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n°08

Dicembre 2014 Gruppo Eurosystem Sistemarca

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE SCELTA O NECESSITÀ?

incontri con

scenari

stile libero

NANDO PAGNONCELLI L’ITALIA DELL’INDUSTRIA MIGUEL SAGREDO L’UE UN POSTO MIGLIORE PER LE PMI? GIAN NELLO PICCOLI EUROSYSTEM SPA: PER CRESCERE ANCORA

STEFANO MORIGGI COMINCIAMO A PENSARE CON LE MACCHINE! CONFINDUSTRIA DIGITALE L’IMPRESA ITALIANA TRA DIGITALE E INTERNAZIONALE QUANTA SPA IL FUTURO DELLE IMPRESE

IL VIAGGIO TOKIO: CITTÀ DEL FUTURO CON UN OCCHIO AL PASSATO PERCORSI MARGHERITA PIROI: IL KARATE PER LA VITA SPORT ARIANNA FONTANA: DONNA DA NUMERI OLIMPICI



editoriale

GIAN NELLO PICCOLI Gruppo Eurosystem Sistemarca

Internazionalizzare: una scelta o una necessità? Una domanda sempre più incalzante! E la risposta non è scontata. Noi imprenditori lo sappiamo. Se da una parte la decisione di andare all’estero va oltre la necessità di aumentare il proprio giro di affari e, anzi, in molti casi è forse l’unica possibilità vincente in un periodo difficile come questo; dall’altra portare prodotti e servizi oltre confine rappresenta un’operazione complessa. Quanto quella di aprire una nuova attività d’impresa! Bisogna, infatti, organizzare il proprio business in un contesto perlopiù sconosciuto e spesso ostile, senza avere reti di salvataggio. I dati ci dicono comunque che l’internazionalizzazione è un fenomeno in rapida espansione a livello globale, che ha coinvolto anche le imprese italiane e per questo non possiamo non prenderlo in considerazione. Nel 2011 circa un quarto delle imprese industriali con almeno 50 addetti controllava unità produttive all’estero, a fronte di una percentuale molto più bassa nei servizi. Vero è che oggi andare all’estero, proprio grazie alle nuove tecnologie, è possibile anche senza muoversi dalla propria

scrivania; eppure non basta e non è necessariamente valido il concetto che internazionalizzare sia l’unica via di ripresa. Il mercato interno ha rallentato la sua corsa negli ultimi anni, ma non è morto, anzi sembra dare barlumi di ripresa. Servono, però, politiche determinanti e coraggiose per supportarlo. E non solo slogan! In questo numero abbiamo voluto proporre le testimonianze di grandi aziende e PMI che hanno preso decisioni differenti e non scontate. Perché in ogni caso - sia che si vada all’estero o che si resti sul mercato interno - non si tratta di una scelta facile! Noi imprenditori, attualmente, siamo come dei giocolieri e allo stesso tempo guardiani del faro: dobbiamo avere un occhio lungo per capire il cambiamento dell’umore del mare, ma anche l’arte di ‘manipolare’ i numerosi e differenti cambiamenti in atto, giorno per giorno. Salutiamo il nuovo anno in arrivo con l’augurio di riuscire tutti in questo importante obiettivo! Gian Nello Piccoli 3


incontri con NANDO PAGNONCELLI L’ITALIA DELL’INDUSTRIA: PMI E “MULTINAZIONALI TASCABILI”

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20 MIGUEL SAGREDO L’UE PUÒ ESSERE UN POSTO MIGLIORE PER LE PMI?

scenari

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STEFANO MORIGGI PENSARE CON LE MACCHINE! GLI INGLESI “A LEZIONE” DA LEONARDO, MICHELANGELO E RAFFAELLO. E NOI?

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ELIO CATANIA IL VOLTO DELL’IMPRESA ITALIANA TRA DIGITALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE


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stile libero

ARIANNA FONTANA SPORT UNA DONNA DA NUMERI OLIMPICI

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IL VIAGGIO TOKYO: CITTÀ DEL FUTURO CON UN OCCHIO AL PASSATO

s

51 tories 51 Pivato srl: migliorare le performance rinnovando l’ERP 64 Yamaha Motor: verso l’eccellenza tecnologica

SOMMARIO 3

editoriale

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L’internazionalizzazione delle imprese

di Gian Nello Piccoli

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incontri con NANDO PAGNONCELLI

L’Italia dell’industria: PMI e “Multinazionali tascabili”

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MIGUEL SAGREDO

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BIALETTI INDUSTRIE

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LOFRA

L’UE un posto migliore per le PMI? Ambasciatrice del design italiano L’azienda guarda all’America

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DIADORA

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LOISON

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Crescere in tempo di crisi Il panettone che conquista il mondo NONNO NANNI

focus

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scenari STEFANO MORIGGI PENSARE CON LE MACCHINE!

24 Il volto dell’impresa italiana tra digitalizzazione e internazionalizzazione

42 Quanta: Il futuro delle imprese 59 @EUROSYSTEM.IT

Come starà la mia azienda nel futuro?

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54 pazio a y 54 Erp cloud: la nuvola di gestione aziendale (seconda parte)

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stile libero CONOSCIAMOCI

Lavorare con IT e ICT

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MEDICINA E LAVORO

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IL VIAGGIO

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PERCORSI

Un carrello della spesa con servizi per il welfare aziendale Tokyo: città del futuro con un occhio al passato M. Piroi: il karate uno sport per la vita

SPORT 60 Hitachi: alta tecnologia nel mercato 93 A. Fontana: una donna da numeri 67 @EUROSYSTEM.IT

Italy food sempre più internazionale 68 71 45 GRUPPO CAROLLO Sguardo all’estero e qualità italiana 72 48 GIAN NELLO PICCOLI 74 Eurosystem Spa per crescere 76 ancora

Verba volant? Non semper EMC e la tecnologia flash

Invio del personale all’esterno

olimpici CUCINA

96 L’acqua di mare & l’erba voglio UFFICIOVERDE

Le rose di montagna Trasferimento d’azienda oltre confine 98 FUMETTI

Rapporti commerciali internazionali 101 La matita di Sue Stop pignoramenti prima casa


DICEMBRE 2014 DICEMBRE 2014

L’ITALIA DELL’INDUSTRIA: PMI E “MULTINAZIONALI TASCABILI”

“L’industria è centrale, e speriamo lo rimanga a lungo: esportiamo di tutto, ed in tutto il mondo; l’export italiano è molto diversificato, dalle macchine utensili ai vini, dalla moda agli elicotteri, ed ha tenuto anche negli anni di crisi. Ma non è più l’industria in bianco e nero, dei cancelli che si chiudono il primo di agosto, delle ciminiere e delle assemblee operaie”. A darci uno quadro della realtà italiana di questo periodo Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia. 6 6


Si può parlare ancora di modello italiano di sviluppo? Ci può dare qualche dato... Difficile da dire, spesso si parla dei modelli sempre dopo, quando le cose sono accadute. Siamo certamente in una fase di passaggio, in cui sono sempre presenti i punti di forza tipici della produzione italiana, ossia creatività e qualità, ma si avverte una crescente difficoltà a fare impresa, a causa della burocrazia, della disomogenea disponibilità di accesso al credito, di un mercato del lavoro che non è efficiente. I due elementi che più degli altri stanno modificando la struttura italiana sono legati entrambi alla domanda interna: la costante riduzione di investimenti pubblici, causa di spending review e patto di stabilità, e la razionalizzazione del consumo delle famiglie.

incontri con Incidono pesantemente sulla struttura produttiva del Paese, modificandola e spostando l’attenzione delle imprese sempre più verso i mercati esteri, se possibile. L’industria è ancora centrale nel modello economico italiano? Grande industria o PMI? L’industria è centrale, e speriamo lo rimanga a lungo: esportiamo di tutto, ed in tutto il mondo; l’export italiano è molto diversificato, dalle macchine utensili ai vini, dalla moda agli elicotteri, ed ha tenuto anche negli anni di crisi. Ma non è più l’industria in bianco e nero, dei cancelli che si chiudono il primo di agosto, delle ciminiere e delle assemblee operaie. Questo può sembrare ovvio, ma nel percepito di molti italiani l’industria è un corpo quasi estraneo alla società; nell’immaginario collettivo ha perso centralità economica, sociale e politica. L’industria oggi in Italia è fatta sostanzialmente da PMI, da “multinazionali tascabili”. Le grandi industrie con sede in Italia, pur essendo eccellenze, si contano su poche dita, e molte di esse sono di derivazione pubblica. Quindi l’industria è ancora centrale, anche se preoccupano due elementi: l’abbandono di molte multinazionali, che lasciano il Paese o ridimensionano la loro presenza; la mancanza di una politica industriale che rimanga coerente per un sufficiente lasso di tempo da poter produrre effetti. PMI e internazionalizzazione: come si presenta la situazione italiana? Qualche dato in merito... Ho già detto dell’importanza dell’export; infatti Ice e Istat, nel fotografare il 2013, tracciano un quadro sostanzialmente positivo. La quota di mercato italiana sull’export mondiale nel 2013 è al 2,79%, in aumento rispetto al 2,74% del 2012. Il saldo attivo della bilancia commerciale è stato di 30,4 miliardi, il dato più elevato nel decennio 2004-2013; non bisogna dimenticare che importiamo soprattutto energia, per cui al netto dei prodotti energetici, il saldo raggiungerebbe 84,8 miliardi. Ed aumentano le aziende italiane che esportano: nel 2013 sono state 211.756, l’1,3% in più dell’anno precedente. La logica della rete potrebbe aiutare maggiormente le PMI, soprattutto sul mercato estero? Data la cronica mancanza di grandi aziende, e la difficoltà del mercato interno, non sorprende che si stiano affermando i 7


DICEMBRE 2014

‘microesportatori’, con un fatturato all’export inferiore a 75mila euro, che sono chiaramente PMI. La sensazione però è che si proceda più in ordine sparso, sfruttando le nuove tecnologie e alcune relazioni, non sembra esserci una vera strategia che sia basata su rete tra PMI volte all’esportazione, questa francamente sembra mancare. E sarebbe necessaria, infatti la mancanza di grandi aziende, che danno la linea alla filiera e sono di esempio, obbligherebbe tutti ad essere più responsabilizzati e consapevoli. Ma ancora notiamo una grande difficoltà da parte delle PMI nel consorziarsi e nel ragionare insieme, con progetti di mediolungo periodo che possano portare anche alle fusioni. Resta poi da sottolineare che la loro taglia limitata le rende relativamente appetibili per i grandi fondi di private equity, ed il private equity domestico ha ancora molti spazi di crescita per poter offrire alle PMI risorse e managerialità adeguati, che sarebbero fondamentali per trasformare l’internazionalizzazione in un processo strategico, di lungo periodo, e non in una tattica per fronteggiare la crisi.

vero che ormai nel mondo attuale conta molto di più arrivare tra i primi che non brevettare. Sull’innovazione ci sarebbe comunque molto da dire, è un tema molto ampio ormai nella vulgata giornalistica troppo connesso a tecnologia: le aziende italiane hanno l’innovazione nel proprio DNA, sia come innovazione di processo, sia di prodotto, sia di mercato. Se c’è un elemento che manca, sono le risorse per la ricerca di base: gli investimenti in ricerca – sia pubblici che privati – che ci vedono molto lontani dai più importanti Paesi industriali. Bisogna però dire che ultimamente si vede un forte dinamismo pubblico e privato volto a sostenere e far sviluppare le start-up, penso alla crescita di incubatori e al recente ‘Business Angel Club’, un network di investitori e imprenditori per sostenere le startup e l’innovazione nel Sud Italia. Una bella iniziativa in cui gli imprenditori donano parte del loro tempo, competenze, risorse per lo sviluppo del Sud, cruciale per un Paese come il nostro. Penso anche alle iniziative come Telentgarden, h-farmventures, o all’open campus di Tiscali.

Innovazione: come siamo messi? Da cosa partire per innovare maggiormente le eccellenze italiane? Qualche dato...

La crescita italiana nell’ultimo anno e nel futuro?

È un tema vasto. Iniziamo a dire che le aziende italiane innovano ma brevettano poco... è un vecchio tema. Infatti, come ha rilevato l’Istat, l’Italia si distanzia notevolmente dai Paesi Europei più avanzati come investimenti in ricerca e brevettazione, inoltre il peso economico nei settori ad alta tecnologia è ridotto, pur rimanendo un Paese molto propenso all’innovazione: quindi non la si crea, e se la si crea la si nasconde, ma la si adotta. È anche

Nell’ultimo anno la crescita non è pervenuta. Si spera nel futuro ma ormai non ci si azzarda a fare più previsioni. È comunque irrealistico pensare ad una crescita indotta solo dall’export o da una singola iniziativa. Devono aumentare i consumi domestici, quindi la spesa delle famiglie, gli investimenti delle imprese, e

Nando Pagnoncelli

Nando Pagnoncelli nasce a Bergamo nel 1959. Dopo essersi laureato in Scienze Politiche inizia l’attività di ricercatore in Abacus. Nel 2004 entra in Ipsos Italia, assumendone la Presidenza. Nel 2006, poi, viene nominato Country Manager di Ipsos Italia, la divisione del gruppo Ipsos che si occupa delle ricerche sulla pubblica opinione. Insegna Modelli e processi della pubblica opinione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed è direttore scientifico del centro di studi e ricerche La Polis che conduce attività di ricerca, analisi e formazione attorno al rapporto fra società e politica in Italia all’Università degli studi di Urbino. Infine, nel maggio 2009 è stato pubblicato il libro intervista con Mauro Broggi “L’opinione degli italiani non è un’opinione” per le edizioni La Scuola. Inoltre, è presente nel programma televisivo “Ballarò” dove commenta i sondaggi Ipsos relativi all’attualità politica.

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incontri con la dotazione di infrastrutture pubbliche utili. E soprattutto deve ripartire la fiducia nel fatto che questo Paese può e deve farcela. Senza fiducia, si sta come d’autunno... Siamo a rischio reale di commissariamento da parte dell’UE? Non credo, il clima in Europa è cambiato, inoltre, per quanto riguarda l’Italia, il Governo ha messo in cantiere importanti interventi di politica economica e di riforma del mercato del lavoro, che a breve dovrebbero dare i loro frutti. In generale un commissariamento è necessario nell’emergenza, e questa è comunque passata: nella fisiologia, sia pur della crisi, è importante che la situazione venga presa in mano da tutti, ma in particolare dalla politica, che in un grande Paese democratico è chiamata a mediare tra le esigenze dei cittadini di breve e di lungo periodo, ed a trovare soluzioni. L’Unione Europea è un ausilio ed un ombrello importante, esercita un utile ruolo di controllo, ma è bene non nascondersi dietro ad essa ed affrontare con serietà i problemi nazionali. Secondo Lei, qual è il problema maggiore che ha impedito e sta impendendo ai Governi avvicendatisi di riassestare i conti italiani? Ah, saperlo! Diciamo che non ha aiutato avere così tanti governi in pochi anni, specie in una situazione complessa sullo scenario economico internazionale. Governi troppo deboli forse per affrontare sfide impegnative, e per garantire a tutti la continuità in una gestione, per riuscire a far valere le proprie istanze. Non voglio dire che serva la governabilità a tutti i costi, ma l’ingovernabilità è una vera iattura, specie in un momento di crisi.

Ha qualche dato Ipsos da darci sulla situazione produttiva e industriale italiana? I dati sono quelli dell’Istat, la situazione è difficile specie nel settore delle costruzioni che è il malato cronico del Paese. La propensione al ‘mattone’ è calata in pochi anni dal 70% a poco più del 20%, come rileviamo ogni anno nell’indagine ACRI. Ci sono molte cause, di cui la crisi non è che l’ultima: il rischio della tassazione futura, la mancanza di una bolla speculativa, il rischio sui tassi di interesse. Ma per noi non può essere dimenticata la variabile demografica: sempre meno figli, sempre più tardi, sempre meno famiglie che necessitano di case nuove, di ristrutturazioni, di camerette. Mi permetta una battuta finale: l’industria forse più in crisi in questo Paese è quella delle maternità, il vero tema nel lungo periodo: quest’anno le nascite si attestano a circa 500.000; nel 1964 – 50 anni fa – i nati superarono il milione. Appare inderogabile una seria riforma del welfare che favorisca i percorsi individuali, l’uscita dei giovani dalle famiglie d’origine, la costituzione di nuovi nuclei famigliari, i servizi per l’infanzia, le politiche conciliative che consentano alle donne di non essere costrette a scegliere tra famiglia e lavoro se non si hanno i nonni su cui contare. Tutto ciò che può incentivare la maternità è una soluzione sia per l’oggi sia per il futuro. Ma presuppone una politica coraggiosa, capace di scelte impopolari nell’interesse del paese e delle generazioni future.

Quali le politiche necessarie per aiutare il sistema produttivo italiano e riprendere slancio? Le imprese chiedono da anni due cose, e lo rileviamo quasi quotidianamente nelle nostre indagini: in primo luogo un sistema fiscale più leggero, meno punitivo verso chi è grande ed assume, e su questo punto il governo ha preso decisioni importanti sull’IRAP. In secondo luogo maggiori risorse finanziarie da parte del sistema bancario, e su questo aspetto si spera che l’iniezione di liquidità pensata dalla BCE possa dare il proprio frutto ed arrivare alle imprese. Aggiungerei altre due iniziative: serve una riforma seria, a tutto tondo, del mercato del lavoro in cui l’ottica sia volta a favorire il lavoro, piuttosto che a salvaguardare a tutti i costi lo status quo, una riforma che ponga al centro il lavoratore, da stimolare e tutelare, e l’impresa, e non il posto di lavoro. Inoltre dobbiamo ridare fiducia al cittadino-consumatore, senza una ripartenza della domanda interna difficilmente si potrà dare uno ‘slancio’.

IPSOS Ipsos, società di ricerca indipendente, opera nel segmento delle ricerche di mercato “survey based”, ovvero ricerche condotte raccogliendo informazioni direttamente dagli individui. Raccolta, elaborazione e analisi delle informazioni riguardo i valori, le attitudini e i comportamenti. Ipsos nasce in Francia nel 1975 ed è oggi presente in 84 paesi, tra i quali l’Italia, con uffici a Milano, Roma e Bari dove 250 professionisti gestiscono più di 2.000 progetti all’anno. 9


DICEMBRE 2014

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE Scelta o necessità?

L’internazionalizzazione è un fenomeno ormai consolidato e ampiamente discusso che coinvolge le principali economie mondiali. Dall’antichità ad oggi l’esigenza di scambi commerciali tra popoli ha caratterizzato l’economia delle civiltà ma, di internazionalizzazione in senso moderno, si inizia a parlare solo verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Oggi la discussione su questo tema non può più essere rimandata nell’ottica di un piano di intervento a favore della ripresa economica nazionale. Con il termine internazionalizzazione si intende genericamente un “processo di apertura verso l’estero da parte di unità economiche nazionali” (Enciclopedia dell’economia Garzanti, Garzanti, Milano 1992). Il processo di internazionalizzazione può riguardare l’economia, un dato settore o ancora più nello specifico le singole imprese. L’internazionalizzazione dell’economia riguarda solitamente l’interazione tra sistemi economici nazionali, che da “chiusi” diventano “aperti” e collegati

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tra loro. In questo caso l’aspetto più noto attiene ai mercati finanziari e alla possibilità di muovere i capitali tra paesi diversi. L’internazionalizzazione del settore avviene quando tutte le imprese di un settore sono internazionalizzate, quando cioè il fenomeno da individuale diviene collettivo. Un settore è “internazionalizzato” anche se l’impresa non ha interessi all’estero, ma vi sono concorrenti esteri sul suo mercato nazionale.


Dal punto di vista della singola impresa, l’internazionalizzazione avviene quando sono svolte delle operazioni con l’estero. Le operazioni possono essere di natura commerciale (esportazione di beni e servizi), produttiva (unità produttive costituite per investimento diretto estero), o in “nuove forme” (franchising, licensing, joint venture, ecc).

focus

Oggigiorno il tema dell’internazionalizzazione delle imprese è fondamentale soprattutto per la ripresa economica italiana. Dai recenti dati della Banca d’Italia emerge chiaramente che la presenza imprenditoriale italiana all’estero è considerevole: nel 2011 (ultimo dato disponibile) il 18,7% delle imprese industriali e l’8,3% delle aziende dei servizi privati, ambedue con oltre 20 dipendenti, avevano compiuto investimenti oltre confine. Mentre nel 2004 erano rispettivamente il 13,4% e il 4,8%. Oggi più di due terzi delle imprese manifatturiere italiane con oltre 500 addetti hanno stabilimenti all’estero, mentre è poca la diffusione tra le aziende con 29 - 40 addetti. I dati, inoltre, rilevano la capacità delle imprese italiane di intercettare la domanda estera e di consolidare la propria posizione sui mercati anche per contrastare gli effetti della crisi: risultano in crescita, ad esempio, le imprese internazionalizzate che si espandono nei paesi in via di sviluppo (dal 36,7% del 2009 al 41,6% del 2011). Eppure, confrontando questo focus con i Paesi europei si nota un grave ritardo dell’Italia: i dati sugli investimenti in uscita vedono il nostro Paese a quota 25,9% del PIL contro il 53,9% della Francia e il 45,6% della Germania. Un’ultima riflessione è quindi dovuta: ancora oggi nel Paese ci sono due velocità: ci sono imprese chi innovano, esportano e investono all’estero, al contrario ce ne sono altre che ancora non riescono a stare dietro alle nuove tecnologie e non accedono per mancanza di volontà o perché non adeguatamente attrezzate - ai mercati oltre confine.

Fonti: “Imprese italiane e internazionalizzazione: i numeri aggiornati”, http://www.economy2050.it/imprese-italiane-internazionalizzazionenumeri-aggiornati/, 20 marzo 2014. G. Biondi, Tesi di Laurea “Il management strategico delle piccolemedie imprese che operano in ambito internazionale”, http://digilander.libero.it/giorgiogiorgio/indice/ind_comp.htm.

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DICEMBRE 2014

1. ORIGINI

Le tappe dell’internazionalizzazione

STEPBYSTEP

MEDIOEVO Fin dall’antichità si hanno notizie di scambi e commerci internazionali delle civiltà del Mediterraneo. Risalgono al 2800 a.C. le notizie di rapporti commerciali formalizzati tra i Fenici e gli Egizi. Sono noti i traffici realizzati dai Greci e dai Romani. In particolare, furono i Romani a costruire strade e porti e a garantire la sicurezza dei collegamenti, sotto il controllo dell’esercito.

2. MEDIOEVO Durante il Medioevo, l’Italia, con i suoi mercanti, rappresentava il centro geografico e strategico del commercio tra il Nord Europa e il Vicino Oriente, fino alla Cina. In particolare, tra il 1100 e il 1500 fu proprio Firenze (assieme a Milano, Venezia, Genova ed altre città) una delle capitali del mondo economico. La principale attività cittadina consisteva nella lavorazione della lana e i “mercanti - imprenditori” fiorentini esercitavano più attività in più luoghi. L’impresa aveva tipicamente una struttura familiare e nella sua prima forma consisteva di una casa-madre in Firenze con filiazioni decentrate sulle principali piazze dell’epoca.

3. LE COMPAGNIE OLANDESI E INGLESI Nel XVI secolo le prime navigazioni di lungo corso definiscono nuove rotte commerciali verso le Indie. Nella seconda metà del XIX secolo si diffonde il fenomeno dell’impresa multinazionale: alcuni studiosi di storia vedono nelle compagnie coloniali la prima forma delle moderne multinazionali.

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focus

4. IL COLONIALISMO Con la rivoluzione industriale, il Regno Unito acquisisce la leadership economica mondiale. Il commercio estero vede un flusso di materie prime dalle colonie, contro l’esportazione di prodotti manifatturieri verso le stesse colonie.

5. L’INGRESSO DELLE MULTINAZIONALI L’internazionalizzazione, nella sua versione moderna, inizia con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Dagli anni ‘50 acquista importanza il fenomeno degli investimenti diretti esteri. È il periodo dello sviluppo delle multinazionali, soprattutto statunitensi.

6. I CAMBIAMENTI PIÙ RECENTI Negli anni ‘70 entrano in scena multinazionali giapponesi, tedesche, inglesi, olandesi, di paesi arabi; le multinazionali già affermate risentono delle generale crisi economica. Nei rapporti internazionali entrano in scena le imprese di dimensioni piccole e medie. Fine anni ‘80: le PMI si appropriano di nuove dimensioni di internazionalizzazione, mentre i paese emergenti competono in base al più basso costo del lavoro; fine anni ‘90: la globalizzazione è un fenomeno sempre più intenso.

Fonte: G. Biondi, Tesi di Laurea “Il management strategico delle piccole-medie imprese che operano in ambito internazionale” digilander.libero.it/ giorgiogiorgio/indice/ind_comp.htm .

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DICEMBRE 2014

La copertina Rosso come passione, grande personalità e intraprendenza! Tre caratteristiche che ben si addicono alle testimonianze aziendali riportate nel numero 8 di Logyn, dedicato al tema contraddittorio “Internazionalizzazione delle imprese: seclta o necessità?”. Andare all’estero, superando i confini nazionali e culturali, appare oggi l’unica scelta possibile per sopravvivere ed emergere, eppure per farlo servono grande energia e fiducia nel proprio business e nel futuro (di tutto questo è simbolo il colore rosso). La scelta finale non è mai scontata. Ecco che agli imprenditori servono strumenti efficaci per orientare (bussola) la propria imbarcazione (nave) e uno sguardo lungo (telescopio) per comprendere i cambiamenti di acque sempre più internazionali e ricche di concorrenti.

Il progetto creativo del magazine Logyn è una miscela di linguaggi creativi mutuati dal mondo digital e scelte illustrative dal taglio assolutamente “letterario”, per una rivista che non vuole essere un semplice mezzo di comunicazione ma una piattaforma di confronto e discussione. Il risultato è una voluta e sapiente contaminazione tra la tradizione illustrativa e grafica delle riviste letterarie e le webzine digital dedicate al mondo IT. Una contaminazione che in Logyn diventa linguaggio unico, distintivo, a sottolineare un modo innovativo di fare cultura nel mondo dell’IT. Il lettore è accompagnato nella lettura da campiture di tinte piatte, toni omogenei e colori pieni che lasciano risaltare le tracce delle forme e dei disegni. Elementi illustrati si alternano a elementi moderni e fotografici senza mai apparire fuori luogo, creando un’immagine complessiva elegante e pulita, nonché in perfetta sintonia col testo cui è abbinata. Le copertine sono caratterizzate da elementi semplici, forme solo apparentemente fredde ma che lasciano spazio ad una comunicazione profonda e ricca di significato. Un colore distintivo per ogni copertina, con l’obiettivo di dare a ogni numero di Logyn l’unicità che merita; a queste tinte viene sempre accostata una fascia nera, che oltre ad avere funzione di base per figure che di volta in volta caratterizzano ulteriormente il numero, costituiscono la linea guida e l’impostazione della rivista. Ecco che Logyn, attraverso il suo stile inconfondibile, trasmette ciò che siamo: una nuova community che inter-scambia bisogni, idee e valori. 14


Da consegnare entro e non oltre la data da voi richiesta.

trevisostampa.it


DICEMBRE 2014

PENSARE CON LE MACCHINE!

STEFANO MORIGGI

GLI INGLESI “A LEZIONE” DA LEONARDO, MICHELANGELO E RAFFAELLO. E NOI? Troppo spesso non si riflette abbastanza sulle dinamiche e sulle pratiche innescate dall’introduzione di uno strumento all’interno di un contesto. Non siamo infatti abituati a indagare le ragioni che hanno dato forma (e dunque funzionalità) a uno spazio, qualificandolo. Si consideri, per esempio, l’aula scolastica. Cosa ha portato nei secoli il consolidamento di una tipologia di arredo incentrata su una cattedra per il docente contrapposta alla schiera di banchi per gli alunni? A molti potrebbe sembrare - e di fatto continua a sembrare - il “setting naturale” per l’apprendimento; quando in realtà non è altro che il portato culturale conseguente all’introduzione in un contesto deputato alla didattica di un particolare strumento, il libro. Attorno a tale prezioso “tabernacolo” del sapere tradizionale, nel tempo l’insegnante, forte delle sue competenze, delle sue doti comunicative e della sua esperienza, ha finito per diventare come di recente, tra gli altri, ha osservato il sociologo francese Michel Serres - “il sacerdote del Verbo”. O, per dirla più laicamente, il “portavoce” di una conoscenza custodita nel libro e diretta a una platea di discenti destinati all’ascolto. Da qui l’origine della cosiddetta lezione frontale e, contestualmente, la strutturazione e l’arredo dell’aula tradizionale. 16

Siamo già intervenuti su questi argomenti dalle colonne di Logyn, cercando di ribadire un concetto tanto intuitivo (a parole) quanto difficile da introdurre nelle effettive buone pratiche della scuola italiana: ovvero, che la transizione al digitale dell’istituzione scolastica (e più in generale della società) non può e non deve essere intesa nei ristretti termini di un semplice aggiornamento informatico. La svolta è culturale, non banalmente strumentale. Illudersi del contrario significa, in prima istanza, non cogliere la profondità e l’entità di una trasformazione in corso; in seconda, escludersi dalla possibilità di cogliere rischi e opportunità di un nuovo orizzonte ancora tutto da esplorare. Che si tratti di un cambiamento epocale lo si può intuire anche osservando la polarizzazione dell’opinione pubblica (e di non pochi addetti ai lavori). C’è chi, gli “entusiasti”, salutano ingenuamente una nuova era da inconsapevoli alfieri di una idea ottocentesca di progresso. E poi c’è anche chi, gli “apocalittici”, cercano rifugio psicologico in un passato idealizzato pur di non affrontare il rapido precipitare del futuro nella loro quotidianità. Tale polarizzazione è, appunto, uno dei sintomi della radicalità della mutazione in corso. Per qualche osservatore esterno,


scenari

poi, ci vuole ancora tempo per metabolizzarlo. Forse non siamo ancora pronti e comunque - incalzano altri - scienza e tecnologie evolvono con una velocità insostenibile per la morale, l’etica e la politica. Dunque, che fare? Personalmente, comincerei a riflettere sul fatto che di fronte a un vero cambiamento non possiamo che essere colti impreparati. Se così non fosse, non si tratterebbe di un cambiamento degno di questo nome. Da questo punto di vista, ogni delega al futuro suona come un alibi per non assumersi le responsabilità del presente. Anche perché il futuro va preparato, pensato, progettato - proprio a partire da una ragionata disamina del presente (e, quando occorre, del passato). A partire, magari, proprio dall’analisi di un’aula scolastica. Ecco, alla luce di quanto detto in questo e in altri articoli

dedicati al tema in questione, sarebbe ingenuo pensare che la transizione al digitale delle scuole - ovvero l’introduzione dei nuovi media nelle aule - possa lasciare inalterati da un lato i metodi di insegnamento e dall’altro gli spazi e gli arredi del setting didattico. Se infatti - per citare solo un esempio - la sovrabbondanza di dati e informazioni resi disponibili dalla rete, ha comportato la necessità di sviluppare modelli di apprendimento capaci di trasformare gli alunni in piccoli ricercatori (tutorati e coordinati dai rispettivi docenti); occorre d’altra parte - a fronte di una sensata infrastrutturazione dell’edificio scolastico - che si preveda una riprogettazione dell’ambiente formativo in modo da favorire il consolidamento delle pratiche laboratoriali proprie del ricercatore. Una nozione base, questa, per pianificare il futuro

Stefano Moriggi storico e filosofo della scienza Si occupa di teoria e modelli della razionalità, di fondamenti della probabilità, di pragmatismo americano con particolare attenzione al rapporto tra evoluzione culturale, semiotica e tecnologia. Già docente nelle università di Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine (SEMM), attualmente svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e l’Università degli Studi di Bergamo. Esperto di comunicazione e didattica della scienza, è consulente scientifico Rai e su Rai 3 è uno dei volti della trasmissione “E se domani. Quando l’uomo immagina il futuro”. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: “Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora. Le streghe prima di Loudon e Salem” (Bompiani, 2004); (con E. Sindoni) “Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero” (Itaca 2004); con P. Giaretta e G. Federspil ha curato “Filosofia della Medicina” (Raffaello Cortina, 2008). Più recentemente (con G. Nicoletti) ha pubblicato “Perché la tecnologia ci rende umani. La carne nelle sue riscritture sintetiche e digitali” (Sironi, 2009); (con A. Incorvaia) “School Rocks. La scuola spacca” (San Paolo, 2011); Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine (San Paolo, 2014). 17


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della scuola, ma che ancora non circola come dovrebbe tra i decisori politici e anche tra molti dei professionisti senza dei quali il progetto rimarrebbe monco - a partire dagli architetti. Da questo punto di vista, sono ancora troppo poche le occasioni di incontro tra specialisti di formazione diversa al fine di condividere competenze e acquisizioni indispensabili a gestire fenomeni di tale complessità. Ma quando si verificano - come il mese scorso ad Ancona in occasione di un evento organizzato dal sito www.ideealcubo.com - si comincia davvero a pensare e a operare in rete. Erano infatti più di trecento gli architetti accorsi alla Mole Vanvitelliana per confrontarsi con metodologi, epistemologi, pedagogisti, docenti. E per discutere insieme modelli e ipotesi su cui investire culturalmente (prima ancora che economicamente!). Non mancavano gli imprenditori, che intuendo meglio e prima di altri soggetti istituzionali il significato dell’operazione - non si erano limitati a sostenerla, ma avevano addirittura preteso di essere tra i promotori. Ma c’è dell’altro... Considerazioni di questo tipo dovrebbero anche aiutare gli addetti ai lavori a comprendere il perché nella transizione a modelli di didattica aumentati dalla tecnologia siano (culturalmente e psicologicamente) più agevolati gli istituti tecnici e professionali. Ovvero, le scuole in cui la lezione frontale è solo uno degli approcci possibili all’apprendimento, accanto ad altri momenti di formazione e studio in cui è la “pratica” del laboratorio (o dell’officina) a prendere il posto della “grammatica” del libro di testo (e del suo “portavoce”). Basterebbero queste osservazioni - anche se molte altre se ne potrebbero aggiungere - per sensibilizzare le istituzioni competenti sull’importanza e l’urgenza di investire e scommettere sulla scuola, proprio a partire da una rivalutazione degli istituti tecnici e professionali. Non si tratterebbe solo di restituire dignità e centralità a istituti immeritatamente ridotti o considerati come il parcheggio degli studenti meno volenterosi. Più profondamente, sarebbe il caso di comprendere che - per dirla con il sociologo Richard Sennett - il contesto “artigianale” del loro assetto didattico potrebbe di fatto - se debitamente gestito da seri percorsi formativi - rivelarsi l’avanguardia e il traino di tutto il mondo scolastico verso un futuro che altrove è già presente. Alcuni storceranno il naso, mi rendo conto. Specie tutti coloro - io, ormai da tempo, li definisco vetero-umanisti - che vivono beati e inconsapevoli nel clamoroso equivoco (molto italiano) - di non considerare scienza e tecnica (e dunque mestieri e professioni) cultura a tutti gli effetti - almeno quanto le lettere e le arti. Stigmatizzare tale errore non significa soltanto scuotere un idolo di ignoranza; ma indicare al contempo una ipotesi concreta di lavoro (tra le tante altre plausibili) per avviare quella pianificazione del futuro cui prima si alludeva. Iniziando proprio 18

dalla scuola - e, come si è detto, proprio da quelle scuole apparentemente meno qualificate e qualificanti. Ma che in realtà, pur con tutti i problemi economici e strutturali che le affliggono, rappresentano le “botteghe” da cui ripartire per sviluppare e sperimentare modelli di didattica compatibili ai cambiamenti sociali e cognitivi introdotti dalle tecnologie. A proposito di botteghe... Da qualche anno in Inghilterra si stanno diffondendo le Studio Schools (www.studioschooltrust.org). Nate a Manchester, costituiscono una rete di piccoli istituti professionali distribuiti sul territorio nazionale: ciascuna accoglie circa 300 studenti di età compresa tra i 14 e i 19 anni e - come spiegano i docenti - “da noi i ragazzi iniziano a fare esperienza del mondo del lavoro mentre apprendono”. E da più punti di vista. L’obiettivo principale di questo esperimento didattico è appunto - come si legge nello statuto delle Studio Schools - quello di “ridimensionare il gap crescente tra le abilità e le conoscenze necessarie ai giovani per avviare con successo una carriera lavorativa e l’offerta formativa corrente”. Si tratta, pertanto, di cercare di recuperare una dimensione operativa del sapere: e proprio un modello didattico aumentato dalle tecnologie è quello che consente una collaborazione effettiva e virtuosa di queste scuole con imprese e aziende del territorio. Attraverso simulazioni (sempre più prossime alla realtà) di “progetti di impresa”, nozioni, formule, teorie e concetti vengono studiati proprio come un apprendista artigiano impara, usandoli, gli attrezzi del mestiere. Tra questi attrezzi sono contemplate competenze irrinunciabili in qualsiasi contesto (non solo in un’azienda!) aumentato dalle tecnologie: regole della comunicazione, lavoro cooperativo, strategia progettuale, applicazione delle conoscenze acquisite in contesti diversi, pensiero critico, soluzione di problemi e psicologia di gruppo. Qualcuno potrebbe pensare - e non del tutto a torto - che esperienze formative di questo tipo rappresentano il precipitato culturale (e professionale) di una pedagogia tipicamente anglosassone. Non c’è dubbio, tuttavia, inviterei i più curiosi a chiedersi come mai questi istituti sono stati chiamati Studio School... La risposta, di nuovo, la si trova nel loro statuto (oltre che sul loro sito): “il nome proviene dal concetto di studio rinascimentale, diffuso in Europa dal 1400 al 1700, in cui lavorare e imparare erano un tutt’uno. [...] Artisti e inventori come Leonardo da Vinci, Raffaello e Michelangelo hanno tutti imparato e quindi insegnato in un contesto laboratoriale (studio setting). Nostro scopo è recuperare questa antica tradizione e applicarla nel XXI secolo”. E noi? In nome di quale alibi o pregiudizio possiamo permetterci il lusso di dimenticare il nostro Rinascimento?



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L’UE PUÒ ESSERE UN POSTO MIGLIORE PER LE PMI? Intervista a Miguel Sagredo, portavoce Commissione PMI dell’UE

Da anni in discussione sui tavoli della Commissione un’ampia gamma di misure per semplificare la vita delle piccole imprese. Infine, nella scorsa primavera le organizzazioni delle imprese a livello europeo e i rappresentanti delle PMI a livello nazionale hanno deciso che i cinque pilastri esistenti dello SBA (Small Business Act) dovessero essere conservati: accesso ai finanziamenti; accesso ai mercati e internazionalizzazione; sostegno all’imprenditoria; migliore regolamentazione; formazione e competenze degli imprenditori e del personale. Ne parliamo con Miguel Sagredo, portavoce Commissione PMI dell’Unione Europea.

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Qual è la situazione attuale delle PMI europee in questo periodo particolare? Le condizioni economiche sono difficili per le PMI nella maggior parte degli Stati membri. Il recupero suggerito dai dati economici è irregolare e non sta ancora seguendo una traiettoria precisa. Nel 2013 il numero di piccole e medie imprese e il loro valore aggiunto resistevano nella situazione della pre-crisi del 2008, ma l’occupazione nelle PMI scendeva. Le PMI sono la spina dorsale dell’economia europea e per questo dobbiamo metterle in condizioni di creare crescita e posti di lavoro e aiutarle ad affrontare le sfide che ci attendono. Le PMI europee si trovano ad affrontare forti difficoltà di accesso al credito, accesso ai mercati interni e dei Paesi emergenti, e soffrono anche la pressione normativa e burocratica. Quali sono le principali differenze tra nazione e nazione? Nelle analisi sono emerse nette linee di frattura tra gli Stati membri dell’UE. Da un lato, in Germania, Austria, Svezia, Belgio, Malta, Lussemburgo, Regno Unito e Francia, l’occupazione e il valore aggiunto delle PMI hanno avuto una significativa ripresa, superando addirittura i livelli del 2008. Tuttavia, per gli altri Paesi come la Grecia, la Spagna, il Portogallo, la Croazia, Cipro, l’Irlanda, la Romania, la Slovenia, la Lettonia e l’Ungheria, nel 2013 il livello di valore aggiunto generato dalle piccole e medie imprese è stato del 10% inferiore a quello del 2008.

incontri con Quali sono le principali complessità che incontrano le piccole e medie imprese nel processo di internazionalizzazione? Le aziende devono affrontare molte sfide quando accedono a nuovi mercati, sia nell’Unione Europea che all’esterno. Le PMI riscontrano maggiori difficoltà rispetto alle grandi aziende, anche perché hanno risorse limitate da investire nei processi di internazionalizzazione. In generale, i principali ostacoli sono la mancanza di informazioni e del potenziale del mercato, la difficoltà di individuazione di potenziali clienti, le modifiche alle nuove regole e norme tecniche, il processo di trasferimento tecnologico e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Solo il 13% delle PMI europee attualmente esporta oltre i confini dell’UE. Solo il 25% delle PMI è attivo al di fuori del paese di origine, il 14% importa in altri Paesi, il 7% è coinvolto in una collaborazione tecnologica con un partner straniero e solo il 2% è interessato direttamente in investimenti esteri. Secondo l’analisi dell’OCSE, il 90% della crescita globale in termini economici nei prossimi 10-15 anni potrebbe essere generato al di fuori dell’Europa. Dobbiamo aiutare le nostre imprese, in particolare quelle piccole, ad essere nella condizione di cogliere come opportunità l’internazionalizzazione. Questo significa affrontare uno ad uno gli ostacoli che le nostre PMI incontrano, aiutandole a superarli. La Commissione Europea sta già lavorando in questa direzione su diversi livelli. Quali sono le attività e le azioni dell’UE a sostegno delle PMI? Le azioni dell’Unione Europea a sostegno delle PMI si concentrano su 3 aree prioritarie: l’accesso ai finanziamenti, l’accesso ai mercati e la riduzione degli oneri. Accesso ai finanziamenti: le PMI europee sono sostenute dalla CE nell’accesso ai finanziamenti, attraverso il programma COSME 2014-2020, i cui strumenti finanziari permetteranno di accedere a capitali tramite investimenti in capitale di rischio, inoltre offriranno garanzie a intermediari finanziari per i prestiti a tutti i tipi di piccole e medie imprese. Le PMI innovative possono anche accedere Horizon 2020, nonché a finanziamenti strutturali europei e a fondi di investimento. La Commissione promuove anche fonti alternative di finanziamento per le PMI, come la cartolarizzazione, il crowdfunding, il finanziamento “mezzanino” e il finanziamento della catena di approvvigionamento. 21


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Accesso ai mercati: in aiuto alle PMI per cogliere opportunità di business nel mercato interno è stato creato un portale per ottenere alcune informazioni pratiche sulla standardizzazione o sulla legislazione comunitaria per avviare e gestire un business in uno stato membro dell’Unione Europea: Your Europe Business Portal (http://europa.eu/youreurope/business/index_en.htm). L’Enterprise Europe Network (http://een.ec.europa.eu/) aiuta le PMI partecipare a progetti di ricerca UE sostenendole nel comprendere la legislazione dell’UE, i programmi e le opportunità di finanziamento, i partner commerciali o tecnologici. Il Network si basa sulla competenza di 3000 dipendenti inseriti in 600 organizzazioni di partner regionali. Le organizzazioni partner sono in genere camere di commercio, agenzie per l’innovazione, le organizzazioni imprenditoriali, università o centri tecnologici. Abbiamo anche una serie di azioni volte ad aiutare le PMI ad accedere ai mercati al di fuori dell’UE, alcune delle quali operano su macro-livelli ovvero mirano a migliorare il contesto imprenditoriale. Inoltre, sono stati organizzate delle “Mission for Growth”, ossia missioni economiche di sviluppo, a sostegno delle imprese nell’accesso ai mercati internazionali, approfondendo anche la cooperazione politica bilaterale in vari campi come lo spazio, il turismo, materie prime, tecnologie verdi. Nel corso degli ultimi 3 anni le “Mission for Growth” sono state avviate in 20 diversi Paesi

del Centro e in America Latina, gli Stati Uniti d’America, Nord Africa, Russia, Cina, Israele, Myanmar, Vietnam e Thailandia. In totale, più di 500 aziende europee di 26 diversi Stati membri ha partecipato e sono stati firmati più di 60 accordi di cooperazione bilaterale con i governi locali. Riduzione della pressione normativa: diverse iniziative sono state avviate per semplificare il quadro normativo e amministrativo, riducendo l’onere per le piccole e medie imprese. Il Regulatory and Fitness and Performance Programme mira a semplificare la legislazione dell’UE, alleggerendo il carico sulle imprese. È stato introdotto un PMI Test nella procedura di valutazione d’impatto della Commissione, al fine di rendere la legislazione più “favorevole alle PMI”, mentre gli Stati membri sono incoraggiati ad applicare ai loro procedure nazionali. Pensa che ci sia un deficit tecnologico che in generale penalizza le PMI europee? Le PMI possono avere un deficit tecnologico rispetto alle grandi imprese, ma spesso diverse grandi aziende e PMI si trovano nella stessa area geografica. Insieme a un numero importante di aziende provenienti da settori affini industriali, istituzioni, centri di conoscenza e attori dell’innovazione formano un cluster (distretto di imprese). Aziende a grappoli raggiungono livelli più elevati di innovazione, conducono ulteriori ricerche di mercato, collaborano di più e registrano marchi più internazionali e brevetti rispetto alle imprese che non fanno parte di un cluster. Questa è la ragione per cui la Commissione Europea sostiene diverse iniziative di rete. Attraverso i cluster siamo in grado di promuovere nuove forme di collaborazione mediante la combinazione di tecnologie, servizi e prodotti di diversi settori e incanalando mezzi e strumenti innovativi per le PMI. Ad esempio, nell’ambito del programma Horizon 2020 la Commissione sosterrà progetti sperimentali di distretti a sostegno di almeno 3.000 piccole e medie imprese entro il 2020. Il 75% del budget - più di 100 milioni di euro - è riservato a diretto beneficio delle PMI: a sostegno dello sviluppo e sperimentazione di soluzioni per l’innovazione della catena di valore. Le PMI possono inoltre beneficiare di uno specifico programma di internazionalizzazione per distretti e di azioni di matchmaking avviate nel quadro del programma COSME. Competitività e innovazione: come aiutare le PMI? Che cosa può essere fatto e sta facendo l’UE? Horizon 2020 ha un budget di circa € 80 miliardi per il periodo 2014-2020. Rispetto al precedente programma comunitario il pilastro della ricerca sarà dotato di più fondi per affrontare importanti sfide sociali, mobilitando il settore privato e pubblico. In particolare per le piccole imprese, c’è una crescita

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incontri con dell’obiettivo del 20% sul bilancio per le sfide della società e le tecnologie abilitanti fondamentali per la partecipazione delle PMI, che ammonta a 8,3 miliardi di euro. Lo strumento fornisce il pieno supporto nel ciclo di innovazione di business dalla fase di ideazione imprenditoriale alla progettazione all’esecuzione del piano industriale e alla possibilità di commercializzazione. I partecipanti potranno interpellare anche dei coach sull’innovazione del business per tutta la durata del loro progetto. La disponibilità di questi fondi è una grande opportunità per le PMI ad investire, innovare e creare nuovi posti di lavoro. Il ruolo attualmente svolto dalle PMI per la crescita economica dei paesi membri della UE? Si stima che le PMI generino l’85% dei nuovi posti di lavoro nel settore privato. Se vogliamo che le nostre economie recuperino, dobbiamo mettere le PMI di nuovo su un solido percorso di crescita. Questo è il motivo per cui stiamo spingendo per il continuo miglioramento delle loro condizioni, in particolare attraverso lo Small Business Act, che riconosce il ruolo centrale delle PMI nell’economia dell’UE e mette in atto un quadro politico globale per le PMI e per l’UE. Esso mira a migliorare l’approccio globale allo spirito imprenditoriale, e ad ancorare in modo permanente il principio del “Pensare anzitutto in piccolo” a politiche del fare, e a promuovere la crescita delle PMI aiutandole ad affrontare i problemi che ostacolano il loro sviluppo. Lo Small Business Act per l’Europa si applica a tutte le società indipendenti che hanno meno di 250 dipendenti: il 99% di tutte le imprese europee.

settoriali, con maggiore concentrazione su quei mercati che hanno sofferto maggiormente la crisi. Le recenti misure di Draghi possono dare nuovo stimolo per le PMI? Sì, lo faranno e già sono in atto. Taglio dei tassi di interesse e l’acquisto di bond coperti e titoli garantiti da attività, insieme al loro impatto sul tasso di cambio dell’euro, stanno già avendo un impatto positivo e continueranno a farlo: queste misure in modo efficace affrontano i problemi della zona euro, ad esempio, nell’accesso ai finanziamenti e nell’esportazione dei prodotti. Naturalmente, la politica monetaria della Banca Centrale Europea da sola non può risolvere i problemi tutte le PMI; alcuni Stati membri devono integrare queste misure spingendo più avanti le loro riforme nazionali, con particolare riguardo a quelle che interessano le PMI, come il mercato del lavoro, le politiche fiscali e gli oneri amministrativi.

Parlando di piccole e medie imprese quale settore è alla guida? Quale più in crisi? Le prestazioni delle PMI europee variano notevolmente per settore. Le PMI nel settore delle costruzioni e manifatturiero hanno risentito maggiormente della crisi, in particolare nei settori dell’acciaio e dell’auto. Al contrario, i servizi alle imprese, il settore dell’informazione e della comunicazione e quello immobiliare hanno dimostrato più dinamicità nel superare i livelli pre-crisi. La Commissione Europea ha intrapreso iniziative

Miguel Sagredo Portavoce Commissione PMI dell’Unione Europea 23


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IL VOLTO DELL’IMPRESA ITALIANA TRA DIGITALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE Intervista a Elio Catania, presidente Confindustria Digitale

“L’Italia è digitale a macchia di leopardo, con alcune luci e molte ombre e con casi di eccellenza sia nel pubblico che nel privato, accanto a un generale ritardo digitale che segna sia la Pubblica Amministrazione che le Pmi che le famiglie”. Per quanto riguarda l’internazionalizzazione le imprese della filiera ICT hanno sviluppato grosse capacità per operare e competere anche al di fuori dei nostri mercati nazionali. A parlarci della realtà italiana il presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania. 24


Cos’è Confindustria Digitale?

Confindustria Digitale è la Federazione di rappresentanza industriale dell’ICT nata nel giugno 2011 con l’obiettivo di promuovere la crescita dell’economia digitale in Italia. Sono soci: Assotelecomunicazioni-Asstel, l’associazione della filiera delle imprese di Telecomunicazioni, Assinform in rappresentanza dell’Information Technology, Anitec che riunisce i produttori di tecnologie e servizi di ICT e Consumer Electronics, Aiip (Associazione degli Internet Provider), Assocontact (Associazione dei Contact e call center), Asso.IT (Associazione nazionale fornitori Information Technology - Document Management & Printing). Il massimo organo politico della Federazione è il Consiglio generale, formato, oltre che dai presidenti delle associazioni federate, da 20 consiglieri in rappresentanza dei principali gruppi nazionali e internazionali dell’ICT in Italia. A Confindustria Digitale fanno capo imprese per un totale di oltre 250.000 addetti che realizzano un fatturato annuo di oltre 70 miliardi di euro.

scenari

Che supporto porta alle imprese?

La Federazione è direttamente impegnata nello stabilire anche in Italia un quadro regolatorio favorevole all’innovazione e incentivante gli investimenti del settore. In quest’ambito svolge presso le istituzioni, il Governo, il Parlamento italiano, nonché presso le istituzioni europee, un’intensa attività di produzione di studi e analisi, proposte di legge, emendamenti, azioni di sensibilizzazione. Sul piano operativo abbiamo in essere un’articolata collaborazione tecnica con l’Agenzia per l’Italia Digitale finalizzata a contribuire all’attuazione dei progetti strategici di innovazione della Pubblica Amministrazione. Allo stesso tempo con Consip abbiamo aperto un tavolo di lavoro secondo logiche di partenariato precompetitivo per delineare al meglio gare e progetti in partnership pubblico-privato, come il project financing o il perfomer financing. Quanto digitale è l’Italia?

L’Italia è digitale a macchia di leopardo, con alcune luci e molte ombre e con casi di eccellenza sia nel pubblico che nel privato, accanto a un generale ritardo digitale che segna sia la PA che le Pmi che le famiglie. Per esempio, l’Italia occupa il secondo posto nel mondo per numero di abbonati alla telefonia mobile. Ancora, se consideriamo il dato sulla diffusione dell’uso regolare di Internet (almeno 1 volta alla settimana), che cresce in tutta Europa, con un incremento di circa il 2% tra il 2012 e il 2013 e una media europea che si assesta attorno al 70%, notiamo che la crescita in Italia è stata tra le più marcate (+8%). Tuttavia, la diffusione di Internet resta ancora lontana dal target europeo del 75% della popolazione connessa entro il 2015, in particolare in Italia dove il 34% non fa ancora alcun uso di Internet. In

tema di competenze poi l’Italia appare in ritardo con ben il 60% della popolazione priva di skill digitali contro il 47% della media europea. In complesso ne risulta un Paese ancora molto in difficoltà nell’abbracciare la trasformazione digitale come chiave per modernizzarsi e riprendere a crescere. Nel 2013 la spesa ICT italiana rappresentava il 4,8% del PIL contro una media europea (Ue 28) del 6,6%, ma contro la Germania al 6,9, la Francia al 7,0 e l’UK. ICT e IT in Italia: Si parla spesso di pochi investimenti nel settore... Fino a tutti gli anni ‘80 del secolo scorso il nostro paese investiva in ICT un valore superiore a quello investito da paesi come Giappone, Austria o Francia e sostanzialmente confrontabile alla quota sostenuta da Svizzera e Germania. Dalla seconda metà degli anni ‘90, invece, l’Italia inizia a distaccarsi da questo trend positivo, che per gli altri paesi è continuato e spesso aumentato, per registrare una riduzione di un buon 35%, creando un vero e proprio spread digitale tra la nostra e le altre economie europee quantificabile ormai tra 23 e 25 mld di euro l’anno di mancati investimenti. Che cosa è successo in 25


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quegli anni? L’entrata in campo di Internet, alla fine del secolo scorso ha rappresentato una forte discontinuità nelle tecnologie digitali. Le applicazioni web, le tecnologie di rete, richiedono, infatti, innovazioni radicali nei modelli, nella cultura d’impresa, nel mercato del lavoro, così come nell’organizzazione e nei processi della PA. Per generare valore da queste tecnologie sono necessari investimenti complementari in quello che viene chiamato “capitale organizzativo”, vale a dire revisione degli assetti organizzativi e dei processi, del management e delle competenze. È su questo, sulla necessità, cioè, di trasformarsi per usufruire dei vantaggi delle nuove tecnologie digitali, che l’Italia ha dimostrato e continua a dimostrare di avere grandi difficoltà e resistenze. La mancata affermazione dell’ICT nel nostro Paese non è anche un po’ colpa del comparto? Certo, esiste anche un problema dell’offerta digitale. Il settore ICT in Italia genera un valore aggiunto sul PIL pari al 4,2%, quota lievemente inferiore alla media europea, ma sensibilmente più bassa di quanto si registra in altre economie come quella statunitense (6,4%), cinese (6,6%), giapponese (6,9%) o di Taiwan (10,5%). D’altro canto la struttura del settore è in linea con l’intera economia che vede, accanto a un nucleo di poche grandi imprese nazionali e multinazionali, una prevalenza di piccole imprese, pari al 52% contro il 25-30% degli altri Paesi, con una produttività inferiore di quasi il 50% rispetto a Francia, Germania e Inghilterra. Queste piccole imprese ICT non sempre possono essere in grado di investire in innovazione, di disporre del portafoglio di skill richiesti dall’odierna complessità tecnologica e di sostenere quelle attività complementari all’utilizzo della tecnologia necessarie per estrarne tutto il valore per l’utilizzatore. Va detto, tuttavia che oggi il settore è attraversato da un’importante dinamica di trasformazione, con componenti innovative che registrano grande vivacità, i cui trend in salita sono allineati a quelli internazionali, anche se non in grado ancora di generare volumi di fatturato capaci di incidere sull’andamento complessivo del settore. La crescita del cloud (+35,7%), dei contenuti digitali (+6,6%), del software con nuove soluzioni e applicazioni (+3,2%) sembrano disegnare o i contorni di una nascente innovazione digitale italiana, legate anche anche al fenomeno delle start up, che va sostenuta con adeguate misure incentivanti.

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Internazionalizzazione delle imprese digitali: quali scenari apre questa tematica? L’espansione all’estero è diventata una strategia vitale per le imprese italiane, infatti, le imprese internazionalizzate hanno mostrato una migliore tenuta durante la crisi e, nel mutato contesto globale, la capacità di dare un nuovo impulso all’export italiano appare fondamentale per la nostra economia. Negli ultimi anni, le imprese della filiera ICT hanno sviluppato grosse capacità per operare e competere anche al di fuori dei nostri mercati nazionali. I dati di flusso della Banca d’Italia confermano che la bilancia dei pagamenti ICT è tendente al pareggio grazie a una forte propensione all’export di servizi registrata proprio in questi anni di crisi. Al contempo il settore ICT va considerato come un importante supporto alle strategie delle imprese appartenenti alle altre filiere produttive, in quanto offre la possibilità di sfruttare le soluzioni e i servizi da esso prodotti come strumento utile nel definire e rafforzare il posizionamento competitivo. L’internazionalizzazione è quindi una grande opportunità, se non un’esigenza, anche per le imprese dell’Information and Communication Technology. Quali le politiche necessarie per rendere le imprese maggiormente internazionalizzate e competitive? Nell’immediato bisogna dare attuazione al piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia previsto dall’art. 30 del DL Sblocca Italia, prevedendo una parte specifica per il settore ICT. In quest’ottica vanno attuati rapidamente i voucher a fondo perduto per il


scenari rafforzamento organizzativo delle micro, piccole e medie imprese tramite il finanziamento di figure professionali specializzate nei processi di internazionalizzazione al fine di realizzare attività di progettazione e gestione di processi e programmi su mercati esteri. Quali le politiche necessarie per cambiare rotta? Per far cambiare rotta al Paese la parola d’ordine è: attuazione! È finito il tempo delle liste di cose da fare. Ormai sappiamo cosa va fatto e dobbiamo passare alla loro fase esecutiva, concentrandoci su poche cose essenziali. In tema di PA sette sono i progetti prioritari individuati in grado di creare un effetto “trascinamento” su tutti gli altri servizi: un portale di Log-in nazionale, una piattaforma per i servizi della Scuola (contenuti didattici), il Fascicolo Sanitario Elettronico e la ricetta digitale (nell’ambito del Patto per la Sanità Digitale), un sistema dei pagamenti, l’Anagrafe Nazionale della popolazione residente e dei numeri civici in un’ottica di georeferenziazione, il Sistema Pubblico d’Identità Digitale, l’interoperabilità INPS, INAIL, Fisco. Infine, per superare la logica a silos finora prevalente nella PA va assicurata la definizione di standard e architetture IT interoperabili per le banche dati e i servizi condivisi. Sul fronte della digitalizzazione delle PMI, specie le piccole imprese, vi sono due piani di intervento. Bisogna puntare da un lato all’aggregazione delle imprese attraverso i contratti di

rete intorno a piattaforme di filiera per il Made in Italy, dall’altro alla creazione di un fondo per la formazione e l’invio in azienda di giovani project manager digitali che, per un periodo di tempo determinato, eseguano un assessment delle necessità dell’impresa e lancino un progetto di digitalizzazione. In quest’ottica va rapidamente attuato e rafforzato il voucher per le PMI (già previsto nel DL “Destinazione Italia”) finalizzato alla digitalizzazione dei processi aziendali, facendo dell’agevolazione uno strumento strutturale per l’arco temporale 2015-2020.

Elio Catania Presidente di Confindustria Digitale, la federazione delle imprese ICT in Italia 27


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BIALETTI INDUSTRIE: AMBASCIATRICE DEL DESIGN ITALIANO

All’estero con attenzione a Marketing e a Ricerca&Sviluppo

L’internazionalizzazione comporta la necessità di sviluppare e rafforzare le aree Marketing e Ricerca&Sviluppo in funzione delle diverse esigenze dei mercati e dei differenti consumatori stranieri. A raccontarci come è Egidio Cozzi, Global Business Director Bialetti Industrie.

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Quando è avvenuto il passaggio al mercato internazionale?

Incontri con

Bialetti Industrie è sempre stata una realtà riconosciuta a livello internazionale grazie al design e alla continua innovazione di prodotto che connotano le attività del Gruppo a cui fanno capo marchi di lunga tradizione come Bialetti, Aeternum, Girmi e Rondine nonché uno dei marchi più noti sul mercato turco, CEM. Va evidenziato come, già negli anni ‘50, Bialetti era presente già in 50 paesi - oggi sono più di 80 - grazie a Moka Express, caffettiera icona riconosciuta a livello internazionale come simbolo dell’italianità e dello stile italiano.

pertanto, la necessità di sviluppare e rafforzare la parte Marketing e Ricerca&Sviluppo in funzione delle diverse esigenze dei mercati e dei differenti consumatori stranieri.

Ci sono state delle difficoltà in questa fase di cambiamento?

Come è strutturata l’azienda e come si presenta sul mercato?

Non parlerei di difficoltà ma di sfide legate alla competitività del settore nel quale operiamo e all’andamento dell’economia di alcuni paesi dove intendiamo crescere. All’inizio lo sforzo maggiore richiesto rispetto a chi è già stabilmente presente sui mercati per noi nuovi riguarda essenzialmente la comunicazione e la creazione di una “brand awarness” che ci permetta di rendere riconoscibili i nostri prodotti e la loro peculiarità.

La struttura commerciale di Bialetti Industrie copre tutti i principali mercati ed opera tramite il quartier generale di Coccaglio, in provincia di Brescia, e attraverso un’importante sede commerciale in Francia (Parigi) e in Cina per potenziare anche i mercati asiatici. Distintosi negli anni sia per l’elevato grado di innovazione e qualità dei propri prodotti, sia per l’impiego di nuovi materiali e tecnologie, il Gruppo è presente, infine, con propri stabilimenti produttivi e Know how italiano in Italia, in Turchia e in Romania. Bialetti Industrie ha chiuso il 2013 con un fatturato consolidato pari a 159 mln/€ ed è composto oggi da più di 1.000 dipendenti.

Avete dovuto riorganizzarvi all’interno per affrontare Ogni mercato a cui si fa riferimento presenta caratteristiche e peculiarità proprie e distintive. L’internazionalizzazione comporta,

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Che differenze avete riscontrato nei mercati esteri rispetto a quello italiano? Nel mercato italiano Bialetti è un brand presente all’interno di tutti i canali di distribuzione mentre, in quelli esteri, rappresenta un brand italiano posizionato nella fascia alta e di conseguenza con una distribuzione selezionata ed esclusiva. Questo tipo di presenza richiede una particolare attenzione a un consumatore più esigente per il quale è necessario sviluppare leve di marketing differenti. Tale attenzione viene rivolta anche allo sviluppo dei prodotti. Bialetti Industrie, infatti, segue e anticipa le esigenze dei consumatori all’estero proponendo soluzioni ideali per le diverse abitudini in cucina. Ne sono un esempio prodotti quali Moka Induction, caffettiera messa a punto per l’utilizzo sui piani ad induzione ampiamente presenti all’estero, e le linee di strumenti da cottura creati ad hoc. Anche nel settore delle macchine per espresso, l’adozione dei sistemi di erogazione automatici è una peculiarità che contraddistingue le nostre proposte al fine di soddisfare le esigenze dei consumatori. Qual è la Sua strategia di sviluppo per l’estero? La nostra strategia consiste nell’investire sempre e ancora più in termini di innovazione, valore della marca vantando un’italianità che, da sempre, ci contraddistingue. Che segnali arrivano dal mercato estero? Bialetti Industrie opera principalmente nei mercati europei con particolare riferimento a paesi quali Francia e Germania. Inoltre, il Gruppo è presente in Nord America tramite un accordo strategico di partnership, siglato nei primi mesi del 2014, con un importante distributore americano che prevede un contratto di licesing di 25 anni per il settore e un accordo di distribuzione dei prodotti a firma Bialetti nel mondo del caffè, caffettiere, accessori e preparazione di the e infusi. Tra i mercati emergenti che ci danno segnali positivi segnaliamo quelli racchiusi nel territorio dell’APAC. Qual è il segreto per crescere? Senza dubbio la continua attenzione alle esigenze dei consumatori e l’innovazione di prodotto rappresentano la base fondamentale per distinguersi e per mantenersi all’avanguardia nei settori in cui si opera. Bialetti è sempre stato riconosciuto come un trend setter nel mondo caffè e in quello del cookware, il nostro obiettivo sarà sempre quello di preservare lo stile e la qualità che sono propri del brand.

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Incontri con

LOFRA DI TORREGLIA GUARDA ALL’AMERICA Nuove sfide per l’azienda guidata da un iraniano che crede nel Made in Italy SANDRA CHIARATO

Il bello e benfatto appartiene alla tradizione veneta. Dovremmo saperlo bene nel Nord Est, invece ce lo dimostrano gli stranieri che investono nella nostra manifattura e a volte salvano le attività, i dipendenti e gli immobili affinché tale patrimonio non vada perduto. 31


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È la storia di Seyed Moahammad Reza Salehi, un iraniano poco più che cinquantenne ora presidente, ma prima cliente, di Lofra di Torreglia in provincia di Padova. Della stessa terra anche il direttore Abbas Soleimani ma da molti anni residente nella provincia patavina. Oltre ad aver resuscitato con un piano industriale e risorse private l’azienda ora leader nel mondo nella fabbricazione di cucine, riassumendo le stesse risorse umane, acquistando una nuova sede, il vertice ha mantenuto la mission aziendale: fare qualità, esportare il top e garantire pezzi su misura. Così Lofra ha praticato in sostanza il Made in Italy scrivendolo ben evidente su ogni modello, lavorando con le maestranze venete e facendo una scelta vincente tanto che le vendite in

LOFRA LOFRA dal 1956 è un azienda specializzata nella produzione di elettrodomestici per cottura. Un team di tecnici specializzati lavora ogni giorno con passione e professionalità, garantendo la massima qualità. Gestita da un importante Gruppo Multinazionale, l’azienda è oggi più che mai la miglior espressione del Made in Italy in cucina. Per l’eccellenza delle sue creazioni, l’avanzata ricerca tecnologica delle soluzioni e la cura del dettaglio. Per la forza innovativa delle idee e il talento creativo nel design. Per le donne e gli uomini che ogni giorno lavorano con passione e professionalità, garantendo identità e carattere ad ogni prodotto. A conferma di tutto questo ecco il nuovo stabilimento che, con i suoi 33.000 mq coperti, certifica in maniera inequivocabile la volontà di forte sviluppo che anima tutto il mondo Lofra. Una nuova realtà produttiva destinata a rilanciare il brand e le cucine Lofra in tutti i mercati del mondo. La qualità dei materiali selezionati privilegiando funzionalità ed eco compatibilità. L’ampia gamma di soluzioni, frutto di un’avanzata ricerca e sviluppo per soddisfare ogni esigenza. La creatività che si esprime nel raffinato design e nella fantasia delle forme. La massima e totale sicurezza certificata dai più importanti enti di settore. Le migliori prestazioni al minor consumo. Il talento di combinare l’eccellenza di un’azienda con 50 anni d’esperienza con il buon gusto della cucina italiana riconosciuto in tutto il mondo. Questa è Nuova Lofra. Questo il segreto del suo successo nel mercato.

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Italia quest’anno sono aumentate del 20%. Le cucine Lofra non hanno sfondato solo nel mercato nazionale, da anni sono la passione di acquirenti dal Brasile, dall’Australia, dall’Arabia Saudita, dall’Egitto e di tutta Europa. A richiedere la professionalità di questa realtà soprattutto gli israeliani per i quali i professionisti interni hanno progettato funzioni particolari per forni e piastre in grado di rispettare lo shabbàt, ovvero il momento di festa settimanale che gli ebrei osservano sospendendo qualsiasi lavoro e rifiutando tutta la tecnologia. Gli esempi potrebbero continuare con le famiglie olandesi che prediligono un accessorio ad incastro applicato ad hoc per i loro arredi, oppure gli arabi che esigono una lavorazione d’ottone effetto ricamo sul piano di cottura o le soluzioni variopinte per i tedeschi più attenti al senso cromatico. Qui i tecnici hanno brevettato anche il forno bombato, un’esclusiva certificata che solo Lofra può concedere. Le sfide sono ancora tante e vanno nella direzione degli Stati Uniti: da lì sono arrivati una settimana fa alcuni architetti per avere il massimo della bellezza e della funzionalità. Un designer d’effetto per le nuove abitazioni in costruzione a Los Angeles: esigenze moderne, che significano altre commesse a cui i dirigenti vogliono rispondere mettendo tutto l’impegno possibile anche quello finanziario con la promessa d’aiuto di Veneto Sviluppo rimasta in sospeso a causa di mancanza di fondi ma tornata d’attualità per guardare al futuro. “Stiamo incrementando il lavoro, potremmo occupare altro personale spiegano alla Lofra - ci aspettiamo la giusta attenzione da parte del mondo della finanza per ridare una speranza economica al territorio”.


incontri con

DIADORA:

CRESCERE IN TEMPO DI CRISI È POSSIBILE Intervista a Enrico Moretti Polegato, presidente e ad dell’azienda

Storico brand dello sport italiano, da qualche anno controllato da Lir Srl, finanziaria della famiglia Moretti Polegato (già proprietaria della Geox), nel 2013 Diadora ha acquistato per 9,2 milioni di dollari i marchi Diadora per Cina, Hong Kong e Macao, tornando di fatto al 100% italiana.

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Quando la Sua azienda ha deciso di internazionalizzare e perché? Il processo di internazionalizzazione è in atto ormai da qualche stagione e sta assumendo uno spazio sempre più importante nella strategia di crescita della nostra azienda. Subito dopo aver acquisito Diadora, circa 5 anni fa, ci siamo concentrati sulla ristrutturazione dell’azienda e sul rilancio del marchio in Italia, paese per noi di prima importanza. Poi, abbiamo rafforzato la nostra presenza su mercati esteri dov’eravamo già presenti e successivamente siamo sbarcati su mercati ancora tutti da conquistare come ad esempio Francia, Germania e Stati Uniti o La Cina dove abbiamo recentemente ricomprato il marchio che era stato ceduto in passato dalla precedente proprietà a investitori locali. Come si arriva e si resta sul mercato internazionale in questo periodo storico? Ci sono state difficoltà? Non parlerei di difficoltà ma da sfide legate alla competitività del settore nel quale operiamo e all’andamento dell’economia di

alcuni paesi dove intendiamo crescere. All’inizio lo sforzo maggiore richiesto rispetto a chi è già stabilmente presente sui mercati per noi nuovi riguarda essenzialmente la comunicazione e la creazione di una “brand awarness” che ci permetta di rendere riconoscibili i nostri prodotti e la loro peculiarità. Ci sono stati cambiamenti all’interno per prepararsi a questa fase? Abbiamo riorganizzato tutta la nostra rete distributiva per adattarla al cambio di strategia dell’azienda che abbraccia oggi una visione globale e che mira ad una politica di distribuzione sempre più diretta. Come si presenta oggi Diadora sul mercato? Lo staff Diadora è in continua crescita, ed è aumentato di circa il 35% dal 2010 ad oggi. L’età media è 34 anni, e le donne costituiscono il 43% dell’organico. Il fatturato aggregato 2013 (compreso quello dei licenziatari e dei distributori nel mondo) si attesta sui 214 milioni di euro confermando quindi il trend positivo grazie ad una crescita dell’8% rispetto al 2012. Sale leggermente la quota di fatturato aggregato proveniente dall’estero che è il 74% contro il 73% dell’anno precedente. Che differenze avete riscontrato nei mercati esteri rispetto a quello italiano? La globalizzazione tende a uniformare i gusti, in particolare in settori come il nostro. Allo stesso tempo la crisi ha reso il consumatore sempre più esigente e attento al prodotto. Oggi però, in termine di esigenza, l’Italia rimane probabilmente il mercato più sfidante perché il consumatore richiede in un unico prodotto, stile, performance, qualità e innovazione. Con quale strategia vi muovete all’estero? Al momento siamo presenti in circa sessanta paesi e la nostra è una strategia di sviluppo graduale mirata a essere presenti a livello globale. Intendiamo raggiungere questo obiettivo attraverso presenze dirette sui mercati ma anche tramite accordi con partner locali.

Enrico Moretti Polegato Presidente e Amministratore Delegato di Diadora

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incontri con Qual è il suo mercato principale di riferimento? Dai mercati emergenti arrivano segnali? L’Italia è il nostro mercato di riferimento e rappresenta circa il 30%. Oltre ai mercati storicamente forti per Diadora, come per esempio Il Giappone, il Canada, il Cile e Israele, in queste ultime due stagioni mercati “nuovi” come la Germania, la Francia, il Brasile e gli Stati Uniti stanno dando ottime risposte alla nostra offerta commerciale. Le politiche nazionali sostengono le aziende che internazionalizzano? Noi facciamo tutto da soli... L’elenco delle cose da fare per rendere competitivo un paese come il nostro è lungo e le ricette sono note a tutti. Parliamo di investimenti nella formazione, nella R&D, maggiore collaborazione tra mondo dell’impresa e

mondo accademico e ovviamente un alleggerimento del peso della burocrazia unito a una maggior certezza del diritto. L’Italia è ricchissima di talenti che più che di essere aiutati hanno bisogno di essere liberati. Quali sono le tecnologie necessarie per sopravvivere sul mercato internazionale? Le tecnologie evolvono costantemente e alla velocità della luce. Qualunque sia il campo di attività nel quale si opera bisogna sempre essere un passo avanti rispetto ai concorrenti. Qual è il segreto per crescere? Innovazione. Innovazione. Innovazione.

DIADORA Diadora nasce nel 1948 come un laboratorio artigianale dove si realizzano scarponi da montagna. In breve tempo, si affermano come i migliori scarponi da montagna e da lavoro presenti sul mercato. Negli anni ‘60 avviene la conversione della produzione verso il mondo dello sport. Diadora si distingue per l’alta qualità e l’avanguardia delle sue soluzioni. La produzione raggiunge volumi industriali importanti. All’inizio degli anni ‘70, che segnano l’esplosione dello sport professionistico, Diadora è la prima azienda italiana a sviluppare una nuova concezione di marketing sportivo, che si traduce nella scelta di ingaggiare campioni di grande appeal come testimonials. Campioni come Bjorn Borg e Roberto Bettega non sono solo riferimenti sportivi importanti, ma diventano vere e proprie icone di stile. Lo sport diventa fenomeno di costume e i prodotti Diadora sconfinano dalla pratica agonistica al tempo libero, contribuendo a scrivere non solo la storia sportiva del periodo, ma anche a formare il gusto dell’epoca nel nuovo mercato “lifestyle”. A partire dagli anni ‘80 Diadora diventa sempre più protagonista indiscussa nelle competizioni internazionali, grazie alle partnership con campioni di calibro mondiale. Il fenomeno di costume creato dallo sport non accenna a diminuire, anzi si intensifica grazie a icone come Pat Cash, Andrea Zorzi, Antonio Cabrini e molti altri. Gli sportivi sono le nuove celebrities e il loro stile detta legge.

Negli anni ‘90 Diadora istituisce il CRD, ovvero il Centro Ricerche Diadora, composto da un team di lavoro del tutto innovativo per quegli anni: tecnici calzaturieri, esperti del Centro di Bioingegneria del Politecnico di Milano e medici specialisti in ortopedia. Una nuova intuizione, nel 1998, permette a Diadora di capitalizzare l’esperienza maturata nel mercato sportivo, e di tornare in qualche modo alle origini attraverso il recupero della calzatura da lavoro a cinquant’anni dalla sua fondazione: nasce Utility Diadora. Gli anni 2000 sono gli anni dell’espansione mondiale portata avanti con partnership sportive eccellenti, ma anche gli anni delle contaminazioni, attraverso una visione molto specifica dello sportswear di lusso. Nasce la linea Heritage, destinata a diventare un vero e proprio fenomeno di costume e primo vero e proprio esperimento di fusione di sportswear e moda. Nel 2009 Lir, finanziaria della famiglia Moretti Polegato, azionista di riferimento di Geox, firma un’intesa per l’acquisto di Diadora, con l’obiettivo di valorizzarne l’enorme potenziale del brand. Enrico Moretti Polegato è il nuovo presidente dell’azienda. Dal 2010 incomincia il cammino di rinnovamento di Diadora, che punta sui fattori che l’hanno resa, negli anni, un punto di riferimento per molti: stile e sport performance sono le parole chiave della crescita. La musica si aggiunge allo sport nell’olimpo dello stile e le collaborazioni dell’azienda rimangono salde a cavallo dei due mondi. 35


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LOISON: L’INSOLITO PANETTONE CHE CONQUISTA IL MONDO L’internazionalizzazione raccontata dalla terza generazione Loison

Dario Loison, titolare dell’omonima azienda di luxury food, racconta come ha scelto e internazionalizzato l’impresa di famiglia e come fa a resistere in attivo sul mercato globale. La sua ricetta: passione e desiderio di anticipare i tempi, e soprattutto trasparenza. “Loison nasce nel 1938, quando mio nonno apre un semplice forno. Quel forno passa poi a mio padre che comincia a vendere al dettaglio a ristoranti, bar e negozi di alimentari e poi, nel tempo, arrivano i supermercati a richiederci grandi quantità. All’epoca si faceva pasticceria di ogni genere. Io inizialmente avevo intrapreso un’altra strada, ma ho finito per comprare l’azienda di famiglia nel ’92 e trasformarla in una Srl. Non è stato facile, all’inizio non riuscivamo ad avere ricavi perché le perdite erano maggiori dell’utile. Poi, ad un certo punto, sempre negli anni ‘90, ho cominciato a vendere i nostri prodotti all’estero tramite internet. La prima grande vendita è stata in Canada. Da lì siamo sempre cresciuti. Un’altra scelta fatta in quegli anni è 36

stata quella di focalizzare la nostra produzione solo su alcune linee, sulle quali abbiamo puntato tutta la qualità degli ingredienti Made in Italy e della lavorazione, in particolare con la scelta del panettone. Creatività e idee, allargamento a nuovi mondi, nuove ricette, e nel contempo grande attenzione alla valorizzazione della tradizione e della risorsa umana: da tutto questo è nata Loison Pasticceria dal 1938!”. A parlare è Dario Loison, terza generazione di questa famiglia di imprenditori vicentini e fautore del cambiamento aziendale, quindi dell’internazionalizzazione.


incontri con

La scelta di internazionalizzare: quando e perché? La scelta, fatta ancora negli anni ‘90, è stata dovuta alla necessità di andare oltre il mercato italiano, dove c’erano parecchi concorrenti, e puntare a nuove aree di espansione ancora non battute. La mia esperienza di studio e professionale, improntata ad una filosofia esterofila, mi ha aiutato molto ad abbattere le barriere della diffidenza e del timore del nuovo. Sono senz’altro stato agevolato, lo ricordo sempre, dal fatto di parlare e comprendere fluentemente l’inglese, lingua internazionale, quando ancora in Italia questa conoscenza rappresentava un vezzo e non una necessità. Sembra un discorso assurdo, ma è grazie alla lingua che ho potuto prima di altri miei competitor italiani guardare fuori dai confini nazionali, anticipando un sistema di approccio al cliente che oggigiorno chiamiamo “marketing relazionale”. Inoltre, la forte curiosità per internet mi ha aiutato a prevederne le potenzialità anche in favore del commercio. Ancora oggi, tramite il web, non solo vendiamo i nostri prodotti ma cerchiamo feedback dai clienti e dai consumatori. In piena trasparenza tutte le informazioni sulla Loison Spa oggi si possono trovare proprio sul sito. Quali le maggiori difficoltà incontrate all’inizio e quali le più grosse difficoltà per restare sul mercato internazionale in questo periodo storico? La prima difficoltà riscontrata è stata l’ottenimento di certificazioni nazionali riguardanti i prodotti alimentari e le materie prime, con annessa documentazione tecnica (ad esempio un certificato sanitario di un prodotto o uno schema di produzione) necessaria per vendere all’estero. In Italia tali certificazioni non erano richieste e quindi era quasi impossibile reperirle anche dai relativi fornitori, mentre all’epoca in Paesi come il Giappone o la Gran Bretagna questi controlli venivano effettuati già da molto tempo. Dunque, abbiamo dovuto attendere tempi burocratici lunghi e snervanti. Ma alla fine è andata bene perché eravamo tra i primi a presentare un prodotto alimentare di lusso in un mercato attento e sensibile al Made in Italy. Oggi i competitor, stranieri e italiani, sono aumentati e per questo puntiamo tutto sull’estrema qualità e trasparenza. Chi compra i nostri prodotti ha certificazioni garantite ed estrema efficienza nei tempi di produzione e vendita. Sono valori molto richiesti sul mercato estero: spesso in Italia ci si perde in pressapochismo.

E oggi come siete strutturati? Oggi siamo una PMI, con sede a Vicenza, che opera su un mercato di nicchia, nell’ambito del luxory food. L’azienda comprende 26 dipendenti a tempo indeterminato e 40 stagionali. Il fatturato annuo è di circa 6,5 milioni di euro, il 45% di questo deriva dall’export - una cinquantina di Paesi tra cui Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Corea, Brasile, Canada, Russia, Belgio, Svizzera, Usa, Sudafrica e Australia, Indonesia, Thailandia, Cina. Ogni giorno produciamo 5mila pezzi, più o meno confezionati tutti a mano. L’80% del giro d’affari deriva dai panettoni, che sono realizzati in due linee: i Classici e gli Aromatici. Mercato estero e italiano: quali le differenze? Siamo andati sul mercato internazionale molto presto e abbiamo dovuto subito conformarci alle necessità e alle regole - ferree degli stessi. Ma abbiamo ricevuto in cambio grandi soddisfazioni perché all’estero hanno sempre ben accolto gli elementi che ci caratterizzano ovvero trasparenza, coerenza e professionalità. In altri Paesi ci sono meno problemi di burocrazia e si procede con maggiore velocità nelle trattative. In Italia tutto ha un prezzo alto, anche lo stesso costo del lavoro, e in cambio non si riesce ad avere servizi e risposte adeguate, ma solo burocrazia che schiaccia. Pensa che lo sviluppo della globalizzazione per le imprese a capitalismo familiare comporti necessariamente un obbligo alla quotazione in Borsa, prima o poi? Loison è interamente a gestione familiare, senza problemi se non la stanchezza psicologica dovuta alle complicazioni burocratiche in cui si incorre esageratamente in questo Paese. Qual è la Sua strategia di sviluppo per l’estero?

L’internazionalizzazione ha comportato una riorganizzazione interna? Se sì, in quali termini? La strutturazione aziendale si è evoluta neglia anni, day by day e senza grandi stravolgimenti, mantenendo sempre un approccio immediato di problem solving: ovvero una soluzione tempestiva e trasparente.

All’inizio è stata soprattutto la conoscenza del mercato straniero, non avendo barriere linguistiche e avendo avuto la possibilità di girare il mondo sia per studio che per lavoro. Oggigiorno ci serviamo di piani di marketing e soprattutto di strumenti di web marketing all’avanguardia. Tra l’altro dall’estero arrivano segnali di 37


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crescita, una testimonianza della positività delle scelte operate. Inoltre, la dimensione artigiana dell’azienda rimane una scelta ben precisa e strategica, l’unica che permette di concentrare tutta l’attenzione sulla qualità del prodotto e di porre il cliente al centro di un servizio accurato, personalizzato, efficiente. Le politiche nazionali sostengono le aziende che internazionalizzano? Quali le azioni necessarie a supporto? Un po’ più di trasparenza e moralizzazione a tutti i livelli permetterebbe di slegarci da alcuni vincoli e retaggi storici e di liberare una grande forza, perché l’industria italiana è sempre stata caratterizzata da grande creatività e flessibilità. Mi tocca ripetere che solo snellendo l’imperante e opprimente burocrazia si potrebbe sostenere l’imprenditore e l’industria nazionale. Si sa, lo dicono tutti ma non si fa ancora niente. La crisi economica del momento dovrebbe essere vissuta come un’opportunità per rivedere il nostro sistema di fare impresa: alcuni si sono mossi da soli cercando di offrire delle soluzioni e fare il salto di qualità anche culturale. Un sostegno in più, anche un semplice segnale di incontro, sarebbe opportuno.

ci hanno supportato nello sviluppo – sono una componente essenziale sia a livello di gestione aziendale per raggiungere sempre più maggiore efficientamento, sia dal punto di vista relazionale sia con i clienti. La rete prima di tutto: è una filosofia. Tant’è che, pur non effettuando vendite dirette dal sito, tramite lo stesso l’azienda raccoglie numerosi contatti che vengono mantenuti tramite e-mail e newsletter. Inoltre, recentemente siamo stati onorati del ruolo di tutorship di aziende per la piattaforma di Google nel progetto Eccellenze Digitali: il nostro compito sarà formare piccole imprese e artigiani che impareranno ad innovarsi per competere. Qual è il segreto per crescere? Avere coraggio e tanta creatività ed estrema trasparenza, ma soprattutto rispetto e grande attenzione per il cliente e i messaggi che manda. Ricordarsi sempre che il cliente è il vero primo promotore del prodotto, e che quando è soddisfatto ne diventa un fan naturale imbattibile.

Innovazione e tradizione, nuove tecnologie e lavoro artigianale: come si concilia questo mix? Tradizionale, anzi artigianale, è il processo di lavorazione, la nostra forza anche sul mercato, eppure le tecnologie – che

LOISON PASTICCERIA dal 1938 Nata dal nonno nel 1938 come forno, dal 1992 l’azienda è in mano al nipote Dario Loison e con lui assume una dimensione internazionale. Loison vanta una struttura produttiva e commerciale agile e d’avanguardia, nello stesso tempo capace di mantenere solidi legami con la tradizione pasticcera più antica e di servire con efficienza un mercato globale. L’agilità, derivante dall’assetto volutamente e irrinunciabilmente artigianale, consente di soddisfare le richieste più specifiche e di aggiornare costantemente la gamma dei prodotti, che oggi conta più di 80 proposte con numerose varianti. L’azienda si estende su più di 4000 metri quadrati e il laboratorio è attivo con circa 20 collaboratori produttivi diretti, esperti pasticceri, affiancati da altri 40 rinforzi stagionali nei periodi di maggiore attività.

www.loison.com 38


incontri con

NONNO NANNI:

ITALY FOOD SEMPRE PIÙ INTERNAZIONALE Intervista a Silvia Lazzarin, Latteria Montello S.p.A.

La storia di Latteria Montello inizia nel 1947, quando Giovanni Lazzarin, conosciuto con il diminutivo di “Nanni”, inizia la produzione casearia in un piccolo laboratorio dotato solo di caldaie a legna. Oggi Latteria Montello è diventata una realtà all’avanguardia per qualità di prodotto e tecnologia impiegata. Sulle pagine di Logyn intervistiamo Silvia Lazzarin, direttore Marketing e Comunicazione Latteria Montello S.p.A. 39


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Quando la sua azienda ha deciso di internazionalizzare e perché? Latteria Montello ha deciso di rivolgersi anche all’estero all’inizio del Duemila, quando ormai la sua presenza sul mercato italiano si era consolidata su tutto il territorio nazionale con l’ingresso nei canali della Grande Distribuzione. Il primo prodotto con cui ci siamo affacciati sul mercato estero è stato lo stracchino, referenza per cui oggi Latteria Montello è leader in Italia nel segmento premium. A spingerci a intraprendere la strada della internazionalizzazione è stata la volontà di cercare di aprire nuovi mercati per i nostri prodotti. Quali le maggiori difficoltà incontrate all’inizio e quali le più grosse difficoltà per restare sul mercato internazionale in questo periodo storico? Le difficoltà maggiori sono sempre state legate alle caratteristiche particolari dei nostri prodotti principali, che hanno una shelflife molto corta. Di conseguenza ci siamo dovuti concentrare nell’operare in Europa e, in particolare, in Stati vicini come Austria, Svizzera e Germania. Adesso, però, abbiamo la possibilità di aumentare la nostra quota estera di mercato grazie al formaggio Fresco Spalmabile Nonno Nanni. Lo Spalmabile è il

risultato di tre anni di ricerca. È un formaggio leggero e cremoso, che soddisfa il bisogno di praticità e versatilità oggi sempre più avvertito dal mercato, offrendo nel contempo un perfetto equilibrio tra gusto vivace e delicato. Ha una shelf-life di 90 giorni, più lunga rispetto a quella degli altri prodotti. Un’altra difficoltà che si incontra andando oltre confine è quella di trovare l’interlocutore giusto, che ti possa fare da tramite per conoscere i nuovi buyer e penetrare nei mercati esteri di riferimento. L’internazionalizzazione ha comportato una riorganizzazione interna? Se si, in quali termini? Quando abbiamo deciso di intraprendere la strada dell’internazionalizzazione è diventato necessario assumere una figura che fosse completamente dedicata a seguire il mercato estero. È un ruolo che ormai esiste nella nostra azienda già da una quindicina di anni. Ci può dare qualche dato sull’azienda (numero dipendenti, sedi, fatturato) e sul suo andamento sui mercati nazionali ed esteri? La storia di Latteria Montello inizia nel 1947, quando Giovanni Lazzarin, conosciuto con il diminutivo di “Nanni”, inizia la produzione casearia in un piccolo laboratorio dotato solo di caldaie a legna. Oggi Latteria Montello è diventata una realtà all’avanguardia per qualità di prodotto e tecnologia impiegata. L’azienda è diretta dai fratelli Luigi, Armando e Bruno e dalla terza generazione della famiglia Lazzarin. Siamo presenti da oltre 65 anni sul mercato con i Formaggi Freschi Nonno Nanni. La nostra sede è a Giavera del Montello, in provincia di Treviso, dove si trovano i due stabilimenti: uno caseario, con oltre 43 milioni di pezzi di formaggio prodotti all’anno, e l’altro dedicato alla

Silvia Lazzarin Direttore Marketing e Comunicazione di Latteria Montello S.p.A.

Silvia Lazzarin è dal 2001 direttore Marketing e Comunicazione di Latteria Montello S.p.A., azienda nota per i formaggi freschi Nonno Nanni. Il nonno, Giovanni Lazzarin, nel 1947 fondò l’azienda. Dopo la laurea in lingue e letterature moderne all’università di Venezia, Silvia Lazzarin inizia ad occuparsi del marketing di Latteria Montello, delineandone le scelte strategiche a livello di comunicazione interna ed esterna, al fine di ottenere il consolidamento del marchio Nonno Nonni e far acquisire una sempre maggior notorietà ai formaggi di Latteria Montello. Silvia Lazzarin è anche responsabile delle relazioni esterne dell’azienda, gestendo le strategie di comunicazione istituzionale e di prodotto con gli organi di informazione. Pianifica e gestisce l’advertising, gli eventi e le sponsorizzazioni. 40


incontri con produzione della pasta fresca a marchio Nonna Rina. I dipendenti sono oltre 200. Il fatturato 2013 si è attestato attorno ai 90 milioni di euro, in linea con i valori e i volumi del 2012. Per quanto riguarda la canalizzazione delle vendite in Italia, il 75% avviene attraverso la Grande Distribuzione. A livello nazionale i nostri formaggi freschi sono distribuiti in tutta la Penisola, grazie agli accordi sottoscritti con tutta la Grande Distribuzione italiana. Il 25% delle vendite si sviluppa invece attraverso i canali tradizionali. Le quote di mercato di Latteria Montello (dati Nielsen ottobre 2014 - ndr) sono: leader nel segmento premium del mercato stracchini in Italia,16,5%: quote integrate* a volume del mercato italiano stracchini; 21,4%: quote integrate* a valore del mercato italiano stracchini. Le quote di mercato relative all’export sono ancora poco rilevanti, anche se si tratta di un ambito in fase di sviluppo. Finora siamo stati presenti con i nostri prodotti soprattutto in negozi di specialità italiane diffusi all’estero, dall’Inghilterra all’Austria. Oltre confine i nostri formaggi freschi sono riconosciuti come espressione dell’alta qualità dei prodotti Made in Italy. Molto apprezzata all’estero inoltre è la nostra Robiola Nonno Nanni, che nel 2013 ha vinto il Great Taste Award in Inghilterra. Che differenze avete riscontrato nei mercati esteri rispetto a quello italiano? All’estero esiste una cultura gastronomica diversa rispetto a quella italiana. La differenza principale sta nella difficoltà che abbiamo osservato in una parte della clientela a capire e apprezzare la cultura del prodotto. In tal senso il nuovo formaggio Fresco Spalmabile è un tipo di prodotto che meglio si avvicina alle caratteristiche di quelli che vengono maggiormente consumati all’estero. Pensa che lo sviluppo della globalizzazione per le imprese a capitalismo familiare comporti necessariamente un obbligo alla quotazione in Borsa, prima o poi? No, non pensiamo che comporti necessariamente la quotazione. Nel nostro caso specifico, Latteria Montello non è quotata in Borsa. Qual è la Sua strategia di sviluppo per l’estero? Sull’export nei prossimi mesi la nostra attenzione si concentrerà sul formaggio Fresco Spalmabile. Puntiamo a lanciare il nuovo prodotto in Germania, Austria, Belgio, Francia, Spagna e Inghilterra. Stiamo cercando gli interlocutori adatti per poter entrare anche nel sistema della Grande Distribuzione estera. Oggi per fare numeri importanti, come quelli che realizziamo in Italia, è necessario canalizzare le vendite anche attraverso la Grande Distribuzione. Daremo uno sguardo pure al mercato americano,

dove siamo presenti già da anni, ma finora solo in negozi di specialità italiane. Qual è il suo mercato principale di riferimento? Dai mercati emergenti arrivano segnali? Come già anticipato, la nostra strategia di presenza all’estero ha dovuto tenere conto, fin dall’inizio, della shelf-life molto corta dei nostri prodotti. Per questo motivo i nostri mercati di riferimento rimangono sicuramente quelli europei. In questa fase non abbiamo ancora dedicato una specifica attenzione ai mercati emergenti. Le politiche nazionali sostengono le aziende che internazionalizzano? Quali le azioni necessarie a supporto? Latteria Montello è un’azienda che si è sempre rimboccata le maniche. Nel senso che tutte le azioni intraprese finora in tema di internazionalizzazione sono state sempre seguite e supportate direttamente da noi stessi. D’altra parte Latteria Montello ha iniziato a dedicare uno sforzo concreto all’export solo da poco tempo, anche se adesso si tratta di un ambito in fase di sviluppo con una strategia concreta. Per cui, al momento, non possiamo esprimere un giudizio compiuto sulle politiche nazionali a sostegno dell’internazionalizzazione, non avendone finora fruito. Quali sono le tecnologie necessarie per sopravvivere sul mercato internazionale? La presenza dei nostri prodotti sul mercato internazionale non è strettamente legata a tecnologie specifiche per l’internazionalizzazione. Ma alla base di tutta la nostra produzione ci sono l’impiego di macchinari e processi produttivi di ultimissima generazione. Latteria Montello utilizza un impianto di coagulazione in continuo tra i più grandi d’Europa e, di recente, si è dotata di un nuovo macchinario all’avanguardia dedicato alla produzione del Fresco Spalmabile. Qual è il segreto per crescere? Per quanto si possano estendere i propri mercati di riferimento tramite l’internazionalizzazione, secondo noi il segreto rimane quello di continuare a seguire il cliente con attenzione, come si faceva una volta. Il cliente deve diventare protagonista, ascoltandone le idee, le sue opinioni e le eventuali critiche, perché si senta partecipe dell’attività dell’azienda e sia più invogliato a seguirla e acquistarne i prodotti se è il consumatore finale, oppure a inserirli nella rete di vendita qualora sia il buyer. *peso imposto (libero servizio) + peso variabile (banco gastronomia)

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“IL FUTURO DELLE IMPRESE? È NELLA CAPACITÀ DI INTERPRETARE IL MERCATO GLOBALE” Parla Massimo Quizielvù, Country Manager Quanta Italia

Possibilità di apertura al mercato globale, nuovi sbocchi occupazionali per figure tecniche altamente specializzate e un mercato dei sistemi di comunicazione in crescita: il mondo del lavoro sta cambiando e velocemente, le opportunità ci sono ma occorre avere la giusta interpretazione, ancor di più in un settore dinamico come quello dell’Information & Communication Technology. A parlarci di ICT, impresa e internazionalizzazione è Massimo Quizielvù, Country Manager Quanta Italia.

Quando è nata l’idea di aderire all’iniziativa e perché? Uno studio Assinform-Netconsulting ha rilevato una flessione del mercato Ict pari al 4,4% nell’ultimo anno, stimando una perdita di circa 3 miliardi di euro rispetto al 2012. D’altro canto, però, studi condotti con metodologie e criteri differenti rivelano la costante evoluzione di questo mercato. Se Censis (febbraio 42

2014) annovera l’Ict tra i settori che richiedono ai lavoratori una costante evoluzione delle competenze, una nuova indagine del Politecnico di Milano riconosce nel mercato dei sistemi di comunicazione mobile il rimedio numero uno contro la crisi, prevedendo un contributo del 2,5% alla crescita del Pil da parte del solo mercato delle app e un veloce incremento dei posti di lavoro. Il Gruppo Quanta non a caso ha voluto in questi


anni investire in una divisione specializzata come Quanta ICT assumendo in somministrazione o staff leasing. Un incentivo anche per le aziende della scena ICT che possono beneficiare di soluzioni a rischio zero ed avere garanzia di poter contare su specifiche competenze professionali. Infatti il settore Quanta Ict vive una forte crescita nonostante le difficoltà del settore. Il Gruppo Quanta è presente da oltre un decennio a favore delle imprese: cosa differenzia la vostra metodologia di lavoro da quella dei competitor? Quanta fin dall’inizio si è differenziata per 3 scelte: innanzitutto quella di non essere una società di servizi generalista ma di muoversi per divisioni specializzate - il settore di partenza e più importante è quello aerospaziale, seguito dalla filiera alimentare e dall’ICT - la seconda constiste nell’aver puntato fin da subito sulle competenze tecniche; la terza è l’aver realizzato direttamente scuole di formazione spcialistica come quella sui materiali compositi, o sulle competenze meccaniche e aeronautiche, ed altre. Imprese e internazionalizzazione: quale la migliore soluzione per il nostro Paese? Le imprese italiane, oggigiorno, devono essere consapevoli che tranne in pochi settori dove il business è di prossimità, il presente e il futuro consta nella capacità di interpretare il mercato a livello globale, abbandonando il limite dei confini meramente nazionali. Il nuovo valore aggiunto sta proprio nella buona interpretazione della globalità, e le imprese che vogliono avere respiro devono internazionalizzarsi. Da questo punto di vista l’Italia ha una grande forza: capacità e flessibilità nel trovare soluzioni che ci contraddistinguono. Questo è sicuramente un plus per quelle imprese che vogliono internazionalizzare, anche se in alcuni casi devono superare la mancanza di organizzazione e concretezza tipicamente italiana. Inoltre, le nuove tecnologie stanno giocando un ruolo fondamentale perché in molti casi hanno eliminato i processi di intermediazione. Molte delle imprese nazionali hanno basato il

scenari posizionamento del proprio brand su questo processo come valore aggiunto e ora vivono il rischio di perdita dello stesso. Quanta fin dalla sua nascita ha fatto la scelta culturale di cercare e intercettare il mercato globale spostando la propria attenzione verso l’alta specializzazione e abbandonando, ad esempio, il mercato generalista. Fin dall’inizio ci siamo fatti conoscere per il forte know how nell’ambito delle attività aerospaziali e la grande disponibilità e capacità di intercettare e formare figure professionali del settore eccellenti e mirate alle specifiche necessità delle aziende clienti. Questo è stato un investimento che ha portato a dei risultati importanti visto che Quanta oggi è tra le prima 10 aziende di staff recruiting nazionali e vanta la propria presenza in diversi Paesi stranieri già da 2000: Stati Uniti, Romania, Brasile, Svizzera e ora sta vagliando nuove aperture in Europa, Nord America e Medio Oriente, nella fattispecie la Turchia. Il tema dell’internazionalizzazione: in che modo influisce sull’organizzazione delle risorse interne di un’azienda? Imprese e risorse umane nazionali hanno dimostrato di avere

Massimo Quizielvù Country Manager Quanta Italia Nato a Mira (VE) il 30 marzo 1959, si è laureato in Economia e Commercio presso l’Università Cà Foscari di Venezia. Dal 2009 ad oggi ha ricoperto diverse cariche all’interno del Gruppo Quanta in Italia e all’estero ed oggi è Country Manager di Quanta Italia. 43


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QUANTA ITALIA Quanta Italia è la società madre del Gruppo Quanta, leader nei servizi dedicati alle Risorse Umane, che opera come consulente per la ricerca, la selezione, la formazione e l’amministrazione del personale. Tra le prime a ricevere l’autorizzazione ministeriale, è presente su tutto il territorio nazionale con oltre trenta filiali e uffici. È stata istituita nel 1997, ha sede a Milano e Roma e una trentina di filialli sparse sul territorio nazionale. Agenzia per il lavoro altamente specializzata, fornisce servizi “su misura” ai propri clienti, sapendo rispondere alle richieste del mercato e alle esigenze dell’ambito giuslavoristico. Strutturata in divisioni tematiche, ovvero “agenzie dedicate” alle aziende dei settori: Aerospaziale, Agricoltura, Sistema Moda, ICT, Energie, Pubblica Amministrazione.

una forte carica di progettualità spendibile anche all’estero. Purtroppo questo discorso non è applicabile a tutte le nostre imprese, molte delle quali sono ancorate al concetto di impresa familiare che ha fatto la sua fortuna nel passato quando si accedeva più facilmente al finanziamento delle banche ma che oggi necessità di un’evoluzione. Molte imprese infatti sono fallite perché il capitale investito era esiguo rispetto alle loro necessità patrimoniali e nel momento in cui hanno trovato maggiori limiti nell’accedere ai finanziamenti degli istituti bancari hanno perso la loro copertura. Al contrario bisogna rendersi conto che la realtà lavorativa soprattutto all’estero è fatta di una grande varietà e rigidatà contrattuale, per cui l’aspetto della solidità finanziaria non è improvvisabile né trascurabile. Per questo Quanta si propone da sempre alle aziende sia con servizi sia sul versante giuslavoristico sia su quello organizzativo e il Gruppo copre tutta la filiera della gestione delle risorse umane: dall’impiego temporaneo, alla formazione, alla ricerca e selezione di personale diretto, fino ad arrivare allo staff leasing o ai servizi di distacco internazionale. Le nostre scuole preparano adeguatamente alle nuove richieste da parte delle imprese? Ahimè ancora oggi si punta spesso nelle nostre scuole su conoscenze che dovrebbero essere date per scontate. Come la conoscenza delle lingue straniere che non dovrebbero rappresentare delle competenze aggiuntive solo delle condizioni preliminari che avvantaggiano la possibilità di accedere a determinate opportunità. Inoltre, in Italia ci sono degli ottimi 44

tecnici ma spesso manchiamo di formazione specifica in ambiti di settore e le nostre scuole non riescono a stare al passo con i tempi. Ad esempio Quanta ha dovuto organizzare in sinergia con un cliente un corso di formazione per la lavorazione dei materiali compositi perché non si riusciva a reperire personale formato in tal ambito. Tant’è che abbiamo creato la prima scuola di formazione per operatori di materiali compositi, figure che in seguito siamo riusciti ad allocare anche all’estero dove c’è grande richiesta. Il pubblico non sempre riesce ad intercettare le reali esigenze delle imprese e dei nuovi mercati e quindi risponde non adeguatamente. In Quanta esiste una divisione che si occupa esclusivamente di formazione ricorrendo a fondi pubblici ma anche e sempre più spesso a fondi di realtà private che ci chiedono di formare il loro stesso personale. I manager italiani sono in grado di competere adeguatamente con i loro competitor stranieri? In Italia abbiamo grandi manager in grado di competere con i colleghi stranieri, spesso però si vede che gli stessi, soprattutto over 40 e 50, hanno scarsa propensione all’aggiornamento personale e lo considerano quasi un suppellettile. E non fanno formazione continua se non spinti dall’imprese, che non sempre ne intuiscono l’importanza. Questo è un limite tutto italiano, forse dato dal fatto che i nostri manager spesso si considerano arrivati e vivono con meno flessibilità la possibilità di spostarsi in altre aziende.


incontri con

GRUPPO CAROLLO: SGUARDO ALL’ESTERO CON LA QUALITÀ ITALIANA Il Gruppo Carollo si racconta

“Ad oggi non abbiamo ancora internazionalizzato. Ci stiamo pensando per crescere e per riuscire ad espandere il nostro mercato, dal momento che quello interno ha margini sempre più esigui”, a spiegarci cosa significa oggi essere PMI in Italia, Bruno Carollo, titolare del Gruppo Carollo Serramenti. La Sua azienda ha mai pensato di internazionalizzare? In passato non ci abbiamo mai pensato seriamente e analiticamente. Ora stiamo cercando di capire come può essere avviato il processo di internazionalizzazione per un’azienda come la nostra. Non siamo soli: ci stiamo muovendo attraverso il supporto di alcune associazioni di categoria a cui siamo associate, come Confartigianato o Unindustria Treviso, che all’interno ha istituito un settore dedicato ai processi aziendali di internazionalizzazione. Bisogna, innanzitutto, comprendere quali

siano i canali migliori per arrivare al mercato oltreconfine: come contattare aziende specializzate e probabili partner stranieri che possano sostenerci nel passaggio. Ovviamente un primo passo sono ricerche anche di marketing per capire come possiamo posizionarci su un mercato internazionale. Perché ora questa scelta? La scelta è stata fatta ora non a caso, arrivando dopo un iter di consapevolezza: non si può improvvisare altrimenti i danni 45


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GRUPPO CAROLLO SERRAMENTI Nata nel 1975, l’azienda Carollo inizia la sua attività come ditta individuale, costruendo elementi in carpenteria leggera. Negli anni successivi, aggiunge alla propria produzione quella dei serramenti in alluminio, e visti gli ottimi risultati ed avendo incrementato il numero dei propri dipendenti, nel 1985 si trasforma in Carollo Serramenti S.n.c. L’azienda Carollo Serramenti S.n.c. nel 1989 comincia a progettare e realizzare sistemi trasparenti (Tunnel, Lucernari componibili e a Shed) con propri profili, sviluppando importanti interventi con soluzioni innovative. Nel 1998 nasce l’esigenza di instaurare importanti collaborazioni continuative con studi tecnici, maturata dalla necessità di ottimizzare gli spazi produttivi e dalla volontà di elevare lo standard qualitativo dei propri prodotti. Pur mantenendo la propria identità progettuale e produttiva, tali collaborazioni esterne diventano parte integrante del quotidiano dei responsabili del reparto progettazione e produzione. L’azienda Carollo Serramenti S.n.c. si è così assicurata la certezza di tenere il passo con i tempi, allo stesso momento ampliando le sue tipologie di prodotti, tipo serramenti industriali e civili, recinzioni, cancelli, strutture scale, lavorazioni lamiere, tunnel pensiline e lucernari. Ecco che questo ampliamento di prodotti ha portato alla nascita, nel 1998, di una ulteriore realtà: Carollo Tecnometal S.r.l. con un nuovo insediamento produttivo specializzato nella progettazione e produzione di lucernari, E.F.C. tunnel e pensiline. Questa suddivisione di attività ha portato le due ditte “Carollo” ad ottimizzare ulteriormente gli spazi produttivi, e con l’acquisto di nuove attrezzature tecnologicamente avanzate, i frequenti corsi di aggiornamento hanno permesso il raggiungimento di un’elevata qualità del prodotto finito, di ottimizzare la produzione e di garantire la sicurezza dei propri lavoratori. Attualmente l’azienda Carollo progetta, sviluppa e installa principalmente nelle regioni del Veneto, Trentino, Friuli, Emilia Romagna. È in grado di spedire in tutta Italia i suoi prodotti standard, completi di kit ed istruzioni per il montaggio.

www.gruppocarollo.it

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rischiano di essere maggiori dei benefici. Inoltre, fino ad alcuni anni fa il mercato interno tirava ancora con sufficienza e permetteva marginalità, ora diventate sempre più esigue. Inoltre, come azienda l’obiettivo è quello di crescere e migliorare i nostri numeri in termini di fatturato e clienti. L’obiettivo è quello di individuare una nicchia di mercato legata al made in Italy che ricerchi prodotti, anche per quanto riguarda il nostro settore, certificati e specializzati. In questi anni ci siamo caratterizzati per prodotti di elevata qualità e prestazione, che speriamo di poter esportare anche all’estero. Altro lavoro che stiamo facendo è quello di rafforzare e implementare la rete di aziende partner per poter vedere di accedere all’estero insieme e non come singola azienda. Questo per avere maggiore forza e magari fare sinergie e economie di scala, offrendo pacchetti completi di prodotti. Quali le maggiori difficoltà per avviare un processo del genere? E quali le complessità nel restare sul mercato in questo periodo storico? Una delle difficoltà maggiori che abbiamo riscontrato è quella della mancanza di una struttura interna all’azienda che possa interfacciarsi adeguatamente con il mercato estero, in grado di individuare gli andamenti di mercato ed intercettare clienti e prospect, gusti e tendenze di Paesi oltreconfine nazionale. Servono per l’appunto delle risorse che si devono dedicare completamente a questo processo: al momento non ne abbiamo. Inoltre, nel nostro lavoro tutto dipende da commesse, non esiste catalogo e quindi si necessità di personale che possa gestire la fase progettuale e di montaggio a distanza. Per quanto riguarda il mercato interno le marginalità sono sempre più ridotte e rendono difficili gli investimenti aziendali. Inoltre, la difficoltà di riscossione dei pagamenti da parte dei clienti comporta ulteriori oneri dal punto di vista finanziario che vanno ad aggiungersi alle altre difficoltà. Le politiche nazionali sostengono le aziende che vogliono internazionalizzare? Quali azioni sarebbero opportune? Un’azienda che vuole internazionalizzare deve prima di tutto contare su se stessa e deve trovare internamente le risorse e le energie per iniziare un iter non semplice. Sicuramente le politiche nazionali potrebbero essere più vicine soprattutto alle PMI cercando di snellire tutto l’apparato burocratico e magari avviare un processo di uniformarzione delle normative e delle certificazioni. Ad oggi esistono delle certificazioni che in Italia non sono valide, mentre sono state


incontri con accettate universalmente nel resto d’Europa. Questo porta ad un aggravio di tempi e costi. Ci può dare qualche dato sull’azienda e sul suo andamento sul mercato? Noi siamo due aziende che fanno a capo agli stessi titolari: la Carollo Serramenti con 16 dipendenti e la Carollo Tecnometal con 7 dipendenti. Sono realtà unite, anche se la prima è indirizzata al settore abitativo privato, la seconda alle costruzioni industriali. Il gruppo ha un fatturato di circa 3,5 milioni di euro all’anno. Pensa che lo sviluppo della globalizzazione per le imprese a capitalismo familiare comporti necessariamente un obbligo alla quotazione in Borsa, prima o poi? Noi siamo un’impresa a conduzione familiare e ad oggi non abbiamo mai pensato che la quotazione in borsa sia un passaggio fondamentale per crescere. Siamo ancora alla prima generazione di gestione, e stiamo formando la seconda generazione in modo tale che possa subentrare a noi in futuro. Qual è la Sua strategia di sviluppo? La nostra attività è specifica ed è realizzata quasi tutto su commessa, quindi previsioni a lungo termine sono difficili. La programmazione è continuativa. Quali sono le tecnologie necessarie per sopravvivere sul mercato nazionale o internazionale? Le tecnologie sono sempre più importanti in ogni ambito professionale. Noi abbiamo elaborato un programma interno per gestire le diverse complessità aziendali. Stiamo investendo in macchinari e impianti tecnologici di elevata prestazione per permettere di portare avanti lavori che prima esternalizzavamo per necessità. Non abbiamo un vero IT manager, ma c’è una persona dedicata all’ambito. Qual è il segreto per crescere? Noi puntiamo ad elevare la qualità dei nostri prodotti: quindi non grandi numeri e produzioni di massa, quanto piuttosto piccoli lotti dove concentrare l’attenzione ai dettagli e alle rifiniture.

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UNA SCELTA CORAGGIOSA PER CRESCERE ANCORA Il Gruppo racconta il nuovo step aziendale: Eurosystem Spa

“Dal 2015 nasce Eurosystem Spa. La fusione aziendale è un’operazione importante con la quale realizzeremo una consistente concentrazione aziendale in un unico soggetto giuridico. Questo permetterà maggiore solidità sul mercato; riduzione dei costi; uniformità del core business con eliminazione di doppioni produttivi e progettuali; riduzione dei tempi e velocizzazione dei processi produttivi e, soprattutto, crescita del know-how”. A raccontarci questo nuovo passaggio Gian Nello Piccoli, amministratore delegato di Gruppo Eurosystem Sistemarca Srl che nel 2015 fonderà le 5 storiche aziende nell’unica società Eurosystem Spa. 48


incontri con Ci sarà una riorganizzazione interna?

Un nuovo anno fondamentale, quindi... Siamo ad una nuova fase del nostro percorso imprenditoriale, dopo gli inizi negli anni ‘80. Si tratta per noi soci fondatori della realizzazione di un sogno cullato nel tempo. In passato abbiamo dovuto adeguarci alle logiche dei fornitori che ci richiedevano di strutturarci in società strettamente legate al brand vendor, di conseguenza ci siamo organizzati in più aziende ognuna con una propria veste giuridica, un core business, e proprio personale da amministrare e formare. Ora, seguendo quanto il mercato ci indica, possiamo effettuare questa fusione che consiste di fatto nell’accorpamento del Gruppo in un’unica società che manterrà come brand interni i marchi delle precedenti aziende.

Ci saranno alcuni cambiamenti dell’organigramma: a capo dell’azienda rimarrà comunque il consiglio dei soci che nel tempo potrebbe ampliarsi anche a soggetti esterni all’azienda, sul modello americano. Gestirà l’impresa un consiglio di amministrazione, e via via, i vari responsabili di reparto secondo un organigramma strutturato. Ci saranno sindaci, un presidente di collegio sindacale e dei revisori contabili. Un processo complesso che stiamo portando avanti da circa un anno grazie anche alla preziosa consulenza della società internazionale PriceWatherhouseCoopers, che tra l’altro ci aiuterà nella revisione contabile e nella redazione di un business plan triennale certificato. PwC ci permetterà di fare inoltre alcune due diligence di nuove aziende che andremo ad intercettare per aggregarle alla nostra struttura. Quindi, la fusione sarà solo il primo di una lunga serie di passi in futuro. La nostra ambizione è quella di raddoppiare i nostri numeri: come fatturato, personale interno e soprattutto clienti, anche attraverso l’acquisizione di nuove società se necessario. Questo ci permetterà di espanderci su nuovi mercati ottimizzando le nostre performance. Non è un caso che abbiamo fatto anche un investimento immobiliare di

Nasce, quindi, un nuovo marchio? Il Gruppo sostanzialmente diventerà “fluidamente” Eurosystem Spa: con un unico capitale sociale importante, un unico fatturato di rilievo con delle riserve economiche consistenti. Elementi che oggigiorno sono una garanzia - per i clienti e i prospect - della solidità aziendale. Con questo nuovo marchio saremo, oltretutto, più facilmente riconoscibili e incisivi anche a livello di comunicazione corporate. E soprattutto rappresenteremo, nel settore, una delle realtà più forti del territorio. Cosa significa operativamente parlando?

Gian Nello Piccoli Amministratore delegato e direttore commerciale Gruppo Eurosystem Sistemarca Srl

Ad esempio potremo gestire in maniera uniforme le commesse e la contabilità analitica con contenimento dei costi. Di fatto saremo ancora più flessibili e veloci. 49


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rilievo, aumentando a 1600 mq di ufficio nella sede principale del Veneto. Come stiamo anche cercando una nuova location per gli uffici della sede lombarda.

integrare le nostre competenze e i nostri prodotti per coprire lo scibile dell’information technology e dell’information and communication technology.

Cosa comporta un passaggio di questa portata in questo momento storico?

Come si presenterà la nuova Eurosystem Spa sul mercato nazionale?

Sicuramente non è stata una scelta scontata: ma questo passaggio è una testimonianza significativa che le scelte e i passi fatti nel passato sono stati presi nella giusta direzione. Negli anni abbiamo operato scelte che ci hanno portato valore aggiunto e ci hanno dato la sicurezza di poter arrivare a questa operazione con le spalle coperte. Anche in questo periodo economicamente difficile. Siamo e vogliamo dimostrare di essere, oggi, un’impresa in linea con gli alti standard delle imprese europee: strutturata, gestita, con capitale e riserve economiche di rilievo a garanzia e, soprattutto, con un capitale umano formato e altamente professionale.

Ora siamo rappresentanti e partner di grandi marchi internazionali, multinazionali leader di mercato. Ovviamente facciamo da mediatori tra i loro prodotti e le necessità delle imprese del territorio, integrando le due cose per offrire la migliore prestazione ai nostri clienti. Così facendo esponiamo noi stessi e l’immagine aziendale di fronte al mercato: per questo da sempre usufruiamo delle migliori tecnologie operanti, facendole nostre e adattandole alle esigenze dei clienti. Una sintesi della migliore innovazione a disposizione, ma personalizzata e soprattutto comprovata dal nostro know how. L’obiettivo è senz’altro diventare sempre più il maggior punto di riferimento e di mediazione con il territorio delle multinazionali che vendono differenti linee di prodotto. Per fare questo, tra le altre cose, di recente abbiamo avviato un progetto di redesign del nostro sito web istituzionale che andrà ad integrarsi con una piattaforma di CRM e e-mail marketing al fine di ottimizzare i contatti generati attraverso il canale web.

Il settore dell’IT e ICT sta avendo una leggera flessione in Italia, d’altro canto si sta aprendo un nuovo spazio di business grazie alle nuove tecnologie... La nuova Eurosystem porterà avanti i progetti e i servizi operativi delle vecchie società, spingendo al massimo la ricerca nell’ambito dei nostri prodotti, per i quali siamo tra l’altro leader di mercato. Freeway® Skyline, ad esempio: già ha avuto un ulteriore potenziamento. Nei prossimi mesi verrà lanciata sul mercato la nuova versione 3.0: un’evoluzione innovativa per un grande gestionale che ha avuto in questi anni un successo. Infatti, è un sistema informativo che permette alle PMI di operare meglio, dialogando anche con altri sistemi, automatizzando e rendendo più efficienti i processi interni, condizioni necessarie per contenere gli investimenti e adattarsi alle esigenze del cliente. Una sorta di abito su misura di eccellente fattura e ad un prezzo ragionevole. Si tratta di un prodotto maturo, certificato, pronto per andare in qualsiasi tipo di mercato, realizzato in multilingua e con la capacità di dialogare con qualsiasi tipo di sistema presente in origine nell’azienda. Inoltre, inseriremo nella nostra offerta anche nuove soluzioni di CRM (Customer Relationship Management) di vendor internazionali, mentre è già nato e sta crescendo il nuovo comparto di Business Intelligence. Stiamo lavorando su nuovi progetti anche nell’ambito della Security, un settore che sta avendo sempre più attenzione da parte delle imprese, perché la gestione di grandi quantità di informazioni ha bisogno di una sempre maggiore sicurezza. Così come aumenteranno anche i nostri investimenti in tecnologie e soluzioni per progetti infrastrutturali e legati al mondo del data center. Infine, cercheremo di acquisire anche società che lavorano in generale con le tecnologie web e che andranno a 50

Parliamo di internazionalizzazione... Noi siamo presenti su numerosi mercati esteri attraverso i nostri clienti che hanno internazionalizzato. Appoggiamo i nostri clienti e li supportiamo con l’adeguata tecnologia anche quando operano su mercati oltre confine. Non a caso abbiamo uno staff di consulenti pronti a partire ovunque serva. Abbiamo realizzato diverse installazioni in giro per il mondo dall’Europa a Dubai, agli Stati Uniti. Cosa rappresenta per voi il portare avanti la cultura dell’innovazione in questo periodo storico? Siamo nati 35 anni fa, praticamente in un monolocale perché credevamo nella prospettiva di questa nuova cultura dell’informatica. Negli anni ‘80 era ancora un mondo inesplorato, difficile da conoscere e ancora più da tradurre e rendere alla portata di tutti. Ma ci siamo riusciti. Oggi il mondo IT è modificato in tutto: il software ha acquisito una nuova importanza. La tecnologia sta crescendo a passi da giganti. Ormai tutto è IT: dalla domotica in casa, all’automatizzazione delle aziende. Dati e informazioni devono essere contenuti, resi sicuri e devono poter dialogare con sistemi differenti. Eurosystem andrà avanti nella strada delle ricerca per essere sempre all’avanguardia. Sempre più giovani saranno coinvolti con idee e ricerche progettuali.


stories

PIVATO SRL:

MIGLIORARE LE PERFORMANCE RINNOVANDO L’ERP L’innovativa azienda di porte sceglie Eurosystem per il cambio gestionale

Fondata nel 1969 da Ottorino Pivato come falegnameria artigianale, l’azienda di Castelminio di Resana (TV) si distingue oggi per un’apertura all’innovazione che passa, non solo dalla scelta dei materiali, delle finiture o delle linee di prodotto, ma anche da quella di rinnovare il proprio modo di lavorare e di renderlo più efficiente con l’utilizzo di strumenti tecnologici avanzati.

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Pivato Srl è un’azienda manifatturiera che da quasi 30 anni si è specializzata nella produzione di porte per interni. Nonostante le dimensioni di industria, con circa 80 dipendenti e quasi 13 mila metri quadri coperti di stabilimenti, l’azienda continua a mantenere una forte vocazione all’innovazione, al rinnovamento e alla personalizzazione. La combinazione teorica di tutte le variabili del listino Pivato, infatti, permetterebbe di produrre ben 17 milioni di porte diverse. Nei primi mesi del 2011, al termine di una software selection durata circa 9 mesi e finalizzata alla scelta di una nuova soluzione gestionale, Pivato srl decide di optare per l’ERP Freeway® Skyline e affida ad Eurosystem, società trevigiana proprietaria del software, il progetto di cambio del gestionale aziendale. Oggi ne parliamo con Diego Giacometti, responsabile Sistemi Informativi di Pivato Srl. Perché l’azienda ha deciso di cambiare sistema gestionale? Il software gestionale in uso prima del cambiamento, implementato 11 anni prima, risentiva ormai di una certa obsolescenza tecnologica e funzionale, essendo nato sulle logiche dell’azienda quando la produzione era 5 volte inferiore e la variabilità gestita era nettamente più bassa. Su quali processi e aree aziendali è stato introdotto il nuovo software gestionale? L’implementazione di Freeway® Skyline, l’ERP realizzato da Eurosystem, ha coinvolto tutte le aree aziendali: dalla preventivazione dell’ordine cliente fino all’evasione delle bolle di vendita, con la conseguente fatturazione e gestione degli incassi, passando per la produzione, la pianificazione ed il riordino dei materiali per i vari reparti. Le principali criticità analizzate e risolte nell’implementazione della nuova piattaforma sono state la revisione della codifica di tutti gli articoli e del piano dei conti, l’introduzione di un sistema MRP (Material Requirements Planning) per la pianificazione della produzione, l’utilizzo di un sistema di Business Intelligence a supporto delle varie aree aziendali e la semplificazione della gestione delle distinte basi e dei condizionamenti, necessari per la gestione dell’alta variabilità produttiva aziendale. Inoltre, avevamo l’obiettivo di eliminare tutti i file Excel e Access che si affiancavano alle quotidiane attività per la gestione di diverse aree aziendali e di slegare il sapere aziendale da logiche extra-sistema, proprie di ogni singolo utente e delle sue abitudini. Grazie a Freeway® Skyline abbiamo

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stories portato tutto il patrimonio informativo aziendale all’interno di un unico sistema, sviluppando eventuali moduli dedicati su ogni specifico ambito (amministrazione, controllo di gestione, produzione, logistica distributiva). La mission di Eurosystem è quella di supportare le aziende nell’introduzione di un nuovo sistema informativo, aiutandole a comprendere che il cambio gestionale può diventare una grande opportunità di crescita per l’impresa, non solo dal punto di vista tecnologico ma anche culturale e organizzativo. Un software ERP, infatti, può aiutare un’impresa a funzionare meglio e più velocemente ma solo a patto di essere utilizzato nel modo giusto. Per questo Eurosystem non si è focalizzata sul cambiamento del solo prodotto ma ha indirizzato il cliente verso un’evoluzione del proprio modo di lavorare partendo dall’analisi e dalla eventuale revisione dei processi per arrivare alla configurazione del software che meglio supportava la nuova organizzazione Ritornando al progetto, come si è svolto? Attraverso quali fasi? Ad una prima analisi dei processi focalizzata sullo stato dell’arte, già avviata prima del progetto, è seguita una approfondita analisi, divisa per area, finalizzata allo sviluppo futuro che meglio avrebbe coperto le esigenze attuali, le richieste migliorative ed le eventuali aperture. Le aree coinvolte sono state, in ordine cronologico, quella commerciale, la produzione, gli acquisti e la logistica distributiva. Parallelamente, è potuto proseguire lo studio delle funzioni amministrative e di gestione del credito. Ogni fase dell’analisi e dello sviluppo è stata mappata e condivisa attraverso apposita documentazione di progetto tra gli analisti di Eurosytem e i nostri responsabili di funzione per l’eventuale revisione ed integrazione, ed infine è partita l’implementazione. In ambito produttivo, ogni scelta sulla strutturazione delle distinte base, dei magazzini e dei centri di lavoro è stata fin da subito orientata all’uso del nuovo software MRP di Freeway® Skyline, la cui impostazione e configurazione sono avvenuti in più passaggi di affinamento del comportamento del software, degli avanzamenti di produzione e di valorizzazione dei dati gestionali dei materiali, anche grazie al supporto esterno di una consulenza specifica in ambito di organizzazione produttiva. Attualmente, nonostante l’enorme variabilità della produzione Pivato, l’MRP “cicla” senza difficoltà su 70 mila articoli attivi e rilascia circa 10 mila ordini di produzione ogni settimana.Tutti i file Excel ed Access che nel corso degli anni si erano affiancati al vecchio gestionale (estrazioni, statistiche, reportistica a supporto) sono stati incorporati all’interno di un portale dedicato alle stampe produttive e dall’applicativo

dedicato Freeway® Business Intelligence, che quotidianamente affianca e supporta ogni utente del sistema. Quali sono stati i vantaggi operativi apportati dal cambio gestionale? A seguito di un lavoro di analisi reparto per reparto sulla documentazione a supporto della produzione, sono stati rivisti, migliorati e semplificati i report che venivano utilizzati dagli operatori e, dove possibile, sono stati eliminati o sostituiti con supporti digitali e non più cartacei. Il flusso delle informazioni si è affiancato e adattato al nuovo layout produttivo che, nel corso del cambio di ERP, ha visto coinvolti quasi tutti i reparti interni all’ azienda. Inoltre, il sistema di bollettazione e di etichettatura dei prodotti finiti è stato migliorato anche nella consultazione dei pezzi da imballare di settimana in settimana, grazie alla gestione integrata dei piani di carico. Il commerciale e la programmazione della produzione dispongono ora di cruscotti informativi che, in tempo reale, danno la situazione e la composizione degli ordini cliente in ingresso, semplificando e anticipando l’analisi su tutte le commesse aziendali. Anche l’ufficio tecnico può gestire ora in maniera massiva e storicizzata gli interventi di codifica delle operazioni produttive che forniscono agli impianti e agli operatori di produzione tutte le informazioni necessarie per realizzare un determinato foro, scasso, lavorazione o fresatura, gestendone anche il disegno specifico. È stato infine sviluppato un sistema di determinazione automatica della data prevista consegna di ogni ordine cliente. A partire dalla composizione delle porte richieste all’interno dell’ ordine, ai lead time produttivi e alla presenza o meno di eventuali fasi di conto lavoro, viene determinata in automatico la data prevista di consegna dell’ordine, dando comunque la possibilità all’ufficio commerciale oppure all’ufficio pianificazione di intervenire per anticiparne oppure posticiparne la messa in produzione. Quale è stato il valore aggiunto del progetto? L’introduzione dell’ERP Freeway® Skyline ha rappresentato una vera e propria trasformazione non solo in ambito tecnologico ma anche nelle abitudini e nelle modalità di lavoro dell’azienda e anche dei nostri clienti, che hanno beneficiato in prima battuta di un sistema interno più efficiente e in grado di fornire, tra le altre cose, un nuovo modulo di conferma d’ordine più semplice e chiaro rispetto al vecchio.

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SECONDA PARTE

ERP CLOUD, LA NUVOLA DI GESTIONE AZIENDALE

Non il gestionale trasferito nel cloud, ma il cloud di gestione delle aziende ALESSIO VOLTAREL

redazione@logyn.it

La nuova frontiera dell’informatica per la gestione delle aziende è il cloud computing, straordinario abilitatore di opportunità altrimenti impensabili o non facilmente realizzabili. La caratteristica fondamentale che rende possibile la concezione di un ERP nel cloud è la terzietà di “luogo” che il cloud fornisce. Le aziende che impiegano un ERP in cloud non possiedono uno spazio di infrastruttura propria, affidano la propria gestione aziendale a questo “luogo” terzo al fine di ottenerne in cambio molti più benefici (alcuni dei quali inediti) rispetto a una qualsiasi soluzione “in casa”. La sfida di questo passaggio passa sia attraverso un’evoluzione culturale che incontra resistenze e timori infondati (se si ricorre ai dovuti accorgimenti), sia attraverso il piano tecnologico, potendo spaziare tra soluzioni totalmente in cloud e quelle ibride che integrano nel cloud una parte di gestione mantenuta “in casa” allo scopo di perseguire opportune politiche “private” o di graduale transizione al cloud. 54


spazio a y

Nel precedente numero di Logyn abbiamo fatto una corsa in avanti, nel futuro a venire, immaginando il prossimo computing generation oramai alle porte, cioè il cloud, e l’inedito valore aggiunto che esso può dare alla gestione ERP delle aziende.

le collaborazioni di business, naturale la ricerca intelligente di nuovi partner o prodotti così come la pubblicazione dei propri prodotti e servizi alla clientela perché siano a loro volta ricercabili in modo intelligente.

Abbiamo immaginato una piattaforma cloud di servizi integrati per la gestione aziendale – che abbiamo chiamato ERP Cloud – nella quale un’azienda può sottoscriversi, “federandosi” a un sistema di aziende analogamente iscritte, realizzando un vero e proprio Network Supply Chain in cloud, rendendo istantanee

Le aziende che si federano a ERP Cloud sceglierebbero l’ampiezza di servizi e di applicazioni gestionali da un catalogo, mediante sottoscrizione, che consentirebbe loro di graduare i propri costi di fruizione in base alle effettive esigenze o periodi di necessità. 55


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ARCHITECTURE & DESIGN

CLOUD: I DIVERSI MODELLI, I FALSI RISCHI La terzietà del cloud non è solo un abilitatore per innovative evoluzioni concettuali dei servizi e delle applicazioni software per le imprese, come immaginiamo per ERP Cloud, ma costituisce un notevole vantaggio anche da altri punti di vista. I fornitori di cloud computing, più o meno “grandi” o più o meno “spinti” nella differenziazione del livello di astrazione dei servizi offerti (come Microsoft, Apple, Amazon, Aruba e altri che già incedono nel mercato), hanno un denominatore comune, quello di fornire grandi datacenter, distribuiti geograficamente su territori più o meno estesi sul pianeta (ad esempio Microsoft ne ha quattro in Nord America, due in Europa, due in Asia), livelli di disponibilità continua dei servizi (Microsoft assicura uno SLA del 99,9%), di affidabilità che praticamente può giungere all’assoluto, possibilità di scalare in modo virtualmente illimitato le prestazioni (processori, memoria, persistenza, banda in uscita o ingresso alla “nuvola”, ecc), aggiornamenti continui di hardware (hw) e software (sw) inclusi svolti dal fornitore; il tutto soggetto a un modello pay-per-use (più si usa più si paga, meno si usa meno si paga) scalato appunto sulle scelte di “taglia” che si effettuano (cioè di nuovo su processori, memoria, occupazione di persistenza, banda in uscita o ingresso alla “nuvola”, ecc.) con la libertà di aumentare o diminuire le caratteristiche di prestazione a seconda delle esigenze, ad esempio in considerazione della stagionalità delle necessità aziendali, oppure per l’adeguamento a nuove esigenze del proprio sistema informativo. Un primo vantaggio di tutto ciò è che si ha immediatamente un trasferimento al provider del cloud degli oneri di investimento e mantenimento dell’hardware e di infrastrutture adeguate, del continuo aggiornamento (hw e sw), la responsabilità della qualità e della sicurezza del servizio (quest’ultimi generalmente sono esplicitamente oggetto di contratto). A prima vista i costi del cloud potrebbero sembrare non trascurabili (rischiano in effetti di non esserlo se si pensasse semplicemente di spostare in cloud esattamente quello che si 56

ha già in casa, applicazioni che non sono fatte per il cloud e che non scalano in prestazione in esso), ma bisogna mettere in conto che oltre ad esserci dei risparmi vivi fin da subito - ad esempio il fatto che non si debba possedere un proprio “datacenter” soggetto a veloce obsolescenza (all’inizio sovradimensionato e quindi sottoutilizzato perché “duri di più”, con un breve periodo centrale del ciclo di vita in cui risulta adeguato, e che poi diventa inevitabilmente sottodimensionato e destinato alla sostituzione) - vi sono anche altri guadagni strategici, dato che il focus della spesa, delle energie e risorse interne della divisione IT può così spostarsi consistentemente dalla gestione dell’hw e della infrastruttura al versante del sistema informativo e delle sue funzionalità, con cui cioè fare di più e meglio il proprio business aziendale. I livelli di astrazione dei servizi che un cloud provider può fornire vanno (partendo dal più basso) dall’infrastruttura (Infrastructure as a Service), come le diverse tipologie di storage (cioè sostanzialmente di area “disco”) e le macchine virtualizzate (MS Windows, IOS, Linux ecc); alle cosiddette piattaforme (Platform as a Service), come potrebbero essere i servizi di database in cloud (ad es. Oracle o MS SQL), di orchestrazione in cloud (come MS BizTalk e service bus) o altri servizi software di medio livello di runtime per applicazioni; fino al vero e proprio software applicativo per l’utenza finale (Software as a Service), direttamente mantenuto, scalato ed offerto dal cloud provider.


spazio a y Una schematica illustrazione nel caso Microsoft Azure - un vero e proprio “sistema operativo” per il cloud computing di Microsoft - è la seguente, nella quale il paragone viene fatto con il tradizionale stack di “tutto in casa”:

modo virtualmente illimitato (più si paga e più si scala). I colli di bottiglia non valicabili eventualmente si ritroveranno a livello di utilizzo dei dati e delle applicazioni che appunto rimangono a proprio carico.

Il livello IaaS, in sostanza non fa altro che trasferire nel cloud pubblico ciò che probabilmente si ha già in casa grazie alla virtualizzazione dell’infrastruttura (che oggi viene un po’ impropriamente a volte definita cloud privato). Viene eliminato l’hw dei server dal proprio data center.

Ma almeno un vantaggio ulteriore chi sviluppa il proprio software utilizzando dei PaaS lo ha, in quanto può concentrarsi maggiormente sulla logica applicativa e i requisiti utente, poiché le problematiche di scala del sottostante “runtime” (i PaaS utilizzati) sono implicitamente risolte dal provider.

Dal punto di vista dei vantaggi di scalabilità delle prestazioni è la scelta che dà di meno, perché normalmente si continuano ad utilizzare le applicazioni esistenti, che generalmente non sono fatte per scalare in prestazioni in modo virtualmente illimitato. Ad esempio se un’applicazione usa un solo processore, messa in una virtual machine nel cloud continua a usare un solo processore, perciò è inutile un’opzione con tanti processori.

La scelta SaaS, cioè di acquistare servizi software o applicazioni per utenti finali gestite interamente dal cloud provider, scala al massimo livello, perché sono fatte intrinsecamente perché scalino. Ad esempio siti o servizi web gestiti interamente dal cloud provider possono essere scalati verso l’alto, ad esempio acquistando più banda entrante o uscente nell’unità di tempo, più macchine serventi e di che tipo (in quantità di memoria e numero processori dedicati), aumentando il numero di siti web o singoli web service che si possono creare. Chi sviluppa siti o servizi web a questo livello si ritrova già risolte implicitamente in modo scalabile problematiche di prestazione e di load balancing all’aumentare della scala di utilzzo (cioè del numero di utenti o applicazioni client che li utilizzano).

Una scelta PaaS invece, sul piano dello scalare nelle prestazioni, dà di più perché almeno quei servizi software di piattaforma, il provider del cloud li fornisce con la capacità intrinseca già di scalare. Ad esempio se si acquista un DBMS nel cloud (MS SQL Azure o Oracle 12c), si potrà aumentare lo spazio dati impiegato, il numero di database gestiti, le prestazioni hw da assicurare scegliendo il numero macchine dedicate e il tipo (in termini di numero cpu e quantità di memoria che verranno dedicati) in

L’accentramento che il cloud porta nello sviluppo del software e la libera e intrinseca scalabilità verso l’alto di tutti i fattori di 57


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è una minaccia ma finora solo percepita, vigono le leggi nazionali o internazionali ove si trova il data center del cloud provider nel quale sono collocati i propri dati. In tal senso la scelta di un datacenter territorialmente vicino (nel nostro caso ad esempio uno dei due europei di Microsoft Azure) quantomeno è subordinato alla normativa più vicina a sé in materia. Sul già citato numero 29 del periodico /digitalic del maggio scorso, è riportato ad esempio che “... Microsoft è la prima e, al momento, l’unica azienda ad aver ricevuto l’approvazione dell’Associazione 29 Working Party (che rappresenta 28 agenzie nazionali per la protezione dei dati in Unione Europea), che ha riconosciuto Microsoft Azure, Office 365... Windows Intune come strumenti in grado di soddisfare gli elevati standard per la privacy imposti dai regolamenti europei sulla tutela dei dati”. prestazione (se si pensa al modello SaaS) consente ai produttori di software di perseguire il così detto multi-tenancy, cioè la possibilità che con un’unica installazione software si è in grado di gestire una molteplicità arbitraria di clienti fruitori. Per quanto finora detto, ERP Cloud ricalcherebbe chiaramente il modello di SaaS multi-tenant. Infine qualche considerazione sui fattori di sicurezza e riservatezza del cloud. Se si considera il basilare fattore di rischio di perdita dei dati o applicazioni, questo è sicuramente un falso problema. Nel cloud si può conseguire un’assicurazione maggiore su questo aspetto rispetto a qualsiasi altra soluzione on-premise, dato che si può acquistare spazio per servirsi della replica dati/applicazioni internamente al medesimo datacenter o, con un supplemento di costo, poter servirsi di geo-replica su altri data center geograficamente lontani dello stesso service provider. Grazie alla totale virtualizzazione, la caduta di un nodo del datacenter può essere velocemente annullata mediante l’attivazione di uno dei nodi di replica. Se si considera il fattore di violazione fraudolenta dei dati e delle applicazioni (spionaggio, hackeraggio, virus, troian, malware, spyware) tutti i più grandi fornitori di sistemi di sicurezza informatica stanno allestendo suite analoghe a quelle già note per i sistemi on-premise, ma native per il cloud. Con il vantaggio che basta acquistare anche queste opzioni e poi la relativa gestione avviene da parte del cloud provider il quale, ricordiamolo, ha degli obblighi contrattuali quantitativi e qualitativi nei confronti degli acquirenti. È plausibile che più grande (planetario) è il provider di cloud, più affidabile sia anche da questo punto di vista. Come ultimo fattore di questa breve disamina sugli aspetti di sicurezza, la privacy e la protezione dei dati dal “grande fratello” (che si tratti del cloud provider stesso o di un governo di un paese o altro soggetto maliziosamente interessato), che effettivamente 58

Tuttavia, sia per poter sfruttare ancora parte della propria infrastruttura e delle applicazioni, sia per continuare a gestire in modo diretto e in casa alcuni aspetti (ad esempio i dati per gli accennati timori in merito alla privacy), i cloud provider graduano diverse possibilità di ibridazione delle soluzioni (il modello si chiama Hybrid Cloud), con la possibilità di avere alcuni servizi collaterali ma indispensabili cloud come la posta o applicazioni di produttività personale (come ad esempio Microsoft Office 365), o servizi applicativi in cloud (in ottica SaaS) ma con i database on-premise, oppure altre possibilità come quella di effettuare servizi di backup nel cloud (per sgravarsi quantomeno da oneri e responsabilità dirette di mantenimento di una infrastruttura di disaster recovery), e così via. È possibile che le grandi corporazioni o le grandi aziende decidano di dotarsi di propri cloud privati (come stanno già facendo) ma solo perché le dimensioni e i budget della loro divisione IT sono tali da rendere i loro datacenter quasi paragonabili a quelli dei cloud provider pubblici. I soggetti utilizzatori di IT di gamma media e bassa, man mano che passa il tempo, potrebbero vedere con interesse crescente il cloud pubblico per una questione di necessario contingentamento dei costi e al contempo un progressivo aumento delle necessità legate all’adozione di software sempre più potenti, flessibili, pervasivi e integrati con il resto del mondo, software che altrimenti diventerebbe improponibile avere in casa. Da questo punto di vista, le soluzioni di hybrid cloud in futuro potrebbero essere destinate a una progressiva marginalità, tuttavia allo stato attuale possono rappresentare un buon viatico per far transitare anche le piccole e medie realtà aziendali a soluzioni in cloud, consentendo di apprezzarne alcuni benefici strategici, ma senza rinunciare ad avere determinate funzioni o parti della gestione aziendale ancora in proprio.


@EUROSYSTEM.IT: DIALOGARE CON IT E ICT

scenari

Come starà la mia azienda nel futuro? Ma una soluzione a misura di utente esiste…

STEFANO BIRAL redazione@logyn.it

Il problema dell’utente Un responsabile finanziario deve essere in grado di valutare i fabbisogni finanziari dell’azienda e, per fare questo, deve poter utilizzare un sistema ERP che consenta una simulazione diretta di entrate e uscite (flussi finanziari) aziendali nei periodi futuri. La simulazione deve essere ricavata elaborando molte informazioni presenti nel sistema ERP e attualizzandole nel tempo futuro: ad esempio, se l’ufficio acquisti ha inserito un ordine con consegna prevista al 20 gennaio e pagamento tramite ricevuta bancaria a 60 giorni data fattura fine mese, è probabile che l’azienda stessa debba pagare il fornitore alla data del 31 marzo. Se poi un’altra riga dello stesso ordine di acquisto ha una data di prevista consegna al 20 febbraio, tale costo dev’essere proiettato nel futuro al 30 aprile. Tutte queste considerazioni devono essere effettuate per una mole di dati imponente che va dallo scadenziario (dati certi) agli ordini (dati probabili) ai documenti di consegna DDT emessi o ricevuti, ma di cui non esiste ancora la fattura (dati molto probabili), sia per i clienti sia per i fornitori, oltre a tutta un’altra serie di possibili uscite di cassa nel tempo (stipendi, mutui, etc.)

È necessario che all’interno del sistema ERP un apposito modulo sia in grado di elaborare tutte queste informazioni, suddividendole per tipologia di entrata o uscita e riportandole nel calendario futuro secondo dei raggruppamenti omogenei. Eurosystem, con il suo ERP Freeway® Skyline ed il relativo modulo di fabbisogno finanziario, più comunemente semplificato in cash flow, consente all’utente di avere un quadro preciso, raggruppato o dettagliato, di tali informazioni. In pratica è prevista la possibilità, di creare in autonomia uno o più prospetti sul fabbisogno finanziario: l’utente, quindi, definisce liberamente delle voci di raggruppamento dei valori economici di entrate e/o uscite al fine di avere un quadro dell’azienda nel tempo, creando così una situazione futura virtuale che consente di capire come sarà l’azienda, tra uno, tre o sei mesi, dal punto di vista finanziario. Il motore elabora i dati gestionali (soldi presenti in cassa e banche, scadenziario attivo, promesse di pagamento dei clienti, scadenziario passivo, ordini clienti e fornitori, documenti di consegna clienti e fornitori non fatturati, acconti da emettere su commesse clienti, salari e stipendi, rate di mutui o leasing, movimenti provvisori o di altra natura, ecc.) e li inserisce in base ai parametri di configurazione nell’indice interessato allo scopo di costruire l’analisi secondo totalizzazioni semplici o complesse.

Il contesto dell’offerta

Gli schemi di esposizione delle informazioni elaborate vengono generati grazie al motore di cash flow, in grado di adeguare il proprio funzionamento sulla base delle estrazioni, raggruppamenti e totalizzazioni configurati direttamente dall’utente in fase di predisposizione iniziale del sistema.

Un sistema ERP deve essere visto come un supporto all’azienda e non come un elemento frenante la stessa: questo significa che il software deve aiutare l’azienda a creare e sviluppare il suo futuro supportandola in un utilizzo coerente di tutte le informazioni presenti nel sistema gestionale, o meglio ancora aziendale, quindi utilizzato da tutte le risorse in azienda.

Infine, grazie alle aperture presenti nella soluzione, è possibile elaborare ulteriori dati potenzialmente anche fuori sistema, da riportare all’interno dello schema di fabbisogno finanziario così come è possibile integrare l’elaborazione con procedure personalizzate e pensate ad hoc per il nostro cliente! 59


DICEMBRE 2014

HITACHI DATA SYSTEMS ITALIA: ALTA TECNOLOGIA E ATTENZIONE AL MERCATO Intervista al Country General Manager Walter Simonelli

Hitachi Data Systems, fondata in Italia nel 1989 e con sede centrale a Santa Clara nel cuore della Silicon Valley, opera nel comparto dell’Information Technology, che rappresenta oltre il 18% dell’intero gruppo Hitachi Ltd. (leader mondiale nel settore elettronico), all’interno del quale costituisce il segmento con più alto valore strategico, con oltre 6mila persone in tutto il mondo e una presenza diretta e indiretta in più di 100 Paesi. Il comparto IT di Hitachi Ltd. vede la presenza di società attive in ambiti quali la Continuous Infrastructure, il Content Mangement e l’Information Intelligence. HDS Italia è presente a Milano e Roma con oltre 100 dipendenti, collaboratori e consulenti; a parlarci della realtà italiana il Country General Manager Walter Simonelli. 60


Chi è Walter Simonelli? Ci parli un po’ di lei... In HDS dal 2004 - compio 10 anni a novembre - ho ricoperto diversi ruoli all’interno dell’azienda: prima la carica di Global Services director e poi sales manager per l’Italia. Ora sono Country General Manager. Prima di approdare in Hitachi ho lavorato per importanti realtà del mercato IT presso multinazionali nel settore tra cui Compaq, HP e Capgemini, ricoprendo ruoli di rilievo in ambito IT management, consulting e direzione commerciale. Il mio background è di tipo tecnico e sistemistico, essendo laureato in informatica, con alle spalle esperienze in aziende internazionali. Hitachi Data Systems è sicuramente la più importante per la leadership sul mercato di riferimento e per i risultati ottenuti. L’azienda, infatti, negli ultimi 5 anni è sempre cresciuta: per 4 anni di seguito c’è stata una crescita doppio digit, e quest’anno siamo in linea con le attese e abbiamo una previsione molto buona per la seconda parte dell’anno. Si sono da poco conclusi gli Hitachi Information Forums 2014 di Milano e Roma: come è andata? Quali sono state le novità di quest’anno? Siamo rimasti molto soddisfatti dei risultati ottenuti dalle due tappe italiane: negli anni siamo cresciuti molto in qualità e numeri. A partire dalla prima edizione del 2010, anno del centenario, ad oggi abbiamo infatti assistito alla triplicazione delle adesioni. E nelle edizioni di quest’anno abbiamo registrato più di 500 partecipanti. Questo dato è un anche un indicatore di qualità perché abbiamo consolidato l’awareness del nostro brand elevando i contenuti e le tematiche proposti. Un risultato non da poco tenendo conto del periodo difficile con un Pil sempre più in flessione. Analizzando il trend del mercato IT italiano si vede come nel 2013-14 questo abbia subito un’inflessione del 3,5% mentre al contrario quello delle nuove tecnologie digitali è cresciuto del 9,9%. Questi numeri sono stati un punto di partenza per un confronto tra aziende durante gli Hitachi Information Forum, la cui filosofia è proprio quella di mettere in relazione una Community fatta di potenziali clienti, clienti e partner che dia indicazioni precise su dove è posizionato in questo momento e su dove sta andando il mercato di riferimento, ribadendo poi, all’interno di questo contesto, le posizioni di Hitachi Data Systems. Si è parlato di big data, mobility, cloud, converged e social innovation. Grande importanza alle opinioni degli ospiti, infine, grazie all’introduzione di un meccanismo di votazione elettronica pensato per i partecipanti e dal quale è emerso che uno dei timori maggiori per le aziende è il

scenari cambiamento. Innovare significa lasciare vecchie certezze e potere, e questo purtroppo rappresenta ancora un problema per le imprese che ancora non hanno compreso a fondo come l’IT sia opportunità di business e non solo un costo. Come sta andando il settore IT? Quali sono le tendenze in atto? Il settore ha un contrazione sul mercato legacy. Quindi, se consideriamo il nostro business tradizionale, siamo in una situazione di contrazione. Parliamo di un mercato, quello dello storage, che perderà nei prossimi 5 anni circa 9 punti percentuali. Ad ogni modo ci sono nuove tecnologie digital che stanno crescendo e che stanno sviluppando un altro tipo di mercato. Quindi è importante per un’impresa avere oggi un piano industriale che sia sostenibile con l’economia del futuro, che probabilmente riguarderà l’evoluzione di tutto il mondo del big data, il sistema dell’analisi e della gestione del numero crescente di informazioni che pervadono la nostro vita sia dal punto di vista privato che industriale. Sicuramente determinanti saranno anche i cambiamenti dovuti all’introduzione di logiche cloud - che stano crescendo in Italia anno su anno del 28% (un numero comunque inferiore rispetto al 34% europeo) - e i progetti evolutivi di internet of things o internet of everythings riguardanti l’automazione applicata a ogni ciclo di vita e a ogni ciclo sociale (trasporto, sanità, etc.).

Walter Simonelli Country General Manager Hitachi Data Systems Italia

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Qual è la strategia di Hitachi Data Systems nel mercato italiano? La nostra strategia go to market si presenta in due modalità: HDS focalizza la sua attenzione sui primi 80 clienti (top client) con delle strutture di vendita dirette, mentre il resto del mercato viene gestito completamente dal canale e dai business partner che governano il processo di vendita privilegiando il supporto dei distributori che facilitano una serie di percorsi e gestioni amministrative. Qual è secondo lei la grande differenza tra il mercato italiano e quello degli altri paesi europei in ambito tecnologico? Dal punto di vista dell’offerta tecnologica non c’è grande differenza tra il mercato italiano e quello europeo, anche se nei Paesi nordici si vende con prezzi meno “stressati”. L’Italia riferisce ad un’area geografica (Europa e Medio Oriente) dove si lavora con prezzi più aggressivi. Sempre da un punto di vista commerciale, infatti, i mercati sono completamente diversi: nei Paesi nordici vengono acquistati più servizi che prodotti, mentre in Italia questo fenomeno è molto più lento perché le aziende cercano di capitalizzare gli investimenti e deprezzarli nel tempo, ovvero comprare un prodotto e deprezzarlo in 3 e 4 anni. A parte questo l’Italia è abbastanza allineata con le strategie europee. Tema portante della strategia HDS è la Continuous Cloud Infrastructure: proviamo a spiegare meglio e con parole semplici di che cosa stiamo parlando... Tutto si può sintetizzare e riportare al concetto innovativo di software defined datacenter e alla nascita di nuove soluzioni di virtualizzazione che vanno a creare delle nuove architetture infrastrutturali, di rete e di sicurezza. All’interno di questo cambiamento si inserisce il cloud che ricopre un ruolo fondamentale perché muta profondamente il modo di operare, di produrre e di relazionarsi con il mercato di un’azienda, nonché il suo piano dei costi. La Continous Cloud Infrastructure è la risposta di Hitachi a queste evoluzioni che si contestualizza attorno a un prodotto di classe enterprise che si chiama VSP (Virtual Storage Platform) G1000, annunciata di recente, che ha come caratteristica quella di portare per la quarta generazione di prodotti la virtualizzazione integrata nei sistemi storage. Il nostro primo prodotto di virtualizzazione risale al 2004, dieci anni fa: quando i nostri competitor non sapevano nemmeno cosa fosse la virtualizzazione, Hitachi già la implementava. E oggi siamo leader mondiali in questo ambito. La nostra politica di prezzo poi fa sì che si possa parlare di un prodotto adeguato anche alle esigenze delle PMI, dal momento che si può “costumizzare” facilmente. 62

Lo slogan dell’Hitachi Information Forum è stato “turn information into innovation”: come si può trasformare l’informazione in motore di innovazione? Tutte le aziende grandi che vogliono fare nuovo business hanno bisogno di sapere cosa hanno nei loro data center e cosa dicono le loro informazioni. Quindi capire gli analitycs, trarne delle informazioni e sfruttarle per creare nuove opportunità di business. Per questo motivo in futuro sarà necessario focalizzarsi sempre di più sulle Converged Solutions e sulle soluzioni di File and Content management per la gestione dei dati non strutturati, che rappresentano le nuove frontiere del business. Hitachi si definisce un vendor “channel friendly”: che ruolo e valore hanno le partnership locali? Cosa viene fatto per supportare il “canale”? Per noi il “canale” è fondamentale nella catena di vendita. Quello dei Vad (Value added distributor) è infatti un tassello importante nella nostra strategia, in quanto il distributore riveste un ruolo fondamentale nel fornire servizi e conoscenze addizionali ai propri reseller, garantendo una migliore presenza sul mercato. Dal mio punto di vista l’evoluzione del canale sarà quella della system integration. Hitachi e il futuro: come vede l’innovazione tecnologica nei prossimi 10 anni? E le nuove sfide? Abbiamo già definito un piano industriale per arrivare al 2020: primo obiettivo triplicare il fatturato e poichè il mercato IT tradizionale è in contrazione, ci focalizzeremo sul mondo degli analitycs e del big data, dai quali pensiamo di attingere un +30% di crescita. Inoltre, punteremo ancor più sul mondo del Cloud dal quale prevediamo un +25%. Infine, la sfida per il prossimo futuro sarà far comprendere alle imprese italiane le potenzialità delle nostre soluzioni di storage, progettate su misura per ogni business.


informazione pubblicitaria

Illuminare i Dark Data Archiviare i dati senza alcuna visibilità su valore e contenuti aumenta costi e rischi. Soprattutto quando i volumi crescono.

Un recente sondaggio IDG Research Services presso top manager ha evidenziato che, in media, solo il 28 percento dei dati organizzativi è archiviato a causa del suo evidente valore per il business. La parte restante viene conservata a scopi legali, di compliance o sconosciuti, e spostata automaticamente in polverosi vault di nastri o storage offsite. Noti con il nome un po’ sinistro di dark data, questi asset informativi crescono e assorbono risorse senza dare alcun valore. Fino a che le aziende non inizieranno a gestirli, questi dati amplieranno il problema esistente, generando costi senza offrire vantaggi. Conservare tutti i dati in sistemi di backup e/o archivi potrebbe sembrare una scelta vincente, ma se un’azienda non sa di che dati dispone o dove sono posizionati, il costo di storage e gestione facilmente ne supera il valore. Enormi volumi di dati risultano in lunghe finestre di backup e possono rendere le operazioni di recovery onerose e molto complesse. Determinare come analizzare, replicare, proteggere, archiviare, cercare e rispristinare i dati quando serve è sempre più complesso e spesso indirizzato in modo frammentato. Tale frammentazione può essere molto costosa se un’azienda ha l’esigenza di localizzare i dati in caso di un breach o in risposta a un’azione legale. Cercare un dato specifico all’interno di un enorme volume di informazioni è molto impegnativo. Gran parte dei dark data archiviati nelle aziende odierne è un doppione e, oltre a essere costoso, incrementa il rischio di non conformità a requisiti legali e normativi. Con la crescita dei volumi di dati, questi problemi divengono più significativi e difficili da gestire. Nonostante gli effetti secondari dei dark data siano evidenti e si apprezzi il beneficio generato dall’associare un valore a un determinato dato, sono poche le aziende che oggi dispongono di una soluzione di storage management automatizzata o di un’unica piattaforma per gestire i dati enterprise-wide. Con volumi di dati sempre più elevati, è fondamentale che le aziende adottino una soluzione efficace per la gestione

dei dark data di modo da eliminare i duplicati, migliorare l’operatività e ottenere visibilità sulle informazioni. Il percorso prevede l’adozione di un approccio a piattaforma e lo sviluppo di requisiti, policy e processi per una gestione ottimizzata. CommVault è unica nell’offerta di una singola piattaforma in grado di proteggere, archiviare, accedere e analizzare tutti i dati enterprise, dice Wojcik. La piattaforma Simpana integra tecnologie avanzate quali virtualizzazione, snapshot, deduplica, backup, archivio e search. La console Simpana offre un’unica vista per gestire l’accesso a tutte le funzioni, dati e informazioni aziendali, compresi quelli provenienti da server fisici e virtuali, applicazioni, NAS share, infrastrutture cloud-based e dispositivi mobili. I dati vengono archiviati e tiered automaticamente a seconda delle policy definite dall’utente, mentre un indice condiviso e intelligente cataloga versioni e location dei dati su snapshot, backup e copie di archivio per trovarli quando servono.

Backup & Archive

Meta Data

RECOVERY COPIES Content Aware Policies

REFERENCE COPIES

ContentStore

Per approfondimenti vai al sito

www.commvault.it/simpana-software 63


DICEMBRE 2014

YAMAHA MOTOR: VERSO L’ECCELLENZA TECNOLOGICA Con Eurosystem il progetto di Disaster Recovery

Nata a metà del XXI secolo dalla storica azienda giapponese di organi e pianoforti, Yamaha Motor ha saputo contraddistinguersi nel tempo per l’avanguardia delle tecnologie utilizzate e per la forte attenzione al cliente: uno spirito di sfida e ambizione la caratterizza ancora oggi facendone un esempio sul mercato manifatturiero dei motocicili. Per la stessa attenzione al cliente, l’azienda ha scelto Eurosystem come partner nella revisione della propria infrastruttura IT e in un progetto di Disaster Recovery che vi raccontiamo su queste pagine.

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stories

i percorsi di uomini e tecnologie vincenti con quelli di emozioni e passioni. E ancora oggi caratteristica distintiva dell’azienda come questa stessa afferma - “rimane la piena soddisfazione del cliente che passa anche attraverso una rigorosa analisi dei processi e dei flussi aziendali, che devono tendere sempre al massimo livello qualitativo possibile e al rispetto dell’ambiente”.

“Era il 1980 e, nell’hinterland milanese, nasceva un sogno” inizia così il racconto della storia di Yamaha Motor Italia nella pagina web di presentazione dell’azienda - “La sfida era impegnativa ma affascinante: promuovere le moto Yamaha in Italia. Un marchio famoso in tutto il mondo, già sinonimo di primato nelle competizioni, con fuoriclasse come “King” Kenny Roberts, Eddy Lawson, Giacomo Agostini, Jarno Saarinen, Wayne Rainey, Valentino Rossi. E il sogno si è realizzato”. Di fatti oggi Yamaha Motor Italia, con i suoi 67 dipendenti e circa 300 Clienti tra Concessionari ufficiali, Scooter Store e Concessionari Yamaha Marine, è un riferimento nel mercato, conosciuta per aver costruito degli autentici miti su due ruote, contribuendo a scrivere capitoli importanti nella storia delle moto, degli scooter, ma anche dello sport e del costume. Una storia, quella di Yamaha Motor Italia, che dura da trent’anni mescolando

Per rispettare, quindi, standard qualitativi elevati e garantire l’efficienza dei flussi operativi di progettazione e realizzazione, Yamaha Motor Italia a inizi 2014 sente le necessità di rivedere la propria infrastruttura informatica in un’ottica di consolidamento, razionalizzazione e centralizzazione delle risorse. “Una crescita non ordinata dell’infrastruttura nel periodo 2008/2014 - ci racconta Daniele Biglia, IT Manager dell’azienda - ha portato alla coesistenza di diverse soluzioni storage e computazionali, rese necessarie per far fronte al crescente fabbisogno di risorse. Di conseguenza abbiamo avuto l’esigenza di consolidare, razionalizzare e centralizzare le risorse in un’infrastruttura che offrisse semplicità di gestione e ridondanza dei servizi, affiancati da un partner dalle comprovate capacità sistemistiche”. Al momento della valutazione originale l’infrastruttura aziendale si trovava nelle condizione di erogare per 220 utenti (inclusi Yamaha Motor R&D e Yamaha Motor Racing) i servizi di autenticazione (Active Directory Service), gestione del network (DNS, DHCP, 65


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NTP), quelli di accesso e condivisione dei File (FTP, File Services), i servizi di gestione della posta elettronica, di monitoraggio dei sistemi, di Backup, i Database SQL e Oracle a servizio di varie applicazioni (HR, Customer Service, Ordini, Marketing, BI, supporto all’ENG) e i servizi WEB (portali vari e intranet)

indirizzare un nuovo ciclo-vita di almeno 5 anni (scalabilità verso nuovi servizi), hanno visto l’adozione di tecnologie Server e Storage “top di gamma”, la revisione parziale del networking, l’introduzione di una nuova “Fabric” ad alta velocità (8Gb-Fiber) per la connessione Server-Storage.

“La necessità di rinnovare il parco hardware esistente e di razionalizzare l’infrastruttura di Storage - continua Daniele Biglia - ci ha portato a valutare le soluzioni dei più importanti brand internazionali e a scegliere infine Hitachi Data Systems, utilizzato da tempo e con successo in Yamaha Europe. È stato poi su segnalazione di Hitachi che abbiamo conosciuto Eurosystem, un’azienda specializzata in soluzioni di Information Technology presente nel Triveneto e in Lombardia, partner Hitachi certificato e competente con il quale abbiamo deciso di avviare il progetto”.

Grazie all’assetto in Disaster Recovery progettato e implementato da Eurosystem, oggi Yamaha Motor Italia ha raggiunto gli attesi obiettivi di alta affidabilità infrastrutturale, riducendo drasticamente il suo RTO (Recovery Time Objective). Inoltre, l’adozione di un’infrastruttura composta da totale tecnologia Hitachi (nuovi Storage, Server, Fabric) ha indotto il vantaggio che deriva, in termini di maggior efficienza, dai servizi di supporto e assistenza tecnica gestiti attraverso la relazione e l’intermediazione di un unico vendor.

Da un primo incontro tra i consulenti Eurosystem e il team tecnico di Yamaha emerge subito l’obiettivo principale del cliente: migliorare l’assetto infrastrutturale generale aumentando il livello dei servizi e adottando un piano di Disaster Recovery. “A seguito dell’assessment dell’infrastruttura informatica del cliente - racconta Giovanni Guerrato, responsabile commerciale del progetto - abbiamo messo a punto un primo studio di fattibilità orientato a rispondere alle esigenze manifestate dal cliente in un modo innovativo, non andando solo a sostituire le componenti hardware e software in uso con tecnologie più aggiornate ma presentando un nuovo assetto dell’intera infrastruttura che incontrava le richieste del cliente e che ne ha determinato la scelta come soluzione definitiva”. Il primo obiettivo del progetto, dunque, è stato quello di elevare il livello di disponibilità dei servizi. Perciò è stato adottato un nuovo assetto del sistema informativo basato sulla sua distribuzione e ridondanza su 2 siti, in campus, ad una distanza di circa 200mt (precedentemente esisteva solo un singolo sito). Inoltre, per consentire il massimo sfruttamento delle risorse acquisite soprattutto la coppia dei nuovi Storage Hitachi HUS 110 Block Module - la topologia dei servizi prevede che ce ne sia una parte in produzione su ciascun sito e la rispettiva replica, affidata a Veeam Backup&Replication, sull’altro. Questo disegno permette di ridurre notevolmente i rischi di indisponibilità totale dei servizi connessi ad un qualunque evento di failure di un componente presente sul singolo sito. Infatti, in questo caso, e molto rapidamente, basta riavviare il servizio “offeso” utilizzando la sua replica disponibile nell’altro sito. Per garantire l’efficacia della soluzione, basilari sono stati i fondamentali dell’infrastruttura, che, anche nell’ottica di 66


@EUROSYSTEM.IT: DIALOGARE CON IT E ICT

scenari

Verba volant? Non semper

ATTILIO CUCCATO redazione@logyn.it

Social engineering: conoscerla… L’ingegneria sociale o social engineering studia il comportamento delle persone per carpirne la fiducia, ingannarle e raccogliere informazioni a scopo fraudolento. Una tecnica di ingegneria sociale molto usata dal cybercrimine, purtroppo ancora molto efficace e in aumento, è il phishing. Nel 2013 i principali obiettivi del phishing in Italia sono stati i social network (35%), i principali portali internet (16%), i blog (14%) e gli istituti bancari (11%). Il vhishing è la variante telefonica del phishing, in questo caso le vittime vengono manipolate da veri e propri call center. Il baiting invece, letteralmente “pastura”, fa leva sulla curiosità o il desiderio delle persone, una classica tecnica baiting consiste nelle chiavette usb contenenti malware volutamente abbandonate in prossimità di uffici ed aziende. Moltissime sono tuttavia le tecniche di social engineering dove non necessariamente serve essere esperti di informatica, questi “hacker non-tecnologici” raccolgono informazioni persino nella spazzatura (dumpster diving) o direttamente alle nostre spalle mentre utilizziamo il portatile o il tablet in una qualsiasi sala d’attesa (shoulder surfing). Oppure più comodamente potrebbero aver installato un access point senza protezione nei pressi di aree direzionali o industriali e confezionato così un wireless honeypot per tutti gli sprovveduti che, in barba alla sicurezza e mettendo a rischio le reti aziendali, potrebbero così accedere ai siti internet che i firewall avrebbero loro bloccato. Sia che si tratti di un

collaboratore autorizzato, ad esempio tra i manutentori esterni della nostra azienda, o di un intruso che utilizzando la tecnica del tailgating si sia intrufolato sfruttando la fretta e la distrazione delle persone, le intenzioni del nostro hacker non-tecnologico potrebbero essere, non solo quelle di sottrarre dati o materiali, bensì video e voce e carpire così ciò che viene detto durante una riunione o le telefonate con i nostri clienti. Esiste un mercato fiorentissimo e per tutte le tasche di microspie GSM occultate in una multi-presa elettrica, una lampada da tavolo o un semplice mouse, o altre ancora che sfruttano dispositivi bluetooth o la tecnologia Power Line Communication che utilizza la rete elettrica come mezzo trasmissivo.

...e prevenirla In una risk analysis questo tipo di minaccia sarà stata sicuramente ben valutata, tuttavia il consiglio che ci sentiamo di dare per questi specifici argomenti è di evitare la consulenza fai-da-te e di affiancare un vero esperto TSCM al nostro specialista di Information Security. Per sua stessa definizione la Technical Surveillance CounterMeasures (TSCM) eseguirà solo delle misurazioni e sarà solo dopo aver analizzato e confrontato i report relativi all’IT e quelli prodotti dalla TSCM che potremo decidere quali azioni intraprendere, anche di tipo legale. Esperienza e competenze in elettronica e telecomunicazioni, nonché un equipaggiamento altamente sofisticato sono necessari per poter verificare nel dettaglio la rete elettrica, la LAN, i collegamenti wifi e bluetooth e appurare l’eventuale presenza di attività elettromagnetiche, di portanti video, di laser infrarosso o di telecamere. Non ultimo, senza tralasciare la possibilità di intrusioni direttamente nei cellulari e le auto, aziendali e non. È un pericolo reale, spesso sottovalutato, del quale non sempre abbiamo la piena consapevolezza. Parliamone.

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DICEMBRE DICEMBRE2014 2014

EMC E LA TECNOLOGIA FLASH Intervista a Dario Regazzoni, Pre-sales manager di EMC Italia

Flash è il nome della tecnologia di memoria a stato solido che sta trasformando il mondo dello storage. Dario Regazzoni, Pre-sales manager di EMC Italia , ci spiega cosa sta davvero cambiando e come utilizzare le innovative caratteristiche dei dischi Flash per migliorare le performance dei sistemi aziendali. Stiamo assistendo a una trasformazione importante nel mondo dello storage: qual è la visione EMC? Il mondo dello storage sta cambiando da tanti punti di vista, perché varie sono le forze che agiscono su questo settore: la più importante consiste nell’introduzione di tecnologie di tipo Flash. Sebbene il termine possa far pensare al dispositivo per scattare foto in condizioni di bassa illuminazione, in realtà Flash è un sistema di memoria capace di immagazzinare una quantità elevatissima di informazioni che sta man mano sostituendo i più tradizionali hard disk. Attualmente questa tecnologia viene utilizzata in tutti i moderni dispositivi, dalle fotocamere digitali agli smartphone o ai notebook e ai pc, proprio per la buona capacità di memoria. Basti pensare a quanto velocemente ogni tipo di dato transiti dai nostri smartphone grazie a questa tecnologia per capire quale rivoluzione possa introdurre se applicata ai sistemi di gestione dei dati di tipo enterprise. 68

C’è dunque una grande differenza rispetto al passato? Proviamo a spiegarla e a capire perché ci troviamo di fronte ad un salto evolutivo... Il salto evolutivo c’è perché queste nuove tecnologie permettono di archiviare i dati e di rileggerli 100 volte più velocemente di prima. Questo significa che quando si utilizzano le applicazioni che lavorano con tali dati, queste sono in grado operare con tempi molto inferiori rispetto al passato. L’utilizzo di memoria Flash all’interno di un sistema di storage consente alle aziende di recuperare moli di dati enormi, o in particolari aggregazioni, nell’arco di pochi secondi, laddove prima erano necessarie delle ore. A questo si aggiungano ulteriori benefici come la maggiore compattezza e i minori consumi. Volendo fare un paragone storico, siamo di fronte ad un passaggio simile a quello che nel sistema delle comunicazioni a distanza ha portato da un modello di trasporto del messaggio via lettera ad uno di trasmissione grazie all’invenzione di telegrafo e telefono.


scenari

Quali sono gli ambienti IT in cui questa tecnologia esprime al meglio le sue potenzialità? Si tratta di ambiti in cui sono necessarie prestazioni molto elevate, in cui operano sistemi applicativi che hanno al loro centro dei database strutturati ed evoluti (ERP, CRM, sistemi di datewarehouse) ma anche piattaforme basate su infrastrutture virtualizzate. La tecnologia Flash è l’ideale per quei contesti aziendali in cui le performance ottenute dalle soluzioni IT non sono mai state all’altezza delle richieste o in cui non si è mai introdotto una determinata applicazione perché si pensava che i tempi di risposta sarebbero stati troppo lunghi. Uno degli ultimi progetti basati su tecnologia Flash realizzati da EMC è stata la revisione di sistemi a supporto dei traders di una grande banca italiana: in questo caso la memoria Flash è servita a creare postazioni di lavoro estremamente rapide per utenti che devono prendere decisioni di compravendita a ritmi serrati perché più sono veloci più l’azienda per cui lavorano ne trae beneficio. Esiste un problema di costo nell’adozione di queste tecnologie? EMC come lo sta affrontando? Il divario di prezzo tuttora esistente verso i dischi tradizionali è consistente e impone di motivare in maniera rigorosa l’investimento verso una direzione aziendale. Queste nuove tecnologie possono, però, essere impiegate in maniera ragionata, in modo da massimizzare nel modo migliore la loro potenzialità. Le possibilità di impiego dello stato solido come storage sono diverse: in primis, le memorie Flash possono essere inserite all’interno di un sistema tradizionale per ottimizzare i costi affiancando a dischi meno costosi e più capacitivi dei dischi a stato solido che andranno a gestire solo i dati utilizzati dalle applicazioni che devono erogare le performance migliori. In secondo luogo, si possono progettare storage basati unicamente su tecnologia Flash e in questi casi gli investimenti iniziali vengono giustificati dall’introduzione di una serie di soluzioni che permettono di abbassare i costi in maniera considerevole.

caso si limita a creare un nuovo puntatore al blocco già scritto, senza effettuare nessuna nuova scrittura, dopo distribuisce i nuovi dati in ingresso in modo da utilizzare equamente tutte le memorie Flash, indipendentemente dalla posizione che il blocco ha per il server. Questo significa che nei dischi Flash non sussistono mai due dati uguali, ma solo degli indici puntatori ad un archivio di dati già presenti. Provando a utilizzare una metafora, è come avere una persona che conosce a memoria un intero libro e provare a recuperare tramite lei il contenuto di una sola pagina chiedendo il titolo di quella pagina così com’è scritto nell’indice. Gli scenari futuri? La prossima frontiera sarà utilizzare questo stesso tipo di tecnologie in una nuova modalità: l’idea è quella di rendere lo storage, e parte della memoria che i sistemi vanno ad utilizzare, direttamente accesibile da utenti e server. Attualmente le applicazioni aziendali accedono allo storage come ad una grande memoria centrale attraverso una SAN (Storage Area Network), mentre in futuro lo storage potrà essere visualizzato e reso accessibile da ogni singolo utente o server come memoria locale. Per offrire delle soluzioni tarate sulle necessità aziendali che vadano in questa direzione EMC ha di recente acquisito l’azienda DSSD e sarà a breve protagonista di nuovi annunci di prodotto.

I vantaggi della soluzione EMC... EMC propone da tempo, oltre ad uno storage ibrido che può essere configurato con una percentuale variabile di dischi a stato solido e dischi magnetici tradizionali, uno storage completamente configurato con dischi a stato solido come XtremIO. La soluzione EMC XtremIO si presenta come un sistema di nuova generazione ottimizzato per l’utilizzo esclusivo delle memorie Flash, adottando una serie di accorgimenti per rendere più efficace l’utilizzo dello spazio disponibile e ridurre al minimo le scritture fisiche. Tra questi accorgimenti rientrano le funzionalità di deduplica: XtremIO analizza le scritture in ingresso, riconosce se i dati sono già presenti ed in questo

Dario Regazzoni Pre-sales manager di EMC Italia

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Reti aziendali a rischio: malware ignoto, bot e applicazioni ad alto rischio In un mondo dove le minacce informatiche sono in continua evoluzione, le organizzazioni devono comprendere la natura dei più recenti codici malevoli, e come le loro reti possono potenzialmente essere a rischio. Le aziende hanno bisogno sia di consapevolezza sulle minacce informatiche che di un’architettura di sicurezza appropriata per affrontare queste dinamiche sfide: questo l’avvertimento di Check Point Software Technologies. Il suo Security Report 2014 rivela la presenza e la crescita delle minacce sulle reti enterprise sulla base di una ricerca collaborativa e sull’analisi approfondita di oltre 200.000 ore di monitoraggio del traffico di rete di oltre 9.000 gateway di Threat Prevention in tutto il mondo.

che l’88% delle organizzazioni analizzate ha riscontrato almeno un evento di perdita potenziale di dati, un dato in crescita rispetto al 54% osservato nel 2012. In particolare, nel 33% delle istituzioni finanziarie intervistate, informazioni di carte di credito erano state inviate all’esterno delle organizzazioni. Per scoprire i rischi di sicurezza a cui viene esposta quotidianamente un’organizzazione, Check Point offre una valutazione gratuita della rete in loco che consente di osservare chiaramente la rete e scoprire eventuali criticità legate alla sicurezza. Security CheckUp consente di ottenere un report completo che identifica lo stato attuale della sicurezza e i rischi, come ad esempio download di malware, infestazioni da bot, applicazioni Web ad alto rischio, perdita di dati, attività sospette o fonti di perdite di dati, e consigli su come eliminare le minacce e risolvere i problemi legati alla sicurezza.

I risultati principali evidenziano un aumento dell’attività malware in termini di velocità e quantità, rilevando software malevolo scaricato a intervalli medi di dieci minuti nell’84% delle organizzazioni sotto analisi (rispetto a un download ogni due ore o meno nel 2012). È un malware più intelligente, sofisticato e più mutevole, quello emerso nel 2013. I sensori di Threat Emulation di Check Point hanno rivelato che il 33% delle organizzazioni hanno scaricato almeno un file infetto da malware sconosciuto tra giugno e dicembre 2013. Le infezioni Bot hanno continuato a essere molto presenti, con un host infestato da un bot ogni 24 ore nel 73% delle organizzazioni intervistate, in aumento rispetto al 63% nel 2012. Check Point ha scoperto che il 77% dei bot erano attivi da più di quattro settimane. In media, i bot comunicavano con il loro Command and Control (C&C) ogni tre minuti. L’uso di applicazioni ad alto rischio potenziale è ulteriormente aumentato nel 2013, con torrent, anonymizer e applicazioni di condivisione file peer-to-peer utilizzate in media ogni nove minuti. L’utilizzo di strumenti di file sharing P2P è aumentato dal 61% delle aziende del 2012 al 75% nel 2013. La perdita di dati per le aziende è stata al primo posto tra le preoccupazioni nel 2013. La ricerca Check Point ha rilevato

Per ulteriori informazioni:

www.checkpoint.com

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Invio del personale all’estero

scenari

Un’opportunità da maneggiare con cura RICCARDO GIROTTO

info@studioassociatopiana.it

La globalizzazione ha imposto un nuovo concetto di mercato. Per operare nel nostro paese è necessario competere con aziende estere, libere di agire in tutta l’UE, agevolate da burocrazia snella e costi ridotti garantiti dal paese di provenienza. Il modo migliore per rispondere a questo è ampliare il bacino d’utenza inviando risorse umane in territori ove si prevede di poter lavorare. L’invio del personale all’estero è finalizzato ad assistere le diverse progressive prospettive aziendali: da una fase di studio del mercato, ad una di insediamento, ad una di espansione, ad una di consolidamento del nuovo mercato, ecc. Per evitare di incorrere in apparati sanzionatori, è bene definire le modalità di invio del personale all’estero più diffuse, così da poter scegliere quella più idonea alle singole necessità. Trasferta: è la più comune forma di invio, temporanea e breve, idonea a soddisfare esigenze dal rapido esaurimento. La soluzione non richiede particolari adempimenti burocratici verso il paese di destinazione, posto che il rapporto di lavoro continua ad essere regolato in Italia. Trasferimento: trattandosi di modifica definitiva del rapporto, si differenzia dalla trasferta per lo sganciamento della risorsa dal paese d’origine. Il lavoratore trasferito assume il proprio rapporto nella sede di destinazione, mantenendo l’anzianità aziendale ed i diritti acquisiti in patria. Distacco: è una via di mezzo tra le precedenti, un invio dalla durata temporanea ma prolungata. Assoggettato a specifiche procedure amministrative, il distacco permette di mantenere il rapporto di lavoro ancorato al paese d’invio con le specifiche disposizioni che l’anno sempre

regolato. La durata massima dell’invio però viene determinata da leggi o specifiche convenzioni tra i paesi coinvolti, che vanno a regolare nel dettaglio gli effetti giuridici dell’operazione. Analizzate le modalità, è necessario soffermarsi sugli adempimenti da espletare, con riferimenti in primis alle azioni preliminari all’invio. A questo proposito rileva la diversa condizione dei lavoratori inviati in paesi comunitari, extracomunitari convenzionati o extracomunitari non convenzionati. Per quanto riguarda i paesi comunitari le procedure sono semplificate in quanto la trasferta non richiede alcun adempimento (anche se l’istituto previdenziale pretenderebbe venisse trattata come un distacco), per il distacco è necessario il possesso dei modelli “portabili”, su tutti il modello A1. Per i paesi extracomunitari la trasferta continua a doversi considerare libera da implicazioni amministrative, mentre il distacco è possibile solo verso i paesi convenzionati, ossia paesi che hanno sottoscritto precisi accordi con l’Italia che dispongono condizioni fiscali, previdenziali, giuridiche e temporali che regolano l’invio temporaneo dei lavoratori. A proposito dei paesi extracomunitari, in caso di distacco si dovranno ottenere i documenti portabili specifici e differenziati per ogni stato di destinazione.

Tanto per i paesi comunitari quanto per quelli extracomunitari resta sempre salva l’ipotesi del trasferimento definitivo. La procedura di invio verso i paesi extracomunitari inoltre prevede il passaggio preventivo presso il Ministero del Lavoro che dovrà rilasciare specifica autorizzazione. Tale istanza richiede particolare attenzione e un’analisi documentale dettagliata con riferimento alle regole da applicare al rapporto trasferito. Curioso inoltre come le politiche retributive per il dipendente inviato all’estero debbano sempre considerare un forte legame di questi con il paese d’origine, tale che le aziende sono spesso costrette alla realizzazione “acrobatica” di pacchetti benefit che possano sposarsi con la legislazione vigente nel paese di destinazione, senza pesare troppo sul costo del lavoro. In contrapposizione con il fenomeno mediatico del lavoratore in fuga verso i paesi esteri alla ricerca della felicità, la realtà dimostra che il convincimento del lavoratore ad uscire dal nostro Stato passa per la garanzia di poter mantenere lo stipendio consolidato, la previdenza sicura ed una sanità presente. Insomma un benessere generale che il nostro bistrattato paese offre di default, di cui forse si prende atto solo al momento di lasciarlo. 71


DICEMBRE 2014

Trasferimento dell’azienda oltre confine Non è un’operazione fiscalmente neutrale! ELENA GIOCO - RUGGERO PAOLO ORTICA

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Produrre in Italia costa troppo: la pressione fiscale, che rende spesso insostenibili le spese per la manodopera ed erode anche i margini più sottili, pesa come un macigno su molte aziende del Bel Paese. Spostarsi all’estero, dunque, significa per alcuni imprenditori ridurre i costi attraverso l’alleggerimento dell’imposizione tributaria. Ma cosa può comportare, proprio dal punto di vista della tassazione, il trasferimento all’estero di un’impresa italiana? Scopriamolo assieme. È necessario chiarire sin dal principio quali sono i requisiti di “residenza fiscale” nel nostro ordinamento, con specifica attenzione alle imprese costituite in forma societaria. La disciplina è contenuta nell’art. 5, co. 3 e nell’art. 73, co. 3 del T.U.I.R., rispettivamente relativi a società di persone e di capitali, e per entrambe dispone che “si considerano residenti le società ed i soggetti assimilati che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”. Tali criteri di localizzazione sono alternativi, pertanto è sufficiente che permanga anche uno solo dei tre requisiti affinché una società continui ad essere considerata residente nel nostro Paese, con tassazione in Italia in base al “principio di tassazione su base mondiale”. Ciò consente di comprendere che il trasferimento di un’azienda ai fini fiscali non può mai essere solo “sulla carta”, ma deve comportare inevitabilmente anche lo spostamento delle attività amministrative e produttive. 72

Premesse fatte, cosa accade quando un’impresa si sposta all’estero? Il trasferimento della residenza non è un’operazione fiscalmente neutrale, bensì gli effetti sono assimilabili, pur con alcune differenze e particolarità, a quelli di una cessione d’azienda. L’art. 166 del T.U.I.R. dispone infatti che il trasferimento della residenza da parte di un soggetto che esercita un’impresa “costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato”. È chiaro pertanto che con il trasferimento all’estero non è possibile sottrarre ad imposizione i plusvalori “latenti” in capo ai beni facenti parte del patrimonio aziendale. Unica esimente, anche se sostenuta solo da una parte della dottrina, potrebbe riguardare la tassazione degli intangibles, qualora non risultassero già iscritti a bilancio: questa tesi sarebbe infatti rafforzata dall’oggettiva difficoltà di stabilire, in base alla legislazione di ciascun Paese estero, la possibilità di iscrivere a nuovo e di ammortizzare

beni immateriali quali ad esempio l’avviamento. Un ulteriore aggravio sarebbe poi rappresentato dall’obbligo di assoggettare a tassazione le eventuali riserve in sospensione d’imposta iscritte nell’ultimo bilancio ante trasferimento, con specifica menzione anche dei fondi di “secondo gruppo”, ovvero quelli destinati a concorrere alla formazione del reddito imponibile in capo alla società solo in caso di distribuzione ai soci. Quale tassazione applicare, poi, ai plusvalori emergenti dalla valutazione dell’azienda trasferita a valori correnti e agli eventuali fondi in sospensione? Per le società di capitali l’IRES sconta l’aliquota ordinaria, senza possibilità di beneficiare di regimi sostitutivi, mentre per le imprese individuali e i soci di società di persone l’art. 166, co. 1 del T.U.I.R. ha previsto la possibilità di applicare il regime della “tassazione separata” di cui all’art. 17, co 1, lett. g) e l). E ai soci di società di capitali? Il comma 2-ter dell’art. 166 chiarisce


fortunatamente che il trasferimento all’estero di una società di capitali non genera materia imponibile in capo ai soci e d’altra parte non potrebbe essere altrimenti, in quanto non vi è alcuna norma nel nostro ordinamento che attribuisca direttamente una natura liquidatoria a tale operazione, né indirettamente a mezzo di un divieto. Anche il Codice Civile contribuisce a rafforzare l’intendimento del legislatore prevedendo agli artt. 2437 e 2473 il diritto di recesso dei soci che non abbiano concorso alle delibere inerenti il trasferimento all’estero della sede societaria e ammettendo implicitamente che tali delibere non comportano di per sé lo scioglimento della società.

conseguenza il debito verso l’Erario, si “formano” al momento in cui si realizza il trasferimento dell’azienda, e come tali restano immodificabili.

scenari

Quanto sopra espresso evidenzia quindi la delicatezza del problema del trasferimento della sede all’estero, terreno su cui bisogna muoversi con estrema accortezza al fine di evitare spiacevoli azioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Infine, qual è il momento effettivo in cui si realizzano i presupposti per l’imposizione? Gli ultimi due commi (2-quater e 2-quinqies) dell’art. 166 introducono un regime opzionale di carattere “sospensivo”, alternativo a quello del realizzo immediato, attivabile dai soggetti che trasferiscono la propria residenza fiscale in Stati appartenenti all’UE ovvero aderenti all’Accordo sullo SEE (Spazio Economico Europeo), con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari. Tale regime consente, mediante l’esercizio di una specifica opzione, di differire la tassazione delle plusvalenze latenti in capo alle attività patrimoniali dell’azienda trasferita al momento dell’effettivo realizzo (ad esempio alla data di effettiva cessione dei beni o di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa). Tuttavia è bene ricordare che tale differimento riguarda solo il momento di liquidazione delle imposte in quanto la plusvalenza nella sua entità, ovvero la differenza fra il valore di mercato del bene ed il costo fiscalmente riconosciuto in capo all’impresa, e di 73


DICEMBRE 2014

Rapporti commerciali internazionali L’importanza delle trattative nel concludere l’accordo LUCIA BRESSAN

lbressan@studio-bressan.com

L’espansione e la crescita di un’azienda oltre i confini italiani è direttamente proporzionale alla declinazione di un progetto di internazionalizzazione che si basa su una rete di relazioni transnazionali, costruite e consolidate nel tempo. Il processo di costruzione di tali relazioni cross border poggia su solidi accordi e contratti internazionali che costituiscono il punto di arrivo di attente e pazienti negoziazioni. Processi di internazionalizazzione: gli errori più frequenti Troppo spesso i manager di entrambe le parti si concentrano sugli obiettivi ed i reciproci vantaggi del progetto, lasciando poi al tecnico del diritto la definizione degli aspetti giuridici. Altrettanto spesso accade che quest’ultimo evidenzi i problemi, le implicazioni e conseguenze giuridiche della concreta esecuzione delle intese già raggiunte, ancorché non ancora formalizzate in un contratto. Riaprire la discussione su aspetti oramai condivisi, spesso frutto di reciproche concessioni di natura commerciale, comporta la perdita di credibilità e reputazione aziendale e l’irrigidimento delle reciproche posizioni, se non addirittura il rischio di compromissione dell’intero affare, con conseguente prevedibile pretesa di refusione dei costi nel frattempo sostenuti e degli eventuali danni occorsi. Come si arriva alla sottoscrizione di un contratto “safe”? Spesso la sottoscrizione di contratti internazionali interviene dopo un graduale processo di modificazione 74

e avvicinamento delle posizioni tra l’impresa italiana e il potenziale partner straniero. Si pensi ad esempio ai contratti di distribuzione commerciale, licenza di tecnologia, di equity joint venture ovvero di acquisizione di partecipazioni (Merger & Acquisition). Ebbene la sottoscrizione di un contratto “safe” passa necessariamente attraverso una fase pre-contrattuale, accompagnata da professionisti e operatori del diritto e da documenti che le parti sottoscrivono prima e durante la fase della negoziazione vera e propria. I documenti della fase pre-contrattuale sono contratti preliminari? All’avvio di una qualche negoziazione preliminare, le parti si scambiano i documenti denominati Letter of Intent, Non-binding Letter of Intent, Memorandum of Understanding, Statement of Principles, Heads of Agreement o Protocol of Accord. Trattasi di documenti finalizzati a garantire una condotta delle parti in buona fede (individuazione degli scopi, del termine finale entro il quale le parti concluderanno le trattative, delle condizioni il cui

avveramento consente la conclusione dell’affare, ecc.). Ancorché definiti accordi e documenti preliminari, tuttavia non sono da confondersi con l’istituto giuridico del contratto preliminare, tipico degli ordinamenti di civil law. Normalmente tali documenti sono accompagnati da altri tipi di documenti denominati Non Disclosure Agreement, Secrecy Agreement o Confidentiality Agreement, volti in primis a garantire l’assoluta riservatezza e l’obbligo di non divulgazione delle informazioni confidenziali scambiate durante le trattative. Proprio per le peculiari finalità che si pongono, la formulazione e l’analisi del contenuto di tali documenti è di fondamentale importanza, onde comprendere il grado di obbligatorietà degli impegni assunti e la concreta efficacia esecutiva di tali accordi. Come posso capire se il contratto è adeguato? È di fondamentale importanza far conoscere all’imprenditore i punti di forza così come i rischi e le potenziali criticità di un dato rapporto contrattuale con un partner straniero. Il giurista in


particolare, dopo il confronto con le figure professionali coinvolte, (manager, ingegneri, commercialisti, fiscalisti, a seconda dei casi) e dopo aver vagliato le peculiarità della transazione commerciale nel Paese di riferimento, potrà adeguatamente supportare le negoziazioni, con conseguente adeguata scelta del contratto e formulazione delle clausole più adatte, utili a dare una veste giuridica alle intese raggiunte. Cosa significa? Con riferimento, ad esempio, ai contratti di distribuzione commerciale negli Stati del Golfo la normativa locale è decisamente favorevole alla posizione dell’agente/ distributore. Oltre a consentire al preponente/concedente di interrompere il rapporto solo a fronte di un grave inadempimento imputabile all’agente/ distributore, riconosce a quest’ultimo il diritto ad una indennità di fine rapporto che talvolta può raggiungere una somma pari al margine netto di tre anni. Inoltre, nonostante la normativa lasci libere le parti di scegliere la legge applicabile, l’eventuale clausola che prevede l’applicazione di una legge straniera sarà con ogni probabilità ignorata dalle Corti locali. Analogamente, una clausola di deroga del foro in favore di un giudice straniero non avrebbe alcuna efficacia, in quanto la legge applicabile sul punto prevede espressamente la giurisdizione esclusiva in favore delle Corti locali (norme inderogabili). Inoltre - con riserva di verifica caso per caso ancorché aderenti alla Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, tuttavia in molti Stati del Golfo le controversie relative ai contratti di distribuzione e agenzia rientrano nelle materie considerate dai giudici locali come non arbitrabili. La conoscenza dunque, sin da subito, di tali aspetti di natura giuridica consente all’azienda di poter verificare attraverso quali altri operazioni e strumenti

contrattuali alternativi - più efficaci e/o meno rischiosi per l’impresa - sia possibile il raggiungimento degli obiettivi prefigurati.

scenari

Conclusione Una corretta relazione commerciale di portata transnazionale deve poggiare su accordi commerciali ben definiti che costituiscono il punto di arrivo di un paziente lavoro di interrelazione tra diritto e affari. Il contratto dunque rappresenta il momento in cui le rispettive esigenze ed aspettative imprenditoriali sono (finalmente) cristallizzate in un accordo scritto. In sintesi, il giurista attento una volta chiarito il progetto e tutte le implicazioni di natura economica, commerciale e giuridica, potrà trasferire su carta quanto le parti intendono realizzare, pensando all’eventuale fase contenziosa come uno scenario da scongiurare. La controversia infatti, non

solo manifesta il chiaro fallimento degli obiettivi prefigurati, ma comporta un prevedibile investimento di risorse, umane e finanziarie, il cui esito è comunque incerto; risorse che meglio potrebbero essere impiegate “in the ordinary course of business” con risultati positivi prevedibili e misurabili.

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DICEMBRE 2014

Equitalia: stop pignoramenti prima casa La Cassazione conferma: la prima casa è intoccabile ANDREA MANUEL

Buone, anzi, ottime notizie dalla Cassazione per i contribuenti. La Corte di Cassazione, infatti, con sentenza 19270/14, ha stabilito che la norma che impedisce ad Equitalia di pignorare la prima casa è applicabile a tutti i procedimenti: compresi quelli avviati prima dell’entrata in vigore del decreto c.d. “del fare”. Com’è noto il decreto legislativo 69/2013 aveva apportato delle importanti modifiche al DPR 602/1973. In particolare era stata inibita la possibilità, all’Agente della riscossione, di procedere ad esecuzione forzata sulla prima ed unica casa di abitazione in cui il debitore risiede anagraficamente a fronte di debiti iscritti a ruolo. Questo con eccezione dei casi in cui l’immobile sia considerato di lusso o comunque classificato nelle categorie catastali A/8 e A/9 (Ville e Castelli). Inoltre era stato precisato che il limite del credito

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complessivo necessario per procedere ad esecuzione forzata per le abitazioni non prima casa o di lusso o delle succitate categorie catastali non poteva essere inferiore ad € 120.000,00.

avviata l’espropriazione se non fosse stata preventivamente iscritta ipoteca e decorsi infruttuosamente sei mesi dall’iscrizione senza che il debito fosse stato estinto.

Era stata comunque fatta salva la possibilità di iscrivere ipoteca anche al di sotto di tali soglie ed anche sulla prima casa ma ciò è solamente ai fini cautelari per la tutela dei crediti iscritti a ruolo laddove l’esecuzione fosse stata avviata da terzi. Era stato, inoltre, stabilito, che non poteva essere

In sostanza, pertanto, non vi era la possibilità di pignorare la prima casa, adibita ad abitazione del debitore (se non di lusso) mentre per gli altri beni vi doveva essere un credito superiore a € 120.000,00, iscrivere ipoteca ed aspettare almeno 6 mesi. Il problema che subito, però, si era posto,


era di individuare il momento in cui tale norma doveva essere considerata applicabile. Con una direttiva del 01.07.2013 Equitalia aveva chiesto chiarimenti da parte degli Organi Istituzionali per quanto riguardava l’applicazione - retroattiva o no - delle nuove disposizioni. Il chiarimento era arrivato ed il Ministero dell’Economia aveva affermato che il divieto di pignoramento immobiliare sulla prima casa operava esclusivamente dal 22.06.2013, data di entrata in vigore del decreto del fare. Quindi Equitalia poteva continuare le espropriazioni iniziate prima del 22.06.2013. Questo fino alla sentenza 19270 del 2014. La Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito che Equitalia non potrà più pignorare la prima casa. La Corte di Cassazione, disattendendo l’opinione espressa a suo tempo dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha esteso la non pignorabilità a tutti gli immobili soggetti a provvedimenti di Equitalia ancora in corso, con esclusione delle abitazioni accatastate come di lusso. In sostanza la Cassazione ha detto che il Decreto del fare si applica anche

nelle procedure già avviate da Equitalia prima ancora dell’entrata in vigore della nuova legge. Il che vuol dire che tutte le aste pubbliche in cui il creditore procedente è l’agente per la riscossione, devono essere estinte (in gergo tecnico si dice cessazione della materia del contendere). La prima casa di abitazione è pertanto salva: ovviamente a condizione che si tratti di una prima casa di abitazione non di lusso, e che non via siano altri creditori procedenti. Il divieto per Equitalia, infatti, riguarda semplicemente la possibilità di iniziare o proseguire un’azione esecutiva non, invece, quello di intervenire (eventualmente) su espropriazioni da altri iniziate. È appena il caso di precisare, ovviamente, che il divieto di pignoramento della prima casa opera solo ed esclusivamente per Equitalia: non per altri creditori. Quindi una buona notizia per i contribuenti e, in particolare,

scenari per tutti quei contribuenti che hanno dei contenziosi con Equitalia. In forza della sentenza sopra richiamata (che costituisce una vera e propria rivoluzione) Equitalia non potrà proseguire nell’esecuzione e, pertanto, laddove non vi siano creditori intervenuti la stessa si potrà estinguere. Si può comprendere, pertanto, come tale sentenza sia stata accolta con vera soddisfazione dalla categoria dei consumatori. Ovviamente l’iter argomentativo della Corte di Cassazione è puramente “tecnico” ma non si può non apprezzare come sia stata “recepita” una volontà politica e sociale di “salvaguardare” la casa di abitazione a fronte di debiti esclusivamente tributari. Studio Legale Nordio-Manuel

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Intelligenza cognitiva e analisi predittive per agire nel futuro La visione IBM sul ruolo della Business Intelligence nelle scelte aziendali

Le aziende oggi si ritrovano a gestire una mole di dati interni sempre più vasta e varia, e a questa aggiungono la quantità di dati liberi provenienti dal web, di natura extracontabile, che rappresenta un patrimonio destrutturato di informazioni con potenzialità di importanza strategica per il business. Come organizzare, riclassificare, e ripensare tutto questo? La risposta arriva dal campo della Business Intelligence: di questo parliamo nell’intervista a Luca Missagia, Sales Director della divisione Business Analytics Software di IBM.

La Business Intelligence è per definizione quell’insieme di modelli, metodi, processi, persone e strumenti che rendono possibile la raccolta regolare e organizzata del patrimonio dati generato da un’azienda e che ne permettono, attraverso elaborazioni, analisi o aggregazioni, la trasformazione in informazioni, la loro conservazione, reperibilità e presentazione in una forma semplice, flessibile ed efficace, tale da costituire un supporto alle decisioni strategiche, tattiche e operative. I sistemi di Business Intelligence e più in generale di Business Analitycs offrono strumenti in grado di elaborare milioni e milioni di dati trasformandoli in informazioni di natura statistica come proiezioni future, ipotesi di andamenti, scenari ‘what if’: il tutto nell’arco di pochi secondi e con il risultato di supportare e indirizzare in maniera consapevole le decisioni dirigenziali. I campi di applicazione sono moltissimi: non solo l’area finanziaria e contabile ma anche, ad esempio, l’ambito commerciale e quello marketing possono trarre grandi vantaggi nella definizione dei piani di azione da adottare nell’immediato futuro, come tutti gli altri reparti dell’azienda. La BI nasce negli anni ‘50 ma è di recente, soprattutto con l’esplosione del fenomeno dei Biga Data, che acquisisce

un peso importante all’interno delle voci di costo degli investimenti aziendali. L’esplosione digitale ha infatti portato all’attenzione collettiva la questione del loro utilizzo e del loro valore: le conversazioni degli utenti provenienti dal web su brand e prodotti, la manifestazione di interessi e preferenze attraverso ‘Like’, ‘Checkin’, pubblicazioni di video e post liberi rappresentano ormai un bacino di informazioni illimitate su pensieri, gusti, preferenze dei consumatori con una potenzialità enorme, la conoscenza approfondita del cliente. Ma il volume, la varietà e la velocità con cui si modificano i dati - rendono queste risorse ingestibili in un tempo accettabile per i database tradizionali e di vecchia concezione. Occorrono, dunque, strumenti di calcolo nuovi con capacità di algoritmi potenti e sofisticati. Eurosystem, azienda trevigiana specializzata in progetti di Information Technology, ne parla oggi con Luca Missagia, Sales Director della divisione Business Analytics Software di IBM, leader tecnologico mondiale con cui Eurosystem collabora da oltre 35 anni.

Luca, con le tematiche di Business Intelligence e più in generale di Business Analitycs siamo di fronte a un grande cambiamento rispetto al passato: qual è la visione IBM in proposito? Siamo giunti a un punto di svolta in cui l’abbondanza di informazioni da cui siamo circondati, incrementata ulteriormente dallo sviluppo del cloud, da analisi avanzate, da nuovi modelli di user experience e di business - ci conferma che prendere decisioni basate sui dati è oggi un’attività fondamentale, quotidiana e preziosa per tutte le linee di Business. Non più solo per gli analisti di business o del settore IT - ma anche per tutti i professionisti del marketing, delle vendite, delle operations, della finanza e delle risorse umane in grado di ottenere le risposte di cui hanno bisogno da tutte le tipologie di dati disponibili. Ciò richiede una rivoluzione nella tecnologia di analisi: significa aiutare le persone ad acquisire dati, scoprire correlazioni, prevedere e visualizzare i risultati, creare report, e collaborare con gli altri attraverso un’esperienza utente unificata che parla lo stesso “linguaggio” dei diversi settori e delle linee di Business.

Qual è la grande rivoluzione apportata da queste tecnologie? Come è noto il termine Business Intelligence è stato coniato da un ricercatore tedesco impiegato presso IBM a fine anni ‘50. Da allora questo termine e le sue tecnologie hanno subito un processo evolutivo molto significativo soprattutto se pensiamo a come il patrimonio informativo sia cresciuto rispetto a volumi e qualità dei dati.


Oggi le informazioni contenute nei sistemi rappresentano quanto è accaduto nel passato. Si possono fare analisi libere, report istituzionali etc. ma lo spostamento dell’asse verso il futuro deve focalizzarsi sulla capacità di fare proiezioni. L’analisi predittiva è il futuro. Ogni giorno - ogni minuto - il nostro cervello elabora una quantità incredibile di informazioni passando attraverso più fasi di analisi, senza rendercene conto. Nell’ambito delle diverse professioni e discipline si ricorre allo stesso processo cognitivo: osservazione, valutazione e decisione per capire, per fare delle scelte e, nel tempo, acquisire padronanza e sviluppare competenze.

Secondo te tutto ciò come viene recepito dalle aziende italiane? Oggi si parla molto di Big Data e le aziende italiane stanno timidamente affrontando questa svolta epocale: il nuovo paradigma si trova nelle parole chiave “Informazioni” e “Realtime”. Se tempo fa il problema di ogni organizzazione era trasformare i dati in informazioni, oggi ci troviamo con un numero incredibile di informazioni che divengono nuovamente dati da analizzare e correlare. La vera sfida del futuro è quella di disporre di strumenti “intelligenti” in grado di comprendere e di aiutarci a decidere.

Tecnicamente di che tipo di soluzioni stiamo parlando? Da un punto di vista tecnologico, stiamo parlando di intelligenza cognitiva e di linguaggio naturale. Il cervello utilizza sinapsi per gestire un flusso logico che parte dall’osservazione del fenomeno, interpretazione e valutazione dello stesso per arrivare alla fase finale che coincide con la decisione. Queste soluzioni tecnologiche operano in modo simile. Insomma, un vero e proprio cambio epocale.

Luca Missagia, Sales Director della divisione Business Analytics Software di IBM

Qual è la risposta IBM a queste tematiche? La risposta di IBM è Watson Analytics. Un’esperienza di analisi unificata che consente di concentrarsi sui fattori strategici che contano di più nelle aziende. Watson Analytics, automatizzando le fasi di accesso ai dati ed alle informazioni, la loro interpretazione, l’analisi predittiva e la narrazione visiva, identifica immediatamente e spiega modelli nascosti e relazioni per accelerare la comprensione del perché le cose sono accadute e che cosa è più probabile che accada. Watson Analytics si basa sul dialogo in linguaggio naturale, per questo motivo è possibile porre le domande giuste e ottenere risultati più familiari alle diverse tipologie di business. Esattamente come il primo foglio di calcolo ha reso i calcoli finanziari più facili per chiunque avesse un PC, Watson Analytics apre il mondo di analisi avanzate a tutti, a qualsiasi utente di business. Il messaggio di sintesi che mi sento di lasciare è il seguente: “Basta che voi portiate i vostri dati... Watson Analytics farà il resto!”

Link utili:

www.watsonanalytics.com www-03.ibm.com/software/products/it/ category/business-analytics ibmtvdemo.edgesuite.net/software/ analytics/it/cognos-enterprise-in-action/


DICEMBRE 2014

LAVORARE CON IT E ICT Dalla carta al web: come comunica un’azienda IT Intervista alla divisione Marketing e Comunicazione

“Fino a qualche anno fa nel marketing e nella comunicazione in generale veniva richiesta principalmente grande creatività. I mezzi a disposizione erano meno vari e soprattutto le attività meno misurabili. Oggi, assieme all’inventiva serve una buona e precisa conoscenza degli strumenti a disposizione - soprattutto quelli nuovi - e abilità nella misurazione dei risultati”. I professionisti della Comunicazione e del Marketing di Eurosystem raccontano come comunica oggi un’azienda di IT. 80


conosciamoci STILE LIBERO

Quali le attività e gli strumenti principali?

All’interno dell’organigramma aziendale come è inserito l’ufficio Marketing e Comunicazione? F. Brunello: “La divisione fa riferimento al responsabile Marketing e Commerciale, ovvero Gian Nello Piccoli, uno dei soci titolari dell’azienda oltre che amministratore delegato, e si affianca alle aree Telemarketing e Commerciale, andando a completare tutto quel settore che si occupa di come proporre l’azienda sul mercato e verso i suoi pubblici di riferimento”. Da quante persone è composto il team e come siete organizzati? F. Brunello: “L’ufficio negli anni ha visto diverse evoluzioni: si è trattato di step di ottimizzazione che sono andati di pari passo con i cambiamenti interni del Gruppo. Oggi siamo 3 persone: ci sono due figure senior, che lavorano in azienda da alcuni anni, la terza, una junior, a supporto e integrazione del team che nel suo complesso gestisce la comunicazione corporate e di prodotto e la strategia marketing dell’azienda. Nello specifico io mi occupo di immagine coordinata e grafica; Giovanna Bellifemine segue perlopiù l’attività di content strategy e relazioni esterne; infine, Sara Cappellazzo, di recente arrivo, è una designer: contribuisce alla definizione della nostra comunicazione grafica e in più si occupa della gestione del mondo social. Inoltre, ci avvaliamo di alcune figure di consulenza per progetti e per azioni mirate. Si tratta di competenze specifiche che vanno ad integrare a progetto quelle interne all’ufficio e nel contempo forniscono anche formazione. Una di queste figure è una professionista delle media relations che ci supporta nella costruzione e valorizzazione dell’immagine aziendale sui media - off line e on line - generalisti e di settore. Un’attività importante che ha come obiettivo quello di rafforzare le nostre relazioni pubbliche al fine di poter trovare in interlocutori istituzionali e di settore la collaborazione per attività da svolgere in rete”.

G. Bellifemine: “Il mercato dell’Information Technology è estremamente dinamico. Per questo motivo abbiamo scelto nel tempo di pianificare la comunicazione e il marketing - soprattutto quello di prodotto - di semestre in semestre, utilizzando differenti strumenti in base ai target da raggiungere. Buona parte delle nostre attività è gestita in sinergia, o meglio co-marketing, con vendor e fornitori internazionali di cui siamo partner e con i quali concordiamo piani di marketing che abbiano come obiettivo la trasmissione, a realtà imprenditoriali locali, di messaggi e contenuti concepiti a livello worldwide”. S. Cappellazzo: “Per farlo utilizziamo strumenti che si muovono tra molteplici piattaforme, dalla carta al web, e che hanno l’obiettivo di raggiungere il nostro prospect in un momento diverso all’interno del lungo percorso verso l’acquisizione dei nostri servizi di consulenza. Oltre ai mezzi tradizionali, ci concentriamo molto sul web con attività di digital communication e digital marketing. Infine, anche l’organizzazione e partecipazione ad eventi di settore sono una scelta caratteristica della nostra azienda. Da sempre l’attenzione all’aspetto relazionale ha contraddistinto il nostro lavoro. Gli eventi rappresentano un momento speciale di aggregazione, con clienti e fornitori, imprescindibile soprattutto per un’azienda di servizi come la nostra. I nostri obiettivi di comunicazione mirano da una parte a rafforzare l’immagine corporate e di prodotto, dall’altra a implementare il rapporto con clienti e prospect sottolineando la nostra attenzione per la cultura dell’innovazione”. Ecco infatti che, a proposito di innovazione, due anni fa nasceva il periodico Logyn... F. Brunello: “Sì. Un’idea innovativa del nostro direttore responsabile. Volevamo un prodotto che mettesse in rete quanti operano o sono interessati al mondo dell’innovazione, non solo IT e ICT. Uno strumento per discutere e confrontarci come community su dove sta andando l’ “Italia delle tecnologie” rispetto al resto del mondo. In particolare nel secondo anno di pubblicazione, ci siamo soffermati molto sulle testimonianze aziendali, sulla loro cultura ed esperienza, per tracciare l’umore e l’andamento della innovazione Made in Italy. Persone note al mondo dei mass media in ogni numero supportano i pensieri dei titolari d’impresa: confutando idee e tesi con dati e studi di 81


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settore. Il periodico, spedito a imprese e istituzioni di tutto il Nord e Centro Italia, sta avendo sempre più riscontro, tant’è che in molti chiedono di poter acquistare spazi pubblicitari all’interno del magazine”. G. Bellifemine: “Logyn è un progetto controtendenza: ormai gran parte della nostra vita personale e professionale è su web - lo siamo anche noi come azienda - che ha ritmi celeri. Eppure, quando Logyn è nato, ci piaceva l’idea di usare un mezzo cartaceo tradizionale per offrire al nostro pubblico un’esperienza informativa diversa, più lenta e che permettesse la corretta ‘elaborazione’ dei messaggi contenuti. L’idea del periodico nasce in un periodo peculiare, di passaggio aziendale: quindi una scelta forte e di rottura, forse, con il passato. Oggi viene considerato un valore aggiunto della nostra realtà aziendale e una nota distintiva rispetto ai competitor”. Cosa significa fare comunicazione e marketing in un’azienda IT e ICT? S. Cappellazzo: “La difficoltà maggiore riscontrata nel nostro settore è quella di riuscire a dare un volto a servizi e prodotti, che sono fortemente tecnici e difficoltosi da tradurre. Siamo un’azienda B2B e quindi ci concentriamo nel rafforzare la relazione con i clienti e partner. Insieme a Logyn, eventi, direct mail, newsletter e social sono i nostri principali strumenti di comunicazione”. Quali competenze sono richieste per lavorare oggi in un ufficio marketing? G. Bellifemine: “Fino a qualche anno fa nel marketing e nella comunicazione in generale veniva richiesta principalmente grande creatività. I mezzi a disposizione erano meno vari e soprattutto le attività meno misurabili. Oggi, assieme all’inventiva serve una buona e precisa conoscenza degli strumenti a disposizione soprattutto quelli nuovi - e abilità nella misurazione dei risultati. La pianificazione strategica a monte delle attività è indispensabile ma non può sussistere senza prima fare un lavoro di analisi

Da sinistra Franco Brunello, Giovanna Bellifemine, Sara Cappellazzo - Team Marketing e Comunicazione Gruppo Eurosystem Sistemarca Srl

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e calcolo: bisogna intercettare le tendenze e sapere dove il prospect cercherà noi e le nostre soluzioni, per poter adeguare azioni e messaggi ai segmenti di interesse. Ad ogni target il suo, insomma”. Come si valutano i risultati di un buon lavoro di marketing? S. Cappellazzo: “Oggi, grazie alla rete e a tecnologie di condivisione e tracciamento delle informazioni, è possibile verificare la validità di singole azioni di comunicazione e correggere eventualmente in corsa scelte non corrette. L’interpretazione di questi dati all’interno di un quadro complessivo consente di riconoscere quale strategia ha funzionato e quale no. Insomma, con le tecnologia degli ultimi anni anche la comunicazione è diventata un fattore di numeri”. Il ruolo della comunicazione in un’azienda tecnica? F. Brunello: “È un campo spesso sottovalutato, soprattutto in strutture - aziende come anche istituzioni - che lavorano su prodotti tecnici o su servizi. Eppure rendere questi ultimi comunicabili e, quindi, fruibili a vari pubblici permette di ampliare le possibilità di vendita dei commerciali, che spesso non riescono a raggiungere in contemporanea più target. Il mercato industriale è costituito in fin dei conti da individui o gruppi sociali che acquistano e che non sempre sono dotati della cultura tecnica necessaria a comprendere appieno la portata dell’acquisto. Eppure bisogna raggiungere anche loro, che spesso sono titolari d’azienda, che vanno accompagnati di fronte ad un investimento importante anche psicologicamente”. Il futuro? F. Brunello: “Ovviamente fare sempre di più e meglio. Siamo vicini a un nuovo step aziendale che comporterà dei cambiamenti anche dal punto di vista comunicativo. Stiamo lavorando per rinnovare ulteriormente la nostra immagine corporate. E chissà quali saranno le novità del 2015...”.


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Un carrello della spesa con servizi per il welfare aziendale In collaborazione con il Centro di Medicina

Dal mese di ottobre Unindustria Treviso ha attivato un nuovo servizio associativo dedicato al welfare aziendale, per agevolare le aziende nell’offrire ai propri collaboratori beni e prestazioni, non soggette a imposizione fiscale e contributiva.

Non solo una specifica attività di consulenza, per individuare le soluzioni più adeguate per ogni singola impresa, in relazione agli obiettivi che questa si pone, ma, per le erogazioni aziendali più comuni di beni e servizi, delle soluzioni ‘pronte all’uso’ e a

condizioni agevolate per le associate, attraverso convenzioni con alcune società e operatori, anch’essi aderenti ad Unindustria, privilegiando in tal modo l’appartenenza associativa e la presenza nel territorio. Tra queste vi è il cosiddetto ‘carrello spesa’, acquistabile dalle aziende alle condizioni vantaggiose che Unindustria Treviso ha concordato con una società della Grande distribuzione. È già definito anche un primo pacchetto di prestazioni sanitarie (visite specialistiche, esami clinici, terapie) e di servizi alla persona (infermieristici, trasporto ammalati, assistenza agli anziani, alla disabilità, alle difficoltà motorie) erogati rispettivamente da cinque strutture sanitarie e da tre operatori specializzati. Nell’ambito di tali accordi, è stata definita anche la possibilità di ottenere una riduzione delle tariffe a favore dei dipendenti delle

Antonella Candiotto Vicepresidente di Unindustria Treviso delegata alle Relazioni Industriali

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I VANTAGGI FISCALI DEL WELFARE AZIENDALI Rispettando le condizioni di legge, le diverse forniture o prestazioni possono beneficiare dell’esenzione dall’imponibilità contributiva e fiscale. Per fare un esempio, 100 euro di retribuzione lorda in busta paga, all’azienda costano circa 140 euro ed il dipendente ne riceve circa 60 netti; altro esempio: 250 euro di retribuzione lorda costano circa 350 euro, mentre al dipendente ne rimangono circa 150 netti. La corresponsione di pari valore in beni o servizi non comporta, invece, costi aggiuntivi per l’azienda né trattenute a carico del dipendente; in altri termini: per la fornitura di un bene o servizio, nell’esempio considerato, l’azienda ‘spende’ rispettivamente 100 o 250 euro ed il dipendente ottiene un bene/servizio di 100 o 250 euro.

GLI SCREENING ONCOLOGICI, L’ESPERIENZA PILOTA NEL 2009 Permasteelisa, azienda leader nell’installazione di involucri architettonici, ha avviato nel 2009 un programma quadriennale di prevenzione oncologica che ha coinvolto oltre 700 dipendenti e collaboratori. È stato il primo programma di prevenzione ad aver riguardato aziende di cosi grandi dimensioni nella Marca. Il progetto è coordinato dal professor Maurizio Cosimelli, chirurgo oncologo dell’istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, in collaborazione con il Centro di Medicina di Treviso. “Lo screening viene eseguito secondo i protocolli europei - spiega Cosimelli - con l’obiettivo di identificare il profilo di rischio oncologico di ciascun lavoratore e le patologie precancerose, consentire di trattarle tempestivamente e fornire eventuali suggerimenti per incidere su quei fattori di rischio modificabili”.

QUANDO IL WELFARE AZIENDALE È PROMOSSO DAL CENTRO MEDICO Dal 2013, anno del 30esimo dalla fondazione, il Gruppo della sanità privata e convenzionata Centro di Medicina ha messo a disposizione delle oltre 2.500 aziende partner nella medicina del lavoro (circa 28 mila lavoratori) la convenzione “salute e prevenzione”. “La offriamo a titolo gratuito e consente ai loro dipendenti e collaboratori di sottoporsi a screening mirati, prestazioni ed esami a prezzi ridotti su tutto il territorio in cui siamo presenti. - spiega l’AD Vincenzo Papes - È un patto che sigliamo con l’azienda e che l’azienda sigla con i suoi dipendenti. Per noi è un impegno oneroso, ma con soddisfazioni enormi. Dedichiamo a questa attività infatti una segreteria organizzativa composta da 23 dipendenti qualificati, ed il riscontro in termini di partecipazione da parte delle aziende è più che buono, si aggira attorno all’80%”.

medicina e lavoro STILE LIBERO

aziende associate che si rivolgono direttamente alle strutture sanitarie e agli operatori convenzionati. Unindustria Treviso intende individuare ulteriori società/operatori con l’obiettivo di aumentare opportunità e vantaggi sia per le imprese che per i loro collaboratori. “Questa iniziativa concreta per la diffusione del welfare aziendale dichiara Antonella Candiotto, Vicepresidente di Unindustria Treviso delegata alle Relazioni Industriali - è l’esito di una importante riflessione che la nostra Associazione ha compiuto negli ultimi anni e che va a tutto vantaggio delle nostre associate e dei loro collaboratori. Con questo impegno diretto vogliamo offrire alle imprese l’opportunità di avvalersi di una riduzione del cuneo fiscale. Queste soluzioni possono derivare da contrattazione aziendale oppure da una scelta unilaterale dell’impresa. L’iniziativa realizza compiutamente l’obiettivo strategico dell’Associazione di rendere accessibili a tutte le aziende - attraverso le proprie capacità organizzative e le proprie relazioni - opportunità, che ciascuna impresa faticherebbe a realizzare singolarmente. Sarebbe necessario infatti impegnare persone e competenze specifiche per la conoscenza della normativa, la selezione dei fornitori, la capacità di contrattare, la predisposizione di documentazione, la comunicazione ai dipendenti, con evidenti costi e oneri che invece possono essere delegati al nuovo servizio associativo”. Al nuovo servizio welfare aziendale è stata dedicata un’apposita sezione nel sito web di Unindustria, che consentirà ai collaboratori delle aziende aderenti all’iniziativa di avere informazioni dirette sui servizi e le modalità per accedervi. Sarà inoltre disponibile del materiale promozionale e una ‘Card’ prestampata, che ogni azienda associata può personalizzare. “Questo nuovo servizio - dichiara Antonella Candiotto - vede Unindustria Treviso tra le prime Associazioni imprenditoriali italiane a offrire un innovativo modello di applicazione diffusa del welfare aziendale”.

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TOKYO

Città del futuro, con un occhio al passato Alla scoperta della capitale giapponese

Tokyo, capitale del Giappone, è sicuramente la città del futuro: ha quasi nove milioni di abitanti, un quarto della popolazione giapponese, eppure nel sua pancia convivono, assieme a grattacieli all’avanguardia, parchi di straordinaria bellezza che si aprono in mezzo a stretture del futuro: Shinjuku gyoen, Rikugien e soprattutto lo spettacolare Yoyogi koen, un’enorme foresta al centro dei quartieri più moderni. Per scoprire Tokyo, infatti, occorre prima esplorare il cuore di ogni quartiere: veri e propri paesi con case basse e vicoli stretti. 86


il viaggio

STILE LIBERO

Tokyo è una splendida metropoli eclettica e piena di vita, composta da 23 quartieri, ognuno con le sue peculiarità. Ed è soprattutto un’estravaganza di colori, gadgets e tendenze. Per chi ama le visite culturali, Ueno, zona situata nella parte più orientale del centro di Tokyo, rappresenta un punto di partenza ideale. È ricco di templi storici e moderni, santuari e musei. Tra gli altri, quelli da non perdere in città sono il Museo Metropolitano d’Arte di Tein, l’Edo-Tokyo Museum - che offre al pubblico reperti del periodo storico Edo - e il Museo Ghibli, interamente dedicato alle opere cinematografiche del noto regista di animazione Miyazaki Hayao. La struttura stessa del museo è peculiare, pensata per rimandare con ogni dettaglio all’immaginario dei film del regista. Tra i luoghi più affascinanti e storici da visitare, inoltre, Asakusa - che fa parte di quella zona della città chiamata dai giapponesi “shitamachi” (città bassa) - si trova nel nord est del centro di Tokyo, alla fermata finale della metropolitana nella linea Ginza. È uno dei luoghi meno caotici della capitale dove ancora si possono incontrare persone in kimono e numerosi risciò in giro per le strade. Inoltre, qui è visitabile il noto tempio Sensoji - luogo di culto per eccellenza della religione buddista in Giappone e dedicato a Bodhisattva Kannon, divinità della Misericordia - dove si può assistere a matrimoni in abiti tradizionali: dicono che porti bene, prima di entrare, spargersi di incenso preso dall’enorme braciere! Ma per chi ha più giorni da spendere e voglia di shopping Akihabara è da non perdere: piuttosto che un quartiere è un immenso supermercato dell’elettronica. Infatti, in questa zona è possibile acquistare ogni tipologia di gadget elettronico... ovviamente dopo aver avviato una trattativa. Ma a Akihabara ritrovi anche il fascino della storia della tecnologia: è possibile trovare ancora funzionanti i primi PC e i robot meccanici degli anni Ottanta. Il quartiere Shibuya è senza dubbio una delle zone più dinamiche della città: è illuminato da megaschermi, presenti su tutti i palazzi della zona, e vi si trova una grande varietà di negozi soprattutto d’abbigliamento e musica e ristoranti. Qui è possibile incontrare giovani del luogo vestiti secondo l’arte del cosplay, ovvero l’usanza giapponese di indossare e 87


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recitare il ruolo di un costume che rappresenti un personaggio riconoscibile. Il luogo dello shopping preferito dagli abitanti locali è senz’altro Shinjuku: qui puoi trovare boutique, grandi magazzini, negozi e centri commerciali sotterranei che si sviluppano tutto intorno alla stazione, già di per sé labirintica. Shinjuku è la, tra l’altro, la sede della Waseda University e della squadra di baseball dei Yakult Swallows. Girando per la città, è da non perdere il Mori Tower, l’alto grattacielo che sovrasta il distretto di Roppongi: qui ci sono numerosi night club per il leisure serale noti ai turisti occidentali. Infine, l’eterogeneità di una delle città più popolate al mondo è ravvisabile a Harajuku, quartiere delle mode più disinvolte, dalla Canguro alle Gothic Lolita. Tra i palazzi storici da visitare inizialmente, sicuramente il palazzo imperiale di Tokio: millenaria dimora della famiglia, che ospita anche i relativi servizi come l’Agenzia imperiale. Ciò che più incanta sono le architetture tipicamente orientali, che danno un senso di leggerezza, e l’enorme parco che sembra un posto fuori dal tempo. Il palazzo è situato dove sorgeva un tempo il castello di Edo, residenza degli shogun ed ha mantenuto dal suo passato alcune vestigia di fortificazioni. Il complesso è articolato in tre zone: il giardino esterno del Kokyo; il giardino Est, dove si trova il museo delle collezioni imperiali e il parco del Palazzo Imperiale. Il palazzo fu bombardato durante la seconda guerra mondiale ma ricostruito esattamente com’era nel 1968. Possiede una struttura in acciaio costruita secondo le regole dell’architettura tradizionale giapponese, con una superficie per un totale di 22.949 m2. Al pubblico, in realtà, il palazzo non è accessibile tranne i giardini dell’Est. L’interno del palazzo è aperto solo 2 giorni all’anno, il giorno del compleanno dell’Imperatore e per il Nuovo anno. Tokyo è una città da vivere a tuttotondo gustando colori, sapori e profumi dimenticando immergendosi senza pregiudizi. Tra le usanze giapponesi che non vanno perse c’è l’esperienza del Sado conosciuta nel mondo come la cerimonia del the. Infine, non sono da perdere i parchi di divertimento per bimbi e adulti: il Gundam Front Tokyo in cui si può vivere il mondo Gundam - dal Mobile al Suit GUNDAM”; il Tokyo Dome City, il Toshimaen e l’Oedo Onsen Monogatari.

PER INFORMAZIONI

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www.visitjapan.jp/en/ www.turismo-giappone.it/ www.yes-tokyo.it/


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DICEMBRE 2014

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I

IL KARATE: UNO SPORT PER LA VITA Concentrazione, tecnica e rispetto dell’avversario

Nella miriade di specialità del karate c’è una ragazza veneta che da anni domina la scena mondiale. Si tratta della diciannovenne Margherita Piroi che, sul tatami di Caorle, si è laureata per la quinta volta campionessa mondiale Juniores di Shito ryu (Iku). Una disciplina dove l’atleta in pedana gareggia contro se stessa proponendo figure e movimenti rapidissimi che vengono vagliati da cinque giudici. Prima di Caorle, Margherita aveva dominato a San Paolo del Brasile nel 2010, a Gyor (Ungheria) nel 2011, a Novi Sad (Slovenia) nel 2012 e ai mondiale Senior di Porto Rose (Slovenia) nel 2013. 90


Quando hai iniziato questo sport?

percorsi

STILE LIBERO

Ho iniziato a praticare il karate quando avevo 5 anni e a livello agonistico a 13 anni, con il passare del tempo mi sono appassionata anche grazie ai risultati che via via riuscivo ad ottenere. Ad esempio mi aiuta ad affrontare gli esami di scuola, visto che le gare che disputo sono delle continue prove d’esame. Come ti sei avvicinata e perché? Inizialmente mi sono avvicinata al karate seguendo mia sorella maggiore iscritta in una palestra. In seguito lei ha lasciato, mentre io ho continuato. Mi sono appassionata subito a questa disciplina sportiva, che richiede tantissima concentrazione, perché la ritengo utile per affrontare meglio le difficoltà della vita. Inoltre, il maestro e il gruppo con cui ho iniziato sono stati molto motivanti e questo clima positivo mi ha entusiasmato sempre, anche negli anni a seguire. Le filosofia alla base di questa disciplina?

nella palestra in cui ho iniziato valori e spirito di questa disciplina ci venivano trasmessi con grande convinzione. Crescendo sia anagraficamente che sportivamente ho unito il mio modo di essere - pensiero e valori - personalizzando la filosofia che mi lega. Anche ora sto attenta a preservare certe attitudini di pensiero - come la reazione a determinate tensioni - che ho applicato alla mia vita di tutti i giorni. Quanto sacrificio comparta per te questa disciplina? I sacrifici ci sono: basti pensare che io sono di Padova, ma mi alleno a Istrana di Treviso e da quest’anno studio all’Università di

Il karate è caratterizzato da una forte filosofia che sta alla base e

Ferrara. Inoltre, bisogna continuamente trovare le soddisfazioni che ti motivano, non essendo sport olimpico e quindi non particolarmente popolare, né particolarmente retribuito. So per esempio che se andrò avanti non potrò farlo a livello professionista facendone un mestiere. Eppure in questo modo le soddisfazioni che ricevo sono più profonde perché nascono esclusivamente da me e da quello che io provo gareggiando. Qual è il tuo allenamento tipo? Fino all’anno scorso facevo quattro allenamenti alla settimana. Inizialmente, da piccoli, era maggiormente studio della tecnica. Puro Karate. Ora con l’attività agonista entra in gioco come componente anche la preparazione atletica. Da quest’anno a Ferrara faccio la preparazione atletica da sola, conoscendo ormai gli esercizi che mi servono. A casa nel fine settimana riesco a fare due o tre allenamenti di tecnica seguita dal mio maestro. Un allenamento tipo dura dalle due ore alle due ore e mezza. Raccontaci delle medaglie vinte... Quali ricordi con più emozione? Ho già gareggiato in diversi campionati nazionali ed internazionali, vincendo 5 titoli mondiali della mia Federazione e un titolo europeo. Ricordo con emozione il mondiale in Brasile perché quando sono stata convocata inizialmente non riuscivo a crederci. Quando ho 91


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vinto il titolo è stato incredibile. Ci sono state anche gare in cui non ho vinto ma ho avuto ugualmente la soddisfazione di sapere di aver fatto una buona prestazione.

ci sarà un mondiale unificato a cui parteciperà una selezione delle migliori atlete di tutte le federazioni. Raccomanderesti questo sport ai ragazzi?

In Italia il karate non è tanto seguito dai media: ti importa? Sì, infatti si tratta di uno sport molto praticato anche in Italia, che non ha ancora ottenuto a livello mediatico la visibilità che meriterebbe. Diciamo che se venisse riconosciuto come sport olimpico sarebbe già un grosso risultato. In realtà il karate è uno sport molto praticato sia dai giovani che dagli adulti. Il numero di iscritti, non a caso, è elevato. Quindi molte persone sono vicine a questo sport e alla filosofia sottesa. L’Italia nel karate come si presenta nei campionati mondiali? Va chiarito che nel karate ci sono tante federazioni. Io mi scontro con le atlete della mia federazione. Sembra che dall’anno prossimo

IL KARATE Un’indicazione precisa di quale sia l’origine storica del karate la possiamo trarre dal suo ideogramma originario “tode” che tradotto significa “mano cinese”. Solo successivamente per motivi politici fu denominato “karate” ossia “mano vuota”. Il karate si sviluppa inizialmente nella famosa isola di Okinawa dove le arti marziali autoctone e quelle importate dalla Cina si fusero, si evolsero e dettero vita a molti stili di combattimento. Padre fondatore del karate “Moderno” è Gichin Funakoshi, nato nel 1868 a Shuri, cultore delle arti di combattimento, abile calligrafo, uomo di cultura ed insegnante in una scuola elementare. In Italia il karate incominciò ad avere una certa diffusione negli anni ’60: in quel periodo si ebbero le prime associazioni a Roma (AIKI), a Firenze (FIK) ed a Milano (AIK). Fra i promotori da segnalare il maestro giapponese Hiroshi Shirai e gli italiani Malatesti, Basile, Parisi e Falconi. Il combattimento di Karate sportivo ripropone, a mani nude, l’antico duello che i samurai effettuavano con la spada. Oggi il karate è uno sport in cui i contendenti debbono piazzare un colpo risolutivo. I colpi sono portati alle parti più vulnerabili del corpo con quelle armi naturali che sono i pugni ed i calci: ma il colpo deve essere fermato prima che colpisca il bersaglio. Le competizioni si differenziano fra Kumite (combattimento) e Kata (forme). Si tratta comunque di uno sport in cui la vittoria premia non la “superiorità oggettiva” ma la “superiorità tecnica”.

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Sicuramente questo sport è adatto non solo ai ragazzi ma soprattutto ai bambini più piccoli, soprattutto dal punto di vista psicologico. C’è grande attenzione alla disciplina, alla concentrazione e alla determinazione personale. Inoltre, anche dal punto di vista fisico è consigliabile perché sviluppa incredibilmente la coordinazione, ed è uno sport simmetrico ovvero si usano egualmente tutte le parti del corpo. Quindi, è uno sport che ha grandi valori come il rispetto dell’avversario e insegna a creare un legame con tutti basato sulla stima. In aggiunta il karate è uno sport che puoi praticare a tutte le età, direi che uno sport ‘per la vita’. Anche mia madre lo sta praticando ora. I tuoi hobby? Oltre al karate senz’altro lo scoutismo in cui riconosco molti valori simili al mio sport. Soprattutto per quanto riguarda il rispetto per l’altro. Negli anni ho portato avanti i due percorsi in maniera unita, ed entrambi mi hanno aiutata a formare il carattere. I tuoi obiettivi futuri? Dopo i Mondiali Senior 2014 in Brasile e gli Europei tenutisi a Londra, sicuramente nuove gare e nuovi titoli. La prossima stagione entreranno a far parte della mia categoria numerose ragazze che oggi militano tra le Cadette, quindi nuove avversarie con cui mettersi alla prova. Inoltre, appena alcune settimane fa ho conseguito il titolo di allenatrice della federazione. Mi piacerebbe poter insegnare il karate in futuro. Come mi piacerebbe poter insegnare matematica. In realtà mi piacerebbe anche portare il karate negli ospedali ad aiutare i bambini malati, insegnando loro a combattere la malattia usando i valori di questo sport: progetto che già è in pratica negli Stati Uniti.


sport

STILE LIBERO

ARIANNA FONTANA: UNA DONNA DA NUMERI OLIMPICI

Intervista alla campionessa mondiale di short track

Bambina prodigio dello short track con la prima medaglia olimpica a soli 15 anni. Oggi Arianna Fontana è una campionessa con tre Olimpiadi alle spalle, cinque volte Campionessa Europea, quattro argenti e tre bronzi ai Campionati Mondiali di short track. Arianna è sicuramente l’orgoglio dei ghiacci italiani. 93


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Quando hai iniziato a pattinare? Ho iniziato da piccola, ero affascinata dal pattinaggio a rotelle, lo avevo visto fare a mio fratello e ne ero rimasta incantata. Poi ho visto che un vicino di casa praticava il pattinaggio sul ghiaccio e mi sono detta: perché no? Come sei arrivata a questo sport? Come è nata la tua passione per lo short track? Sono passata dalle rotelle al ghiaccio, sono nata e cresciuta in un paese di montagna e sicuramente avevo più possibilità di trovare piste di ghiaccio che di cemento. Mi sono trovata subito bene, ho visto che più andavo forte e più mi divertivo. Perciò ho continuato e credo di aver fatto bene! Quali caratteristiche sono necessarie per diventare una campionessa in questo sport? Bisogna avere un mix di intraprendenza e di freddezza, la concentrazione è fondamentale, e credo che si possano raggiungere certi livelli solo attraverso un lavoro serio e costante. Poi anche un baricentro basso sicuramente aiuta! Lo short track in Italia: come è la situazione? Lo short track è davvero uno sport unico, per essere tra i migliori atleti al mondo devi essere forte sia fisicamente che mentalmente, devi essere paziente e tattico. Queste caratteristiche sono importanti anche per la vita, e questo è ciò che rende lo sport, non solo lo short track, importante per i bambini. Lo sport è una via per far crescere tutte le caratteristiche importanti per avere successo nella vita. Lo short track in Italia negli anni passati era più praticato e c’erano più iscrizioni da parte di bambini, e spero che dopo Sochi vedremo più bambini imparare a pattinare. Penso che ci sono più

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sport bambini interessati nel pattinaggio ma l’accessibilità a palazzetti del ghiaccio è veramente difficile in Italia. Il mio suggerimento per grandi e piccoli è di pattinare in ogni modo conosciuto. Comprate dei Rollerblade, andate all’aperto e pattinate intorno al vostro quartiere. Il pattinaggio è pattinaggio, e se lo ami, troverai la tua strada per il successo. Qual è la tua giornata tipo di allenamento? Inizio a pattinare la mattina molto presto, dopo pranzo ho una sessione di palestra e nel pomeriggio ancora allenamenti sul ghiaccio fino a sera. Quanto sacrificio ci è voluto per arrivare alle Olimpiadi di Sochi? Se vuoi arrivare alle Olimpiadi i sacrifici da fare sono molti ma assolutamente necessari. Ci sono voluti tantissimi allenamenti, giornate estremamente faticose dove praticamente ti svegliavi che era ancora buio e tornavi a casa con il buio. Non vedevi mai il sole! Però poi tutti i sacrifici sono stati ripagati con i risultati. Sport e tecnologia: quanto interagiscono nel tuo ambito? Sicuramente negli ultimi anni molto di più. La tecnologia ci aiuta a misurare con dati certi le nostre prestazioni e i nostri miglioramenti. In più i materiali che utilizziamo nelle gare con i pattini, gli occhiali o le tute possono fare la differenza adesso, oggi infatti si utilizzano materiali e design molto innovativi. Parlaci delle tue vittorie più belle? Qual è la medaglia, tra le tante che hai vinto, che ti ha regalato maggiore emozione? Metto a pari merito la prima che ho vinto alle Olimpiadi di Torino e il bronzo a Sochi nei 1500m. Sono state fantastiche perché forse un pochino inaspettate. Fuori dalla pista, quali sono i tuoi hobby? Mi piace moltissimo viaggiare, e anche darmi allo shopping sfrenato quando ne ho la possibilità. Sono orgogliosa di essere testimonial di Moncler, un brand prestigioso che rappresenta l’eccellenza italiana nel mondo, e grazie a loro mi sono appassionata alla moda e ad una realtà della quale prima non ero a conoscenza. Il tuo futuro sarà ancora sui pattini? I prossimi obiettivi... Dopo un periodo per ricaricare le batterie, ho deciso di proseguire fino alle prossime Olimpiadi in Korea nel 2018. La medaglia d’argento a Sochi è stata una grandissima emozione, che mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca per come è andata la finale. Mi piacerebbe concludere la carriera vincendo la medaglia più importante: L’oro.

Arianna nasce il 14 aprile del 1990 a Sondrio ed oggi è campionessa europea e mondiale di short track. Come tutti gli atleti il suo sogno è quello di partecipare e magari vincere una medaglia ai Giochi Olimpici, per questo si allena ogni giorno con tenacia. La sua passione, oltre al pattinaggio, è la musica. Arianna pur essendo molto giovane ha raggiunto alcuni traguardi importanti tra il 2003/2004 nella Junior A, quali il primo posto e primo relay all’Alta Valtellina Trophy, primo posto e primo relay all’Olympic Day di Dresda, primo nei 500-1000-1500 ai Campionati Italiani Junior, sedicesimo ai Mondiali Junior 2005. 95


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L’acqua di mare & l’erba voglio

La cucina a modo mio: cucina trendy, facile o un po’ elaborata, ma alla portata di tutti e di tutte le situazioni. di Luisa Giacomini cuoca per passione luisagiacomini.com

C’era una volta il sushi… ora c’è la variante “sushi dolce” Orrore! Grideranno in coro i puristi della millenaria tradizione giapponese che, onorevole e di gran pregio, è attualmente ancora molto di di tendenza. Ebbene sì, forse non hanno tutti i torti ma il sushi dolce è talmente buono e accattivante che la contaminazione europea

è avvenuta già da un bel po’ e non si riesce più a farne a meno. Tante e troppe sono le varianti delle origini, sia salate che dolci, e le dolci per alcuni sono ancora una sorpresa di accostamenti e sapori che incuriosiscono non poco... allora perché non provare?

• riso: 250 g Riso Nishimi per sushi oppure il comune originario.

Ingredienti x 35/40 pezzi:

• condimento: 50 ml di succo di limone - 25 ml acqua - 40 g di zucchero - 2 ½ g di sale - i semini asportati di ½ bacca di vaniglia: aprire la bacca di vaniglia estrarre i semi e metterli in un pentolino, aggiungere zucchero e sale, lavorare per separare bene i semi, aggiungere il limone e l’acqua mescolando il tutto, porre sul fuoco solo per intiepidire (favorisce l’amalgamamento degli ingredienti) e spegnere subito. La mezza bacca di vaniglia vuota servirà per aromatizzare il riso in cottura. • stuoino per sushi: deve essere avvolto in un solo strato di carta pellicola ben distesa. • affettatrice o mandolina (affettatrice manuale). Per gli amanti della tecnologia consiglio l’elettrodomestico cuociriso. Per chi non vuole fare fatica o ai neofiti, esiste il perfect roll sushi della Leifheit, facili e perfetti sushi eseguiti con un piccolo ed economico atrezzo di cucina. • frutta colorata di contrasto e frutta da affettare a carpaccio: ananas o papaia, melone o mango non troppo maturi ma nemmeno duri e acidi perché crudi e insapori. Preparare in anticipo di alcune ore le fettine non troppo sottili di carpaccio di frutta e porle ad asciugare in buona carta cucina assorbente o strofinacci di cotone. Tagliare il rimanente della frutta a bastoncini sottili e porli ad assorbire in carta cucina. Frutti di bosco lasciati interi. • gelatina: 4 fogli a pezzi posti in un pentolino con acqua fredda per 15 min. Eliminare quasi totalmente l’acqua e porre a bagnomaria a sciogliere. Lasciare al tiepido. • 1 pennello da cucina • crema al mascarpone: 4 cucchiai di mascarpone, un cucchiaio di confettura ai frutti di bosco setacciata un cucchiaio da the di zucchero a velo. Mescolare.

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• a piacere: per decorare sesamo nero, nocciole tritate o pistacchi tritati, anche i sushi dolci possono essere accompagnati da fettine zenzero in salamoia.

Riso Si può scegliere la quantità dell’acqua da utilizzare in rapporto al volume del riso e non in base al peso (è l’antico e sempre valido rapporto delle massaie giapponesi) o si può calcolare di versare 370 g d’acqua circa per 250 g di riso (in pratica ogni 100 g di riso circa il 20% di acqua pari a 120 g d’acqua). Lavare abbondantemente il riso, risciacquandolo più volte fino a che l’acqua risulta limpida. Quindi far riposare per almeno mezz’ora. Mettere il riso in una pentola dal fondo spesso, versare tanta acqua sino ad un dito sopra il livello del riso. Aggiungere la ½ bacca di vaniglia svuotata per aromatizzare. Portare a bollore con il coperchio ben chiuso. Abbassare al minimo la fiamma, proseguire la cottura sempre ben coperta fino al prosciugamento dell’acqua, circa 10 minuti senza mai aprire. Spegnere e a coperchio chiuso far riposare per circa altri 10 minuti. Versare il riso in una ampia terrina, togliere la bacca e far evaporare con una spatola di legno piatta, smuovere e non mescolare, immediatamente versare il condimento, continuare ad aprire il riso sia per condire uniformemente sia per un veloce raffreddamento tramite l’aiuto di un ventaglio. Coprire con uno strofinaccio umido a riso freddo, serve a mantenere l’umidità se lo si vuole usare nella giornata.


Maki sushi : ananas, fragole, kiwi e filadelphia Disporre sopra lo stuoino foderato di pellicola una pennellata di gelatina, eseguire uno strato di carpaccio di ananas sovrapposte leggermente a mo’ di squame di pesce. Inumidire le mani e disporre uno strato uniforme di riso e non spesso sul carpaccio lasciando 2 cm liberi lungo il lato opposto. Non schiacciare il riso. Partendo dal lato più vicino alla vostra persona, disporre uno strato stretto e leggero a cordoncino di Philadelphia, seguendo la larghezza del riso, accomodare sul formaggio bastoncini di kiwi, creando sempre un cordone stretto, a fianco seguire con bastoncini di fragola rinforzando il cordone di kiwi e Philadelphia. Avvolgere arrotolando lo stuoino partendo dal lato degli ingredienti, compiendo un mezzo giro alla volta, praticando una leggera pressione ma uniforme, fissare all’ultimo senza schiacciare con chicchi di riso se necessario. Sfilare delicatamente dallo stuoino e ripassare di gelatina distribuire alcuni semi di sesamo nero o di pistacchio tritato. Porre il rotolo nel frigorifero a rassodare, meglio se avvolto in carta pellicola. Tagliare i rotolini maki con un coltello bene affilato, pulito e inumidito di volta in volta, disporre in coreografia sul piatto. Si può eseguire anche con carpaccio asciutto di kiwi.

cucina

STILE LIBERO

Gunkan sushi: papaia, mascarpone e more Sgranare delicatamente con i rebbi di una forchetta alcune more, far colare al passino. Inumidire le mani con l’acqua, formare quattro piccole polpette ovali con il riso, avvolgerle a barchetta con una striscia di carpaccio di papaia e chiuderla con poca gelatina. Pennellare bene di gelatina la striscia di frutta. Lasciare uno spazio tra riso e l’altezza del carpaccio per permettere di versare sopra poca crema al mascarpone e sopra le more. Lucidare con la gelatina e far rassodare il tutto nel frigorifero nella zona più fresca.

Salsa di sciroppo d’acero e lime Versare il succo di 1 lime su ½ bicchiere di sciroppo d’acero e mescolare. Oppure:

Salsa di cioccolato rosè 100g di cioccolato fondente - 180 ml di panna fresca - 25 g di miele acacia - 2 gocce di essenza di rose. Sciogliere amalgamando dolcemente a bagnomaria. A piacere aromatizzare con pepe bianco a mulinello.

Sushi dolce Nigiri sushi: mango e mirtillo - Kiwi e ribes - Lampone Inumidire le mani, formare otto piccole polpette ovali pressate con delicatezza, disporle nel piatto, pennellare sul dorso con gelatina. Affettare quattro fettine di mango a losanga regolare e forarle al centro con un leva torsoli. Disporre le fettine sopra a quattro polpette e porre sul foro un mirtillo. Lucidare con gelatina. Affettare quattro fettine da un kiwi ovale e stretto e forarle al centro col leva torsoli, come nel primo procedimento porre sul foro un ribes e lucidare. Aprire delicatamente un lampone grande da un lato, aprire in lunghezza e mettere al suo interno poco mascarpone, adagiarlo sul nighiri. Lucidare con gelatina.

Salsa di cioccolato 100g di cioccolato fondente -180 di panna fresca - 25 g di zucchero. A bagnomaria sciogliere il cioccolato con la panna e lo zucchero. A piacere spolverare con poco peperoncino in polvere. Oppure:

Salsa di sciroppo d’acero allo zenzero e menta Marinare zenzero tritato e alcune foglie di menta in un ½ bicchiere di sciroppo d’acero, filtrare al passino. 97


DICEMBRE 2014

Le Rose di montagna Per colorare il giardino aziendale anche d’inverno CARLA SBICEGO

redazione@logyn.it

Regina tra tutte le altre piante per bellezza, storia e popolarità: la rosa può essere considerata la pianta più internazionale e conosciuta al mondo! Oggi parliamo della rosa rugosa, detta anche “di montagna”: resistente alle basse temperature invernali e particolarmente indicata per formare siepi, è perfetta per decorare il giardino aziendale. Dicembre è un mese di calma per quanto riguarda le piante e questo mi lascia il tempo di osservare per bene il giardino. Così ho pensato di proporre per lo spazio verde antistante l’ufficio una siepe di quella che ritengo sia la pianta più conosciuta al mondo, la regina: la rosa. Non voglio le rose che siamo abituati a vedere dal fiorista, fiori perfetti ma che non sono adatti allo scopo in quanto il cespuglio di rose da fiore non è fatto per essere bello in giardino ma deve produrre fiori da vaso. In campagna le rose da fiore si piantano negli orti oppure in testata ai filari di vite, come campanello d’allarme per le malattie a cui può essere soggetto il vigneto stesso. Io voglio piantare rose belle in giardino! E cioè quelle rose che formano siepi o cespugli ben strutturati, gradevoli alla vista anche quando rimangono senza fiori ma con foglie, spine e soprattutto le bacche (i cinorrodi) che in inverno sono bellissime. Ho puntato sulla rosa rugosa. Si chiama così per la particolare forma delle foglie, che sono percorse da venature profonde. Sono dette anche “rose di montagna” perché resistono a condizioni climatiche avverse, sopravvivono alle basse temperature e non hanno problemi con il vento e la neve. Formano un bell’arbusto con fogliame abbondante e fitto e sono perfette per fare siepi. In autunno i fiori lasciano il posto a bei frutti color rosso arancio, che risalteranno nel grigiore invernale o sulla neve. I fiori della rosa rugosa, seppur bellissimi, non sono apprezzati come recisi. Invece le bacche sono perfette per le composizioni 98

natalizie. A fine inverno le bacche sono mature e si possono utilizzare per fare marmellate o un apprezzato purè. Ma meglio di tutto se si lasciano sulla pianta, saranno un perfetto nutrimento per gli animali che frequentano i nostri giardini. Come scegliere la pianta di rose Una volta identificata la collocazione, si procede alla scelta delle nostre piante di rose. Non è per niente facile districarci tra i cultivar, perciò ci si può rivolgere al solito vivaista di fiducia spiegando le nostre esigenze: deve essere resistente alle malattie, rifiorente da maggio a ottobre, profumata, deve fare le bacche d’inverno che sono così belle in questo periodo, deve avere un particolare colore, ecc.. I vivai più attrezzati, oltre a farci vedere le piante, forniscono un catalogo con tutte le caratteristiche dettagliate. Occorre ricordarsi di misurare lo spazio che si ha a disposizione per la siepe e chiedere a che distanza devono stare le piante una dall’altra e qual è la possibilità di crescita. L’impianto e la cura Ordinati i rosai, ci si preoccupa dell’impianto. Le buche vanno preparate per tempo in modo che il terreno si assesti. La buca deve essere grande e poi colmata con terra fertile. In uno dei miei libri consigliano di scavare una buca di 90 cm, porre sul fondo un drenaggio di 15-20 cm formato da pietre e cocci per non far asfissiare e marcire le radici della pianta. Sopra un buono strato di letame maturo, poi coperto dal terreno che avete tolto per scavare la buca.


Laborioso? Sì, ma se si fa un buon lavoro è per sempre. Per piantare le rose si aspetta l’inizio della primavera, con il terreno asciutto e non gelato. Una volta piantate si procederà a pacciamare il terreno con letame maturo (il letame ben maturo non puzza). Questo è ottimo perché fornisce sostanze nutritive di cui hanno bisogno, ed inoltre impedirà ai semi di erbacce di germogliare vicino alla pianta. Le piante di rosa vanno concimate due volte all’anno, la prima in primavera e la seconda a metà estate per aiutarle a continuare a fiorire. Le rose hanno bisogno di essere annaffiate regolarmente alla radice e non sulle foglie (eviteremo cosi qualche malattia fungina). Hanno radici profonde, perciò piuttosto dell’irrigazione da giardino gradiscono qualche secchiata d’acqua. Proprio per questo motivo se sono ben sviluppate fioriscono anche in estati siccitose. In autunno bisogna ricordarsi di proteggere le rose con del pacciame a base di letame, foglie secche o paglia alla base della pianta. La potatura In questo periodo dell’anno ci si può limitare a togliere i rami rovinati o secchi, o i frutti/fiori ammuffiti (le mummie). Si aspetta la primavera per la potatura vera e propria, altrimenti il gelo potrebbe penetrare attraverso i tagli non cicatrizzati. Comunque la rosa rugosa non va potata come le altre, ma solo per mantenere una bella forma: si riducono di un quarto i getti principali vecchi e legnosi, si tolgono i rami secchi.

ufficioverde STILE LIBERO

Al bisogno, dopo qualche anno, si può tagliare alla base parte della vegetazione più vecchia, stimolando la produzione di nuovi getti basali robusti che fioriranno l’estate seguente. Questa tecnica, ripetuta per qualche anno, permetterà di sostituire tutti i vecchi getti. Non trattandosi di incalmi non vanno tolti i polloni. Malattie La rosa rugosa generalmente è molto resistente ad attacchi di funghi e insetti vari. In caso di troppa umidità dovrà essere trattata con poltiglia bordolese, invece per gli afidi (che non danneggiano la pianta, ma sono brutti) si userà il piretro naturale. Così non ci saranno problemi se si deciderà di fare la marmellata con le bacche di rosa. Un altro fatto interessante è che questa rosa è quasi completamente insensibile agli agenti inquinanti, così è adatta anche in prossimità di luoghi trafficati come i parcheggi aziendali. E per finire, visto che senza fiori non riesco a stare, per abbellire l’esterno del mio ufficio mi sono procurata delle piante di “rosa di natale” (ellebori). È facile da reperire in tutti i negozi, sta benissimo al gelo e non ha praticamente bisogno di cure. Le colloco in un contenitore adatto davanti all’ingresso così rende piacevole l’arrivo in ufficio. A primavera le pianto in terra, non al sole, dove cresceranno e fioriranno per anni.

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informazione pubblicitaria

Con la nuova Veeam Availability SuiteTM la continuità di business (Always-On BusinessTM) diventa realtà La nuova Availability Suite di Veeam apre la strada a una nuova categoria di soluzioni e rende possibile la disponibilità dei Data Center 24 h su 24 e 7 giorni su 7 per tutte le applicazioni e i carichi di lavoro. Veeam® Software, innovativo fornitore di soluzioni per l’alta disponibilità dei Data Center Moderni (Availability of the Modern Data Center™), annuncia la nuova Veeam Availability Suite™, (disponibile nel terzo trimestre del 2014) una soluzione che assicura che i dati e le applicazioni siano sempre accessibili in qualunque luogo e in qualunque momento. In questo modo, Veeam apre la strada a una nuova categoria di soluzioni che ha successo laddove i tradizionali sistemi di backup e data protection falliscono, consentendo di ottenere la business continuity (Always-On BusinessTM). “Il ciclo economico moderno non è più limitato ai cinque giorni alla settimana e alle otto ore al giorno”, dichiara Ratmir Timashev, CEO di Veeam. “I reparti IT delle aziende devono quindi fare in modo che si possa accedere ai dati e alle applicazioni in qualsiasi momento: è questa l’era dell’Always-On-Business. La Availability Suite di Veeam fornisce tecnologie all’avanguardia che fanno della continuità di business una realtà”. Tradizionalmente, ottenere disponibilità di dati e applicazioni senza interruzioni richiedeva un investimento significativo in sistemi completamente ridondanti con failover istantaneo, che assicuravano il ripristino in pochi secondi. Questo tipo di investimento poteva però essere giustificato solo per poche applicazioni, perciò la maggior parte di esse venivano supportate da soluzioni di backup tradizionali che offrivano recovery time and point objectives (RTPO™) di molte ore al giorno, non riuscendo quindi a soddisfare le esigenze dell’Always-On-Business. Per la prima volta, questo rilevante gap di disponibilità può essere compensato con la nuova categoria di soluzioni Availability For the Modern data Center™, che trasforma in realtà un RTPO inferiore a 15 minuti per tutti i dati e le applicazioni.

Le nuove caratteristiche della Availability Suite v8 di Veeam includono: •

NetApp Integration: il Backup di Veeam da NetApp SnapShot™consente ai reparti IT di creare backup da NetApp SnapShot™ ogni 15 minuti o meno, senza impatti sull’ambiente di produzione. Tecnologie in attesa di brevetto consentono di effettuare backup 20 volte più velocemente rispetto a quanto ottenuto da altri prodotti della concorrenza. Inoltre, Veeam Explorer™ for Storage Snapshots fornisce il ripristino gratuito di macchine virtuali, file ospiti e applicazioni item-level da NetApp SnapShot™, SnapMirror® e SnapVault®;

EMC Data Domain Boost™ Integration: riduce sensibilmente le finestre di backup consentendo la trasformazione dei file di back up 10 volte più velocemente e back up completi fino al 50% più veloci, con un utilizzo di banda ridotto fino al 99%. L’integrazione supporta inoltre la connettività Fibre Channel per consentire il LAN free backup sul Data Domain;

Veeam Explorer for Microsoft SQL: consente agli utenti di ripristinare singoli database nelle loro posizioni originali o in una nuova, compresi ripristini “point-in-time” attraverso il backup e successivo replay dei log, permettendo un ripristino puntuale dei database a uno specifico momento temporale, o anche una specifica transazione;

Miglioramenti della replica: la nuova versione aggiunge l’accelerazione WAN integrata ai processi di replica e consente agli utenti di effettuare la replica da file di backup, invece che dall’infrastruttura virtuale. Inoltre, gli IT manager possono sfruttare i piani di failover ed eseguire failover pianificati per facilitare le migrazioni dei data center senza perdita dei dati, migliorando ulteriormente gli RTPO.

Per ulteriori informazioni visitate il nostro sito:

http://www.veeam.com/it/

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fumetti

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La matita di Sue

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N. 08 - Dicembre 2014 pubblicazione bimestrale Registrazione Tribunale di Treviso n. 201 del 09/11/2012 ROC n. 22990/2012 direttore responsabile Leonardo Canal responsabile organizzativa Giovanna Bellifemine hanno collaborato Gian Nello Piccoli, Stefano Moriggi, Stefano Biral, Attilio Cuccato, Alessio Voltarel, Sara Cappellazzo Sandra Chiarato, Riccardo Girotto, Elena Gioco, Ruggero Paolo Ortica, Lucia Bressan, Andrea Manuel, Antonella Candiotto, Carla Sbicego, Luisa Giacomini, Sue Maurizio. realizzazione grafica Franco Brunello segreteria e sede operativa Via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711, fax 0422.928759 redazione@logyn.it editore Gruppo Eurosystem Sistemarca Srl, via Newton 21, 31020 Villorba (TV) redazione@logyn.it per la pubblicità e per i numeri arretrati Gruppo Eurosystem Sistemarca Srl, via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711 redazione@logyn.it stampa Trevisostampa Srl Via Edison 133, 31020 Villorba (TV) telefono 0422.440200 info@trevisostampa.it Nell’eventualità in cui immagini di proprietà di terzi siano state qui riprodotte, l’Editore ne risponde agli aventi diritto che si rendano reperibili. Porrà inoltre rimedio, su segnalazione, a eventuali involontari errori e/o omissioni nei riferimenti.


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