplio. Sí, porque, bueno, por lo menos, flores en Barcelona veo muy pocas, en la plaza Catalunya, en sitios muy centrales pues, se van renovando los parterres, pero con la profusión que ocurre en el norte de Europa, ni hablar, eso aquí no, no, no, ,no se gastan tantos recursos. En cambio tenemos un clima que

Conversazione con Josep Maria Montserrat

es muy favorable para muchas especies, y realmente la flora arbórea de Barcelona es una flora notable y hay pocas ciudades en el mundo con tantos árboles distintos. Yo creo que lo más valioso de la flora urbana en la ciudad es la diversidad. Y hay quien, hay quien está propugnando que habría que unificarlo todo para que todo fuera, para dar carácter a Barcelona. No ha comprendido que precisamente el carácter de la ciudad es la diversidad de especies, como es la diversidad de origen de personas que viven aquí. Barcelona ha pasado en pocos años de ser una ciudad donde se hablaban 3 o 4 lenguas, os e podían oír por la calle 3 o 4 lenguas, ahora se hablan más de 200, bueno pues, …. Y que sea un destino preferente por ejemplo de compatriotas tuyos, en el pasado, en el pasado remoto vinieron muchos, en los últimos años no tantos y últimamente hay una presencia creciente de profesionales italianos que buscan instalarse en Barcelona, por muchos motivos, eh? Bueno, pues eso mismo que ocurre con personas procedentes de Italia ocurre con Flamencos, con Ingleses, y con países, gentes de otros lugares del mundo. Por, por, por razones diversos. Bueno pues yo creo que la diversidad es uno de los principales activos de esta ciudad, lo ha sido siempre.

LR: Es una particularidad de esta ciudad...

JMM: Si Barcelona no hubiese aceptado la diversidad como puerto marítimo, como lugar de comercio, no, no tendría la historia que tiene. Vale, es un lugar de acogida, y que la flora urbana refleje ese carácter me parece la mar de coherente, ¿qué sentido tiene sustituir todo lo que no sean plátanos porque alguien opina que Barcelona estéticamente tiene que ser caracterizada por plátanos? Yo creo que eso es un, eso es una frivolidad de un señor que tiene poco en que pensar, no, que no, que no tiene, que no es capaz de ver más allá de su nariz.

Creo que eso lo he visto en periódicos y gente empeñada en uniformizar la zona de Barcelona, va!

LR: Si, si, si, si, claro que si.

JMM: Aunque fuera pinocho necesitaría una nariz.

LR: (ríe) Eso es una cosa muy interesante JMM: Hay otra cosa importante en la flora de la ciudad, que la flora de la ciudad está seleccionada para la ciudad. Esto parece una estupidez pero no es así. ¿Qué tipo de plantas hay en Barcelona? Hay pocas personas que se dediquen a pensar de donde vienen, geográficamente, las especies que se cultivan

Interviste

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Interviste

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en la ciudad. Y para empezar hay muy pocas mediterráneas.

LR: Muy pocas mediterráneas…

JMM: Muy pocas. Por dos razones: porque en el mediterráneo hay pocos árboles, por lo tanto hay poco donde elegir, luego, consecuentemente hay pocas opciones para árboles urbanos, pero sobre todo porque la ciudad no admite flora mediterránea. ¿Por qué razón? La flora arbórea mediterránea está adaptada a veranos muy secos, pero son activas en verano, las encinas en verano son activas, aunque no tengan agua, ¿porqué? Porque tienen una capacidad radicular enorme para compensar el estrés del verano buscando recursos hídricos donde las otras plantas no llegan. Eso es lo que es incompatible con la ciudad, pero con el subsuelo no lo vemos, la gente no piensa que los árboles tienen raíces. Y una planta adaptada de verdad al clima mediterráneo es tan grande debajo como encima del suelo.

LR: ¿Qué?

JMM: Es una proporción parecida, de, de, de materia orgánica, de lignina, de “liño”, contando las raíces más finas, eh? Pero las raíces se extienden mucho. Por eso, para tenerlos grandes necesitaríamos espacios subterráneos enormes, y no los tenemos! Porque hay casa, porque hay estructuras, porque hay canalizaciones, porque hay otras infraestructuras. Por lo tanto que necesitamos, necesitamos plantas que puedan vivir con sistemas rediculares mucho más cortos, mucho más pequeños. Eso por una parte. Y por otra plantas que se adapten a las fluctuaciones brutales que se producen en la ciudad. Se producen muchísimas: un señor abre una calle, rompe las raíces de casi todo y las plantas tienen que ir adaptando, cada vez los alcorques de las aceras han, han , son cada vez más pequeños, en un siglo se han reducido a la mitad o menos.

LR: Y la señora tiene el perro también.

JMM: Sea el perro, antes, cubos de lejía, etc. cosas, o de jabón, o de agua sucia, es, es, iban a parar a los alcorques de los árboles. Y cuantas cosas de estas no hemos visto verdad.

Bueno, pues todo esto está limitando, está seleccionando negativamente las especies que sobreviven, y a pesar de todo tenemos muchas, y a pesar de todo hay unas cuentas que tienen caracteres comunes, y lo que hay que fijarse es en esos, es ¿Qué caracteres comunes tiene aquellas plantas que viven en Barcelona? Esa es la pregunta.

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JMM: Y cuando te fijas, si observas un poco más, verás que muchas de estas plantas están adaptadas a ambientes perturbados de climas templados, templados o relativamente cálidos, pero templados con lluvias de verano.

LR: Claro.

JMM: Si, ¿Y eso donde está? Eso está en las partes opuestas a las regiones mediterráneas en el mundo. Si te coges el mapamundi y sitúas los mediterráneos, pues te vas, en cada continente, a su extremo opuesto. Por ejemplo, el extremo opuesto nuestro es China, China y el sur de Japón. Y el extremo opuesto de California es Filadelfia.

LR: Y en Italia Nueva Zelanda.

JMM: Si, pero Italia ya sería toda la mediterránea, con las montañas, salvando los Apeninos, pero, luego, nos centramos un poco en la zona europea, tiene sus,… así, pero hablando grosso modo, el, lo opuesto al Mediterráneo, incluida Turquía, una parte de Turquía por lo menos, sería esta zona de China.

Y entonces, si aun vas a estas regiones aun podrías ver otros caracteres comunes, y es que los árboles que viven en Barcelona procedentes de China muchos tienen hojas compuestas, hojas varias veces compuestas, ¿Son para qué? Es una pregunta que hay que saber responder a ella, por ejemplo el “Ailanthus”, “Conruteria”, “Conruteria” es media acedera, con una hoja compuesta enorme, etc. Las procedentes de Estados Unidos también hay unas cuantas de estas, son menos conocidas y se cultivan menos, pero, pero por ejemplo el Cafetero de Virginia “Gymnocladus Dioicus”, eso, en Barcelona hay unos pocos pero tiene una hoja compuesta enorme y un hábitat relativamente similar. Otras compuestas del tipo, de hojas compuestas del tipo “Ailanthus”, la “sófora” , la “Robinia Pseudoacacia Americana”, la “Gleditsia Triacanthos”, etc. Todas estas plantas, todas son de hoja compuesta. Que más, eh, son plant… muchas de estas son…, y en América del Sur otro tanto, tipo “Anatipu” la Jacanda Mimosifolia”, etc. estos son… recuerda que tienen hojas compuestas. Porque es importante, eh? Luego, la otra cosa común en algunas de ellas es que tienen semillas que se dispersan con facilidad, el caso paradigmático tipo Anatipu. ¿Para qué? Bueno, pues esos son atributos que son útiles en los claros forestales de estos bosques templados. Cuando se produce un cataclismo natural necesitas plantas de crecimiento muy rápido, y , y estos claros ocurren al azar, por lo tanto no

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LR: Esa es la pregunta.

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todas las plantas tienen oportunidad de llegar a estos claros, ¿Quienes llegan mejor? Las que se dispersan más lejos. De manera que todos estos mecanismos tipo la “Tipo hada” etc. que puede desplazarse lejos, tienen la oportunidad de crecer primero después de estos cataclismos. Bueno pues la condición de cataclismo natural es la más próxima al hábitat urbano.

LR: Al hábitat urbano, si.

JMM: Y eso sin quererlo, se ha producido esa selección, una selección que ha sido espontánea.

LR: Y este es el carácter común que, que…

JMM: Es uno de los tantos caracteres comunes que tenemos con ellas. Plantas que viven en sitios, o cerca de los ríos, cerca de los ríos no tanto porque tengan humedad, que también, cuanto el río es una zona de cataclismos frecuentes: avenidas, sequías, … ocurren cosas. Bueno pues estas plantas adaptadas a esos cambios importantes en la naturaleza viven muy viven en la ciudad. En cambio, otras plantas que son dominantes en sus hábitats, o… por ejemplo las hayas, ¿Cuántas hayas has visto en Barcelona? Ninguna, viven mal, ciertamente, pero viven mal no solamente porque quieran mas humedad, y unos ambientes distintos sino porque no toleran las condiciones urbanas: Con raíces superficiales, con nieblas, eso en Barcelona no existe pero robles, que si que podrían vivir, tampoco hay! “Quercus Cerris” vive muy bien pero, y es un árbol estupendo, pero en Barcelona no lo verás en las calles. “Quercus” se ven poquísimos, de todo el género. Y son árboles muy importantes en Europa, pero estos no… pero en cambio Plátanos son de río, son de, de manera natural viven en ramblas, bueno etc.

Podríamos extendernos muchísimo pero, y la cuestión es que cuando te vas fijando en la flora urbana de ciudades parecidas a Barcelona en Europa vas viendo que todas compartimos una flora similar. Y eso no solamente es por historia común, que, que, que también, porque nos proveímos en su día de los mismos viveros, fueron las mismas empresa francesas sobre todo, las que introdujeron plantas tropicales, plantas templadas en el siglo XIX, y de esos viveros se fueron expandiendo por toda Europa, no? Viveros argelinos, de la Francia argelina que vendían plantas en Europa eran frecuentes, empresas Como Viv Morren fue una empresa muy importante, muchísimo. No nos damos cuenta hoy de la importancia que tuvo pero fue, fue inmenso. Pues a partir…unas cuantas… repartieron plantas y naturalmente el universo sobre el que hemos desarrollado la flora urbana es los primeros grandes distribuidores del siglo XIX,

Conversazione con Josep Maria Montserrat

que fueron los que empezaron. Estos, estos pusieron plantas en el mercado y cuando los arquitectos de entonces tuvieron que elegir solo pudieron elegir entre esas especies. Claro, un poco eso ha ido creciendo y eso ha determinado las elecciones posteriores. Pero a pesar de todo ha habido una especie de selección natural porque hay unos caracteres comunes en unas cuantas plantas que solamente pueden atribuirse que se han adaptado mejor a las condiciones urbanas.

LR: Si, si, si, si. Distante de la ciudad, estos cataclismos vienen menos, de hecho se baja, se baja, y las plantas prenden una naturaleza mas, eh….

JMM: Si, verás, la reacción principal es la siguiente: Las plantas mediterráneas toleran muy mal el riego, muy mal, muy mal, y hay que saber regar muy bien las plantas mediterráneas, lo fácil es matarlas, incluso las más grandes, sobretodo porque se tienta a regar en verano, y regando mal en verano, riegos muy frecuentes y pequeños y cortos, estos riegos favorecen los hongos y los hongos acaban matando las plantas, que es el típico riego de programador y de césped, típico, eh? Y por eso los conflictos con los céspedes, pero en la ciudad no regamos los árboles, pero la disponibilidad de agua en las raíces fluctúa de un modo un poco extraño ¿Por qué? Porque en realidad el agua que capta la ciudad es muy superior al … quiero decir, la mayor parte de la ciudad es impermeable, por lo tanto el agua que se infiltra, para las pocas plantas que tenemos respecto a la superficie total de la ciudad, la disponibilidad hídrica es muy alta, y por tanto tenemos árboles muy grandes, en un clima donde llueve prácticamente poco y sobre todo mal.

LR: Mal? JMM: Si, sobre todo mal, LR: Porque se desperdicia.

JMM: Claro, pero, y además hay de vez en cuando algunos riegos, sobre todo cuando las plantas son jóvenes, etc. Y esos riegos se potencian mas en verano y son, la tolerancia a esos riegos irregulares y de calidad dudosa lo que ha seleccionado a las plantas que tenemos. Y ¿Por qué se adaptan al riego unas y otras no? Lasque viven en sitios donde llueve en verano naturalmente están adaptadas a cualquier tipo de riego disponible en verano, porque en verano tampoco llueve cada día en estas regiones, en las monzónicas si pero en otras no tanto, bueno pues la adaptación a esta disponibilidad hídrica

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en verano hace que toleren riegos en verano y por lo tanto son resistentes a los hongos. En el fondo creo que es un problema de tolerancia a enfermedades. Esas de China, o de Argentina, o del Este de Estados Unidos toleran mas enfermedades que las estrictamente mediterráneas. Eso sería un poco… y eso lo vemos en el jardín botánico, lo estamos experimentando cada día., en lo que son plantas pequeñas, luego con plantas grandes ocurre más o menos lo mismo. Lo importante, ¿Selección?

Sí. ¿Criterios para la ciudad? Podríamos hacer más de lo que hacemos, seguro. En cuanto al Área Metropolitana, nuestra relación es mucho más intensa ¿Por qué? Porque somos parte de una red de parques públicos metropolitanos. Es una red de todo tipo…

LR: De los “pesos” y de los privados JMM: Son 33 parques y el Jardín Botánico es el centro de cabezera, es decir, aquí se prueba, se experimenta que plantas, como gestionarlas, como, el, la, el control de calidad, el test de control de calidad para el tipo de ejercicio que hacemos de mantenimiento de plantas, eso se testa aquí porque es lo más complejo, de modo quela experiencia del jardín botánico se traduce, yo espero que positivamente, en el conjunto de la red. Y en ese sentido si que es una formación modélica. Porque estos parques el papel que tienen es actuar como parque de referencias, se intenta hacer un buen parque. En cada municipio importante próximo a Barcelona tiene alguno, y se pretende que estos parques sean los mejores parques posibles, por lo tanto sirven de modelo para esos municipios a otros parques que quieran hacer. Van marcando un estándar de calidad que es importante para la conurbación de Barcelona. El Jardín Botánico, en ese sentido nos implicamos y mucho, Por ejemplo llevamos el inventario de la flora de los parques, etc. Procuramos crear instrumentos para que la gente comprenda las plantas…

LR: Si, si, si, si. Y ¿Con Cataluña?

JMM: Con Cataluña es, a ver, a Cataluña le pasa algo muy especial, primero: no hay tantos jardines botánicos, luego: Cataluña tiene el…. Ahora esta siempre me olvido y las busco con frecuencia …. Es igual, tenemos un 2% de la superficie del continente europeo, no? Más o menos. Es decir, un 2, o un 1 porque es una superficie muy pequeña, pero en cambio tiene una diversidad florística enorme, porque para, si somos un 2%, tenemos el 30% de toda la biodiversidad del continente, que se dice pronto pero tenemos desde el alto pirineo, con flora ártica y alpina, hasta Lérida, no es que sea un desierto pero es

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una zona sub-árida pues tenemos un abanico de climas, y que naturalmente se corresponde con una flora distinta en recorridos muy cortos. Es decir, Cataluña si se viaja, para un estudiante de botánica europea que venga a Cataluña en una semana ve más plantas que recorriendo Europa transversalmente varias veces.

LR: Esto es interesante pues tiene un punto de conjugación con Sicilia, que es una región con mucha calidad de biodiversidad que no en Italia.

JMM: Sicilia es 1 comarca más pequeña que Cataluña, es prácticamente la misma superficie y, si, si, Sicilia debe tener unas 3.000 especies de flora, más o menos, un poco menos que Cataluña porque tenemos más montañas pero, pero una cifra parecida…

LR: Especialmente en la parte norte de Sicilia con el mar cerca de la montaña…

JMM: Si tu sumas eso, la cuestión es, Europa tiene 11.000 especies, a la que te acercas a las 4.000, ya estás en el 30%, y si cada árbol, cada planta importante ecológicamente sostiene a otras 10 especies de otros animales, insectos y demás la multiplicación es sencilla, enseguida tienes un abanico enorme de especies de todo tipo que viven en un hábitat relativamente reducido. Ciertamente, cuando ahora nos enfrentamos a temas de conservación, que es otra de las actividades del jardín botánico claro, una de las cosas que sorprende es como la diversidad del continente está en Europa, en el sur de Europa, en los países del sur sobretodo, entre España, Italia y Grecia tenemos casi el 90% de la flora europea, y en cambio los recursos para la conservación no se distribuyen en función de la riqueza, ni mucho menos. Y en cambio son recursos comunes.

LR; SI. JMM: Por lo tanto, habría que introducir unos parámetros un poco más racionales a la hora de redistribuir el esfuerzo que el continente realiza en la conservación de su propia flora. A mí me da igual que la conservación efectiva se haga desde Inglaterra, la cuestión es que se conserve la flora, que ya es eso lo que querría.

LR: Claro que sí.

JMM: En cambio se distribuyen los recursos por fronteras… por territorios, por fronteras, sin tener en cuenta la diversidad

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general del continente, y por lo tanto el gasto en conservación por el de mismo en Alemania es infinitamente superior al que se puede hacer en Sicilia. Es fácil de comprobar. Por eso si un jardín botánico tiene como expectativa de futuro contribuir positivamente en la conservación de la flora ese es un problema que nos preocupa, que deberíamos poder hacer algo más de lo que estamos haciendo.

LR: ¿Tenéis proyectos futuros en este sentido?

JMM: Bueno, hemos contribuido a la creación de una red de conservación de flora mediterránea con, con, con precisamente con jardines de Sicilia, de Cerdeña, de… griegos, con los de Creta, con gente de la península ibérica, Baleares, etc. Y también con socios egipcios y marroquíes y bueno, con la idea de poner proyectos en común, procedimientos en común, etc.

Ahora la crisis nos ha dejado a todos un poco descolocados…

LR: ¿Ahora con la crisis en el norte de África estos proyectos están progresando, o no?

JMM: En estos momentos están financiados por la Unión europea y, y, y tras… y luego los tuvimos con nuestros recursos, pero ahora los que sufrimos la crisis somos nosotros, por lo tanto tenemos menos recursos de los que necesitaríamos para mantener estas redes, y con los recursos de los norteafricanos a penas se puede contar, porque a duras penas les llega para…

LR: Existe la región mediterránea pero no existe una política para el mediterráneo, completamente es una cosa que es…

JMM: Bueno es un objetivo importante de Europa, y la verdad es que nos lo tomamos en serio, hoy mismo se están reuniendo en Barcelona países del norte y del sur de África… del norte de África y del sur de Europa, del mediterráneo occidental nada más, pero ciertamente si no,… no se donde tiene que estar la frontera de Europa, seguramente es más fácil que sea el desierto que no que esté en el mediterráneo. Intentar que el mar sea una frontera tendremos Lampedusas una detrás de otra. Y eso hay que entenderlo. Por lo tanto la situación de Libia ha sido un desastre, mientras no estabilicemos Libia no se resolverá… para, no creo ningún… yo creo que no hay ninguna solución a este… hagamos lo que hagamos, pero si se quiere hacer algo con un poco de sentido hay que intentar que la presión por venir a Europa no sea la que es, porque si no estaremos reduciendo el problema a un tema de policía, y eso no debería ser, porque fracasaremos siempre en eso. Hay que resolverlo a otra escala

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LR: ah, es el desierto.

JMM: Es el desierto. La región holártica llega… todo el norte africano es holártico, tanto respecto a las razas humanas como respecto a las plantas o los animales, la frontera fuerte des de el punto de vista ambiental es el desierto, es enorme, y las lluvias al sur del desierto, las pocas que hay, son en verano y en cambio las pocas que se producen al norte del desierto del Sahara son de invierno, como las nuestras.

LR: Una última pregunta que me gustaría hacer, entonces ¿me parece entender que el jardín Botánico no hay mucha relación con las políticas de plantaciones de Barcelona?

JMM: Territoriales no.

LR: Territoriales No, es una pena…

JMM: Bueno, nos relacionamos con la gente pero no, … no, … la planificación de la ciudad no recurre a nosotros.

LR: No recurre, es una pena.

Montserrat: Pero bueno, nosotros la información está disponible, y la tienen siempre que la pidan, es decir que no, no, LR: Si pero la relación es diferente JMM: Si claro, claro, claro LR: es una cosa diferente…

JMM: Es diferente si…

LR: ¿Y tú la quieres diferente?

JMM: Bueno, … naturalmente nosotros nos debemos a la ciudad, en primer lugar. Lo que la ciudad determine eso para nosotros es una obligación, porque estructuralmente nosotros dependemos de la ciudad. Des de el punto de vista estrictamente del jardín botánico…

LR: ¿El Jardín Botánico es una institución universitaria o es del Ayuntamiento?

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mucho más humana. Pero en cualquier caso nuestro… desde el punto de vista ideológico nuestra frontera es el desierto, no es el mar.

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JMM: Del Ayuntamiento.

LR: ¿Del Ayuntamiento?

JMM: Por eso, por eso, nuestra obligación es obvia. En cuanto a la dinámica del jardín botánico es otra cosa distinta.

Y naturalmente priorizaremos lo que nuestra administración determine con toda seguridad, pero en cuanto a la dinámica nuestra, es más una dinámica asociada a un centro cultural y a un museo, como estamos ahora mismo, el Museo de Plantas Vivas, y por tanto a estudiar especies concretas, a reunir cada vez más información sobre…, no solamente sobre las plantas que cultivamos sino las plantas que se encuentran en los herbarios, en nuestras colecciones, etc. Y claro, proyectos de investigación en esta dirección. Lo que pasa es que el Jardín, es muy importante comprender que está asociado con el Instituto Botánico de Barcelona, que es donde estamos ahora, y este es un centro mixto del Ayuntamiento con el Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Por lo tanto es fundamental entender que los programas de investigación que se realizan en el Instituto Botánico son todos de investigación competitiva, todos son proyectos competitivos. No se realiza nada que no haya sido evaluado correctamente y financiado con fondos públicos o privados pero con mecanismos competitivos, no, no, … no, no,… la libertad del investigador es total, pero los recursos no, los recursos están controlados por sistemas públicos de votación. Y eso es…, eso es algo, desde mi punto de vista es fundamental, y seguramente no es la obligación del ayuntamiento de Barcelona promover la investigación científica, ni de ningún otro ayuntamiento de la ciu… de esta … de ciudades parecidas a Barcelona, no? La investigación científica corresponde a universidades y a centros de investigación. Por esto para el Jardín Botánico es muy virtuosa la vinculación con el Instituto Botánico.

LR: Es muy virtuosa…

JMM: Mucho, muy importante, porque es una fuente de ingresos, de plantas, de conocimiento, de mejora, de, de estímulos para el cambio, todo esto es importante. Eso da valor al Jardín, es un valor añadido y… vamos que nos da carácter, eh?

LR: Si, tu conoces este proyecto de las supermanzanas, si ú has sentido….

JMM: No, he oído poco. Pero lo que sí que tengo entendido es que es una evolución de la ciudad hacia una mayor presencia

Conversazione con Josep Maria Montserrat

de la proporción de verde en la ciudad, y por tanto es un camino hacia la pacificación de la ciudad entendida como una… el combate siempre es el mismo, ¿quién gana el coche o el ciudadano? Y en este sentido estoy a favor del ciudadano, no hay duda. Si una ciudad como Nueva York que es la ciudad con más cemento…, hoy si piensan en la ciudad donde domina el cemento, ¿qué ciudad te viene a la cabeza? Seguramente es Shanghái, hoy, pero en la mitología de…. En el imaginario colectivo es Nueva York. Bueno pues Nueva York se propone, desde hace años, convertirse en la ciudad más verde del mundo, parece un contrasentido, ¿cómo puede ser que la ciudad con más hormigón se convierta en la ciudad más verde?

Pues está haciendo esfuerzos notabilísimos para potenciar, para ir frenando el acceso de los automóviles a la ciudad y en cambio potenciar el espacio ambiental, y convertir las terrazas en espacios verdes, etc. Y no solamente eso sino, el tercer jardín botánico de Nueva York, de los tres que tiene, el nuevo pabellón para recepción, para acogida del público se ha construido, es un pabellón que se ha hecho con los mejores criterios de sostenibilidad a partir de las mejores contribuciones de los industriales de la ciudad. Por lo tanto, el alcalde Bloomberg consiguió que los mejores, que se yo, no solamente arquitectos sino los ingenieros, pero otros, fabricantes de acero, los… todos los materiales, todos hasta la última pieza, respondieran a los criterios de sostenibilidad y de la mejor eficiencia por parte de los industriales locales. Lo cual tiene… es interesante, salió muy caro me parece pero, pero es un modelo y vale la pena tenerlo como referente, para ellos y para nosotros.

LR:Para ellos y para nosotros. Para mi es perfecto.

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Conversazione con Giuseppe Barbera

La vivibilità a Palermo Conversazione con Giuseppe Barbera

LR: Assessore, Le chiedo quali progetti per Palermo? cosa sta facendo l’assessorato per implementare la vivibilità della Città tramite il verde urbano? L’agricoltura, ad esempio, può rappre‑ sentare una risorsa?

Giuseppe Barbera

GB: Occupandomi di paesaggi tradizionali all’Università, un paio d’anni prima di divenire Assessore avevo fatto uno studio sull’evoluzione dell’uso del suolo nel territorio della Conca d’Oro di Palermo, arrivando a dare i numeri a quelli che sono i fenome‑ ni che sono evidenti a tutti: cioè un consumo di suolo che negli anni ’70 ha avuto ritmi veramente impressionanti, processo che comunque non è assolutamente terminato. Tra il 2000 e il 2007 si andava ancora avanti con un ritmo pari a 40 ha annui e tra il 2007 e il 2010, con Palermo che ha visto l’esplosione del feno‑ meno dei centri commerciali, possiamo affermare che con molta probabilità ci si aggiri intorno a quel range. I dati ci dicono che territorio di Palermo è urbanizzato al 75%; la restante parte del 25% è la porzione alla quale noi dobbiamo fare affidamento per considerarla veramente come una risorsa fondamentale per il futuro della Città.

Parlando in termini generali, il suolo non edificato ha perciò un ruolo fondamentale dal punto di vista ambientale e in particola‑ re, per ciò che concerne il suolo agrario i servizi ecologici che svolge, nelle condizioni di Palermo, sono fin troppo evidenti per ribadirli; In questi suoli c’è un’attività produttiva in corso e, in particolare in alcune aree, c’è l’agricoltura che non è un fatto secondario.

L’agricoltura urbana è diventata uno dei temi più importanti per il futuro delle città. Gli attuali interrogativi la riguardano nel senso di come salvaguardarla, su come implementare gli orti urbani, si sente parlare sempre più spesso di urban farm, ecc… insom‑ ma: ci sono esperienze importanti di successo che oramai sono giunti in una fase molto avanzata.

Nel frattempo ho scritto un testo, “Conca d’Oro”, in cui questi temi li ho affrontati da un punto di vista personale e anche sto‑ rico. Ho trovato interessante, per me che non lo sapevo, il ca‑ pitolo in cui parlo degli anni del “sacco di Palermo” perché ho

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potuto capire meglio quali erano i meccanismi e i processi che ne erano alla base e che, comunque potrebbero riproporsi.

Partendo da queste considerazioni, la prima attenzione che ho avuto è stata quella di lavorare ad un progetto di un percorso progettuale che porti alla tutela e valorizzazione degli spazi li‑ beri della Conca d’Oro, partendo dal presupposto che, eviden‑ temente, non basta dire “non costruisco” per la ragione che se quell’ettaro di terra lo lasci all’abbandono e al degrado prima o poi ci si costruirà sopra, sarà soggetto di degrado e quindi, alla fine, sarà l’abuso, sarà la cattiva norma, ma prima o poi lo per‑ diamo. Per cui, mantenere o sviluppare quella funzione agricola, guardando all’agricoltura di tipo tradizionale, quindi multifunzio‑ nale, quindi capace di dare forti risposte in termini culturali e ambientali e non soltanto economico/produttivi.

Quindi, ho promosso il Piano Strategico per lo sviluppo dell’agri‑ coltura urbana e peri-urbana della Conca d’Oro che in questi giorni è in Giunta e che è il risultato di un protocollo d’intesa che verrà firmato dall’Amministrazione Comunale e dall’Amministra‑ zione Regionale. Il protocollo è già stato predisposto dall’Asses‑ sorato Agricoltura e Foreste che istituisce un tavolo tecnico per la progettazione di un Investimento Territoriale Integrato (ITI) che sarà inserito dalla Regione attraverso i percorsi ufficiali dentro la nuova Programmazione Europea in modo da avere, cosa che l’attuale programmazione e regolamenti europei non consento‑ no, di avere la possibilità di aiutare nei termini più ampi possibili chi fa o vuole fare agricoltura in città. Questo è un aspetto molto interessante perché serve e dà sostegno a quel 25% di territorio non urbanizzato.

LR: Quindi si conferma il dato che l’agricoltura, oltre a svolge‑ re i conosciuti servizi ecologici utilissimi per l’ambiente urbano, grazie ad uno strumento di programmazione come l’ITI diviene anche risorsa economica.

GB: Esattamente! guardando proprio al paesaggio come risorsa economio-produttiva, in quanto paesaggio agricolo, ma parlan‑ do della Conca d’Oro come paesaggio in termini culturali, bel‑ lezza, fascino storico, “passeggiare in un giardino d’agrumi”, il sogno di un viaggiatore tedesco. Naturalmente tutto questo, ma così è in questo momento a livello di pianificazione territoriale all’interno della Giunta, deve essere coerente con altri interventi dell’Amministrazione. Per fare agricoltura io ho bisogno di avere delle aree omogenee affinché questa possa farsi efficacemente.

Io non amo molto utilizzare gli slogan tipo “consumo di suolo zero”, mi interessa poco perché credo molto più in un consumo di suolo ragionato e comunque molto ponderato. Ci sono dei servizi che devono usare suolo; se sono necessari si fanno dopo

Conversazione con Giuseppe Barbera

aver considerato, ovviamente, se questi servizi possono essere oggetto di manufatti esistenti o possono essere riusati. Rimane comunque il fatto – questo è un principio di ecologia del pae‑ saggio – che se io frammento un territorio, al di là di quello che ci insegna il sacco edilizio, perdo connessioni e dal punto di vista economico anche agricolo, diventa difficile.

LR: Un concetto interessante che sta prendendo oramai piede è quello dell’infrastruttura verde che, affiancata a quella che viene chiamata “infrastruttura grigia” dovrebbe superare e risolvere il problema della frammentazione, specialmente nei luoghi urbani è molto sentito questo problema, ma dice anche una cosa im‑ portante: non si può più continuare a pensare che il sistema del‑ la mobilità e quello della vivibilità siano assolutamente disgiunti.

Quale è lo stato dell’arte del dialogo tra questo assessorato e quello della mobilità di Giuffrè?

GB: Stiamo lavorando con l’Assessore Giuffrè intorno ai temi della mobilità sostenibile. Nel corso di quest’anno abbiamo mar‑ ciato parallelamente con parecchie convergenze che, in alcu‑ ni casi, devono diventare un vero e proprio scambio. Il tema del bike-sharing è tra questi e in tal senso ho lavorato portando avanti dei progetti che prevedono la localizzazione di almeno 20 punti di bike sharing che devono chiaramente essere connessi tramite una rete di piste ciclabili, in questo caso di competenza dell’Ass. mobilità. Stiamo lavorando bene insieme e ci sono le condizioni affinché i progetti in atto potranno diventare fattibili.

Quest’anno ho avuto anche molte sollecitazioni da associazioni ambientaliste WWF, Lega ambiente, per quanto riguarda il trac‑ ciato della vecchia ferrovia, questo corridoio verde la cui fun‑ zionalizzazione è assolutamente auspicabile. Posso dire, sulla base dell’esperienza, che un discorso è immaginarlo e un altro è farlo. Tra le tante difficoltà che abbiamo avuto quest’anno, non siamo andati molto avanti su questo tema; avremo dovuto re‑ cuperare il tempo perduto e rispondere a molte emergenze nei temi di nuova progettazione del verde. Questo è un aspetto che va curato e ampliato, ancora una volta, nella piena collaborazio‑ ne con l’Ass. Giuffrè. Perché se io pianto una striscia di terra, lo faccio affinché questa venga utilizzata e non per lasciarla per 10 anni all’abbandono. Ci deve cioè essere una contestualità tra progetto, intervento e gestione. A Palermo, adesso, costitu‑ iscono un problema gli aspetti connessi al rapporto tra verde, mobilità e pedonalità; difficile adesso da risolvere a causa di ba‑ nali errori fatti in passato. Molti marciapiedi della città non sono percorribili perché sono stati piantati gli alberi sbagliati; hanno sollevato i marciapiedi e adesso risolvere queste disfunzioni è costoso perché devi rifare il marciapiede, non elimini l’albero

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a cuor leggero. Quindi, scelte complesse ma che non posso‑ no essere trascurate o tralasciate. Ci sono molti brani urbani, in particolare, al centro e in periferia che non rendono possibile camminare a piedi proprio per questo motivo.

LR: Negli anni passati, la funzione di diffusione delle specie ve‑ getali esotiche veniva promossa dall’Orto botanico. Oggi, per ciò che concerne gli aspetti decisionali circa l’inserimento di un’essenza nel contesto urbano, intervengono altri fattori. Chie‑ do se questo assessorato sta lavorando al fine di produrre un Piano del Verde Urbano per Palermo.

GB: Non abbiamo ancora fatto un Piano del Verde. Siamo in ri‑ tardo per via del fatto che questo assessorato così come anche quello alla mobilità, ha dovuto far fronte ad altre emergenze. Pur tuttavia, abbiamo in cantiere tante cose interessanti che saranno utilizzate certamente proprio in funzione del Piano che andremo a realizzare. Infatti, abbiamo da qualche mese uno strettissimo rapporto con l’Orto botanico che ci porta per esempio ad avere il suo Curatore per quattro ore al giorno a Villa Trabia, per gui‑ dare il gruppo di intervento per il suo recupero. Poi c’è anche il discorso del Parco Cassarà. Questo rapporto tra Assessorato e Orto botanico dovrà portare ad uno strumento del Piano Urbano del verde, ma per fare questo occorre rivedere il vecchio PRG perché ci sono cose che non funzionano se si considera che gli Orti urbani in questo momento li si può dare solo ai pensionati.

Perché 10, 15 anni fa era questa; mentre adesso è una temati‑ ca molto sentita anche dal giovane ventenne che cerca lavoro.

Tra le cose da fare in seno a questo Assessorato, c’è anche il rafforzamento delle competenze tecniche perché sono numeri‑ camente deboli, come numero di agronomi, forestali, botanici e, oltretutto, la loro formazione non è legata ai temi del verde urba‑ no o dell’agricoltura urbana: è legata ai temi del verde agricolo o extra-urbano. Poiché non c’è questa cultura e stiamo lavorando per costruirla, indubbiamente deve andare di pari passo.

LR: In effetti Palermo, relativamente agli orti urbani, ha tantissi‑ me potenzialità per le numerose aree libere. Danisinni, ad esem‑ pio, ha un estensione di ben 12 ha.

GB: Certo! Danisinni, essendo costituita soprattutto da spazi pri‑ vati, immagino di poterlo fare attraverso l’ITI. L’UE tra due anni, darà ai proprietari dei terreni i soldi per creare una cooperativa.

Un altro sistema sarebbe quello di utilizzare la risorsa della Ban‑ ca del Suolo: io ho disponibilità di terra, li do a te cooperativa o consorzio privato, tu la coltivi e in cambio mi dai i prodotti della terra.

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GB: Oltre ai temi dell’agricoltura urbana e peri-urbana, quello della Favorita è l’altro tema importantissimo che ha in se un nodo fondamentale nel contesto della viabilità palermitana. La sem‑ plificazione sulla Favorita spinge a dire, tutti e in piena buona fede, “chiudiamo la Favorita”. D’altra parte chi si azzaderebbe a dire il contrario? Tutti saremmo felici di chiuderla, proprio perché possiede al suo interno risorse notevoli di valore storico e cul‑ turale. Diventerà quello che immaginiamo e testando sul tema della viabilità, io ho già detto che, posso chiudere la Favorita nel momento in cui ho trovato un’alternativa per arrivare a Mondello.

Le alternative immaginate sono poche, deboli e probabilmente costose. La risposta a questo tema la lasceremo ad un ITI. Però mi dispiace perché io comincio a guardare sempre più spesso al fatto che il tabù Favorita deve essere ridimensionato. In un’ottica di intervento complessivo sul Parco che chiaramente va condot‑ ta con il massimo dell’impegno, non deve apparire scandaloso che si continui a raggiungere Mondello attraversando la Favo‑ rita: magari una sola strada piuttosto che due, ci sono diverse soluzioni se ci sono i soldi, la possibilità e i permessi ma, certa‑ mente, non si può più continuare con questa retorica di chiudere la Favorita perché se ciò fosse fatto avrei immediatamente la giusta rivolta di quelli che vanno a Mondello. Si può fare tanto: lavorare sulla percorrenza così come diminuire la velocità.

LR: dai dati ISTAT si desume che la Città è una delle più verdi in Italia sol perché il PRG integra la Favorita e Monte Pellegrino come Verde pubblico. Naturamente, questo falsa quella che è la situazione del verde nella Città.

GB: Si, naturalmente questo falsa. Stiamo lavorando sulla frui‑ zione della Favorita. Per la parte che riguarda sarà verde agrico‑ lo, per migliorare il ritorno degli agricoltori che anni fa erano stati cacciati. Gli agricoltori hanno fatto gli operai della GESIP. I pae‑ saggi agricoli li gestiscono per definizione gli agricoltori. Quindi, un ritorno degli agricoltori a fare economia, a dare lavoro, ecc.

Ci saranno grandi spazi, percorrenze, percorsi per le attività la‑ vorative, bicicletta, orienteering, spazi per attività culturali, per usufruire dei giardini storici. Cioè, nell’idea che abbiamo, la Fa‑ vorita sarà un luogo molto frequentato. Pur non avendone peral‑ tro parlato in modo ufficiale, ma esistono le condizioni perché ciò avvenga, già questo inverno avvieremo la chiusura del traffi‑ co del tratto che va dalla Fontana di Ettore Farnese, Malvagno, Pitrè-Palazzina Cinese, Villa Niscemi. Questa area può essere chiusa per diventare un’area di giardini storici senza nessuna

Interviste

LR: oltre al Piano del Verde?

Interviste

La vivibilità nella Città di Palermo

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difficoltà. Rimane aperta e, anche qui siamo in ritardo sulla ta‑ bella di marcia, la questione del Fiume Oreto.

Relativamente alla possibilità di espandere l’orto botanico nella parte dei gasometri, abbiamo iniziato un discorso con i funzio‑ nari di AMG gas, Giuffrè con l’Università e pensiamo di chiamare il sistema che mette insieme Villa Giulia - Orto botanico – Gaso‑ metri e tutta l’area che va al di là di Via Tiro a Segno, Parco Urba‑ no Universitario di Villa Archirafi, con parziale pedonalizzazione di Via Archirafi. Stiamo infine lavorando perché si attivi il finan‑ ziamento del nuovo ingresso dell’Orto botanico dalla Marina, at‑ traverso Villa Giulia (che è comunale). Infine c’è la questione che è quella dei paesaggi islamici dei monumenti arabo-normanni, relativa alla proposta dell’UNESCO, della quale però non se ne parla tanto. Allo stato attuale, ci sono gli edifici ma non ci sono i paesaggi. Osservo che Maredolce, il Castello, il lago e l’isola sono pressoché intatti. Così come ai Danisinni troviamo intatti i “maqsama”, cioè i sistemi degli orti urbani diffusi in tutto il Ma‑ ghreb. Non ho visto in tutto il Mediterraneo e forse nemmeno nell’India Moghul un sistema ancora così perfettamente integro come quello della Fawara. Tra i nostri obiettivi, anche quello di ricreare la connessione tra la Zisa e il suo giardino, relegata in questo momento dal giardino, dalla recinzione, da questi impro‑ pri dammusi, il portale del ‘700 fuori asse; e poi ancora, Villa Na‑ poli e la Cuba, la Cuba Sottana attualmente soffocata da quella spianata davanti che basterebbe davvero poco perché possa diventare un giardino, uno specchio d’acqua. Ci sono cioè que‑ ste operazioni, non costosissime ma che consentirebbe a que‑ sta città di avere un verde che la renderebbe simile a Granada in Spagna.

3.1 La Green Economy

Interazioni tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano 3.1. La Green economy Come ci si muove in tempo di crisi e come le città possono inve‑ stire in termini di sviluppo economico al fine di invertire il trend negativo causato dalla congiuntura negativa? È ormai opinione largamente condivisa che le crisi in corso impongono cambia‑ menti e riforme strutturali affinché possano essere integrati, nei piani di sviluppo, i fattori oggi scarsamente o per nulla consi‑ derati quali ad esempio la valorizzazione degli apporti forniti dai servizi ecosistemici ed alla conservazione e velorizzazione della biodiversità urbana, oltre che una indispensabile strumen‑ tazione normativa, aggiornata e adeguata alle nuove sfide. I ser‑ vizi ecosistemici (SE) sono “costituiti dai flussi di materia, energia e informazione provenienti dagli stock del capitale naturale, che si combinano con i servizi dei manufatti antropogenici per generare benessere e qualità della vita” (Costanza et al. 1997).

I servizi ecosistemici, quindi, oltre ai già conosciuti apporti in termini di approvvigionamento, cibo, acqua, legname, sostanze medicinali, ecc. forniscono alla città sostegno per la regolazione del microclima urbano, del ciclo delle acque e delle precipita‑ zioni, consentono di contrastare i fenomeni di erosione del suolo, di depurare l’aria dalle polveri sottili grazie all’azione filtrante esercitata dalle chiome degli alberi, di filtrare le acque privan‑ dole delle sostanze tossiche che, in assenza della vegetazione, si innesterebbero all’interno delle falde acquifere sottostanti. La biodiversità, concetto molto complesso per via delle differenti definizioni e declinazioni che assume a secondo dei livelli al quale si fa riferimento (genetico, specifico ed ecosistemico) può essere espresso tanto al livello quantitativo, quanto in chiave di distribuzione spaziale e di interazione con l’ambiente urbano.

Così come è stato definito dalla Convenzione quadro del 1992 delle Nazioni Unite che così la definisce: “la variabilità di qualsiasi origine degli organismi viventi, inclusi, tra l’altro, gli ecosistemi acquatici terrestri, marini e gli altri complessi ecologici di cui fanno parte; questa include la diversità all’interno delle specie, tra le specie e tra gli ecosistemi”.

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3.

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3. Interazioni tra mobilià e verde urbano

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Le città possono dare un contributo enorme affinché la biodi‑ versità venga potenziata: attraverso, lo sviluppo di attività intese sotto l’alveo delle green infrastructures e cioè con l’adozione di forme riconducibili alle forme della mobilità sostenibile, con il rinverdimento di facciate e coperture degli edifici, con la dif‑ ferenziazione gerarchica dei corridoi della mobilità opportuna‑ mente integrati di vegetazione, con la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti, con l’utilizzo di energie rinnovabili e la riduzione di quelle di natura minerale, con il potenziamento delle attività connesse all’agricoltura urbana, ecc. Si può uscire dall’attuale crisi che, come si è già detto in precedenza, non è soltanto di natura economica ma anche ambientale ed energetica, se quindi si attua, anche a livello di organizzazioni urbane, una generale messa in discussione del tradizionale modello di svi‑ luppo economico imperniato sulla cosiddetta brown economy, di fatto basato sullo sfruttamento delle risorse naturali, a lungo credute infinite, e sulla scarsa attenzione agli impatti delle atti‑ vità antropiche su ambiente, società e qualità della vita. Invertire il trend, quindi, significa ridiscutere i termini sui quali si basa il concetto di sviluppo urbano. In questo senso, la green economy adopera i limiti del pianeta che vengono riconosciuti alla stregua di confini entro i quali sviluppare una nuova strategia di sviluppo che sappia essere sostenibile nei confronti delle risorse e sap‑ pia ridurre drasticamente gli impatti ambientali e sociali, affinché possano sussistere le condizioni per migliorare la qualità della vita in generale e, in particolare, all’interno dei centri urbani.

3.1.1 Le città e il cambiamento ambientale Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il cui mandato pre‑ sidenziale è stato caratterizzato pesantemente dalle vicende dei subprimes del 2009, è stato il primo, fra i grandi della Terra, che nella green economy ha individuato la via per l’uscita dalla crisi globale. Ci si pone la domanda su cosa effettivamente si indichi con il termine green economy e di come questo sia stato declinato, inteso o abbia generato anche confusione. Malgrado le divergenze, tuttavia si può affermare che vi è un elemento comune che lega le diifferenti definizioni e cioè a dire nel fatto di considerarlo “uno strumento di sviluppo sostenibile basato sulla valorizzazione del capitale economico (investimenti e ricavi), del capitale naturale (risorse primarie e impatti ambientali) e del capitale sociale (lavoro e benessere), così come lo sviluppo sostenibile è basato sulle tre dimensioni, economia, società e ambiente” (Ronchi E. et al. 2013).

3.1 La Green Economy

Superata la fase iniziale nella quale il termine veniva spesso confuso o era strettamente appannaggio delle industrie ambien‑ tali e in particolare del settore delle energie rinnovabili, oggi alla Green economy viene riconosciuto un ruolo aderente su tutti i settori della produzione di beni e servizi, come anche per la tutela, la conservazione e la valorizzazione delle risorse naturali, finalizzata ad essere veicolo di un orizzonte in grado di garan‑ tire un futuro globale migliore e più equo. Naturalmente, affin‑ che la Green economy possa essere veicolo di valori forieri di sostenibilità ambientale così come di uguaglianza, è necessario sapersi confrontare con le problematiche che sono deterrenti a che le scienze ecologiche possano divenire motore di svi‑ luppo economico e ambientale. Karen C. Seto (2013) sostiene che proprio perché le scienze ecologiche non possono più elu‑ dere l’attenzione verso i problemi connessi all’urbanizzazione, allo stesso modo le città stesse non possono procrastinare le ragioni del loro sviluppo da quei fatti ecologici che sono state determinanti ai fini della loro fondazione. Rileva inoltre che c’è una profonda disconnessione tra le esigenze della popolazione circa l’approvvigionamento delle risorse ecosistemiche e la pre‑ servazione delle stesse: per un verso è riconosciuto il ruolo glo‑ bale che hanno le città in seno alle condizioni ecosistemiche dell’intero globo terrestre, per altro verso le politiche delle città stesse sono affette da localismi che ignorano il senso e la finalità stessa di preservare le risorse ecosistemiche in favore di una logica globale. Perviene quindi alla riflessione che è necessario che l’intero sistema urbano debba riconnettersi alla biosfera. “... A history of disassociation of biodiversity, ecosystems, and urban development alongside a belief in technological solutions gave rise to a logic of urban planning that made it possible to imagine that the governance of urban life could be separated from the provision of food, water and other ecosystem services on which all human life depends...”

(Seto 2013).

Individua, attraverso l’analisi di testi scientifici come vi siano sostanzialmente cinque tendenze in atto capaci di caratteriz‑ zare i processi di urbanizzazione e di causare ripercussioni sui servizi ecosistemici e sulla biodiversità.

1) indipendentemente da differenti momenti e contesti geogra‑ fici, le aree urbanizzate si sono andate espandendo con una velocità ben maggiore rispetto alla popolazione urbana stessa e se, i processi di urbanizzazone oggi sono differenti rispetto alle trasformazioni urbane del passato, ciò dipende da fattori di scala, velocità di urbanizzazione e spostamento della geografia dell’urbanizzazione stessa.

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3. Interazioni tra mobilià e verde urbano

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2) Le aree urbane modificano il loro microclima, nonché il clima regionale nel quale insistono. Uno degli effetti derivati dalle atti‑ vità urbane (costruzioni, mobilità, produzione industriale, con‑ versione di suoli da permeabili a impermeabili) consiste nell’in‑ sorgenza del fenomeno delle Isole di Calore (Urban Heat Island) che acuisce le esternalità delle attività umane, quali l’inquina‑ mento atmosferico e produzione di diossido di carbonio.

3) L’espansione urbana influenza la domanda per le risorse naturali necessarie alla costruzione e alla gestione di ambienti costruiti. Malgrado siano stati fatti tanti passi in avanti nella strada del risparmio energetico degli edifici (Gustavsson e Sathre 2006; Fernández 2007) e gli studi abbiano dimostrato la mag‑ giore efficienza energetica da parte della città compatta rispetto alla città diffusa (Wheeler 2003; Sovacool e Brown 2010; Rueda 2012), tuttavia gli stili di vita legati all’uso della mobilità privata e le connesse esigenze legate all’approvvigionamento energetico di acqua e energia elettrica residenziale, di fatto ottundono le prestazioni degli edifici che si disperdono alla scala metropoli‑ tana (Güneralp e Seto 2012).

4) L’espansione urbana nel mondo sta minacciando i maggiori hotspot di biodiversità del pianeta (Seto et al. 2012b ).

5) La tendenza in atto che vede i processi di urbanizzazione andare in direzione di un’economia “Green”, quindi verso la sal‑ vaguardia dei valori della biodiversità e dei servizi ecosistemici, si esprime attraverso un tentativo di tradurre economicamente i benefici di questi stessi valori. Tuttavia, tradurre economica‑ mente i benefici economici derivanti dall’esaltazione della bio‑ diversità e dei servizi ecosistemici, varia e dipende fortemente dalle condiziioni contestuali. In Europa e in Nord America è in atto una crescita di aspettative verso l’adozione di politiche “green”. La stessa cosa non si può certo dire per i paesi che stanno nell’emisfero Sud del mondo.

Se quindi, come sostiene Seto, nell’era attuale di sviluppo, la sostenibilità urbana è minacciata da un’accresciuta incertezza globale oltre che da repentini e continui cambiamenti derivanti sia da ragioni economiche, energetiche e climatiche, sia ancora da una generale evoluzione tecnologica e da un’efficente mobi‑ lità che consente di far viaggiare merci alimentari e risorse da una parte all’altra del globo, tuttavia la necessità di collegare il sistema di città e metropoli alla biosfera, mediante un’inver‑ sione dell’economia in favore di ragioni ecologiche, è ancora arduo da realizzare per via di deterrenti che hanno un’incidenza sull’ambiente e sulle attività degli uomini, a tutte le scale, tali da assumere la conformazione di una triplice emergenza (Rifkin, 2008). L’emergenza suddetta riguarda molteplici settori - come il cibo, l’acqua, energia, trasporti e rifiuti- che sono fondamentali per lo sviluppo e la conformazione stessa delle nostre città che,

3.1 La Green Economy

come più volte ricordato, sono punti di leva chiave nella ricerca sulla sostenibilità globale a causa dei loro alti livelli di consumo, produzione e smaltimento di rifiuti e scorie energetiche. Inoltre, i processi di urbanizzazione nei paesi asiatici in via di espan‑ sione, stanno avvenendo con una velocità tale da rendere l’intero sistema Terra vulnerabile alla mancanza di risorse, alla povertà, alla disuguaglianza e ai cambiamenti climatici. D’altro canto, rileva giustamente il McKinsey Global Institute (2011), se per un verso il progresso tecnologico ha velocizzato il sistema ener‑ getico globale, esponendolo a rischi inattesi, per altro verso il panorama appena descritto ha rianimato il dibattito sulle risorse.

Cioè a dire che i progressi della rete tecnologica e di internet, con la sua capacità di generare, comunicare, condividere e accedere ai dati, è stato rivoluzionato dal numero crescente di persone, dispositivi e sensori che sono ora collegati da reti digi‑ tali (McKinsey & C., 2011). Le reti costituiscono certamente una risorsa a tutti i livelli, materiali e immateriali. Anche il progresso scientifico sta lentamente, ma in modo decisivo, entrando negli aspetti della quotidianità urbana, incidendo su un uso più accorto delle risorse energetiche. Basti pensare alla tecnologia GIS di derivazione militare o anche alle nuove turbine utilizzate nella nuova generazione di energia eolica proveniente dal set‑ tore aerospaziale. Molto presto queste stesse tecniche potranno essere applicate alle prestazioni delle batterie utilizzate per il settore dei trasporti, con riflessi positivi nell’ambiente urbano. I progressi che stanno avvenendo nel settore della chimica orga‑ nica e in quello dell’ingegneria genetica stanno apportando vere e proprie rivoluzioni nella produttività agricola, in quello della fornitura di bio-energia, e nel sequestro del carbonio terrestre.

Vi è quindi ragione di credere che le innovazioni in atto, derivate dallo sviluppo tecnologico delle reti e dell’industria dell’informa‑ zione e della conoscenza, contribuiranno a spostare l’asse dello sviluppo urbano da una dimensione energivora e dipendente dalle fonti fossili verso un’altra più sostenibile.

Ricapitolando, da una parte, quindi, v’è un panorama caratte‑ rizzato da una generale situazione emergenziale dettata dalla scarsità di risorse e incertezza legata alla situazione economica e climatica. I prezzi dei combustibili fossili (carbone, gas natu‑ rale, olio grezzo) crescono stabilmente dal 1990 e si prevede al contempo una crescita della domanda di olio pari al 45%; La produzione di rifiuti, non opportunemente trattati e differen‑ ziati dalle amministrazioni urbane può causare rischi molto seri alla salute e all’intero ecosistema. Altri aspetti attenzionati sono relativi alle risorse di acqua e cibo, il cui accesso a livello glo‑ bale non è garantito adeguatamente. Infine, persistono i pro‑ blemi ambientali (congestione, inquinamento dell’atmosfera ed emissioni di CO2) causati da una urbanizzazione incontrollata

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3. Interazioni tra mobilià e verde urbano

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e veloce originata in massima parte dalla dipendenza, dentro le città, del mezzo di trasporto privato ancora troppo vincolato alle risorge energetiche di origine fossile (UNEP - Green Energy Report, 2011).

Dall’altra parte si parla di Green Economy e, in particolare, del ruolo che in tal senso possono dare lo sviluppo delle infrastrut‑ ture della mobilità e del verde alle città del mondo.

Le città stanno vivendo una fase di grandi opportunità per un cambiamento di “pelle” che li porterà verso un regime in cui le economie ecosistemiche avranno la giusta considerazione e saranno la base di sviluppo per il prossimo secolo. Le domande che ci si pone sono allora queste: • come avverrà la migrazione o la transizione delle città verso una pianificazione urbana che preveda uno sviluppo sostenibile; • quali ostacoli e quali opportunità sussistono; • in che misura può avvenire una sostenibilità urbana in accordo alle esigenze delle classi sociali più disagiate?

McDonald sostiene che per evidenziare questo cambiamento di rotta è assolutamente necessario aver chiaro il fatto che le città sono indissolubilmente legate al mondo biofisico, sebbene questi stessi legami, vista la complessità prima delineata, sono sempre più difficili da individuare con chiarezza (Mc Donald I.R. 2013).

3.1.2 La Pianificazione urbana Il falso mito di uno sviluppo urbano avulso dai valori della bio‑ diversità e dei servizi ecosistemici, accanto alla fede cieca sull’idea progressista affidata alle recenti conquiste e soluzioni tecnologiche (tanto per fare un sempio, si pensava che l’uso della rete fosse capace di eludere il consumo di carta stampata, quindi i costi per lo smaltimento dei rifiuti), ha dato luogo ad una pianificazione urbana e ad una relativa governance della vita urbana separata dalla fornitura di cibo, acqua e altri servizi ecosistemici su cui tutta la vita umana dipende. Come risultato, le aree urbane oggi sono più che mai strettamente connesse al loro retroterra ecologico, e al contempo per i residenti urbani e per i loro rappresentanti è difficile gestire l’urbanizzazione sostenibile. Alle popolazioni e alle economie delle aree urbane che si basano su risorse endogene, corrisponde uno scolla‑ mento tra l’utilizzo delle risorse per le aree urbane e la conser‑ vazione dei servizi ecosistemici che sono al di fuori delle aree urbane. Mentre è riconosciuto che le aree urbane e gli abitanti delle città dovranno cominciare a prendere maggiore responsa‑ bilità gestione delle risorse della Terra (Seitzinger et al. 2012), gli sforzi di sostenibilità urbana spesso sono inclini a localismo,

3.1 La Green Economy

203

3.1.3 La mobilità sostenibile Il ripensamento infrastrutturale urbano è quindi una delle chiavi di volta per cercare di imprimere un cambiamento nella dire‑ zione di una maggiore sostenibilità del sistema globale.

Categorie di benefici specifici

Servizi ambientali Bilancio energetico locale e globale Composizione chimica dell’atmosfera Microclima Meccanismi di controllo biologico

1. Regolazione

Protezione da erosione del suolo e inondazioni Immagazzinamento e riciclo di sostanze organiche Nutrienti e rifiuti umani Mantenimento habitats e biodiversità Fertilità del suolo Fissazione energia solare Ossigeno Acqua per usi civili e industriali Cibo e bevande

2. Produzione

Risorse genetiche Materie prime per l’industria e l’artigianato Combustibili ed energia Concimi e fertilizzanti Risorse ornamentali Insediamenti umani Coltivazioni

3. Supporto

Conversione dell’energia Ricreazione e turismo Protezione della Natura Estetiche

4. Informazioni

Spirituali e religiose Storiche, artistiche e culturali Scienza ed educazione

Parte 1°

non riuscendo così a tener conto della necessità di preservare risorse altrove (Seto et al. 2012).

Parte 1°

3. Interazioni tra mobilià e verde urbano

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É evidente in molte città la necessità sentita da molte ammi‑ nistrazioni urbane di dotarsi di un trasporto urbano sostenibile volto a migliorare l’accesso e la mobilità riducendo la conge‑ stione e l’aumento della produttività (vedi paragrafo 1.3). Ciò perchè i dati di persone che convergono in città nella speranza di trovare occupazione e l’aumento del numero di veicoli di pro‑ prietà privata si sono rivelati elementi capaci di determinare notevoli pressioni sulle infrastrutture urbane. Entrambe queste componenti sono una caratteristica comune in tutte le città dei paesi in via di sviluppo. In tutti questi casi, sono emerse rispo‑ ste differenti: in qualche caso si è incentivato l’uso del trasporto pubblico, penalizzando attraverso sistemi di tassazione pesanti l’uso del trasporto privato, con effetti che variano da città in città; in altri casi, si sono attuate politiche volte a promuovere l’in‑ centivo ad utilizzare auto più pulite (vetture elettriche o ibride) o combustibile più pulito (bioetanolo, biodiesel, idrogeno), con lo scopo di rendere i trasporti urbani più sostenibili; in molti altri casi (New York, Calgari, Barcellona), si sono sviluppate politiche finalizzate a rendere sempre più diffusa nelle città l’accessibilità urbana sopratutto a vantaggio dei pedoni e dei ciclisti, cioé delle fasce più deboli e vulnerabili del sistema della mobilità urbana.

3.1.4 Il ruolo del verde urbano La presenza del verde all’interno dei tessuti urbani é un ele‑ mento di fondamentale importanza nella pianificazione urbana quando le logiche dello strumento del Piano sono protese ad ottenere un contesto urbano sostenibile da un punto di vista ambientale. Tuttavia, allo stato attuale, sono ancora tante le città che nel loro espandersi e svilupparsi nel territorio non tengono in debito conto l’annessione del verde all’interno della trama urbana. Tra i benefici che il verde urbano offre alla città, uno tra questi é quello di differenziarla dal punto di vista paesaggistico.

Una adeguata selezione di specie può portare a creare specifi‑ che identità paesaggistiche all’interno dei contesti urbani. Ciò, perché la grande varietà di specie arboree consente una infinita gamma di combinazioni di colori e forme di vegetazione che, indubbiamente, contribuisce a creare valore aggiunto nel pae‑ saggio urbano. La tabella che segue offre un quadro esaustivo relativamente ai benefici apportati e ai relativi servizi ambientali a questo connessi (vedi tab. sotto).

Indipendentemente dalle caratteristiche proprie di ciascun cen‑ tro urbano, lo sviluppo della rete verde nelle città deve essere inteso come un insieme al tempo stesso coeso e coerente. Infatti, sarà di poca utilità il fatto che una città possa essere dotata di stupendi parchi e giardini pubblici se le strade della città stessa

risultano essere sprovviste di alberi; ciò perché questi spazi urbani rimarrebbero isolati tra loro e senza comunicazioni con il resto del tessuto. Alla stessa maniera, é altresì importante il ruolo apportato dalla rete verde in quei spazi di transizione tra centro e periferia. In molte realtà urbane, nelle zone esterne abitualmente occupate dai centri produttivi, quali ad esempio le aree indu‑ striali o di stoccaggio merci ferroviarie, l’inserimento del verde non é contemplato come proprietà fondamentale. Quando que‑ ste aree esauriscono la loro funzione, il loro recupero costituisce di fatto un’occasione irripetibile ai fini del rinnovamento urbano che può iniziare proprio con l’inserimento di vegetazione, costi‑ tuendo questo un elemento formidabile che assicura la transi‑ zione tra gli spazi urbani centrali e quelli periferici. La creazione di corridoi verdi e l’istituzione di stepping stones negli spazi urbani, il recupero di elementi spondali delle rive dei fiumi, non soltanto consentono di conferire naturalezza alla città, oltre che di connettere tra loro spazi verdi urbani e natura, ma assicurano una sicura spinta in avanti verso una migliore vivibilità dei luo‑ ghi pubblici urbani. Lo sviluppo del verde urbano deve essere una priorità ai fini della qualificazione dello spazio pubblico e mai essere una risultante quando un’area risulta essere margi‑ nale o senza definizione poiché, quando ciò accade, le specie vegetali danno luogo a problemi di convivenza con le principali funzioni urbane o, peggio, vanno incontro a condizioni fitosani‑ tarie avverse per ragioni di stress idrico e atmosferico alle quali verrebbero sottoposte. D’altra parte, un’immissione incorretta di verde urbano renderà continuamente necessari interventi e opere di manutenzione straordinaria, fino a giungere all’azione drastica di sostituzione della specie vegetale stessa. Viceversa, quando l’immissione del verde urbano avviene secondo logi‑ che previste in sede di pianificazione urbana, ciò ha ricadute positive verso il benessere dei cittadini che, in modo pressoché immediato, possono usufruire dei servizi gratuiti quali riposarsi, rilassarsi, passeggiare sotto l’ombra di un viale alberato.

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Parte 1°

3.1 La Green Economy

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3. Interazioni tra mobiliĂ e verde urbano

2. Le infrastrutture verdi in ambiti urbani e semi-urbani

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Si intende per “infrastruttura verde” una rete interconnessa di brani di vegetazione e corridoi capaci di esprimere numerosi servizi ecosistemici in ambiente urbano. Affinché una infrastrut‑ tura verde sia completamente integrata in tutti i parchi, gli spazi aperti, le strade e altri corridoi della città, è necessario che que‑ sta rete di interconnessione debba diventare parte integrante‑ del piano urbanistico adottato. L’approccio proattivo consente in anticipo quali infrastrutture verdi considerare al fine di indiriz‑ zare lo sviluppo e la crescita in concomitanza con le politiche della pianificazione.

Il raggiungimento di questo obiettivo dovrebbe rispettare le seguenti condizioni senza le quali non sarebbe possibile: • Mantenimento dell’ecosistema; • Utilizzo efficente delle risorse; • Imitazione delle forme della natura attraverso l’uso delle infra‑ strutture verdi al fine di ridurre l’impatto sull’ecosistema; • Miglioramento dei valori estetici (visivo) e qualitativi che con‑ cernono l’identità del luogo, della comunità e del paesaggio.

Si tratta, perciò, di un approccio globale in cui le logiche stra‑ tegiche dello sviluppo urbano sono intese in una logica di pae‑ saggio finalizzata al mantenimento dei benefici derivanti dalle funzioni naturali comprese all’interno dei servizi ecosistemici.

Il concetto di infrastruttura verde, quindi, può essere applicato a tutte le parti della città capaci di ospitare brani di tessuto verde in grado di attenuare tanto gli effetti delle piogge sulle strutture urbane, quanto di limitare le azioni di disturbo provenienti dalle attività umane (rumori, polveri sottili, isole di calore). Quindi, possono rientrare nell’alveo delle infrastrutture verdi gli spazi naturali aperti, i boschi urbani ed extra-urbani, i tetti verdi, le fac‑ ciate rinverdite, i parchi e i giardini, le strade alberate, le piazze, gli orti urbani, gli spazi fluviali e i litorali. Applicato ai corridoi di mobilità, oggetto di studio della presente ricerca, l’infrastruttura verde rivolge principalmente la sua attenzione verso la riduzione degli effetti del sistema dei trasporti e dei loro impatti su aria, acqua e habitat. Attraverso il rinverdimento delle infrastrutture grigie, i processi idrologici naturali sono impegnati per la puli‑ zia e l’infiltrazione dell’acqua, per ridurre l’inquinamento deri‑ vato principalmente dall’azione dei trasporti e i danni strutturali derivati dall’azione di fiumi e torrenti. Riducendo l’area effettiva impermeabile e, contemporaneamente, aumentando la coper‑ tura vegetativa, si attenuano gli effetti negativi delle acque di laminazione. Così come, incrementando la canopia della coper‑ tura degli alberi, lungo le carreggiate stradali si contribuisce ad ombreggiare e ridurre l’effetto delle isole di calore. Affinché si

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3.2 Le infrastrutture verdi in ambiti urbani e semiurbani

Parte 1°

3. Interazioni tra mobilità e verde urbano

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possa attuare una rete di infrastrutture verdi nella pianificazione dell’uso del suolo e della mobilità, è necessario perseguire i seguenti obiettivi: • Ridurre le superfici urbanizzate e impermeabili e ottimizzare i servizi ecosistemici; • Integrare e collegare le infrastrutture verdi alle varie scale, e alle differenti tipologie di carreggiate stradali (scorrimento veloce, lento, strade urbane, di periferia, ecc.); • Progettare infrastrutture verdi in modo multifunzionale e mante‑ nere le funzioni degli ecosistemi ad es. strade che integrano ele‑ menti verdi per ridurre deflusso delle acque piovane sarebbero considerato multifunzionale su una carreggiata tradizionale; • Creare progetti appropriati e adattabili per infrastruttura verde Allo stesso tempo, utilizzo degli alberi perché possano seque‑ strare il carbonio e fungere da filtro per le polveri sottili, aiutando la città a mitigare l’inquinamento atmosferico e le isole di calore urbano.

L’infrastruttura verde, quindi, è un approccio alla gestione delle pioggie che risulta essere vantaggiosa in termini di costi-bene‑ fici, di sostenibilità e di rispetto dell’ambiente. Con queste, gli effetti derivati dall’impermeabilizzazione dei suoli sono attenuati.

La gestione delle infrastrutture verdi e le tecnologie utilizzate per l’infiltrazione, l’evapotranspirazione, la cattura e il riutilizzo delle acque piovane consente di mantenere o ripristinare la naturale idrologia. Alla scala più grande, le infrastrutture verdi consen‑ tono la conservazione e il ripristino di elementi caratteristici del paesaggio naturale (come le foreste, pianure alluvionali e zone umide) che sono componenti critiche per le acque piovane.

Proteggendo queste aree ecologicamente sensibili, le comunità possono migliorare la qualità dell’acqua, e al contempo fornire habitat alla fauna selvatica e opportunità di svago all’aperto.

Alla scala più piccola, le infrastrutture verdi includono pratiche di “rain garden”, marciapiedi porosi, tetti verdi, fioriere da infil‑ trazione, alberi e alloggiamenti per alberi e, inoltre, la raccolta dell’acqua piovana per usi non potabili, come per quelli prove‑ nienti da usi domestici o dall’irrigazione.

3.2.1 I concetti generali e la storia Il concetto di Infrastruttura verde comincia a diffondersi nei paesi anglosassoni, intorno alla seconda metà degli anni 2000 (Peraboni, 2010). Dunque è un concetto relativamente giovane, sebbene non manchino già esperienze che, non numerose, tut‑ tavia lasciano presagire che si tratti di un’autentica rivoluzione destinata a cambiare, non soltanto i modi di intendere il progetto di piano ma, anche, gli assetti organizzativi delle amministra‑

zioni deputate alla realizzazione, controllo e gestione delle tra‑ sformazioni urbane. Di diretta derivazione dai concetti sviluppati dalla dibattito sulle reti ecologiche che ha animato il panorama disciplinare urbanistico lungo tutto gli anni ‘90, le infrastrutture verdi sviluppano il tema delle interazioni derivate dall’azione dei servizi ecosistemici e dalla biodiversità attraverso il concetto della multifunzionalità applicato alle diverse parti infrastrutturali di cui si compone la città. Quindi alle costruzioni (tetti e facciate rinverdite), alle parti di bordo della città (zone pedemontane e litorali), zone ripariali, agli spazi pubblici urbani (piazze, parchi e giardini) e, naturalmente, ai corridoi della mobilità (strade di attraversamento veloce, strade periurbane e suburbane, strade di quartiere, strade pedonali e ciclabili).

Nel più generale contesto della Green economy, volta a riconsi‑ derare i processi di sviluppo in seno alle economie globali per superare l’empasse creato dalla crisi finanziaria dei mercati, si innesta, quindi, un tassello rappresentato dalle infrastrutture verdi che aiuterebbe le città ad essere maggiormente sostenibili in termini di gestione delle risorse, di occupazione e di lotta ai cambiamenti climatici. Come detto nel paragrafo precedente, questa si ricerca si occupa, nella fattispecie delle infrastrutture verdi applicati ai corridoi della mobilità poichè, questo è l’as‑ sunto della ricerca, il sistema della mobilità è stato ritenuto uno dei principali responsabili del malessere avvertito in seno agli ambienti urbani per gli effetti che da questo derivano. D’altra parte, e questo è il secondo assunto della ricerca, la letteratura scientifica ha da tempo assodato i benefici derivanti dalla pre‑ senza della vegetazione all’interno degli ambienti urbani.

3.2.2 Il ruolo delle infrastrutture verdi in ambito urbano Le città tendono ad espandersi grazie alla diffusione dei pro‑ cessi di urbanizzazione che occupano territorio arabile con una velocità di gran lunga maggiore alla crescita della popolazione (Seto et al. 2013). Per contrastare questo fenomeno derivato dai processi di urbanizzazione, da qualche anno stanno assumendo sempre maggiore importanza l’adozione e la progettazione delle infrastrutture verdi che, nei fatti, si stanno rivelando efficaci ai fini della riqualificazione delle città e delle aree periurbane. È il caso delle Green Belts inglesi in cui, le infrastrutture verdi si sono rive‑ late lo strumento di policy più idoneo per garantire le funzioni ecosistemiche dei territori, per contenere e gestire l’espansione urbana e, naturalemente, per la conservazione e la valorizza‑ zione della biodiversità urbana ed extra-urbana. Sono molti gli esempi di città che si dotano di una cintura verde a protezione

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2. Le infrastrutture verdi in ambiti urbani e semi-urbani

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3. Interazioni tra mobilità e verde urbano

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dei processi di urbanizzazione tendenti a dilagare nel territorio circostante, oltre che per la protezione e promozione dell’agri‑ coltura e della forestazione. Qualche dato può aiutare a capire l’entità del fenomeno: in Inghilterra, le cinture verdi occupano un’estensione pari a circa il 13% del territorio totale, pari ad una superficie estesa di circa 1.600.000 ha. e contribuisce ad un rin‑ novo dell’aria respirabile per almeno 45 milioni di persone. Oltre‑ tutto, almeno l’88% della popolazione inglese vive all’interno di cinture verdi (fonte: http://www.cpre.org.uk/).

In Spagna, come si vedrà più nel dettaglio nel capitolo riguar‑ dante il caso studio di Barcellona, si stanno realizzando molte esperienze simili. Il caso di Barcellona è emblematico proprio per la realizzazione della cosìdetta Anella verda; un complesso di 12 aree verdi collegate tra loro da corridoi ecologici a circon‑ dare l’area metropolitana. Oltretutto, a sostegno della realizza‑ zione di queste opere, la città catalana si è dotata di efficaci strumenti di pianificazione urbanistica. Si segnalano il Piano sostenibile della mobilità 2013, il piano della biodiversitò urbana 2020 e il piano delle infrastrutture verdi 2020. Ed ancora, stesso discorso vale per l’area metropolitana di Lisbona con il suo ter‑ ritorial planning e per i numerosi esempi realizzate in tante città degli Stati Uniti.

3.2.3 Le infrastrutture verdi e le infrastrutture grigie Uno dei primi ad occuparsi di reti ecologiche adattati ai contesti ubani è stato Tom Turner nel suo libro City as landscape (1996), nel quale immagina la città composta da spazi o settori distinti da colori differenti, rappresentazione di coesistenza di funzioni e distinte attività. Denominandolo “spazio arlecchino”, lui imma‑ gina quindi una maniera di guardare al problema della diversità delle greenways riflettendo sul loro carattere invece che sulla loro forma fisica. L’uso dei colori starebbe a significare, per l’ap‑ punto, il carattere e le emozioni che suscitano in chi le percorre.

Individua in tal senso: • blueways: sentiero lungo un tranquillo fiume o canale che con‑ duce ad un lago. Ogni città, egli afferma, dovrebbe avere una rete blu che interconnetta l’acqua nelle sue differenti forme; • redways: cioè le vie della centralità, delle grandi capacità di aggregazione tra la gente, come può esserlo ad esempio la Ramblas a Barcellona; • whiteways: come la Philosopher’s Way di Heidelberg, quindi vie che interconnettono gli spazi della contemplazione che sug‑ geriscono il divenire o i desideri.

• yelloways: come una strada piena di negozi, di creatività e che

Concept plan sviluppato da Stoss Landascape Urbanism per la città di Detroit

induce all’innovazione.

• orangeways: che coniuga l’innovazione delle yelloways con i luoghi della centralità espressi dalle redways, come può esserlo la Galleria Vittorio Emanuele II a Milano; • greyways: strade che connettono i monumenti maggiormente rappresentativi della storia urbana; • greenways: dall’unione del giallo e del blu, dovrebbe intercon‑ nettere gli spazi dell’innovazione e della dinamicità dell’acqua.

La facile fascinazione derivata dal modo, forse un po’ bizzarro, di descrivere e caratterizzare la città, viene superato dai cura‑ tori della ricerca Green Infrastructure. Planning Guide Project (Davies, MavFarlane, McGloin, Roe, 2006), quando affermano che la contrapposizione tra elementi verdi ed elementi grigi non torna di utilità ai fini della costruzione del modello teorico delle infrastrutture verdi, in quanto le stesse infrastrutture urbane della mobilità, ad esempio, possono essere considerate come facente parte della rete.

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2. Le infrastrutture verdi in ambiti urbani e semi-urbani

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3. Interazioni tra mobilità e verde urbano

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Socco ci fornisce una prima definizione su ciò che si possa intendere con il termine di infrastruttura verde urbana.

Se una città ingloba al proprio interno aree verdi di apprezzabile dimensione, non v’è dubbio che queste possano svolgere anche una funzione ecologica di accrescimento del grado di naturalità dell’ambiente urbano. Tuttavia, nel concetto di infrastruttura è insita la nozione di rete; per cui, per avere una infrastruttura verde urbana, non basta un grande parco, ma occorre vi sia una rete di spazi verdi interna alla città. In una città dotata di una infrastruttura verde i parchi non sono spazi verdi isolati nel costruito, ma sono connessi da una maglia di elementi lineari verdi. (Socco et Al. 2008).

Da questa definizione ne discende, quindi che possono entrare a far parte di una infrastruttura verde gli spazi naturali aperti, i boschi, le coperture verdi (giardini pensili), le pareti rinverdite, i giardini e i parchi urbani, le strade alberate, le piazze, gli orti urbani, gli spazi fluviali e i litorali.

Tuttavia, ancora Socco ragiona sul fatto che, una volta assodato il fatto che una infrastruttura urbana altro non sarebbe che una successione di spazi messi tra loro in rete, è pur vero che se questa deve per forza di cose poter entrare in contatto con l’ele‑ mento rete per eccellenza della città, cioè con la rete di strade e piazze.

Assodato che l’infrastruttura verde in città ha la forma di una rete, c’è da chiedersi come una rete di spazi verdi possa essere inserita ella città se non in stretta integrazione con l’unico tipo di spazio che a la forma di rete, cioè le strade. Pertanto, almeno per gli elementi ineari, l’infrastruttura verde urbana poggerebbe fondamentalmente ui corridoi fluviali, su parchi lineari e sulla rete stradale. Perlomeno, su quella parte della rete stradale che è accompagnata dal verde.

Come minimo, dunque, l’elemento lineare della rete verde è un viale alberato. Ciò confermerebbe la scarsa valenza ecologica della rete dell’infrastruttura verde urbana, anche se non si può misconoscere l’importanza dei viali alberati per arricchire di verde la città e miglio rarne la qualità ambientale a vantaggio della salute umana e del paesaggio urbano. Dunque, l’infrastruttura verde urbana sarebbe, in buona misura, in simbiosi con l’infrastruttura della mobilità urbana.

(Socco et Al. 2008).

Schema che illustra le varie parti urbane che rientrano, messe adeguatamente in rete, quali elementi di una infrastruttura verde urbana.

Alcuni Rain gardens realizzati nella città di New York.

Quindi, i corridoi della mobilità sono, in massima parte coinvolti alla formazione delle infrastrutture verdi urbane, non soltanto sottoforma di strade dotate di alberature, che è la condizione minima, bensì come vero e proprio elemento dotato di strut‑ tura portante già a partire dal sottosuolo. Di elemento, cioè, in grado di captare le acque di laminazione con gallerie filtranti, con cunette rinverdite, con aiuole opportunamente studiate per assorbire le piogge (rain garden) e, ancora, strutturate con materiali porosi in grado di rendere quanto più efficace possi‑ bile l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo. Socco, cita alcuni esempi di città europee che stanno attuando la politica di annet‑ tere all’interno della propria trama urbana le infrastrutture verdi.

Annovera Amsterdam con i suoi woonerf (strade cortile ricchi di verde), Copenaghen e la sua ricca dotazione di parchi urbani, Monaco con i suoi corridoi fluviali e la sua Grüngürtel, Odense ancora in Olanda, Stevenage New Town costruita con i criteri della città giardino, Parigi con i suoi parchi barocchi e la rete di boulevard.

Quindi, città che in un modo o nell’altro hanno saputo reinter‑ pretare gli elementi avuti in eredità dalla propria storia civica, riciclandoli di fatto con estrema efficacia in infrastrutture verdi.

L’esistente, quindi, che diviene elemento di modernità.

Per capire come si traducono in fatto pratico le infrastrutture verdi, è sufficiente dare uno sguardo a ciò che stanno attuando le città, sopratutto quelle di tradizione anglosassone, per attuare strategie volte a contrastare gli effetti derivati dai processi di urbanizzazione che, come già detto, si manifestano sottoforma di inquinamento atmosferico, inquinamento acustico, isole di calore urbano, congestionamento. In senso generale, costitui‑ sce una infrastruttura verde qualsiasi intervento sul già costruito capace di attenuare e mitigare gli effetti di natura climatica o atmosferica. Si tratta di interventi volti a rendere una città mag‑ giormente resiliente, ovvero capace di resistere ad eventi di natura violenta e improvvisa, le cui cause sono spesso ricondu‑ cibili ad una urbanizzazione incontrollata, cioè l’aria calda che proviene dalle città che si scontra con l’aria più fresca prove‑ niente dal’esterno. Malgrado non si possa fare un discorso sulle frequenze di questi eventi, dal momento che in climatologia il trend di frequenze si studia sull’ampia scala dei 30 anni, tut‑ tavia il dato è che gli attuali modelli di urbanizzazione poco si adattano al fenomeno dei nubifragi imprevedibili, che si mani‑ festano con piogge intense e localizzate (impropriamente ed erroneamente definite per invenzione mediatica con il termine “bombe d’acqua”). Poco si adattano con effetti immediati che si manifestano con il traffico veicolare che si blocca, creando con‑ gestione, perdita di tempo, inquinamento acustico e atmosferico localizzato e derivati disagi ai residenti.

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2. Le infrastrutture verdi in ambiti urbani e semi-urbani

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3. Interazioni tra mobilità e verde urbano

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Le città si stanno reinventando proprio a partire dalla ripropo‑ sizione in chiave ecosistemica dell’elemento strada. Alberta in Canada e New York negli Stati Uniti sono forse le città che più di tutte si stanno impegnando in questa impresa difficile. Vale la pena spiegare cosa si intende per revisione dei corridoi della mobilità in chiave ecosistemica e come questi vengono meglio organizzati, in una logica di rete gerarchica, a seconda cioè dei flussi di traffico veicolare, della loro ubicazione rispetto al centro urbano, a seconda ancora della loro geometria o dell’uso più o meno frequente da parte dei pedoni e dei ciclisti. Molto ben documentato e ricco di casi studio applicati è il sito dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA). Interessante che il governo ponga le informazioni sotto la voce Acqua, quindi Infrastrutture per l’acqua ed a seguire la voce Green Infrastruc‑ tures, dentro la quale, oltre alle consuete finestre ricche di spie‑ gazioni base su cosa sia una infrastruttura verde, a cosa serva e quali siano i benefici apportati a seguito della sua adozione, contiene anche una ricchissima collezione di casi studio di infrastrutture verdi applicate ai corridoi della mobilità e, ancora, un’altrettanto ricca selezione di articoli accademici. Tanto mate‑ riale, insomma, da farsi un’idea su come gli Stati Uniti stanno interpretando la crisi in atto e con quali metodi e strumenti la stanno affrontando (http://water.epa.gov/infrastructure/greenin‑ frastructure/).

Opere di green street, gallerie di infiltrazione, cunette verdi, superfici permeabili, rain gardens, captazione di acque di laminazione, nella Elmer Avenue a Los Angeles.

(Belden et Al. 2012)

2. Le infrastrutture verdi in ambiti urbani e semi-urbani

Opere di green street, tratte dal Masterplan della Città di portland nell’Oregon (USA). Si tratta di un progetto fatto in una porzione ristretta della città, con lo scopo di studiare la possibilità di estendere il progetto all’intero centro urbano

Green Streets are primarily composed of a series of landscape swales or planters that manage stormwater at the source. Green Streets provide water quality benefits and replenish groundwater. They create attractive streetscapes that enhance neighborhood livability by enhancing the pedestrian environment and provide character and identity to neighborhoods. Green Streets can also meet broader community goals of enhanced pedestrian and bicycle connectivity and serve as green urban connectors of neighborhoods, public open spaces, schools and wildlife habitats.

Tratto dal Gateway Green Street Master Plan.

City of Portland.

GATEWAY GREEN STREETS MASTER PLAN Right of Way Stormwater Management in the Gateway Urban Renewal Area City of Portland Bureau of Environmental Services February 2008

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3. Interazioni tra mobilitĂ e verde urbano

3. La biodiversità urbana e i servizi ecosistemici

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Biodiversità è un neologismo, coniato nel 1984 da Bruce A. Wilcox, che definì Biological Diversity “la varietà delle forme di vita, il ruolo ecologico che esse svolgono e la diversità gene‑ tica che contengono”. La sua forma contratta “BioDiversity” fu usata correntemente per la prima volta da Walter G. Rosen, in occasione di Forum su questo tema specifico organizzato a Washington nel mese di settembre 1986 dalla National Aca‑ demy of Sciences e dalla Smithsonian Institution, cui partecipa‑ rono più di 60 relatori tra biologi, economisti, agronomi, filosofi ed altri professionisti, ed alcune centinaia di congressisti. Nello stesso anno questo termine ricorreva in un documento desti‑ nato al Congresso. Un senatore, con una domanda formale, ne richiese il significato preciso e come conseguenza una com‑ missione tecnica, Office of Technological Assessment, nel 1987 realizzò un volumetto sul tema spiegandone il significato e defi‑ nendo il termine biodiversità come “la varietà degli organismi viventi, la loro variabilità genetica ed i complessi ecologici di cui fanno parte”. In parole povere il termine biodiversità include i taxa, la loro abbondanza, la loro variabilità genetica, i rapporti fra loro ed i processi ecologici che li coinvolgono all’interno degli ecosistemi. Si deve soprattutto allo scienziato americano Edward O. Wilson la diffusione dei principi ispiratori del concetto di biodiversità nella letteratura scientifica.

In Italia troviamo questo termine nel Conciso del vocabolario della lingua italiana Treccani solo nel 1998 con una definizione non del tutto chiarificatrice: “la coesistenza di varie specie ani‑ mali e vegetali in un determinato ecosistema, che ne garantisce l’equilibrio dinamico nel tempo, attraverso una complessa rete di interrelazioni”.

3.3.1 La necessità di conservare e valorizzare la biodiversità La maggior parte della popolazione mondiale vive in aree urbane in continua e rapida crescita. Le città coprono soltanto il 2% della superficie mondiale ma hanno un impatto enorme sulla biodiversità in quanto consumano il 75 % delle risorse naturali e sono responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra, causa di cambiamenti climatici significativi a scala globale.

Dalla qualità dell’ambiente urbano dipende in larga misura la qualità di vita delle popolazioni umane in esso insediate. La scadente qualità dell’aria, gli alti volumi di traffico e la conge‑ stione, gli elevati livelli di rumore ambientale, la produzione di

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3.3. La biodiversità urbana e i servizi ecosistemici

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3. Interazioni tra mobilità e verde urbano

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grandi volumi di rifiuti e di acque reflue sono problemi comuni alla maggior parte dei grandi centri urbani. Se l’urbanizzazione può essere considerata una delle minacce principali alla biodi‑ versità per contro gli ambienti urbani mantengono al loro interno una grande varietà di habitat con una loro specifica diversità.

La biodiversità urbana riguarda sia gli ecosistemi naturali che in esso ancora si conservano, sia gli agro-ecosistemi incor‑ porati dall’espansione urbana nonché dagli spazi verdi urbani di tipo artificiale, alcuni con valenze di tipo storico culturale.

3.3.2 Il ruolo della biodiversità urbana Il ruolo svolto dalle aree verdi urbane oggi è molteplice e non interessa solo la sfera estetico-ricreativa, ma coinvolge ed espleta un ampio numero di funzioni di ordine ecologicoambientale, sociale, architettonico, culturale e didattico. A que‑ sto si deve aggiungere il ruolo multifunzionale che svolgono si sistemi agricoli urbani che, se ben valorizzati, possono contribu‑ ire ad arrestare il consumo di suolo e rendere competitivo l’uso agricolo di questi territori che conservano le tradizioni e l’iden‑ tità dei luoghi.

Una gestione della città, che sia realmente orientata verso uno sviluppo sostenibile non può trascurare questo patrimonio biologico e ambientale, di cui la biodiversità rappresenta l’ele‑ mento più espressivo.

La conoscenza dello stato della biodiversità urbana è quindi uno dei primi passi da realizzare per perseguire gli obiettivi sud‑ detti. Si è visto, infine, come oggi il rilevamento della copertura vegetale, non si limita soltanto ai rilevamenti in campo, assolu‑ tamente necessari e fondamentali, ma si serve anche di tecno‑ logie sviluppabili in ambiente G.I.S. che consentono di meglio definire la classificazione e la distribuzione dei singoli impianti impiegando immagini satellitari multi-spettrali ad alta risolu‑ zione, per fornire dati esatti alle conoscenze dello stato della biodiversità vegetale.

Biodiversità significa quindi diversità biologica, cioè la diver‑ sità degli organismi a livello di geni, di individui, di specie, di interazioni e processi ecologici tra essi ed a livello di ecosistemi.

Diversità biologica, sostantivo ed aggettivo, possono fondersi in un unico termine, in cui l’aggettivo diventa suffisso del sostan‑ tivo. Biodiversità di conseguenza è già un termine di significato completo, non sembra corretto aggiungere un ulteriore agget‑ tivo, come talora capita di leggere; pertanto è corretto scrivere diversità vegetale o diversità animale, ma non biodiversità vege‑ tale o animale (Massa, 2010).

Per comprendere maggiormente la vera essenza di questo

3. La biodiversità urbana e i servizi ecosistemici

termine si deve tener presente che tutto in natura è dinamico; non può esserci biodiversità senza evoluzione, i tempi biologici, ecologici ed evolutivi hanno un ruolo fondamentale nel model‑ lare la biodiversità, che rappresenta un tema interdisciplinare dell’ecologia.

La biodiversità è diversa dal concetto ecologico di diversità.

Mentre quest’ultima è in qualche modo misurabile, con diversi algoritmi basati sul numero di specie e sul numero di individui di ciascuna specie, la biodiversità non può esserlo, in quanto le componenti che la definiscono sono tali e tante che è impossi‑ bile avere una misura di esse.

Si parla di diversità di tipo alfa, beta, gamma e delta, corri‑ spondenti a diversi tipi d’informazione sulla diversità nello spa‑ zio. La diversità corrisponde al numero di specie ed alla loro frequenza in un dato luogo ben definito; la diversità alfa (intrahabitat) è il numero di specie presenti in un singolo biotopo, la diversità beta (inter-habitat) consiste in un indice di similitudine che esprime il ricambio di specie da un habitat ad un altro, la diversità gamma (a scala di paesaggio) è una combinazione delle due diversità alfa (diversità locale) e beta (ricambio delle specie) quando si considera un mosaico di biotopi, mentre la diversità delta è un indice di similarità tra ampi settori o regioni.

La diversità biologica o biodiversità invece tiene conto non solo del numero di specie e del numero di individui, ma anche della loro variabilità genetica, delle interazioni tra le specie e dei processi ecologici che governano o da cui dipendono queste interazioni.

E però possibile arrivare ad una stima indiretta della biodi‑ versità attraverso la concentrazione di specie, particolarmente endemiche, nelle diverse aree del mondo; in tal modo si può quanto meno stilare una graduatoria delle aree che ospitano quella che si suppone possa essere la biodiversità più elevata.

Si riconoscono diversi livelli dalla biodiversità: 1. Diversità a livello genetico (individui, popolazioni) 2. Diversità a livello di specie (comunità) 3. Diversità a livello di ecosistemi e di paesaggio Il primo livello della biodiversità è quello genetico. La varia‑ bilità genetica è lo strumento chiave di creazione del disordine benevolo, corrispondente alla plasticità e capacità di adatta‑ mento, è un segno di buona salute delle specie. Infatti, quando le specie si riducono numericamente, perdono variabilità gene‑ tica ed aumenta la probabilità che il processo di estinzione avvenga con maggiore rapidità. Uno dei principali motivi per cui quando una specie diminuisce numericamente, oltre un certo livello, deriva proprio dalla preoccupazione di un’eccessiva ero‑ sione genetica, di un impoverimento della variabilità genetica, preludio dell’estinzione.

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3. Interazioni tra mobilità e verde urbano

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Per diversità specifica interspecifica si intende la diversità esistente tra le specie; essa, quindi, può essere ricondotta al dato numerico corrispondente al complesso delle specie tas‑ sonomicamente identificate. Le specie in natura costituiscono delle comunità.

Si definisce comunità un insieme di organismi che vivono in un determinato habitat ed hanno reciproche influenze. La ricchezza delle diverse comunità è un indice indiretto della ric‑ chezza della diversità biologica, in quanto contiene in sé anche una ricchezza di interrelazioni biologiche, tanto maggiori quanto più è grande la ricchezza di risorse. La maggioranza delle interazioni avviene a livello delle comunità. Si tratta perlopiù di interazioni ecologiche, che però possono avere riflessi microe‑ volutivi. Sono un esempio le interazioni obbligate tra piante ed insetti comprendono l’impollinazione entomofila, cioè mediata dall’attività degli insetti pronubi, che entrando ed uscendo dai fiori trasportano il polline da una pianta ad un’altra. L’evoluzione parallela consiste nel fatto che entrambi gli organismi hanno dei vantaggi e cercano di ottenerli continuamente. La pianta attira gli insetti manifestandosi con odori e con fiori colorati e appa‑ riscenti, e producendo sostanze zuccherine molto appetibili e nutrienti (nettare, ma anche polline in sovrabbondanza), gli insetti pronubi generalmente hanno il corpo ricoperto di peli, su cui restano attaccate le masse polliniche. Probabilmente l’esem‑ pio più incredibile di coevoluzione è quello tra le orchidee che hanno fiori che imitano alcune specie di api e questi insetti che visitano le orchidee, scambiando i fiori per individui della propria specie. Il più complesso livello di diversità è rappresentato dalla Biodiversità a livello di ecosistemi e di paesaggio.

Un ecosistema è l’insieme dell’ambiente fisico e degli organi‑ smi (biocenosi o comunità) che vivono in esso con le reciproche influenze; è una rappresentazione funzionale di diversi elementi, fra loro connessi da flusso di nutrienti e rapporti tra habitat chi‑ mico-fisico (suolo, acqua, ecc.) ed organismi dei diversi livelli trofici. Ogni ecosistema racchiude una ricchezza propria di specie e popolazioni ed è fondamentale la conservazione degli ecosistemi come base per la conservazione della biodiversità.

Paesaggio è stato definito come il punto d’incontro tra la natura e la storia. Nell’area mediterranea, probabilmente più che altrove, la natura dei luoghi, la loro morfologia e geografia sono state modificate dalle attività dell’uomo, pastore ed agricoltore; il risultato della plurimillenaria convivenza tra l’uomo e l’ambiente è un paesaggio in cui si è mantenuto un equilibrio critico tra la specie umana e tutte le altre specie. In molti casi il paesaggio è rappresentato da un mosaico di ecosistemi, la cui ricchezza può essere anche superiore della somma della ricchezza dei singoli ecosistemi, in quanto intervengono fattori sinergici per la

3. La biodiversità urbana e i servizi ecosistemici

presenza di numerose fasce di transizione.

L’uomo da sempre ha modificato più o meno pesantemente il paesaggio, ma le modalità attuali e la tecnologia moderna d’intervento sul paesaggio risultano estremamente distruttive a livello della biodiversità. Degradazione e banalizzazione in ecologia significano perdita di diversità biologica. C’è una netta differenza di biodiversità tra un paesaggio degradato ed un paesaggio in cui l’uomo ha saputo mantenere un equilibrio tra natura dei luoghi ed il loro razionale sfruttamento.

3.3.3 Le funzioni della biodiversità urbana La Biodiversità urbana rappresenta o individua concettual‑ mente la varietà genetica e di specie biologiche nelle aree urba‑ nizzate. Nei sistemi dominati dall’uomo, tuttavia, la definizione della biodiversità è ancora più complessa. Innanzituttto per quello che riguarda la biodiversità delle specie coltivate detta anche agro-diversità. Questo particolare tipo di biodiversità è il risultato di un processo di co-evoluzione tra l’uomo e l’ambiente rurale, dalla cui relazione si produce una gamma di prodotti locali diversi che costituiscono un patrimonio biologico, cultu‑ rale, sociale ed economico e che incorporano saperi, abilità artigianali, mestieri e tutto ciò che costituisce una trama viva di relazioni nel territorio rurale.

La biodiversità delle specie coltivate, anche quelle a scopo ornamentale, è stata inglobata dalle città che conservano ancora, nelle loro periferie, sistemi agricoli.

Altro tipo di biodiversità in ambiente urbano è quello che riguarda le specie aliene che, spesso, dominano all’interno del sistema urbano, sia come specie coltivate che come specie avventizie.

E’ difficile definire e assegnare il valore della biodiversità in un contesto urbano. Il ruolo ecologico delle specie esotiche (o aliene), ad esempio, in un’area urbana assume un significato dif‑ ferente rispetto ai sistemi agricoli o ai sistemi naturali. Le specie esotiche sono una componente molto diffusa nel sistema urbano perchè, a differenza delle specie della flora nativa, si adattano bene alle difficili caratterisitiche ambientali di queste aree. Negli ecosistemi suburbani e peri-urbani la ricchezza di specie esoti‑ che è talvolta superiore a quello degli elementi nativi. Inoltre, le stesse specie autoctone presenti si sono adattate a sfruttare le nuove risorse degli habitat eterogenei del sistema suburbano e peri-urbano. Per queste ragioni la conservazione biologica in una zona urbana impone nuovi modi di definire e valutare la biodiversità.

Dal punto di vista strettamente ecologico molte città sono state

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3. Interazioni tra mobilità e verde urbano

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originariamente fondate, per ovvi motivi utilitaristici, in aree ripa‑ riali, zone che per loro natura presentavano una elevata poten‑ zialità biologica che si esprimeva in una elevata biodiversità. A questo ne conseguiva anche l’elevata potenzialità agronomica di questi territori che sono stati sfruttati delle popolazioni che hanno sostituito gli habitat naturali con sistemi rurali e che, a loro

3.3.4 Il ruolo dei servizi ecosistemici Numerosi sono le funzioni e i derivanti ruoli svolti dai servizi eco‑ sistemici. Questi consistono, come si evince dalla tabella sot‑ tostante, in flussi di materiali, energia e informazioni che pro‑ vengono dal capitale naturale che, combinati con i manufatti e servizi prodotti dall’uomo, danno luogo a ciò che viene denomi‑ nato benessere umano. É un’ipotesi assai remota quella di imma‑

Tabella 1.1 Classificazione di importanti servizi ecosistemici nelle aree urbane con funzioni e componenti degli ecosistemi di base.

E. Gomez - Baggethun et al. (2013) Funzioni ecosistemiche

Servizio ecosistemico

Esempi

Conversione di energia in piante commestibili attraverso la fotosintesi

Approvvigionamento alimentare

Prodotti vegetali provenienti da orti urbani o aree peri-urbane

Percolazione e regolamentazione delle aste fluviali

Mitigazione della velocità cinetica fluviale

Il suolo e la vegetazione mitigano la laminazione delle acque nel corso di eventi pesanti e/o prolungati

Fotosintesi, ombreggiamento e evapotraspirazione

Regolazione termica urbana

Gli alberi e altra vegetazione urbana forniscono ombra, creano umidità e sono barriere anti-vento

Assorbimento delle onde sonore tramite vegetazione e acque

Riduzione dei rumori

Assorbimento delle onde sonore tramite vegetazione, specialmente vegetazione fitta

Deposizione secca di gas e particolato

Purificazione dell’aria

Assorbimento di inquinamento attraverso le foglie della vegetazione, steli e radici

Barriere fisiche e assorbimento di energia cinetica

Moderazione di eventi estremi ambientali

Tempeste, inondazioni e onde respinte da barriere di vegetazione; assorbimento di calore durante le ondate di caldo severo; Gli ambienti delle aree umide intatte respingono le esondazioni dei fiumi

Trattamento dei rifiuti

Rimozione o smaltimento dei nutrienti xenici

Azione di filtraggio degli scarichi e dei nutrienti xenici da parte delle aree umide urbane

Sequestro di carbonio e immagazzinamento attraverso la fotosintesi

Regolazione clima globale

Sequestro di carbonio e immagazzinamento tramite la biomassa degli arbusti e degli alberi urbani

Movimento di gameti fiorali attraverso il biota

Impollinazione e dispersione dei semi

L’ecosistema urbano fornisce habitat per uccelli, insetti e impollinatori

Ecosistemi con funzioni ricreative

Ricreazioni

Le aree urbane verdi offrono opportunità di ricreazioni, meditazione e svago

Esperienze umane di ecosistemi

Sviluppo di conoscenza

Settore giardinaggio come conservazione delle conoscenze socio-ecologiche

Ecosistemi con valore estetico

Benefici estetici

Parchi urbani in vista dalle case

Disposizione habitat

Habitat per la biodiversità

Le aree urbane verdi offrono habitat per uccelli ed altri animali utili per il birdwatching o altro.

3. La biodiversità urbana e i servizi ecosistemici

ginare al benessere umano senza il capitale naturale e i derivati servizi ecosistemici, magari tentando di riprodurli artificialmente in “colonie spaziali” ma, come si è visto in alcuni esperimenti compiuti in Arizona con Biosphere II, si è potuto facilmente con‑ statare che, non soltanto è un’operazione estremamente dispen‑ diosa dal punto di vista economico, ma anche si è constatato che, in termini di efficacia ed efficienza del sistema Biosphere I (cioè la Terra) risulta essere estremamente più efficiente, anche in termini di costi.

3.3.5 Il peso dei disservizi ecosistemici Va anche osservato che, se per un verso sono innegabili e estremamente redditizi i vantaggi provenienti dai servizi ecosi‑ stemici, tuttavia, per altro verso il capitale naturale può in alcune occasioni risultare foriero di veri e propri disservizi. Gli alberi, ad esempio, se non adeguatamente governati, oppure quando sono stati scelti senza un preventivo studio circa le caratteristi‑ che di idoneità che deve avere lo spazio o la sede urbana depu‑ tata ad accoglierli, possono dar luogo a pesanti ripercussioni a carico delle pavimentazioni stradali o dei marciapiedi, causa quest’ultima di frequenti accidenti ai danni dei pedoni. L’azione delle radici, infatti, risulta essere talmente potente da sollevare le pavimentazioni, rendendo in tal modo pericoloso il transito, vei‑ colare e pedonale. Ancora, l’azione dei gameti floreali è spesso causa di pesanti ripercussioni a carico dell’apparato respirato‑ rio di chi è soggetto allergico. La vegetazione annosa, quando trascurata, può inoltre causare gravissimi incidenti, specie nelle giornate di forti perturbazioni.

Tabella 1.2 Classificazione dei disservizi ecosistemici nelle aree urbane con funzioni e componenti degli ecosistemi di base.

E. Gomez - Baggethun et al. (2013) Funzioni ecosistemiche

Disservizio ecosistemico

Esempi

Fotosintesi

Approvvigionamento alimentare

Prodotti vegetali provenienti da orti urbani o aree peri-urbane

Crescita degli alberi attraverso la fissazione della biomassa

Barriera visiva

barriera visiva da parte degli alberi vicino agli edifici

Movimento di gameti fiorali

Allergie

Le piante ad impollinazione anemofila causano reazioni allergiche

Vegetazione annosa

Incidenti

Rotture di grossi rami o alberi che cadono nella strada

Sviluppo della densità della vegetazione

Paura e stress

Le aree verdi scure sono percepite come insicure

Fissazione della biomassa in radici; decomposizione

denneggiamento infrastrutturale

Rotture di pavimentazioni per effetto delle radici; attività microbiotica

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3. Interazioni tra mobilitĂ e verde urbano

Conversazione con Carlo Blasi

Le applicazioni del verde per la mobilità urbana Conversazione con Carlo Blasi

Carlo Blasi

CB: Il tema del sistema urbano adesso sta esplodendo però, negli anni ’70, il prof. Valerio Giacomini già aveva segnalato questo elemento interessantissimo di considerare la città come un ecosistema.

Adesso, il 50% della popolazione totale terrestre vive in ambito urbano, ma sappiamo già che aumenterà rapidamente; in questo contesto globale non dobbiamo guardare alla situazione nostra: da noi non aumenterà con questi livelli, o meglio: aumenterà ma resterà ad un livello di piccole città, che nel resto del mondo non esiste più. io adesso sono stato in Cina: la situazione è quella di uno Stato che ha Shangai con 30 milioni di abitanti, Pechino con 20 mln, Tientsin con 8 milioni, cioè quelle che loro considerano piccole città. Quindi, l’Italia ha definito le undici aree metropolitane, però non guardano al contesto europeo o dei grandi poli del mondo di Cina, India, Messico, cioè se uno non conosce queste città del Messico non si rende conto di cosa sia un sistema urbano ad altissimo impatto. Questo lo dico perché, se parliamo dell’Italia, stiamo parlando di città con una dimensione medio-piccola. Perché anche la città più grande che abbiamo, che è Roma, gode di una situazione molto particolare; dove ci sono tante infrastrutture verdi che governano questa città, prima ancora che queste vengano fatte. Infatti, Roma grazie ai sette colli ha già infrastrutture verdi esistenti.

Parlo di Infrastrutture verdi perché questo è uno dei punti nodali di indirizzo in cui si sta muovendo molto la Comunità Europea.

Quindi, ecosistemi, infrastrutture verdi, capitale naturale, sono queste le parole chiave con cui si muove la ricerca per il tema urbano. Nelle città, la mobilità pubblica è ancora poca. A Roma, specialmente, la mobilità pubblica non funziona. è un disastro!

Anche nei grandi sistemi urbani, tipo Los Angeles per intenderci, si sta scoprendo la mobilità pubblica e questa è una cosa nuova perché, specialmente a Los Angeles, ci si muoveva solo sulle macchine private. Negli USA quindi stanno procedendo con grandi investimenti sulla mobilità pubblica, ferro, non ferro, quel che sia ma comunque sia, pubblica. La mobilità pubblica c’ha però un grande problema e cioè, deve riuscire a fare che cosa? a non far prendere la macchina. Perché se una amministrazione

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urbana fa prendere la macchina e non la fa mettere in un parcheggio di scambio, già non funziona. Il mio amico, ing. della mobilità Filippi, mi ha insegnato queste cose: “perché un sistema della mobilità pubblica funzioni, tu devi uscire senza macchina.

E, a sua volta, la mobilità pedonale deve poter funzionare”. Qui a Roma è assai difficile che funzioni, in altre città funziona meglio ma a Roma sarà assai difficile. Quindi, il tema della mobilità è centrale: se non si risolve, se non si scende dalle tre macchine a famiglia ad averne solo due o una non si potrà mettere compiutamente mano alla risoluzione del problema. A Parigi è così: le famiglie hanno una sola macchina, anche vecchia.

Naturalmente la mobilità pubblica non deve essere solo per metropolitana profonda: quelle si potevano fare solo al tempo di Mosca, Parigi, Londra… oggi è anche possibile la metropolitana di superficie. Allora, su questo tema della mobilità pubblica io aggiungerei una cosa che ritengo importante: una mobilità pubblica, fatta pure per una percentuale, dalla mobilità a piedi, cioè pedonale: questo è il nodo. Se non si attiva una mobilità integrata pubblica e pedonale, ancor più che di quella ciclabile che ha altre problematiche, prevedendo per essa le opportune misure di sicurezza, non si potrà avere il piacere di vivere la città potendola percorrere a piedi. Per fare la pedonalizzazione, però, occorre fare le piste pedonali. La pedonalizzazione non è spontanea! va progettata, va curata e mantenuta. E se per le macchine ci si può limitare a chiudere le buche dell’asfalto, in quella pedonale, no! ha bisogno di elementi di manutenzione superiori: di sicurezza, di illuminazione, di siepi, di possibilità di fermarsi, etc. Quindi, questo tema della mobilità pedonale è un bellissimo progetto, che però ancora non c’è! nessuna città, che io sappia, ha ancora avviato un progetto di mobilità pedonale.

LR: Barcellona ha in progetto un sistema che la porterà ad avere da 540.000 mq di superficie pedinale a 7.500.000 mq. grazie al sistema delle Superilles.

CB: Io devo dire che non amo molto Barcellona perché, sebbene catalani, comunque hanno lo stesso approccio violento con le cose che è proprio degli spagnoli. Hanno messo autostrade sul mare, operazione, cioè, di una ventina-trentina di anni fa. Ad ogni modo, questo della pedonalizzazione potrebbe essere un bellissimo progetto di respiro nazionale. Lo dico perché a Roma ci sono tantissime associazioni che propongono passeggiate serali; c’è voglia di camminare a piedi nella propria città enorme: rimpossessarsi della propria città degli spazi pubblici che può avvenire solo camminando a piedi. Io mi sono unito qualche volta con diversi gruppi: lo fanno solo per camminare. L’atra sera ero a Fontana di Trevi e c’era un coro con tanto di direttore d’orchestra. Cantavano tre, quattro cose, poi si spostavano in altri luoghi della città. Quindi: se ne parla poco però, in una

Conversazione con Carlo Blasi

situazione come l’Italia dove le città sono piccole, il tema della pedonalizzazione è centrale. Perché camminare mezz’ora a piedi significa che alla fine uno prende solamente un autobus.

Per esempio, io abito a Ponte Milvio che rispetto alla Sapienza, qui dove stiamo, non è nemmeno tanto centrale e devo prendere almeno tre autobus. Impossibile. Oppure a piedi devo fare dei percorsi serali impossibili, perché non illuminati, perché poco sicuri come ad esempio nel Lungotevere, etc… impossibile.

Invece va proprio progettata, sfruttando gli alberi, individuando dei punti di controllo con telecamere, in modo da poterla utilizzare in tutta sicurezza. La mobilità, quindi, significa istituire un piano della pedonalizzazione; poi occorrono piste ciclabili per andare a lavorare e non per fare sport. Qui all’Università dovrebbero esserci tre piste ciclabili nelle quali gli studenti possano muoversi in bicicletta. Sotto casa mia ne ho una che mi porta fuori Roma: non mi interessa! La posso utilizzare solo il sabato o la domenica. Quindi, la pedonalizzazione e le infrastrutture verdi e, in particolare, non le grandi infrastrutture verdi ma le micro infrastrutture che sono di corredo e necessarie per l’abbattimento del particolato, e cioè il prato, la siepe, cioè tutti quegli elementi necessari ad evitare il mal di gola alle persone. La progettazione di una pista pedonale è quindi una cosa complessa e non una cosa che si può improvvisare. Le piste ciclabili, non per svago o tempo libero pur esso importante ma, piuttosto affinché possano diventare un mezzo sostitutivo per andare a lavorare, altrimenti non funziona la mobilità. Con la pedonalizzazione ho tolto un poco di congestione e lo stesso con le piste ciclabili in cui vi stanno indicazioni che suggeriscano l’uso della bici con le batterie, che mi indichino i luoghi nei quali poter prendere bici o ricaricare l’energia della bici, che mi sappiano indicare con precisione i tragitti da percorrere a piedi come anche i luoghi in cui sostare… insomma, occorre che si facciano le strutture e al contempo occorre investire anche nella cura come anche nella manutenzione. E poi lavorare anche sugli autobus e sui tram per aumentare la capacità di spostare più persone, sostituendo i vecchi autobus energivori e che inquinano tantissimo con un contingente di vetture elettriche. Insomma, quello della mobilità è un bellissimo progetto. Poi manca un elemento fondamentale per quanto riguarda la mobilità che è la fruibilità serale. Ad esempio qui a Roma, per quanto riguarda gli autobus, le linee cambiano in relazione se parliamo di servizio diurno o notturno. Nelle ore notturne non ci stanno più le stesse linee, cioè cambiano! Cioè il percorso effettuato dalla linea “n”, per modo di dire, è totalmente differente se diurno o notturno. Non può essere! Queste sono cose che si devono progettare molto seriamente a tavolino e l’obiettivo deve essere la riduzione dell’uso della macchina privata.

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LR: prof. Blasi, che lei sappia questa amministrazione sta facendo qualcosa in tal senso?

CB: non lo so, anzi mi dispiace dire che non lo so nel senso che vorrei saperne di più. Questa amministrazione era partita bene con la chiusura delle aree archeologiche però mi sembra che adesso abbia un poco di difficoltà fra il bilancio, la gestione dell’immondizia, non mi sembra che ci sia una vera squadra che lavora con grande sintonia, di raccordo tra il Sindaco e il resto dei partiti che sostengono questa amministrazione… però, ripeto, è una persona di grandi qualità questo Sindaco quindi, da persona intelligente e sensibile qual è saprà certamente dotarsi di una squadra che lo aiutino a risolvere questi problemi.

Poi c’è un altro aspetto della mobilità che è molto interessante che è quello a cui accennava lei che è giusto come è fatto e cioè quello delle periferie. Oggigiorno le periferie di questa area, ma il modello potrebbe essere globale, devono avere due tipologie di collegamenti essenziali: con il cuore della città e tra li loro. Non può nascere una periferia senza avere i collegamenti altrimenti è destinata a diventare un dormitorio o un ghetto.

Queste periferie possono anche essere dei ghetti signorili, quindi non sto parlando della qualità ma nella sostanza non cambia.

Io ci vedo due possibilità: io devo poter scendere e trovare a distanza di cammino la farmacia, il bar, il supermercato, il chioschetto o un luogo di aggregazione e nella periferia non c’è tutto questo. Devo poter decidere di andare in quell’altro nucleo di periferia perché lì fanno spesso incontri culturali su questa tematica, mentre da me li fanno sullo sport, quindi attraverso un collegamento trasversale tra diversi nuclei di periferia; ma devo anche essere in condizione di partecipare alla vita serale della città. Non è pensabile che nella periferia mi scarico solo nei fine settimana a migliaia di persone che hanno vissuto segregate tutta la settimana guardando la televisione, cosa che avviene anche nei paesi, e dopo le cinque del pomeriggio non c’è più nessuno in giro tanto che se, cammino per le strade dei paesi si sentono i programmi televisivi di Canale 5, Rai 1… scegliendo la comodità della televisione alle piazze, ai bar adesso deserti.

Quindi, la piazza. Questo è importante perché, ad esempio, la pianura pontina ha un modello molto interessante fatto di borghi. Tutti questi borghi sono stati costruiti allo stesso modo: la prima cosa che si faceva nei borghi erano la chiesa, le poste, la scuola, la piazza. Questo era essenziale. E poi questi borghi avevano una facile comunicazione l’uno con l’altro e in quel caso suggerii che quei borghi rimanessero tali, non doveva esserci cioè un elemento di cementificazione che li univa altrimenti perdevano quella caratteristica. Quindi anche nella periferia urbana ci possono essere questi nuclei però a maggior ragione se si vuole andare in una periferia bisogna rafforzare la mobilità.

Conversazione con Carlo Blasi

Non può significare che uno arriva faticosamente a casa e poi gli si chiede di uscire, non sapendo come rientrare perché non esiste la pista ciclabile… non può essere! Questo è uno dei nodi assolutamente centrali. Un altro grande tema che è relativo, non solo alle periferie ma anche al centro delle città è quello relativo all’uso delle aree dimesse. A Roma come in tutte le grandi metropoli, le trasformazioni (pensiamo alle trasformazioni ferroviarie), Roma ha centinaia di ettari che potrebbero essere destinati ad usi diversi, quindi non è detto che debba diventare tutto un bosco, magari una parte è importante che lo fosse, tuttavia bisognerebbe avere la forza di concentrarti sul riuso del centro storico. Oggi tutti gli imprenditori sanno che è più conveniente ristrutturare una casa del centro storico piuttosto che costruire un palazzo. La tendenza dovrebbe essere, no al consumo di suolo nel modo più assoluto; quello deve rimanere all’agricoltura. L’agricoltura è un punto fondamentale del futuro.

Per quanto riguarda Roma, la sua area metropolitana rappresenta e ricalca perfettamente un modello del futuro: dentro il raccordo anulare, su 30.000 ettari esistenti, 10.000 di questi sono occupati dall’agricoltura produttiva. Questo è un fatto importantissimo.

In questo recupero io penso che si debba dare spazio alle innovazioni architettoniche. Ad esempio Roma, da questo punto di vista, è povera. Cioè è povera di architettura moderna. Cioè noi abbiamo avuto l’Auditorium di Piano, aspettiamo ancora la Nuvola di Fuxas, quindi secondo me, magari può sembrare strano che un ecologo affermi queste cose dica queste cose: Roma c’ha tanto verde…quindi, se mi trovassi in altre città non farei questo discorso però, ecco, io sento la carenza del dibattito culturale e progettuale. non ci vedo delle sfide di nuova progettazione a Roma. Poco, molto poco. Gli architetti vanno a Parigi, a Londra, a New York. Ora, io non dico che per questo si debba buttare a terra il centro storico, piazza Farnese, il corso papalino, Via Giulia; lì c’è tutto un quartiere del ‘500-‘600 abitato, ci mancherebbe altro. Queste situazioni sono straordinarie, poiché Roma è riuscita a mantenere intatte tutte le espressioni storiche di questa città e, in questo senso, le aree dimesse le destinerei in parte alla natura e in altra parte alla riqualificazione progettuale e architettonica urbana della città. Diventerebbero dei centri di attrazione straordinari. Invece si rischia che so continuano a fare palazzine, a cementificare e questo è un problema perché non fanno sistema. In una grande città come Roma ha bisogno del dibattito culturale, si sente la mancanza dell’innovazione, del dibattito dell’architettura, dell’occupazione dello spazio.

Ora, questo discorso delle aree dismesse viene correlato un po a quelle che sono le aree industriali, che molto spesso sono anche dimesse. Adesso io lancerò un progetto che si chiama “le aree industriali non-dismesse”, poiché mi piacerebbe che le

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aree industriali non-dismesse, cioè ancora attive, diventassero comunque parte della rete ecologica nazionale. Una area industriale ha spesso tantissima superficie aperta, poiché, come si sa, non è totalmente coperta da capannoni, inquinanti. Anzi, a mio parere, spesso le aree industriali sono luoghi nei quali ci sta tanta superficie piena d’erba che andrebbe adeguatamente gestita e che richiede pertanto molta manutenzione. Quindi, specialmente per quelle meno inquinanti si potrebbe prevedere l’innesto di aree boschive che, fuori dalle aree industriali non si potrebbe fare poiché la superficie è destinata prevalentemente all’agricoltura. Ed è vero questo fatto che in Italia non c’è tanta progettazione poiché mancano idee progettuali forti in grado di imprimere sviluppo. Questa potrebbe essere un’idea e cioè che le aree industriali potrebbero fare una rete, ma perché questo sia possibile bisogna avere un tema: natura e architettura. In questo senso il tema diventerebbe un bacino di sperimentazioni, centri dove si può far teatro; credo che bisognerà lavorare sul tema dei beni culturali. I beni culturali sono ambiente e poi, naturalmente, tutto il resto dei beni culturali, archeologici, architettonici, etc etc.

Relativamente all’agricoltura periurbana io mi sento di dire questo: non esiste un’agricoltura periurbana: deve esistere un’agricoltura. Perché se uno parla di agricoltura periurbana inevitabilmente si comincia a parlare di orti sociali e di altri temi che alimentano retorica. Ripeto il modello di Roma: questi dieci ettari che stanno dentro il raccordo anulare, che quando io l’ho raccontato a New York in Sud America nessuno credeva a questa cosa, poiché nel mondo l’anello è considerato il limite della città. Per noi il limite della città è l’anello ferroviario (22.38), che è molto più interno, vero e proprio limite della città costruita.

Dentro il raccordo anulare invece abbiamo vigneti DOC, i carciofi e il broccolo romano che è un prodotto Dop, roba seria cioè, cose vere. Questo non significa che dentro la città non vi possano essere degli spazi oppure all’interno della logica multifunzionale di un sistema agricolo vero non vi possano essere interventi del vecchietto, del pensionato, del malato, in modo che queste non diventino attività complementare del sistema agricolo vero. La nuova PAC cono attribuisce più all’agricoltura quelle che erano le funzioni di una volta. nell’ambito di quelle funzioni, quelle cose che noi abbiamo chiamato gli orti, etc.. ci possono stare. Ad esempio, l’agricoltore vero può con la macchina grande che ha può arare 10 ettari, trattati con concime naturale e poi dividere l’area in tanti pezzettini nei quali mettere i pomodori, le melanzane, i peperoni, etc… in modo tale che il tutto entra nel circuito urbano nel quale anche il residente ne possa usufruire, pagando quel che è dovuto. Roma consuma 6 miliardi di prodotti alimentari all’anno dei quali solo 1 miliardo

Conversazione con Carlo Blasi

proviene dalla Provincia di Roma. Purtuttavia, vero è che i dati sono di qualche anno fa e bisognerebbe aggiornarli, ma ad ogni modo Roma ha ancora numeri abbastanza interessanti: tutto ciò che si produce qui intorno e viene messo in vendita diretta tra agricoltore e cittadino deriva da aziende che, nella logica multifunzionale, l’azienda produce e vende direttamente quello che raccoglie: raccolgono al mattino e vendono tutto in due ore, acquistato dalla grande distribuzione. La grande distribuzione ci sarà sempre: difficile pensare ad un sistema urbano nel quale l’agricoltura funzioni in relazione alle esigenze del residente o in relazione ad un rapporto diretto agricoltore-cittadino. É impensabile un sistema siffatto. Tuttavia non va dimenticato che a Roma c’è tanta ristorazione, che sta aumentando molto, basata sulla produzione della provincia di Roma. Nei ristoranti che affermano “qui solo prodotti provenienti dalla Provincia di Roma” sono sempre tutti pieni di clienti. Quindi interviene un fattore identitario e cioè quello di mangiare i prodotti specifici del territorio, mangiarli nel periodo giusto come d’altra parte viene da anni testimoniato dal messaggio che Carlo Petrini manda in lungo e in largo nel mondo tramite la sua Fondazione Slow Food. Il sistema agricolo, così inteso, deve tornare a diventare il centro di una programmazione territoriale seria: qui a Roma può significare delle cose, alle Cinque Terre altre ma il concetto resta quello. Occorre cioè pervenire ad un sistema agricolo vero multifunzionale, con contadini che oltre a produrre delle cose di qualità, sono messi nelle condizioni di fare anche ospitalità, di fare educazione ambientale per i bambini delle scuole, ottenendo grandi risultati interessanti come quello della conservazione del territorio, della riduzione del dissesto agricolo del territorio e del consumo di suolo.

A questo sistema agricolo multifunzionale, si legano infine le Infrastrutture verdi. Ricordo a tal proposito che il greening della PAC invita tutte le aziende ad avere una certa percentuale della propria azienda “verde” in termini di “infrastrutture verdi”: quindi agricoltura intesa come capitale naturale all’interno dell’alveo della Green economy che, ben inteso, non è quindi un’economia proveniente dal ricavato dalla vendita delle zucchine, ma bensì si tratta di un’economia equa, intelligente, sostenibile. Per ciò che concerne le infastrutture verdi, intanto, rimarchiamo quelle che già esistono! perché come prima dicevo, e cioè valorizzare il gia esistente architettonico attraverso l’innesto di nuovi interventi volti a valorizzare l’ambito culturale urbano, allo stesso modo dico che bisogna innanzitutto valorizzare il già esistente autoctone per ciò che concerne le infrastrutture verdi: quindi i boschi, la vegetazione ripariale, le siepi, le scarpette. Il concetto è semplice: prima vediamo come funzionano i nostri ecosistemi e poi interveniamo. Sicuramente le infrastrutture verdi possono

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avere di ruolo di connessione ecologica, di abbattimento degli inquinanti, assorbimento di particolato, specialmente nelle città. Il nostro paesaggio appenninico nelle infrastrutture verdi sono una cosa urbana. Il greening del sistema urbano è un’infrastruttura verde. Anche il sistema rurale appenninico è un’infrastruttura verde. Non ha senso andare a mettere mano con qualcosa di artificiale in un qualcosa che già di suo è estremamente funzionale.

In vista di Expo 2015, noi alla Sapienza abbiamo elaborato un progetto molto abizioso, denominato “Eating city and wellbeing” e cioè partendo da tre città campione, Roma, Milano e Palermo, portiamo avanti la tesi che anche nelle grandi metropoli si può e si deve poter vivere bene, mangiare sano e respirare aria pulita, cioè a dire i discorsi che abbiamo fatto fino adesso, per rispondere ai grandi cambiamenti demografici e alimentari in atto.

Nelle città che continuano a crescere a ritmi molto alti, assume particolare urgenza il fatto di trovare risposte per recuperare la qualità della vita, ambientale e dell’alimentazione che comporta lo sviluppo metropolitano non controllato. Naturalmente, per ottenere ciò in questo progetto abbiamo fatto interagire economisti, tecnici dell’alimentazione, urbanisti e altri specialisti per analizzare e risolvere i problemi, di natura complessa, che affliggono le aree metropolitane. Agricoltura, consumo di suolo e qualità dell’ambiente, sono a mio avviso le tre keywords che indicano e suggeriscono come superare la crisi attuale, che non è solo europea ma globale e che permea tutti i settori strategici attenzionati da Europa 2020. Un’agricoltura multifunzionale è capace di imprimere una spinta verso l’istruzione, la ricerca e l’innovazione; la scelta di puntare sul rafforzamento del sistema agricolo urbano implica necessariamente una volontà di agire politicamente verso un’economia verde, quindi caratterizzata da basse emissioni di CO2 affinché si inverta il trend negativo sul cambiamento climatico globale; infine, scommettere sull’agricoltura significa basare lo sviluppo economico sul concetto di solidarietà, quindi sulla creazione di nuovi posti di lavoro e sulla parallela lotta alla povertà.

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Conversazione con Carlo Blasi

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Le applicazioni del verde per la mobilitĂ urbana

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Esperienze di interazioni e caso studio tra i sistemi della mobilitĂ e del verde in ambito urbano

Parte 2°

Parte seconda

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Conversazioni

4.1. Le città e le forme della vivibilità

Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde 4.1. Le città e le forme della vivibilità Le regole attuali hanno fatto si che l’espansione e l’accelerazione dei sistemi urbani, unitamente all’aumento del consumo delle risorse energetiche, abbiano generato la formazione di ampie parti di agglomerati urbani di bassa densità abitativa, creando al contempo i presupposti perché si diffondessero nell’ambiente urbano tutte quelle sostanze contaminanti responsabili di varie patologie a carico degli apparati respiratorio, nervoso, digerente e, sopratutto, uditivo.

In tutte le parti del mondo la città compatta tradizionale, che al suo interno accorpa molteplici funzioni dentro un preciso limite fisico, è il risultato di caratteri sociali ed economici che rischiano piano piano di scomparire, perché inglobati e assorbiti dalle zone di espansione urbana: in molti casi sono già scomparsi i limiti originari che caratterizzavano i tessuti che rapidamente sono stati assorbiti all’interno di un contesto amorfo e senza identità. Questa trasformazione ha dato luogo a dei contesti urbani, caratterizzati da ambienti ibridi, che sono posizionati tra la città compatta e la città dispersa ed è proprio per il fatto che questi esistono che non è possibile parlare di due distinti modi di urbanizzare il territorio. Inoltre, nel suo trasformarsi da città compatta a città dispersa, cambiano o si perdono gran parte delle interazioni ambientali e sociali. Le cause che hanno indotto l’attuale modello di dispersione urbana sono già state studiate a partire dagli anni ‘80, allorquando autori come Castells cominciarono a studiare gli effetti che le nuove tecnologie avevano sui cambiamenti urbani e regionali.

Tra tutte le componenti antropiche che intervengono pesantemente e che agiscono come motore propulsivo per la dispersione urbana nel territorio, quello che maggiomente incide è rappresentato dalla mobilità individuale. In queste aree, la rete viaria per il veicolo privato rappresenta di fatto la principale componente di strutturazione del territorio. Sono cioè affidate all’autoveicolo le principali vie di comunicazione in città: il contatto tra le persone, lo scambio e l’interazione personale sono possibili solo se si è in condizione di utilizzare un mezzo di trasporto

Parte 2°

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

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pubblico o privato. Di fatto, nella città dispersa le probabilità di contatto tra le persone sono ridotte al minimo e poche sono le relazioni esistenti tra gli elementi del sistema urbano. Non si comprende più la differenza tra edificato e non costruito; lo spazio pubblico che nella cittá compatta rappresenta e caratterizza ogni senso di cittadinanza attiva, raccogliendo al suo interno piú funzioni e informazioni provenienti dalle diverse figure che vi lavorano e vivono, viceversa nella cittá dispersa risulta essere compartimentato in ogni funzione: le strade e autostrade servono soltanto per la mobilitá, i corridoi dei sempre piú diffusi centri commerciali e ipermercati hanno il ruolo di strade e al loro interno riproducono le fattezze di un centro urbano, sebbene regolati da interessi privati e non da ordinanze del Comune.

In natura qualunque sistema complesso, costituito da organismi che interagiscono all’interno di un ecosistema, tende ad essere sempre piú efficiente nel corso del tempo e, per tale ragione, la sua organizzazione si basa secondo il principio che il consumo di risorse necessarie alla sopravvivenza debba ridursi nel corso del tempo. L’uomo, esempio complesso per eccellenza del quale abbiamo maggiore conoscenza rispetto ad altri organismi in natura, ha un’efficenza energetica pari ad una lampadina di 150 watt. Cioé, qualunque sua espressione vitale, lavorare, parlare, muoversi, viene fatta attraverso un dispendio di energie minime se questa la paragoniamo a qualunque altra azione operata da qualunque opera dell’uomo stesso: una automobile, ad esempio, per muoversi richiede una potenza di gran lunga maggiore e dispendiosa dal punto di vista energetico. Un sistema urbano é anch’esso un ecosistema nel quale, il principio di efficienza secondo il quale si massimizza l’entropia in termini di informazioni si può esprimere attraverso la relazione che, nel corso del tempo, lega le risorse utilizzate al modello di organizzazione urbana.

Risorse

Organizzazione urbana

Tempo

Questo rapporto si può più agevolmente scrivere con la seguente funzione guida della sostenibilità urbana:

E nH

in cui E esprime il consumo di energia, n é il numero delle persone giuridiche urbane (attività economiche, istituzioni, asso-

4.1. Le città e le forme della vivibilità

ciazioni) e H é la diversità delle persone giuridiche, anche chiamata complessità urbana (Informazione organizzata).

Allo stato attuale, la tendenza a produrre città dei sistemi urbani, sortisce valori di questo rapporto che con l’andare del tempo vanno aumentando anziché diminuire. Cioè il fattore a numeratore cresce sempre più nel corso del tempo perché le città richiedono quote via via maggiori di energia per il loro sostentamento (Rueda S., 2012).

Affinché si possa invertire questa tendenza, quindi, é necessario intervenire nel rapporto sopra espresso incidendo per diminuizione sul numeratore, cercando cioé di trovare soluzioni organizzative che richiedano sempre meno apporto di energia per funzionare e, al contempo, aumentare il valore del denominatore, cioé il livello di informazione organizzata al fine di prevenire gli eventi che destabilizzano il sistema urbano. Le azioni che presuppongono la riduzione del numeratore possono tradursi in maniera concreta attraverso azioni volte a ridurre la strategia delle competizione tra territori fondata sul consumo delle risorse, ad aumentare la capacità di anticipazione e al contempo a ridurre le incertezze che presuppongono uso dei combustibili fossili, a ridurre le emissioni che causano l’effetto serra, ad aumentare la dipendenza dalle risorse locali, ad aumentare la capacità di autostentamento attraverso l’uso delle energie alternative e locali, cambiare il modello di mobilità, ridurre le emissioni dei contaminanti in atmosfera e nel sottosuolo a livello di acque di falda, ridurre la superficie esposta a soglie inammissibili di rumore (il rumore, di fatto, rappresenta una forma di dissipazione energetica), cercare quanto più è possibile di incrementare i progetti di riabilitazione e rinnovamento urbano e diminuire al contempo la costruzione di nuove aree edificabili, risparmiare e rendere maggiormente efficienti i sistemi di costruzione degli edifici, ridurre la quota di impermeabilizzazione del suolo, risparmiare e rendere più efficienti i servizi pubblici e privati, infine aumentare i processi partecipativi della cittadinanza in merito alle tematiche sul risparmio energetico e gestione dei rifiuti solidi urbani.

Al contempo, per aumentare la quota a numeratore rappresentata da n ed H, in controtendenza al sistema della città diffusa, occorre riqualificare gli spazi pubblici della città compatta, aumentare la diversità e l’interazione tra i diversi usi e soggetti che vivono lo spazio pubblico. In questo modo si aumenterà la capacità che hanno le città di essere resilienti agli impatti esterni oltre che la loro la stabilità economica; si aumenterà la diversità delle interazioni lavorative di differente livello ed estrazione sociale, quindi il capitale economico e sociale; Nel mondo, sono le città mediterranee che rappresentano compitamente l’idea della sostenibilità della città compatta.

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

Nella città mediterranea lo spazio pubblico rappresenta il luogo di riunione e di incontro tra i cittadini. É anche il luogo simbolo per eccellenza nel quale si incontrano la democrazia e il senso di cittadinanza di chi vive e lavora in città. L’apparizione dell’automobile e la possibilità di coprire spazi in minor tempo possibile, ha fatto si che lo spazio pubblico di dividesse assegnando il centro delle strade agli autoveicoli e le restanti parti laterali alle edificazioni e alle aree pedonali. Ciò che apparve all’inizio del secolo scorso una tendenza lenta e graduale, oggi si mostra in modo esplosivo. Oggi più del 60% dello spazio pubblico é occupato dalle automobili, ponendolo al centro di tutta una serie di condizioni ambientali inammissibili alla natura degli uomini e, per estensione, al senso stesso di cittadinanza che hanno caratterizzato le città in Europa e, in particolare, nel Mediterraneo. Rumore, contaminazione atmosferica, incidenti stradali, sono ormai elementi costanti che superano di gran lunga i limiti minimi ammissibili che assicurano le condizioni di qualità urbana dello spazio pubblico ai pedoni. Il veicolo privato, di fatto, condiziona pesantemente tutte le funzioni che nello spazio pubblico hanno da sempre avuto luogo, potendo in tal modo affermare che questi collide pesantemente con gli interessi che gravitano nello spazio pubblico.

Il veicolo di passaggio, che ha l’obiettivo di coprire lo spazio nel minor tempo possibile, entra quindi in collisione e si fa incompatibile con gli obiettivi di chi usufruisce abitualmente e stabilmente delle funzioni urbane. Quando un’automobile occupa uno spazio, questo diventa incompatibile con gli usi e le esigenze mostrate dai bamini, dagli anziani e, in generale, dai cittadini per ciò che concerne la sua possibile distribuizione di usi differenti, ivi incluse le emergenze che possono caratterizzare la vita quotidiana.

Le rigidità imposte dall’obiettivo principale del veicolo di passaggio e quelle che derivano dalle specifiche caratteristiche di questo tipo di veicolo (non si possono toccare o incidentare tra loro, meno che mai non devono o possono toccare le persone), in contiguità con la rete viaria, (dedicata totalmente al veicolo di passaggio) crea collisioni con la continuità di movimento espressa dagli altri: dai pedoni, dai portatori di handicap, dai ciclisti.

Certamente, in tutte le città mediterranee di grossa dimensione (superiori ai 500.000 abitanti) il veicolo privato occupa una percentuale di spazio che si aggira tra il 65-70%, in modo diretto o indiretto e, di conseguenza, la quantità di spazio disponibile riservato all’uso quotidiano dei movimenti dei residenti non supera il 25%. É quindi del tutto evidente che esiste una sproporzione netta tra l’occupazione dello spazio e lo spostamento nel veicolo pri-

4.1. Le città e le forme della vivibilità

vato. L’automobile é, cioé, il fattore di maggiore disfunzione urbana che di fatto genera e impedisce che la cittá (e i suoi spazi pubblici) possa essere pienamente usufruita dal cittadino.

In qualunque caso, al di là dei numeri, é chiaro che l’automobile gioca un ruolo che incide con la funzionalità urbana. Non si discute in questa ricerca l’indubbia utilità sull’uso dell’automobile o del veicolo privato ma bensì il suo abuso che, di fatto, determina disfunzioni e relative conseguenze che ricadono con esternalità nefaste nella qualità di vita dei cittadini. É chiaro che se si necessita ordinare e pianificare lo spazio pubblico, in funzione di un aumento di funzioni urbane compatibili tra loro, occorre per forza di cose ridurre drasticamente la quota di superficie occupata dai veicoli privati e, contestualmente, ridurre la percentuale riservata al movimento di questa modalità di trasporto.

Occorre, cioé, riformulare un modello di mobilità tale che si possano cambiare le proporzioni in percentuale dei movimentiper ciascuna modalità (pedonale, ciclistica...) e assegnando per ciascuna di queste una rete che sia compatibile anche con la funzionalità e il resto delle modalità d’uso delle funzioni urbane.

4.1.1 La densità e la dimensione insediativa Tante città nel mondo si stanno quindi organizzando, rigenerando se stesse, con il preciso obiettivo di risparmiare costi economici ed energetici, aumentare la qualità di vita attraverso interventi nel costruito degli edifici e delle infrastrutture così come nell’implementazione del verde urbano.

Si tratta di interventi che comportano altresi consistenti modifiche non solo nella struttura sociale, imponendo comportamenti e adozione di buone pratiche, ma anche nell’organizzazione stessa della macchina amministrativa, spesso ancora strutturata da logiche legate all’uso del suolo caratterizzato dall’uso indefinito del trasporto privato.

Si è quindi compreso, attraverso studi condotti sopratutto nelle Università americane, che la densità e la dimensione dell’insediamento urbano sarebbero i principali fattori che determinano una relazione di causa effetto tra trasporti e mobilità e derivati consumi energetici ed effetti inquinanti prodotti. In particolare nei casi in cui più bassa sarebbe la densità abitativa e maggiore sarebbe la dimensione insediativa, vi sarebbero più alti consumi energetici e maggiori emissioni inquinanti. Viceversa, nei casi in cui, più alte condizioni insediative si accompagnano minori dimensioni dell’insediamento, si manifestano pià bassi consumi energetici e, conseguentemente, minori tassi di inquinamento prodotti. I primi a studiare questa relazione di causa-effetto tra

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

densità abitativa e dimensione urbana sono stati i due urbanisti australiani, Peter Newmann e Jeffrey Kenworthy, i quali hanno dimostrato come gli abitanti delle città americane, più estese nel territorio e a bassa densità abitativa, consumassero maggiore energia rispetto a quelli residenti nelle città australiane e, in special modo, agli abitanti europei. Dimostravano con i loro studi che gli europei, cioè, viste le condizioni di maggior densità abitativa, facevano largo ricorso al trasporto pubblico, concludendo pertanto che in un’ottica di sostenibilità urbana le città potessero diminuire il tasso di inquinamento e attuare politiche di risparmio energetico a patto che implementassero una pianificazione che prevedesse un’aumento della densità abitativa, che fornisse valide alternative all’uso del trasporto privato e che aumentasse la vivibilità dei luoghi riducendo le emissioni inquinanti aeree e sonore.

Antitetica alla posizione dei due urbanisti australiani si è dimostrata quella assunta da Harry Richardson e Peter Gordon della Southern California University, favorevoli invece alla politica del decentramento urbano e della capacità del libero mercato di autoregolarsi dinamicamente a seconda delle peculiari necessità. I meccanismi del libero mercato in funzione della ricerca di una sempre maggiore efficenza energetica sarebbero, per i due studiosi americani, capaci di generare il fenomeno del policentrismo che ha in nuce la capacità di generare bassi consumi energetici e ridurre gli effetti della congestione urbana. In Europa, Peter Naess, ricercatore della Norwegian Building Research Institute, è giunto ad una posizione assai seimile a quella di Newmann e Kenworthy, attraverso uno studio condotto su ben ventidue città scandinave, dimostrando che i residenti delle maggiori città Copenaghen, Oslo e Stoccolma, nei fatti facessero ricorso a minori spese energetiche di quanto invece non fossero costretti a fare i residenti dei centri minori.

Alle stesse conclusioni è giunto Banister che individua, nei suoi studi condotti tra Europa, Stati Uniti e Canada, una relazione evidente tra la densità abitativa, le proprietà (in termini di diritto di proprietà) dell’auto e i chilometri percorsi. Più si riducono le densità abitative e maggiormente aumentano tanto le auto possedute quanto i chilometri percorsi. Asserisce quindi che i tempi sono maturi affinchè si realizzi, in seno alle città un affrancamento via via maggiore verso il mezzo privato (Banister, 1997), che si attuino politiche del piano volte a prevedere la relazione esistente tra la necessità di muoversi, le necessità energetiche e il contenimento della forma urbana (Banister et Al., 1997) e, infine, giunge a teorizzare un paradigma per la mobilità in funzione di una maggiore sostenibilità urbana (Banister, 2008).

4.1. Le città e le forme della vivibilità

249

Abbiamo parlato di crisi di modelli insediativi e di come l’urbanizzazione sia divenuta una tendenza globale nella quale la velocità dei suoi processi di espansione risulti addirittura maggiore della crescita della popolazione urbana o delle effettive e reali necessità. Abbiamo anche detto delle contraddizioni in atto, cioè del fatto che malgrado le città occupino il 2% della superficie terrestre, finiscano per utilizzare almeno il 75% delle risorse naturali, producano più della metà del PIL mondiale e accolgano il 70% della popolazione globale (UN, 2012). La pressione demografica e le sue esigenze dettate da merci e fabbisogli alimentari che quoidianamente si spostano da una parte all’altra del globo connotano il fatto che il sistema globale degli insediamenti (Seto et al. 2013) risulti altamente energivoro (70% dei consumi di energia) e al contempo causa di emissione di gas serra (80% delle emissioni di CO2), generazione di rifiuti non sempre adeguatamente trattati o gestiti in funzione di un corretto loro smaltimento. Le cause di tutto ciò sono complesse poichè spesso sono nelle interazione tra i vari sistemi antropici che si devono ricercare le cause o che si deve agire affinché si possa invertire il trend negativo dell’ambiente. A partire dal Rapporto Brundtland (1987), fino all’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto (1997), si è individuato nelle città il territorio d’azione ideale per far fronte ai problemi connessi con la sostenibilità ambientale e, in particolare, per ciò che concerne l’interazione tra sistema della mobilità e del verde urbano, l’Unione Europea ha promulgato varie direttive e leggi, sottoforma di Libri Bianchi sulla mobilità, Libri Verdi sull’ambiente, direttive e leggi. Fino ad arrivare al 2008, quando con il Pacchetto Clima si sono stabiliti obiettivi per il 2020 da perseguire con azioni volti alla riduzione del 20% di CO2, dell’aumento del 20% dell’efficenza energetica dell’incremento del 20% delle quote di produzione energetica da fonti rinnovabili (Eolico, solare, biocombustibili) e dell’aumento del 10% di biocarburanti per autotrazione.

Dal 2008, come già detto, le città hanno visto aggravare molti problemi già evidenziati negli anni passati: abbassamento del tenore di vita, del benessere urbano, dei livelli di occupazione.

Si sono ridotte le capacità attrattive delle città e, di conseguenza, ciò a spinto e condotto le amministrazioni locali a fronteggiare la crisi con interventi di rigenerazione urbana mediante inediti sistemi di programmazione e gestione, potenti investimenti infrastrutturali e di attrezzature tali da potenziare le reti tra le città e dentro le città stesse. La triplice emergenza (Rifkin 2008) dettata dalla crisi climatica, economica ed energetica ha quindi costretto le città ad un profondo ripensamento degli spazi urbani così come delle infrastrutture chiamate ad essere sede di processi

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4.1.2 L’organizzazione di una infrastruttura verde

Parte 2°

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

di decarbonizzazione delle economie urbane, di miglioramento delle prestazioni microclimatiche ed energetiche, di riduzione del consumo di risorse e, soprattutto, di aumento del potere di attrattività in funzione del turismo urbano. In questa ottica si comprendono, quindi, le azioni che le amministrazioni stanno conducendo per avviare processi di rigenerazione urbana in accordo alle tematiche della biodiversità e dei servizi ecosistemici.

Attraverso il tema delle infrastrutture verdi si tenterà di spiegare come questa si organizza e quali sono i processi necessari affinché possano essere messe in atto le azioni essenziali alla loro formazione. In linee generali, è opportuno precisare che non tutte le città possono permettersi l’ambizione di organizzare e realizzare un’infrastruttura verde, intendendo con questo termine la definizione tratta dal rapporto tecnico della Commissione Europea (Naumann, McKenna Davis et al. 2011, pagina 14): “Green infrastructure is the network of natural and semi-natural areas, features and green spaces in rural and urban, and terrestrial, freshwater, coastal and marine areas, which together enhance ecosystem health and resilience, contribute to biodiversity conservation and benefit human populations through the maintenance and enhancement of ecosystem services.

Green infrastructure can be strengthened through strategic and co-ordinated initiatives that focus on maintaining, restoring, improving and connecting existing areas and features as well as creating new areas and features ” .

L’idea base è quindi quella secondo la quale sia possibile coniugare le esigenze dello sviluppo urbano con la conservazione e la valorizzazione della biodiversità in senso generale e, nella fattispecie della vegetazione al decoro urbano e della fitodiversità, purché le diverse aree verdi presenti sul territorio vengano connesse in rete (Lockhart, 2009). Si progetta una infrastruttura verde quando questa, sin da principio, è inserita nelle linee strategiche di trasformazione urbana, potendo in tal modo consentire alle varie rappresentanze locali urbane di pianificare la connessione tra le loro attività e il sistema degli spazi verdi. Consente altresì di assicurare la tutela degli spazi verdi delle aree periurbane e stabilire le più appropriate connessioni di queste tra l’ambito urbano e quello rurale. Inoltre, è necessario una preventiva indagine sui costi occorrenti accompagnati dai benefici attesi affinché si possa prevedere il grado di interazione della infrastruttura verde con il sistema delle reti di trasporto, elettrica e della comunicazione già esistenti sul territorio. Vedremo più avanti e li descriveremo nel dettaglio i passi enormi compiuti dall’amministrazione urbana di Barcellona in occasione della realizzazione, tutt’ora in via di compimento, della Stazione per

4.1. Le città e le forme della vivibilità

l’Alta Velocità Ferroviaria della Stazione Sagrera, innestata nel più generale contesto della Rete metropolitana, del rinnovamento del Quartiere di Sant Andreu, della Torre La Sagrera progettata da Frank Gehry e del Parc linear Camí Comtal. Costruire un’infrastruttura verde è, quindi, operazione assai complessa che presuppone una visione strategica molto spinta in avanti negli anni, una vision di progetto urbano, sforzi economici non indifferenti che investono la popolazione urbana fino agli aspetti decisionali che riguardano financo scelte di carattere esistenziale e cioè quello di invogliare ad investire nella città capace di assicurare un futuro dignitoso alle generazioni future.

Natural England - North West (NEWN), l’Agenzia consulente del governo Inglese in materia di ambiente naturale, nel 2009 ha redatto una guida nella quale si esemplificano i passaggi fondamentali per intraprendere l’attuazione di una infrastruttura verde.

La prima fase prevede l’attuazione di una strategia stabilita in sede partenariale, coinvolgendo tutti gli attori pubblici e privati, nonché i rappresentanti delle associazioni alla condivisione dei valori del progetto che generalmente vanno dai temi della crescita economica, della coesione sociale, del rafforzamento della comunità coinvolta e della sostenibilità ambientale. La seconda fase prevista dalla NEWN è importantissima ed è relativa alla validazione dei dati disponibili in loco. Qualunque progetto di infrastruttura verde non potrà veder luce se non saranno esaustivi e completi il set dei dati raccolti a terra, poiché questi sono funzionali alle priorità strategiche stabilite e sono naturalmente in stretta connessione con le peculiarità del sistema locale e territoriale. Per capire quanto sia importante l’esistenza di un efficace sistema di una buona banca dati relativi a cartografie, infrastrutture esistenti, basti pensare che l’elaborazione dei dati in funzione di modelli applicativi per il verde urbano (UFORE ne è un esempio, applicato da Silvia Rebeschini in occasione della sua tesi dottorale, Alberi in città - letture innovative della qualità urbana, 2014) presuppone l’esistenza di dati a terra della vegetazione presente stimata e misurata in tutte le sue forme.

Censimento per specie, misure degli esemplari (Diametro del tronco e della chioma, altezza, età presunta, stato vegetativo all’atto del rilievo), fattori questi che sono essenziali ai fini del calcolo dei vari indici di vegetazione (abbondanza relativa, dominanza relativa, importanza), della loro capacità a trattenere gli agenti inquinanti (polveri sottili, biossido di azoto, ozono troposferico) o a rilasciare composti organici volatili, responsabili della formazione di ozono troposferico. Ultimamente sta prendendo piede, con grandi risultati, l’adozione di immagini di derivazione satellitare capace di individuare fattori di criticità urbana invisibili all’occhio umano. Più difficile sarà quindi immaginare la progettazione e realizzazione di una infrastruttura verde se il

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

contesto che la dovrebbe ospitare si caratterizza per scarsità di dati ambientali disponibili, male organizzati se non addirittura frammentari o vetusti.

La terza fase è relativa alle valutazioni delle funzioni interessate al progetto, cioè a dire modalità di utilizzo, livello di coinvolgimento e ruolo alle diverse scale che dovrà assumere il progetto.

Generalmente, si suole raggruppare le funzioni previste dal progetto attorno a tre grandi categorie: quella ambientale, quella economica e, naturalmente, quella sociale. Come in qualunque progetto che si rispetti, in questa terza fase sono importanti la verifica della situazione ex ante delle aree verdi, relativamente al contributo che sono capaci di sostenere in termini di prestazioni ambientali e la verifica ex post, cioè il calibro degli interventi in previsione e funzionali a rafforzare il carattere del verde così come il suo contributo ecologico. Quarta e quinta fase sono relativi rispettivamente all’analisi dei bisogni del progetto (rispondenza dell’adeguatezza delle risorse disponibili in relazione alle specifiche peculiarità delle aree che saranno interessate dall’intervento; valutazione delle criticità di settore) e infine alla redazione vera e propria del piano di intervento, fase che in qualche modo riassume il tutto, avendo questa fase un carattere di sintesi.

Sopra: La High line di New York.

Sotto: Schema che spiega alcuni tra le tante tipologie di biotopi individuate nei vari tratti della High line.

4.1. Le città e le forme della vivibilità

Ad esempio, nel caso della High Line di New York, a seguito dell’approvazione da parte del sindaco uscente Rudolph Giuliani circa la demolizione dell’intera High Line, le associazioni locali si organizzarono per contestare la decisione e con successo vinsero la causa in tribunale. Nel 1999 è stata fondata un’organizzazione senza scopo di lucro Friends of High Line - composta dai residenti di quartiere, imprese, professionisti del design, organizzazioni civiche - perché si potesse riutilizzare i restanti chilometri di tratto ferroviario (1,5 Km) facendone un parco urbano, frattanto che, per gli anni di abbandono, si era formata una copiosa e interessante vegetazione spontanea, oltre che avviare un processo di sviluppo del progetto volto a valorizzare i 22 isolati lungo la linea ferroviaria elevata. Il progetto della HIGH LINE vede lavorare insieme architetti, architetti del paesaggio, designer, progettisti, artisti, orticoltori, frattanto che le attività dell’associazione hanno fatto un’intensa campagna di divulgazione a livello nazionale fino a giungere al 2003, allorquando l’amministrazione comunale ha garantito un fondo iniziale per la riqualificazione del tratto di linea ormai coperto dalle erbacce e a trasformarlo in un parco-passeggiata di sette acri e al 10 aprile 2006, data di inizio dei lavori.

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4. Esperienze di pianificazione urbana per lâ&#x20AC;&#x2122;interazione tra i sistemi della mobilitĂ e del verde in ambito urbano

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Uno scorcio della High Line

4.1. Le città e le forme della vivibilità

W EST S I DE H I G H WAY/9 A

WEST 3 5 T H ST R E E T

W EST 3 4 T H ST R E E T

F U T U R E N O. 7 S U BWAY STAT I O N WEST 33 R D ST R E E T

I N T E R I M WA L K WAY

W EST 3 1ST ST R E E T

H I G H L I N E AT T H E R A I L YAR DS (OPENING SEPTEMBER 21)

W EST 3 0 T H ST R E E T

WEST 2 9 T H ST R E E T

CHELSEA PA R K

STAIRS GANSEVOORT STREET WEST 14TH STREET WEST 16TH STREET WEST 18TH STREET WEST 20TH STREET WEST 23RD STREET WEST 26TH STREET WEST 28TH STREET WEST 30TH STREET 11TH AVENUE

N I N T H AV E N U E

LEGEND

T E N T H AV E N U E

E L E V E N T H AV E N U E

WEST 2 6 T H ST R E E T

E L L I OT T- C H E L S E A HOUSES

W EST 2 5 T H ST R E E T

W EST 2 3 R D ST R E E T

CHELSEA WAT E R S I D E PA R K

W EST 2 2 N D ST R E E T

CLEMENT CLARKE M O O R E PA R K

W EST 2 1 ST ST R E E T

GALLERY DISTRICT

W EST 2 0 T H ST R E E T

STREET-LEVEL ACCESS 34TH STREET* *The Interim Walkway is open from dawn until 30 minutes prior to dusk.

ELEVATORS WEST 14TH STREET WEST 16TH STREET WEST 23RD STREET WEST 30TH STREET GANSEVOORT STREET (at The Diller – von Furstenberg Building)

WEST 1 9 T H ST R E E T

F U LTO N HOUSES

W EST 1 8 T H ST R E E T

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W EST 1 6 T H ST R E E T

CHELSEA MARKET WEST 1 5 T H ST R E E T

ME ATPACKING DISTRICT

RESTROOM

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W EST 1 3 T H ST R E E T

FOOD AND BEVERAGE Food and drink are available on the High Line in the spring, summer, and fall.

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HIGH LINE SHOP Open in the spring, summer, and fall. Every purchase supports the High Line.

HIGH LINE H E A D Q U A RT E R S H

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Planimetria della High Line. Fonte: highline.org

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WEST 16TH STREET GANSEVOORT STREET (at The Diller – von Furstenberg Building)

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2. Il rinnovamento urbano

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Relativamente alla progettazione urbana, molte città europee oggi si stanno dotando di strumenti e stanno adottando misure di contenimento all’eccessivo e smodato uso di suolo, imposto da logiche del profitto che poco hanno a che fare con il valori espressi dalla storia culturale e sociale dei luoghi. In tal senso, si è accresciuto nel corso di questi ultimi decenni, alla luce delle già citate condizioni imposte dalla crisi economica e ambientale, l’inadeguatezza degli strumenti di pianificazione e governo dello sviluppo urbano, in molti casi ancora incentrati a chiavi di lettura e suddivisioni amministrative che male o per nulla interpretano i fenomeni ambientali e le più recenti trasformazioni territoriali. Per tale ragione, già a partire dagli anni novanta le Associazioni nazionali degli Urbanisti e gli Istituti nazionali di urbanistica presenti in undici paesi dell’Europa (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Olanda, Portogallo, Regno Unito e Spagna) organizzati all’interno del Consiglio Europeo degli Urbanisti (CEU) hanno riproposto una Nuova Carta di Atene 1998.

“La pianificazione territoriale è di vitale importanza per la consegna di uno sviluppo sostenibile. In particolare, riguarda la gestione prudente di spazio, una risorsa critica naturale, limitata dell’offerta, ma con crescenti richieste su di essa. Richiede anche trans-disciplinare il lavoro di squadra che coinvolge professionalità diverse in varie scale di lunga durata dei processi. L’attributo particolare della professione della pianificazione è la sua capacità di prendere una serie di questioni in considerazione e di tradurle in termini spaziali. Il CEU è consapevole sia la varietà e l’universalità della professione pianificazione in Europa in quanto tiene conto della diversità delle sue città e regioni” (Nuova Carta d’Atene, 2003).

4.2.1 In Europa A distanza di almeno ventanni, si possono già vedere i primi risultati concreti di questo dibattito, attraverso la creazione di veri e propri quartieri ecosostenibili. In Europa è il caso del quartiere Vauban e del quartiere Rieselfeld a Friburgo. Per Vauban, ad esempio, il masterplan recita “un piano a dimensione di pedone” dal momento che si prevede che il 35% dei residenti non userà l’automobile. Proprio questa caratteristica espressa dal piano, cioè di volersi affrancare dall’uso dell’automobile, ha determinato le scelte progettuali del masterplan individuando una

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4.2. Il rinnovamento urbano

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

discontinuità finalizzata ad interrompere la viabilità carrabile, a ridurre gli spazi di circolazione dedicati alle automobili e alla velocità di percorrenza e alla creazione di isole residenziali car free. L’incremento dello spazio pubblico in favore dei pedoni ha comportato un’aumentata sicurezza in sede stradale e, conseguentemente, ampie aree dedicate alla creatività del gioco dei bambini e dei ragazzi. Gli spazi urbani pubblici, estremamente curati e ricchi di vegetazione rappresentata dagli alberi monumentali sparsi qua e là per il quartiere, come anche da rampi-

Sistemi di mitigazione su facciata prodotti con l’ausilio di vegetazione.

Il quartiere Vauban a Friburgo (Fonte: Google Earth).

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2. Il rinnovamento urbano

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Nella Solarcity di Pichling a Linz, la maggior parte degli edifici, accuratamente progettati per ciò che concerne l’orientamento, la collocazione di serre, vetrate e balconi, è rivestita di legno, caratteristica questa che consente all’edificio di mantenere una temperatura interna costante. Inoltre la compattezza costruttiva ha richiesto un fabbisogno energetico estremamente basso,

Il quartiere Solarcity a Linz-Pichling (Fonte: Google Earth).

Il quartiere Solarcity a Linz-Pichling (Fonte: Panoramio)

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canti, alberi e siepi che rivestono le abitazioni, contribuiscono all’isolamento termico e benessere all’interno delle abitazioni.

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con consumi energetici dell’edificio pari quasi a zero. A livello urbanistico il masterplan è stato concepito in modo tale che la mobilità motorizzata privata, limitata all’accesso ai parcheggi interrati e alle residenze, non incroci i percorsi carrai per lo più riservati alle piste ciclabili e ai percorsi pedonali, la cui rete è integrata con lo spazio pubblico e i centri di servizio alla collettività. Il collegamento con il centro città – distante circa sette chilometri – è garantito da una metropolitana leggera.

Il quartiere Kronsberg a sud di Hannover (Fonte: http://www.solaripedia. com/13/299/3378/bedzed_hackbridge_uk_ master_plan.html).

2. Il rinnovamento urbano

Il quartiere Kronsberg a sud di Hannover (Fonte: Google Earth).

Sopra, Case a schiera passive.

Il quartiere Kronsberg localizzato nell’area sud di Hannover, si estende per 150 ettari per accogliere 6000 unità abitative per un totale di circa 15.000 cittadini. Rappresenta un soddisfacente esempio di pianificazione e costruzione visionaria: infatti presenta eccezionali standards altamente ecologici, con edifici che offrono qualità abitative superiore alla media immersi in uno spazio dal design semi-naturale, che ne fa del distretto tra le realizzazione di pianificazione più riuscite in Europa. Il concetto base è stato quello di sviluppare l’insediamento lungo gli assi principali della mobilità pubblica ferroviaria, dando quindi ai residenti la possibilità di spostarsi con i mezzi locali, potendo lasciare le proprie auto nel garage. Tutte le fermate di tram e bus sono posizionate ogni 500 metri e collegano direttamente Kronsberg con il centro di Hannover. La pista ciclabile si snoda lungo 1,5 km. Tutto il quartiere possiede un efficentissimo sistema di raccolta dell’acqua piovana, riutilizzata per gli scarichi igienici delle scuole e delle abitazioni private, caratterizzato da un fitto sistema di drenaggio, comprensivo di 11km di fossati, mediante i quali si recupera l’acqua proveniente dalle strade, dai giardini privati, dalle grondaie. Tutti gli immobili sono stati costruiti utilizzando materiali di recupero e non tossici. É stata stimata una riduzione di CO2 pari al 75% rispetto alle strutture tradizionali e una riduzione del 30% della produzione di rifiuti urbani solidi. I

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

rifiuti vengono riciclati e reinvestiti nella produzione di energia e, in tal senso, tutte le famiglie sono coinvolte nella raccolta differenziata. Non esistono discariche ma un centro di trattamento integrato comprensivo di inceneritore, trattamento meccanico e compostaggio, digestione anaerobica e postcompostaggio.

Inoltre, la riduzione della emissione di CO2 la ottengono producendo energia ottenuta attraverso due turbine eoliche e due impianti di cogenerazione alimentati da gas naturale. Le abitazioni private e gli edifici pubblici sono riscaldati da un sistema di pannelli solari posti sui tetti.

Bedzed nel sobborgo Sutton a sud di Londra, BedZED o “Beddington Zero Energy Development” è un piccolo quartiere a sud di Londra, a Sutton, a zero emissioni di CO2 fin dal momento della sua costruzione, realizzato tra il 2000 e il 2002. Si tratta di un insediamento costituito da 87 case, 17 appartamenti, 1405 metri quadrati commerciali, progettati dall’architetto Bill Dunster.

Tutti i materiali da costruzione, naturali e riciclati, provengono da un raggio di 60 chilometri; il legno di quercia che isola le facciate esterne proviene da foreste locali; cosi come anche i materiali di costruzione (mattoni, e lastre di gesso) realizzati da fabbricanti della regione. Tutte le case sono dotate di pannelli fotovoltaici e di camini a vento, i quali, oltre a conferire all’inte-

Sopra, Le caratteristiche case a schiera con il sistema di convogliamento dell’aria.

Il quartiere Bedzed a sud di Londra (Fonte: Google Earth).

2. Il rinnovamento urbano

ro quartiere un’immagine identitaria forte, servono per garantire un giusto ricircolo dell’aria. Tutte le acque piovane e di scarico vengono raccolte, depurate e usate dagli abitanti del quartiere per uso irriguo. Gli spazi pubblici sono stati concepiti per dare ai residenti la possibilità di coltivare ortaggi, in modo da garantire il cibo a chilometro zero. Per quanto riguarda la mobilità, si è puntato innanzitutto a ridurre la necessità di spostamento rendendo disponibili alternative all’uso privato dell’automobile, come un parco di auto gestite in car-sharing. É stato curato l’aspetto della mobilità sostenibile e pertanto è stato dotato di impianti per l’erogazione di energia per le auto elettriche.

Il quartiere Bo01 di Malmö, (dalla parola svedese “bonollet” che significa abitare) interamente costruito secondo i canoni dell’edilizia ecosostenibile, nasce nel 2001, a seguito della decisione da parte del governo svedese di elaborare un piano ventennale che prevedeva lo stanziamento di fondi per il recupero di ex zone industriali e dei cantieri navali per realizzarvi un quartiere residenziale. Bo01 è costituito da circa 800 abitazioni, con le facciate tutte rivolte a sud in modo da poter catturare gran parte della luce diurna e ridurre l’impiego degli impianti di condizionamento. Tutte le abitazioni sono circondate da abbondante verde, indipendenti energeticamente grazie all’utilizzo

Il quartiere Bo01 a Malmö (Fonte: Google Earth).

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dell’energia eolica, degli impianti di recupero di gas dalle biomasse e di utilizzo del calore del mare. Quali sono gli elementi che garantiscono l’autosufficenza energetica del quartiere dalle fonti fossili? Una pala eolica, alta 80 metri capace di produrre ogni anno l’energia necessaria ad alimentare 200 appartamenti; i bacini naturali di roccia nei quali l’acqua viene conservata a 90 metri di profondità; i pannelli solari, disposti su una superficie di 1400 metri quadri e distribuiti in nove edifici; 120 metri quadri di celle fotovoltaiche disposte su un solo edificio, capaci di produrre ogni anno energia per 4 appartamenti. L’accessibilità agli spazi pubblici è garantito da un ottimo sistema di mobilità in cui spiccano per efficenza una fitta rete di piste ciclabili e un servizio di car-sharing, rappresentato da auto elettriche, a gas metano e ibride, offerto dal comune di Malmo e appartenenti alla Comunità prenotabili via internet. Bo01 è stato scelto dalla Comunità Europea e dal Dipartimento Europeo per l’Energia come uno dei migliori esempi per l’applicazione dell’utilizzo di energia rinnovabile in Europa.

Secondo l’Economist Intelligence Unit, il centro studi che fa capo al prestigioso periodico londinese, Helsinki è la sesta città al mondo per qualità di vita, preceduta da Vancouver, Melbourne, Vienna, Toronto e Calgary. Al successo di Helsinki contribuSopra, Una veduta aerea del quartiere di Eco-Viikki. Più sotto le case a schiera.

Il quartiere Eco-Viikki a 7 km da Helsinki. (Fonte: Google Earth).

2. Il rinnovamento urbano

iscono, indubbiamente, la sua rete di trasporti efficiente e innovativa, l’utilizzo di energie alternative, la gestione, manutenzione e valorizzazione dell’arcipelago; inoltre, il suo sistema di mobilità, estremamente efficente, rende pressochè inutile l’utilizzo del mezzo privato, dal momento che i treni viaggiano su una rete ferrata moderna ed efficiente, che innerva il centro con i poli periferici. Metropolitana, autobus e un innovativo sistema di bike sharing agevolano gli spostamenti tra le vie principali, consentendo in tal modo di risparmiare in termini di energia ed evitare emissioni di Co2 in atmosfera, a favore quindi della salute dell’uomo. In aggiunta al già alto livello di qualità di vita, dal 2004 è sorto a soli sette km dal centro, accanto al polo universitario e intorno ad una cintura verde che rappresenta un’importante riserva naturale della città, il quartiere residenziale totalmente ecosostenibile di eco-Viikki, concepito secondo le più avanzate regole della pianificazione sostenibile, che include appartamenti ad uso privato, servizi pubblici (una scuola, un centro medicosociale, un ospedale), servizi commerciali e di intrattenimento, il tutto progettato per accogliere 2000 abitanti e incluso in uno spazio complessivo di ben 6.400 m2. I criteri progettuali seguiti mirano tutti alla risoluzione di 4 problemi fondamentali: 1. Riduzione dell’inquinamento 2. Protezione del Pianeta attraverso un uso razionale delle sue risorse, un attento sfruttamento dei combustibili.

3. Salute dei residenti monitorata ed assicurata dal corretto rapporto temperatura-umidità negli ambienti affinchè si riduca il rischio di muffe; controllo del rumore.

4. Valorizzazione della biodiversità tramite scelta accurata degli alberi da piantare in modo da favorire diversi tipi di habitat.

Tutti questi quartieri basano la loro idea concettuale sul fatto di essere quanto più indipendenti dalle fonti d’energia fossile, sia in ordine ai sistemi di condizionamento delle unità abitative, sia anche a livello urbanistico per ciò che concerne l’organizzazione degli spazi pubblici, quasi sempre concepiti per dare maggior rilievo alla pedonalizzazione o comunque per affrancare il cittadino dall’uso del mezzo privato, a vantaggio dell’uso dei sistemi di trasporto pubblico. Relativamente alla mobilità urbana, questi rappresenta uno dei maggiori pilastri della strategia comune europea in tema di sostenibilità ambientale nei luoghi antropizzati. É condiviso oggi dalla maggioranza dei cittadini la percezione del traffico inteso come uno dei maggiori fattori che incidono negativamente sulla qualità di vita nelle aree urbane, sia per i numerosi e gravi impatti sulla salute e sull’ambiente, ma anche e sopratutto sull’economia, oggi più che mai caratterizzata dalla crisi.

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4.2.1 In Italia In Italia, relativamente alle opere di riqualificazione urbana che avvengono nelle città europee, succede ancora ben poco o nulla. Solo Bologna, tra le maggiori città italiane, si distinge negli ultimi anni per le innovazioni e le soluzioni utili a fronteggiare problematiche urbane e sociali, sviluppando tecnologie di monitoraggio che ha messo al servizio dei cittadini. Per tale ragione la società Between, che sviluppa energie e progetti nel campo delle innovazioni tecnologiche, ha premiato la città padana quale migliore smart city. Le motivazioni sono da ricercare nell’utilizzo di monitoraggio delle infrastrutture della mobilità integrandole con tecnologie digitali e ai servizi di banda larga. La scelta di utilizzare sistemi di illuminazione pubblica a led e regolatori di flusso, grazie ad una rete di teleriscaldamento della città che monitorano anche i pannelli fotovoltaici installati negli edifici pubblici, ha fatto si che i cittadini potessero scegliere le modalità di trasporto più idonee o comunque alternative all’uso del mezzo privato: quindi car-sharing, bike-sharing e car-pooling.

Tutto ciò è stato, naturalmente, reso possibile grazie all’adozione di piani e programmi che puntualmente sono stati rispettati. Si cita, in tal senso, il Piano Energetico Comunale di Bologna, uno strumento di pianificazione energetica che è distribuito in ben 16 distinti ambiti urbani. Con questo strumento, il piano consente di monitorare: • il risparmio degli edifici; • lo sviluppo di fonti rinnovabili, solare, termico e fotovoltaico; • Il risparmio elettrico; • Il risparmio nel settore dei trasporti.

Relativamente al settore dei trasporti, il Piano Generale del Traffico Urbano (PGTU) del 2007, è volto proprio all’ottenimento di una maggiore sicurezza stradale, di potenziare il trasporto pubblico e, sopratutto, di ridurre l’inquinamento atmosferico e acustico. Ma al di là di questo caso isolato, molto si parla ma poco si costruisce.

Se di rinnovamento urbano si deve parlare, ciò avviene solo e soltanto grazie all’opera di riammodernamento societario e tecnologico messo in atto dalle Ferrovie delo Stato Italiane, grazie alla costruzione del network Alta Velocità - Alta Capacità. In Italia, FSI è probabilmente l’attore principale, se non il solo, in grado di attuare una politica organica di riciclaggio delle strutture urbane, conferendo loro una nuova identità grazie alla restituzione di aree urbane centrali, non più interessate dall’esercizio ferroviario.

2. Il rinnovamento urbano

Il Network AV/AC di Ferrovie dello Stato è il progetto infrastrutturale più innovativo realizzato in Italia dal dopoguerra ed è una grande occasione di sviluppo per il Paese, un’occasione importante per riflettere sui temi dell’Unità e dell’Identità Nazionale. Le reti servono le città, l’Europa è l’Europa delle città (le opportunità sono concentrate nei grandi centri, il livello metropolitano fa nascere più rapidamente l’innovazione). E le nuove stazioni AV guardano al futuro, sono state studiate per essere un punto di aggregazione moderno, veri e propri poli urbani che ridisegnano il profilo delle città. Con l’AV si ricompatta l’Italia e si offrono servizi di altissimo livello alle grandi e medie città della dorsale, aumentandone l’attrattività anche all’estero. (Moretti, 2011).

In tal senso, l’opera di riammodernamento industriale delle Ferrovie e il Network AV/AC, la cui esistenza è di fatto entrata nelle abitudini del vivere quotidiano, sta di fatto attuando la nascita di un nuovo modo di vivere il rapporto tra residenza e luogo di lavoro, essendo diventata ciascuna stazione AV/AC una sorta di terminale di stazione metropolitana.

In Italia gli effetti dell’Alta Velocità sugli spazi dell’abitare sono già evidenti. L’entrata in funzione delle prime tratte sul corridoio I sta cambiando la domanda insediativa, i valori delle rendite urbane, le forme delle città e gli stili di vita. Alcune tratte, come per esempio la Napoli-Roma, la Roma-Firenze e soprattutto la Bologna-Firenze e la Milano-Torino funzionano ormai con le frequenze e con l’utenza di un trasporto urbano. Lungo le dorsali tirrenica e padana si può scegliere.

La Nuova Metropolitana d’Italia e il Cambiamento nelle città. di vivere e lavorare in luoghi diversi e lontani secondo le proprie convenienze, utilizzando comodamente il treno per spostamenti considerati insostenibili fino a ieri. L’offerta di residenze a costi competitivi a Torino ai cittadini o ai city users milanesi, la pendolarità Napoli-Roma sempre più intensa, la riorganizzazione del sistema dei trasporti vallivi in Trentino in funzione dei nodi AV e le politiche di valorizzazione immobiliare delle aree ferroviarie dismesse lungo i tracciati dell’Alta Velocità sono solo alcuni dei sintomi più evidenti di questo fenomeno. (Ricci, 2011).

In tal senso, vale la pena di segnalare l’azione di recupero delle aree ferroviarie dismesse e il loro relativo impatto urbano delle politiche per la mobilità, tema che, come vedremo riguarda praticamente tutte quelle città italiane attraversate dalla ferrovia.

Si precisa altresì che, rispetto al generale tema del riuso delle aree industriale dismesse o da dismettere, quelle della ferrovia hanno un significato particolare dal momento che queste sono quasi sempre collocate a ridosso delle stazioni, luogo strategico che consente loro di coagulare e coordinare due necessità importanti: la riorganizzazione urbana e la mobilità, o altrimenti l’azione dei sistemi di mobilità sulla riorganizzazione delle città.

Le Ferrovie, quindi, a partire dal riuso delle sue aree da dismettere, propone di coniugare il rinnovamento territoriale e urbano, sentito particolarmente da tutte le maggiori città italiane con la necessità di dismettere alcune aree non più necessarie, in

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

funzione della ristrutturazione industriale; ciò, poiché molti degli asset hanno esaurito la loro ragione funzionale, per ragioni connesse alla delocalizzazione degli impianti merci, alla necessità di chiudere parecchi impianti di manutenzione e, anche, perché è cambiata la logica che regolava il meccanismo degli impianti di stoccaggio, cioè dei cosiddetti impianti di approvvigionamento. Così succede a Milano, città nella quale le Ferrovie dialogano con l’amministrazione, per definire l’ipotesi di utilizzare il riuso delle aree ferroviarie (pari ad una superficie di 1.300.000 mq) localizzati nelle zone centrali delle città, e in prossimità e in collegamento con le stazioni. Succede a Roma, la prima grande città in cui si sono avviati i grandi progetti, sono stati completati Trastevere, Stazione Ostiense, Stazione Termini e, in fase di completamento, Stazione Tiburtina. Succede con le stesse modalità in tutte le maggiori città italiane. L’altro fatto che costituisce una ventata di rinnovamento nell’immagine urbana, guidata da FSI, riguarda la mole di concorsi internazionali di progettazione promossi per il rinnovamento delle stazioni dell’Alta Velocità.

La stazione di Firenze Belfiore progettata da Norman Foster & Arup. La stazione Roma Tiburtina progettata da Paolo Desideri. La stazione di Torino Porta Susa progettata da Arep-d’Ascia, Magnaghi. La stazione di Napoli-Afragola progettata da Zaha Hadid. La stazione Bologna Centrale progettata da Arata Isozaki. Infine la stazioni di Reggio Emilia progettata da Santiago Calatrava. Il dialogo tra città italiane e ferrovie è tutt’ora aperto e ancora tutto da sviluppare per ciò che attiene la tematica del riposizionamento dei territori attraversati dall’AV.

La Stazione AV di Napoli - Afragola progettata da Zaha Hadid

2. Il rinnovamento urbano

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La Stazione AV di Firenze - Belfiore progettata da Norman Foster & Arup.

La Stazione AV di Torino Porta Susa progettata da Arep-Dâ&#x20AC;&#x2122;Ascia.

La Stazione AV di Reggio Emilia progettata da Santiago Calatrava.

La Stazione AV di Roba Tiburtina progettata da Paolo Desideri.

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4. Esperienze di pianificazione urbana per lâ&#x20AC;&#x2122;interazione tra i sistemi della mobilitĂ e del verde in ambito urbano

3. Le città e le interazioni tra mobilità e verde

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4.3.1 Calgary

La rete dei corridoi della mobilità gia esistenti possono essere progettati per ospitare elementi di vegetazione capaci di connettere gli Habitat circostanti il centro abitato.

Tra le città che si sono distinte nel mondo per l’impegno profuso nel sostenere i valori della sostenibilità ambientale, figura ai primi posti Calgary, la città più grande della provincia canadese dell’Alberta. É ubicata a sud della provincia, in una regione caratterizzata da colline e altopiani, distanti pochi chilometri dalle Montagne Rocciose, ad Est. Terza città del Canada, Calgary è il polo principale della conurbazione dell’Alberta che ha nella capitale Edmonton l’altro terminale. Tale conurbazione metropolitana che si espande lungo tutto il sistema delle Praterie canadesi, rappresenta il contingente più popoloso tra Toronto e Vancouver.

Sbalzata agli onori della cronaca per aver ospitato la quindicesima edizione dei giochi olimpici invernali del 1988, da allora Calgary ha visto accrescere la sua vocazione per l’ecoturismo e gli sport invernali. Calgary essendo specializzata nell’industria petrolifera, rappresenta ovviamente l’economia cittadina più prospera del Canada, con in più un settore agricolo particolarmente redditizio e industrie d’alta tecnologia in crescita.

Dal giugno del 2000, il Comune è impegnato a far rispettare i dettami contenuti nell’Energy Efficiency and Climate Change Project Report, il documento programmatico sul cambio climatico. Le tappe successive sono state nel 2002, con l’approvazione del piano d’azione per l’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica; nel 2003 con l’approvazione dell’impegno da parte del Comune di abbattere le emissioni provenienti dall’ente stesso; dal 2004 Calgary è membro del +30 Network, una rete di città e regioni impegante sulla qualità di vita il cui scopo è di promuovere la sostenibiltà urbana sulla base della condivisione di esperienze, capacità ed informazioni per la formazione di piani a lungo termine (100 anni) il cui scopo è l’aumento della resilienza urbana, cioè della capacità di aumentare l’adattamento agli eventi climatici, integrando benessere economico, ecologico e sociale. Tutto ciò per garantire un’elevata qualità di vita alle generazioni future; nel 2005, quindi, con la decisione di basare i suoi consumi elettrici per il 75% da green power (eolico in primis) e di abbattere del 50% le emissioni rispetto ai rilevamenti presi nel 1990. In questa sequenza temporale appena enunciata ci sono quindi tutti gli elementi o ingredienti che rappresentano il futuro della pianificazione urbana d’ultima generazione: Visione del futuro, capacità di creare network con altre realtà urbane, lavoro sulla resilienza, decisioni sul questioni inerenti il cambio climatico, impegni presi con la cittadinanza per assicurare un futuro più sostenibile alle generazioni future, quindi prospettive

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4.3 Le città e le interazioni tra mobilità e verde

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4. Esperienze di pianificazione urbana per l’interazione tra i sistemi della mobilità e del verde in ambito urbano

di scommettere sull’economia del paese a patto che ci si impegni ad assumere azioni sostenibili dal punto di vista ambientale.

Naturalmente, le green infrastructures riguardano aspetti della città inerenti all’intero ambito urbano, quindi dagli edifici nelle sue componenti più rilevanti per ciò che concerne il risparmio energetico e le Isole di Calore Urbano (Coperture e facciate degli edifici), ai materiali utilizzati nelle pavimentazioni stradali con lo scopo di attenuare l’assorbimento di calore per effetto dell’irraggiamento solare, all’utilizzo di mezzi di locomozione più energeticamente sostenibili.

Masterplan della città di Calgary.

Si nota la gerarchizzazione delle strade in funzione, sia della posizione rispetto al centro abitato, strade di attraversamento, atrerie principali, strade urbane, strade di quartiere, strade di connessione di parchi, strade industriali. Ciascuna di queste strade è caratterizzata da specifiche velocità di percorrenza e di utilizzo (veicolare, pedonale, ciclistica, ecc). Inoltre il piano prevede specifici indirizzi di intervento in relazione della geometria delle strade stesse.

3. Le città e le interazioni tra mobilità e verde

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NYC Green Infrastructure 2013 Annual Report Bill de Blasio Mayor Emily Lloyd Commissioner

Il Report annuale del Piano delle Infrastruture di New York, attivo dal 2010. Come si vede dalle immagini sopra, non tutta la superficie urbana è interessata dal Piano ma

Altro caso interessante riguarda quello dell’attività del New York City Department of Environmental Protection (DEP) e in particolare del suo Green Infrastructure Program che sta cambiando in modo deciso e sostanziale il volto della città. Vale la pena dare un’occhiata al Report Annuale relativo al 2013 per rendersi conto di quanto incisivi siano gli sforzi profusi dall’amministrazione per rendere la città di New York sostenibile. Tutta l’azione d’intervento si basa sulla gestione delle acque già a partire dal 2010, allorquando il DEP ha iniziato il programma di potenziamento delle Infrastrutture verdi, finalizzato alla gestione delle piogge di laminazione derivate dai temporali che, inevitabilmente finivano per innestarsi all’interno della rete fognaria, creando non poche preoccupazioni per la salute pubblica. La scelta di investire nel potenziamento della rete di infrastrutture verdi assume per il DEP il significato di apportare benefici alla collettività, migliorando la qualità dell’aria, aumentando la superficie ombrosa delle strade e abbassando la temperatura urbana specialmente nel corso della stagione estiva. Oltretutto, la valorizzazione della città in chiave estetica contribuisce alla qualificazione dei quartieri per la crescita delle opportunità di lavoro. Si è infatti calcolato che, la città mira ad ottenere l’ambizioso traguardo di ridurre i costi della depurazione delle acque di 2,4 Mld$ nell’arco di appena 20 anni e a contribuire al risparmio di 7,5 miliardi di litri di combustibile entro il 2030 per un valore di 1,5 Mld$. Inoltre, queste le cifre riportate all’interno del documento, si stima un risparmio di 23.000 $/a in energia, emissioni e qualità dell’aria e un aumento di 11.600 $ dei valori immobiliari per ogni ettaro aggiuntivo di IV urbane.

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4.3.2 New York

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4. Esperienze di pianificazione urbana per lâ&#x20AC;&#x2122;interazione tra i sistemi della mobilitĂ e del verde in ambito urbano

5. Barcellona

Il caso studio: la Città di Barcellona 5.1. La città e i suoi progetti

La Ciudad emmuraillada. inizio XIX sec.

Storia, geografia e autonomismo: tre aspetti che da sempre, già dal 1300, pone Barcellona ad essere al centro dei traffici nel Mar mediterraneo. Ma anche Barcellona e la Cataluña: due distinte entità che nel corso della loro storia hanno intrecciato le loro vicende politiche e sociali tra loro e il cui coordinamento politico e istituzionale da parte della Generalitat, dell’Area Metropolitana e dell’Ayundamiento, incoraggiato da una classe imprenditoriale colta e lungimirante, ha saputo dare alla luce, immediatamente dopo alla morte di Franco (1892-1975), a uno sviluppo territoriale con importantissime ricadute positive, tanto alla scala nazionale che a quella locale.

Si è assistito così, nell’arco di appena trenta anni, ad un fortissimo impulso alla crescita economica e culturale grazie alla realizzazione di un potente sistema di infrastrutture che ha portato Barcellona ad essere tra le realtà urbana più prestigiosa e attrattiva dell’intero bacino del Mediterraneo e, allo stesso tempo, competitiva con Rotterdam, che pone le ragioni della sua forza economica nella costa atlantica.

Ma Barcellona è anche cultura che diviene voglia di città. Non si può scindere la sua immagine dalla figura iconica di Antoni Gaudì architetto e dal suo simbolo che è la Sagrada Familia. Dal prestigio europeo dato dal surrealismo di Salvador Dalì. Dalla produzione pittorica di Mirò, oggi così intimamente connessa a quel gran volano culturale, architettonico ed economico che sono state le Olimpiadi del 1992.

E ancora, Barcellona è Idelfonso Cerdà i Sunyer: le vicende architettoniche che anticiparono le Olimpiadi del ‘92 e che contribuirono alla formazione del cosidetto “Modello Barcellona” ha certamente origine allorquando, nel 1859, si diede avvio a quella immensa operazione urbanistica denominata Projetco de reforma i Eixample de Barcelona (progetto di riforma e ampliamento di Barcellona). La Ciudad Vella versava in una situazione di sovraffollamento e densità abitative (lo è ancora oggi) davvero preoccupanti e derivate dal fatto che già a partire dagli anni ‘30 del XIX secolo trovò sede in Carrer de Tallers la prima indu-

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Esperienze di interazione e casi studio tra forme della mobilità e del verde in ambiente urbano

stria a vapore specializzata nella lavorazione del cotone. Episodio questo che non mancò, così come avvenuto in altri distretti industriali in Europa, di attrarre ingenti masse di popolazione dalle campagne circostanti dando, così, vita ad un boom demografico al quale bisognava contrapporre adeguate soluzioni. Del grande Progetto di Riforma previsto, per fortuna non furono realizzate le opere che prevedevano lo sventramento della Ciudad Vella ad opera di tre Grandes Vìas, una delle quali rappresentato dall’attuale Via Laietana realizzata nel 1913 ad opera del Plan Baixeras del 1892. Il progetto di Cerdà, semplice quanto efficace, urbanizzò la campagna con il suo impianto a scacchiera costituito da strade di 20 metri di larghezza e isolati quadrati di 113,3 metri per lato, orientati a 45° rispetto al nord. Nel suo progetto originario, ciascuna manzana avrebbe dovuto essere costituito per il 50% da edifici non più alti di due piani e spazi interni alla stessa adibiti a giardini. L’estesa maglia ortogonale era poi tagliata dai grandi assi viari larghi 60-80 metri della Gran Vía de les Corts Catalanes, parallela al mare, la Avenida Meridiana perpendicolare all’altro grande asse della Diagonal e infine il Parallel che corre tra Montjuic e il centro antico da esso lambito, attraversando i Barrios di Sant Antoni e di Poble Sec. Il progetto di reforma, previsto da Cerdà, non fu realizzato del tutto: questi prevedeva anche lo sventramento della Ciutat Vella ad opera di

Idelfonso Cerdà (1815-1876)

Idelfonso Cerdà, Projecte de Reforma i Eixample de Barcelona, 1859

5. Barcellona

Il Projecte de Reforma della Ciutat Vella, non realizzato.

Evoluzione cronologica dei processi di trasformazione che hanno interessato le manzanas.

tre grandes vias: ad est del centro storico la via “A”, che aveva lo scopo di collegare l’Eixample con il mare; la via “B”, che attraversava il quartiere del Raval longitudinalmente; infine la “C”, che avrebbe sventrato trasversalmente tutta la città antica. Di questi tre assi, oggi si trova riscontro nella prima, divenuta in seguito la Via Laietana ad opera del Plan Baixeras nel 1913.

Questo modello urbano, malgrado conservi ancora oggi la sua perfetta funzionalità ed efficacia, data dalla trama viaria e dalla forma degli isolati (manzanas) che nei fatti ne costituiscono il punto di forza, tuttavia è stata da subito messa in discussione con critiche che provenivano, sia dagli interessi privati che tendevano ad interpretare in chiave personale la disponibilità di spazio che stava dentro a ciascun isolato, sia anche da generazioni di urbanisti e pianificatori che, a più riprese hanno tentato (senza riuscirvi) di reinterpretare il disegno della maglia cerdaniana. Allo stato attuale risulta essere in crisi per i fenomeni di densificazione spontanea determinati dalla pressione della rendita immobiliare che ha prediletto, per ogni isolato, il modello della corte chiusa e ignorando del tutto le originarie disposizioni geometriche previste per un isolato aperto. Si è così assistito alla mancata realizzazione di molti servizi e aree verdi così come concepito in origine, cioé quello di un isolato (manzana) costruito solo in due lati e servizi a verde pari ad almeno il 65% della superficie totale. Già a partire dalla fine dell’800, infatti, la superficie edificabile era consentita fino al 70% e l’edificabilità consentita in tutte e quattro i lati. Relativamente alla superficie interna di ogni manzana, i 16 metri iniziali furono portati a 24 metri e le altezze pari a 7 piani sopra il livello di terra. Infine, rendendo edificabile il cortile interno per un’altezza consentita non superiore a 4,5 mt, si è passati dai 977 ab/isolato del periodo 1890-1940, ai 3087 ad/isolato del 1953.

Francesc Magrinyà sostiene che alla data odierna, il modello di Cerdà conserva intatta la forza e malleabilità di quel piano che nel 1859 non rappresentò soltanto un salto di scala, dalla città murata verso il territorio di Barcellona, ma anche un salto di qualità del modo di concepire l’urbanistica, cioè a dire un nuovo passo da una prospettiva di antico regime verso uno scenario

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positivista e modernizzatore. Conservò intatta anche la sua forza e malleabilità anche nel 1931, allorquando Francesc Macià, allora segretario del partito indipendentista di sinistra vincitore alle elezioni, proclamava la Repubblica indipendente della Catalogna. Nel 1939 si era formato il GATCPAC (Grup d’Arquitectes i Tècnics Catalans per al Progrés de l’Arquitectura Contemporània), un gruppo d’avanguardia architettonica moderna, con il quale Le Corbusier ideò un piano urbanistico per la città che il gruppo di lavoro chiamò Plan Macià, in suo onore per la morte che sopravvenne lo stesso anno. Secondo il Plan Macià, la città sarebbe stata divisa in cinque zone funzional: zona di produzione, di abitazione, zona di riposo, centro civico e sistema del traffico e circolazione. Non furono previsti sventramenti ad opera di grandi assi di attraversamento, tuttavia il centro storico avrebbe dovuto accogliere, non senza drastici sconvolgimenti del tessuto, il centro civico, dotato dei principali edifici pubblici e sedi amministrative: scuole, musei, biblioteche e sedi dei sindacati.

Parte del mare sarebbe stato colmato, ridisegnando la linea del porto e prevedendo nel fronte a mare tre imponenti grattacieli a forma di “Y”. Infine, e qui sta la novità della reinterpretazione della maglia cerdaniana, fu previsto l’ampliamento dell’Eixample ipotizzando nuovi quartieri residenziali sul modello di “Superilles”, ovvero Supermanzanas con maglia di 400 per 400 metri.

5. Barcellona

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Sopra: Le Corbusier, GACTPAC, Plan Macià, 1934 Pagina a fianco: Il Plan Macià. Si notano la suddivisione della città in cinque aree funzionali, il modello delle “Superilles” e, sotto, il progetto di sistemazione territoriale.

Plà General Metropolità, 1976.

Oggi, il testimone del messaggio rivoluzionario di Cerdà può essere raccolto in relazione al tentativo di superare il Piano Generale Metropolitano di Barcellona, realizzato da Albert Serratosa nel 1976 che, attualmente, comprende 28 municipalità, per una superfificie complessivamente pari a circa 476km² e con una popolazione di circa 3.1 milioni di abitanti. Magrinyà rileva che, dalla data di nascita del PGM a oggi sono cambiate tantissime condizioni che ne avevano ispirato la redazione, ragion per cui è ragionevole avanzare l’ipotesi di un superamento del paradigma tecnocratico del PGM stesso, incentrato tutto sulla preoccupazione di come risolvere la crescita della seconda corona urbana.

I tempi sono maturi per passare dalle attuali logiche del PGM, verso quelle comprendenti matrici di tipo ecologiche, fondate sulla relazione tra reti e che ragionano più sul recupero dei sistemi urbani esistenti del primo anello (Magrinyà, 2009).

Barcellona è una città che come poche al mondo ha nel suo DNA la capacità di rigenerarsi e di mettersi in discussione con continui progetti di rigenerazione urbana e di rinnovamento eco-

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nomico e sociale. In Europa, con Barcellona si annovera il caso di Berlino come esempio nel quale il rinnovamento architettonico si è intrecciato a processi di trasformazione urbana promossa da un’elite locale che ha voluto scommettere, riuscendovi, su un singolo evento: l’IBA di Berlino nel 1987 e le Olimpiadi di Barcellona nel 1992, come occasione strategica di rinnovamento economico, sociale e urbanistico. Nel caso specifico di Barcellona, è da segnalare la continuità espressa dalla volontà di cambiamento e reazione al mutare dei tempi, messa in scena nel corso degli ultimi venti anni e che l’ha elevata a modello su scala mondiale. Esaurita la spinta dei Giochi Olimpici del 1992 e del Forum delle Culture 2004, Barcellona ancora una volta nella sua storia si appresta a cambiar pelle con interventi urbani e con progetti a lunga scadenza tutt’ora in fase di realizzazione e che ne rafforzeranno il ruolo in Europa di Capitale delle innovazioni e del rinnovamento urbano incentrato sui temi della sostenibilità urbana. Numerose iniziative sono in atto a Barcellona, ognuna delle quali fornirà un contributo determinante all’ambiente urbano. Tra queste, meritano menzione particolare tre progetti che, in qualche modo, riescono a coniugare gli aspetti della mobilità a quelli del verde e, più in generale, della sostenibilità ambientale.

Si parla, nella fattispecie, del progetto di Barcellona ecologica promossa da BCNecologia Urbana, volto a strutturare la città

Barcellona ecologica

In alto: mobilità sostenibile di Vitoria Gasteiz In basso: il quartiere della Ribera, primo esperimento di supermanzana applicato con successo.

5. Barcellona

considerandola alla stessa stregua di un vero e proprio ecosistema; del progetto de La Sagrera, un imponente opera di ammodernamento infrastrutturale che darà un serio impulso alla mobilità intermodale della Ciudad Condal; del Pla 22@bcn, localizzato nel barrio di PobleNou e finalizzato a rendere integralmente autosufficente il quartiere dal punto di vista energetico.

Attorno a questi tre progetti ruota praticamente l’asse identitario della Barcellona del futuro per ciò che concerne i temi della Mobilità sostenibile, del verde urbano e di come questi due aspetti si intreccino tra loro per dar vita ad una vera e propria infrastruttura ecologica, anche in nome dei dettami imposti dalla UE per ciò che concerne la lotta alla crisi economica e l’adesione verso un uso ed una gestione più sostenibile delle città.

In alto: Les Rambles, Rambla de Canaletes.

In basso: mobilità pedonale nella Ciudad Vella Modello della città sostenibile implementato da BCNecologia Urbana

Il modello urbano che sta alla base di BCNecologia urbana è quello della città compatta, nella sua forma, complessa nella sua organizzazione, metabolicamente efficiente e caratterizzata da coesione sociale. Allo stesso tempo, la città compatta consente di risparmiare suolo o contenere il suo spreco, risparmia energia e risorse materiali e contribuisce alla conservazione dei sistemi agricoli e naturali.

La città diffusa e la città compatta

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Esperienze di interazione e casi studio tra forme della mobilità e del verde in ambiente urbano

BCNecologia urbana, è un consorzio pubblico sorto dall’unione dell’Ayuntamiento, dell’Area Metropolitana e della Diputació di Barcellona, sorto con la finalità di realizzare progetti destinati alle istituzioni pubbliche, alle fondazioni e alle imprese. Tuttavia, prima di passare in rassegna i progetti, davvero notevoli per la portata rivoluzionaria in nuce, è doveroso esaminare il contesto ideologico che permea gli stessi. La mission di BCNecologia consiste nel proporre soluzioni volte ad orientare la gestione delle città verso una maggiore sostenibilità in merito alle tematiche della mobilità, dell’energia, della gestione dei rifiuti, della pianificazione urbana, dell’acqua, della biodiversità e della coesione sociale. Il raggiungimento di tali obiettivi presuppone un ragionamento sul contesto, sull’efficenza del sistema urbano e sull’abitabilità dello stesso (relazioni tra abitabilità e spazio pubblico, tra abitabilità e servizi basici presenti in città, abitabilità ed edificato, abitabilità e coesione sociale e, infine, abitabilità e biodiversità). Naturalmente, affinché le tematiche prima menzionate possano essere individuate al fine di validare il modello di urbanismo ecologico, BCNecologia ha proposto un modello di indicatori e fattori condizionanti, senza i quali è praticamente impossibile mettere in pratica l’idea stessa che è alla base della filosofia dell’Agenzia. Lo scopo dell’utilizzo degli indicatori consiste nel cercare di adeguare l’attuale pianificazione urbana ad

Pagina a fianco: un dettaglio dell’Eixample attuale e sotto così come immaginato da BCN Ecologia Urbana. Sotto gli schemi spiegano nel dettaglio i cambiamenti delle funzioni indotte dall’utilizzo della maglia 400 per 400.

In basso: L’Urbanistica dei tre livelli, così come concepita da BCN Ecologia Urbana

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un modello di città compatta, complessa, socialmente coesa ed efficente, posto che la città dispersa rappresenti di converso un modello urbano non più sostenibile dal punto di vista economico, energetico e ambientale. Il complesso di indicatori si articola in sette gruppi: 1. occupazione del suolo, 2. Spazio pubblico, 3. Mobilità, 4. Diversità di uso e funzioni urbane, 5. Biodiversità, 6. Metabolismo, 7. Coesione sociale che, a loro volta, vengono raggruppati nei quatto assi, appena menzionati a proposito del modello concettuale urbano: Compattezza (1,2 e 3); Complessità (4 e 5); Efficenza (6); Coesione sociale (7).

Saporiti afferma che “si considera compatto un neoecosistema con una densità di abitanti medio/ alta, intorno ai 250/350 abitanti/ettaro, e con una trama del tessuto continua. Questo carattere, tipico delle città consolidate, fa emergere alcuni caratteri interessanti di discussione: l’occupazione del suolo, la mobilità, la vegetazione, il carattere bioclimatico degli edifici, il consumo di energia e acqua e la coesione sociale” (G. Saporiti et Al. 2012).

La città compatta di Barcellona, la Ciutat Vella, per ciò che concerne la mobilità e la trama viaria è maggiormente organizzata, efficace e contenuta rispetto a quella del Plan Cerdà.

Lo si vede nell’efficacia ed efficenza con cui è possibile un uso più agevolato della intermodalità che, in tal modo, consente l’adozione di sistemi di trasporto pubblico sostenibili (pedona-

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lità, bikesharing, Skateboard...) resa possibile per la diffusione capillare delle zone 30 Km/h. Tutti i progetti messi a punto dall’Agenzia, per la Città di Barcellona, si basano in particolare su due modelli di riorganizzazione urbana basata: a) sul principio di un Urbanismo a tre livelli; b) sul principio dei superisolati (supermanzanas).

L’attuale urbanistica, basa le sue rappresentazioni attraverso un livello bidimensionale volto a descrivere le sole azioni che avvengono nella superficie del terreno, vale a dire solo mediante una semplice azione proiettiva. Di fatto, nel piano urbanistico tutte le variabili di carattere energetico e gestionale non sono rappresentate e perciò non risolti nell’equazione urbana. Certamente, per certi versi ciò può dipendere anche dal fatto che le istanze ecologiche non sono radicate nella ricchezza concettuale di alcuni dei pianificatori. L’urbanistica ecologica basa la sua impostazione sul fatto che proietta non uno ma tre piani con lo stesso dettaglio e la stessa scala come l’attuale piano urbanistico progetta la superficie. L’urbanismo si sviluppa invece su tre livelli (altezza, superficie e sotterraneo).

L’urbanismo diventa “Ecologico” quando passa al vaglio di una serie di restrizioni (vincoli ed indicatori), che regolano il grado di sistemazione di un progetto particolare e anche di un tessuto consolidato, a un modello di città più sostenibile nell’era dell’informazione (Rueda, 2012).

In altezza si gestiscono le problematiche connesse alla biodiversità, all’energia e alla raccolta delle acque; in superficie gli aspetti connessi all’uso e alla funzionalità dello spazio pubblico; nel sottosuolo i servizi, la distribuzione urbana, i parcheggi, la mobilità del trasporto collettivo, il ciclo dell’acqua e la gestione dell’energia. É pertanto ragionevole parlare di tre distinte fasi di progettazione urbanistica: Ovvero, un’urbanistica per le coperture, una per il sottosuolo e infine un’urbanistica per il suolo. Tutte queste tre espressioni di urbanistica sono tra di loro connesse attraverso strumenti di carattere legale, economici e organizzativi adeguati al nuovo statu quo e al modo con cui queste reti di relazioni si accorderanno tra loro.

La Supermanzana è una cellula urbana che consente una più efficente organizzazione per la mobilità e un sostanziale miglioramento per la qualità dello spazio pubblico, di cui la manzana ne costituisce la cellula basica per l’organizzazione dello spazio costruito e degli spazi interstiziali di questa in funzione dei tre livelli di organizzazione interna (Rueda, 2012). Allo stato attuale, l’intero tessuto urbano del Plan cerdà è caratterizzato da una struttura gerarchicamente indifferenziata nella quale più

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MobilitĂ pedonale di Barcellona.

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In alto: situazione attuale, senza la differenziazione gerarchica attuata dalle Supermanzanas.

In basso: situazione con Supermanzanas nella quale si evince la diffusione, quasi capillare, delle strade a totale percorrenza pedonale.

Percentuale di spazio pubblico stradale destinato ai pedoni

41% Attuale

+41%

58% Superisolati

7.470.300 m

2

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del 60% dello spazio pubblico (direttamente o indirettamente) viene riservato alle automobili. Con un’organizzazione urbana basata sul sistema delle supermanzanas, si determina quindi una nuova cellula basica che aggrega a seconda dei casi più manzanas. Nel caso di Barcellona (la metodologia è stata applicata con successo a differenti centri urbani e differenti tipologie di tessuto) la Supermanzana costituisce la regola per l’organizzazione delle reti della mobilità e dello spazio pubblico, delle reti infrastrutturali e dei servizi a questi connessi, della struttura della rete del verde urbano e ancora, come vedremo, delle dotazioni e servizi connessi alla pianificazione dei tre livelli. Dal punto di vista della mobilità, le Supermanzanas sono spazi “area 10” nei quali, cioè, la velocità interna si riduce fino a restringersi a 10 km/h. Ciò perché tutto il traffico veicolare viene spostato all’esterno di queste, mentre all’interno la maglia di strade è riservata esclusivamente alla pedonalizzazione e reti di biciclette, e, naturalmente, al transito dei veicoli privati, nel solo caso dei residenti. Non possono circolare autobus pubblici. A partire da questi due concetti, e cioé a dire, quello dei tre livelli dell’Urbanistica ecologica e l’altro del Superisolato o Supermanzanas, l’Agenzia di ecologia Urbana di Barcellona ha sviluppato il Piano di Mobilità urbana per il quinquennio 2013-2018; il ������������ Piano di Mobilità e Spazio Pubblico del distretto di Gràcia (Barcellona); un Isolato autosufficente nel distretto di ����������������������������� 22@bcn; infine, la rete ortogonale di bus. Ancor prima di esporre le linee programmatiche del Piano della Mobilità Urbana di Barcellona, occorre precisare che si è pervenuto a questo risultato grazie al lavoro transdisciplinare profuso dall’Agenzia di Ecologia Urbana. Hanno, infatti, già in attivo molti casi di successo, tanto a Barcellona quanto in altre realtà urbane. Si segnala in questa sede e tra i tanti ottenuti il successo avuto nel 2012 dalla Città di Vitoria-Gasteiz premiata dall’Unione Europea come Green Capital dell’anno per gli eccellenti risultati ottenuti in materia di qualità di vita e mobilità sostenibile, reso possibile per gli eccellenti lavori sulla “Supermanzana Central” e sul “Plan de Movilidad y Espacio Público”.

Il piano di mobilità Urbana di Barcellona 2013-2018 rappresenta il palinsesto in materia di mobilità per la Città nei prossimi anni, con un evidente approccio in favore della sostenibilità.

Il principale obiettivo del Piano è riuscire ad installare i Superisolati con un livello di saturazione della rete del traffico simile a quella attuale. Sono già stati fatti progetti di suparemanzanas sparsi per la Città, tanto da coprire quasi il 70% del totale e di questi, alcuni sono già stati realizzati. La Ribera, Gràcia, les Corts, Polble Nou, Glories, Escola Industrial sono alcuni di questi. Questo Piano di Mobilità sostenibile arriva quindi come coronamento di un’attività e ingenti investimenti di risorse umane e tecnologie sviluppate in seno all’Agenzia. Il Piano prevede un miglioramento

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I superisolati applicati a tutto il distretto di Gràcia aumentano la percentuale di spazio per i pedoni, a scapito dello spazio stradale.

Altre informazioni → http://bcnecologia.net/ es/proyectos/espacio-publico-movilidad-yaccesibilidad-en-el-distrito-de-gracia

Caratterizzazione dello spazio pubblico, vie, piazze, marciapiedi e strade pedonali in un superisolato (Gràcia) 2004

SUPERISOLATO

La liberazione delle strade interne dei superisolati permette di aumentare lo spazio pubblico destinato allo spazio di permanenza Spazio pedonale (inclusi marciapiedi, piazze e giardini) Spazio della carreggiata

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dei trasporti alternativi (nuova rete ortogonale dei bus, biciclette, corsie VAO, pedoni, ecc...) e l’applicazione di regole restrittive sul veicolo privato: sono state aumentate, ad esempio, le tariffe per i parcheggi o, anche, si è maggiormente diffusa l’istituzione di “zone 10”. Altri obiettivi secondari, ma non per questo meno importanti ai fini del raggiungimento di elevati standard sulla qualità ambientale urbana, saranno l’adempimento dei parametri normativi europei sulla riduzione dei rumori, degli incidenti, e sull’aumento dello spazio stradale destinato ai pedoni. Si pongono inoltre due scenari aggiuntivi: uno nel quale si propone il cambio di senso di marcia di alcune strade principali di Barcellona per ottenere il massimo rendimento della rete stradale, e l’altro che abbia come obiettivo principale il rispetto delle raccomandazioni della OMS in materia di qualità ambientale (piu restrittiva della normativa europea). La tendenza al ribasso che va sperimentando la mobilità nei veicoli privati negli ultimi anni è un elemento che facilita in grande misura gli obiettivi del Piano. Relativamente al Piano di mobilità del distretto di Gràcia, iniziato nel 2004 e concluso nel 2008, il progetto ha proposto un nuovo modello di mobilità sostenibile e di spazio pubblico con l’obiettivo di migliorarne la funzionalità e la qualità urbana del distretto. Questo obiettivo si raggiunge con la ricerca di una città più accessibile per il pedone – che recupera la sua egemonia nello spazio pubblico – e con un incremento dell’uso di mezzi di trasporto più sostenibili. Anche per Gràcia è stata individuato una cellula basica urbana di 400 metri per lato per i flussi motorizzati, che ha consentito di liberare il suo spazio interno per gli usi restanti. A partire dall’individuazione delle supermanzanas si propone una nuova rete di distribuzione cha accoglie i veicoli per dare luogo ad una nuova rete locale, composta da strade interne dove circolano solo residenti, i servizi urbani, le emergenze ed i taxi; questa nuova distribuzione consente di liberare lo spazio pubblico della rete interna dal traffico e recuperarla per altri usi con l’obiettivo generale di impiantare un nuovo modello urbano che incida direttamente sul miglioramento della qualità e dell’ambiente dello spazio pubblico e della mobilità. Tutta questa autentica innovazione, apportata dentro il nuovo modo di intendere la pianificazione urbana, si traduce in una sorta di prototipo che BCNEcologia urbana sta realizzando nel progetto di @22bcn, un distretto energeticamente autonomo. Lo studio, che contiene un’ampia visione dell’autosufficienza, analizza tutti i fattori e gli attori che intervengono in relazione alla tematica dell’energia. In primo luogo si sono valutati le possibilità esistenti di ridurre la domanda energetica dei diversi usi del quartiere e si è visto come questa fosse determinata da tre tipi di fattori: le abitudini degli utenti, la costruzione dei sistemi (fattori passivi) e i gruppi di consumo (fattore attivo). Partendo dall’ottimizzazione

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di questi fattori è stato possible ridurre la domanda in maniera notevole. Infine si è valutato la possibilità di soddisfare la domanda energetica attraverso fonti rinnovabili acquisite nel proprio isolato. È importante considerare che nel distretto 22@bcn attualmente esiste una rete di caldo e freddo, quindi i consumi di acqua calda e di climatizzazione sono risolti, anche se questa energia proviene dall’esterno. Sono state proposte soluzioni alternative per raggiungere l’autosufficienza totale, per esempio con il sistema SCACS, un sistema ideato dalla BNCecologia che permette di coprire il totale della domanda termica sfruttando l’energia solare.

5.1.1 Il sistema della mobilità a Barcellona Il documento di riferimento per comprendere il sistema di mobilità di Barcellona è rappresentato dal Pla de Mobilitat Urbana de Barcelona 2013-2018 (l’equivalente del PUM italiano).

Accanto a questo, l’Ayundamiento ha predisposto anche un Piano d’azione per la riduzione dell’inquinamento approvato nel 2007 dalla Generalitat de Catalunya.

Oltre a questo, possiede anche un piano d’azione per la sicurezza stradale 2013-2018 con l’obiettivo di ridurre del 30% il numero dei morti su strada (concorde alla linea seguita dalla UE di riduzione del 50% per il 2020). L’importanza di questo Piano d’azione risiede nel fatto di essere stato pensato appositamente e dedicato per le fasce maggiormente deboli del sistema della mobilità e, cioè a dire, dei pedoni, dei ciclisti e dei motociclisti.

La linea politica dettata dal Pla de la Mobilitat Urbana è completamente incentrata su una mobilità il meno possibile aggressiva verso l’ambiente e verso i cittadini, maggiormente pianificata, più efficiente, anche in termini di risparmio di risorse, e più rispettosa dell’ambiente. Pertanto, pone per alcune zone della città, quelle maggiormente interessate da fenomeni di inquinmento atmosferico, le cosidette “Zone di Protezione Speciale” (ZPE) per le quali è prevista una diminuizione, pari al 30%, degli inquinanti maggiormante nocivi (NO2 e PM10). Ciò perché, dati alla mano, l’Amministrazione dispone la riduzione del limite divelocità, dall’attuale 120 a 80 km/h, prevedendo di ridure le emissioni atmosferiche e l’inquinamento acustico.

Così come già espresso nei capitoli precedenti a proposito delle misure strategiche adottate dalla Comunità Europea al fine di far fronte al problema della congestione urbana, l’Ayuntamiento di Barcellona intende portare avanti una potente azione di valorizzazione del trasporto pubblico e, parallelamente, una sempre più diffusione capillare di parcheggi sotterranei, di proprietà dell’Ayuntamiento e accessibili ai residenti. In tal modo, si per-

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segue l’obiettivo di liberare le strade dalle autovetture private, limitare i rischi aumentando le misure di sicurezza e salvaguardia e valorizzando lo spazio di percorrenza destinato alle categorie deboli, quali pedoni e ciclisti. Parimenti, la città di Barcellona ha messo in condizione i cittadini, grazie alla facile accessibilità alle informazioni sul proprio sito internet, di poter scegliere il miglior modo per muoversi, potendo questi avere un dato sulla mobilità urbana aggiornato in tempo reale. Ad esempio, tutte le pensiline di attesa della rete dei bus sono dotate di sensori che consentono, ai possessori di uno smartphone, il tempo di attesa reale dell’autovettura in arrivo. Inoltre, anche la possibilità di monitorare costantemente il traffico, i lavori in corso e gli eventi che possono rallentare il traffico, controllare la disponiblità di posti in tempo reale nei parcheggi e, infine, l’informazione sui modi alternativi per spostamenti urbani (es. tempi di percorrenza in auto, in autobus, a piedi e in bici) per poter offrire al cittadino una visione completa prima di operare la scelta del mezzo migliore per compiere un tragitto.

Tutto ciò si traduce in una Barcellona che oggi risulta essere una città godibilissima, pur con tutte le contraddizioni che la città stessa si porta. Il sistema di bike sharing, inaugurato il 22 marzo 2007 con 14 stazioni e appena 200 biciclette, adesso conta 419 stazioni e 6000 biciclette per complessivi 146 km ciclabili.

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La valorizzazione del sistema di mobilità pedonale e ciclabile, è altresì possibile anche grazie al potenziamento del trasporto pubblico, sia quello su ferro (Metro, Tram e Ferrovia) gestite da TMB (Transports Metropolitans de Barcelona) e FGC (Ferrocarrils de la Generalitat), sia quello su gomma. Sette linee di metro, 2 di Ferrovie urbane, sei regionali e altrettante sei di tram, fanno si che muoversi a Barcellona, senza necessità di possedere una macchina è estremamente semplice, oltre che economico.

Relativamente al trasporto su gommato si segnala la novità, messa in atto sempre dalla BCN Ecologia urbana di una rete di bus disegnata sul modello delle Supermanzanas, prima descritte. Cioè a dire che la rete di bus viene aggiornata di pari passo alla creazione dei superisolati suddetti. Quindi, così come si apportano modifiche alla maglia cerdaniana, adesso concepita differenziata da un punto di vista gerarchico, parimenti anche la rete di bus, secondo il nuovo progetto previsto dal Piano della Mobilità sostenibile, sta registrando opportune modifiche.

Il sistema della Supermanzana viene cioè anche utilizzato per formare una griglia di strade che raggiungano ogni angolo della città. Ciò avviene attraverso un processo di gerarchizzazione della rete viaria e imposizione di reti specifiche per ciascuna modalità di trasporto con il fine di pervenire ad un miglioramento della connettività e incremento dell’accessibilità.

Fonte: Ayuntamineto di Barcelona

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Il nuovo sistema di segnalazione a terra della rete di Autobus. Maggiori accessibilità per residenti e turisti alle informazioni per muoversi all’interno dellla città.

L’integrazione della rete di bus con il sistema delle Supermanzanas dovrà, di fatto, aumentare l’accessibilità pedonale diminuendo l’esigenza dello spostamento con il bus; ridurre l’attrito fra trasporto in autobus, veicoli privati e biciclette grazie ai tragitti segregati e specifici per gli autobus; infine pervenire ad un aumento dell’utenza che utilizzano il trasporto pari ad almeno il 50%. La razionalizzazione della rete, già in atto con la messa in funzione delle prime 13 linee comporterà, una volta conclusa, una riduzione delle attuali linee di bus ma una migliore efficenza della stessa: saranno sostituite da 17 linee, verticali, a collegare la montagna con il mare, caratterizzate dalla lettera “V”, numero dispari e di colore verde; 8 linee orizzontali (cioè in direzione dei fiumi Llobregat e Besos), identificate dalla lettera “H”, dal numero pari e di colore azzurro; 3 linee diagonali, che si identificano con la lettera “D”, con numeri 20, 30 e 40 e di colore lilla.

Questa migliore razionalizzazione della rete di bus esistente andrà di pari passo con l’aggiornamento del piano dei semafori intelligenti, ovvero di dispositivi che faciliteranno l’onda verde funzionali ad ampliare la fase di luce verde fintanto che l’autobus non si avvicina. Si prevede che almeno la metà dei residenti potranno raggiungere qualsiasi punto della città in meno di 40 minuti dato che i tragitti rettilinei e il potenziamento tecnologico delle informazioni assicurerà velocità e regolarità delle corse, risparmiando sui tempi d’attesa.

Fonte: Ayuntamineto di Barcelona

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5.1.2 Il sistema del verde a Barcellona Come già detto in precedenza, il Modello Barcelona messo a punto nel 1980 dai socialisti di Narcis Serra (PSC) e dall’assessore all’urbanistica l’architetto Oriol Bohigas, da tre anni Preside della Facoltà di Architettura di Barcellona, consentirà alla città di guadagnare l’investitura per i Giochi Olimpici del 1992. Il Modello, sorto dalle ceneri lasciate nel 1975 con la morte di Franco e la conseguente fine della dittatura spagnola, basava il suo assunto sul fatto che, a causa del regime di ristrettezze economiche si era preferito lavorare sullo sviluppo locale avendo come base il Piano strategico, strumento nato negli Stati Uniti nei primi anni ‘80 e approdato in Europa appena 10 anni dopo. Bisognava “fare città” e per questo occorreva uno strumento flessibile, agile e non, quindi usare uno strumento cogente, quale il Piano Regolatore Generale, tradizionalmente inteso quale strumento per regolare l’espansione urbana e, pertanto, ritenuto con molta lungimiranza uno strumento troppo rigido al fine di affrontare il problema della dismissione delle aree industriali, di trasformare e recuperare la città. Rileva giustamente Ingrosso: «la reconstrucció de Barcelona degli anni ottanta assunse una valenza diversa ma non meno ideologica e simbolica: ricostruire significava riaffermare l’identità di Barcellona capitale socialista della Regione autonoma di Catalogna e superare l’isolamento a cui l’avevano condannata trentasei anni di regime dittatoriale» (Ingrosso, 2011).

A partire da questo contesto appena descritto, dagli anni ‘80 si è, quindi, dato avvio alla riqualificazione urbana e del verde di Barcellona, tutta incentrata al miglioramento delle infrastrutture e, al contempo, alla creazione di spazi pubblici che fossero coerenti: impatti urbani ridotti, primariamente del traffico veicolare, qualità di vita migliorata mediante il potenziamento dei percorsi ciclo/pedonali e delle aree urbane destinate quasi esclusivamente al loisir. La città andava restituita ai cittadini dei barrios che, specialmente negli ultimi anni della dittatura, avevano costituito terreno fertile per la formazione della futura classe dirigente che ora si trovava a governare e rimediare all’arretratezza cui la città era stata confinata da Franco. Si misero in campo tutte le risorse necessarie affinché si potesse pervenire ad un generale miglioramento della qualità spaziale dei barrios, cioè dell’esistente, del costruito. La percezione del verde all’interno della città fu reso possibile grazie al principio di voler rimediare alla carenza degli spazi ad uso collettivo: quindi si sono riordinati, barrio per barrio, le piccole piazze e le strade liberandole dalla congestione del traffico veicolare, si sono recuperate le

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aree dismesse con usi destinati prevalentemente a giardini di quartiere, ai piccoli giardini per l’infanzia diffusi in modo pressoché capillare in tutta la Ciudad Vella. A distanza di quasi trentacinque anni da quella autentica rivoluzione urbanistica, l’incremento del verde di quartiere ha avuto un continuo sviluppo fino ad arricchirsi dei nuovi contributi che frattanto si sviluppavano nelle scienze ecologiche e nelle nuove tecnologie della comunicazione. Oggi Barcellona è un autentico laboratorio per il design urbano, estremamente curato fin nei minimi particolari: dall’arredo urbano, alle variegate pavimentazioni, alle differenti specie arboree che caratterizzano le strade. le piazze, i piccoli giardini d’infanzia, fino ai grandi attraversamenti viari.

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Spazi di collettività che accolgono all’interno piste di skateboard, tavoli di ping-pong, piccoli campi di basket, di bocce e naturalmente ricchi di panchine, tutte uguali tra loro ad uniformare un preciso messaggio di omogeneità urbana. Spazi verdi per il cittadino e al contempo grandi opportunità di movimento per i pedoni e i ciclisti. Le tipologie di verde sono sette, stando al modo in cui queste sono state classificate dall’Ayuntamiento de Barcelona.

1. Parchi ubani (Piazze, spazi aperti, giardini, Parc Central de Nou Barris, Parc del Centre del Poblenou, Parc de Diagonal Mar, Zona de Banys del Fòrum); 2. Parchi lineari (Passeig de sant Joan, Rambla del Carrer A, Can Caralleu, Ronda del Guinardò, Rambla Ciutat d’Asunciòn, Parc lineal de la Gran Via, Parc Lineal Garcia Fària); 3. Parchi e luoghi storici (Plaça de la Vila de Madrid, Parc de Joan Mirò, Cims de Montjuic, Jardì Botànic, Jardins del Teatre Grec, Ampliaciò Parc del Turò del Putget, Bateria antiaèria); 4. Piccoli parchi e giardini (Pou de la Figuera, Parc de la Primavera, Parc del Mirador de Poble Sec, Jardins del Gran Capità, Parc de Teodor Roviralta, Parc de Joan Teventòs, Parc dels Garrofers, Jardins de Can Framis); 5. Orti urbani (Pou de la Figuera, Hort Camì de Torre Melina, Hort urbà de Pedralbes); 6. Piazze (Placeta de Martina Castells, Entorn Colònia Castells, Plaça de les Ceràmiques Vicens, Plaça de la laguna de Lanao, Plaça de Lesseps, Parc TMB de les Cotxeres d’Horta, Canòdrom Meridiana, Plaça dels Jardins d’Elx); 7. Interni di Manzana (Carretera Antiga d’Horta, Entorn Colònia Castells, Interior d’Illa Feliu i Codina, Urbanitzaciò a la Trinitat Nova, Plaça de la Primavera, Plaça del Barò de Viver, Jardins de l’Illa C-2 Fòrum).

I dati sul rinnovamento urbano della città, ottenuto attraverso la riappropriazioine dello spazio e conseguente ruolo pubblico assuno dal verde ci danno numeri certamente importanti. Dall’inizio del 1999 al 2011 sono stati restituiti alla collettività spazi verdi pari a 961935 mq.

5. Barcellona

Anno

Nome

Tipologia

Autore

Est. (mq)

2003 - 2009

Plaça de la Vila de Macrid

Parchi e luoghi storici

BCQ Arquitectes

3240

2009

Placeta de Martina Castells

Piazze

Jaume Arderiu

694,5

2007

Pou de la Figuera

Orti urbani

Greccat Eng.

6105

2011

Passeig de Sant Joan

Parchi lineari

Lola Domenech

31455

2003

Carretera Antiga d’Horta

Interni di isolato

Anna Vidal et al.

400

2006

Parc de Joan Mirò

Parchi e luoghi storici

Beth Galí et al.

18000

2007

Parc de la Primavera

Piccoli parchi e giardini

Patrizia falcone et al.

19530

2009

Parc del Mirador

Piccoli parchi e giardini

Patrizia falcone et al.

28300

2001 - 2009

Cims de Montjuïc

Parchi e luoghi storici

Forgas Arquitectes

55000

2001 - 2008

Jardí Botànic

Parchi e luoghi storici

OAB

14000

2009

Jardins del Teatre Grec

Parchi e luoghi storici

Patrizia falcone et al.

14294,78

2007

Rambla del Carrer A

Parchi lineari

I.I.T.E S.A

45000

2008

Entorns Colònia Castells

Interni di isolato

Bagursa

8580

2006

Plaça de les Ceràmiques Vicens

Interni di isolato

Manuel Ruisànchez

1250

2011

Jardins del Gran Capità

Piccoli parchi e giardini

Gabino Carballo

1033

2008

Hort Camí de Torre Melina

Orti urbani

Bagursa

3508

2008

Hort urbà de Pedralbes

Orti urbani

Patrizia falcone et al.

3770

2007

Parc de Teodor Roviralta

Piccoli parchi e giardini

Espinàs

8655

2011

Ampliació Parc del Turó del Putget

Parchi e luoghi storici

Patrizia falcone et al.

12000

2005

Parc de Joan Reventós

Piccoli parchi e giardini

Bagursa

25000

2006

Can Caralleu

Parchi lineari

Bagursa

9084

2007

Jardins de Maria Baldò

Piccoli parchi e giardini

Espinàs

2530

2010

Plaça de la Laguna de Lanao

Piazze

Patrizia falcone et al.

2010

2009

Plaça de Lesseps

Piazze

Albert Viaplana

43353

2011

Ronda del Guinardó

Parchi lineari

Josè A. Lapeña

51651

2009

Parc dels Garrofers

Piccoli parchi e giardini

Ag. de Promoció del C.

3399

2011

Bateria Antiaèrea

Parchi e luoghi storici

Ag. de Promoció del C.

8900

2007

Parc TMB de les Cotxeres d’Horta

Piccoli parchi e giardini

Coll-Lecrerc Arq.

2007

1999 - 2007

Parc Central de Nou Barris

Parchi urbani

Andreu Arriola

17700

2004

Interior d’Illa Feliu i Codina

Interni di isolato

Manuel Ruisànchez

5040

2009

Urbanització a la Trinitat Nova

Interni di isolato

Bagursa

53132

2011

Plaça de la Primavera

Interni di isolato

Bagursa

19100

2011

Plaça del Baró de Viver

Interni di isolato

Carlos Fuentes Cruz

12111

2011

Rambla Ciutat d’Asunción

Parchi lineari

Residentes del barrio

300

2010

Canodrom Meridiana

Piazze

Barrio el congrès

8158,6

2008

Plaça dels Jardins d’Elx

Piazze

Michel Payà

1384

2009

Jardins de Cav Framis

Piccoli parchi e giardini

Jordi Badia

8654

2007

Parc Lineal de la Gran Via

Parchi lineari

Andreu Arriola

250000

2007

Parc del Centre del Poblenou

Parchi urbani

Fermin Velasquez

55000

2009

Jardins de l’Illa C-2 Fòrum

Interni di isolato

Bagurs

28400

2004

Parc lineal Garcia-Fária

Parchi lineari

Pere Joan Ravettlat

49207

2002

Parc de Diagonal Mar

Parchi urbani

Eric Miralles

14000

2004

Zona de Banys del Fórum

Parchi urbani

Beth Galí et al.

17000

Totale

961935,88

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Esperienze di interazione e casi studio tra forme della mobilità e del verde in ambiente urbano

5.1.3 Interazioni tra mobilità e verde a Barcellona Il piano del verde e della Biodiversità di Barcellona 2020 e il Piano delle Infrastrutture verdi e della Biodiversità 2020, sono i due documenti principali per far comprendere come la città si sta rinnovando in funzione della completa integrazione tra i corridoi della mobilità e la componente del verde, facendo di fatto si che queste due componenti divengano una infrastruttura complessa ed ecologica, capace di dare un carattere dinamico e innovativo alla città catalana. Il senso di tutta questa potente operazione di riammodernamento urbano la spiega con molta lucidità Mosè Ricci quando affida al concetto di “riciclo” il senso più vero e preciso delle azioni di riammodernamento che stanno caratterizzando un po’ tutte le grandi città del mondo, alle prese con i morsi della crisi economica.

Riciclare significa rimettere in circolazione, riutilizzare materiali di scarto, che hanno perso valore e/o significato. E’ una pratica che consente di ridurre gli sprechi, di limitare la presenza dei rifiuti, di abbattere i costi di smaltimento e di contenere quelli di produzione del nuovo. Riciclare vuol dire, in altri termini, creare nuovo valore e nuovo senso. Un altro ciclo è un’altra vita. In questo risiede il contenuto propulsivo del riciclaggio: un’azione ecologica che spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti in figure di spicco.

L’architettura e la città si sono sempre riciclate. Esempi come Spalato, come il Teatro di Marcello a Roma o il Duomo di Siracusa, per citare solo tre degli esempi più chiari, sono manifesti del riciclo. Non si tratta di restauro: l’idea della conservazione tende a imbalsamare l’immagine dello spazio architettonico o urbano attribuendo valore all’immutabile.

Per gli interventi di riciclaggio il cambiamento è il valore, quando riesce a generare figure come quelle che i casi citati hanno saputo esprimere.

L’aspetto innovativo della condizione contemporanea risiede nel considerare strategica questa politica per l’architettura, per la città e per i paesaggi derelitti. Il paradigma del riciclo si contrappone a quelli della nuova costruzione e della demolizione che hanno dominato il periodo della modernità, ma non banalmente. Ciò che interessa in questa sede è guardare solo alle esperienze che attraverso il riciclo producono cultura della città, bellezza e qualità urbana.

La pratica del riciclo degli spazi e dei tessuti urbani è necessariamente contestuale e adattiva. Non si può attuare con tecniche stereotipate o con strumenti tradizionali. Ogni luogo e ogni caso prevedono un progetto diverso.

Mosè Ricci in Recycle Strategie per l’Architettura la Città e il Pianeta, (MAXXI, Roma, Dicembre 2011-Aprile 2012).

Per quanto concerne Barcellona, città che ha patito non poco i morsi della crisi, in occasione di un Workshop Internazionale “Recycling Barcelona”, svoltosi dal 16 al 20 Aprile del 2012, sono stati presentati vari progetti, in accordo allo spirito del workshop L’obiettivo del workshop è stato quello di guidare un processo di

Barcelona green infrastructure and biodiversity plan 2020

BC N

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riqualificazione dei nuovi spazi ad uso pubblico, considerando l’Eixample come un laboratorio urbano per la sperimentazione di pratiche e di politiche pubbliche trasversali di rinnovamento (dal punto di vista della riqualificazione) dei modelli di rigenerazione urbana sperimentati a Barcellona a partire dagli anni Ottanta. In questa occasione, il gruppo di lavoro formato dallo studio di architettura Gausa-Raveau che presentava il progetto MultiRamblas, dall’assessorato all’Ecologia Urbana diretto da Salvador Rueda con il Piano diella Mobilità sostenibile e dal geografo Francesc Munoz, ha elaborato una strategia di riciclaggio del tessuto a isolati del Plan Cerdà, prendendo come avvio o prendendo ispirazione dal Plan Macià elaborato dal gruppo GATPAC-Le Corbusier che, come detto all’inizio del capitolo, fa funzionare lo scorrimento del traffico urbano su una maglia di 400 per 400 mq, invece che come avviene attualmente, senza cioè una differenziazione gerarchica delle rete viaria. All’interno di questa organizzazione, che vede le strade carrabili esterne alle Supermanzanas e quelle interne ad esse completamente pedonali e con viabilità per i residenti non superiore ai 10 km/h, vengono riciclati gli spazi pubblici, le aree verdi, gli orti urbani. Il progetto prevede, quindi, la completa trasformazione dei corridoi della mobilità in assi di attraversamento dell’elemento verde.

Il significato dell’infrastruttura verde, applicato al caso di Barcellona, assume quindi una connotazione assai specifica nella quale, si attua in senso compiuto l’interazione, già riscontrata nel caso di Calgary, tra i corridoi della mobilità e l’elemento del verde, per dare luogo ad un vero e proprio ecosistema in grado di esprimere sia le complesse dinamiche che regolano la biodiversità, sia l’apporto deciso nonchè il contributo che i servizi ecosistemici sapranno restituire alla collettività. L’elemento strada,

Alcuni elaborati nati dalla collaborazione tra lo studio Gausa-Raveau, BCN ecologia Urbana e il geografo Francesc Munoz. Si nota come i corridoi della mobilità vengono gerarchizzati e al contempo viene loro assegnato, oltre al classico compito di veicolare i trasporti, anche quello di veicolare servizi ecosistemici e biodiversità, divenendo questi infrastrutture verdi.

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quindi, non è soltanto la striscia di asfalto utile alla percorrenza del veicolo pubblico ma diviene elemento complesso in grado di veicolare elementi dinamici quali, ad esempio, servizi per la collettività che si traducono, già nell’immediato, i benefici in termini di assorbimento della CO2, metalli pesanti, eliminazione di isole di calore urbano, diminuizione delle fonti sonore.

Come già visto nel capitolo 3.2.3, nel più generale contesto delle infrastrutture verdi (spazi naturali aperti, boschi, coperture degli edifici, pareti rinverdite, giardini urbani, strade alberate, spazi verdi lungo le strade, orti urbani, parchi rbani, spazi fluviali e litorali), a Barcellona l’elemento strada assurge a strumento privilegiato per esprimere i valori ecosistemici. Ed è proprio per questa ragione che, all’interno dell’Ayuntamiento di Barcellona diventa interessante la linea politica perseguita e il lavoro condotto dallo staff BCN Ecologia Urbana diretto da Salvador Rueda y Palenzuela. Staff che si caratterizza per la sua transdisciplinarietà essendo costituito da avvocati, naturalisti, architetti, biologi, fisici, geografi, ingegneri (trasportisti, industriali, e

Elaborati tratti dal Piano delle Infrastrutture verdi e della biodiversità 2020 di Barcellona.

Vengono evidenziati i servizi ecosistemici svolti dagli elementi naturali e il loro grado di interazione con i corpi di fabbrica e il costruito urbano.

Sotto gli attuali brani urbani, di cui è ricchissima Barcellona, in cui è manifesta l’integrazione del verde con la maglia viaria dell’Eixample. Al momento isolati tra loro, il progetto delle Supermanzanas ne prevede la loro interconnessione.

5. Barcellona

L’elaborato sotto mostra i principali corridoi verdi urbani, quattro in tutto, che connettono il Collserola con la città. Si individuano il corridoio CollserolaMontjiuic, il Collserola-Ciutadella, il Collserola-Forum e l’Anello verde inferiore

agronomi), giornalisti,psicologi e chimici. Ciò consente di diagnosticare problemi e cause derivate, predisporre attraverso un potente sistema di softwares sviluppate proprio da loro stessi, proposte, analisi dello stato di fatto e fattibilità dei risultati ottenibili in termini di resa energetica ed ecosistemica. Infine, conferisce anche un documento di certificazione energetica, ponendo le amministrazioni in grado di dialogare direttamente con gli interlocutori della Comunità Europea.

Nel più generale panorama di rinnovamento urbano che caratterizza le principali città nel mondo, alla luce delle emergenze ambientali, energetiche ed economiche, Barcellona è quindi, ancora una volta, laboratorio per sperimentare e reinventare nuove forme nel modo di concepire la città, il suo ruolo tanto nel territorio circostante, quanto nel mondo stesso. All’interno di questa strategia di largo respiro, si colloca uno tra i più innovativi progetti di rinnovamento urbano, il Parco lineare della Sagrera o del Camì Comtal, già in avanzata fase di realizzazione, che conferirà alla Città una precisa identità e, allo stesso tempo, costituirà da esempio per tutte quelle città che vorranno seguirne il suo esempio.

Corridoi verdi urbani I corridoi verdi connettono le aree naturali periferiche con la trama urbana e costituiscono l’infrastruttura ecologica della città annettendo a se gli spazi verdi e potenziale la biodiversità.

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Il Parco lineare della Sagrera. Si tratta della messa a punto di una vera e propria infrastruttura verde nella quale sono coniugati gli aspetti della mobilità intermodale, essendo questa destinata ad essere il nuovo terminal di arrivo dell’AVE (Alta Velocità ferroviaria spagnola), della Sagrera TAV chiamata a diventare la Stazione di Barcellona più importante della Città e dell’intera Cataluña, seguita dalla stazione Sants, della metropolitana e delle linee Bus. Grazie ai processi esecutivi già in fase avanzata che hanno visto l’interramento del sistema ferroviario, il progetto prevede la copertura della superficie da parte di un lunghissimo parco lineare che, in senso verticale, collegherà la montagna con il mare e che sarà percorsa dai pedoni e dai ciclisti, conferendo alla città un’immagine più “slow”; in senso orizzontale, consentirà finalmente la connessione di brani urbani, prima divisi dalla trincea ferroviaria che non ne impossibilitava la comunicazione. L’intero intervento innesca un meccanismo di riqualificazione del vasto lembo di città che va dall’estrema periferia (nodo della Trinitat) fino ai margini del centro storico (nodo di Las Glòries). Tutto ciò si traduce nella realizzazione di un nuovo parco lineare al di sopra della sede dei binari (interrata) e nell’insediamento di una pluralità di funzioni che vanno dal terziario atta residenza e al commercio, approfittando dell’eccezionalità di questa nuova realtà urbana.

5. Barcellona

Il progetto, risultato di un concorso al quale hanno aderito vari professionisti ha visto vincitore lo studio WEST 8, preferito agli altri per la sua logica basata sul fatto di collegare il mare, la città e il suo ambiente naturale. Il nuovo parco lineare La Sagrera o Parc del Camí Comtal rappresenta perciò una nuova visione identitaria di Barcellona, una nuova Barcellona che predilige e invita a godere lentamente la città in quanto si configura come percorso privilegiato per biciclette e pedoni, protagonisti di una città che vuol intraprendere un cammino virtuoso in favore del risparmio energetico e del potenziamento degli elementi vegetazionali; che aggiunge, quindi, biodiversità e rafforza al contempo il concetto di una vision urbana ecologica.

Il Camí Comtal collega, come detto prima, il mare con la montagna, ma vieppiù rafforza l’idea di collegare la natura alla città in quanto si offre come cerniera ideale per collegare la zona pedemontana dei Pirenei catalani alla città attraverso la continuità naturale della valle Besós. Una volta giunti in città, infine, il ciclista o il pedone avrà la possibilità di percorrere con assoluta continuità un percorso ombreggiato che consentirà loro di attraversare differenti paesaggi urbani rapresentati dai quartieri Sant Andreu, Sant Marti, il parco El Clot, i giardini storici della Ciutadella ed infine il mare.

Il parco lineare si propone quale biglietto di benvenuto per tutti quei visitatori che arrivati in città sia in treno che in bicicletta dalle montagna, oppure a piedi o con i mezzi pubblici dalla città, potranno sperimentare i vantaggi di un tappeto verde di benvenuto, che lungo il suo svilupparsi racconta le diverse identità dei barrios.

Elaborati di progetto del Parco linear della Sagrera.

Si notano la portata territoriale dell’intervento che si pone come elemento di connessione tra la montagna e il mare. Il Parco si innesta sia come elemento di riqualificazione urbana, sia di innesto architettonico, sia ancora come possibilità che viene data ai visitatori di accedere alla città direttamente in bicicletta, grazie al servizi di bike sharing offerti dalla stazione stessa.

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5.1.4 Riflessioni a margine L’analisi della storia di Barcellona, unitamente all’esperienza maturata all’interno di BCNecologia urbana, ha consentito di comprendere la coerenza di questa città nel volersi rinnovare e andare incontro al mutamento dei tempi. Lo ha dimostrato con il Plan Cerdà, divenendo modello da imitare per l’urbanistica; lo ha dimostrato nel periodo post-franchista, con gli interessanti processi di rinnovamento urbano che hanno lanciato l’immagine di Barcellona nel mondo, anche grazie alla lungimiranza di una classe imprenditoriale attenta che ha saputo sfruttare e interpretare un evento mondiale quale è stato quello delle Olimpiadi del ‘92; e ancora, lo sta facendo in questi ultimi 15 anni attuando quasi alla lettera le direttive della Comunità Europea contenute nel Libro Bianco del 2011 così come nel Libro Verde del 2007.

Altresì, interpreta e attua i suggerimenti che furono alla base del Protocollo di Kyoto e sottoscritte dalle Nazioni partecipanti, lavorando per il potenziamento della biodiversità, per il rinnovamento urbano e per l’interazione virtuosa tra corridoi della mobilità e verde urbano. Relativamente ai processi di reinterpretazione della maglia cerdaniana, messi in campo da BCN Ecologia Urbana, vanno segnalate anche le voci critiche che vedrebbero nell’adozione della differenza gerarchica un venir meno delle istanze democratiche che, invece, costituiscono il paradigma base del Plan Cerdà stesso. Il sistema urbano, così come concepito da BCN Ecologia urbana andrebbe, cioé, contro quelle che sono le ragioni fondative della Barcellona moderna, attuando discriminazioni tra residenti di “serie A”, relativi a coloro che vivono nelle Supermanzana e residenti di “Serie B”, riferito a coloro i quali non vivrebbero all’interno di queste. Altre critiche sono invece rivolte al modo di intendere la città, affermando che i criteri per la scelta e la formazione del sistema delle Supermanzanas, basato sull’attuazione di indicatori (sostenibilità, funzionalità, complessità, efficienza, sociale, governabilità), oltre che sull’apporto considerevole di processi partecipativi, non terrebbe conto del fatto che la città, come è in effetti, è un fenomeno complesso che poco si presterebbe ad essere determinata per effetto di processi decisionali.

Ad ogni modo, va però anche aggiunto che il lavoro dell’Agenzia non vuole essere esaustivo ma bensì propositivo. La stessa adozione degli indicatori suddetti, supportata da un potente apparato di software specifici che ne interpretano i modelli previsti, vuol essere un aiuto nella pianificazione, gestione e funzionamento della città e mai una soluzione definitiva. Ciò, dal momento che il piano degli indicatori, così come congegnato dall’Agenzia, è uno strumento che permette di fare una sintesi numerica dei molti aspetti che stanno alla base del grado di sostenibilità di

5. Barcellona

una città, restituendo un modello urbano più sostenibile. Perviene alla conclusione che l’idea della Supermanzana può dare un più che valido contributo alla valorizzazione dello spazio pubblico, utile non soltanto alla gente che si muove a piedi ma anche a tutti coloro i quali desiderano vivere la città per ciò che questa può loro offrire. Quindi per i bambini che possono giocare per strada, che vogliono fare una festa, per la gente che è finalmente messa in condizione di intercambiare in senso economico e culturale, per far sport nella più totale libertà di farlo. Cosa che oggi non può accadere dal momento che la maggior parte dello spazio delle strade è occupato dalle macchine private, ragion per cui il pedone (inteso come modalità di trasporto) è costretto a chiedere il diritto di passaggio. BCN Ecologia Urbana, volendo perseguire l’obiettivo di liberare la massima quantità di spazio nelle strade occupata dalle autovetture, vuol quindi restituire la città non tanto al pedone ma al cittadino. La città è dei cittadini e non del pedone. Perchè il cittadino sia messo, quindi, in condizione di vivere la città potendo liberamente giocare, divertirsi, scambiare opinioni culturali, agire economicamente. In questo senso, Barcellona si pone come avanguardia di un nuovo modo di intendere la città nel tempo della contemporaneità.

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La progettazione e il recupero urbano Conversazione con Oriol Bohigas

LR: Creo que Palermo tiene muchas similitudes con Barcelona, no? Y entonces le pregunto, por lo tanto, el rol de administrador y urbanista en la ciudad de Barcelona que tenía mucha problemática en la costa, pero también, como parece, mucho espacio que utilizar. Todavía hoy me parece que hay muchos espacios vacios. ¿Cómo piensa que Barcelona puede evolucionar respecto de la estructura urbana?

Oriol Bohigas

Bohigas: Pues, yo es que creo que las ciudades no evolucionan o evolucionan muy poco, yo creo que preguntar …. cómo será Barcelona en el futuro, yo creo que será más o menos igual, como ahora, con mejoras puntuales. Las ciudades de este tamaño medio que no crecen a grandes velocidades, como las grandes concentraciones del tercer mundo, no cambian mucho de características más bien… lo bueno es que no cambien, lo bueno es que no , yo creo que Barcelona no, le deseo mejorar cosas concretas, le deseo que los paseos que faltan estén bien hechos, le deseo que las zonas vacías y suburbiales se conviertan en centros de ciudad, la verdad pero es que esto es siempre lo que se pide a una ciudad, de manera que yo creo cada vez más que cuando se supone una mejora o una modificación de una ciudad yo siempre la mejoro con la modificación que defiendo es que se parezca cada vez más a una ciudad tradicional.

LR: En este sentido, cuándo usted era administrador y urbanista, la relación ente ocupado y libre en la Barcelona encontrada y proyectada, ¿Cual era esta relación?

Bohigas: No lo sé, ni cuando lo hacíamos no me interesaba mucho esto. Es que a mi estos números tan globales y estadísticos no me parece que son los más adecuados porque yo creo que no se puede hablar de cifras generales, hay que hablar de resultados morfológicos concretos como consecuencia de ver cómo está el panorama, y que hay, y quienes son los propietarios, y que inversión se puede hacer, y que edificio es más bonito ante una perspectiva de una calle que termina con un edificio, es

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Conversazione con Oriol Bohigas

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decir que yo creo que, no me gustan los urbanistas que hacen el urbanismo a partir de porcentaje de ocupación, porcentaje de… habitacional, porcentaje de habitantes. Yo creo que esto es muy secundario, que lo más importante es establecer una forma lógica des del punto de vista de funcionamiento y desde el punto de vista de la estética.

LR: Veo que utiliza el funcionamiento y de la estética, el más importante.

Bohigas: La estética como representación de lo que se quiere decir, no?.

LR: Bien, ya, claro, claro, claro. Bueno. Usted ..

Bohigas: Es por esto que yo estoy en contra de los urbanistas puros, muy urbanistas y poco arquitectos, que siempre hacen descripciones urbanísticas en términos estadísticos, no? Tantos metros cuadrados por, de ocupación, tantos metros cuadrados de, después, no sé, depende, no sé, porque si comparas la de Barcelona con la ciudad de Nueva York los números son muy distintos. Hay zonas que se parecen mucho en cuanto a capacidad social y urbanística, no? De manera que, yo creo que una, una…, por esto yo no soy partidario de los Planes Generales, de esto que se llama Planes Generales de Ordenación, porque son planes de estos básicamente de mentalidad de economista y de ingenieros y que solo dan cifras comparativas que no sirven para nada. Yo lo que quiero son perspectivas, maquetas, cosas que te expliquen como son, como es realmente la ciudad y luego estudiar realmente si esta ciudad, con esta densidad o con estas funciones puede funcionar por la anchura de las calles, por la proporción de calles y de espacio público, etc.

LR: Profesor, usted conoce Palermo?

Bohigas: Si pero he estado me parece que una sola vez, o quizás dos veces, no, no, ahora me acuerdo un poco pero no lo tengo muy presente.

LR: Bueno, porque Palermo es una ciudad del mar pero tenemos la problemática que muchas porciones del mar son privatizadas.

Bohigas: Ya bueno, esto no es el problema de Palermo, es el problema de Italia.

LR: (ríe) Es un problema de Italia, si. En su opinión ¿cómo abordar la relación entre lo público y lo privado?

Bohigas: Yo creo que todo tiene que ser público, yo con lo privado

no creo. Es decir, yo creo que unas ciudades se hacen con el esfuerzo público, con el esfuerzo de los políticos que intervienen, con la voluntad creativa del alcalde, el que manda, el que hace realmente los Planes Generales y por tanto… bueno, no sé, es por este camino por donde…, por que no sé, esto por ejemplo de la… una cosa grave en Italia es la privatización de los frentes de mar, no? La mayor parte de playas de Italia están privatizadas.

Es una cosa que no pasa en casi ningún país del mundo, pero sobre todo que no pasa en España, que es un país mucho más conservador y reaccionario que Italia. Pero en España ya no se supone que una playa puede ser privatizada. Las playas son todas públicas o lo son casi todas menos la que no tienen una funcionalidad clara, no? Claro, yo creo que el primer problema que tiene Italia en las urbanizaciones de las costas es que tiene que pasar a ser todo público, solo con concesiones puntuales.

Porque en España incluso hubo cambios de, … cada vez que viene un gobierno de derechas deja privatizar un poco mas de zona costera, pero cuando las de izquierdas, se vuelve a hacer público o si no todo, parte. Pero incluso ahora que estamos con unos gobiernos de derechas la privatización de la costa está muy limitada.

LR: Muy limitada…. Profesor, en vuestra experiencia, no? ¿Cómo abordaste la problemática de la movilidad por ejemplo, en Salerno con la experiencia con el alcalde De Luca?.

Bohigas: No, con De Luca, … Yo como no soy partidario de los Planes Generales, todas las cosas que hago que se parecen a un plan urbanístico un poco grande, lo divido en partes y cada uno es un proyecto mas que, … y por tanto los problemas, no sé si se resolvieron per se enfocaron siempre a partir del análisis de los espacios pequeños, de ver que ocurre en cada punto.

Yo creo que, por otro lado, tampoco no hay que preocuparse mucho porque como la ciudad con coche es una ciudad que ya se ve que tiene que funcionar mal, pues que funcione un poco peor no es muy importante. Es más importante los problemas de aglutinar grupos sociales, no? Es más importante que una ciudad funcione mal, aunque funcione mal la circulación y el tránsito que funcione bien la imagen de creación de barrios, de lugares representativos, de espacios donde la gente del barrio pueda comunicarse y funcionar colectivamente.

LR: Entonces, las relaciones entre pequeño y grande en la ciudad es, para la urbanística me parece una cosa muy importante, no?

Bohigas: Si, yo creo que también, tampoco hay que exagerar los problemas, porque lo que hay que convencerse es que las ciudades que funcionan bien son siempre ciudades más o

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menos grandes o medianas hechas con la suma de unidades pequeñas. Esto es lo que me parece muy importante, no?

Entender la ciudad como núcleos sucesivos con mucha comunicación entre ellos, pero que cada núcleo tiene un carácter, y una representatividad, y incluso podríamos decir una cultura .

LR: Entonces, la construcción de los espacios urbanos también pequeños pueden dar una contribución muy importante a la construcción de una ciudad.

Bohigas: Claro, es, con esto vas a ver que una ciudad… ¿qué es una ciudad? Una Ciudad es una sucesión de espacios públicos, y por tanto, lo que hay que proyectar en una ciudad, en vez de hacer urbanismo hay que hacer arquitectura de ciudad. Es decir, dibujar, determinar, precisar la forma arquitectónica de los espacios comunes, esto es lo que es propiamente la ciudad.

La arquitectura es un relleno posterior, posterior, que se puede hacer con mucha habilidad y con conformidad con las leyes establecidas en el proyecto urbano o se puede ser, mucho mas bien, contradictorio o revolucionario.

LR: Claro, porque yo me acuerdo cuando estaba usted de administrador de Barcelona, no tenía mucha financiación y por lo tanto se proyectó un planeamiento estratégico, no?

Un planeamiento general, con el planeamiento estratégico, después se construyó todo el espacio pequeño, no? Como una intervención muy puntuales. En este período, en este tiempo nosotros tenemos el mismo problema de falta de financiación, no tenemos mucho dinero, no? Y es ¿Cómo no puede ser también válido ¿ Bohigas: Si, yo creo que cuando hay poco dinero no hay que hacer urbanismo, hay que hacer arquitectura y espacio público proyectado, y todo es con una prioridad, yo decía siempre que, que algunos me decían que esta visión tan práctica a veces abandona o no tiene en cuenta teorías que generales sobre la marcha general de la ciudad. Yo decía que el único tema determinante de la construcción de la ciudad, o del control físico de la ciudad es la posibilidad. Es decir ¿qué es mejor hacer una plaza en Sants o en Hospitalet? Y yo preguntaba, o averiguaba que era más necesario y que era más fácil. La facilidad y la necesidad son más importantes que las ideas urbanísticas del futuro.

LR: Si, es verdad. Hoy Barcelona es una ciudad en crisis, no?

Bueno, como todas las ciudades en el Mediterráneo. Pero es

muy importante también por que el turismo trae la economía, no? Bueno, me parece que Barcelona se está rehaciendo, no?

Con una nueva organización, y por ejemplo ¿Qué piensa usted de los proyectos de la Sagrera, del 22@...?

Bohigas: Yo realmente, des de luego, lo encuentro un gran acierto de teoría general, de detalles, algunas cosas están mejor y otras están peor. Y de la Sagrera debo decir que es un proyecto que conozco muy poco porque ha ido ya como enfocado a través de un grupo de colaboradores del Ayuntamiento, de la Generalitat y ha sido mucho después de mi intervención urbanística de Barcelona, pero yo creo que en general, en general, las líneas maestras de esta intervención de la Sagrera en medio de esta línea de verde lineal que reunirá todos los parques, a mi me parece una buena idea, y que algunas cosas que están realizándose, en este momento tienen buen aspecto, buena intención por lo menos.

LR: SI, Profesor, estamos casi terminando. ¿Usted conoce, y que piensa si conoce, la metodología de la supermanzana elaborada BCN Ecología?

Bohigas: En? LR: Se llama BCN Ecología. Es una agencia pública del Ayuntamiento de Barcelona…

Bohigas:Se llama cómo?

LR: BCN Ecología, B, C, N, Barcelona Ecología…

Bohigas: Y que es esto?

LR: Es una agencia pública que el conjunto del Área Metropolitana, el Ayuntamiento y también, bueno, … de la Generalitat, si? Y estudian las relaciones de la movilidad y ambiente urbano, no?

Y por ejemplo, el Doctor Rueda…

Bohigas: Doctor qué?

LR: Doctor Rueda, Salvador Rueda que es el director…

Bohigas: Ah! Este es el tinglado de Rueda LR: Si, si Bohigas: No sabía que se llamaba así este, bueno.

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LR: Ha hecho un libro que se titula El Urbanismo Ecológico. Es una nueva frontera para entender la ciudad, no? ¿Es probablemente un nuevo modelo para Barcelona o no, para usted?

Bohigas: Depende de lo que entendamos por un modelo, no?

Yo como no creo en los modelos por lo tanto, no, no, creo que el urbanismo se pueda hacer a partir de la prioridad de un determinado modelo porque yo creo que el urbanismo no es una cosa tan general ni tan teórica como para que haya modelos de ciudades de un tipo y ciudades de otro tipo, creo que hay pequeñas variantes, y hay significaciones en un sentido y en otro, pero yo creo que el urbanismo no,… no hay para tanto, para tener tantas teorías sobre como… una calle es siempre igual en todas partes, y lo que hace falta es que sea una calle ecológica o no ecológica, en vivo, .. una calle lo que tiene es una arquitectura que la define y esto es lo, lo, lo... porque esto solo trae en si una adhesión a determinadas tradiciones históricas, que me parece muy bien que se conserven, y que son las que hacen que en la ciudad se pueda vivir en términos sociales adecuados, etc.

LR: Bueno, bueno. Hoy hay muchos problemas porque se entiende que las ciudades son el símbolo de una economía también global, entiende? Entonces, no solo problemática local mas también problemática global, porque la economía es una economía global. Para usted ¿ Qué opina de este aspecto muy singular, el urbanismo es siempre el mismo urbanismo o esta economía puede evolucionar un…?

Bohigas: No, yo creo que la marcha paralela de la economía pues motiva muchas, muchas realizaciones urbanísticas, es decir, un país socialista tiene un urbanismo, un país supercapitalista tiene otro urbanismo, un país integrado en una economía global tiene… y un país, por ejemplo católico es muy distinto de un país protestante. Porque la realidad urbanística no solo es una imagen de la realidad espiritual, teológica, técnica y especialista sino que marca también con su propia figuración arquitectónica, marca también algunos aspectos de la evolución del contenido social. Yo creo que por esto, siempre cuando me preguntan tal ciudad o tal barrio que técnico lo ha hecho, que urbanista, yo siempre le digo que el único urbanista real que hay en una ciudad es el alcalde. Es el político es el que hace la ciudad porque los arquitectos y los ingenieros y los economistas, y los sociólogos y los ecologistas pueden tener cierta habilidad para dibujar una cosa que es la que piden por lo menos los políticos, pero en realidad, el técnico solo tiene la capacidad

de traducir en formas tradicionales unos conceptos que da el político. Lo que pasa es que ha ocurrido muchas veces que el político no da ninguna idea y entonces es el urbanismo este y no ideológico, sin contenidos reales, porque no hay el contenido que tiene que provenir, sin duda, de los partidos políticos, de los grupos políticos que gobiernan la ciudad durante un periodo.

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Conversazione con Oriol Bohigas

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Conversazione con Salvador Rueda Palenzuela

El urbanismo ecologico

Conversazione con Salvador Rueda Palenzuela

LR: ¿Buenas Salvador, la primera de las preguntas es que es para ti la ecología urbana?

Salvador Rueda Palenzuela

Rueda: Muy Bien. La ecología urbana es una aproximación al conocimiento de las ciudades a través de articular las mismas como si fueran ecosistemas, que lo son. Al ser ecosistemas, es decir, sistemas que tienen organismos vivos, con la ecología académica nosotros podemos proponer análisis y propuestas diferentes, porque son holísticas integradas, respecto a lo que se suele proponer de manera más ortodoxa a través del urbanismo o de la ingeniería de transportes o de cualquiera de los sectores que se aplican en la ciudad. Desde la ecología urbana nos permite hacerlo de manera integrada, incorporando todas las variables a la vez. Incluso cuando se nos pide, cuando se le pide a la ecología urbana que haga un proyecto, aunque sea de un sector de la realidad, sea por ejemplo espacio público o movilidad, la propuesta viene obligada a que la propuesta de cambio no suponga disfunciones e impactos en otras variables que si sucede digamos con las metodologías más actuales, más al uso, digamos más relacionadas con las disciplinas de siempre.

LR: Claro. Una pregunta y dos preguntas juntas. ¿Cómo ves tu el escenario de crisis en Europa que para ti durará todavía mucho tiempo, durará mucho tiempo y para ti cual es la contribución de la ecología urbana en el contexto de la crisis?

Rueda: Bien, yo creo que la ecología urbana puede permitir salir de la crisis antes que cualquier otra disciplina. Por qué?

Porque los modelos que nosotros proponemos en todos los ámbitos, sea en el ámbito de la energía, del agua, de los residuos, de la movilidad, del espacio público, del urbanismo, hay que incorporarle también todos los flujos relacionados con la información puesto que estamos buscando modelos intencionales para hacer ciudades más sostenibles, pero a la vez hacer ciudades del conocimiento. Ambas tienen que ir juntas. Esto que quiere decir? Que cuando nosotros planteamos

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L’urbanismo ecologico

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un modelo, vamos a suponer de energía, detrás de la propuesta que nosotros hacemos aparece un montón, muchas actividades nuevas que representan flujo de dinero, que representan puestos de trabajo, que representan, digamos, crecimiento económico y por tanto posibilidades para salir de la crisis. La ecología urbana cuando mezcla sostenibilidad e inteligencia entonces lo que está buscando es cambiar la estrategia actual para competir entre territorios y entre ciudades, que hoy está basada en el consumo de recursos por otro, por otra estrategia que está basada en la información y el conocimiento. El metabolismo y los recursos no tendrían que ser el objeto de competitividad, tendrían que ser la inteligencia y el conocimiento. Y esto, entiendo yo que, la ecología urbana puede permitir que…, ese cambio digamos de estrategia.

LR: Bueno, en este sentido, la compacidad, la complejidad, la eficiencia y cohesión social, que están indicados en este libro como los cuatro ejes de la ciudad sostenible ¿estos cuatro ejes permiten salir de la crisis?

Rueda: Naturalmente, lo que estamos proponiendo ahí son los modelos, ya sean morfológicos y estructurales, ya sean de organización en todos los sentidos: económica, o incluso el de la biodiversidad, el metabolismo, como comentaba antes y todo ello se tiene que hacer para que la cohesión social sea mayor, para que la estabilidad social sea mayor. Esto tiene que ver con la crisis? Naturalmente, porque es un nuevo modelo en el que incorporamos pues eso, un flujo de información, de conocimiento pero también de actividades nuevas puesto que si yo quiero ser más autosuficiente con energías renovables necesito que alguien fabrique placas solares, y a la vez gente que mantenga estas placas solares, y a la vez gente que haga inteligente el sistema de electricidad dentro de los edificios o del barrio, y a la vez que… o sea que necesito un montón de actividades nuevas que hoy no tengo. Entiendes, con lo cual estoy proyectando el futuro de manera que nos aseguramos mejor este futuro aumentando nuestra capacidad de anticipación y reduciendo las incertidumbres pero a la vez, a la vez, en este momento, proponiendo nueva actividad, nueva organización, nuevos elementos digamos conceptuales, instrumentales, metodológicos y también de actividad que permitan salir de la situación en la que estamos. Aunque no estuviéramos en crisis serviría exactamente lo mismo.

LR: Si, eso es importante, Rueda: Naturalmente, no se hace por la crisis simplemente,

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Conversazione con Salvador Rueda Palenzuela

se hace porque necesitamos superar no solamente la crisis coyuntural actual sino la crisis general que representa las transformaciones en el planeta que nos llevarán digamos si o no a una situación de no retorno.

LR: Claro, porque hoy una palabra, que es nueva, es glocal, que significa global y local, porque el problema de una ciudad es el problema del mundo.

Rueda: Ni más ni menos, de hecho, la sostenibilidad se ganará o se perderá en base a como organicemos nuestras ciudades a partir de ahora.

LR: Vale, es un modelo conceptual innovador, totalmente innovador Rueda: Si LR: Es una cosa muy interesante. La cuestión de los indicadores es una cuestión que está en esta manera de organizar, de concebir las ciudades, los flujos de información, no?

Rueda: Eso es.

LR: Indicador y software paramétrico para la representación de los escenarios.

Rueda: Eso es, eso es. Nosotros hemos creado una herramienta para medir la sostenibilidad urbana, una herramienta que nos permite saber qué es lo que nos falta y que es lo que nos sobra en cada uno de los ámbitos de los cuatro ejes del modelo de ciudad. Con lo cual, los llenamos de contenido y a la vez los evaluamos, los cuantificamos e intentamos objetivarlos. En base a esto ya nos da las pautas de qué es lo que necesitamos cambiar, y por tanto nos indica, que para eso lo hacemos, nos indica cual es el camino a seguir para conseguir que nuestras ciudades sean más sostenibles y más inteligentes.

LR: En este sentido, ¿los indicadores que indican diversas disciplinas, no?, es el instrumento para traducir la transdisciplina?

Rueda: Exacto. O sea, fíjate que lo que nosotros hacemos es,… lo que nosotros hacemos es definir escenarios. Un escenario es el terreno de juego donde luego los especialistas incorporarán su conocimiento, pero la ecología urbana lo que te permite es crear esos escenarios transdisciplinares. Necesitamos gente que lidere luego la gestión del conocimiento especifico pero que

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L’urbanismo ecologico

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a la vez sepa integrarlos todos. Ese escenario viene a través de los modelos que nosotros desarrollamos. Y los indicadores lo que nos permiten es evaluar el grado de acomodación de la propuesta a los escenarios que hemos definido previamente, que siempre son intencionales. De acuerdo? Siguiendo determinados modelos: modelos de ocupación del suelo, urbanísticos, de energía de movilidad, etc.

LR: Entonces, ¿la transdisciplinalidad es la llave para también modificar los instrumentos normativos? Porque los instrumentos normativos están todavía incluidos en una lógica que no es ambiental? Medioambiental?

Rueda: Claro, es que resulta que normalmente nos fijamos en proyectos que transforman la realidad con propuestas concretas, vale? Que necesitan tener en cuenta todas las variables a la vez, pero todo eso, si tu lo quieres replicar, si quieres que, de alguna manera otros puedan desarrollarlo en términos similares, necesitas la norma, necesitas la ley, necesitas la normativa.

LR: Revisar el cuadro normativo.

Rueda: Exacto, hay que revisarlo en estos términos.

LR: Revisarlo. Una pregunta que me parece que el urbanismo ecológico es mas adaptado para la ciudad construida, no?

Rueda: No LR: O también se puede aplicar en la realdad para la nueva, o para la ciudad en vías de desarrollo también, que no tienen alguna normativa, …

Rueda: La metodología siempre es la misma y la hemos ensayado para nuevos desarrollos, como es el caso de este libro donde nosotros proponemos un nuevo ecobarrio, lo hemos ensayado en procesos de renovación urbana y lo hemos ensayado digamos para ciudades enteras.

LR: ¿Ciudades enteras?

Rueda: Ciudades enteras como Bilbao, o como Vitoria, o como en estos momentos estamos haciendo para Barcelona, de acuerdo?

LR: Si, ¿para las ciudades del tercer mundo africanas, que no tienen nada?

Conversazione con Salvador Rueda Palenzuela

Rueda: Sirve para cualquiera… Necesitamos, o sea, lo que es especifico de cada lugar es el contexto, pero el modelo puede ser exactamente el mismo. A ver, yo reconozco a una persona humana, he? En África, en Asia o en Europa. Todos tienen cabeza, tronco y extremidades. Todos son distintos, a lo mejor tienen la piel de color diferente, es igual, pero todos son personas humanas. Entonces, las ciudades funcionan con una serie de principios intencionales: Primero se reúne al máximo las actividades para que puedan funcionar sinérgicamente, con las nuevas premisas de la sostenibilidad pretendemos, por ejemplo, que haya una mayor eficiencia en el uso de los recursos. Hay alguien que esté en desacuerdo con esto? No, pues estos son los elementos claves del modelo, y tenemos unos diez principios o intenciones, principios intencionales, que son los que definen el modelo. Si estamos de acuerdo con ellos, estamos de acuerdo con aplicarlo aquí, en África o en la Conchinchina. Esta es la idea. Ahora, el contexto será diferente?

De acuerdo. Habrá un contexto económico diferente, cultural diferente, … no importa.

LR: Pero no tienen información, informaciones, cuando tú no tienes información…

Rueda: SI no tienes información tenemos un problema de cara a evaluar con indicadores la realidad, eso es lógico, eso es como todo, eh, pero se puede relevar, se puede levantar esa información para poderlo hacer, naturalmente.

LR: Pero es siempre válido el método…

Rueda: El método es el mismo, y es válido. Tendría que demostrarme alguien que no lo es, y en principio nosotros calculamos, o evaluamos digamos que el método es válido, de acuerdo?

Rueda: Salvador, ¿Tu qué piensas de la Barcelona de hoy y cómo la quieres volver?

Rueda: La Barcelona de hoy, digamos, es una Barcelona que llega después de un proceso muy exitoso, he, que fue digamos denominado modelo Barcelona. Que a nivel internacional es reconocido y reconocible. Entonces, las piezas claves de ese modelo se han desarrollado fundamentalmente en tres aspectos: Uno, se ha trasformado el frente marítimo de manera que la relación entre la ciudad y el mar ha cambiado radicalmente.

Dos, se ha incorporado la posibilidad de conectar la periferia a través de unas ronda, pero con uso del vehículo privado,

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L’urbanismo ecologico

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pero que permite digamos conectar esas periferias unas con otras. Y un tercer elementos que es quizás el más reconocible es el de la acupuntura urbana, el de la transformación de la microintervenciones dentro de la ciudad, ampliando aceras, creando nuevas plazas, recuperando territorios obsoletos porque la industria pues ha sido obsoleta, se ha tenido que ir, o zonas digamos militares o lo que sea, etc. Es decir un conjunto de elementos que se a, a los cuales se les ha sumado digamos unos elementos de diseño del espacio público que hacen reconocible, no importa donde estés dentro de la ciudad, que estás en la misma Barcelona. He? El bordillo, el pavimento digamos de la acera, la señalética, todos estos elementos, el mobiliario, todo eso, de alguna manera ha sido perfectamente definido y se repite en cualquier parte de la ciudad, no importa ni la renta que tenga esa parte de la ciudad, etc. Es decir, en todos los casos se ha hecho lo mejor que se podría haber hecho en el centro se ha hecho también en la periferia. De acuerdo?

Incluso se ha planteado la idea de la monumentalización de la periferia con idea de generar nuevas centralidades, con la idea digamos de general la máxima calidad urbana y de vida para los que viven allí. Ese ha sido un modelo exitoso pero para mí los tiempos han cambiado y se necesitan nuevos elementos que vienen de la mano pues de la sostenibilidad en la era de la información. Esta premisas, en su momento no se tenían y por tanto en abordar estos retos no eran tenidos en cuenta. Ahora es necesario hacerlo, con lo cual nosotros proponemos un nuevo cambio en el modelo de la ciudad, se está proponiendo, des de la Agencia, de alguna manera se proponen estos términos que es que en lugar de que sea el mar, que ya lo tenemos revitalizado y rehabilitado, que sea la montaña, que el verde urbano entre dentro de la ciudad, de acuerdo?, creando el borde, la frontera entre la ciudad y la montaña, digamos, y el verde, en las condiciones mejores para que el impacto sea el menor posible pero a la vez, que la penetración de la biodiversidad dentro de la ciudad sea la máxima. En segundo lugar, sustituimos lo que es las rondas, hechas para el vehículo privado, por una nueva red de autobuses que permiten conectar cualquier parte de la ciudad con otra con un solo transbordo y con frecuencias de 4 minutos no importa donde estés. Es decir que el isomorfismo, la igualdad en cuanto a accesibilidad a través de esta red en cualquier parte de la ciudad y de sus gentes es factible. Y el tercero, transformamos el espacio público incorporando la idea de las supermanzanas, haciendo que el espacio público ya no sirva solo para la gente que va a pie sino que sirva también para todos aquellos que quiere hacer las funciones que la ciudad le ofrece: que los niños puedan jugar en la calle, que se pueda hacer una fiesta, que pueda haber un intercambio económico

Conversazione con Salvador Rueda Palenzuela

y cultural, deportivo, etc. sin necesidad de prácticamente pedir permiso, es decir, que sea factible hacerlo, cosa que hoy no sucede porque prácticamente todos los tramos de todas las calles están ocupadas por el coche, es decir, por el derecho de paso, que es el derecho más importante que existe hoy en la ciudad. En cambio nosotros, en nuestra propuesta es liberar la máxima cantidad de espacio que hoy ocupa el coche para otras funciones.

LR: Para el peatón…

Rueda: No. Para el ciudadano.

LR: Para el ciudadano, que no el peatón. Es una diferencia fundamental.

Rueda: Claro, porque el peatón es un modo de transporte y el ciudadano es el que puede, además de andar, jugar, divertirse, intercambiar económicamente, etc. Y esto necesita liberar espacio. Liberamos alrededor del 70% del espacio que hoy ocupa el vehículo, el coche.

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Lâ&#x20AC;&#x2122;urbanismo ecologico

6. I risultati della ricerca

I risultati della ricerca 1. Aspetti generali La ricerca ha evidenziato quanto il tema della sostenibilità urbana sia strettamente connesso ai due concetti chiave della mobilità e del verde. Entrambe le grandezze sono state descritte attraverso la chiave interpretativa delle relazioni che legano le strategie, sia di ordine sovranazionale in seno alla comunità europea che di dimensione territoriale urbana, ai caratteri urbani, cioé alle loro peculiarità ambientali e territoriali, e infine ai costi, relativamente alle problematiche che i due sistemi presentano nel momento in cui questi devono dare il massimo di efficienza in termini di risposte ai temi del confort urbano, del rispetto dei valori della biodiversità, del risparmio energetico e idrico, della qualità dell’aria, della riduzione del rumore all’interno dei cerntri urbani. Si è potuto argomentare, che i problemi delle città si riverberano all’intera scala globale proprio perché queste non sono sistematicamente connesse alla biosfera (Seto et al. 2013) e si sono descritti tanto i valori quanto ancora le disfunzioni del metabolismo urbano in termini di inquinamento atmosferico, rumore associato ai sistemi di trasporto, contaminazione delle acque di falda, consumo energetico e altro ancora. In modo particolare, si è potuto constatare quanto incida profondamente sul clima urbano le conseguenze di una disorganizzazione urbana connessa ad un sistema di mobilitá inefficiente che condiziona e limita lo spazio pubblico nelle sue accezioni di luogo di scambio, sosta, integrazione tra le diverse compagini sociali che compongono la cittadinanza. Si sono descritte le trasformazioni in atto e le tendenze alla scala europea, sia in funzione della mobilità e delle politiche in atto che coinvolgono direttamente le città attraversate dai grandi corridoi multimodali, sia in relazione alle politiche ambientali che, sempre più in modo incisivo, direzionano le ragioni dello sviluppo urbano in vista dei traguardi da raggiungere per ciò che concerne il rispetto dei livelli di sostenibilità ambientali. Il verde urbano, anche allimpulso dato dal progresso tecnologico impresso dalle tecnologie di informatizzazione e, principalmente, delle tecniche GIS, è stato descritto come sistema nel quale avvengono dinamiche eco-

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6.

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3. Considerazioni conclusive

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sistemiche che investono praticamente tutti i settori della città: dalle aree periferiche, al singolo edificio urbano capace di ospitare vegetazione tanto nelle coperture quanto nelle facciate, fino a formare un unicum con i grandi corridoi della mobilità capaci di interconnettere brani ecologici distanti da un punto all’altro della città. Per altro verso, il verde gioca un ruolo di valorizzazione dell’ambiente urbano e attua meccanismi di fitodepurazione essenziali per il benessere all’interno dell’ambiente urbano.

2. Interazioni tra il sistema della mobilità e del verde In termini di interazioni tra i due sistemi della mobilità e del verde urbano si è visto come le città stanno organizzando le loro infrastrutture della mobilità affinché queste possano accogliere brani di verde capaci di sostenere e gestire il peso delle disfunzioni ecosistemiche legate alle esternalità della mobilità. Si sono studiate le fasi attraverso cui passa qualsiasi progetto di realizzazione di infrastrutture verdi e si è preso a riferimento il modello adottato da NENW (New England North-West, 2009). Si è individuato nell’ambito delle Green Infrastructures lo strumento più idoneo per sondare le relazioni che intercorrono tra i due sistemi.

Ancora, si sono scelti i due casi di Calgary in Canada e di New York negli USA e descritto le politiche e le azioni che queste due realtà urbane stanno mettendo in atto affinchè adeguate misure, in funzione e a favore della sostenibilità urbana, possano aiutare le amministrazioni a contenere i costi connessi alle disfunzioni urbane. In particolare la ricerca ha fatto emergere quanto sia importante il tema della gestione dell’uso dei suoli e in particolare della necessità di ridurre l’estensione delle superfici impermeabili, ritenute una delle principali cause del danno arrecato dal mancato controllo delle acque di laminazione. Sono state individuate, a livello strategico almeno tre componenti, la cui mutua interrelazione può giocare un ruolo positivo per ciò che concerne l’aumento degli standard di benessere urbano in favore della mobilità pedonale e ciclabile, così come il controllo degli effetti negativi dell’inquinamento acustico, atmosferico e delle acque freatiche per effetto dell’infiltrazione di inquinanti mediati dalle acque di laminazione. Tali strategie sono le seguenti: a) L’acqua in funzione della riduzione delle superfici impermeabili; della finalità di massimizzare le infiltrazioni adeguatamente filtrate da un sistema vegetazionale potente, affiancato ai corridoi della mobilità; del rallentamento e filtraggio del ruscellamento e attenuazione dei suoi effetti attraverso appositi rain garden,

6. I risultati della ricerca

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cunette verdi e brani di forestazione urbana creati appositamente a difesa tanto delle infrastrutture viarie, quanto della stessa mobilità bedonale e ciclabile; infine, dell’esigenza di contenere l’uso di acqua di irrigazione mediante l’utilizzo di vegetazione capace di resistere ai rigori della stagione calda estiva. b) L’aria sottoforma di riduzione dell’inquinamento atmosferico e dell’attenuazione preventiva di GHGs, in funzione della protezione massima della mobilità pedonale e ciclabile; di aumento della superficie di forestazione urbana lungo i corridoi della mobilità al fine di agevolare gli scambi di informazioni ecosistemiche tra brani verdi distanti; infine, aria in funzione della riduzione e risparmio di energia, sperimentando e utilizzando pavimentazioni ad alto albedo. c) Gli habitat, nella duplice funzione sia dell’aumento della biodiversità, preservando le specie native dall’avanzare della vegetazione aliena, creando zone umide, aumentando la canopia urbana e gestendo al meglio gli alberi giunti in maturazione, riconoscendo a questi l’importantissimo ruolo di monumento urbano; altra funzione dell’habitat riconosciuta nella necessità di aumentale le connessioni ecosistemiche tra distinti e differenti habitat urbani: in tal senso risulta fondamentale il ruolo dei

Parte 3°

3. Considerazioni conclusive

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corridoi verdi, questi ultimi distinti a seconda degli usi ai quali vengono preposte specifiche funzioni: strade di attraversamento urbano, di innervamento urbano, boulevard, strade di quartiere, residenziali, dei parchi e delle zone industriali. La ricerca ha quindi evidenziato che in entrambi i casi di Calgary e New York, questi costituiscono esempi virtuosi di come una accorta pianificazione possa dare avvio a virtuosi esempi di interazione tra il sistema della mobilità e del verde urbano, finalizzando il tutto a evidenti aumenti di benessere urbano, aumento dellabitabilità degli spazi urbani, della loro accessibilità e, in ultima analisi, dell’aumentata appetibilità in termini di industria turistica.

6. I risultati della ricerca

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La ricerca ha evidenziato quanto possa essere labile il confine tra un efficente sistema di mobilità e la persistenza di condizioni ambientali capaci di pregiudicare il benessere all’interno dei contesti urbani. L’esperienza del caso studio di Barcellona ha infatti consentito di poter sperimentare quanto, a fronte di un efficente sistema di intermodalità, tuttavia possano continuare a persistere fenomeni di congestione urbana da traffico veicolare, inquinamento atmosferico, persistenza di soglie di rumore ben al di sopra dei limiti consentiti e, non per ultimo, inquinamento di falde acquifere per effetto di infiltrazione nel sottosuolo di acque di laminazione. La ricerca è pervenuta alla conclusione di come, malgrado le singole modalità di trasporto possano essere efficenti in termini di confort e contenimento di emissività in atmosfera di agenti inquinanti, tuttavia la mancanza di un sistema di gerarchizzazione modale possa dare luogo a fenomeni di abbassamento dei livelli di abitabilità degli spazi urbani. Per altro verso la ricerca ha altresì raccolto spunti di riflessione critica sull’effettivo risultato a cui il sistema delle Supermanzanas perviene, giocando un ruolo di deterrente verso quelle forme di democratizzazione che nel corso della sua storia moderna sono state la caratteristica principale di Barcellona.

4. Strategie La ricerca ha avuto modo di studiare direttamente in situ e per un periodo di quasi 12 mesi la realtà urbana di Barcellona, rivelando sia tutti i distinti sistemi di mobilità urbana, le trasformazioni che la stanno interessando in merito ai profondi e incisivi progetti di integrazione attuati tra sistema di mobilità e sistema del verde urbano, nonché i processi di trasformazione urbanistica in atto. In particolare, coerentemente con quella che è la storia urbana della capitale catalana, la ricerca ha evidenziato come Barcellona, ancora una volta nella storia, è capace di interpretare compiutamente e in modo esaustivo il senso più profondo del messaggio della sostenibilità urbana e della città intesa alla stregua di un ecosistema. Ciò è stato possibile in quanto la ricerca è stata effettuata, principalmente nella sede dell’Assessorato di Ecologia Urbana e Mobilità dell’Ajuntamento di Barcellona, dentro il quale è stato possibile entrare proprio nel cuore dei progetti di trasformazione che la stanno interessando: Il Piano della mobilità urbana sostenibile 2013-2018, il progetto delle Supermanzanas, il Piano della Biodiversità 2020, il Piano delle Infrastrutture verdi 2020 e, infine, il grande progetto del parco

Parte 3°

3. Criticità

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3. Considerazioni conclusive

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lineare del Camì Condal della Stazione La Sagrera. Tutti questi casi e progetti, già approvati e tutt’ora in fase di realizzazione fanno di Barcellona un caso unico al mondo di città nella quale le istanze di integrazione tra sistema della mobilità e del verde sono parte integrante di un grande processo di pianificazione e di rinnovamento urbano che proietterà la città molto in avanti nella sfida per la sostenibilità urbana.

5. Nuove prospettive di integrazione tra il sistema della mobilità e del verde in ambito urbano La ricerca ha avuto modo di rispondere agli obiettivi di comprendere le ragioni e le modalità con le quali si manifesta l’interazione tra sistema della mobilità e del verde urbano. Lo ha potuto fare interrogando i vari casi di costruzione di quartieri ecosostenibili che stanno sorgendo nelle grosse città Europee e del mondo, studiando i piani di mobilità sostenibile e le differenze che caratterizzano le peculiarità stesse delle città nelle quali tali strumenti vengono adottati. Infine, ha studiato i tanti esempi di best practices che, attraverso il coinvolgimento della cittadinanza attraverso processi partecipativi, tentano di educare la gente ad assumere atteggiamenti e stili di vita maggiormente responsabili. Ciò poiché, come è stato dimostrato, la tendenza dei sistemi urbani oggi è quella di crescere non in relazione all’andamento dei trend demografici così come è sempre stato nel corso della storia, quanto piuttosto dipende dall’adozione di stili di vita che presuppongono l’utilizzo del mezzo veicolare proprio e quindi di azioni a favore dell’incremento dei processi di urbanizzazione che possano soddisfare la domanda di mobilità privata. Tuttavia, rimangono ancora domande inevase: ad esempio, come intervenire in costesti territoriali deboli e in situazioni urbane che sono in forte ritardo con la tendenza a organizzarsi in funzione delle sfide di sostenibilità urbana, quindi di integrazione tra sistemi della mobilità e del verde.

6. I risultati della ricerca

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Bibliografia tematica Appendice

Parte 3째

Parte Quarta

Parte 3째

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3. Considerazioni conclusive

Bibliografia tematica

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Bibliografia

Bibliografia tematica

La bibliografia tematica sul rapporto esistente tra mobilità e suoi effetti sull’ambiente urbano, prende in esame i principali articoli, studi, pubblicazioni scientifiche apparsi nelle più importanti riviste specializzate a diffusione internazionale. In essa gli argomenti, tanto riguardanti la scala globale, quanto quella locale, vengono suddivisi nei tre grossi ambiti dell’ecologia, dell’economia e del territorio.

Ciò, perchè la ricerca parte dal presupposto che i problemi alla microscala urbana, legati alla netta predominanza dei veicoli privati come mezzo di locomozione, si riflettono a cascata sulla scala globale, con effetti che si ripercuotono sulle sfere ambientali, economiche ed energetiche. La ricerca verte intorno ai temi della città intesa come ecosistema e dell’ecologia e pertanto, grande rilievo assumono nella seguente bibliografia i testi e gli articoli scientifici relativi all’ecologia urbana, agli studi sulla resilienza urbana intesa quale caratteristica che hanno le città, non soltanto di adeguarsi ai cambiamenti climatici che le rendono maggiormente vulnerabili, ma vieppiù di trasformarsi costruendo risposte sociali, economiche e e ambientali.

Va aggiunto che, a livello normativo, il principale testo di legge italiano è il decreto interministeriale Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane del 27 marzo 1998, n.112. In ambito europeo, i principali riferimenti rimangono le serie di libri bianchi del 2001 e del 2011, la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo del 2006, le direttive in tema di mobilità sostenibile 2006/38/Ce, relativa trasporto di merci su strada, che impone di calibrare i pedaggi autostradali in base al carico inquinante dei mezzi ed all’ora di utilizzo delle infrastrutture e, del 2007 il Libro Verde, Verso una nuova cultura della mobilità urbana.

Tra le Istituzioni presenti nel nostro Paese, le Ferrovie dello Stato Italiane sono state probabilmente quelle che si sono maggiormente distinte per l’attenzione dedicata a raccogliere e realizzare le istanze provenienti dai lavori della Commissione Europea.

A tal proposito acquistano particolare rilievo e considerazione le politiche attualmente in atto e condotte dalle Ferrovie dello Stato Italiane, sia per ciò che concerne la grande infrastrutturazione

Bibliografia

Bibliografia tematica

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della penisola da parte della rete dell’AV/AC, sia anche per le importanti trasformazioni in atto a livello urbano. La rete AV trasforma di fatto ogni grande stazione urbana, interessata dalla AV, in una sorta di stazione metropolitana. Le città dei territori interessati dalla AV di fatto si avvicinano, al contrario di quelle realtà urbane non ancora lambite dalla rete e che, per converso, si allontanano dagli scambi economici e del commercio. L’esperienza condotta in prima persona nella stesura del Report 20082011 è stata in tale senso fondamentale poiché ha fornito piena luce su tutte le tendenze in atto in fatto di mobilità dalla scala Europea, a quella nazionale, quindi alla scala metropolitana e, infine, a quella urbana. Proprio per tale ragione, la presente bibliografia inserisce opportunamente non soltanto il volume che raccoglie i contributi di tutti gli autori che hanno concorso alla formazione di questo grande volume di conoscenza, vieppiù sono riportati alcuni contributi tratti dal volume appena detto. Infine, è stato dato ampio spazio alla letteratura scientifica prodotta nell’ambito delle metodologie d’indagine per la ricerca degli effetti delle attività umane all’interno dei contesti urbani. Quindi, i risultati ottenuto indagando le isole di calore, il ruolo giocato della vegetazione allo scopo di attenuare le esternalità anzidette, le indagini in ambito urbano mediante tecniche di remote-sensing e, infine, la metodologia adottata dalla BCNecologia urbana di Barcelona con l’uso degli indicatori e della tecnologia GIS (Geomedia) che hanno permesso alla presente ricerca significativi risultati.

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ACCORDI PER LA CONSERVAZIONE E LO SVILUPPO SOSTENIBILE LE CONFERENZE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI Nel 1964 si verificò uno dei primi tentativi di intervenire sull’organizzazione dell’ordine economico internazionale tenendo conto dei problemi posti dai Paesi in via di sviluppo (PVS). L’assemblea Generale istituì la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), al fine di promuovere una più equa distribuzione delle ricchezze tra il Nord e il Sud del mondo1. Tuttavia, lo sforzo politico svolto dagli Organismi internazionali per mitigare lo squilibrio economico e sociale non ha portato significativi risultati.

Il primo decennio della politica per lo sviluppo, perseguita dall’ONU negli anni sessanta, ha enfatizzato uno sviluppo di tipo industriale e urbano che, contrariamente alle aspettative, ha fatto registrare una diminuzione del tasso di crescita economica e un incremento demografico di tipo esponenziale.

In tale situazione, molti Paesi non riuscirono a soddisfare la domanda alimentare interna.

Con il fallimento della politica di questo primo decennio, venne effettuata una visione critica del processo di sviluppo. Si configura una corrente di pensiero che sostiene la necessità di una nuova formulazione degli obiettivi e di una strategia basata sull’utilizzo delle risorse rinnovabili.

Questo approccio ha delineato la filosofia del secondo decennio: nasce il concetto di “sviluppo ecologico”, che alla fine degli anni ‘80 assumerà la denominazione di “sviluppo sostenibile”, cioè quel tipo di sviluppo che mantiene a lungo termine inalterate le potenzialità delle risorse naturali e ambientali necessarie a garantire un adeguato livello di benessere e qualità della vita.

La conferenza di Stoccolma e la nascita del programma per l’ambiente delle Nazioni Unite Gli anni ‘70 videro la nascita del movimento ambientalista su scala internazionale. Il primo importante documento scientifico che recepiva le istanze sollevate da questo movimento fu lo studio redatto da un gruppo di esperti del Massachussetts Institute of Techology (MIT), pubblicato con il titolo “I limiti dello sviluppo” (MEADOWS et al., 1972). Sulla base di estrapolazioni relative agli andamenti di crescita di popolazione, al livello di industrializzazione, all’inquinamento, alla produzione di alimenti, al consumo delle risorse naturali, i ricercatori ritennero che l’umanità avrebbe in breve tempo raggiunto i limiti naturali dello sviluppo. Si sottolineava quindi la necessità di sostituire il modello economico basato sulla crescita illimitata con una situazione di stabilità economica ed ecologica. Questo stato di equilibrio, da intendersi in senso dinamico, veniva definito dalla pubblicazione del MIT come “la condizione in cui popolazione e capitale rimangono sostanzialmente costanti, grazie al controllo esercitato sulle forse che tendono a farli aumentare o diminuire”. In tale condizione risulterebbero garantiti i bisogni materiali degli abitanti della Terra. Veniva sottolineato che le probabilità di successo sarebbero state tanto maggiori quanto più rapidamente sarebbe stata intrapresa questa svolta decisiva.

Per la prima volta veniva quindi proposto un modello di società in “stato stazionario”, cioè un sistema in cui fosse ridotto al minimo il consumo delle risorse realizzando uno stato di equilibrio, definito con la dizione crescita zero: << se usiamo il termine crescita per indicare un cambiamento quantitativo e il termine sviluppo per riferirsi a una modifica qualitativa, allora possiamo dire che l’economia in stato stazionario si sviluppa ma non cresce, proprio come la Terra, di cui l’economia umana è un sottosistema. Una ricchezza sufficiente, mantenuta e allocata efficientemente, distribuita in modo equo – e non per massimizzare la produzione – costituisce il giusto fine economico >> (DALY, 1981).

Nel 1972, in pieno dibattito sulle ipotesi formulate dai ricercatori del MIT, a Stoccolma si svolge la prima conferenza internazionale che coinvolge i governi del mondo sui temi dell’ambiente legati alle politiche di sviluppo, la Conferenza delle Nazioni Unite per l’ambiente umano2.

Alla Conferenza di Stoccolma i Paesi in via di sviluppo dichiararono di non essere in grado di soste-

nere da soli i costi della protezione ambientale e della conversione verso uno sviluppo sostenibile.

Emerse anche una controversia: i Paesi industrializzati identificavano nel forte aumento demografico registrato in quegli anni la principale causa degli squilibri economici e dell’esaurimento delle risorse naturali; al contrario i Paesi del Terzo Mondo indicavano, quale causa prima, lo sfruttamento massiccio delle risorse operato dai Paesi sviluppati.

Il 15 dicembre 1972, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì un’Agenzia con funzioni di coordinamento per l’azione ambientale, con sede a Nairobi, l’UNEP (United Nations Environment Programme).

La Conferenza di Rio de Janeiro e la Convenzione sulla diversità biologica L’ultimo decennio del ventesimo secolo vede una nuova grande riunione internazionale sui problemi dell’ambiente e dello sviluppo, ospitata a Rio de Janeiro (Brasile) dal 3 al 14 giugno 1992: la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED).

A vent’anni dalla Conferenza di Stoccolma, essa è stata a livello internazionale l’evento più importante per le politiche ambientali globali ed ha costretto il mondo politico a confrontarsi con il concetto di sostenibilità.

Obiettivo principale della Conferenza era quello di costruire uno schema di azione per portare l’economia mondiale su un percorso di sviluppo sostenibile, che non depauperasse le risorse ambientali per le presenti e le future generazioni.

I risultati della Conferenza di Rio hanno portato alla sottoscrizione, da parte dei rappresentanti dei governi, dei seguenti documenti: • la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo, costituita da 27 principi che delineano diritti e responsabilità degli Stati nei confronti dell’ambiente, per la costruzione di un futuro sostenibile; • l’Agenda 21, il documento base esplicativo della teoria dello sviluppo sostenibile, contenente gli impegni per trasformare le dichiarazioni in principi guida, collegati alle convenzioni internazionali sottoscritte a Rio; • la Convenzione sul Cambiamento Climatico (UNFCCD), per limitare la crescita di anidrite carbonica nell’atmosfera terrestre quale principale causa dell’aumento della temperatura; • la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), mediante la quale si propone un approccio globale, ecosistemico, per la protezione di tutti i livelli della diversità dei viventi, nel tentativo di superare l’approccio frammentario risultante dalle convenzioni già esistenti; • la Convenzione per la lotta al fenomeno della desertificazione (UNCCD); • la Dichiarazione sui principi relativi alle foreste, che raccoglie indizi generali, formulati nell’impossibilità di giungere alla sottoscrizione di una Convenzione giuridicamente vincolante.

Il vertice sullo sviluppo sostenibile “Rio + 10” tenutosi a Johannesburg (Sud Africa) nel 2002, rappresenta una verifica a dieci anni di distanza dalla conferenza di Rio de Janeiro, con l’obiettivo di identificare misure concrete per l’attuazione degli impegni presi con Agenda 21.

I governi riunitisi in quest’occasione hanno adottato delle risoluzioni, stabilendo degli obiettivi specifici da perseguire entro determinate scadenze, tra cui ci interessa qui sottolineare la data del 2010 fissata per raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di perdita della biodiversità.

L’UNEP svolge un ruolo importante nel processo di organizzazione dei lavori, curando il programma ambientale sia a livello internazionale sia a livello regionale.

La Convenzione sulla Diversità Biologica Gli obiettivi della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) sono la conservazione della diversità biologica (a livello genetico, di specie, di comunità e di paesaggio), l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse geneti-

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che e dal trasferimento delle tecnologie pertinenti.

Ogni Paese contraente coopera, per quanto possibile, con le altre parti contraenti, direttamente o tramite organizzazioni internazionali competenti, nei settori non sottoposti alla giurisdizione nazionale e in altri settori di interesse reciproco, per la conservazione e l’utilizzazione durevole della diversità biologica.

Si tratta di una Convenzione di straordinaria importanza in quanto prevede di conservare la biodiversità e individua nello sviluppo sostenibile e nella equa ripartizione nello sviluppo sostenibile e nella equa ripartizione delle risorse lo strumento fondamentale per centrare l’obiettivo primario della Convenzione stessa.

Colpisce il divario tra importanza della Convenzione e livello di conoscenza e divulgazione dell’articolato della medesima. Sono circa 187 i Paesi firmatari, ma ancora oggi quando si parla di biodiversità, come si accennava all’inizio, si pensa che sia una cosa importante, ma che essenzialmente interessi le associazioni di volontariato, gli ecologisti ed eventualmente gli ecologi di professione. La Convenzione ci ricorda che la conservazione della biodiversità è un problema scientifico, biologico ed ecologico, ma è anche un problema economico, politico e sociale che riguarda tutti i paesi del mondo.

La Convenzione è del 1992 e l’Italia ne ha formalizzato la sua partecipazione nel 1994. Ogni paese contraente è tenuto (art. 6) a: • elaborare strategie, piani e programmi nazionali volti a garantire la conservazione e l’utilizzazione durevole della diversità biologica; • integrare la conservazione e l’utilizzazione durevole della diversità biologica nei suoi piani, programmi e politiche settoriali o plurisettoriali pertinenti; • identificare gli elementi importanti della diversità biologica ai fini della conservazione e di una utilizzazione durevole; • controllare, mediante campionamenti e altre tecniche, gli elementi costitutivi della diversità biologica • analizzare i processi e le categorie di attività che hanno o rischiano di avere gravi impatti negativi sulla conservazione e l’utilizzazione durevole della diversità biologica, e sorvegliarne i loro effetti; • conservare e gestire i dati derivati dalle attività di identificazione e di controllo.

Ogni parte contraente adotta misure economicamente e socialmente utili, che siano di stimolo alla conservazione e all’utilizzazione durevole degli elementi costitutivi della diversità biologica.

La convenzione prevede inoltre la promozione della ricerca che contribuisce alla conservazione e all’utilizzazione durevole della diversità biologica.

A scadenze regolari i paesi contraenti prendono parte alle riunioni ordinarie e straordinarie organizzate dalla Conferenza delle Parti (COP) tramite il Segretariato, elaborano rapporti da presentare alla COP sui provvedimenti adottati in adempimento alle disposizioni della convenzione stessa e sulla loro efficacia, rispondono alle richieste dell’Organo Sussidiario di Consulenza Scientifica, Tecnica e Tecnologica (Subsidiary Body on Scientific, Technical and Technological Adcive – SBSTTA).

Evoluzione della convenzione attraverso le Conferenze delle Parti La COP è l’organo di governo della Convenzione sulla Diversità Biologica. La sua funzione principale è assicurare l’implementazione della Convenzione e guidarne lo sviluppo. Nel far ciò la Conferenza istituisce dei gruppi di lavoro (working groups) e di collegamento (liaison groups), per implementare il lavoro o per indirizzare i temi.

Le decisioni della COP si basano principalmente sulle indicazioni fornite dalle raccomandazioni del SBSTTA, che per i suoi lavori individua dei gruppi Ad Hoc di Tecnici Esperti su tematiche prioritarie della Convenzione la cui attività è stabilita per un determinato periodo temporale

Alla COP competono anche l’adozione del bilancio, la valutazione dei rapporti nazionali, l’adozione di protocolli e allegati e lo sviluppo di linee guida per i meccanismi finanziari.

Inoltre, nei suoi confronti, provvede a definire programmi e piani di lavoro nelle aree tematiche e nei temi intersettoriali della Convenzione e a stabilire periodicamente una revisione di tali programmi, con l’obiettivo di favorirne l’efficacia e l’implementazione.

In sintesi questi sono stati i nove appuntamenti militari e le principali decisioni adottate dai diversi Paesi.

Bahamas, 1994. Viene riconosciuta la necessità di conoscere lo stato della biodiversità nel mondo e di integrare la convenzione con l’Agenda 21 ed i temi della deforestazione e desertificazione (già affrontati a Rio nel 1992).

Jakarta, 1995. Sono indicati alcuni esperti per attivare un programma d’intervento per la biodiversità marina e costiera ed altri che si occupino delle problematiche di gestione degli organismi geneticamente modificati.

Buenos Aires, 1996. Viene siglato un trattato cooperazione con le Convenzioni di Ramsar e di Bonn e vengono stabiliti due programmi di lavoro pluriennale, uno sulla conservazione ed uno sostenibile della biodiversità in ambito agrario ed uno sulle foreste.

Bratislava, 1998. Sono adottati i programmi di lavoro su ecosistemi delle acque interne, conservazione ed uso sostenibile della biodiversità marina e costiera e biodiversità delle foreste.

Nairobi, 2000. Si stabilisce il programma di lavoro sulla biodiversità delle aree aride, mediterranee, semi-aride, praterie e savane e si sottoscrive il piano di lavoro su ecosistemi acquatici interni, congiuntamente con la convenzione di Ramsar.

L’Aja, 2002. Viene adottato il Piano Strategico della Convenzione sulla biodiversità e sono approvate diverse decisioni, tra cui un’iniziativa globale sulla tassonomia, sulla comunicazione, educazione e consapevolezza del pubblico, la strategia globale per la conservazione delle piante, ecc.

Kuala Lampur, 2004. L’obiettivo è la riduzione significativa della perdita di biodiversità entro il 2010.

Curitiba, 2006. Si persevera con l’obiettivo della riduzione della biodiversità e si adottano nuove misure per la protezione della biodiversità nelle isole e per accrescere la consapevolezza delle gravi conseguenze della crisi della biodiversità.

Bonn, 2008. Si svolge l’assemblea generale dei partner del “countdown 2010”, in cui viene ribadita la necessità di frenare l’erosione della biodiversità.

Il Consiglio d’Europa Il Consiglio d’Europa (CoE) è un organizzazione intergovernativa istituita nel 1949 per avviare la progressiva unione degli Stati europei. Raggruppa 45 paesi ed è un’organizzazione distinta dall’Unione Europea. Il Consiglio d’Europa è stato istituito allo scopo di: tutelare i diritti dell’uomo e la democrazia parlamentare e garantire il primato del diritto; concludere accordi su scala continentale per armonizzare le pratiche sociali e giuridiche degli Stati membri; favorire la consapevolezza dell’identità europea, basata su valori condivisi, che trascendono le diversità culturali.

Il CoE inizia il suo programma a favore dell’ambiente nel 1961 dedicando particolare attenzione alla conservazione della natura e del paesaggio, distinguendosi con le seguenti iniziative: la Convenzione di Berna, la Strategia Pan-europea sulla Diversità Biologica e Paesaggistica (PEBLDS) e la Convenzione Europea sul Paesaggio.

La Convenzione di Berna Gli Stati membri nel corso della Conferenza Ministeriale Europea del 1979 a Berna hanno adottato la Convenzione sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat in Europa, resa operativa nel 1982.

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La Convenzione di Berna è un importante strumento legislativo di diritto internazionale per la tutela della natura; maturato parallelamente alla definizione della Direttiva 79/409 – Uccelli, trova l’adesione di 45 Parti contraenti di cui 39 sono Stati membri del CoE, cui si aggiungono la Comunità Europea, il principato di Monaco e quattro Stati africani.

Nel 1998 è stata creata la Rete EMERALD (anche nota come EMERAUDE), che coinvolge i paesi esterni all’Unione Europea in una rete di aree d’interesse speciale dal punto di vista conservazionistico che sia compatibile con la Rete istituita con la Direttiva Habitat (Rete NATURA 2000).

La Convenzione per la conservazione della fauna e della flora europea e dei loro habitat naturali, firmata a Berna nel 1979 e recepita dall’Italia nel 1981, impone ai contraenti di cooperare per rafforzare le misure di protezione, di coordinare i lavori di ricerca, di incoraggiare la reintroduzione di specie indigene scomparse, di contribuire a conservare le specie minacciate di estinzione o localmente scomparse. Organi della convenzione sono il Segretariato generale presso il Consiglio d’Europa e il Comitato permanente che si riunisce ogni anno e che adotta raccomandazioni e risoluzioni coordinando le attività dei gruppi di esperti. La convenzione comprende quattro allegati, i quali rispettivamente elencano le specie vegetali minacciate di estinzione e quindi da proteggere, le specie animali protette completamente e quindi non cacciabili, le specie animali che richiedono una certa protezione e che possono essere cacciate in maniera ridotta, ed i mezzi e i metodi di caccia vietati per le specie dell’allegato 3. In particolare l’art. 4 sottolinea l’importanza della protezione di aree transfrontaliere ed il Comitato permanente ha ripetutamente invitato gli Stati membri ad introdurre le reti ecologiche e dove necessario ripristinare i corridoi ecologici. La convenzione vieta qualsiasi forma di cattura, di detenzione, di uccisione e il commercio delle specie elengate nell’allegato 2. Per queste specie sono anche vietati il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione o di riposo, le molestie, soprattutto durante il periodo della riproduzione, dell’allevamento e dell’ibernazione, la distribuzione o la raccolta di uova e la loro detenzione, la detenzione ed il commercio di animali vivi, morti o imbalsamati, nonché di parti o prodotti ottenuti dall’animale.

Sotto gli auspici della Convenzione di Berna nel 1989 è stata istituita la “Rete di smeraldo”, cui è stata data forma pratica nel 1996 dal Comitato permanente della convenzione di Berna, con lo scopo di fornire una base supplementare alla rete Natura 2000 nei paesi al di fuori dell’Unione Europea.

La Strategia Pan-europea sulla Diversità Biologica e Paesaggistica (PEBLDS) La strategia Pan-europea nasce per l’attuazione della Convenzione sulla Diversità Biologica tra il CoE e l’UNEP, con il contributo dell’Organizzazione la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). E’ stata riconosciuta come strumento operativo nel 1995, nel corso della Conferenza Ministeriale di Sofia, Ambiente per l’Europa, con l’adesione di 54 Paesi appartenenti alla Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UN/ECE). Uno dei principali obiettivi della Strategia è l’istituzione entro il 2005 di una rete ecologica pan-europea. Tale rete ecologica ha lo scopo di assicurare la conservazione di specie, habitat, ecosistemi e paesaggi di importanza pan-europea (BENNETT, 2002).

2.1.3.3 La Convenzione Europea sul Paesaggio Un fattore chiave della qualità della vita sociale e individuale è rappresentato dal valore attribuito al paesaggio, valore che, oltre a contribuire allo sviluppo umano, serve a identificare la cultura europea.

La tutela del paesaggio gioca un importante ruolo d’interesse pubblico, in quanto vi convergono aspetti ecologici, ambientali e sociali che conducono a rilevanti attività economiche come il turismo.

Il dibattito degli ultimi anni ha condotto alla formulazione di una struttura di riferimento di una struttura che assicuri la tutela del paesaggio. La Convenzione Europea sul Paesaggio è stata presentata per la sottoscrizione in occasione della Conferenza Ministeriale di Firenze del 20 ottobre 2000.

La Convenzione ha come scopo la protezione, la gestione e la pianificazione dei paesaggi e mira a

organizzare una collaborazione fra Paesi Europei. Il paesaggio è definito come “una determinata parte del territorio il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umano e dalle loro interrelazioni”.

La convenzione riguarda tutto il territorio: spazi naturali, paesaggi rurali, urbani e suburbani, spazi terrestri, acque interne e marine.

La Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale Nel 1972, a Parigi, la Conferenza generale dell’UNESCO ha approvato la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale (World Heritage Convention); è la prima convenzione che prende in considerazione la possibilità di proteggere la natura su scala globale, sebbene gli scopi siano quelli di identificare siti che possano essere dichiarati “patrimonio dell’umanità” e assicurarsi che i governi li preservino, siano essi di valore culturale come di importanza naturale.

La Convenzione di Washington (CITIES) Nel 1973 a Washington è stata firmata la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna minacciate di estinzione, meglio nota con l’acronimo CITES (Convention of International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), poi emandata a Bonn nel 1979, recepita in Italia nel 1975, con la legge n. 874, “Ratifica ed esecuzione della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973” e nel 1982 con la legge n. 558 “Accettazione ed esecuzione dell’emendamento al paragrafo 3 dell’art. XI della convenzione di Washington del 3 marzo 1973 sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via d’estinzione, adottato a Bonn il 22 giugno 1979”. Un sistema sanzionato in materia è stato istituito con la legge n.150 “Disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via d’estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di Mammiferi e Rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica”. I compiti in materia sono demandati alla Direzione generale per la protezione della natura del Ministero dell’Ambiente e al Corpo forestale dello Stato che cura la gestione amministrativa e il controllo merceologico e rilascia la certificazione attraverso i nuclei operativi CITES. La Convenzione regolamenta il commercio (esportazione, riesportazione, importazione, transito, trasbordo o detenzione a qualunque scopo) di alcune specie di animali e piante minacciate di estinzione nei Paesi aderenti. E’ stata recepita anche dall’Unione Europea.

La Convenzione di Bonn La Convenzione per la conservazione delle specie migratrici di animali selvatici, firmata a Bonn nel 1979 e ratificata in Italia nel 1983, ha il fine si tutelare le specie migratrici terrestri e acquatiche in tutto il loro areale. L’appendice 1 elenca le specie migratrici minacciate di estinzione; le parti contraenti si impegnano alla loro stretta protezione anche tramite la conservazione degli habitat e l’eliminazione dei fattori di rischio. Nell’appendice 2 inoltre sono elencate le specie migratrici che potrebbero beneficiare in maniera significativa di una maggiore cooperazione internazionale. L’aspetto innovativo ed unico della convenzione di Bonn è che intende proteggere il fenomeno stesso della migrazione, al di là delle singole specie e delle aree. Ci sono stati accordi internazionali collegati con questa convenzione, come quello per la protezione degli uccelli acquatici afro-euroasiatici del 1995, che ha voluto assicurare la protezione delle rotte migratorie, ricordando ai Paesi interessati di regolare le attività umane che possono interferire con le specie migratrici e di mantenere dei corridoi adeguati perchè la migrazione non sia turbata. Ancora nell’ambito della convenzione di Bonn sono stati sottoscritti altri due accordi, rispettivamente noti come Accobams e Eurobat.

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Direttiva Uccelli e Direttiva Habitat Un’importante iniziativa della Comunità Europea è stata presa nel 1979 con la Direttiva 79/409 “Conservazione degli uccelli selvatici”, recepita dall’Italia nel 1992, con la legge 157, “Norme per la protezione della fauna selvatica omoterma e per il prelievo venatorio” e con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 settembre 1997, “Modalità di esercizio delle deroghe di cui all’art.

9 della direttiva 409/79/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici”. La “Direttiva Uccelli” è stata successivamente modificata con le Direttive 81/84/CEE, 91/244/CEE, 94/24/CE, 97/49/ CE, ed infine 2009/147/CE. L’allegato I elenca le specie di uccelli per le quali sono necessarie misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantirne la sopravvivenza e la riproduzione. Allo scopo di mantenere o ripristinare in un stato di conservazione favorevole habitat naturali e specie animali e vegetali, la Comunità Europea nel 1992 ha stilato un’altra Direttiva, 92/43/CEE sulla “Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della fauna e flora selvatiche”, modificata con la Direttiva 97/62/CE e con il Regolamento CE n. 1882/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 settembre 2003. E’ stata recepita dall’Italia nel 1997, con decreto n. 357, “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”, modificato ne 2003, con decreto n. 120, “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n.

357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali , nonché della flora e della fauna selvatiche”. L’allegato I comprende i tipi di habitat naturali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Aree Speciali di Conservazione; l’allegato II le specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione; l’allegato III i criteri di selezione dei siti atti ad essere individuati quali Siti di Importanza Comunitaria e designati quali Zone Speciali di Conservazione; l’allegato IV le specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa; l’allegato V le specie animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo in natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione; infine, l’allegato VI i metodi e mezzi di cattura e di uccisione nonché le modalità di trasporto vietati.

La grande novità di questa Direttiva è che prevede la costituzione della rete “Natura 2000” e si propone di contribuire alla salvaguardia della biodiversità anche attraverso misure si tutela diretta delle specie la cui conservazione è considerata un interesse comune di tutta la Comunità. Ogni Stato membro ha redatto, secondo i criteri stabiliti dall’allegato III, un elenco di siti che ospitano habitat naturali e vegetali selvatiche. Tra questi siti la Commissione adotta l’elenco dei Siti di Importanza Comunitaria (SIC). Entro sei anni dall’individuazione di un SIC lo Stato deve designare il sito come Zona Speciale di Conservazione. Sono anche definite le procedure per la reintroduzione delle specie dell’allegato IV. Direttiva Habitat e Direttiva Uccelli insieme rappresentano lo strumento fondamentale dell’Unione Europea per la realizzazione della rete ecologica, “allo scopo di assicurare uno stato favorevole di conservazione degli ecosistemi, habitat, specie e paesaggi di importanza europea”. In particolare poi l’art. 10 della Direttiva Habitat riprende il concetto di corridoi per la migrazione, dispersione e flusso genico delle popolazioni delle specie selvatiche.

Nel 2000 è stata firmata a Firenze dal Comitato dei Ministri della cultura e dell’ambiente del Consiglio d’Europa una Convenzione europea del paesaggio, che ha dato un ulteriore base legale alla creazione delle reti ecologiche , incoraggiando la cooperazione tra i Paesi per conservare habitat transfrontalieri e corridoi internazionali. E’ stata firmata da 2 Stati dell’Unione Europea e ratificata da dieci di essi, tra cui l’Italia nel 2006. Essa concepisce una nuova dimensione paesaggistica del territorio, definendo il paesaggio come una determinata parte del territorio, così come è percepita dalla popolazione, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. In un certo senso il paesaggio viene considerato il punto d’incontro tra natura e la storia.

La Convenzione di Ramsar La Convenzione di Ramsar sulle aree umide di importanza internazionale, approvata nel 1971, si può considerare pioniera nella promozione della conservazione degli ecosistemi; le sue nuove linee-guida nel 2002 sono state approvate dalla Conferenza delle Parti, che ha raccomandato l’importanza della connettività tra le aree umide e di una loro gestione internazionale, che superi le barriere delle frontiere politiche ed amministrative. Il secondo Piano d’azione strategico per il 2003-2008 ha quindi previsto una cooperazione internazionale per la conservazione e la gestione delle aree umide.

La Convenzione di Barcellona Anche le aree marine sono state oggetti d’interesse da parte dell’Unione Europea. In nuovo protocollo sulle aree mediterranee specialmente protette, più noto come Convenzione di Barcellona, nel 1995 ha migliorato la convenzione per a protezione degli ambienti marini e delle regioni costiere del Mediterraneo, con lo scopo di stabilire una rete di aree in cui siano salvaguardati habitat minacciati o essenziali per la conservazione di specie minacciate. Nel 2005 è stato lanciato un piano d’azione per la conservazione degli uccelli marini del Mediterraneo. Ugualmente la Convenzione di Helsinki nel 1994 ha stabilito un sistema di aree protette nel mar Baltico. Nel 1992 la Convenzione per la protezione del mar Nero contro l’inquinamento ha dato vita a diversi schemi per conservare habitat naturali, critici per specie prioritarie. Più recentemente nel 2003, per rendere più facile l’individuazione delle aree naturali da proteggere, in Bulgaria è stato firmato il Protocollo per la conservazione della biodiversità e del paesaggio del mar Nero.

Per restare in tema di mare, la Convenzione di Barcellona, firmata nel 1975, vincola tutti i Paesi rivieraschi a tutelare il Mare Mediterraneo. Il protocollo sulle aree specialmente protette riporta tre allegati: il primo indica i criteri di scelta delle aree specialmente protette, il secondo le specie che necessitano una totale protezione e il terno le specie che necessitano particolari interventi di gestione. L’Italia l’ha ratificata nel 1979 con la legge n. 30, “Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla salvaguardia del mar Mediterraneo dall’inquinamento”, con due protocolli e relativi allegati, adottata a Barcellona il 16 febbraio integrata nel 1982 con la legge n. 979, “Disposizioni per la difesa del mare”, nel 1986 con la legge n. 349, “Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale” e nel 1991 con la legge n. 349, “Legge quadro sulle aree protette”.

Va osservato che l’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione per il controllo e la gestione delle acque e dei sedimenti di zavorra delle navi (2004), la quale prevede che tutte le navi abbiano un piano di gestione ed un registro delle acque di zavorra, in modo da portare le procedure entro determinati standard. E’ appena il caso di sottolinea che il mar Mediterraneo è attraversato da un elevatissimo numero di navi da carico e petroliere e di conseguenza è molto interessato all’applicazione di questa convenzione.

Convenzione sulla Diversità Biologica Davvero fondamentale è stata la Convenzione sulla diversità biologica, adottata nel 1992 a Nairobi, in Kenya e ratificata in 192 Paesi; l’Italia l’ha fatto nel 1994 con la legge n. 124. La convenzione è stata aperta alla firma da parte dei Capi di Stato durante il Summit di Rio de Janeiro del 1992 su ambiente e sviluppo, insieme alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e alla Convenzione contro la desertificazione. Per tale ragione le tre convenzioni sono sommariamente denominate “Convenzioni di Rio”. La Convenzione sulla diversità biologica ha tre principali obiettivi: a) conservare la biodiversità; b) utilizzazione sostenibile delle sue componenti, in modo durevole; c) ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse energetiche. Sebbene non menzioni specificamente la rete ecologica, l’art. 8 di questa convenzione sottolinea l’importanza della realizzazione di un sistema di aree protette o in cui siano prese misure speciali per la conser-

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vazione della biodiversità, nonché di corridoi ecologici e zone esterne che consentano il movimento naturale delle specie. La convenzione sulla diversità biologica è vincolante dal punto di vista giuridico per i Paesi firmatari e riconosce per la prima volta che la salvaguardia della biodiversità deve essere considerata parte integrante dei processi dello sviluppo umano.

E’ importante il fatto che tra gli elementi chiave della convenzione è incluso il “principio precauzionale”, secondo il quale la carenza di conoscenze scientifiche non deve essere usata come giustificazione per ritardare misure contro i rischi di erosione della biodiversità.

E’ il caso di elencare alcuni degli impegni che i Paesi hanno sottoscritto firmando la convenzione: • adottare strategie e piani d’azione nazionali per la biodiversità • stabilire sistemi nazionali di aree protette, recuperare gli habitat degradati • stabilire programmi di ricerca e formazione, promuovere l’educazione e la sensibilizzazione del pubblico • adottare misure che creino incentivi per promuovere la conservazione e l’uso delle risorse biologiche • ridurre o evitare effetti contro la biodiversità causati dall’uso delle risorse biologiche, eventualmente adottando la valutazione l’impatto ambientali per tutti i progetti che rischiano di erodere la biodiversità Nel 2001, durante il Consiglio d’Europa tenutosi a Gothenbörg, i capi di governo si sono impegnati a ridurre il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010, inserendolo come obiettivo prioritario nella strategia dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile; il sesto programma per l’ambiente dell’Unione Europea comprende la conservazione della biodiversità (“Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”) e nel 2006 questo tema è diventato oggetto di un piano d’azione (“Fermare la perdita della Biodiversità entro il 2010 ed oltre”).

La Strategia Europea sulle specie alloctone invasive Allo scopo di frenare le invasioni di specie alloctone, nel 2003 la Convenzione di Berna ha adottato una Strategia Europea sulle specie alloctone invasive, che prevede una serie di punti chiave, basati sulla prevenzione, l’eradicazione tempestiva e l’eventuale gestione nei casi in cui l’eradicazione risulti inefficace. Gli Stati europei dovrebbero seguire questa strategia, ma nella realtà fanno ben poco.

Durante il G8 di Siracusa è stato trattato questo tema ed è stato messo in evidenza che le invasioni di specie alloctone hanno costi economici talora elevatissimi, un alto impatto sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici; tra le azioni prioritarie è stato incluso un “tempestivo allarme”, che tuttavia prevede la conoscenza del problema specifico ed una rete di esperti su tutto il territorio, che di fatto manca.

Il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza E’ stato scritto a Cartagena (Colombia) durante una sessione straordinaria della Convenzione sulla biodiversità biologica, ma poi approvato a Montreal (Canada) nel 2000, dopo una notte di negoziati da parte di tecnici e ministri di parecchi Paesi. Solo la determinazione del delegato della Danimarca e del ministro dell’ambiente della Colombia hanno consentito la sua approvazione. Esso affronta le problematiche di gestione degli organismi geneticamente modificati, in particolare la protezione della biodiversità dai rischi derivanti dal loro trasferimento, dalla loro manipolazione e dal loro uso. Il Protocollo è ispirato all’art. 19 della Convenzione sulla biodiversità ed al principio di precauzione definito dall’art. 15 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo e riconosce la necessità di indagare i potenziali rischi associati agli organismi modificati con tecniche di ingegneria genetica, in modo da garantire il più alto livello possibile di protezione della biodiversità. I Paesi che firmano la convenzione

hanno il compito di assumere le misure legali, amministrative e politiche per prevenire eventuali rischi e si impegnano a sviluppare procedure per il trasporto, la gestione e l’uso in sicurezza di qualsiasi organismo ottenuto con tecniche di ingegneria genetica, che possa avere effetti negativi sulla conservazione e sull’uso sostenibile della biodiversità. In Italia è entrato in vigore nel 2003.

Vertice ONU a Johannesburg Il vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite tenutosi a Johannesburg nel 2002 ha affrontato numerosi temi, ma è stato fortemente contestato per gli scarsi risultati ottenuti, in modo particolare per quanto riguarda energia e clima. In accordo con la risoluzione approvata dagli Stati durante il vertice di Johannesburg, sono state prese varie iniziative volte a realizzare entro il 2012 una rete di aree marine protette nel Mediterraneo che rappresentino realmente ed in modo esauriente gli habitat di questo mare. In questo modo, ha avuto inizio un processo di individuazione di aree marine d’importanza mediterranea con la finalità di realizzare una rete di aree marine mediterranee protette.

In quell’occasione i governanti hanno dato la convenzione il mandati di ridurre significativamente la perdita di biodiversità entro il 2010, il cosiddetto “countdown 2010”.

Sintesi del percorso evolutivo delle Convenzioni Internazionali Le convenzioni internazionali per la conservazione della natura possono essere attribuite a tre differenti fasi storiche (GOMES, 2002): • convenzioni di prima generazione, come gli accordi per la tutela dei mari e delle coste dagli inquinamenti di petrolio o per la protezione di specie di flora e fauna da attuare in un contesto geografico regionale; • convenzioni di seconda generazione, cioè quelle successive al dibattito dei primi anni ‘70; ad esempio la Convenzione di Ramsar del 1971, patrocinata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che salvaguardia le zone umide d’interesse internazionale, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie a rischio d’estinzione (CITES) del 1973 e la Convenzione per la tutela delle specie migratrici (CMS) del 1979. In questo contesto si distingue, per l’approccio internazionale e per il ruolo svolto negli anni successivi, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS); • convenzioni di terza generazione, originate dalla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, che perseguono lo scopo di integrare la tutela delle risorse ambientali nello sviluppo (sviluppo sostenibile): Convenzione sulla Diversità Biologica, la Convenzione sul Cambiamento Climatico, la Convenzione per la lotta al fenomeno della desertificazione.

La Convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento, sottoscritta a Barcellona nel 1976, ha sviluppato sei Protocolli tra cui quello riguardante le zone particolarmente protette e la diversità biologica nel Mediterraneo.

La Convenzione per la protezione delle Alpi, sottoscritta a Salisburgo nel 1991, prevede alcuni protocolli monotematici dei quali nove sono stati adottati tra il 1994 e il 2000 e quattro sono in attesa di adozione. Tra i Protocolli adottati, Protezione della natura e tutela del paesaggio (1994) e Foreste montane (1996) curano l’aspetto naturalistico.

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Tabella 1 – Le Convenzioni e i Protocolli Internazionali 1933

Londra

Convenzione relativa alla conservazione della fauna e della flora allo stato naturale (Africa)

1949

Roma

Accordo per la creazione della Commissione Generale della Pesca per il Mediterraneo

1946 1950 1951

Parigi Parigi

1964

Madrid

1966

Rio de Janeiro

1969

Roma

1972

Parigi

1968

1971

Algeri Nairobi

Ramsar

1973

Washington

1974

Helsinki

1976

1979

Barcellona Barcellona Berna

1979

Bonn

1980

Canberra

1981

Lima

1983

Cartagena

1981

1982

Abidjan

Montego Bay

Convenzione internazionale sulla regolamentazione della caccia alle balene (IWC) Convenzione internazionale per la protezione degli uccelli

Convenzione per la istituzione dell’Organizzazione Europea e Mediterranea per la Protezione delle Piante Accordi per la conservazione delle specie antartiche di fauna e flora protocollo al Trattato Antartico sulla protezione ambientale (1991)

Convenzione internazionale per la conservazione dei tunnidi dell’Atlantico

Convenzione africana per la conservazione della natura e delle risorse naturali.

Protocollo concernente le aree protette, la fauna e la flora selvatiche nella regione dell’Africa orientale (1985) Convenzione per la conservazione delle risorse biologiche dell’Atlantico sud-orientale Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale – IUCN e UNESCO

Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale – Consiglio d’Europa e UNESCO Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche in pericolo di estinzione (CITES) - UNEP Convenzione per la protezione dell’ambiente marino dell’area del Mar Baltico

Convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento – UNEP 6 protocolli, compreso quello relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità biologica del Mediterraneo (ASPIM) 1982-1995

Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa – Consiglio d’Europa Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica (CMS) UNEP Convenzione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide

Convenzione per la cooperazione nella protezione e nello sviluppo degli ambienti costieri e marini dell’Africa occidentale e centrale Convenzione per la protezione dell’ambiente marino e dell’area costiera del Pacifico sud-orientale Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) - UNEP

Kingston

Convenzione per la protezione e lo sviluppo dell’ambiente marino nella regione caraibica protocollo concernente le aree specialmente protette e la vita selvatica della convenzione di Cartagena (1990)

1986

Noumena

Convenzione per la protezione delle risorse naturali e dell’ambiente del Pacifico meridionale

1992

New York

1992

Rio de Janeiro

1994

Parigi

1985

1991

2000

Washington

Nairobi

Salisburgo

Firenze

Convenzione per la protezione, la gestione e lo sviluppo dell’ambiente marino e costiero dell’Africa orientale Convenzione per la protezione delle Alpi 9 protocolli, compreso quello relativo alla protezione della natura e alla tutela del paesaggio Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNCCC) – UNCED protocollo di Kyoto (non ancora in vigore, 1997) Convenzione sulla diversità biologica (CBD) - UNCED protocollo di Cartagena relativo alla prevenzione dei rischi biotecnologici (2000)

Convenzione per combattere la desertificazione – particolarmente in Africa (UNCCD) - UNCED Convenzione europea sul paesaggio – Consiglio d’Europa

Recepimento delle Convenzioni nell’Unione Europea Nel 1972, stesso anno della Conferenza di Stoccolma, con la Conferenza dei Capi di Stato e di Governo della Comunità Europea a Parigi si ravvisò la necessità di attuare una politica ambientale comune, dando origine al diritto comunitario in materia di salvaguardia dell’ambiente.

Da allora, con cadenza inizialmente quadriennale, viene periodicamente elaborato il Programma d’Azione per l’ambiente, giunto attualmente alla sesta edizione.

Il seguito all’Accordo di Maastricht (1992), viene inoltre riconosciuta la necessità di promuovere la sottoscrizione, da parte dell’Unione Europea, di accordi internazionali in cui risulti oggettivo il coinvolgimento di più di uno Stato comunitario. Vengono così sottoscritte: • la Convenzione di Washington sul commercio internazionale di specie di flora e fauna a rischio di estinzione (CITES, UNEP, 1973); • la Convenzione di Berna per la tutela della flora e della fauna selvatica in Europa (Consiglio d’Europa, 1979); • la Convenzione di Bonn sulle specie migratrici (CMS, UNEP, 1979); • la Convenzione delle Alpi (1991); • le Convenzioni sottoscritte nel corso della Conferenza di Rio de Janeiro, tra cui la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD, UNEP, 1992).

Il Programma Ambientale dell’Unione Europea In risposta alle istanze ambientali che si andavano concretizzando all’inizio degli anni ‘70 dello scorso secolo, l’Unione Europea ha attivato una serie di “programmi di azione ambientale” allo scopo di fornire le indicazioni di base per successive proposte legislative e altre iniziative della Commissione Europea.

Il I programma d’azione in materia ambientale (1973-1976) ha sottolineato da un lato l’importanza dei problemi ambientali connessi principalmente con l’urbanizzazione e la distribuzione geografica degli uomini e delle loro attività e dall’altro la necessità di trovare soluzioni unitarie a livello comunitario. Il programma insisteva quindi soprattutto sull’esigenza di adottare misure in materia urbanistica, di concentrazione urbana e di circolazione.

Il II programma d’azione (1977-1981) ha focalizzato l’attenzione sulla riduzione dell’inquinamento, sulla protezione e il miglioramento dell’ambiente e sul rafforzamento della presenza comunitaria a livello internazionale. Ha, inoltre, avviato sia un programma di ricerca nel settore della pianificazione urbana, mirato a un’analisi delle ripercussioni ambientali delle grandi concentrazioni urbane nella Comunità, che un programma di informatizzazione e monitoraggio ambientale.

Il III programma d’azione (1982-1986) non ha proposto, come i precedenti, misure da intraprendere, ma ha affidato alla politica ambientale un ruolo “strutturale”, dotandola di “obiettivi quadro”. Tra i più importanti obiettivi quadro da raggiungere ci sono l’integrazione della dimensione ambientale nelle altre politiche comunitarie e l’elaborazione di una procedura di valutazione di impatto ambientale.

Il IV programma d’azione (1987-1992) ha riconosciuto il carattere preventivo della politica ambientale, sostenendo come la tutela ambientale debba costituire una componente essenziale di tutte le politiche messe in atto, sia sul piano economico che sociale. L’attenzione della Comunità viene quindi rivolta anche alla qualità delle condizioni ambientali.

Il V programma d’azione per lo sviluppo durevole e sostenibile (1992-2000) è stato elaborato parallelamente all’Agenda 21.

In tale contesto si collocano due importanti iniziative:

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• la Direttiva del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (92/43/CEE – Habitat).

• In precedenza, con la Direttiva del Consiglio del 2 aprile del 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/CEE – Uccelli), era stato creato un insieme di aree protette, a livello europeo, per la tutela e la salvaguardia dell’avifauna. Tale idea di gestione territoriale integrata è stata ulteriormente sviluppata dalla Direttiva Habitat mediante la creazione della rete NATURA 2000, rete dal carattere sovranazionale alla quale contribuiscono tutti gli Stati membri dell’Unione.

• La Strategia comunitaria per la diversità biologica approvata nel 1998.

La strategia prevede quattro principali aree tematiche nell’ambito delle quali sono individuati gli obiettivi specifici da raggiungere mediante i piani d’azione e altri provvedimenti.

Gli obiettivi sono suddivisi in otto aree di intervento politico, da raggiungere nell’ambito delle politiche nazionali e degli strumenti comunitari.

• Tale Strategia tiene anche conto degli obiettivi contenuti nella PEBLDS. A seguito dell’esperienza maturata alla fine del XX secolo, il VI Programma d’Azione per l’ambiente (2001-2010) intitolato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” sottolinea come il futuro lavoro di salvaguardia debba essere rafforzato anche mediante un aumento della conoscenza. In particolare risulta necessario ottenere maggiori informazioni sulla biodiversità, sulle pressioni che la minacciano e sulle attuali tendenze consentendo la definizione di strumenti politici mirati ed efficaci.

L’obiettivo strategico del 2010: “Arrestare la perdita di biodiversità entro l’anno 2010” Alle soglie del III millennio nell’ambito del Consiglio d’Europa, i capi di Stato e di Governo che hanno partecipato al Summit di Gothebörg (15-16 giugno 2011) hanno convenuto sulla necessità di intraprendere azioni concrete finalizzate ad arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010. Tale decisione è stata in seguito condivisa e rafforzata in altre prestigiose sedi internazionali quali il Summit mondiale per lo Sviluppo Sostenibile (Joahnnesburg, settembre 2002) durante il quale nell’ambito del decennale della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, è stato adottato un Piano contenente azioni mirate a una significativa riduzione della perdita di biodiversità entro l’anno 2010.

Nell’ambito della Convenzione per la diversità Biologica, le ultime due COP (Aja, 2002; Kuala Lumpur, 2004) sono state caratterizzate da numerose decisioni volte a incrementare le attività delle Parti contraenti per un significativo raggiungimento dell’obiettivo globale, avviando anche un processo di revisione sul programma di lavoro della Convenzione stessa.

A livello continentale, attraverso la Risoluzione di Kiev e la Strategia Pan-Europea, l’Europa ha individuato le azioni da intraprendere per il raggiungimento dell’obiettivo del 2010.

Anche a livello comunitario, la Commissione Europea adottando nel luglio 2002 il VI Programma d’Azione per l’ambiente ha espresso, nella sua sintetica denominazione “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”, la propria adesione all’obiettivo globale del 2010 il cui rispetto ha guidato la scelta della priorità nella programmazione delle azioni da intraprendere.

Durante lo svolgimento delle varie attività istituzionali che gli Stati ed i Governi portano avanti attraverso Strategie, Piani e Programmi sia a livello nazionale che internazionale, è emersa nelle varie sedi la necessità di coinvolgere la società civile e tutti gli attori ed i settori coinvolti affinché le tematiche ambientali vengano affrontate al fine di raggiungere sinergicamente l’obiettivo comune di arrestare la perdita di biodiversità, in modo tangibile, entro l’anno 2010.

La presenza millenaria dell’uomo nel continente europeo è in parte causa stessa dell’elevata biodiversità che lo caratterizza. La varietà di ecosistemi, di habitat e le numerose specie che vivono sul nostro territorio e nei nostri mari, rappresentano una ricchezza che deve essere salvaguardata e monitorata in quanto parte della biodiversità a livello planetario. Con questa consapevolezza sono state messe a

punto le strategie dell’Europa occidentale ed orientale.

Nel maggio 2004 in Irlanda (Malahide) si è svolta una Conferenza organizzata dalla Presidenza Irlandese e cofinanziata dalla Commissione europea, con l’obiettivo di sensibilizzare tutti i settori della società civile e fornire alla Commissione e al Parlamento un programma di lavoro condiviso che ha prodotto un documento, approvato dal Consiglio dell’Unione europea il 28 giugno 2004, contente 18 obiettivi, strutturati a loro volta in un centinaio di targets, scaturiti dal processo di revisione della strategia sulla biodiversità e dei relativi piani d’azione.

Il documento di Malahide esprime i risultati della revisione tecnico-scientifica della strategia comunitaria sulla Biodiversità e sui rispettivi Piani di azione effettuata in questo ultimo anno attraverso la ridefinizione delle priorità sulle quali si dovranno produrre azioni concrete nei prossimi 5 anni.

Il documento è preceduto da un preambolo che sarà completato dalla Commissione in collaborazione con la Presidenza Irlandese e segue la struttura della Strategia Europea sulla biodiversità del 1998 (Politiche settoriali e Temi).

Nel complesso sono stati individuati 18 obiettivi, strutturati a loro volta in un centinaio di target, e sono stati aggiunti un nuovo settore e un nuovo tema a quelli precedentemente stabiliti dalla Strategia del 1998.

IL RECEPIMENTO DELLE CONVENZIONI SULLA BIODIVERSITÀ IN ITALIA: LA STRATEGIA NAZIONALE PER LA BIODIVERSITÀ Questa Strategia, nel confermare l’impegno nazionale per il raggiungimento dell’obiettivo di fermare la perdita di biodiversità entro il 2020, si pone come strumento di integrazione delle esigenze di conservazione e di uso sostenibile della biodiversità nelle politiche nazionali, per il suo valore intrinseco e tangibile e per l’importanza dei servizi ecosistemici da essa derivanti, che sono essenziali per il benessere umano.

La visione della strategia è che la biodiversità e i servizi ecosistemici, nostro capitale naturale, sono conservati, valutati e, per quanto possibile, ripristinati, per il loro valore intrinseco e perchè possano continuare a sostenere in modo durevole la prosperità economica e il benessere umano nonostante i profondi cambiamenti in atto a livello globale e locale.

Gli obiettivi strategici mirano a garantire la permanenza dei servizi ecosistemici necessari alla vita, ad affrontare i cambiamenti ambientali ed economici in atto, ad ottimizzare i processi di sinergia fra le politiche di settore e la protezione ambientale.

Gli obiettivi strategici sono tre: • entro il 2020 garantire la conservazione della biodiversità, intesa come la varietà degli organismi viventi, la loro variabilità genetica ed i complessi ecologici di cui fanno parte, ed assicurare la salvaguardia e il ripristino dei servizi ecosistemici al fine di garantirne il ruolo chiave per la vita sulla Terra e per il benessere umano; • entro il 2020 ridurre sostanzialmente nel territorio nazionale l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, definendo le opportune misure di adattamento alle modificazioni indotte e di mitigazione dei loro effetti ed aumentando la resilienza degli ecosistemi naturali e seminaturali; • entro il 2020 integrare la conservazione della biodiversità nelle politiche economiche e di settore, anche quale opportunità di nuova occupazione e sviluppo sociale, rafforzando la comprensione dei benefici dei servizi ecosistemici da essa derivanti e la consapevolezza dei costi della loro perdita.

In ragione della trasversalità del tema biodiversità che risulta strettamente interconnesso con la maggior parte delle politiche di settore, il conseguimento degli obiettivi strategici viene affrontato nell’ambito di diverse aree di lavoro, tra i quali: le aree urbane, la salute, l’energia, il turismo e l’educazione, l’informazione, la comunicazione e la partecipazione.

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Le aree urbane Le aree urbane attualmente accolgono l maggioranza della popolazione mondiale. Secondo UN-Habitat, l’Agenzia ONU ad esse dedicata, in Italia il 68,4% della popolazione vive in aree urbane.

Questa imponente concentrazione di persone si traduce progressivamente in un altrettanto importante raggruppamento di fattori di pressione sugli ecosistemi e più in generale sulle risorse naturali. L’impermeabilizzazione dei suoli, gli scarichi nei corpi idrici, le emissioni atmosferiche di sostanze tossiche per l’uomo e gli altri organismi viventi, la produzione di rifiuti, sono tutte pressioni ambientali che hanno origine sostanzialmente nelle aree urbanizzate.

Tali pressioni esercitano la loro azione sia sull’ambiente più prossimo agli ambiti di localizzazione delle singole fonti, e quindi sulle stesse aree urbanizzate, sia su ambiti territoriali anche sensibilmente più vasti. Nel primo caso, gli effetti più evidenti riguardano la sfera sanitaria e più in generale la qualità della vita della popolazione urbana. Nel secondo caso, gli impatti ricadono sulle risorse naturali, anche con carattere globale, come nel caso della perdita di biodiversità, dei cambiamenti climatici o della qualità ecologica dei corpi idrici, con conseguenti riflessi sulla sostenibilità dello sviluppo.

Le proiezioni di crescita delle città sono commensurate alla stima della crescente migrazione d popolazione verso ambiti antropizzati, collegati e costruiti.

La domanda e il consumo di risorse, fenomeni collegati alla crescita demografica e all’estensione delle aree urbane, sono in costante aumento, e per questo sono necessari degli sforzi integrati di gestione del fenomeno dell’urbanizzazione.

Occorre quindi perseguire degli obiettivi generali di sostenibilità, che nei contesti urbani si risolve in una molteplice accezione: sostenibilità sociale ed economica dei modelli di sviluppo e delle trame insediative, sostenibilità ambientale dei contesti antropizzati rispetto al loro rapporto con le aree “naturali”, e così via.

Questi temi devono essere integrati nella gestione delle trasformazioni territoriali e nella pianificazione e progettazione della città, il cui benessere deriva dall’applicazione di modelli armoniosi di sviluppo, che siano in grado di costruire l’armatura su cui fondare la società contemporanea.

La morfologia urbana è determinante per la biodiversità e il clima: quando il consumo di suolo sacrifica spazi verdi e permeabili per sostituirli con asfalto e cemento, si riscontrano evidenti alterazioni climatiche, oltre che nei paesaggi, ed una notevole perdita di biodiversità.

Lo strumento principale per garantire una corretta gestione delle aree urbane, e quindi per integrarvi la fondamentale componente di biodiversità, è il piano urbanistico comunale, il quale, al giorno d’oggi, pur in assenza di una legge quadro riferita al governo del territorio, deve essere in grado di rendere operativi nel contesto locale gli spunti nazionali e internazionali dati dalle politiche per l’ambiente e la conservazione della biodiversità.

I piani di governo del territorio devono quindi integrare piani di gestione del verde esistente e del verde di progetto, ponderando sincronicamente le dinamiche biologiche e vegetazionali che l’attuazione del piano comporterà per l’intero ambito territoriale, non solo a piccola scala.

Per garantire la continuità ecologica anche in ambito urbano, i piani devono contenere previsioni di mantenimento dei cosiddetti “corridoi ecologici”, ovvero elementi naturali che connettono due o più ambiti di habitat. Il corridoio ecologico nelle aree urbane, vera e propria “fenditura” tra ambiti antropizzati e costruiti, consente un continuum ambientale al cui interno è possibile lo spostamento di specie viventi, consentendo una connessione indispensabile per la biodiversità e lo scambio genetico tra le popolazioni.

I corridoi ecologici sono particolarmente efficaci alla conservazione della biodiversità, riducendo la separazione fisica tra le popolazioni animali o vegetali, rappresentata da barriere reali lineari (autostrade, strade di grande comunicazione, importanti assi ferroviari), da barriere diffuse (città, aree indu-

striali o commerciali) oppure dalla mancanza o dalla scarsa efficacia di aree naturali di collegamento tra le varie popolazioni.

Nelle aree urbane occorre quindi promuovere il mantenimento delle aree verdi, puntare alla riqualificazione del sistema delle aree naturali per consentire, anche in ambiti antropizzati, la continuità della biodiversità.

La salute Le Nazioni Unite riconoscono la necessità di conciliare la conservazione della biodiversità e la promozione della salute e del benessere umano.

Nonostante questo riconoscimento, la conservazione della biodiversità e la salute umana in genere non sono affrontati nello stesso contesto di pianificazione strategica.

La qualità di servizi protettivi per la salute quali la purificazione dell’acqua e dell’aria, la produzione di ossigeno e di molte materie prime, la stessa produttività agricola dei nostri territori, la sicurezza biologica, chimica e nutrizionale dei nostri alimenti sono strettamente legati alla nostra capacità di conservare la biodiversità.

Gli obiettivi di prevenzione comunque impongono lo sviluppo di strumenti per lo studio e l’analisi delle condizioni di rischio di rilievo per la tutela della salute e di un sano sviluppo sostenibile, nonché l’integrazione dei loro aspetti principali nei piani e programmi di tutela e conservazione della biodiversità.

Il degrado e la perdita dei servizi ecosistemici, oltre a compromettere il ruolo chiave nel favorire beni come cibo, medicine e materie prime, comportano la perdita dell’effetto tampone protettivo per la tutela e la sostenibilità della qualità di aria, acqua, suolo d’importanza fondamentale per la salute umana, attraverso meccanismi di filtrazione e purificazione, detossificazione di composti chimici in suoli e sedimenti e la presenza di animali predatori naturali di vettori di malattie infettive.

La governance di molti dei rischi per la salute dovuti al degrado degli ecosistemi ed alle sinergie in essere con cambiamento e variabilità del clima richiede una serie di meccanismi e strumenti da sviluppare all’interno di un quadro organico di programma per il raggiungimento di alcuni obiettivi specifici, tra cui: • l’integrazione degli aspetti di rilievo per la salute pubblica nei piani e programmi di tutela e conservazione della biodiversità attraverso lo sviluppo di strumenti conoscitivi e strumenti operativi; • l’aumento della consapevolezza nella popolazione dell’importanza della biodiversità e dei servizi ecosistemici per la tutela della salute attraverso l’integrazione dei temi nelle politiche di educazione ambientale; • la promozione della conservazione della biodiversità per la tutela di salute e benessere in azioni e progetti in ambiti locali, negoziali, intergovernativi e intersettoriali; • l’approfondimento delle conoscenze dei rischi e degli impatti sulla salute da effetti sulla biodiversità correlati a cambiamento e variabilità del clima; • la tutela e la gestione sostenibile di specie vegetali e animali importanti per la conservazione della produzione alimentare e della sicurezza nutrizionale; • il rafforzamento dei sistemi sanitari ed ambientali di primo allarme e risposta a rischi emergenti da specie aliene; • la prevenzione delle malattie veicolate da specifici vettori ed il loro controllo attraverso la gestione ambientale integrata; • la tutela e la gestione sostenibile di specie vegetali ed animali necessari per fini terapeutici e per la ricerca biomedica; • il rafforzamento a livello nazionale dell’integrazione tra conservazione della biodiversità e salute e benessere umano.

L’energia

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Gli impatti sulla biodiversità del settore energetico variano sensibilmente in base sia alle diverse fasi del ciclo energetico – produzione, trasporto/distribuzione, trasformazione e consumo finale – sia alla fonte di energia utilizzata.

Gli impatti sulla biodiversità nel settore energia variano enormemente e nessuna misura di mitigazione nel settore energetico è completamente “biodiversity friendly”; comunque le migliori opzioni sono rappresentate da: • energia solare (fotovoltaica nonostante il consumo di suolo in operazioni su larga scala, e solare termico con una domanda di acqua che può essere critica in regioni con scarsità d’acqua); • energia eolica, nonostante gli impianti eolici possano rappresentare un problema per alcune specie di uccelli e di pipistrelli; • energia geotermica, nonostante nel caso di grossi impianti si possano rilevare impatti puntuali piuttosto rilevanti, dovuti ad emissioni di sostanze inquinanti; tali effetti non si riscontrano negli impianti geotermici a bassa entalpia.

Per quanto riguarda gli obiettivi specifici: • promuovere la sostenibilità delle colture energetiche ribadendo la necessità di puntare su filiere corte, che abbiano bilanci energetici (e di carbonio) realmente vantaggiosi, che non siano causa di perdita di biodiversità e di suoli; • individuare soluzioni di mitigazione degli impatti dati dalla realizzazione ed esercizio delle infrastrutture; • limitare il consumo di suolo non antropizzato prediligendo ampliamenti, laddove possibile, di infrastrutture esistenti; • salvaguardare le aree naturali e gli habitat; • integrare nella pianificazione territoriale le politiche energetiche, per una ponderazione sincronica degli effetti sulle componenti ambientali e della biodiversità; • applicare la VAS per l’integrazione delle tematiche ambientali nella formazione di piani e programmi energetici sostenibili; • applicare le procedure della relazione paesaggistica ex D.P.C.M. 12/12/2005 per l’individuazione delle migliori soluzioni di integrazione delle infrastrutture con il contesto paesaggistico e naturale; • favorire la mitigazione dell’inquinamento acustico, luminoso, atmosferico, pedologico e magnetico attraverso l’individuazione di forme di mitigazione che prevedano aree verdi e il mantenimento/creazione di corridoi ecologici e habitat naturali.

Il turismo Nel mondo, nell’Europa e in Italia, il turismo rappresenta uno dei settori più importanti e in crescita dell’economia che può contribuire in misura significativa al raggiungimento degli obiettivi di mantenimento di livelli elevati di aumento occupazionale, di un progresso etico che tenga conto dell’opportunità che ciascun individuo ha di riscoprire il valore della socializzazione, di una tutela efficace dell’ambiente e di uno sfruttamento equilibrato delle risorse naturali.

Coerentemente con i limiti di risorse naturali, economiche, sociali e culturali considerati in modo implicito nella sostenibilità economica, il settore turismo non può concretizzarsi in un’espansione indefinita. Tuttavia, mediante strategie specifiche, l’attività turistica può essere riallineata in modo tale da soddisfare i requisiti di sostenibilità divenendo al tempo stesso banco di prova e motore di crescita multifunzionale, rispettosa del sistema naturale a vantaggio anche delle generazioni future.

Proprio perchè basato in larga parte sulla qualità ambientale, culturale e sociale, il turismo rischia di diventare economicamente e socialmente insostenibile quando provoca il deterioramento e l’esaurimento delle risorse che sono alla base della sua redditività.

Gli obiettivi specifici per questa area di lavoro sono così individuati: • prevenire e minimizzare gli impatti sulle componenti della biodiversità e sul paesaggio derivanti dall’attività turistica e favorire azioni di ripristino; • promuovere l’integrazione tra conservazione e uso sostenibile della biodiversità e sviluppo del turismo; • assicurare un’informazione di base, anche attraverso indicatori specifici, che consenta di effettuare valutazioni e di prendere decisioni consapevoli ad ogni livello sul tema turismo e biodiversità; • promuovere ‘educazione, la formazione, l’informazione e la sensibilizzazione sui temi del turismo sostenibile e del consumo critico delle risorse; • promuovere in un’ottica di turismo sostenibile l’immagine nazionale sui mercati mondiali, valorizzando la biodiversità, le risorse e le caratteristiche dei diversi ambiti territoriali.

L’educazione, l’informazione, la comunicazione e la partecipazione L’educazione, l’informazione e la comunicazione in campo ambientale rivestono oggi una peculiare importanza in quanto, parallelamente all’aggravamento delle questioni ambientali e alla presa di coscienza delle complessità delle soluzioni, si è sviluppata la necessità di informare i cittadini su tali argomenti per sensibilizzarli e, al contempo, contribuire alla crescita della consapevolezza, ma soprattutto della responsabilità individuale e collettiva.

L’obiettivo di far conoscere cosa sia la biodiversità, il sistema complesso si relazioni ambientali, economiche, sociali e culturali che ne determinano la perdita o la conservazione, mettendo ciascuno in grado di prendere decisioni e comportarsi in modo culturalmente adeguato e localmente significativo per la sua conservazione, richiede di sviluppare una molteplicità di valori, atteggiamenti e competenze.

Di seguito gli obiettivi specifici: • rendere chiara, accessibile e comprensibile a tutti l’informazione sul valore della biodiversità; • rafforzare il ruolo dell’educazione, dell’informazione e della comunicazione come fattori di sensibilizzazione e percezione delle tematiche ambientali in generale e degli obiettivi di questa Strategia in particolare; • migliorare la formazione specifica degli educatori; • favorire il confronto, la condivisione e lo scambio di buone pratiche fra i soggetti operanti nell’ambito dell’educazione alla sostenibilità ambientale e alla conservazione della biodiversità; • riorientare le iniziative educative al cambiamento e allo sviluppo del pensiero riflessivo e critico riguardo al tema della biodiversità incentivando l’adozione di comportamenti responsabili; • migliorare il livello di informazione, formazione e sensibilizzazione dei decisori politici e degli amministratori sull’importanza della biodiversità; • inserire nei curricula scolastici la biodiversità, come aspetto della sostenibilità, sia all’interno delle discipline già esistenti, sia negli spazi interdisciplinari e di progetto; • promuovere l’utilizzazione di processi partecipati come strumenti chiave per la tutela della biodiversità.

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