Informatore Irpino

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2020

“TRA SACRO E PROFANO”


Immersa nella luce che le regala un clima privilegiato, l’Irpinia è una terra la cui eleganza si rivela passeggiando lungo le vie e nelle piazze. Visitare l'Irpinia vuol dire viaggiare attraverso una provincia fra le più belle d'Italia e che dell'Italia conserva le migliori caratteristiche: i monumenti, le chiese, la tradizione enogastronomica ed i parchi naturali. Qui la storia fa da sfondo a una quotidianità che coniuga i piaceri dello shopping e la nobiltà del patrimonio, le bellezze architettoniche, le passeggiate tra il verde. Ogni fontana serba i suoi segreti, ciascun palazzo ha qualche storia da raccontare. Le case di campagna sono adorne di parchi e giardini come nei tempi antichi. La verde Irpinia offre tanto da vedere, da sentire, da scoprire e si presenta accogliente in tutte le stagioni. Ripercorrendo il cammino della storia, partite alla scoperta di monumenti, castelli, cappelle, oratori ed altri tesori del patrimonio monumentale. La vostra gita diventerà gastronomica grazie alla buona tavola e alle feste di paese, alle nostre vigne che vantano ben tre vini DOCG (Taurasi, Greco di Tufo, Fiano di Avellino), alle specialità irpine e ai frantoi.

HANNO COLLABORATO A QUESTA EDIZIONE I COMUNI DI: ARIANO IRPINO ............................................................................................................................................................ pg 10

CASALBORE ............................................................................................................................................................ pg 28

FLUMERI ............................................................................................................................................................ pg 38

GROTTAMINARDA ............................................................................................................................................................ pg 48

MELITO IRPINO ............................................................................................................................................................ pg 56

SAVIGNANO IRPINO ............................................................................................................................................................ pg 70

STURNO ............................................................................................................................................................ pg 86

ZUNGOLI

pg 96

Finito di stampare anno 2019

Alcuni contenuti sono tratti da altre fonti - Tutti i diritti sono riservati è vietata la riproduzione

Progettazione e organizzazione: Angelo Iannarone - Celestino Anzivino Progettazione Grafica:

E-direct Srl

Stampa:

Grafiche Lucarelli

Ringraziamenti:

Architetto Luigi Salierno (La Via Francigena) Associazione Sante Spine


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ARIANO IRPINO | Il Castello 10


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ARIANO IRPINO DATI DEMOGRAFICI Abitanti 23.041 Altitudine 817mt. Superficie 185,52 Km2 Nome abitanti Arianesi

SINDACO Enrico FRANZA

SANTO PATRONO DELLA CITTÀ S. Ottone Frangipane - 23 MARZO 12


NUMERI UTILI

Polizia di Stato 0825.829311 Carabinieri 0825.871061 Guardia di Finanza 0825.871146 Vigili del fuoco 0825.441017

COSA VEDERE

La Cattedrale Il Castello Normanno La Villa Comunale Museo Diocesano

MANIFESTAZIONI ED EVENTI Estate Arianese Vicoli e Arte Sante Spine Ariano International Film Festival Ariano Folk Festival Ariano Festa della Pizza

Forestale 0825.871431 Polizia Municipale 0825.875142 Guardia Medica 0825.871583

Museo Civico Museo “Giuseppina Arcucci” Museo Archeologico Biogeo Museo di storia della vita e della terra

durante il mese di Agosto 11 / 13 Agosto 29 Luglio / 04 Agosto 14 / 18 Agosto 16 / 19 Agosto 13


LA VIA FRANCIGENA a cura di Architetto Luigi Salierno La cosiddetta “area interna” compresa tra i Comuni di Benevento ed Ariano Irpino - e che comprende oltre a questi i territori di Paduli, Sant’Arcangelo Trimonte, Buonalbergo, Casalbore, Montecalvo Irpino, Greci, Castelfranco in Miscano e Savignano Irpino – costituisce parte di un territorio vasto comprendente le Regioni Lazio, Campania, Puglia e Basilicata, attraversate dai percorsi di pellegrinaggio che da Roma conducevano verso i porti pugliesi e verso Monte Sant’Angelo o che, viceversa permettevano ai pellegrini, dal sud Italia, di raggiungere la Città Eterna. Le direttrici fondamentali di queste vie di pellegrinaggio sono individuabili nella viabilità romano-imperiale che ha continuato ad essere attiva nel Medioevo, con le vie consolari Appia e Traiana (da Roma a Benevento e fino a Brindisi e Taranto), e con la via Sacra Langobardorum (da Benevento al Gargano). Questa rete di percorsi, in analogia con la via Francigena, che dai paesi del nord conduceva a Roma, è stata denominata complessivamente, via Francigena del Sud.In questo contesto dodici Comuni tra le province di Benevento ed Avellino (Comune di Ariano Irpino – capofila, Comune di Buonalbergo, Comune di Casalbore, Comune di Castelfranco in Miscano, Comune di Ginestra degli Schiavoni, Comune di Greci, Comune di Montaguto, Comune di Montecalvo Irpino, Comune Di Paduli, Comune di Savignano Irpino, Comune di Sant’Arcangelo Trimonte e Comune di Zungoli) e le Comunità Montane del Fortore e dell’Ufita, al fine di portare avanti una comune strategia e di promuovere tale itinerario sui propri territori, valorizzare i beni ivi presenti e, di concerto con gli Enti preposti, implementare azioni di protezione e conoscenza del patrimonio culturale ed ambientale di cui dispongono, hanno sottoscritto un Protocollo d’Intesa per il recupero, valorizzazione e promozione dei percorsi francigeni che attraversano questi territori. La Via Francigena nel tratto da Benevento fino ai confini con la Puglia (Comuni di Castel-

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franco in Miscano e Greci) coincide in buona parte con la Via Traiana ed il percorso principale incrocia alcuni dei più importanti monumenti e siti archeologici di questa importantissima strada romana: dall’Arco di Traiano a Benevento e la vicina chiesa di Sant’Ilario a Port’Aurea, al primo ponte romano sul percorso, Ponticellum (Ponticello) a Ponte Valentino nei pressi della confluenza del Tammaro e del Calore; per passare da Forum Novum, al confine tra Paduli e Sant’Arcangelo Trimonte e quindi a Ponte Latrone, Ponte San Marco. Il percorso passa a poca distanza dal monumentale Ponte delle Chianche, uno dei ponti meglio conservati della Via Traiana allo stato originale, e quindi dal Ponte Santo Spirito (tra Casalbore e Montecalvo Irpino) per raggiungere il sito archeologico di Aequum Tuticum (l’attuale località Sant’Eleuterio in territorio di Ariano Irpino) e quindi lasciata la località Tre Fontane (tra Greci e Castelfranco in Miscano), giungeva in Puglia. Di grande interesse sono anche gli aspetti naturalistici, ambientali e le emergenze connesse in vario modo al sistema di percorsi che nel corso di secoli si sono sviluppati in questa area che, attraverso la valle del Miscano, rappresenta la naturale via di collegamento con il versante pugliese dell’Appennino meridionale e con la Puglia. Le località Sant’Arcangelo (l’antica Forum Novum tra Paduli e Sant’Arcangelo Trimonte) e la grotta di San Michele a Casalbore sono un chiaro segno dell’utilizzo di questo percorso per fini devozionali dai Longobardi insediati a Benevento e che si recavano al Santuario dell’Arcangelo Michele al Gargano (Monte Sant’Angelo). Come anche i Santuari della Madonna della Macchia a Buonalbergo e di Santa Maria de’ Bossi a Casalbore che sono sorti su preesistenze romane e che conservano, la prima nella statua lignea della Madonna (XIII secolo) e la seconda nell’architettura, tracce di una stratificazione storica, culturale e di devozione che mette insieme la religiosità locale ed il pellegrinaggio. Altra “linea” di connessione tra emergenze storiche e percorsi, questa volta di potere, è quella che lega i centri storici e gli insediamenti di Paduli, Buonalbergo, Casalbore, Montecalvo, Castelfranco, Greci, Ariano, tutti legati al processo di espansione delle prime famiglie normanne giunte nel meridione d’Italia e che, grazie al percorso di fede della via Francigena verso i grandi centri di religiosità della Puglia (Gargano e Bari) hanno avuto la fiducia dei Papi come scorta armata e protettori dei potenti che si recavano in quelle

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località come pellegrini, e che in cambio hanno dato loro la possibilità di conquistare feudi lungo questa direttrice che dalla Campania (Aversa) conduceva a Melfi (attraverso la Traiana, il Regio Tratturo e l’Appia) e quindi espandere il proprio potere a tutta l’Italia meridionale. Sempre in relazione al percorso Francigeno si sono avuti gli insediamenti francofoni di Celle di San Vito e Faeto in Puglia e di Castelfranco in Miscano, grazie alla presenza di castelli e di guarnigioni di lingua francese; come anche l’insediamento di popolazioni di lingua albanese a controllo di questo strategico e fondamentale percorso ed a controllo degli insediamenti francofoni; per cui si è determinata la presenza e la vicinanza di Greci a Celle e Faeto e quella di Ginestra degli Schiavoni a Castelfranco. Non trascurabile è stato il traffico commerciale della rete tratturale che, in parte coincide con l’antica viabilità romana e con i percorsi di pellegrinaggio. Oggi la via Francigena, da un punto di vista storico-culturale, è la somma di tutto questo, con valenze archeologiche, storiche, religiose, paesaggistiche, etnoantropologiche. Cui si somma una grande varietà di paesaggio rurale, che muta quando si oltrepassa ogni collina, dietro ogni curva; un paesaggio che va dalle colline più dolci del beneventano, nei pressi delle valli del Calore e del Tammaro, fino alle valli più profonde e movimentate dei torrenti affluenti del Miscano. Si passa dai vigneti ed uliveti alle aree più brulle e prive di vegetazione d’alto fusto e dedicate alla produzione dei cereali o al pascolo. Un paesaggio rurale che è stato profondamente plasmato dall’uomo nel corso di secoli. Oggi la Via Francigena ed in particolare il percorso da Roma verso la Puglia ha di fronte una grande possibilità di sviluppo e potrebbe rappresentare il nuovo asse di sviluppo delle aree interne.Sul modello del Camino de Santiago de Compostela, infatti, vi è una sempre maggiore richiesta di “turismo slow” ed esperienziale che riesca a coniugare l’attività fisica (il cammino a piedi o in bicicletta) con gli aspetti spirituali (religiosi e non) e con la qualità dell’ambiente rurale e del cibo.Grazie a questo modello che sta prendendo piede, forse, sarà possibile contrastare il fortissimo spopolamento e la desertificazione che questi territori stanno vivendo.

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Dono delle Sacre Spine

750°ANNIVERSARIO 1269-2019 Il 27 giugno 1269 Carlo I D’Angiò nel consolidare il regno di Napoli, da poco conquistato, visitò Ariano e con l’occasione portò con se due Sacre Spine della Corona di Cristo che donò al vescovo mons. Pellegrino. La Città era stata gravemente saccheggiata e quasi totalmente distrutta nella notte del 5 aprile del 1255 dalle truppe di re Manfredi di Svevia al comando di Federico Lancia. Carlo D’Angiò, battuto mortalmente re Manfredi nella tragica battaglia di Benevento il 26 febbraio 1266 (Dante: ...in co del ponte presso a Benevento,...) conquistò definitivamente il regno di Napoli. Infatti, ciò accadde dopo la battaglia di Tagliacozzo del 1268, combattuta nei Piani Palentini presso Scurcola Marsicana contro Corradino. Il giureconsulto Tommaso Vitale nella Storia della Regia Città di Ariano e sua Diocesi, così riporta ciò che scrisse, di re Carlo, nel 1269 il P. Abbate Capozzi: “... che passando per la distrutta città di Ariano, e commiserando le sue rovine volle tutta caminarla, e non vi trovò un solo uomo, ma solamente erba germogliata sopra le rovine; che però le venne in animo a redificarla, incominciò l’opera, ed a spese Regie fabricò la Cattedrale, facendola munire d’intorno di grosse mura, e dando fine all’ impresa per rifare il Castello, e vi mandò ad abitare molti Popoli.” Il “Dono”, simbolo potente del sacrificio patito e della fedeltà alla causa papale volle significare riconoscenza e ricostruzione. Il sentimento religioso, da allora, ha sempre prevalso, nel corso dei secoli, nel profondo sentire degli arianesi. Ariano fu quindi infeudata col titolo di contea ad Errico de Vademont insieme ad altri centri della Campania interna. Celebriamo oggi, il ricordo della rinascita della Città, antico baluardo sulla via della Puglia che narra il potente scontro tra impero e papato attraverso il cruento subentro della casa Angioina a quella Normanno-Sveva.

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Dono delle Sacre Spine

L’EVENTO

Le reliquie preziose, delle Sacre Spine, rappresentano un tesoro inestimabile per la diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia. La millenaria tradizione e il forte culto dei devoti arianese hanno messo in rilievo l’aspetto tradizionale e taumaturgico. Oggi di spine sacre se ne contano a centinaia. Monsignor Giovan Battista Alfano, nella sua opera Sante Spine della Corona di Nostro Signore Gesù Cristo, del 1932, ne ha citate 110, presenti nelle sole chiese italiane.Tra le più conosciute sono quelle di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che la tradizione vuole siano state donate da sant’Elena; le Sacre Spine di Fermo; quella venerata nella Cattedrale di Andria, dono alla città pugliese di Beatrice d’Angiò, figlia di Carlo II. E’ notorio che le Spine di Ariano Irpino, secondo la tradizione furono probabilmente donate da Carlo D’Angiò, nel sec. XIII e che custodite in un artistico reliquiario del sec. XIII-XVI sono dello stesso ceppo di quelle di Andria, quest’ultime furono assegnate in dote alla figlia Beatrice d’Angiò sposata con il conte di Andria Bertrando del Balzo nel 1308. IL CULTO Le Spine di Ariano incastonate in una turrita meravigliosa scultura argentea, in due ampolle di cristallo, tripartita, con decori di gigli di Francia, presenta la struttura inferiore ogivale sostenuta da due angeli e l’altorilievo dell’ecce-Homo, lo stemma della città di Ariano sec. XVII. Colpisce per la bellezza anche le immagini dei Santi Patroni Elzeario e Beata Delfina. Il reliquiario presenta delle analogie stilistiche con le guglie della Sainte Chapelle di Parigi. Le sue spine la lunga di 6 cm e la piccola di 5.5 cm sono dure, di colore avorio, eccetto la punta che è nera. Il reliquiario è stato concepito come un ostensorio , decorato

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da festoni e figure sacre, le spine sono racchiuse in due cilindri di cristallo. E’ probabile la manifattura di maestri argentieri napoletani. La popolazione arianese ha sempre custodito la forte devozione, affiorano nel medioevo le processioni penitenziali che dalle contrade e specie dal santuario di S. Liberatore, “con il capo coperto da corone di edera e di biancospino, in tempo di calamità, di prolungata siccità o di abbondanti piogge, giungevano in cattedrale, dove erano esposte le S. Spine, invocando la pioggia ristoratrice o il sole benefico”. Intonavano laudi e canti religiosi. Resta un mirabile frammento: Spina pungente ca pungisti lu miu Signore Pungimi stu core E pirdona lu piccatore.

Pirdona mio Dio Perdona pi pietà e Lu dono ca fece Cristo a La santissima Trinità.

Nel sec. XVII i vescovi Ottavio Ridolfi (1613-1624) e Paolo Caiazza (1624-1641) in diverse occasioni portarono a piedi nudi il reliquiario delle S. Spine nella chiesa di S. Angelo per implorare la divina misericordia. Solo nel 1737 fu costruita la cappella delle S. Spine, voluta dal Vescovo Mons.Tipaldi dove troneggia una bellissima tela Cristo coronato di spine. La festa in tempo pasquale era celebrata nella II^ domenica dopo la resurrezione, con recita dell’Officio proprio.

LA LEGGENDA. Da un manoscritto proveniente dalla famiglia Pisapia, donato al Museo civico di Ariano, attribuito allo storico Vitale , del sec. XVIII, si apprende che un pellegrino proveniente dalla Terra Santa abbia fatto una sosta ad Ariano, non riusciva proseguire il suo viaggio, a causa di una forza misteriosa che lo costringeva a non riprendere il cammino. Questi portava nascosto gelosamente custodito nella bisaccia un prezioso deposito: tre S. Spine. Il pellegrino volle aprire il cuore rivelando il suo segreto al Vescovo di Ariano. Alcuni dubbiosi non vollero credere all’autenticità delle sacre reliquie, pretesero la

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prova del fuoco. Due Spine rimasero intatte, mentre la terza si bruciò. Da allora le Spine furono portate trionfalmente nella cattedrale e custodite con venerazione dalla chiesa arianese. Altra tradizione era quella della processione nella domenica dopo la 2^ domenica dopo l’Assunzione di Maria, veniva portato il processione il reliquiario delle S. Spine, sopra un altare portatile in Piazza Grande, veniva fatta la benedizione propiziatrice per la città e diocesi da parte del Capitolo della Cattedrale. Gli anziani ricordano con commozione che in ogni ostensione del reliquiario delle S. Spine, tutte le calamità naturali cessavano all’istante, dopo che folle di pellegrini, donne con corone di spine e fiori, in processioni penitenziali da ogni contrada convergevano verso la cattedrale arianese. Alla fine di queste poche note vogliamo dare un omaggio alla profonda devozione del poeta sacerdote Pietro Paolo Parzanese. Il nostro cantore della “memoria passionis” e della “croce salvifica “, volle invocare nei celebri panegirici del 1832, del 1847, e del 1849 la divina provvidenza per le provate genti irpine, di riportare Cristo al centro della propria vita e via per il riscatto e la salvezza. Meriterebbero un ripubblicazione per l’attualità. “Ariano mia culla, e , se il ciel mel concede, mia sepoltura, esulta di santo gaudio, e di celeste sorriso ti allegra. Balzino per letizia, come sciolti arieti,i tuoi colli, le tue valli echeggino di festivi clamori. … Padre dei cieli, il tuo popolo invoca; egli t’offre in olocausto queste spine tinte nel sangue del tuo Figlio, e sarà lieto, se ascolterà queste voci intuonate altra volta per Osea: Soepiam vias tuas spinis, et sponsabo te mihi in sempiternum”. (Panegirico s. Spine, 1832).

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Diocesi di Ariano Irpino - Lacedonia

“Costruiamoci un futuro” giunge al terzo anno L’iniziativa avviata nel 2012, oggi è divenuta una realtà. “Opera segno della Diocesi” con i fondi 8x1000 della Chiesa Cattolica grazie all’impegno forte di S.E. Mons. Sergio Melillo Vescovo di Ariano I. - Lacedonia, della Caritas Diocesana, del Direttore Don Rosario e del Soggetto gestore che insieme in questi anni hanno saputo far nascere, promuovere e crescere l’iniziativa “IL LABORATORIO CERAMICA ARIANESE LIBERA” che è andata sempre di più conolidandosi sul territorio Diocesano. Questa annualità serve per porre le buoni basi per sviluppare sempre di più l’iniziativa e per far sì che anche ulteriore. Gli attori principali sono tutte quelle persone inoccupate/disoccupate e i detenuti ed ex-detenuti. Le attività che verranno realizzate si concentreranno su tre pilastri pricincipali: • Formazione in bottega della lavorazione dell’argilla e sulla decorazione; • Lavorazione dell’argilla per la realizzazione di manufatti e decorazione ed in fase finale la commercializzazione per reperire fonti per l’auto-finanziamento; • Sensibilizzazione della realtà diocesana del progetto realizzato come opera segno e come segno di speranza ed evangelizzazione. • Il progetto ci aiuterà a potenziare il laboratorio esistente con l’acquisto di un forno molto più grande ed acquistare altre attrezzature.

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ARIANO IRPINO | Veduta della Città 26


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LE SANTE SPINE SONETTO DI P. P. PARZANESE Lasciando il trono ove sedesti eterno, Venia vestito dell’umana spoglia, E l’alte porte a debellar l’inferno provò d’acerba morte immensa doglia. Fero dal capo Santo aspro governo Acute Spine, e a lacrimar ne invoglia, Vedendole calcar sul capo a scherno,

Da chi già l’alma di pietade spoglia. Ei ebbe un dì la fronte redimìta E una mortale angoscia il cor prendea Entro la Spoglia lacera ed attrita. Ma a noi fu gaudio il suo dolor atroce. Vinse soffrendo, e a noi l’alma si bea Nel poter della spina e della Croce. (Ms. di Parzanese, in Archivio Museo Civico di Ariano.

In questa lirica sono espressi con forte intensità sentimenti e fede autentica verso le S. Spine. Da lontano viene l’eco delle folle di fedeli arianese che in ogni circostanza hanno espresso il loro forte legame alle S. Spine, ed il valore taumaturgico delle svariate ostensioni avvenute nel passato in occasione di calamità naturali, siccità, con invocazioni per le attese piogge risanatrici dei campi e dei raccolti. Al Vescovo Mons. Giovanni D’Alise è affidata il plurisecolare dono e della tradizione, che purificate dalla memoria possa essere riconvertita e valorizzata a pieno titolo la dimensione teologica e pastorale della memoria della Passione di Cristo unico redentore del mondo.

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CASALBORE DATI DEMOGRAFICI Popolazione Residente 1.933 Altitudine 575mt. Superficie 28,09 Km2 Nome Abitanti: Casalboresi

SINDACO Dott. Raffaele FABIANO

Santo Patrono del paese:

Santa Maria delle Nevi - 5 Agosto 30


NUMERI UTILI Municipio Vigili Urbani Ufficio Postale

0825.849005 389.4411011 0825.849002

COSA VEDERE

Torre Normanna Fontana schiavonesca Monastero di S. Maria della Misericordia

MANIFESTAZIONI ED EVENTI Festa di S.Maria della Neve Festa di S.Michele Arcangelo Festa di S. Antonio da Padova Festa di Santa Maria dei Bossi

Guardia Medica 0825.818325 Farmacia Iorio 0825.849207 Casalservizi 0825.849560

Chiesa di S. Maria dei Bossi Grotta dell’Arcangelo Ponte Santo Spirito

5 Agosto 8 Maggio 3° domenica di Giugno 1° domenica di settembre

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Casalbore

CURIOSITÀ E FESTIVITÀ a cura di Simona Carpinella FESTA DI S.MARIA DELLA NEVE FESTA PATRONALE (5 AGOSTO) La Vergine Maria, è stata invocata in tutti i secoli cristiani, con tante denominazioni legate alle sue virtù, e come Madre di Gesù il Salvatore; inoltre alle sue innumerevoli apparizioni, per i prodigi che si sono avverati con le sue immagini, per il culto locale tributatole in tante comunità. E per ogni denominazione ella è stata raffigurata con opere d’arte e con il sorgere di tantissime chiese, santuari, basiliche, cappelle, ecc. a lei dedicate, si può senz’altro dire, che non c’è nel mondo cristiano un paese, una città, un villaggio, che non abbia un tempio o una cappella dedicata a Maria, nelle sue innumerevoli denominazioni. Il titolo di Madonna della Neve, contrariamente a titoli più recenti come Madonna degli abissi marini, Madonna delle cime dei monti, Madonna delle grotte, ecc. quello di Madonna della Neve affonda le sue origini nei primi secoli della Chiesa ed è strettamente legato al sorgere della Basilica di S. Maria Maggiore in Roma. Nel IV secolo, sotto il pontificato di papa Liberio (352-366), un nobile e ricco patrizio romano di nome Giovanni, insieme a sua moglie, non avendo figli decisero di offrire i loro beni alla Santa Vergine, per la costruzione di una chiesa a lei dedicata. La Madonna gradì il loro desiderio e apparve in sogno ai coniugi la notte fra il 4 e il 5 agosto, tempo di gran caldo a Roma, indicando con un miracolo il luogo dove doveva sorgere la chiesa. Infatti la mattina dopo, i coniugi romani si recarono da papa Liberio a raccontare il sogno fatto da entrambi, anche il papa aveva fatto lo stesso sogno e quindi si recò sul luogo indicato, il colle Esquilino e lo trovò coperto di neve, in piena estate romana. Il pontefice tracciò il perimetro della nuova chiesa, seguendo la superficie del terreno

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innevato e fece costruire il tempio a spese dei nobili coniugi. Questa la tradizione, anche se non è comprovata da nessun documento; la chiesa fu detta ‘Liberiana’ dal nome del pontefice, ma dal popolo fu chiamata anche “ad Nives”, della Neve. L’antica chiesa fu poi abbattuta al tempo di Sisto III (432-440) il quale volle edificare a Roma una basilica più grande in onore della Vergine, utilizzando anche il materiale di recupero della precedente chiesa. In quel periodo a Roma nessuna chiesa o basilica raggiungeva la sontuosità del nuovo tempio, né l’imponenza e maestosità; qualche decennio dopo, le fu dato il titolo di Basilica di S. Maria Maggiore, per indicare la sua preminenza su tutte le chiese dedicate alla Madonna. Nei secoli successivi la basilica ebbe vari interventi di restauro strutturali e artistici, fino a giungere, dal 1750 nelle forme architettoniche che oggi ammiriamo. Dal 1568 la denominazione ufficiale della festa liturgica della Madonna della Neve, è stata modificata nel termine “Dedicazione di Santa Maria Maggiore” con celebrazione rimasta al 5 agosto; il miracolo della neve in agosto non è più citato in quanto leggendario e non comprovato. Ma il culto per la Madonna della Neve, andò comunque sempre più affermandosi, tanto è vero che tra i secoli XV e XVIII ci fu la massima diffusione delle chiese dedicate alla Madonna della Neve, con l’instaurarsi di tante celebrazioni locali, che ancora oggi coinvolgono interi paesi e quartieri di città. A Roma il 5 agosto, nella patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore, il miracolo veniva ricordato, non so se ancora oggi si fa, con una pioggia di petali di rose bianche, cadenti dall’interno della cupola durante la solenne celebrazione liturgica. Il culto come si è detto, ebbe grande diffusione e ancora oggi in Italia si contano ben 152 fra chiese, santuari, basiliche minori, cappelle, parrocchie, confraternite, intitolate alla Madonna della Neve. Ogni regione ne possiede un buon numero, per lo più concentrate in zone dove la neve non manca. Da più di cento anni la solenne processione esterna è effettuata con un alto carro, portato in spalla dai devoti alla cui sommità è posta la statua della Madonna, alla base un telo ricoperto di oro e di oggetti prezioni, donati dai devoti della Madonna . In molte zone d’Italia, in omaggio alla Madonna della Neve, si usa mettere alle neonate i nomi di Bianca, Biancamaria, o più raro il nome Nives.

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CASALBORE | Veduta della Torre 34


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FESTA DI SANTA MARIA DEI BOSSI All’ombra di grandi querce, si erge la chiesa, o meglio, la chiesetta di di S. Maria dei Bossi, una cappella rurale che a Casalbore chiamano semplicemente “la Cappella di Maria”. Si tratta del più antico luogo sacro del paese, tanto da essere definita “Prima Chiesa e prima Comunità Cristiana di Casalbore” (Padre Agostino Corso). Anzi, a voler essere precisi ci troviamo di fronte ad un luogo di culto ancora più antico, visto che fu sacro già nei tempi pagani prima del Cristianesimo. Nel tempietto pagano all’immagine del Dio o della Dea venne sostituita quella della Vergine, Madre di Gesù, che fu denominata S. Maria dei Bossi. Archeologicamente parlando, è difficile effettuare una precisa “lettura complessiva” del sito. L’importanza del sito è confermata dai continui ritrovamenti archeologici effettuati nel corso dei secoli. In epoca romana, se non addirittura sannitica, doveva esserci un aggregato urbano, visto che il luogo si prestava come luogo di sosta lungo il Tratturo antico che collegava l’Abruzzo con la Puglia. Qui fecero tappa i primi predicatori cristiani provenienti dalla Palestina e dalla Grecia, tanto che, dall’inizio del II secolo D.C., si formò una comunità cristiana. Durante il periodo di Traiano venne realizzata una variante della

CASALBORE | Piazza Municipio 36


via Appia che, partendo dall’Arco di Traiano a Benevento, passava per Aeclanum e dopo il ponte delle “Chianche” portava a S. Maria dei Bossi e proseguiva per Brindisi. La sosta a S. Maria dei Bossi si è perpetuata nei secoli, col passaggio di greggi verso Abruzzo e Puglia, e, dopo l’anno Mille, di Crociati e pellegrini. Circa i ritrovamenti, essi comprendono sepolcri (come quello raffigurato nella fotografia sulla sinistra), scheletri, armi, elmi, vasi ed iscrizioni alcune delle quali incise su pietre (come quella sulla destra), un anello femminile con croce cristiana, ruderi di terme, convertite in vasche per irrigazione. La chiesetta di S. Maria dei bossi, abbandonata sul finire degli anni ‘40, a causa del crollo del tetto, venne “degradata” a stalla, tanto che la statua della Madonna fu spostata presso la chiesa Madre di Casalbore. Il rifacimento del tetto ed un parziale restauro vennero effettuati solo nel periodo 1975/76. Oggi la festa si tiene la prima domenica di settembre, particolare è la processione che attraversa il paese e anche parte della SS 90 delle Puglie per poi ritornare nella cappellina decicata alla Madonna.

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FLUMERI DATI DEMOGRAFICI Popolazione Residente 3.100 Altitudine 638mt. Superficie 34,55 Km2 Nome abitanti: Flumeresi

SINDACO Dott. Lanza Angelo Antonio

Patrono della cittÃ

16 Agosto - FESTA DI SAN ROCCO // La tirata del Giglio 40


NUMERI UTILI

Protezione civile 0825.443656 Municipio 0825.443013

COSA VEDERE

Dogana Aragonese Palazzo della Bufata Chiesa di Santa Maria Assunta

MANIFESTAZIONI ED EVENTI Festa di san rocco / La tirata del Giglio Festa di Sant’Antonio Festa di SS. Maria del Rosario e S. Vito Sagra del Cicatiello Sagra del Mugniatiello

Ufficio Postale Farmacia Ianniciello

0825.443012 0825.443000

Chiesa di San Francesco Area Archeologica

16 Agosto 13 Giugno 3 - 4 Giugno 10 Agosto Inizi di settembre 41


FLUMERI | Il Giglio 42


“IL GIGLIO, SIMBOLO DELLA DEVOZIONE A SAN ROCCO” a cura di Angela Valentina Bruno A Flumeri, nella prima metà di agosto, il protagonista assoluto è “il Giglio”, un obelisco di grano realizzato in onore di San Rocco, protettore del paese ufitano. Si narra che il Giglio era dedicato alla dea Cerere ed era legato alle origini pagane dei riti caratterizzati dall’offerta di prodotti della terra. Nell’ultimo giorno della mietitura, si prendeva da ogni campo una “gregna lunga” cioè un giglio, la donna se li metteva sul capo fino a portarli, tra suoni e balli, al tempio, in segno di riconoscenza verso la dea e per ringraziarla del buon raccolto. Ogni contrada portava in paese il suo “Giglio” trasportato su una carretta e addobbato con fantasia. Ma le conseguenze tragiche di una pestilenza del 1600, che ridusse la popolazione da 600 a 240 persone, scatenarono nei flumeresi una profonda devozione in San Rocco affinché li proteggesse dagli affanni e dalla peste. I cittadini ritenevano che, in occasione dei devastanti terremoti che colpirono la zona, Flumeri fosse stata risparmiata per intercessione del Santo taumaturgo di Montpellier. E da allora i flumeresi, ogni anno, ad agosto, rivolgono le loro preghiere al San Rocco ricoprendo l’obelisco dell’oro della terra: il grano. Dopo varie rimodulazioni avvenute nei secoli, il Giglio oggi è un castelletto di travi di legno che raggiunge un’altezza di 31 metri ed è ricoperto, nelle varie edizioni, da pannelli diversi. I covoni vengono raccolti tra giugno e luglio e si depositano al Campo Comune, all’ingresso del paese, dove vengono lavorati.

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Sono tutti coinvolti in paese: i carristi iniziano a montare il Giglio, mentre le donne raggruppano le spighe per grandezza, forma e colore per metterle al macero e poi intrecciare catene destinate a decorare l’obelisco, mentre i ragazzi si organizzano in cinque squadre, “La Carretta”, “La Ruota”, “Il Curmodoro”, “La Spiga”, “La Puca Nera”, e si contendono la vittoria per il piano più bello realizzato con pannelli ricamati rigorosamente con spighe intere, tosate, curmo e graliti. È l’artista locale, Basilio Russo, a disegnare per ogni edizione del Giglio i pannelli, poi i giovani volenterosi li vestono con il grano. La cerimonia ha inizio con l’alzata dell’8 agosto: utilizzando esclusivamente forconi, scale, pali e funi, si solleva l’enorme e pesante obelisco. Il Giglio si ferma sulla verticale e da questo momento in poi si attende la tirata del 15 agosto. Alle ore 17, l’obelisco, dal campo dove è stato costruito, viene tirato per raggiungere la Chiesa di San Rocco. Il timone della carretta è attaccato ad un potente trattore che ha sostituito la coppia di buoi che fino a qualche tempo fa era l’unica forza disponibile capace di muovere una massa così pesante. I flumeresi impegnati nel tirare le funi, dimostrano la grande abilità nel guidare la possente struttura. Nel tragitto, i giovani con canti e balli contribuiscono a rasserenare l’atmosfera ed allietare gli sforzi dei funaioli, e per completare la cornice

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un puntuale pubblico affolla il corso cittadino. Al termine di tutto, dopo le valutazioni della giuria tecnica esterna istituita nel 2018 e composta da Giotto Faugno, Silvio Cosato, Umberto Colantuono, Marco Ialeggio, si consegna il Palio alla squadra vincitrice che avrà l’onore di portare il gonfalone in occasione della processione di San Rocco. L’istituzione del Palio, una felice intuizione, è avvenuta nei primi anni novanta, per coinvolgere le nuove generazioni in questo antico rito. Il Comune di Flumeri per il suo “Giglio” ha stretto un partenariato con le altre amministrazioni irpine e del Sannio che vantano la tradizione dei carri artistici di grano, Mirabella Eclano, Fontanarosa, Villanova del Battista, San Marco dei Cavoti, affinché si raggiunga l’ambito riconoscimento Unesco.

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FLUMERI | Dogana Aragonese

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PASTICCERIA GELATERIA CAFFETTERIA

Delizie Siciliane S.r.l.s. Via Cardito, 47 Ariano Irpino (Av) Tel. +39 0825 892144 / Cell. +39 347 54 90 285 47


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GROTTAMINARDA DATI DEMOGRAFICI Popolazione Residente 8 004 Altitudine 405 m s.l.m. Superficie 29,12 km² Nome Abitanti: Grottesi

SINDACO Prof. Angelo Cobino

Patrono del Paese 50

san Tommaso d’Aquino; Compatroni: sant’Antonio da Padova, san Rocco da Montpellier


NUMERI UTILI

Guardia Medica 0825.441939 Consultorio 0825.441939 Comune 0825.445211 Polizia Municipale 0825.446308

COSA VEDERE

Castello D'Aquino Piazza XVI Marzo 1978 S.Maria Maggiore Santuario di Carpignano

MANIFESTAZIONI ED EVENTI Tradizionale fiera dell’Immacolata Festa di Santa Lucia Festone Festa in onore di San Antonio “Piccirillo” San Michele Arcangelo Festa della madonna di Carpignano

P.T. Ufficio Locale 0825.441002 Pretura 0825.441729 Polizia Stradale 0825.441174 Carabinieri 0825.446308 Dogana Aragonese Chiesa S.Michele Fontana del RE

8 Dicembre 13 Dicembre Seconda metà di Agosto 1 Domenica di Luglio 29 settembre Prima domenica di settembre 51


IL FESTONE

LA RELIGIOSITA’ DEI GROTTESI a cura di Raffaele Masiello La festa più importante dei grottesi è il “Festone”. Si tratta di una festa religiosa svolta, in origine, in onore di S. Antonio di Padova e di S. Rocco da Montpellier e, a cui, poi, dal 1992, si è aggiunto San Tommaso d’Aquino, patrono di Grottaminarda, il cui culto, dopo il terremoto del 1980, era calato vertiginosamente. Il primo Festone si svolse, probabilmente, l’ultima domenica di agosto del 1891 e, a quei tempi, ancora non era noto con il nome di Festone ma era conosciuto semplicemente col nome di “festa di Sant’Antonio e di San Rocco”. Il celeberrimo nome venne designato solo durante la seconda metà del Novecento per evidenziare l’importanza della manifestazione. Fin dalle sue prime edizioni, si è sempre svolto nell’arco di più giorni: da un minimo di due giorni fino ad un massimo di sei giorni. Attualmente è stabilizzato a cinque giorni: il primo di preparazione, caratterizzato dalla sistemazione delle statue e dalla benedizione dei portatori; due dedicati alla festa religiosa vera e propria e alla musica classica; uno alla

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musica pop; l’ultimo dedicato ai fuochi pirotecnici. Ma gli eventi organizzati duranti i vari giorni sono molteplici e vari. Cinque sono le caratteristiche principali e irrinunciabili della festa: i riti religiosi, con la vestizione dei santi e le processione, le luminarie, il concerto bandistico, il cantante e i fuochi pirotecnici. Un buon Festone non può dirsi tale senza queste cose, che fanno ormai parte della struttura portante della festa. Le due processioni, con il culto tributato verso i Santi protettori, sono il perno centrale attorno a cui gira tutta la festa. Il loro ritmo è scandito prima dalla vestizione dei Santi con i manti d’oro che venne ufficialmente normalizzato con un decreto del vescovo di Avellino Gioacchino Pedicini nel 1953, poi dalla celebrazione eucaristica e infine dalla processione stessa. Non si sa se prima degli anni Quaranta del Novecento si svolgessero già due processioni, ma è certo che dal 1946 in poi le processioni sono state di norma sempre due, una il sabato e una la domenica (salvo alcuni anni in cui erano tre). La più importante è sempre stata quella della domenica che richiama ancora una partecipazione maggiore di fedeli. Le luminarie e il concerto bandistico erano in origine le due cose che più attiravano l’attenzione del circondario nelle serate estive. Non sono noti i nomi dei primi “apparatori”, ma all’inizio del Novecento e fino alla nota grandinata del 1948 che distrusse tutte le attrezzature, prese piede l’arte di Giovanni Donnarumma, che grazie alle lampade ad acetilene (o a carburo) e alle grandi strutture metalliche, che funzionavano da conduttrici di gas, realizzava disegni e coreografie molto spettacolari. La banda è sempre stata una delle più grandi passioni dei grottesi fin dalla creazione della banda municipale nel 1872. Grottaminarda era il regno del “clarinetto piccolo in la bemolle” ed essendo una delle piazze più esigenti della provincia di Avellino ha sempre richiesto solo il meglio. I fuochi artificiali sono un’altra passione dei grottesi. Nei documenti antichi,conservati

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presso i vari archivi, non sono pochi i riferimenti ai fuochi “artificiati”, come venivano chiamati nell’Ottocento. Vari sono stati i fuochisti grottesi che hanno fatto brillare le notti del Festone, come i Barrasso o i Flammia. L’ultimo elemento del nostro elenco, ultimo non per importanza ma per periodo di nascita, è la tradizione del cantante. Grottaminarda, a partire degli anni Settanta, è stata una delle piazze più frequentate dai comuni del circondario per i grandi nomi chiamati. La sua fortuna nacque inizialmente con le serate del Cantagiro che vedeva la partecipazione dei migliori artisti dell’epoca. Accanto a questi elementi ci sono state, e ci sono, altre tradizioni che, in un certo verso, sono collegate alla festa. Si parte dalle note partite di calcio che spesso si giocavano nei giorni di festa, ma anche e soprattutto a quelle legate all’arte culinaria, come i torroni dell’antica tradizione grottese, gli spumoni e le granite, che, soprattutto negli anni passati, erano, in un certo senso, quasi un simbolo stesso dell’aria e del profumo di festa.

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• SANTUARIO DELLA MADONNA DI CARPIGNANO A 5 km dal paese, in direzione Fontanarosa, è il Santuario di Carpignano, da cui è possibile ammirare l’intera valle attraversata dal fiume Ufita. La chiesa, oggi mostra una semplice facciata a capanna con portale lapideo e nicchia superiore con immagine della Madonna. Affiancata è la torre campanaria, su cinque livelli, con oculi, finestroni voltati all’altezza della cella ed orologio civico. All’interno dell’edificio, ad una sola navata, si conserva alle spalle dell’altare il prezioso dipinto su tavola raffigurante la Vergine con il Bambino datato da alcuni studiosi alla metà del XII secolo. Alla chiesa è annesso il moderno Convento dei Padri Mercedari, il cui impianto originario risale al 1901 e che nel 2018 festeggiano gli 800 anni dalla fondazione del loro Ordine monastico. 1218 -2018 55


GROTTAMINARDA | Chiesa di S. M. Maggiore



MELITO IRPINO DATI DEMOGRAFICI Popolazione Residente 1.968 Altitudine 450mt. Superficie 20,68 Km2 Nome abitanti: Melitesi

SINDACO Geom. Michele SPINAZZOLA

Patrono del paese:

Sant’Egidio Abate - 01 settembre 58


NUMERI UTILI

Municipio 0825.472085 Polizia Municipale 0825.472085 Ufficio Postale 0825.472012

COSA VEDERE

Melito Vecchia Cappella di San Pio 1995/1996 Chiesa della Santissima Incoronata 1700

MANIFESTAZIONI ED EVENTI Festa di S. Antonio Festa di S.Anna Festa di S. Egidio Festa di Santa Maria Addolorata Festa dell’Incororata

Carabinieri 0825.441017 Farmacia Belmonte 0825.472412

Chiesa di San Egidio Castello

13 Giugno 26 Luglio 1 Settembre 15 Settembre. lunedì in Albis 59


PAESI ABBANDONATI

MELITO IRPINO VECCHIA Articolo tratto dal blog www.esserealtrove.it si ringrazia Giovanni Rossi Filangieri per la collaborazione Melito Irpino è un antico insediamento che sorgeva lungo le rive del fiume Ufita; sono ancora oggi evidenti i resti del periodo romano. Incerta è l’origine del borgo medioevale, che vide crescere Melito vecchia attorno al suo Castello, probabilmente poco dopo l’anno 1000 d.c. Le fonti storiche sono lacunose in tal senso. Un tempo chiamata Melito Irpino valle Bonito, della città antica oggi non c’è più traccia; non rimangono che vecchie foto ed il ricordo di chi ci ha vissuto. Melito vecchia era in ogni caso un bel borgo con strade lastricate di pietra ed un tipico impianto medioevale: una fitta trama di case basse, strette strade e scalinate ammassate ai piedi del suo castello. Il centro della vita era la “Piazza Vittoria”, ove si ritrovava la popolazione dopo aver assistito alla messa nella chiesa di Sant’Egidio. Di fronte, scorreva il fiume Ufita, attraversabile a mezzo di un ponte tuttora esistente. Un violento sisma che colpì tutta l’Irpinia nel 1962, ne decretò la fine. Quel che rimaneva del vecchio borgo venne, poi, completamente spianato, tranne il castello e la chiesa di S. Egidio. Va precisato, tuttavia, che l’area è potenzialmente ad alto rischio sismico dal momento che i terremoti si sono susseguiti costanti nel tempo. Questo potenziale rischio unito anche ad una notevole instabilità orografica, hanno fatto propendere per l’abbandono definitivo dell’area e la ricostruzione del nuovo insediamento su una altura più sicura, almeno dalle alluvioni. Del vecchio paese rimane solo una desolata radura tra il castello con la chiesa ed il fiume, e non è facile immaginare le cose che furono. E’ piuttosto difficile fornire una datazione precisa della fondazione del castello di Melito: si sa che esisteva già al tempo della conquista normanna. Il primo riferimento storico è dell’anno 1062. Tuttavia, il castello ha con ogni probabilità origini più antiche. Il terremoto del 1962 fece molti danni al punto che fu necessario abbattere la parte più antica, la Cucina e Pizza tradizionale Chiuso il mercoledì è gradita la prenotazione

ANTICA TRATTORIA DI PIETRO

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Corso Italia, 8 83030 Melito Irpino (AV) Tel. + 39 0825 472010 trattoriadipietro@libero.it


torre quadrata ed una torre circolare. Oggi, il Castello è in totale rovina ed abbandono e presenta solo due torri circolari superstiti. Una impenetrabile messe di rovi ha invaso le strutture circostanti le mura, l’interno è per lo più crollato. Possiamo dire che oggi il Castello ha un aspetto ancor più sinistro di un tempo, specie di notte. In realtà, il destino del Castello di Melito era già segnato da tempo. Le guerre, le devastazioni, gli incendi, le pestilenze, l’incuria dei feudatari lo avevano già condannato alla condizione di spettro che poi è diventato. Tuttavia, continua a fare parlare di se. Sembra, infatti, che non sia del tutto disabitato. Strane leggende e racconti sono sorte intorno ai ruderi abbandonati del centro storico e gli abitanti del paese riferiscono di strane visioni, di luci, di lamenti notturni e di urla strazianti. Ci hanno detto che nessuno sano di mente in paese oserebbe avventurarsi nella valle, giù al fiume di notte. E’ possibile che luoghi carichi di sofferenza, di morte, di ingiustizie, di torture e uccisioni violente restino in qualche modo segnati da negatività? Possibile che qualcosa rimanga a turbare la quiete e ne impedisca l’oblio? Naturalmente, non sono discorsi che possano essere fatti alla luce della razionalità ed ogni considerazione ha il contorno della credulità popolare ed il sapore della truculenta morbosità. Vogliamo raccontarvi, senza la pretesa di essere creduti o di avere scoperto qualche arcano segreto, la nostra esperienza nella vecchia Melito. Siamo arrivati in tarda mattinata nel paese nuovo, sul colle che domina la valle; siamo prima andati a mangiare in una rinomata osteria poi volevamo attendere, in ogni caso, che il sole si abbassasse un poco sull’orizzonte per avere luci più morbide per le foto; ma non troppo, perché serve una buona luce per esplorare un’area sconosciuta. Quindi, verso le 16.00 siamo scesi nella valle, al paese vecchio. L’area è molto desolata, non c’è nessuno. Si presenta come una grande radura con a sinistra il fiume Ufita, ed un Ponte per attraversarlo, sulla destra una grande chiesa, fortemente diroccata e quasi inghiottita dalla vegetazione, con poco discosto su una rocca il castello. Tra la chiesa ed il castello, quasi invisibile tra la fitta vegetazione che tutto ricopre e ingloba, c’è una grande scalinata che, arriva in alto nella parte retrostante del castello stesso. Lasciata l’auto sul prato, cerchiamo subito di capire se è possibile entrare nella chiesa. L’ingresso

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è chiuso dal portale ed è comunque sbarrato da una spessa rete di “tondino” di ferro. Percorrendo pochi metri sulla scalinata centrale, tra la vegetazione si vede una porta aperta sul fianco destro che permette l’entrata. Facendo attenzione ai rovi spinosi e al terreno sconnesso, siamo riusciti a penetrare all’interno, non senza un certo timore perché lo stato dell’edificio è davvero precario; si vedono i segni di continui crolli e di un irreversibile dissesto. Il soffitto, in molte parti presenta le travi a giorno e rimane poco delle originarie decorazioni. Una grande croce, sul lato della chiesa che guarda il fiume, campeggia al centro di una grande finestra vuota. Quel che resta del pavimento si intravede appena tra i calcinacci e la vegetazione. La parte dell’abside è quasi del tutto distrutta, senza copertura e ormai alcuni alberi vi hanno trovato sede. Nel silenzio del luogo, il battito di ali di uccelli nascosti sulle strutture in alto, diventa assolutamente inquietante. Nonostante la notevole ampiezza della struttura, ci si sente a disagio, con una strana sensazione che fa desiderare di uscire al più presto. Così, dopo avere scattato una decina di foto con il cavalletto, dal momento che dentro c’è penombra e non si può scattare a mano libera con buoni risultati, siamo subito usciti. Cerchiamo ora una via di ingresso al castello che è stato recintato dai Vigili del Fuoco. Ma prima vogliamo vedere come si presenta a monte, nella parte che non si vede da giù e per questo percorriamo la scalinata di pietra fino alla cima. La parte retrostante del castello è la più rovinata e dovrebbe coincidere con la parte crollata, dove c’erano le torri abbattute. Vicino insiste una torretta di cui è difficile capire funzione ed epoca. Un buco individuato nella recinzione ci invita ad entrare. Dentro la vegetazione di rovi è così fitta che impedisce

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di procedere e ricordiamo anche che c’era un fossato che potrebbe nascondersi sotto le piante e costituire una pericolosa insidia. Così usciamo e ci accontentiamo di esplorarlo lungo il perimetro esterno. Giunti a valle, attraversiamo il ponte per osservare dalla opposta riva meglio tutto il colle. Torniamo in paese a dissetarci in un bar e a chiedere ulteriori informazioni. Il barista ha appese al muro delle foto d’epoca del vecchio paese e ce le mostra. Il paese era di piccole dimensioni e si sviluppava attorno ad una bella piazza a ridosso della chiesa, Piazza Vittoria, il fulcro della vita del paese. Capiamo allora che ben poco è rimasto del borgo. La morbida luce del tardo pomeriggio ci invita a tornare giù per qualche altro scatto.

LA DAMA BIANCA Adesso, però, la radura appare molto diversa da come si era presentata al nostro arrivo, illuminata dal sole alto nel cielo. Nella profonda valle, il sole ha ormai scollinato e lunghe ombre si stendono sull’erba e sui massi, densi chiaroscuri rendono il posto molto più inquietante. Rimaniamo ad osservare la chiesa ed il castello, mentre il crepuscolo scende progressivamente. Non è più possibile esplorare i luoghi ne scattare altre foto. Sarà la quiete assoluta, rotta solo dai versi di non meglio identificati animali, ed il fascino del castello all’imbrunire, che ci fa rimanere ad osservarlo fino a quasi scesa la sera. E’ ora di tornare e stiamo per risalire in macchina e rimetterci sulla via del ritorno quando, amplificato dall’eco della valle, sentiamo una specie di grido non meglio identificato. Dapprima, una specie di lamento soffocato, poi più acuto. La zona abbonda di rapaci di ogni genere e lì per lì attribuiamo quel suono a qualche allocco, gufo o gheppio sulle tracce della sua preda notturna. Ma è quello che vediamo un istante dopo, o meglio quello che forse crediamo di vedere, che ci fa davvero raggelare il sangue nelle vene. Il tempo di guardarci negli occhi, con uno sguardo che intendeva “l’hai visto pure tu?”, che in una frazione di secondo siamo dentro la macchina con le sicure chiuse, i fari ed il motore acceso. Come se qualcuno avesse deciso di scherzare con le nostre coronarie tutto in una volta, ecco che vedo nello specchietto retrovisore spuntare dal ponticello un vecchio, che ci passa accanto e ci fa cenno di andare. Abbasso il finestrino e lo saluto con un cenno.

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Il vecchio ci dice: “meglio se andate, a quest’ora sta dint a torre, chell è nu demonio, iatevenn”. Senza chiedere ulteriori spiegazioni al vecchio, andiamo via e torniamo in paese a prendere un caffè prima di ripartire. Il barista che ci ha mostrato le foto, vedendoci turbati, dice:” ma che…l’avete vista anche voi?”. Replico: ”Chi?” – “La signora…la marchesa”. A questo punto, caduto il timore di essere preso per pazzo o deriso, ordino del caffè e gli racconto tutto. Gli diciamo che non siamo sicuri di quello che abbiamo visto, ma nella finestra bassa di sinistra del corpo centrale, dove c’è una bifora, per lo spazio breve di uno o due secondi è passata, nell’oscurità, una specie di ombra biancastra, qualcosa di etereo ma visibile sullo sfondo nero dell’apertura. Eravamo in due ed abbiamo visto esattamente la stessa cosa. Sappiamo essere quasi tutto crollato in quella zona, non esserci più un camminamento e non più possibile affacciarsi alle finestre. Non era una luce, piuttosto come un pannello o un telo biancastro. Ed il barista: ”oppure una veste bianca.”. Non sembra essere sorpreso dal nostro racconto né sarcastico. Anzi, ci dice che diverse persone hanno riferito cose simili e ci racconta una vecchia storia. Pare che nel ‘600 ci fosse una castellana di nome Porzia, sembra che avesse dimestichezza con i veleni e la stregoneria e ne facesse largo uso con i suoi tanti amanti che incontrava furtivamente, fuori e dentro il maniero. Un giorno fu scoperta dal marito, un tal Goffredo, che la fece trucidare da dei sicari dopo averla rinchiusa in una torre. Ancora oggi vagherebbe, pallida, con i capelli sciolti e l’abito candido inzuppato di sangue tra le stanze del Castello in cerca di vendetta. La si vede più facilmente nelle notti di primavera, periodo in cui pare fu assassinata. E’ una storia tramandata oralmente, di cui non c’è alcun riscontro documentale, ma che potrebbe essere anche vera, come spesso lo sono molte storie di paese sopravvissute all’oblio proprio grazie ai racconti tramandati dai vecchi ai giovani. Naturalmente, la storia ha assunto i contorni della leggenda popolare e si è infarcita di credenze antiche quanto ovviamente false. Questo è tutto. Se la cosa vi incuriosisce, andate a vedere da voi stessi tenendo presente che, in ogni caso, nessuno sano di mente in paese scenderebbe all’imbrunire giù al castello. E buona caccia.

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MELITO IRPINO | Melito Vecchia 66


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MELITO IRPINO | Vista dall’alto 70


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SAVIGNANO IRPINO DATI DEMOGRAFICI Popolazione Residente 1.204 Altitudine 718mt. Superficie 38,47 Km2 Nome Abitanti: Savignanesi

SINDACO Fabio DELLA MARRA SCARPONE

Santo Patrono del Paese:

Festa di Sant’Anna - 25-26-27 Luglio 72


NUMERI UTILI Municipio Vigili Urbani Guardia Medica

0825.867009 0825.867009-4 0825.861054

COSA VEDERE

Castello Medioevale Palazzo Orsini Chiesa Parrocchiale San Nicola Chiesa Madonna delle Grazie

MANIFESTAZIONI ED EVENTI Festa della Madonna delle Grazie e S. Rocco Festa di Sant’Anna Savignanestate Village Sagra delle Orecchiette Festa Patronale di San Nicola Sfilata dei carri allegorici di Carnevale

Ufficio Postale 0825.867002 Farmacia Capone 0825.867092

Tombola Fontana Angelica

01-02 luglio 25-26-27 01-18 agosto Nella prima decade di agosto 06 dicembre Febbraio 73


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Cenni storici Savignano Irpino, ridente paese della provincia di Avellino, sul confine con la vicina Puglia, domina la Valle del Cervaro, arroccato tra i colli Tombola e Calvario. Il Comune è gemellato con Savigneux, cittadina francese della Loira ed Essenbach, comune tedesco della Baviera. Da agosto 2016 è stato riconosciuto come uno dei borghi più belli d’Italia. Il territorio, abitato sin dall’antichità, reca le tracce di una storia millenaria, testimoniata

da importanti ritrovamenti archeologici in località Ferrara e Pustarza. Nel Medioevo il paese fu soggetto a diverse dominazioni a cui sono legati alcuni particolari avvenimenti storici. Durante il regno di Tancredi d’Altavilla, nel 1193, nel punto più alto del Castello fu giustiziato il governatore Sarolo Guarna, accusato di aver parteggiato a favore di Enrico VI. La “tombula” in cui Sarolo fu sepolto nei pressi del Castello ha dato origine al nome dell’attuale Tombola, da cui si gode la vista panoramica di Savignano Scalo e dei paesi limitrofi. 75


Il 1445 segna l’avvento dei Guevara, famiglia nobiliare spagnola, che avrebbero conservato il titolo di conti di Savignano fino al 1950. Dall’unione dei due feudi di Savignano e Ferrara, entrambi acquistati da Inico Guevara, fedelissimo della dinastia aragonese, derivò nel corso del 1500 un ampliamento del paese fino a Porta Grande. Nel 1700 il centro abitato venne ancora ampliato di nuovi quartieri tra cui il Corso, il Calvario e la Fontana Vecchia Nel 1727 papa Benedetto XIII fece realizzare a sue spese l’intero complesso dell’Hospitius pro peregrinis” noto anche come palazzo Orsini dal nome della famiglia del pontefice ed attuale casa comunale. Scrigno di tesori da scoprire è la Chiesa Madre, eretta sulla vecchia chiesetta medievale, con la facciata realizzata con pietra viva proveniente dalla “Targiana” (località situata tra Savignano e Monteleone di Puglia).

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Il portale centrale che le conferisce monumentalità, è sormontato da un rosone e da una mezzaluna con una maiolica raffigurante Sant’Anna, protettrice del paese. Alla santa, venerata durante la festa del 25-26-27 luglio, è dedicata una Cappella di particolare pregio artistico, restaurata tra il 2010 e il 2013. Savignano offre ai suoi visitatori una variegata gamma di itinerari tra bellezze architettoniche, storico-artistiche e paesaggistiche: scorci e vedute indimenticabili; incantevoli opere d’arte, realizzate nei secoli da maestranze locali, sentieri immersi nel verde intenso dei boschi, tra sorgenti e oasi naturalistiche. Percorsi che risvegliano i sensi, odori e sapori genuini che rinvigoriscono corpo e mente. Numerose le prelibatezze enogastronomiche, lavorate artigianalmente: olio Ravece DOP, latticini (caciocavallo podolico, caciocavallo affumicato, treccia, scamorza, ricotta), salumi (soppressata irpina, capicollo), aglio bianco dell’Ufita, miele. La pasta fatta a mano è da sempre un’arte e una tradizione: ogni anno le mamme e le nonne del paese si prodigano nella realizzazione di decine di chili di orecchiette, cucinate nella famosa sagra di agosto, affogate nel classico ragù di carne o nella più moderna versione delle “orecchiette tricolore”, con pomodorini, rucola e parmigiano. Altri piatti tipici sono: “Cicatielli e fagiolini”, “laganiell e fasul”, la cosiddetta “colazione savignanese” (patate e peperoni fritti), la zuppa di soffritto di maiale, “la ciambott” (zuppa di zucchine, patate, fagiolini, sedano). D’estate tornano a popolarlo i numerosi savignanesi emigrati in Italia e nel mondo, allietati dagli eventi dell’imperdibile Savignanestate.

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SAVIGNANO,

LA “BOMBONIERA” D’IRPINIA a cura di Angela Valentina Bruno con il contributo dello storico Michele Savignano Savignano è la “bomboniera” d’Irpinia, un piccolo comune di 1261 residenti che si fa notare per l’eleganza dell’arredo urbano e per la signorilità delle abitazioni del centro storico. Dal 2016 si può fregiare della bandiera della prestigiosa associazione “Borghi più belli d’Italia” che promuove il fascino dell’Italia nascosta. La comunità di Savignano è molto devota a Sant’Anna che, intorno al 26 luglio, si onora per quattro giorni con manifestazioni civili e religiose. Della festa se ne ha notizia sin dal 1695, fino ad una interruzione avvenuta durante l’ultima guerra mondiale: nel 1943 il Piano fu occupato dai tedeschi fino a novembre, poi per tutto il 1944 dalle truppe alleate. La festa riprese sobriamente nel 1945, ma dal 1946 si riaccesero le luminarie, arrivò l’orchestra, due grandi bande e nel cielo ritornò l’esplosione dei fuochi d’artificio. Un episodio è impresso nelle mente dei savignanesi: nel 1929, durante tutta la processione del 26 luglio, dalle dita di una immagine della Santa, affrescata sotto alla volta della sua cappella, gocciolò abbondante acqua. Analisi e indagini giudicarono l’evento inspiegabile. Qualcuno successivamente collegò l’evento al terremoto del 23 luglio 1930 in cui Savignano soffrì pochi danni. Da allora, la mattina del 26 luglio si tiene un pellegrinaggio di ringraziamento partendo dalla Fontana di Mottola. Una ferita recente per i savignanesi ha avuto ripercussioni sulle celebrazioni: l’apertura della discarica nel territorio, così nel 2008 i cittadini non se la sentirono di dare il via ai festeggiamenti civili e celebrarono la Patrona rispettando solo il programma religioso. Sempre per devozione della Santa e per onorarne la festività, durante la mietitura si raccoglieva del grano col quale si realizzavano oltre venti carri. La mattina della festa con dei buoi venivano trainati in paese. Attualmente, per tener viva

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la tradizione, si realizza un Carroccio con le spighe e la paglia lavorata a mano, con fatica e abilità, e viene esposto puntualmente la mattina del 26. Nella città dove tanti savignanesi sono emigrati, Prato, è stata istituita la stessa festa così da ricordare le proprie radici. In estate, ad agosto, altro appuntamento imperdibile per Savignano è la sagra delle orecchiette, “li vricchitell”, una tradizione culinaria che si tramanda da nonne, mamme a figlie. Per la sagra giunta alla 43° edizione, di orecchiette se ne realizzano quintali. Sono le donne savignanesi a realizzarle a mano, utilizzando la semola di grano duro, e a condirle con il tradizionale ragù di carne. Una organizzazione snella e spensierata distribuisce piatti gustosi su una ordinatissima tavolata lunga oltre 200 metri. Tra le tradizioni della fine dell’inverno è da annoverare il Carnevale dei bambini giunto alla 11° edizione: giovani e piccini contribuiscono a ideare e costruire carri allegorici che sfilano, da tradizione, nel borgo il pomeriggio della domenica antecedente al Martedì Grasso. La sfilata prende il via dall’Eliporto presso Piazza S. Maria De Mattias e termina solitamente presso la Fontana Angelica, uno dei simboli di Savignano Irpino, ed è animata da musica e spettacoli folkloristici itineranti. La serata viene, di solito, allietata da un ulteriore spettacolo musicale, con stand espositivi di prodotti tipici e la degustazione di piatti locali. Chiude la manifestazione la premiazione dei carri vincitori. L’evento Carnevale Savignanese è promosso dal Comune di Savignano Irpino, in collaborazione con le locali associazioni “Lo Strungone” e “Cromosoma X”, con il contributo finanziario della Regione Campania.

COSA VEDERE E FARE A SAVIGNANO Savignano è il luogo ideale per chi ricerca la tranquillità e vuole disintossicarsi dai rumori della città. Per gli amanti delle attività sportive e ricreative sono a disposizione: uno stadio di calcio “L. Durante” in erba artificiale, due campi da tennis, una piscina scoperta, un bocciodromo al coperto, un’area giochi e un’area attrezzata per camper. Diversi i percorsi vita e gli amanti del trekking si possono rigenerare negli oltre 300 ettari di bosco, ricco di conifere e querce. Si può raggiungere la sorgente sulfurea Rifieto, situata in contrada Licese, alle pendici del Monte S. Angelo. A qualche centinaio di metri dalla sorgente vi è un laghetto detto Laguglia. In questa zona, da lungo tempo, viene praticata la transumanza. Nella zona delle Cesine ci si può soffermare al Mulino Normanno, detto anche “mulino di Bethlemme”, un antico manufatto tramutato in mulino ad acqua probabilmente nel XII secolo. Numerosi sono gli edifici d’interesse storico come la Chiesa Madre del 1500 e l’artistica Cappella S.Anna, il castello Normanno con saloni per ricevimenti, la Chiesa del Purgatorio del XVIII secolo. Tra le tradizioni in inverno è da annoverare il Carnevale dei bambini giunto alla 11° edizione: giovani e piccini contribuiscono a ideare e costruire carri allegorici che sfilano nel bellissimo borgo. 81


CITTADINI ILLUSTRI Una lapide sul frontale del civico n. 23 di piazza Umberto I ricorda un illustre savignanese, il Cavaliere Luigi Albani, medico chirurgo pluridecorato di fama internazionale, nato in Savignano nel 1821 e si spense il 16 dicembre del 1874. Tra i grandi cittadini di Savignano Irpino c’è anche Padre Romualdo Formato: nato e morto a Savignano Irpino (1906-1961), fu cappellano militare col grado di tenente nel 33° reggimento artiglieria Divisione “Aqui”, prendendo parte alla campagna di Albania e Grecia.

(Busto bronzeo dedicato a Padre Romualdo Formato foto archivio Michele Savignano)

Durante l’eccidio di Cefalonia, dopo l’armistizio, tentò di far desistere i militari tedeschi dall’uccidere i soldati italiani. Ma furono irremovibili. In paese, un busto bronzeo è stato dedicato a Padre Romualdo Formato, eroe pluridecorato dell’ultima guerra. (Busto bronzeo dedicato a Padre Romualdo Formato foto archivio Michele Savignano) Savignano ha dato i natali ad altri due grandi uomini: il commendatore Luciano Magnatta, rinomato imprenditore edile che fece fortuna a Milano, e l’attore e regista teatrale Renato Carpentieri premiato con il “David di Donatello” per il film La Tenerezza. Magnatta tornava a Savignano per le sue ferie estive, fu sindaco per due consiliature e con propri fondi fece costruire la grande Croce della Tombola e l’Ospizio Paolina Bruno dedicato a sua madre. Renato Carpentieri nacque nel 1943 all’interno della Caserma dei Carabinieri in via Castello poiché il padre, comandante della stazione, in quel periodo era di stanza nel piccolo comune. Carpentieri è divenuto cittadino onorario di Savignano nel luglio del 2012.

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SAVIGNANO IRPINO | Il Corso 84


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STURNO DATI DEMOGRAFICI Popolazione Residente 3 083 Altitudine 652 m s.l.m. Superficie 16,67 km² Nome Abitanti: Sturnesi

SINDACO Vito DI LEO

SANTO PATRONO DEL PAESE San Domenico - 8 agosto 88


NUMERI UTILI Municipio Carabinieri Guardia Medica

0825 448003 Ufficio Postale 0825 44405 Farmacia 0825 448041

0825 448024 0825 448041

COSA VEDERE Fontana “re la chiazza” Palazzo De Iulis Palazzo Ciampo Cappella “Madonna della Neve” Monumento alla Musica

MANIFESTAZIONI ED EVENTI

Falò in onore di Sant'Antonio Abate. "Tamburo" ossià un giro per il paese con il quale si annuncia la morte di Gesù. Festa in onore di San Michele Arcangelo. Processione della Madonna del Carmelo Festa patronale: San Domenico di Guzman Festa dell'Assunta e di San Rocco

Chiesa dei SS Domenico e Francesco Chiesa di San Michele Arcangelo P.zza Michele Aufiero, Monumento ai Caduti Palazzo dei Baroni Grella Villa Baronale 16 gennaio La notte del giovedì Santo L'8 maggio e il 29 settembre Il 31 maggio L'8 agosto Il 15 e il 16 di agosto

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STURNO

CENNI STORICI E ORIGINI a cura di Vincenzina Ricciardi Sturno è una giovane cittadina, infatti, ottenne l’indipendenza dal vicino comune di Frigento, il 9 aprile del 1809. All’epoca, il piccolo agglomerato di case era chiamato “il Quasale” nome che ancora oggi viene utilizzato per riferirsi al piccolo paese irpino. Sturno deve il suo nome all’uccello storno (sturnus vulgaris) che, come narra la leggenda, si trovava all’interno di una delle locande del “Quasale” in cui i viandanti si fermavano durante il loro tragitto per raggiungere Frigento. In piazza Michele Aufiero, chiamata dagli sturnesi “piazzetta”, sorge invece l’Abbazia di San Michele Arcangelo, protettore del paese. L’8 Maggio e il 29 Settembre c’è la processione per le strade del Paese in onore di San Michele. Per l’occasione, i bambini, vestono i panni dell’arcangelo con il tradizionale abito tramandato di generazione in generazione. Al culto di San Michele Arcangelo è legata la tradizione del “il solco”, in dialetto locale “Lo surco re l’angelo”, un’aratura eseguita dai contadini in segno di ringraziamento per il raccolto dell’anno e come augurio per le successive stagioni. Partendo dalla collina di Flumeri tracciano una profonda linea scavata nel terreno utilizzando strumenti rudimentali, proprio in onore di San Michele e in segno di ringraziamento per la buona riuscita del raccolto. La tradizione del solco rimanda il pensiero a quella che è la “Linea Sacra di San Michele”. Si tratta di sette santuari, dall’Irlanda fino a Israele, uniti da una linea retta lunga oltre

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duemila chilometri e che taglia l’Europa collegando sette monasteri dedicati al Patrono della Polizia di Stato. Questa linea è una delle cosiddette ‘ley lines’ ossia delle linee rette che toccano punti importanti del mondo, posti considerati già in età preistorica di valore. San Michele, il santo simbolo della lotta contro il male, ha un forte seguito di fedeli nel comprensorio ufitano. Seppur le origini di Sturno sono da rintracciare non tanto al di là del tempo, nell’Ottocento, altri riti si sono diffusi nelle abitudini della comunità. In pieno inverno, il 16 Gennaio in onore di Sant’Antonio, dopo la messa, viene acceso un falò, chiamato la “vampa re Sant’Antonio”, davanti alla Chiesa di San Michele. La legna viene raccolta nei giorni precedenti nelle case degli sturnesi. Un altro rito sacro che continua ad essere celebrato è quello del sabburco, l’altare della devozione del Giovedì Santo, che viene allestito con piantine di grano e fiori nelle chiese di San Michele e San Domenico e Francesco. Lo stesso giorno una singolare processione parte a mezzanotte al suono del tamburo, in dialetto “tammuro”, che sveglia i cittadini per farli partecipare alla sepoltura di Cristo.

COSA VEDERE All’interno del centro storico si trova il Palazzo Baronale appartenuto alla famiglia Grella, fatto edificare intorno al XVII secolo. L’edificio ancora oggi appartiene ai Grella, ma viene dato in gestione per compleanni e matrimoni. Per la tipologia costruttiva si può affermare che il palazzo ricalca la tipica ambientazione signorile delle dimore settecentesche. Nell'androne è possibile vedere lo stemma gentilizio della famiglia Grella. Dopo il terremoto del 1980 l’antica dimora è stata ristrutturata conservando l’antica facciata, l’originario portone monumentale con lo scalone in pietra nonché mobili, libri e arredi

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restaurati da artigiani del posto. Sensazionale è il giardino all’inglese che si trova di fronte, anch’esso di proprietà della famiglia. A pochi metri c’è invece un altro palazzo gentilizio: quello De Julis a cui è affiancata la fontana “’re la chiazza”. In passato, la fontana era molto frequentata dalle donne locali, le quali vi attingevano l'acqua che raccoglievano in conche. È stato costruito nel 2002 il Monumento alla Musica, collocato in zona centrale per arredare un angolo della piazza principale. Celebra i fasti della gloriosa tradizione musicale di Sturno, che nel secolo scorso diede vita all'omonima banda musicale, tra le prime in Italia per fama e per qualità degli orchestrali, a cui l'opera è dedicata.

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STURNO | Palazzo dei baroni Grella


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ZUNGOLI DATI DEMOGRAFICI Popolazione Residente 1.099 Altitudine 657mt. Superficie 19,22 Km2 Nome Abitanti: Zungolesi

SINDACO Paolo CARUSO

SANTO PATRONO DEL PAESE Sant’Anna - 26 Luglio 98


NUMERI UTILI Municipio Carabinieri Guardia Medica

0825.845037 0825.845035 0825.826136

Ufficio Postale Farmacia

0825.845032 0825.845147

COSA VEDERE

Castello Medioevale Convento di San Francesco Centro Antico

MANIFESTAZIONI ED EVENTI Festa dell’Incoronata Festa di S.Anna Estate di S.Rocco Festa di San Francesco Estate Zungolese

ultimo fine settimana di Aprile 26 Luglio prima domenica di Settembre 4 Ottobre 27 Luglio-20 Agosto 99


ZUNGOLI | Croce Viaria XV-XVI sec. 100


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ZUNGOLI

UN’ANTICO E AFFASCINANTE PAESE a cura di Gerarda Del Medico

La Festa della Transumanza l’Irpinia è impregnata di storia e tradizioni popolari che identificano la bellezza di codesta magnifica terra, marcando ogni singolo aspetto della sua esistenza, rendendola unica. Nella seconda metĂ del mese di Settembre si celebra la Festa della Transumanza. Si tratta di un’antica tradizione contadina, lungo il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, visita e degustazione di prodotti tipici. La transumanza originò sul territorio irpino diversi sentieri di percorrenza, detti Tratturi, affiancati da percorsi minori detti “Tratturelliâ€? e “Bracciâ€?. In generale i Tratturi non sono piĂš visibili, essendo stati coperti da strade e vegetazione. Alcuni tratti sono, però, sono stati conservati a memoria di un’epoca passata e sono visibili nel circondario di Zungoli. La Festa della Transumanza è una delle tradizioni piĂš sentite e affascinanti che abbraccia il lungo il Regio Tratturo Pescasseroli - Candela. Zungoli fa parte di quella che un tempo era l’autostarada dei pastori. L’originale trekking a cavallo ed in mountain bike si svolge sul percorso originario del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, attraversando in 7 tappe le Province dell’Aquila, Isernia, Campobasso, Benevento, Avellino e Foggia. La carovana degli sportivi, seguita da alcuni mezzi di supporto parte dal centro del Parco Nazionale degli Abruzzi per arrivare a Candela, dopo un suggestivo viaggio di circa 170 km. Alla riscoperta di un prezioso tesoro della storia delle nostre genti: un patrimonio che rischia di scomparire e di non essere adeguatamente valorizzato.

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Non si tratta di una semplice operazione nostalgica e di una semplice manifestazione sportiva, quanto piuttosto di indicare, con questo evento, le vie di un possibile sviluppo per le aree interne legato al turismo sportivo, ambientale, religioso e culturale, alle tradizioni enogastronomiche e ai prodotti tipici. Nel corso di ogni tappa ed alla fine della giornata sono infatti previste visite guidate ai siti archeologici, ai monumenti megalitici, alle antiche taverne, alle masserie, ai santuari e ai musei della transumanza, etnografici e delle tradizioni contadine e popolari. Particolarmente stimolanti sono gli incontri con le comunità locali e le iniziative culturali, folkloristiche ed enogastronomiche, all’insegna delle tradizioni popolari, degli antichi mestieri e della valorizzazione dei prodotti tipici.

Festa di Sant’Anna e sfilata delle gregne Il Santo Patrono di Zungoli è Sant’Anna e si festeggia il 26 luglio. La festa, celebrata nel periodo coincidente con il raccolto, è caratterizzata da rituali di tradizione chiaramente agraria. Lungo le strette e tortuose strade del centro sfilano, infatti, alcuni carri riccamente addobbati che trasportano numerosi covoni di grano, chiamati in dialetto locale “grègne”.

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Il grano viene simbolicamente offerto a Sant’Anna. È la festa per la quale il borgo si ripopola e i cittadini emigrati rientrano per vivere la festa. Famosa l'antica fiera del bestiame e lo stuolo di bancarelle situate lungo lo storico ponte.

Il calendario: i riti, le feste, le tradizioni Ultimo sabato di aprile “Festa dell’Incoronata” 1 maggio “Festa del cacciatore” 26 luglio “Festa di Sant’Anna” Luglio-agosto “Estate Zungolese” Agosto “Zungoli In Festival”

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ZUNGOLI | Castello 106


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Si ringrazia per la collaborazione le amministrazioni comunali di:

ARIANO IRPINO / PG 10

CASALBORE / PG 28

FLUMERI / PG 38

GROTTAMINARDA / PG 48

MELITO IRPINO / PG 56

SAVIGNANO IRPINO / PG 70

STURNO / PG 86

ZUNGOLI / PG 96


Si ringrazia per la collaborazione: Arma del Cacciatore pg 78 Banca Di Credito Cop. Flumeri pg 41 Belardo Ecologia pg 31 Centro Scolastico Carlo Cattaneo pg 3 Di Tutto Per tutti - Ferramenta Bricolage pg 95 Dott. Pescatore Odontoiatra pg 4 E-direct pg 85 Elettrojenius - elettrodomestici pg 30 Iris Boutique - Accessori donna pg 102 Liberty Calzature pg 13 Luigi Caruso Noleggi pg 75 Maiolicart pg 74 Omnia Color pg 12 Onoranza Funebri Lo Conte pg 47 Parafarmacia Paglialonga pg 63 Pescheria Sea Horse pg 42 Quinta Strada - Abbigliamento pg 36 Sear Infissi pg 15 Studio Tecnico Anzivino pg 17 Tendasal - tappezzeria e tendaggi pg 46 Vitillo Corporation pg 75 STRUTTURE RICETTIVE Grand Hotel Biffy Hotel Fontana Del Re Hotel Incontro

pg 93 pg 50 pg 9

BIRRERIE - PANINOTECA - LOCALI Birreria 32 Ex sanacore

pg 66 pg 81

AGENZIE IMMOBILIARI Domus Immobiliare Real House Immobiliare

pg 89 pg 16

AGRITURISMI – PIZZERIE- RISTORANTI El Barrio Cafè pg 92 Il Ritrovo pg 84 La Locanda Del Bosco pg 91 La Pignata pg 77 Li Ddoie aulive pg 112 Makeda pg 7 Matullo pg 61 Pizzeria Rosa pg 100 Pignata in Bellavista pg 77 Regio Tratturo pg 19 Taverna Vitoli pg 43 Trattoria Di Pietro pg 58 Tre colli pg 14

ASSICURAZIONI - INTERMEDIAZIONE Allianz Luca Graziano pg 92 Invest Assicurazioni pg 101 ORTOFRUTTA Il tempio Della Frutta Luigi La Porta

pg 21 pg 59

PARRUCCHIERI Barbiere Francesco Palmino Parrucchiere

pg 37 pg 47

OFFICINE - RIVEDITORI - CENTRO REVISIONI GOMMISTI - CARROZZERIA Area di Servizio Camporeale pg 43 Autoricambi Ciccone pg 47 Box Pneumatici pg 102 Carrozzeria Del Tricolle pg 5 Elegance Car pg 62 Francesco Paolo Amadio pg 2 Futurauto pg 72 Macchione Pneumatici pg 51 Mario Dotolo Piaggio pg 60 BAR - PASTICCERIA - GELATERIA - TABACCHI Bar Nazionale pg 103 Delizie Siciliane pg 45 Dolce Mania pg 67 Tabacchi S.Antonio pg 81 PRODOTTI TIPICI - GASTRONOMIA Biscottificio Lilia pg 88 Caseificio Lo Conte ultima di copertina Cooperativa La Molara pg 99 Le Tradizioni Del Tricolle pg 23 Macelleria Moschella pg 103 Panificio Di Gruttola pg 90 Panificio Maraia pg 76 Panificio Masuccio pg 1 Rusticherie Irpine pg 44 LAVANDERIE Dry Blue Lavoself Quadrifoglio

pg 18 pg 27 pg 47

EVENTI Film Festival Folk Festival

pg 20 pg 6


ARIANO IRPINO | Vista panoramica

CASALBORE | Porta Fontana


FLUMERI | Chiesa di S. Maria Assunta

GROTTAMINARDA | Fontana del Re


MELITO IRPINO | Melito Vecchia (foto di Giovanni Filangieri)

SAVIGNANO IRPINO | Castello Guevara


STURNO | Palazzo dei Baroni Grella

ZUNGOLI | Porta Palazzuolo


RISTORANTE

Via Cerreto - Ariano Irpino (AV) Telefono: 333. 92 69 852 114


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