Lorenzo Lunghi Portfolio Architettura IUAV

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VICTOR HORTA HOTEL VAN EETVELDE BRUXELLES (1895-1898)

L’Hôtel van Eetvelde era tra tutti gli edifici della città quello che osava di più ed allo stesso tempo era il più elegante. In questo edificio tutto è armonizzato perfettamente ed è stato curato ogni singolo dettaglio. Il ferro viene nobilitato affermando senza ambiguità la propria natura strutturale e si compone con materiali più usuali per gli ambienti interni, come marmi, bronzo, legni e stoffe. La presenza ricorrente del metallo, lasciato a vista, garantisce e sottolinea il carattere fluido e unitario degli spazi al di là dell’uso (struttura della volta vetrata, ringhiere, montanti, putrelle). A pensarci saper unire tra di loro materiali con caratteristiche diverse che mai si possono immaginare insieme, è una cosa di estrema difficoltà soprattutto nell’epoca di realizzazione di quest’opera. Tuttavia è quello che l’architetto fa, dimostrando tutta la sua precisione e la sua maestranza nel dominare il nuovo stile che si stava affermando. Il ferro era raramente usato ed osato in quei tempi, era spesso la soluzione per i grandi edifici industriali. In quest’opera diventa il vero, grande protagonista. Questo è il principale carattere di novità nel rappresentare un’abitazione, una follia architettonica, una facciata che presenta un aggetto in ferro, vetro e mattoni rivestiti di mosaico che supera l’idea dei bow-window per creare una sorta di fronte sdoppiato. Stupefacente è anche il carattere ingegneristico: tutta l’ossatura di questa costruzione, che sembra quasi sospesa, è portata dai doppi montanti in metallo del salone che creano un filtro tra esterno e interno; questi sottolineano la presenza delle finestre e mostrano ancora una volta come sia il ferro a comandare. L’anima del ferro si diffonde all’interno della struttura arrivando al nucleo dell’abitazione, il vestibolo ottagonale, vero e proprio snodo dinamico attorno al quale ruota una galleria che distribuisce gli ambienti. Tre grandi porte vetrate si affacciano sulla grande hall concepita come fosse un esterno, un pozzo di luce che trapassa l’abitazione, attraversa i piani sovrastanti che ancora una volta sono costretti a ruotare attorno a questo vortice distributivo. Diverse le forze che si sviluppano in quest’ambiente: una centripeta che porta alla conquista della centralità dello spazio ottagonale, e l’altra centrifuga generata per effetto sia dei percorsi che si liberano al primo piano, sia della pioggia di luce che annulla i limiti e proietta verso immateriali dimensioni. Tutto questo frenetico movimento e aggrovigliarsi di materiali arriva in fondo alla casa, dove il maestoso aggetto in ferro che si esibiva sulla Avenue Palmerston diventa una miniatura sporgendo timidamente dalla sala da pranzo e affacciandosi sul giardino chiuso da un recinto murario. Qui si ritrova la tranquillità della pietra adottata per l’intera facciata sul retro poiché non c’era il bisogno di stupire ma solamente di mettere a proprio agio gli ospiti. Un piccolo monumento semicircolare con colonna al centro e simile ad un tempio impreziosisce la parte all’aperto. L’architetto mostra a pieno la sua precisione e la sua maestranza nel dominare il nuovo stile che si stava affermando.


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