Libero cecchini e l'abitare collettivo

Politecnico di Milano Scuola di Architettura e Società Corso di Scienze dell’Architettura

LIBERO CECCHINI E L’ABITARE COLLETTIVO L’alloggio plurifamiliare dell’esperienza veronese

Tesi di laurea triennale di Lisa Carcereri Matricola 746821 Relatore: Pier Alberto Ferrè Anno accademico 2012-2013

LISA CARCERERI LIBERO CECCHINI E L’ABITARE COLLETTIVO

CONTENTS PREMESSA 1. INQUADRAMENTO DELL’ITALIA NEL PRIMO NOVECENTO: L’INFANZIA DI LIBERO

1.1. La Casa

1.2. La Legge Luzzatti

1.3. La Situazione Italiana Nel Dopoguerra

1.4. Il Piano Di Ricostruzione

1.5. Il Piano Fanfani E La 167

1.5.1 L’elaborazione del Piano

1.5.2 Concorsi per la progettazione 1.5.3 Conclusioni 1.5.4 P.e.e.p.

1.5.5 La storia dei P.E.E.P. in Verona

1.5.6 Il primo Piano P.E.E.P. del 1965

1.5.7 Il secondo Piano P.E.E.P. del 1984 2. L’IMPEGNO DI CECCHINI NEL SOCIALE: DEFINIZIONI

2.1. Ina Casa: Caratteri Generali

2.2. L’alloggio E L’abitare

2.2.1. Definizione di alloggio sociale

2.3. AGEC E ATER (ex IACP) 2.3.1 L’A.G.E.C. 2.3.2 L’A.T.E.R 3. LA SITUAZIONE VERONESE

3.1.1 La fondazione

3.1.2 La dominazione austriaca e l’inizio del XX secolo

3.1.3 Il ventennio fascista: sviluppo urbanistico ed espansione territoriale

3.1.4 La ricostruzione: primi piani urbanistici

3.1.5 Prima fase

3.1.6 Il piano di ricostruzione

3.1.7 Il piano regolatore generale

3.2. Inquadramento Geografico Storico Politico: Gli Anni 50, 60, 70 E 80 3.2.1. Anni Cinquanta (1952-1960) 3.2.2. Anni Sessanta (1960-1970) 3.2.3. Anni Settanta (1970-1980) 3.2.3. Anni Ottanta 4. LIBERO CECCHINI: UN PROTAGONISTA

4.1. Gli Uffici Finanziari 5. ANALISI PROGETTUALE: ALLOGGI PLURIFAMILIARI

5.1. Quartiere Porto San Pancrazio

5.2. Quartiere Golosine

5.3. Palazzina in Via Cesare Abba

5.4. Case in Via Oriani

5.5. Edificio Ad Appartamenti In Lungadige Ponte Catena

5.6. Casa-Albergo Per Anziani Di Via Volta 6. INTERVISTA AL PROTAGONISTA DEL TEMPO RINGRAZIAMENTI BIBLIOGRAFIA

“In sostanza egli resta l’architetto di Verona” cit. Barbara Bogoni

FOREWORD

La decisione di approfondire come argomento di tesi uno studio principalmente sull’architetto Cecchini e la città di Verona, nasce dal mio profondo legame con la città.

Se si parla di Verona non si può non nominare Libero Cecchini, il padre di tanti interventi che hanno segnato e fatto crescere il centro storico di una delle città (a mio parere) più belle d’Italia.

E non solo dentro le mura per la verità, ma anche in paeselli sperduti, frazioni fuori la cinta muraria aggiunte dopo, a Comune allargato, o al paese nativo di Cecchini e nei dintorni.

Questa tesi vuole portare a conoscenza una parte di Verona che è sotto gli occhi di tutti ma non è mai protagonista; vuole dare un volto a quelle realtà che soprattutto nel dopoguerra erano quotidianità: l’esperienza delle case popolari, il loro percorso da quando sono state concepite e costruite a quello che sono diventate oggi, messe a confronto con palazzine e case plurifamiliari della stessa epoca anche se comunque a loro modo diverse dalle prime.

Per questo partiremo dagli anni immediatamente successivi alla fine della II Guerra Mondiale, passando per la situazione italiana e più precisamente mettendo a fuoco l’esperienza veronese negli esempi di Libero Cecchini.

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Situazione dei lavori all’Aprile 1950 nel quartiere di Porto San Pancrazio.

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1. INQUADRAMENTO DELL’ITALIA NEL PRIMO NOVECENTO : L’INFANZIA DI LIBERO

1.1. LA CASA <<La mancanza di abitazioni nella seconda metà dell’Ottocento, non è specifica di un particolare assetto organizzativo della società e di una particolare epoca storica, ma colpisce in maniera abbastanza uniforme i ceti economici deboli di tutti i tempi>> (Friederich Engels ).1 La casa è innanzitutto la merce e come tutte le merci risponde a criteri di profitto e di rendita: nell’immediato dopoguerra si pone il problema del come rendere la casa accessibile a tutti, perché, al di là delle diverse posizioni, è opinione condivisa che la casa rappresenti uno dei pilastri fondamentali della dignità dell’uomo e della famiglia.

Come dice Giovanni Raboni2: <<la casa non è soltanto il nostro riparo materiale ma è anche luogo in cui noi ambientiamo la […] cosiddetta “azione primordiale”: la nostra casa, la casa della nostra infanzia, la casa nella quale abbiamo cominciato a vivere e a prendere coscienza di noi.>> Per questo la casa sociale deve essere necessariamente promossa da una coscienza etica e civile e deve incorporare un surplus di valore progettuale che Bruno Zevi identificava in qualcosa di impercettibile che si sente nel viverci: (cit)3 “qualcosa che trasforma quattro mura in quattro allora pensate, e pensate affettuosamente, che conferisce a queste case un valore letterario e d’arte, un valore che non si misura in soldi, nei termini di benessere e felicità umana”.

1.Friederich Engels, La questione delle abitazioni, 1887

2.Giovanni Raboni, Riflessioni sullo spazio domestico 3.Bruno Zevi, Osservazioni sulla progettazione Ina-casa, in L’InaCasa al IV Congresso nazionale di Urbanistica, Venezia, 1952

Il protagonista della mia tesi sa bene quest’ultima cosa, e cioè il fatto di sentire come dovere sociale il costruire per il benessere della gente e non per la gloria. Le persone come entità sociale e come popolo sono la cosa che più gli sta a cuore e, studiandolo in questa occasione ho percepito il suo bisogno fisico nel realizzare case che andassero a migliorare la qualità della vita delle persone. Per questo case collettive. Ma per capire al meglio il pensiero di Libero Cecchini iniziamo su una scala leggermente più larga.

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Luigi Luzzatti

4.Luigi Luzzatti (1841 - 1927) è stato un giurista ed economista italiano, che fu Presidente del Consiglio dei ministri dal 31 marzo 1910 al 29 marzo 1911. È stato il fondatore della Banca Popolare di Milano e Presidente dello stesso istituto di credito dal 1865 al 1870, oltre ad esserne stato Presidente Onorario dal 1870 al 1927.

A Milano, le realizzazioni degli ultimi 100 anni aldilà delle differenti qualità urbane architettoniche sono lì a testimoniare, anche nelle situazioni di degrado, modi diversi di organizzare lo spazio della città.

I quartieri popolari del Novecento si distinguono per le forme regolari e adorne di verde, che esaltano l’unitarietà della loro concezione al cospetto dell’edilizia privata, e testimoniano la dignità civile alla base del pensiero dei maestri dell’architettura moderna lombarda.

Le responsabilità delle disastrose condizioni abitative in realtà non derivano quasi mai dalle soluzioni architettoniche, quanto piuttosto dal basso livello di reddito che accomuna gli abitanti, dalla pessima gestione degli immobili e degli spazi aperti.

Oggi che l’edilizia popolare viene vissuta come un problema piuttosto che come un bene, le scelte localizzative nei piani urbanistici spesso obbediscono alla volontà di marginalizzare le abitazioni insieme al problema; si tratta di operare perché la casa popolare possa ritornare ad avere un ruolo: in questo modo, la casa sociale può riassumere il ruolo di caposaldo.

1.2 LA LEGGE LUZZATTI Tutto questo ci porta all’origine da cui si sviluppa e parte l’iniziativa di Luzzatti4, cioè il consolidato retroterra della tradizione del Veneto, terra di villaggi operai.

Si deve ricordare il ruolo di capitani d’impresa a cui si deve il consolidarsi progressivo di un tipo di insediamento legato alla tipologia del villaggio giardino: esso è la traduzione italiana della città giardino, con case in affitto a modico prezzo o a riscatto attraverso un sistema di trattenute sullo stipendio. È significativo osservare come nel 1903, lo stesso anno in cui verrà

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alla luce a livello nazionale la legge sull’abitazione, il consiglio municipale di Milano aveva promosso e pubblicato i risultati di un’inchiesta da cui si evinceva che il 96% delle abitazioni popolari erano alloggi soprattutto a due locali, con una densità abitativa altissima.

La legge Luzzatti nasce da iniziative di carattere municipale, locale, oppure legate ad una singola industria, quindi il suo grande merito è quello di aver portato ad una consapevolezza giuridica e gestionale il diffuso sommerso nel campo provvidenziale. Questa legge era stata, a sua volta, preceduta da una sorta di proposta di disposizioni in 12 articoli, che Luzzatti aveva presentato alla camera dei deputati il 14 maggio 1902, impresa che favoriva la costruzione e l’assegnazione di abitazioni attraverso le cooperative, le casse di risparmio e istituti simili, senza interessi di lucro.

Finalmente, il 3 maggio 1903, tutto ciò si riassume in una legge organica, che consta di 28 articoli che vanno dai prestiti e società cooperative per le case popolari, ai carattere delle case popolari, alle agevolazioni fiscali, fino a comprendere la tematica della successione e delle espropriazioni appunto delle case popolari.

I grandi interlocutori a cui il Luzzatti si rivolge sono soprattutto le Casse di Risparmio, i Monti di Pietà, le Opere Pie, che vengono abilitati da questa legge a concedere di prestiti garantiti da ipoteche sugli immobili da costruire, con interessi non superiore all’ 1,25%. In un’Italia liberale fondata sul concetto della famiglia il destinatario di queste provvidenze era il capofamiglia, che pagava il prezzo d’acquisto in rate che potevano essere annuali, semestrali, mensili, o addirittura quindicinali.

Si dice che Luzzatti rimase parzialmente insoddisfatto da questo risultato: avrebbe voluto di più, soprattutto nel campo dell’applicazione del credito.

Infatti un’altra importante iniziativa che trasse dall’esempio belga 13

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5.Luzzatti questo problema se lo pone: ecco un estratto delle sue memorie che ci permette di inquadrare lo sfondo del dibattito sociale di allora.

“Quando si parla di case popolari ho udito chiedere fuori di qui -fuori dell’aula del Parlamento- “E chi è il popolo?”. A questa domanda desidero dare una risposta molto chiara.

Popolo per noi -perciò diciamo case popolari e non operaie- sono in proletari, i quali vivono di magri salari, in quartieri luridi e in pietre nude che si devono trasformare, risanare e abbattere. Ma popolo è anche l’artigiano indipendente, che sta poco meglio di quei suoi infelici compagni. È popolo i piccoli coloni, i piccoli

fu di legare il credito all’accensione di un’assicurazione sulla vita che pagava il capofamiglia, perché se quest’ultimo avesse cessato di vivere (la cosa non era infrequente viste le condizioni di lavoro), la famiglia avrebbe perso tutto l’investimento e anche il bene della casa. Il Testo Unico del 1908 si sforzò dunque di recepire queste istanze aggiuntive, provenienti dai settori più disparati, che chiedevano modifiche e allargamenti delle agevolazioni finanziarie: si parla dunque di case popolari, o più semplicemente di case economiche5.

Per quanto riguarda la situazione europea è bene dare un quadro degli operatori del settore pubblico dell’edilizia sociale. In Europa vediamo operare quattro gruppi di enti nel settore pubblico.

1. L’organismo pubblico classico, cioè l’ente pubblico non economico, quello che non ha l’obbligo di bilancio in pareggio e dipende strettamente dell’istanza di tutela. Questo può assumere la forma dell’agenzia pubblica, o di una gestione diretta del tema della casa da parte dei comuni.

2.

L’altro tipo di organismo è l’ente pubblico economico, quindi che può svolgere anche una parte di attività commerciali per mantenere il suo bilancio in equilibrio. Ritroviamo molto diffuse le Società a capitale pubblico, e le società miste, presenti sia in Germania, che nei paesi scandinavi e in Francia.

3.

L’organismo pubblico classico invece, lo ritroviamo in Italia, Portogallo e Spagna, mentre in Francia dichiarano chiaramente di essersi ispirati ai principi della legge Luzzati per la loro costituzione.

4.

La Società capitale pubblico, invece, compare in Germania, Belgio e Svezia, che è normalmente una società comunale.

La legge Luzzatti affronta per la prima volta il problema a livello nazionale e la crescente sensibilizzazione, anche a livello locale. 6

Fondamentalmente cambia il tema dell’isolato: tuttavia le variazioni si caratterizzano sempre con la presenza di una serie di servizi comuni che in parte sono ancora connessi a una non sufficiente condizione di standard igienici dei singoli alloggi, con una previsione di un supporto collettivo con inserimento di bagni pubblici. Ma non solo, perché contemporaneamente vengono previste anche funzioni finalizzate a un ruolo sociale e assistenziale, come nidi e scuole materne, oppure centri connessi ad obiettivi culturali e associativi come biblioteche, sale di riunione, aule per i corsi dell’Università popolare.

Libero Cecchini nasce in questo clima, il 28 settembre 1919 nell’immediato primo dopoguerra da una famiglia di marmisti a Pastrengo (in provincia di Verona).

Cresce nell’ambiente e nella cultura dell’estrazione e della lavorazione della pietra a Sant’Ambrogio di Valpolicella. I genitori migrano negli Stati Uniti, più precisamente nel Vermount per lavorare durante la crisi del marmo in Italia: qui si incontrano e tornano in terra natia dove appunto nasce Libero. Le sue convinzioni politiche iniziano a nascere già qui, finchè un episodio in particolare ne segna l’orientamento: nel 1922 i fascisti bruciano la casa del padre.

Crescendo in una famiglia di scalpellini lui viene mandato alla scuola d’arte Paolo Brenzoni e successivamente frequenta il liceo artistico a Verona (in questo periodo partecipa a molte mostre d’arte con sculture che ottengono premi e segnalazioni).

Inizialmente il suo obiettivo è quello di diventare appunto scultore professionista, ma uno dei professori (l’Architetto Ettore Fagiuoli) lo indirizza verso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove si laurea nel novembre 1944, in piena guerra. L’anno successivo s’iscrive nell’albo degli architetti di Verona al numero 17. Qui incontra l’assistente del professor Annoni, Piero Gazzola, con cui inizierà un rapporto di amicizia e collaborazioni. Infatti, nell’immediato do-

proprietari rurali, i piccoli fabbricanti; è popolo l’infelice impiegato civile, l’infelice funzionario delle pubbliche amministrazioni ed è popolo l’operaio del pensiero, che fatica più volte, comincia col maestro di scuola, per passare all’insegnante mal retribuito delle scuole secondarie di primo e secondo grado e finisce, in regioni più alte, allo scrittore di giornali a tante altre miserie intellettuali che ne conosciamo.”

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Libero Cecchini nel suo paese dâ&#x20AC;&#x2122;infanzia

poguerra, questâ&#x20AC;&#x2122;ultimo viene nominato Soprintendente ai Monumenti di Verona, Mantova e Cremona, e coinvolge Cecchini in molte esperienze professionali e in progetti di alto valore storico e culturale.

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Cantiere Porto San Pancrazio: Case Marzo 1950

1.3 LA SITUAZIONE ITALIANA NEL DOPOGUERRA Esiste la convinzione che le case Popolari siano all’origine del degrado fisico e sociale delle parti della città in cui sono collegate, determinando una diffusa avversione e per certi aspetti il rifiuto alla loro presenza, che culmina nelle spinte a favore della demolizione.

Un’ulteriore tema è così diventato quello di contribuire a rimuovere le cause di natura culturale, promuovendo e orientando la discussione sull’importanza e le potenzialità della casa popolare come valore indissolubilmente legato alla dignità civile di un popolo.

Dopo gli accesi contrasti politici e sociali che avevano caratterizzato gli anni ‘60 e ‘70 e le elaborazioni che, accompagnando il passaggio delle competenze sulla casa alle regioni, avevano cercato di promuovere un salto di scala e di qualità, si era andato affermando, fino agli anni ‘80 un processo inarrestabile di dispersione nel territorio della residenza.

La diffusione della stessa nell’intero territorio regionale (conseguente all’offerta di possibilità insediative a basso costo e in ambiente naturale anche lontano dai tradizionali centri metropolitani) sta poi sempre più rivelando i suoi costi pubblici e privati, mentre episodi di cronaca nera ripropongono la questione del degrado come parte della nuova emergenza casa.

La forte riduzione dell’impegno pubblico nella costruzione di case popolari (anni ‘80 e ‘90) e l’esaurimento dei finanziamenti Gescal 7 ripropongono la questione delle abitazioni e la necessità di nuove azioni politiche per garantire l’accesso alla casa ai cittadini in difficoltà.

L’Italia dopo la legge Luzzatti, che aveva affrontato il problema

6. Raffaele Pugliese, La casa sociale: dalla legge Luzzatti alle nuove politiche per la casa in Lombardia, Edizioni Edicopoli, Milano 2005.

7. Gescal (acronimo di GEStione CAse per i Lavoratori) era un fondo destinato alla costruzione ed alla assegnazione di case ai lavoratori, nata, nel 1963 dalla trasformazione del Piano INA-Casa. Il principio di funzionamento di Gescal era quello di costruire case per i lavoratori con contributi provenienti dai lavoratori stessi, dalle imprese ed in parte da finanziamenti governativi.

Il finanziamento derivava dai pre-

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La Biblioteca Civica di Via Cappello distrutta dai bombardamenti

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lievi effettuati direttamente sulle retribuzioni di dipendenti pubblici e privati, comprensive di contingenza, pari allo 0,35%, mentre le imprese dovevano versare lo 0,70%. Nel 1973, la Gescal viene soppressa come ente, ma il contributo continuerà ad essere versato praticamente fino al 1992.

Con l’art. 128 del DPR 390/90 200 miliardi di fondi ex Gescal furono riservati al finanziamento delle strutture di recupero per combattere l’emergenza droga, offrendo la possibilità di finanziamento a tre categorie pubbliche e una privata di soggetti beneficiari. Attualmente i fondi GESCAL sono stati aboliti nominalmente, ma, in realtà, con-

configurando soluzioni d’intervento indiretto, attraverso aiuti e facilitazioni tendenti ai privati, si era trasformata in operatore diretto, finanziando e realizzando tramite comuni e istituti autonomi case popolari, interventi di edilizia residenziale pubblica.

Oltre ad offrire una casa decente ai cittadini che in precedenza vivevano in pessime condizioni, l’edilizia residenziale pubblica ha avuto il doppio ruolo: da un lato è stata veicolo di promozione della proprietà di casa e i ceti deboli; dall’altro ha permesso di realizzare un patrimonio di case di proprietà pubblica che nonostante in qualche caso sia diventato fonte di esasperazione e esaltazione del disagio, costituisce comunque un importante risorsa.

Le cicliche iniziative relative all’edilizia popolare (in particolare la stessa legge Luzzatti e il piano Fanfani) hanno poi svolto un ruolo di traino e di promozione del settore delle costruzioni nello sviluppo dell’economia nazionale; mentre sul versante disciplinare dell’architettura sono state un’importante campo di sperimentazione e di ricerca.

Va rilevata una strana divergenza tra la portata del dibattito sviluppatasi in determinati momenti e i risultati di volta in volta conseguiti. Per esempio, proprio gli anni 70, che rappresentano gli anni di maggiore conflitto sociale sul tema, coincidono con una situazione di grande impegno legislativo ma anche di minore efficacia delle politiche e delle iniziative avviate.

Emerge poi un dato storicamente fondato: le case realizzate direttamente o con i contributi dello stato sono in genere orientate verso i livelli medio-bassi piuttosto che verso livelli più bassi; solo raramente rispondono ai bisogni e incontrano le possibilità dei cittadini in più gravi difficoltà. Questo deve far riflettere rispetto alle situazioni di disagio estremo rappresentato dalla marginalità sociale, che richiede indirizzi operativi decisa-

mente orientati verso i livelli bassi e in grado di integrare le politiche abitative con le politiche socio-assistenziali e del lavoro.

Questo tema ha molto affascinato Cecchini lungo il corso della sua vita: il problema della casa è stato fin dall’inizio correttamente affrontato come questione, cioè con le connotazioni proprie di un tema di discussione complesso in grado di coinvolgere ambienti diversi, che impegnano la concezione del mondo dell’abitare e dei rapporti economici e sociali fra gli uomini.

1.4 IL PIANO DI RICOSTRUZIONE Un bilancio delle distruzioni evidenzia il danneggiamento del 60% delle strade statali, l’abbattimento di 2968 grandi ponti e 5269 ponti su strade minori, la distruzione o il danneggiamento del 90% degli impianti portuali, del 50% delle banchine e dei moli, del 40% delle aule scolastiche, del 20% dell’attrezzatura ospedaliera, del 90% delle linee ferroviarie, di più del 50% della potenzialità degli impianti elettrici; 11000 gli edifici di culto danneggiati o abbattuti 8.

A contare questa rovina già nel 1944, la sottocommissione per i lavori

tinuano ad essere prelevati sotto voci di imposta “contenitore” che accorpano parecchie voci “solitarie” del passato.

8. E. Corbino, L’economia, in “Dieci anni dopo, 19451955. Saggi sulla vita democratica italiana”, Bari, Laterza, 1955, pp.

411-415.

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La ricostruzione di Ponte Pietra (due foto) Il Ponte Pietra distrutto dai bombardamenti del 1945

Il Ponte di Castelvecchio dopo i bombardamenti del 1945

pubblici del Governo militare alleato aveva dato l’avvio alla ricostruzione dei ponti, alla rimozione delle macerie, eccetera; alla fine del 1945 avevano iniziato l’opera di ricostruzione in più di 300 comuni.

Proprio in questo periodo Verona viene bombardata pesantemente dall’attacco tedesco e, oltre ai vari danneggiamenti, sono i ponti a soffrirne di più. Solo un anno dopo la laurea, Cecchini intraprende la prima grande sfida: viene quindi chiamato da Gazzola per ricostruire sia il Ponte di Castelvecchio che il Ponte Pietra, due dei più importanti ponti veronesi.

Si da subito da fare; oltre alla redazione di piani di ricostruzione per diversi comuni di Verona inizia appunto a lavorare con Gazzola alla Soprintendenza, dove rimarrà fino al 1966.

Per quanto riguarda la vicenda del ponte di Castelvecchio, esso viene ricostruito praticamente subito dopo il suo bombardamento, avvenuto nell’aprile del 1945: per esigenze funzionali, ma soprattutto morali, si decide di operare un ‘rammendo’ piuttosto che una nuova costruzione, vista la dominanza della parte conservata rispetto a quella distrutta. Questa posizione fu ben accolta dall’opinione pubblica cittadina, che vedeva riflessa nel ponte la propria storia. Cecchini quindi, agli inizi della sua carriera professionale, intraprende quasi un percorso ingegneristico, e sfruttando molto bene le sue conoscenze dei materiali e soprattutto della pietra, lo mette in campo a disposizione del popolo veronese.

Stessa sorte per il ponte Pietra: anche qui si decide per una ricostruzione e non per un ponte ex-novo, soffermandosi sull’importanza e sulla forza dell’immagine che questo ponte ci regala tutt’ora.

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Per quanto riguarda i vani d’abitazione, dei 45 milioni esistenti nel 1940 risultano distrutti o gravemente danneggiati poco meno di 3 milioni, con una percentuale di circa il 6%. Ad una prima valutazione del fabbisogno abitativo denunciato dal Ministero dei Lavori Pubblici, risultò un deficit complessivo di 11,1 milioni di stanze derivante dal sovraffollamento, dalle non buone condizioni di abitabilità di una parte di esse, dall’incremento della popolazione e dalle distruzioni provocate dalla guerra, oltre che dal blocco quasi totale dell’attività edilizia tra il 1941 e il 1945.

Con una tempestività dettata dall’estensione delle devastazioni che avevano colpito, oltre che strade e ferrovie, città e centri abitati in generale e dalla volontà di un ritorno in tempi rapidi ad una situazione che avesse almeno la parvenza della normalità, viene emanato, il 1° marzo 1945, il decreto luogotenenziale sui Piani di Ricostruzione.

Sebbene le scadenze previste nell’attuazione dei piani ne facessero uno strumento legislativo provvisorio, il piano di ricostruzione nacque come provvedimento d’urgenza con l’intento di contemperare nei paesi danneggiati dalla guerra le esigenze ine-

Il Ponte Pietra distrutto dai bombardamenti del 1945 Una fase di ricostruzione del Ponte di Castelvecchio

renti ai più urgenti lavori con le necessità di non compromettere lo sviluppo degli abitanti: inoltre, non solo ha avuto un peso determinante nell’assetto delle città storiche, ma la durata della sua applicabilità si è protratta praticamente fino ai giorni nostri conferendogli un valore che va oltre le ragioni per cui era sorto.

In ogni caso, il ritardo nell’adozione dei piani regolatori generali, il rinvio in caso di loro approvazione ai piani particolareggiati, hanno consentito che il piano di ricostruzione, sempre soggetto a proroghe e numerose varianti, avesse un lungo periodo di attuazione.

Già un anno dopo l’entrata in guerra dell’Italia viene emanata la Legge n. 938 –Interventi di pronto soccorso per la riparazione di opere pubbliche danneggiate in conseguenza di azioni belliche– a cui fanno seguito la legge n. 1543 –Risarcimento dei danni di guerra– e il 16 dicembre il decreto n. 1957.

Inizia cosi l’iter della ricostruzione: per i proprietari di immobili, due erano le vie da seguire secondo le facoltà concesse dalla Legge: o la richiesta di indennità o la riparazione del danno per mezzo del Ge-

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nio Civile, strada evidentemente più semplice. Quest’ultimo quindi, subito dopo i primi bombardamenti aerei, si organizza per provvedere direttamente all’esecuzione di molti lavori pubblici e privati.

Per quanto riguarda invece il drammatico problema dei senza tetto, vengono emanati due decreti (i Decreti Legge Luogotenenziali 17 novembre 1944 n. 366 e 18 gennaio 1945 n. 4) confluiti poi nel “Testo unico delle disposizioni per il ricovero dei senzatetto in seguito ad eventi bellici” del 9 giugno 1945: provvedimenti legislativi essenzialmente economici e organizzativi che cercavano di risolvere nel breve tempo possibile l’impellente necessità di fornire alloggio a chi ne era rimasto privo: alloggi purchè siano, quello che interessa è il numero dei vani recuperabili senza preoccupazioni “formali”. Se infatti si tende a favorire le riparazione dei fabbricati provati, dove queste non bastino si potrà provvedere sia alla ricostruzione di edifici danneggiati sia a nuove costruzioni: tali lavori sono considerati a tutti gli effetti urgenti e indifferibili e solo quelli non indispensabili al rifugio dei senza tetto “saranno soggetti a disposizioni generali da emanarsi per i danni di guerra”. Il fine sociale di queste norme rende prioritari tali interventi, indipendentemente da eventuali intralci dettati dai piani di ricostruzione che forse avrebbero dovuto escludere un ridisegno dell’aggregato urbano.

Per rendere più rapida ed efficiente l’azione statale nell’esecuzione di lavori pubblici e nell’attuazione dei provvedimenti diretti alla riparazione dei danni di guerra viene operato un decentramento amministrativo attraverso l’istituzione dei Provveditorati Regionali alle Opere Pubbliche a cui è demandata la gestione tecnica, amministrativa ed economica dei lavori e dei servizi attribuiti alla competenza del ministero dei lavori pubblici di cui assume la rappresentanza giuridica di fronte a terzi. Si tratta di un organo che avrà un peso determinante sull’approvazione preliminare dei piani di ricostruzio24

ne, sia pure entro un tetto finanziario ben definito. Viene così istituito il comitato tecnico amministrativo (C.T.A.) i cui compiti e anche la cui composizione sarà ulteriormente precisata nel successivo decreto. Al provveditorato spetta stabilire il programma di massima dei lavori da iniziare nel successivo esercizio finanziario, presentarlo entro ogni settembre al Ministero e, nei limiti della sua approvazione dell’assegnazione dei fondi, procedere all’esecuzione dei lavori.

Le norme per i piani di ricostruzione degli abitanti danneggiati venivano promulgate con D.L.L n. 154 in 15 articoli essenziali e stringati con chiare finalità, quelle di contemperare, come si è detto, le esigenze inerenti ai più urgenti lavori edilizi senza intralciare la popolazione. Il piano di ricostruzione dovrà essere quindi compilato da quei comuni compresi in appositi elenchi da approvarsi al Ministro del LL.PP. e presentato entro tre mesi dalla notificazione: in caso di inadempienza o difficoltà, sarà il Ministero a provvedervi. Il piano, depositato nella segreteria comunale per 15 giorni per consentirne visioni e osservazioni, è trasmesso al Provveditorato, che, sentito il C.T.A., rimette gli atti, con i propri pareri sul piano, al Ministero dei lavori pubblici che ne decreta l’approvazione.

Il piano di ricostruzione ha efficacia di piano particolareggiato e deve essere coordinato al PRG già approvato, ove questo esista: la sua durata è prevista in due anni, termine oltre il quale verrà deciso se debba procedersi alla redazione di un piano regolatore, o alla revisione di quello in vigore o ancora alla conferma del piano di ricostruzione, che comunque non potrà eccedere il termine massimo di dieci anni.

Alla fine del 1954 il numero dei piani di ricostruzione decretati e quasi tutti operanti ascende a 427 in tutta Italia; sono ormai considerati un fatto compiuto, e “racchiudono la storia dolorosa della guerra con le successive linee Gustavo, Gotica…e raccontano le buone25

9. “Urbanistica” n. 15-16, 1955, p.

25, relazione di L. Piccinato.

fatte e anche le malefatte della nostra ricostruzione” insieme ai 45 piani regolatori redatti con leggi speciali prima della legge urbanistica del 1942 e ai 23 approvati successivamente, un numero assolutamente esiguo che spiegherebbe il caotico sviluppo delle città. 9

Un piano di ricostruzione invece degno di nota, è quello redatto dal nostro protagonista a Volargne, una frazione del comune di Dolcè, sempre in provincia di Verona.

A seguito delle distruzioni belliche che hanno colpito diverse zone di Verona, nel 1945 Cecchini viene chiamato da Gazzola per la direzione artistica della ricostruzione del ponte di Castelvecchio e successivamente, come direttore dei lavori per il ponte Pietra, essendo nota l’approfondita conoscenza del settore lapideo e le capacità tecniche del giovane architetto.

In concomitanza con i lavori di ricostruzione del ponte di Castelvecchio, libero si trova ad occuparsi del piano di ricostruzione di un piccolo paese in Valpolicella.

Il Comune di Dolcè viene infatti incluso nel 5° elenco del Ministero dei lavori pubblici, con D.M. 5 febbraio 1946, a seguito della distruzione della frazione di Volargne, causata dell’esplosione di un convoglio ferroviario tedesco carico di munizioni il 21 novembre 1944, lasciato sulla stretta chiusa dell’Adige apposta per impedire il passaggio verso nord dai nemici e bombardata dall’aviazione angloamericana. Il 26

Pagina precedente: pianta dello stato di fatto antecedente alle distruzioni belliche Il Piano di ricostruzione di Volargne

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Progetto delle casette bifamiliari

paese viene coperto dalle macerie, le distruzioni ammontano al 96%.

Per la redazione del piano Cecchini improvvisa uno “studio tecnico”, formato da numerosi collaboratori, all’interno di una scuola di Sant’Ambrogio: impostazione del piano si può nell’obiettivo di considerare l’intera valle, per la quale si prevede di effettuare la mappatura dei danni.

Il piano di ricostruzione di Volargne intende operare secondo una priorità degli interventi, partendo dalla ricostruzione dei tetti, per consentire il ricovero degli abitanti, oltre a considerare il fatto di dare occupazione e di farsi che nella ricostruzione si utilizzino materiali e tecniche locali, usando le maestranze del luogo.

Le previsioni del piano sono molto semplici ed efficaci: la creazione di una strada statale che consenta di deviare il traffico che prima attraversava il centro abitato, una nuova piazza a forma triangolare laterale alla strada, la realizzazione di case popolari, oltre che di casette a schiera e isolate, singole o bifamiliari, oltre alla progettazione di un giardino pubblico, una scuola, e alla ricostruzione degli edifici che affacciano sulla via interna, dalla chiesa parrocchiale alla Villa del Bene.

Le realizzazioni che alla fine vengono fatte, tutte opere finanziate dal ministero, sono le case popolari, la scuola elementare e la ricostruzione della chiesa e la Villa del Bene.

Per la fase attuativa si attivarono la fornace Redaelli di Ceraino per la calce e la Tosadori di Volargne per i coppi, e Cecchini fornì una costante assistenza tecnica 10.

Nell’impostazione del piano è possibile rintracciare le linee di ricerca che l’architetto porterà avanti negli anni successivi e che tuttora costituiscono i criteri di base della la sua opera: l’attenzione al contesto su cui ci si trova a intervenire, dove leggere la continuità delle strutture, dei colori e dei materiali e da cui trarre sugge28

rimenti per la progettazione, unita alla sensibilità necessaria che si deve avere quando si modella uno spazio su una preesistenza.

Questo paese accoglie la sua ricerca e il risultato di considerare l’intorno, tanta i progetti relativi nuovi edifici sulla via principale prevedono la ripresa di grandi portali tipici dell’edilizia della zona.

Altro atteggiamento è quello che guida la costruzione di casette bifamiliari dove egli è libero di sperimentare una tipologia edilizia che non si discosta dalle tipiche costruzioni locali, anche se non Stato si prende maggiore libertà. Per quanto riguarda la chiesa cecchini segue il principio del “com’era dov’era”, cercando di ricostruire il più possibile l’edificio originale.

La ricostruzione degli edifici disposti lungo la via principale del paese prevede la ripresa dei volumi con il riutilizzo dei materiali: l’orientamento è la ricostruzione di quello che si è perso, un po’ per motivazioni economiche, un po’ tempistiche e pratiche oltre che motivazioni di natura psicologica, per riconsegnare agli abitanti le proprie case.

Atteggiamenti differenti, applicati di interventi che vanno dalla ricostruzione di quanto è andato distrutto, all’integrazione di nuovi edifici, nove abitazioni, nuovi servizi, alla creazione di piazze punti di ritrovo sia come soluzione pratica per problemi legati alla circolazione veicolare sia come motivazione sociale e psicologica, con un Occhiobello speciale che guarda gli abitanti.

Tutto questo controllata dalla terza dimensione e dallo sguardo attento di Cecchini: egli ha sempre lavorato considerando lo spazio; la pianificazione non può limitarsi a dare indicazioni partendo dal lato planimetrico (com’è avvenuto nella maggior parte dei piani di ricostruzione), ma deve necessariamente prevedere un controllo volumetrico e formale degli alzati.

La situazione, comunque, è vissuta dalla stampa in maniera molto presente, sia localmente sia nazionalmente, visto che si dà 29

10. Si rimanda all’intervista del capitolo 6.

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11. Amintore Fanfani (1908 –1999) è stato un politico, economista e storico italiano. E’ stato il 3º, 7º, 10º, 23º e 25º Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana e il più anziano premier della Repubblica Italiana, avendo ricoperto questa carica fino all’età di 79 anni e 6 mesi.

Uno dei più celebri politici italiani del secondo dopoguerra, fu una figura storica del partito della

ampio spazio all’argomento. Anche l’INU (l’istituto nazionale di urbanistica) sollecita con una serie di contributi la sua rivista, e si fa promotore di diverse iniziative per creare almeno le premesse per una felice realizzazione del piano di ricostruzione.

Così, il popolo italiano conosceva il suo destino: su questa base vennero impostate le basi per studiare e definire il piano Fanfani, il piano attuato principalmente per risolvere la crisi del lavoro, ma anche famoso per la costruzione di alloggi per le famiglie meno abbienti, come spiegheremo nel prossimo paragrafo.

1.5 IL PIANO FANFANI E LA 167 Negli Stati Uniti il rapporto Hoffman critica duramente l’intenzione, da parte dello stato italiano, di utilizzare parte dei fondi del Piano Marshall, per sostenere il cosiddetto “Piano Fanfani ” 11, tradotto poi nel Piano Ina-Casa. Il progetto prevede di offrire alloggi e occupazione, mentre gli americani preferirebbero che si aumentasse il potere d’acquisto della classe media verso i prodotti statunitensi. Fanfani è però deciso, come testimoniano i suoi collaboratori, “dalla visione del disagio di tante migliaia di disoccupati, colpiti non solo nel fisico per la mancanza del pane quotidiano, ma anche nello spirito”.

Un quartiere INA Casa

L’iniziativa, criticata dall’America, dopo 14 anni ha dato lavoro a oltre 600.000 lavoratori per la costruzione di ben 350.000 alloggi. 12 Il piano Fanfani non ha solo prodotto lavoro per un numero considerevole di maestranze impiegate nell’edilizia e nel suo vasto indotto, ma ha reso possibile la costruzione di un rilevantissimo numero di alloggi, favorendo la ricerca e la sperimentazione sul tema della casa. Ha inoltre costruito l’occasione per affermare professionalmente un’intera generazione di giovani architetti ed ingegneri, contribuendo a scrivere una importante pagina della storia recente della nostra società.

Quando Amintore Fanfani, ministro del lavoro della previdenza sociale, illustrò il disegno di legge (quel che si chiama il Piano Fanfani Ina Casa, recante il titolo provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia) forse non immaginava l’acceso dibattito che essa avrebbe suscitato in Parlamento e nell’opinione pubblica. Nonostante l’atteggiamento fermo di De Gasperi nel sostenere la concretezza del progetto e l’esigenza che esso fosse approvato senza ritardi e complicazioni, ci furono scontri, critiche e sospetti, non solo all’interno dello stesso partito di maggioranza, la DC, ma anche in quel liberismo rigido che vedeva nel progetto il rischio che si aprissero le porte allo statalismo.

Infatti, l’ombra durante gli anni del fascismo, veniva revocata con linguaggio talvolta pesante ed eccessivo: varie obiezioni si fecero su questo piano, e non mancarono le critiche. Ne riportiamo qui qualcuna: • Attilio Piccioni, allora segretario della Dc, antifascista, prova a difendere il piano: “esso in sostanza non era e non avrebbe potuto essere il cavallo di Troia di uno statalismo in agguato, perché lo spirito che lo animava era di immediata praticità e di larga solidarietà.” Quello di Piccioni era un invito a lasciar libero il cammino del piano Fanfani, a non assegnargli principi e finalità adesso estranei.

Democrazia Cristiana; si distinse anche come storico dell’economia.

Dopo la laurea in economia e commercio nel 1930, ottenne nel 1936 la cattedra di Storia delle Dottrine Economiche. Si dimostrò un convinto sostenitore del corporativismo, nel quale riconobbe uno strumento provvidenziale per salvare la società italiana dalla deriva liberale o da quella socialista ed indirizzarla verso la realizzazione di quegli ideali di giustizia sociale suggeriti dalla dottrina sociale della chiesa. Negli anni trascorsi a Milano conobbe Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira e, dalla fine degli anni trenta, prese a partecipare assiduamente alle loro riunioni, di-

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scutendo di cattolicesimo e società.

Con l’entrata in guerra dell’Italia, il gruppo spostò la sua attenzione al ruolo che sarebbe dovuto toccare al mondo cattolico all’indomani di quella caduta del Fascismo che era ormai ritenuta imminente. Con l’8 settembre del 1943, tuttavia, il gruppo si sciolse e, fino alla Liberazione, Fanfani si rifugiò in Svizzera, dove organizzò corsi universitari per i rifugiati italiani. Rientrato in Italia, venne invitato a Roma proprio dall’amico Giuseppe Dossetti, appena eletto alla vicesegreteria democristiana, che gli affidò la direzione dell’ufficio propaganda del partito. Ebbe in questo modo inizio la sua carriera politica, e nel

• Accusarono Fanfani di aver ideato e gestito l’Ina Casa come momento e strumento nella costruzione di un suo personale potere. “L’Ina Casa”, per riprendere un’espressione contenuta in un articolo di Franco Rodano su Rinascita dell’agosto 1948, “come incredibile parto della fantasia del prof Fanfani.”

• Accostamento non solo cronologico tra piano casa di Fanfani e piano del lavoro della Cgil • L’inizio di un furore costruttivo senza precedenti e solo oggi considerato distruttivo, cui partecipa anche lo Stato con il piano casa Fanfani del 1949 – la ricostruzione vista come un’occupazione per migliaia di disoccupati.

• Giampiero Carocci in un brevissimo passaggio della sua Storia d’Italia dall’unità a oggi: “il Piano INA Casa è presentato unicamente come strumento di acquisizione di consenso da parte della DC, in un modo burocratico-clientelare, di cui Fanfani è diventato il massimo rappresentante e ha fortemente inquinato la sinistra.”

• Enzo Santarelli, autore di una sintetica Storia critica della Repubblica, pensa che “il piano settennale in casa messo a punto da Fanfani, concepito inizialmente in termini di assistenza ai disoccupati e di prelievo sui salari, è collocato nel più vasto contesto della ricostruzione edilizia, dell’espansione residenziale e della politica per la casa perseguita dalla Dc.” • Di segno ideologico diverso ma di uguale approccio alla politica, l’interpretazione fornita da Ennio Di Nolfo: “si trattava di un programma di lavori pubblici, concepito per affrontare il problema della ricostruzione del patrimonio abitativo distrutto dalla guerra e, al tempo stesso, per alleviare la morsa della disoccupazione. Il piano fu accolto da una ventata di critiche confindustriali, che mettevano in rilievo come di fatto i beneficiari dei piani avrebbero partecipato al finanziamento degli alloggi solo nella misura del 2% dei costi. Ma queste critiche, che pure avevano un fondamento eco-

Una targhetta INA Casa nel quartiere di Porto San Pancrazio

nomico importante, al momento ebbero scarsa eco. Il piano INA casa ebbe il merito di dare un forte impulso all’edilizia popolare e, anche, il merito di concepire il problema non sulla base di criteri assistenziali, ma di criteri ispirati alla ricerca di una buona qualità urbanistica e di una discreta, per allora, qualità degli alloggi.”

Ma andiamo con ordine.

1.5.1 L’elaborazione del Piano Durante la riunione del Consiglio dei Ministri del 23 giugno 1948 il Ministro del lavoro Fanfani informava il governo sullo stato della disoccupazione in Italia, prospettando alcune soluzioni per ottenere il riassorbimento dei disoccupati in attività produttive, in cantieri di rimboschimento e in corsi di riqualificazione.

Nella seduta del 12 luglio 1948 alla camera, Fanfani presenta i provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori, un programma settennale in cui si vigano interventi atti a una politica di piena occupazione, ad alleviare la crisi degli alloggi, e contemporaneamente a rivitalizzare l’intero sistema economico nazionale. Dato che solo una piccola parte dei lavoratori beneficerà degli alloggi così realizzati, si prevede allo scadere del settennio un piano venticinquennale di restituzione di buoni casa ai non assegnatari.

Il 28 febbraio 1949 la legge n 43, meglio conosciuta come Piano Fanfani, viene promulgata dal Consiglio dei Ministri del governo di De Gasperi con dichiarato intento di incrementare l’occupazione operaia mediante una politica di agevolazione statale alla costruzione di case per lavoratori.

mezzo secolo successivo si troverà sempre, anche se a fasi alterne, al centro della scena politica nazionale.

Eletto all’Assemblea Costituente, fece parte della Commissione (Commissione dei 75) che redasse il testo della nuova Costituzione repubblicana: sua è la formulazione del primo articolo della Carta costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Quando Dossetti abbandonò la vita pubblica, si trovò catapultato sul proscenio come principale esponente della sua corrente di sinistra nel partito. Fu ministro del Lavoro nel quarto (1947-1948) e quinto (19481950) governo De Gasperi, dell’Agricoltura nel setti-

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mo governo De Gasperi (19511953), degli Interni nell’ottavo governo De Gasperi (1953-1953). Fu il promotore (nel 1949) del cosiddetto “piano Fanfani”. Dal 1968 al 1973 fu Presidente del Senato, ed ebbe il 10 marzo del 1972 la nomina di senatore a vita. Il 20 novembre 1999 si spense nella sua abitazione romana vicino a Palazzo Madama. E’ sepolto a Roma nel Cimitero Flaminio. La sua azione politica è stata importante in quanto egli viene considerato uno degli artefici della svolta politica del centro-sinistra. Fino ad oggi Fanfani è l’unico Italiano ad avere presieduto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il Piano prevede la costruzione di oltre 300.000 abitazioni popolari.

Grazie alla tenacia e all’operosità di Fanfani, in pochissimo tempo furono realizzati nelle principali città numerosi nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica, spesso progettati da urbanisti e architetti di fama (ad esempio, il comprensorio del Tuscolano a Roma, a cui lavorarono, tra gli altri, Mario De Renzi, Adalberto Libera, Saverio Muratori).

Il piano si conclude con tre importanti modifiche rispetto al progetto originario: la quota del 50% di alloggi in affitto, il criterio di assegnazione non più a sorteggio ma in base a graduatorie di merito, il piano di finanziamento e le relative quote di contributi.

La macchina del piano fanfani inizia subito marciare a pieno regime.

Dopo l’approvazione si costituiscono subito i due enti, deliberante e operativo, si emanano i regolamenti, si articolano i rapporti con le stazioni appaltanti e con i professionisti preposti alla redazione dei progetti. Il primo cartella segnalante l’apertura di un quartiere Ina casa è alzato a Colleferro, in provincia di Roma, già nel luglio 1949, con un investimento di 36 milioni per 18 alloggi.

Da un lato la Gestione Ina Casa come organo di coordinamento, garanzia, controllo, stimolo e divulgazione. Dall’altra la rete della libera professione, capace di fare da tramite fra bisogni reali della società e organi istituzionali. In definitiva comunque, il ricorso ai liberi professionisti a portata nei progetti elementi che sono essenziali nel nostro spirito latino, ossia l’impronta personale del progettista in ogni fabbricato e il carattere ambientale.

1.5.2 . Concorsi per la progettazione Il primo dei concorsi per la progettazione dei quartieri INA Casa viene bandito nell’ottobre del ‘49. I tempi previsti per la consegna

Qui e nella pagina precedente: due immagini dell’edificio in Circonvallazione Oriani

degli elaborati sono molto rapidi: a fine gennaio è già pronto l’elenco dei professionisti idonei alla progettazione delle case Fanfani. A questa competizione, la più frequentata nella storia dei concorsi in Italia, partecipano 203 architetti e 137 ingegneri. La commissione sceglie alla fine 191 concorrenti: tra gli architetti, i laureati prima del 1941 sono solo il 27%; il resto dei progettisti Ina casa è formata quindi da giovani laureatisi dopo, tra cui ritroviamo Albini, Bottoni, De Carlo, Figini e Pollini, Gardella, Peressuti e Quaroni.

Alla fine del settennio, attraverso altri concorsi, il numero degli architetti impegnati nel piano è salito a 665. La legge sull’occupazione operaia si è rivelata in realtà un dispositivo molto efficace per dare lavoro anche gli architetti.

12. Articolo pubblicato su www. raistoria.rai.it

Le prime realizzazioni in ambito popolare di Cecchini le ritroviamo proprio in questo periodo, in corrispondenza con la legge Fanfani alla fine degli anni ’40. Le case popolari a Ponton (una frazione della Valpolicella) sono richieste espressamente dal bisogno pubblico: la loro progettazione avviene in contemporanea con la redazione del piano di ricostruzione di Volargne.

In più, si tratta di due realtà vicine, sia geograficamente che come situazione drammatica. Le stesse vicende si ripetono poi nel quartiere di Porto San Pancrazio, dove i danneggiamenti sono ingenti e molto pesanti e la progettazione di un quartiere popolare si fa strada tra le macerie (per quest’ultimo si rimanda alla relativa scheda di progetto).

Per quanto riguarda Ponton, si tratta di un quartiere INA Casa, il cui progetto e la direzione lavori vengono appunto affidati a Libero Cecchini. Il 1952 segna l’anno di consegna al popolo che, d’altro canto, non approva: a parte un bisogno di prima necessità, le case non piacciono e trovano lo scontro e il giudizio negativo del pubblico. Cecchini accetta le critiche, ma non cambia niente: “Bisogna 35

13. cit. Libero Cecchini

insegnare alle masse a migliorarsi sempre, ad andare avanti, non si può rimanere fermi inchiodati nella propria epoca, bisogna crescere”.13

Allo scopo di agevolare il compito delle stazioni appaltanti e dare un più preciso orientamento ai progettisti vengono pubblicati due fascicoli normativi, in cui si tratteggia una strategia fondata su raccomandazioni e suggerimenti, e in cui si palesa l’uso dei materiali di lavoro piuttosto che altri e linee guida per la progettazione generale.

Nel primo fascicolo del 1949 la regola tecnica tesa a guidare la progettazione degli alloggi viene espressa attraverso abachi, ovvero con una casistica di schemi planimetrici decontestualizzati volti a mostrare possibili soluzioni distributive. Nel secondo fascicolo dello stesso anno si regolano le composizioni urbanistiche e la strategia normativa per il quartiere sì avvale di esempi e regole prestazionali. Vengono scelte una serie di immagini, differenti per la scala e per il tipo di rappresentazione, riferite a progetti contemporanei e non, italiani e stranieri, non necessariamente positivi, perché talvolta è proprio utile il cattivo esempio per far risaltare l’obiettivo negato (per la specifica descrizione dei caratteri architettonici generali dei quartieri INA si rimanda al cap. 2.1).

Il modello costruttivo è apparentemente semplice e ordinario, ma in realtà derivante dalla lunga diatriba sull’autarchia, attraverso la quale si è giunti, infine, a una perfetta ibridazione tra il tradizionale impianto murario e le parti in cemento armato. Questo tipo di costruzione resta alla base della costruzione Ina Casa. Non c’è dubbio che dal punto di vista della produttività la vicenda comporti un arresto del progresso tecnico e accentri in ritardo tecnologico dell’edilizia italiana sia rispetto agli altri settori produttivi, sia rispetto 36

agli altri paesi.

La parte sperimentale si svolge nell’ambito ben circoscritto della fase esecutiva del progetto e si incentra più precisamente nella studio di particolari costruttivi. È lo stesso comitato di attrazione dell’ente che emana precise e dettagliate raccomandazioni che definiscono il progetto in tutti particolari esecutivi.

1.5.3 Conclusioni Il piano operò in Italia tra il 1949 e il 1963 e fu un imponente programma di edilizia popolare voluto per incentivare l’occupazione nel settore delle costruzioni e provvedere alla crisi abitativa del secondo dopoguerra. Nei 14 anni di attività a livello nazionale numerosi furono gli interventi anche sul territorio veronese, in una fase di definizione del primo PRG della città e di parallela intensa crescita urbana.

I quartieri INA Casa si proponevano come nuclei autosufficienti del centro, dotati di verde e di tutti i servizi necessari al benessere e alla vita delle comunità (scuole, campi da gioco, ambulatori, centri di aggregazione): il tutto veniva affidato a un’edilizia affettiva, quasi psicologica, pensata apposta per l’individuo.

Questo tipo di edilizia era pensato per far sentire chiunque a casa propria e puntava molto sulla riconoscibilità tipologica, sull’articolazione degli spazi comuni, sull’uso di materiali locali.

Il modello del “villaggio in città” è voluto dalla classe politica dell’epoca in quanto scenario ideale di una società temperata, solidale, regolata da un tranquillo stile di vita familiare. Tradizionali sono anche le tecniche costruttive adottate, secondo metodi artigianali di cantiere che dovevano garantire un alto tasso di manodopera impiegata, ma che saranno poi anche all’origine di un precoce pro37

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14. A Fiorentino Sullo, ministro dei Lavori pubblici dal 1962, si deve l ’ a p p rova z i o n e della suddetta legge, preceduta da una proposta che risolveva alla radice il problema della rendita fondiaria urbana.

Il disegno di legge Sullo è pronto nel giugno 1962.

La riforma è impostata su basi completamente nuove e originali. Per quanto riguarda i rapporti tra programmazione economica e pianificazione urbanistica, il progetto stabilisce che l’indirizzo e il coordinamento della pianificazione urbanistica debbono attuarsi nel quadro della programmazione economica nazionale e in riferimento agli obiettivi fissati da questa. In attesa

cesso di degrado dei materiali.

Sul versante della progettazione si importavano nella sfera locale elementi di respiro nazionale, coinvolgendo una vastissima schiera di tecnici, tra architetti e ingegneri, di varia estrazione geografica.

In questo senso l’INA Casa ha fornito il ritratto di un’intera generazione professionale messa all’opera dal bisogno comune di dare una dimora a chi non poteva permettersela.

Dal punto di vista legislativo, le premesse per il graduale superamento di una situazione per troppo tempo paralizzante verranno poste dalle Legge 167 del 18 aprile 1962, che consentirà ad ogni comune (e anzi imporrà ai comuni capoluoghi di provincia, o superiori a 50000 abitanti) di formare, mediante esproprio, demani di aree da destinare all’edilizia popolare e di impostare un piano organico per la graduale realizzazione, sulle aree stesse, delle opere e dei servizi complementari di ogni genere.

L’INA Casa è riuscita a realizzare, nei 14 anni di piano, un complesso enorme di costruzioni, funzionali anche sotto l’aspetto dei servizi, giovandosi, fra l’altro, della collaborazione del proprio servizio sociale, che si fece interprete dei bisogni della collettività presso i vari enti specializzati.

1.5.4 P.e.e.p.

La volontà di calmierare attraverso interventi di tipo pubblico il costo delle aree edificabili, indusse il parlamento ad approvare la legge istitutiva dei P.E.E.P. (Piani per l’Edilizia Economica e Popolare), la n° 167 del 18 aprile 1962 che individuava le aree riservate alla realizzazione di programmi di edilizia sovvenzionata, agevolata o convenzionata.14 Tali aree sono pertanto sottoposte alla

preventiva espropriazione da parte dell’Amministrazione comunale competente. Il minor valore del terreno definito dalla disciplina dell’indennità di esproprio, unitamente alla mancanza della finalità di lucro da parte dei comuni, consentirono a mettere a disposizione per l’attuazione del P.E.E.P., lotti edificabili a costi inferiori a quelli del libero mercato e pertanto di garantire la realizzazione di abitazioni a prezzi di gran lunga inferiori rispetto a quelle costruite su aree private.

Vi furono successive modifiche e integrazioni apportate dalla legge 22 ottobre 1971, n° 865 (legge sulla casa) e dalla legge 28 gennaio 1977, n° 10 (legge sul regime dei suoli).

Le aree comprese nel P.E.E.P. sono espropriate con indennità determinata ai sensi dell’art. 5 bis della legge 8 agosto 1992 n° 359, come media fra il valore venale e il reddito dominicale.

Le aree comprese nel P.E.E.P. sono cedute in proprietà ed anche in diritto di superficie (per una durata compresa tra 60 e 99 anni, rinnovabile).

Nell’attuale ordinamento sono obbligati all’attuazione dei P.E.E.P., tutti i comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti ed essere dimensionato in modo tale da soddisfare almeno il 40% e non oltre il 70% del fabbisogno decennale di abitazioni stimato sull’intero territorio comunale.

In ogni caso, sia che si tratti di redazione di un primo piano P.E.E.P., o una variante al predetto o addirittura un nuovo piano, il comune deve individuare il fabbisogno decennale esistente in quel preciso momento, da soddisfare in primo luogo con le aree già vincolate e solo successivamente con altre aree.

Il fabbisogno abitativo può essere quantificato nel seguente modo: • fabbisogno di nuove residenza per andamento demografico; • fabbisogno di residenza sostitutiva; • nuovi nuclei familiari;

della costituzione degli organi che saranno preposti all’attuazione del piano economico è prevista l’istituzione di uno speciale comitato di ministri che provvede ad impartire le direttive. Il piano regolatore generale e quello comprensoriale - quando questo ha valore di piano generale - sono obbligatoriamente attuati per mezzo di piani particolareggiati, le cui prescrizioni hanno valore a tempo indeterminato e nel cui ambito il comune promuove l’espropriazione di tutte le aree inedificate (fatta eccezione per quelle demaniali) e delle aree già utilizzate per costruzioni se l’utilizzazione in atto sia sensibilmente difforme rispetto a quella

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prevista dal piano particolareggiato, nonché delle aree che successivamente all’approvazione del piano particolareggiato vengano a rendersi edificabili per qualsiasi causa.

Acquisite le aree, il comune provvede alle opere di urbanizzazione primaria e cede, con il mezzo dell’asta pubblica, il diritto di superficie sulle aree destinate ad edilizia residenziale, che restano di proprietà del comune. A base d’asta viene assunto un prezzo pari all’indennità di esproprio maggiorata del costo delle opere di urbanizzazione e di una quota per spese generali.

Quando si tratta di aree richieste da enti pubblici operanti nel settore edilizio, da società coope-

• inurbamento; • pendolarismo; • nuovi posti di lavoro; • rientro di emigrati, dall’estero o da altre province; • nuove infrastrutture.

• Il comune verifica il fabbisogno accertato di alloggi con le previsioni dello strumento vigente o in corso di procedura; qualora non concordino, esprime le motivazioni che conducono a valutare il reale ammontare del dimensionamento necessario.

• Il concetto del dimensionamento decennale è rimasto fermo anche dopo l’estensione dell’efficacia ad anni 15 operata dall’art.

1 della legge n° 247 del 27/06/1974 e a 18 anni operata dall’art. 51 della legge n° 457 dello 05/08/1978.

Pertanto non è che i piani dovranno avere dimensionamento quindicinale o diciottenale; il dimensionamento rimane sempre decennale, solo che per ragioni di obiettiva difficoltà dei comuni, l’efficacia dello strumento è prorogata fino a 18 anni.

In ogni periodo di attuazione del P.E.E.P., si può redigere un nuovo piano, od una variante, individuando un fabbisogno decennale da saturare prima con le previsioni dello strumento vigente, e solo successivamente con nuove previsioni.

1.5.5 La storia dei P.E.E.P. in Verona La storia del primo Piano P.E.E.P. della città di Verona ha coinciso con lo studio della Variante Generale allo strumento urbanistico che venne discussa in Consiglio Comunale per l’approvazione nell’Aprile 1966.

Le previsioni di sviluppo della città secondo studi condotti all’epoca per il periodo 1964 - 1984 sarebbero state quelle di raggiungere la

soglia di 360.000 abitanti.

“Il progetto di sviluppo della città del prof. Marconi prevedeva una popolazione di circa 410.000 abitanti e ciò perché si è voluto tenere conto di un ragionevole margine di errore....” (in realtà la popolazione residente al 31/12/1984 ammontava a circa 262.000 unità).

Questo sovradimensionamento della popolazione ad oggi potrà sembrare un errore macroscopico, in realtà partendo dalla prima approvazione del Piano Regolatore Generale di Verona, dopo il Piano di Ricostruzione (approvato con decreto luogoteneziale il 1° Marzo 1945), i cui studi preparatori cominciarono nel 1949, ultimati nel 1951 e per varie circostanze adottato solo nell’Aprile 1954, l’aumento della popolazione nel trentennio successivo era stato stimato in 60-70.000 unità sulla base del trend di crescita tra il 1941 e il 1951 (159.950 e 177.908 abitanti), prevedendo così una popolazione di circa 250.000 abitanti nel 1981. Il piano per ovvie ragioni prudenziali, individuava zone residenziali di espansione con una capacità teorica insediativa in circa 300.000 abitanti.

La relazione illustrativa da parte dell’Assessore Bertani citava: “Dei 90.000 abitanti che potranno insediarsi nel Comune di Verona secondo le nuove previsioni, più della metà potranno essere ospitati dalle zone della 167. Oltre tutto, ciò consentirà di sfuggire alla rendita fondiaria che ha, finora, portato ad un fortissimo aumento del prezzo dei terreni e di debellare tale forma di speculazione”.

1.5.6 Il primo Piano P.E.E.P. del 1965 Il primo Piano P.E.E.P. fu approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici, con Decreto Ministeriale n. 872 del 16/11/1965 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 296 del 27/11/1965. Esso individuava 18 zone da de- stinare all’edilizia economica popolare su di una superficie

rative aventi gli stessi fini, ovvero nel caso in cui le aree siano adibite ad utilizzazioni industriali, la cessione avviene a trattativa privata. L’indennità di espropriazione è determinata, per i terreni non edificati e non aventi destinazione urbana prima dell’approvazione del piano, in base al prezzo agricolo; per i terreni non edificati, ma aventi già destinazione urbana, in base al prezzo dei più vicini terreni di nuova urbanizzazione, aumentato della rendita differenziale di posizione in misura non superiore ad un coefficiente massimo fissato dal comitato dei ministri, e infine, per i terreni edificati, in base al valore di mercato della costruzione.

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In sintesi, lo schema Sullo modifica profondamente il regime proprietario delle aree: di proprietà privata resta soltanto una parte delle aree edificate, le altre aree - edificate o edificabili - passano gradualmente in proprietà dei comuni, che cedono ai privati il diritto di superficie per le utilizzazioni previste dai piani.

complessiva di terreno pari a circa 250 ettari e prevedeva una volumetria complessiva di 4.683.000 mc., pari a circa 46.830 abitanti teorici secondo il parametro di mc. 100 per abitante e circa 52.033 stanze pari a mc. 90 per ogni vano legale.

L’idea fu quella di localizzare gli insediamenti su varie parti del territorio comunale, principalmente nei quadranti Nord-Est, Nord-Ove- st e Ovest della città, in alcuni casi su vaste aree del territorio, tra- sformando così drasticamente alcuni porzioni di interi quartieri comunali. In sintesi la localizzazione degli ambiti fu la seguente: • Nord-Est (Montorio, Poiano, Quinto e Marzana) • Est (Banchette, S. Croce) • Nord-Ovest (Saval, Avesa, Quinzano e Parona) • Ovest (Borgo Milano, S. Proco- lo, Borgo Nuovo e San Massimo) • Sud, Sud-Est-Ovest • (Polidore, Cà di David, Golosi- ne, S.Michele, San Pancrazio).

1.5.7 Il secondo Piano P.E.E.P. del 1984 Il nuovo progetto “P.E.E.P 82” comportò una sostanziale revisione dei parametri sulla stima del- l’andamento della popolazione anche in relazione al reale “trend” demografico di Verona.

In quell’occasione la stima del volume necessario a fronteggiare il fabbisogno abitativo dell’epoca fu vista al ribasso, impiegando solo una quota del volume residuo del primo P.E.E.P., mc. 1.361.693 rispetto ai mc. 1.867.412 complessivi.

Il Piano fu approvato dalla Giunta della Regione Veneto con provvedimento n° 3499 del 19/06/1984 e successiva integrazione con aggiunta di due ulteriori zone quali la Quinzano e Moruri.

La volumetria residua era costituita in parte da volume non assegnato e da una quota di volume non realizzato sulle singole zone.

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Dichiarazione di agibilitĂ della palazzina sita in Lungadige Catena

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La casa-albergo per anziani di Via Volta

2. L’IMPEGNO DI CECCHINI NEL SOCIALE: DEFINIZIONI

“[…] compenetrazione sociale, inducendo la gente a stare unita, creando chiesa, scuola, asilo, centro sociale, mercato, servizi tutti centralizzati, in modo che, con una struttura aperta e compatibile, si evitasse l’isolamento degli abitanti in grandi quartieri […]” 15

15. cit. Libero Cecchini

Questo capitolo è dedicato alla trattazione del tema del sociale; una parte che è fondamentale, perché si rivolge alla parte più generale e al contempo specifica del problema: che cosa s’intende di preciso per “sociale”? A chi si rivolge? Le abitazioni collettive riguardano solo questo o coinvolgono anche un’altra parte della popolazione?

In questa sede cercheremo di dare delle risposte esaustive a delle domande semplici, le cui risposte possono essere anche molto complesse, come vedremo in seguito.

2.1 INA CASA: CARATTERI GENERALI L’ente nazionale appositamente istituito per attuare il piano, l’Ina casa (in seno all’Ina Assicurazioni ma con una sua autonomia), è composto di due organi fondamentali: il primo è il Comitato di attuazione, guidato da Filiberto Guala; il secondo organo è la Gestione Ina Casa, che coordina gli aspetti progettuali e tecnici, alla cui presidenza è chiamato Arnaldo Foschini.

In questa occasione cercheremo di tracciarne le linee generali, i caratteri per lo più architettonici che hanno guidato la redazione del quartiere ideato da Fanfani.

Il quartiere Ina casa assume una propria precisa identità urbanistica e architettonica.

Inedita per l’esperienza italiana, è innanzitutto l’interpretazione 45

che viene data al quartiere, in quanto modello insediativo. È vero che l’influenza del modello del quartiere scandinavo è molto forte: di esso vengono ripresi i caratteri di nucleo autonomo e compiuto, la dimensione collettiva di residenza per la piccola comunità, il carattere domestico del vicinato (vero elemento costitutivo dell’abitare); vengono anche ripetute le forme articolate degli edifici, ottenute attraverso la combinazione di schiere e torri, evitando allineamenti geometrie astratte e ripetizioni; viene riproposta la semplicità costruttiva e linguaggio architettonico familiare. Ma l’elemento fondamentale che contraddistingue il quartiere Ina casa è la diversa collocazione che assume nello sviluppo della città. Il quartiere scandinavo è il prodotto di una tradizione che risale all’inizio del secolo (che si basa sull’uso pubblico del suolo e sulla concezione dell’abitare con i servizi alla collettività); diversamente il quartiere Ina casa si inserisce come eccezione nello sviluppo della città del Novecento, che normalmente procede in modo non pianificato e indifferenziato. Esso si interpone nella periferia della città italiana come un’isola, anche se carattere di eccezione rispetto alle modalità prevalenti dello sviluppo urbano è solo uno degli elementi riconoscibili del quartiere Ina casa all’interno della città.

Punto centrale è l’originalità del linguaggio architettonico: la sperimentazione che porta a quest’architettura appare saldamente collocata all’interno della modernità italiana e si connette perfettamente con l’esperienza degli anni ‘30.

Come abbiamo detto precedentemente, la regola tecnica inverata dalle realizzazioni si esprime in un’articolata strategia normativa: i fascicoli ina casa vanno considerati per questa loro intenzione di promuovere la realizzazione di insediamenti dai caratteri fino a quel momento inediti e accompagnando il processo dall’ideazione al collaudo, tessendo una rete normativa in grado di orientare 46

Particolare costruttivo della casa-albergo per anziani di Via Volta

comportamenti progettuali costruttivi senza bloccarli.

Il testo normativo nel suo complesso (due fascicoli prodotti nel 1949 e 1950 per il primo settennio i due nel 1956 per il secondo) tratteggia una strategia fondata su raccomandazioni e suggerimenti.

Anche bandi, questionari e i compiti concorrono a formare l’indice degli argomenti, a individuare gli aspetti qualificanti da trattare con specifiche elaborazioni grafiche, a stabilire le operazioni da farsi, il loro ordine e la loro presentazione, promuovendo la strutturazione dell’intero processo.

Nei fascicoli vengono utilizzati quattro differenti forme: le prime due sono principalmente basato sul linguaggio visivo, la regola prestazionali mezzi urbani di linguaggio verbale e lo standard di quello numerico.

Parliamo del primo fascicolo: redatto nel 1949 in esso troviamo una casistica di possibili soluzioni distributive. Gli schemi sono tre parti per quattro tipi edilizi annessi (arredamenti Diana continua isolata, la tastiera a uno e due piani), con riferimento alla diversa capacità abitativa degli alloggi e alle abitudini di vita. Ne consegue un repertorio di 81 ideali tipi.

Questo repertorio viene affidato ai progettisti, i quali si esplicano nell’adattamento dello schema la situazione specifica, escludendo la considerazione di alcuni aspetti che non potranno comunque essere trascurati: esposizione, il rapporto tra i reparti giorno notte nell’appartamento, l’allacciamento idraulico, il disimpegno.

L’attenta considerazione del problema locale sotto ogni punto di vista (abitudini di vita, tradizioni, clima, materiali da costruzione locali, ecc) sembra avere ricadute più rilevanti sulla gamma tipologica, sulle tecniche e materiali costruttivi e sull’impianto urbanistico. È indubbiamente più difficile trattare le questioni relative alla com47

posizione urbanistica in termini di norme, a causa della molteplicità delle variabili che intervengono nel dar forma al quartiere. Le composizioni urbanistiche devono essere varie, mosse e articolate, tale da creare ambienti accoglienti e riposanti, dove ciascun edificio abbia la sua propria fisionomia ed ogni uomo trovi senza fatica la sua casa.

Nel secondo fascicolo dunque una quarantina di figure disomogenea si susseguono alternandosi a 21 regole prestazionali, ciascuna dedicata un requisito qualificante dell’urbanistica organica: attenzione per i caratteri di centri esistenti, valorizzazione del paesaggio, ora per il verde, varietà nella composizione degli edifici.

Ma esempi regole prestazionali sono forme innovative difficili, presuppongono attenzione e cultura, e non sempre garantiscono un buon prodotto. Allora, non è forse un caso l’emergere precoce di una diffusa insoddisfazione per gli aspetti urbanistici.

Proprio grazie a questo diffuso malcontento, dopo il primo settennio la Gestione promuove un referendum presso gli assegnatari delle abitazioni già occupate per accertarne le preferenze sui tipi e sulle caratteristiche delle abitazioni. Questo testo costituisce un bilancio anche dal punto di vista normativo, infatti si torna a parlare di edifici, alloggi, quartieri e problemi costruttivi, esplicitando i punti forti e indicando quelli problematici.

La sperimentazione porta a escludere alcune soluzioni (edifici più alti di tre piani, all’aggeggini terra, appartamenti duplex in ambiente urbano, scale comuni non coperte, rapporti esterno/interno non schermati) i a identificarne alcune come migliori di altre (cucina pranzo separati dal soggiorno, ingresso protetto, ripostigli incassati, lavatoio interni, balconi in aggiunta alla loggia qualora l’appartamento non abbia un altro giardino). Questa revisione porta alla limitazione ulteriore dei tipi edilizi ammessi e ad aumentare 48

complessivamente le superfici minime degli alloggi: in poche parole accorcia le distanze tra la casa popolare e quella borghese, essendo quest’ultima il riferimento per soluzioni alternative a quelle che avevano creato disagio negli abitanti.

Per quanto riguarda le tecniche costruttive la prefabbricazione rimane confinata nell’ ambito della pura sperimentazione, portando il piano Fanfani in una direzione opposta quella dell’innovazione.

Si impone quindi una bassa meccanizzazione e un altro impiego di manodopera, strategia singolare basata sul blocco dell’innovazione dell’edilizia, ben diversa da quelle adottate per la ricostruzione postbellica negli altri paesi europei.

Il tipo di costruzione indicato è allora un modello costruttivo eliminato con sufficiente precisione nei suggerimenti e emessi alla gestione Ina casa, definito completamente nel capitolato generale.16

16. Si veda Beretta Anguissola, a cura di, I 14 anni del Piano Ina casa, Staderini, Roma 1963

È un sistema composto da un’equilibrata combinazione di elementi murari e di elementi in cemento armato, tutti realizzati prevalentemente in opera.

Per quanto riguarda il ruolo strutturale degli elementi murari e degli elementi in cemento armato occorre però distinguere tra case basse e case alte. Negli edifici di due o tre piani la funzione importante è solitamente affidata a pareti di mattoni o blocchi lapidei.

Nelle case alte (torri, edifici in linea) invece, la stabilità è affidata a una struttura a scheletro indipendente in cemento armato. Tuttavia anche in questi casi si mantiene la conformazione tipica della costruzione muraria.

Come si vede, la costruzione Ina casa tende ad assumere un carattere sostanzialmente omogeneo: è una costruzione di natura essenzialmente muraria, sebbene sottoposta a un processo di sofisti49

cato affinamento, legato al largo impiego di elementi in cemento armato. Difatti nella terminologia Ina casa, “tradizionale” indica un modello costruttivo diverso dal generico modello internazionale dell’edificio moderno, basato sullo scheletro portante e sulla smaterializzazione della parete.

In realtà, più semplicemente, quello linkato è il modo di costruire disponibile in Italia all’indomani della guerra, un modello semplice e ordinario.

Infatti alla base del nuovo realismo che caratterizza l’architettura del quartiere è lo stesso apparecchio in muratura in cemento armato messo a punto prima della guerra.

Nascono così facciate semplice e tuttavia articolate, rese familiari dalla logge e coperture a tetto, segnati da intelaiature e arricchite da griglie e trame operate nel corpo della parete, distinte dal colore, guarnite di robuste finestre e complete di persiane e scossaline. Il tutto è messo insieme da una piana cifra stilistica pianifica ogni dettaglio al suo insieme, unificando il vicinato, la recinzione, la panchina, il lampione. Sulla base di questi caratteri generali il linguaggio ina casa appare straordinariamente omogeneo, in diretta conseguenza della centralità della gestione e soprattutto della univocità della strategia architettonica, lasciando ovviamente da parte le poche eccezioni.

Ma in quanto attuato da una struttura capillare articolata e diffusa sul territorio, il linguaggio del quartiere medio non può che includere un’ampia gamma di articolazioni e varianti, d’altronde il realismo Ina casa non è il prodotto di una tendenza, ma piuttosto rappresenta gli esiti di una maniera, di un modo e di uno stile di progettare e di costruire, capace di riflettere le mille intonazioni che colorano il paesaggio architettonico tra il ‘45 e gli anni ‘60.

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Particolare in via Domaschi a Porto San Pancrazio

2.2 L’ALLOGGIO E L’ABITARE Definiamo i due vocaboli base della ricerca, termini che incontreremo molte volte nel corso della trattazione:

abitare, (def. Vocabolario Treccani) v. tr. e intr. [dal lat. habitare, propr. «tenere», frequent. di habere «avere»] (io àbito, ecc.)

1. tr. Avere come propria dimora: a. una bella casa; allora abitavo una camera al terzo piano. Anche, a. una regione, un paese, avervi stabile dimora: le popolazioni che abitavano il Lazio nell’8° secolo a. C. 2. intr. (aus. avere) Avere dimora, risiedere, o avere l’abitazione, cioè la propria casa, in un luogo o in una zona: a. in un quartiere centrale, in campagna; a. in periferia, al mare, sulle montagne (e precisando: abita a Milano; abito sul Lungotevere; abitavo allora in piazza Mazzini, ecc.); a. in famiglia, con i genitori, da un parente; a. in una gran bella casa; Con questi grandi abita eterno (Foscolo, dell’Alfieri in S. Croce); Abito in una piccola città del Sud: per questo dimentico gli ombrelli (Francesco Piccolo); fig., Dio abita nel cuore dei giusti.

3. s. m., ant. Abitazione: i rotti avanzi di nobili abitari (Giordani). Part. pres. abitante, con valore verbale: le famiglie abitanti nel palazzo; per l’uso come sost., v. la voce. Part. pass. abitato, frequente come agg. e s. m. (v. la voce).

E sociale, agg. [dal lat. socialis, der. di socius, v. socio] a.

Che vive in società: l’uomo è un animale sociale. Per estens., in zoologia ed etologia, il termine qualifica le relazioni tra individui della stessa specie, che si concretano nei comportamenti 51

s., ossia nell’insieme delle azioni codificate con cui i membri della specie svolgono le principali funzioni del ciclo vitale quali la riproduzione e il nutrimento (rientrano in questa categoria, tra l’altro, i rituali di accoppiamento, le cure parentali e il territorialismo); tali comportamenti caratterizzano sia le specie s., costituite da gruppi permanenti di due o più individui (gruppi s. o società) sia le specie solitarie, nelle quali si manifestano nel corso delle interazioni temporanee tra individui (per es., durante la riproduzione o nella difesa delle risorse). b.

Che riguarda la società umana, che ha attinenza con la vita dell’uomo in quanto partecipe di una comunità nella quale ha, o dovrebbe avere, sostanziale diritto di parità rispetto agli altri membri: doveri s.; ordine sociale, v. ordine, n. 2 d; patto s. (v. patto, n. 1 b); la realizzazione di una giustizia s.; protestare contro le ingiustizie s., ecc.; analogam. si parla di arte s., pittura s., fotografia s., cinema s., ecc., con riferimento a quelle tendenze che, nell’ambito della comunicazione ed espressione artistica, sono orientate alla denuncia e alla documentazione delle ingiustizie e delle contraddizioni sociali. c. Che riguarda l’ambiente in cui si vive, le persone con cui si è a contatto: la vita s.; relazioni, rapporti s.; le convenzioni sociali. d. Con sign. più specifico, relativo alla struttura e all’organizzazione di una determinata società storica: la questione s.; le forze, le classi s.; le categorie s. più deboli; provvedimenti che riguardano soltanto alcune fasce s.; i problemi s. dell’Italia nel primo dopoguerra; il programma s. di Mazzini. In demografia, movimento s. della popolazione, le variazioni quantitative e strutturali del complesso degli abitanti di un paese o di una regione per il solo effetto delle migrazioni. f. Con accezione propria, centro s., denominazione generica di comunità, cittadine o di quartiere, costituite per lo più da giovani di 52

un deciso orientamento politico e seguaci di comuni ideologie che usano come luogo di aggregazione edifici o locali spesso fatiscenti o illegalmente occupati, dove svolgono attività di svago e di ricreazione, dedicandosi talora anche a opere di assistenza e di aiuto volontario a persone che ne abbiano bisogno.

2. Che riguarda una particolare associazione e i suoi soci o membri: l’attività, la vita s.; gita, riunione s., a cui possono partecipare soltanto i soci; nel linguaggio teatrale, compagnia s., gestita direttamente dai suoi stessi componenti. Con riferimento a società commerciali: sede s., la sede giuridica della società; ragione s. (v. ragione, n. 8); capitale s., il capitale di cui dispone la società (ma l’espressione è usata anche con altro senso in economia; v., per l’uno o per l’altro sign., capitale3, ai luoghi 1 b e 1 e). Come locuz. aggettivale, è usata nel linguaggio finanziario l’espressione in sociale, per indicare l’operazione commerciale o finanziaria il cui risultato economico viene ripartito per convenzione fra due o più persone o imprese; è detto anche in sociale il conto deputato a rilevare nella contabilità del partecipante a uno o più affari in sociale le operazioni compiute e i rapporti di debito e di credito con altri partecipanti che dalle operazioni stesse derivano.

Secondo il “Decreto Ministero Infrastrutture 22.04.2008, G.U. 24.06.2008”: è definito «alloggio sociale» l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato.

Questa la definizione ai fini dell’esenzione dall’obbligo di notifica 53

degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, contenuta nel Decreto Ministero delle Infrastrutture 22 aprile 2008.

L’alloggio sociale deve essere “adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate agli articoli 16 e 43 della legge 5 agosto 1978, n. 457” e “deve essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative”.

Spetterà alle Regioni, in concertazione con le Anci regionali: • definire il canone di locazione dell’alloggio sociale in relazione alle diverse capacità economiche degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle caratteristiche dell’alloggio; • fissare i requisiti per beneficiare delle agevolazioni per l’accesso alla proprietà; • stabilire modalità e criteri per la determinazione del prezzo di vendita.

(Altalex, 26 giugno 2008) 2.2.1. Definizione di alloggio sociale L’alloggio sociale è quindi una casa data in locazione permanente.

La funzione che svolge l’alloggio sociale è di interesse generale nella salvaguardia della coesione sociale, per ridurre il disagio abitativo di persone e famiglie in condizione svantaggiata, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato.

Esso si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale, costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie.

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Rientrano nella definizione di alloggio sociale, quegli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree o immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni e anche alla proprietà.

L’alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi sulla base di modalità stabilite dalle norme regionali.

Caratteristiche e requisiti: Spetta alle regioni - di concerto con le Anci regionali - definire i requisiti per l’accesso e la permanenza nell’alloggio sociale e il canone di locazione. Quest’ultimo deve tener conto delle capacità economiche, della composizione del nucleo familiare e delle caratteristiche dell’alloggio. L’alloggio sociale deve essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate negli articoli 16 e 43 della legge 457/1978 (norme per l’edilizia residenziale)17 . Gli alloggi sociali dati in locazione sono considerati adeguati se hanno un numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore ai componenti del nucleo familiare - e comunque non superiore a cinque - oltre ai vani accessori quali bagno e cucina. L’alloggio sociale, infine, deve essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative.

17. Fonti normative: Decreto ministeriale 22 aprile 2008

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2.3 AGEC E ATER (ex IACP) È arrivato il momento di definire gli enti responsabili di tutto quello di cui abbiamo parlato finora: le organizzazioni che si occupano dei fondi, della progettazione e della gestione dei beni pubblici sociali e/o socialmente utili, gli enti appunto che si occupano (o che dovrebbero occuparsi) della parte più bisognosa della società. In Italia abbiamo principalmente due enti atti a regolare normative e quant’altro: l’AGEC e l’ATER (una volta IACP). Andiamo ad approfondire la loro struttura e organizzazione.

2.3.1 L’A.G.E.C. Il Consiglio Comunale della Città di Verona, nelle tornate del 6 e 22 dicembre 1909, propose la costituzione di un’azienda speciale municipalizzata per la costruzione dei primi quartieri di case popolari.

Il progetto riportò l’approvazione della Commissione reale il 27 agosto 1910 e il 9 ottobre successivo fu indetto il referendum popolare, al quale la cittadinanza veronese rispose con il seguente risultato: elettori 11823, votanti 5382, voti favorevoli 5315, voti contrari 65, schede nulle 2.

Sorse così l’azienda delle case popolari, disciplinata dalla legge 29 marzo 1903 n.103 e dal regolamento 10 marzo n.108. Il 30 ottobre 1910 ebbe luogo la cerimonia della posa della prima pietra e nel novembre 1912, furono consegnati gli appartamenti ai primi inquilini.

La costruzione dei quartieri nelle diverse zone della città fu proseguita negli anni 1920, 1924, 1926, 1928, 1930, 1932, 1934, 1935, e per complessivi 852 alloggi, e successivamente, a far parte del capitale di dotazione dell’azienda furono affidati dallo Stato, in gestio56

La sede dell’AGEC

ne, altri 96 alloggi, costruiti per i senzatetto ai sensi della legge 10 aprile 1947 n.261. L’Amministrazione comunale, con deliberazione podestarile 26 agosto 1930 n.1100, deliberava di affidare all’azienda comunale delle case popolari per la gestione, per conto del Comune, degli stabili comunali concessi in affidanza a ditte private.

In conformità a tale provvedimento, l’azienda assunse il nome di “Azienda Gestione Edifici Comunali”.

L’Azienda è nata con l’obiettivo istituzionale di amministrare e gestire gli immobili di civili abitazione di proprietà del comune di Verona.

Il patrimonio gestito da Agec conta complessivamente più di n.

6.500 unità e precisamente: n. 3.990 alloggi n. 1.118 posti auto coperti n. 1.140 box auto n. 90 negozi n. 58 uffici n. 100 magazzini/soffitte n. 19 laboratori.

Il patrimonio immobiliare di Agec può essere suddiviso in quattro categorie: • le case popolari - con gestione disciplinata dalla Legge Regionale n. 10/1996; • le case comunali - con gestione disciplinata dalla Legge n. 431/1998 e canone convenzionato e riservate alle cosiddette “emergenze abitative”; • le case di pregio - con gestione disciplinata dalla Legge n.

431/1998 e canone di mercato; • le unità commerciali - negozi, uffici, box, ecc. - con gestione disciplinata dalla Legge n. 392/78 e canone di mercato.

Nel 1966 venne proclamato come Presidente dell’AGEC Libero Cecchini, che mantenne la sua presidenza all’azienda per ben dieci anni. In questo lasso di tempo molti furono i progetti portati a termine e molti i lavori affrontati, come ogni amministrazione, all’interno del Comune di Verona e non; si dedica principalmente all’attività di libero professionista, realizzando anche importanti opere di 57

edilizia pubblica, quali la camera di commercio di Verona e gli uffici finanziari, ma anche scuole, case popolari e per anziani, oltre che edilizia privata.

La cosa nuova e originale che Cecchini ha fatto è stata l’introduzione di una struttura che si rivolgesse solo ad anziani, appunto la Casa per anziani, che voleva essere e avere una funzione diversa dalla solita casa di riposo. Lui ha dato un’attenzione speciale in generale a tutto quello che era ed è sociale, cercando di coinvolgere ogni tipo di persona (uomo, donna o bambino, giovane o anziano) alla vita in comunità e a tutto quello che voleva dire solitudine e ghetto.

Libero rimane alla direzione e alla presidenza dell’AGEC fino al 1976, anni in cui decide di costruire una casa per anziani in ogni quartiere e cinque anni dopo la realizzazione della Casa per Anziani di via Volta (si rimanda alla specifica più approfondita alla scheda di progetto del capitolo 5). Questo periodo è ricco di fermento riguardo i grandi temi dell’edilizia, soprattutto popolare e Cecchini vi concentra molto del proprio lavoro, realizzando anche viaggi studio in Inghilterra, Russia, Polonia e Svezia.

Questo complesso è secondo me molto rappresentativo del suo modo di pensare, perché sintetizza i suoi valori e le necessità; mette in relazione l’astratto del pensiero cecchiniano con la pratica del bisogno e di quello cui serviva la gente. Siamo già negli anni ’70 ed è quindi finita la furia del costruire del secondo dopoguerra per dare lavoro alla gente e un tetto sotto cui vivere: l’edificio viene realizzato senza fretta (anzi) e con lo scopo di essere comunque d’aiuto a delle persone che faticano ad arrivare a fine mese, senza la possibilità di lavorare, e senza perdere la dignità della vecchiaia.

Cecchini lascia quindi un’impronta speciale che caratterizza e segna l’AGEC: l’esempio della casa per anziani è caratteristico per tut58

Libero Cecchini nel 2011

ta la durata della sua presidenza.

2.3.2 L’A.T.E.R L’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale è una struttura che si inserisce nel contesto di un nuovo concetto sociale dell’abitare, all’interno di una società in continuo mutamento per esigenze e per problematiche proprie di questo momento storico. Alle sue origini, la funzione sociale dell’edilizia popolare, assistita dai fondi GESCAL e dal contributo pubblico, si rivelò allora determinante per soddisfare l’esigenza primaria della casa in favore dei ceti più deboli che erano ancora esclusi dagli effetti del boom economico esploso negli anni sessanta. Oggi, senza più la garanzia dei finanziamenti pubblici “a pioggia” garantiti dallo Stato con l’ultimo piano decennale dal 1978 al 1988 (Legge 457/78), questo Ente deve rivedere o meglio inventare un nuovo ruolo dell’edilizia residenziale pubblica in modo tale da garantire, da una parte, il consolidamento dei risultati raggiunti per i ceti che non possono ancora accedere al mercato, e, dall’altra, lanciare idee per nuovi settori dell’abitare soprattutto a quel mercato “intermedio” al quale non è stata prestata la necessaria attenzione.

A seguito della promulgazione del Regio Decreto n. 1165, del 2804-1938, “Approvazione del testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica” nasceva l’Istituto Autonomo Case Popolari (I.A.C.P.) della provincia di Verona, il cui primo Consiglio di Amministrazione, riunitosi il 6 luglio 1939, era composto da: • Ing. Bruno Ceccon, presidente; • Avv. Ascanio Zanella, vicepresidente; • Dr. Luciano Colucci, rappresentante del Ministero LL.PP.; 59

• Cav. Eugenio Avanzini, Avv. Clemente Cervato, Ing. Guido Dongili, Ing. Pietro Finato, Ing. Giuseppe Polettini, Cav. Rinaldo Vinco, consiglieri.

Il consiglio di Amministrazione era così nominato: • Presidente, Vicepresidente ed un Consigliere erano nominati dal Ministero LL.PP.; • gli altri provenivano dall’Assemblea degli Enti Conferenti, cioè gli Enti che partecipavano all’attività dell’Istituto.

La prima Assemblea degli Enti conferenti ebbe luogo il 15 gennaio 1940 con la partecipazione dei rappresentanti dell’Amministrazione Provinciale e dei Comuni di Verona, Peschiera, Legnago, S. Ambrogio, Tregnago, Zevio, Sanguinetto e Nogara. L’Ing. Ceccon rimase in carica fino al 1944; ne seguirono molti.

Con legge in data 10-03-1995 n.10, entrata in vigore il 15-03-1995, la Regione del Veneto, in osservanza al D.P.R. 24-07-1977 n. 616 e alla legge 142/90, ha trasformato gli ex Istituti Autonomi per le Case Popolari (I.A.C.P.) in Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale (A.T.E.R.).

Come dicevamo, l’ATER è l’Azienda in cui è stato trasformato l’Istituto Autonomo per le Case Popolari, in attuazione della Legge Regionale n. 10/1995. Essa non è più un ente pubblico non economico, ma un ente pubblico economico, dotato di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, patrimoniale e contabile. L’ATER opera pertanto, con criteri di efficacia, di efficienza e di economicità. L’A.T.E.R. è un’Azienda che opera nel settore dell’edilizia sociale, in particolare in quella residenziale, provvedendo alla programmazione, progettazione, realizzazione e gestione degli interventi. Opera su tutto il territorio della città e della Provincia di Verona.

L’A.T.E.R.: 1) attua interventi di edilizia residenziale sovvenzionata, age60

volata e convenzionata mediante l’acquisto, la costruzione ed il recupero di abitazioni e di immobili di pertinenza, anche attraverso programmi integrati e programmi di recupero urbano, utilizzando le risorse finanziarie proprie e/o provenienti per lo stesso scopo da altri soggetti pubblici; 2) progetta programmi integrati e programmi di recupero urbano e/o esegue opere di edilizia e di urbanizzazione per conto di Enti pubblici; 3) sviluppa attività collegate a programmi di edilizia residenziale pubblica sia per nuove costruzioni sia per il recupero del patrimonio immobiliare esistente; 4) gestisce il patrimonio proprio e di altri Enti pubblici comunque realizzato o acquisito e svolge ogni altra attività di edilizia residenziale pubblica rientrante nei fini istituzionali e conforme alla normativa statale e regionale; 5) stipula convenzioni con gli Enti locali e con altri Operatori per la progettazione e/o l’esecuzione delle attività consentite; 5) esercita attività di consulenza ed assistenza tecnica a favore di Operatori pubblici e privati; 6) interviene, mediante l’utilizzazione di risorse proprie, non vincolate ad altri scopi istituzionali, con fini calmieratori, sul mercato edilizio realizzando abitazioni da locare o da vendere a prezzi economicamente competitivi; 7) formula proposte sulle localizzazioni degli interventi di edilizia residenziale pubblica; 8) esercita il controllo sul rispetto, da parte delle imprese di costruzione e loro consorzi e delle 61

cooperative edilizie di abitazione e loro consorzi incaricati della realizzazione dei programmi di edilizia residenziale fruenti di contributo pubblico, delle procedure e dei vincoli economici e tecnici stabiliti per la realizzazione dei programmi stessi, mediante rilascio di apposita attestazione.

La struttura organizzativa dell’ATER di Verona si ispira ai seguenti principi informatori: • compete agli organi dell’Ente determinare le strategie, gli obiettivi e la politica generale, il potere di indirizzo e di controllo, nonché il collegamento dell’organizzazione dell’Ente all’ambiente esterno.

• È compito della Direzione Generale quello di garantire l’attività degli organi istituzionali, nonché l’efficacia dell’intervento dell’Ente nelle materie di sua competenza mediante funzioni di programmazione, acquisizione ed organizzazione delle risorse di impiego dell’Ente.

• Al personale compete di contribuire alla realizzazione degli obiettivi in modo efficace ed efficiente.

Sono organi dell’Ente: - Il Consiglio di Amministrazione.

- Il Presidente.

- Il Direttore Generale.

- Il Collegio dei Revisori.

Per quanto riguarda il presente l’ATER e l’azienda in cui è stato trasformato l’Istituto Autonomo Case Popolari, in attuazione della legge regionale n. 10/1995. Essa non è più un ente pubblico non economico, ma un ente pubblico economico, dotato di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, patrimoniale e contabile.

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L’ATER opera pertanto con criteri di efficacia, efficienza e economicità.

Essa è un’azienda che opera nel settore dell’edilizia sociale, in particolare quella residenziale, provvedendo alla programmazione, progettazione, realizzazione e gestione degli interventi. Opera su tutto il territorio della città e della provincia di Verona.

Come abbiamo detto attua interventi di edilizia residenziale sovvenzionata, agevolata e convenzionata mediante l’acquisto, la costruzione e il recupero di abitazione e di immobili di pertinenza, anche attraverso programmi integrati e programmi di recupero urbano, utilizzando le risorse finanziarie propria e/o provenienti dallo stesso scopo da altri soggetti pubblici. Inoltre progetta programmi integrati e programmi di recupero urbano e/o esegue opere di edilizia e di urbanizzazione per conto di enti pubblici; sviluppa attività collegate a programmi di edilizia residenziale pubblica siete nuove costruzioni sia per il recupero di patrimonio già esistente; gestisce il patrimonio proprio e gli altri enti pubblici comunque realizzato o acquisito e svolge ogni altra attività di edilizia residenziale pubblica.

Altre sue funzioni sono: • Stipulare convenzioni con gli enti locali o con altri operatori per la progettazione e/o l’esecuzione dell’attività consentite; • Esercitare attività di consulenza e assistenza tecnica a favore di operatori pubblici e non; • Intervenire, mediante l’utilizzazione di risorse proprie, non vincolati ad altri scopi istituzionali, sul mercato edilizio, realizzando abitazioni da locare o da vendere a prezzi economicamente competitivi; • Formulare proposte sulle localizzazioni degli interventi di edilizia residenziale pubblica.

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3. LA SITUAZIONE VERONESE

Ai fini della trattazione dell’argomento, risulta alquanto ridondante ripercorrere l’intera storia della città di Verona fin dalle sue origini romane. Si è pertanto scelto di toccare alcune epoche e specificare determinati passaggi storici che hanno in qualche modo influenzato la costruzione di case popolari. Si è descritto approfonditamente il periodo dopo l’unificazione d’Italia per spiegare il contesto della legge Luzzatti per passare poi al periodo fascista, cioè quello subito antecedente alla effettiva costruzione di case collettive. Infine si sono toccati i punti più rilevanti della storia, dalla Seconda Guerra Mondiale, alla ricostruzione, fino al boom economico e al risveglio della città negli anni ’60 e ’70.

3.1.1 La fondazione Dominata per secoli da diverse popolazioni, la sua posizione geografica è responsabile del ruolo assunto nel corso dei secoli. Fin dall’antichità è stata al centro di una raggiera viaria: per questo motivo fu difesa fin dai Romani, ai primi sintomi di cedimento dell’impero, con le Mura di Gallieno18, che ora sono state incorporate alle abitazioni e delle quali non rimangono esempi evidenti se non in cortili e giardini di case private. Si tratta del primo giro di mura di cui si abbia testimonianza visibile nella città e, essendo state costruite con materiale di recupero, nei pochi tratti ancora evidenti, sono ricoperte da iscrizioni provenienti probabilmente da monumenti più antichi presenti a Verona.

Nel medioevo divenne la sede-fortezza dei re goti, longobardi e franchi. La signoria scaligera, che resse Verona fino alla fine del XIV secolo, fece conoscere alla città un periodo di grande ricchezza e prosperità, sottolineato dalle notevoli opere architettoniche e urbanistiche realizzate in questo periodo. Inglobando i borghi esterni

18. Sistema difensivo di epoca romana costruito dall’omonimo imperatore. Le mura furono costruite intorno al 265 d.C. in diverse città padane per dare una serie di punti di appoggio tattici per le legioni che cercavano di contrastare l’avanzata di vari popoli barbari. Per la loro costruzione vennero riutilizzate pietre trovate in loco tramite l’abbattimento di edifici costruiti nel periodo di pace. L’Arena non fu toccata da queste demolizioni poiché costituiva un ottimo riparo in caso d’attacco, venne quindi inglobata nel tracciato delle mura.

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19. Michele Sanmicheli (San Michele Extra, 1484 – Verona, 1559) è stato un architetto e urbanista italiano di stampo manierista, tra i maggiori della sua epoca. Dopo aver soggiornato a Roma per compiere la sua formazione studiando l'arte di Bramante, Raffaello, Sansovino e Sangallo, rientrò a Verona dove riceverà, nel corso della vita, numerose e prestigiose commissioni. Ingaggiato dalla Serenissima come architetto militare, disegnò numerose fortificazioni nel vasto impero veneziano, assicurandosi così una grande fama. Infatti, oltre che in Italia, dove si possono trovare le sue opere a Venezia, Verona, Bergamo e Brescia, lavorò mol-

S. Zeno e Veronetta, e progettando nuove addizioni quali Cittadella e Valverde nella porzione a sud, gli scaligeri diedero la dimensione e la forma alla città che rimase praticamente invariata fino alla fine del XIX secolo. Altro importante intervento ad opera degli Scaligeri è stato l’imposizione di più ampie cinte murarie e fortificazioni, tra le quali spicca l’imponente Castelvecchio e l’annesso ponte.

Dopo la pace di Cambrai, la Repubblica di Venezia realizzò un vasto programma di difesa che interessò tutte le città venete. In quanto territorio di confine della Serenissima, il sistema delle mura di Verona costituiva uno dei più importanti della regione e rimane tuttora il più famoso grazie alla presenza delle porte principali della città, costruite dal Sanmicheli .19 Compito dell’architetto è stato quello di rettificare e completare il tracciato delle mura scaligere esistenti e costruire le porte o torrette di accesso alla città, tra cui le più famose sono Porta Nuova, ingresso meridionale, e Porta Palio. La prima porta, costruita tra il 1533 e il 1540, aveva la duplice funzione di baluardo militare tra i due bastioni della Santissima Trinità e dei Riformati, oltre alla funzione di importante nodo urbano nell’asse di comunicazione con l’attuale Corso Porta Nuova. Nel 1848, durante la dominazione austriaca, gli ingegneri militari aggiunsero, nelle sezioni laterali del fronte di campagna, altre due fornici stilisticamente simili a quelle del Sanmicheli, inoltre costruirono due bastioni laterali per ribadire il ruolo di estrema difesa della città che aveva la porta. La funzione militare venne mantenuta anche con l’avvento della dominazione asburgica, avvenuta, dopo trattati e accordi con Napoleone, nel 1814. Durante l’Ottocento, la città fu circondata da altre due linee difensive, una mediana e una esterna inserita nel territorio agricolo. Questo particolare tipo di difesa costituito da forti distaccati in campo trincerato, unito alla legge asburgica che poneva il divieto di edificazione nei territori posti fino a un miglio di distanza dalle

Litografia della pianta della cittĂ di Verona del 1882. Le zone scure indicano le aree sommerse dallâ&#x20AC;&#x2122;inondazione

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to in Dalmazia, a Zara, Sebenico, Creta e Corfù. Grazie ai soggiorni in queste ultime località fu probabilmente l'unico architetto italiano del sedicesimo secolo ad aver avuto l'opportunità di vedere e studiare l'architettura greca, possibile fonte di ispirazione per l'uso di colonne doriche senza basi. Instancabile lavoratore, oltre alle costruzioni di carattere militare, si occupò anche della progettazione di palazzi e architetture religiose di grande pregio.

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20.

L’alluvione, avvenuta nel settembre 1882, fu un duro colpo per la popolazione. I mulini natanti che si trovavano sul fiume, spinti dalla forza dell’acqua, ruppero le catene

fortificazioni, determinò la completa inedificabilità nel territorio intorno alla città, vietando addirittura le alberature intorno ai forti che si trovavano in condizioni di aperta campagna.

3.1.2 La dominazione austriaca e l’inizio del XX secolo Per comprendere la condizione di Verona al tempo della dominazione austriaca, basti pensare che nel 1866, all’annessione della città al Regno d’Italia, nel territorio si contavano ventinove forti distaccati e disposti secondo regole balistiche, e in aggiunta due forti avanzati vicino alla cinta magistrale. Considerando le condizioni di inedificabilità poste alla base di questo sistema in campo trincerato, non stupisce che lo sviluppo della città sia rimasto bloccato fino al 1910, quando è stata abrogata la legge che vietava la costruzione di edifici sulla Piazza d’armi, corrispondente al territorio attualmente occupato dalla Stazione di Porta Nuova e dagli insediamenti industriali della ZAI storica.

Data la forte presenza di uomini e mezzi sul territorio da parte dell’Impero, l’annessione all’Italia e il conseguente abbandono del contingente austriaco, determinò per Verona una profonda crisi economica. La situazione già precaria venne ulteriormente aggravata dalla tragica piena dell’Adige del 1882 . 20 Dagli anni ’90 del XIX secolo, la municipalità cominciò a chiedere all’autorità militare di poter entrare in possesso delle aree demaniali, per la costruzione di nuovi assi viari su cui espandere, fuori città, insediamenti produttivi e residenziali. I vincoli e le servitù militari, conservati fino al 1892, vennero progressivamente a cadere dopo il 1896 ma permasero nell’area a sud, dove forti del campo trincerato manterranno ancora per due decenni interesse militare.

Con il nuovo secolo, tuttavia, cominciò a delinearsi una situazione

Il canale dell’Acqua Morta

più positiva e si profilò una congiuntura economica favorevole, anche sul piano internazionale, allo sviluppo dell’industria. In Italia, e di conseguenza anche a Verona, tra il 1903 e il 1911 furono triplicati gli investimenti in impianti e attrezzature, mentre raddoppiò il numero di operai impiegati nel settore. L’importante impulso venne dato dalla nuova forma di energia introdotta all’inizio del secolo, l’elettricità. Per la sua produzione era sfruttata la quota meccanica non venduta fornita dal Canale anche se, come si è già visto, per la costruzione di una vera e propria centrale si dovrà attendere un ventennio circa. Per i primi anni, il supporto fondamentale all’indu

e si schiantarono contro Ponte Nuovo, distruggendolo. Il borgo dell’Isolo fu completamente sommerso. E’ a seguito di questo avvenimento che venne poi interrato e il corso del fiume parzialmente deviato in modo da proteggere maggiormente le case. Dopo la piena vennero anche eretti muraglioni per gli argini, sostituendo quelli decisamente precari che non avevano saputo resistere alla forza dell’acqua.

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stria, venne dato soprattutto dagli industriali provenienti dalle altre regioni, come il milanese Crespi. Tuttavia una nuova mentalità cominciò a diffondersi anche tra i possidenti veronesi che, pur continuando a privilegiare l’investimento terriero e agricolo, introdussero capitali anche nel settore industriale.

Nel 1905 senza far mistero delle difficoltà prodotte dai risanamenti e delle opere di abbellimento (sopraelevazioni) in centro città, l’ufficio del lavoro istituisce una commissione di studio per condurre un’inchiesta sulle case popolari, simile a quella di Milano del 1903.

La commissione opera in pieno accordo con il Comune e avvia il 5 marzo 1906 il censimento abitativo. Nel programma si vuole quantificare il fabbisogno dei ceti più deboli ma, non diversamente dal passato, la tendenza è quella di coprire i casi più clamorosi alla ricerca del consenso: il campione d’indagine è volutamente limitato agli alloggi fino a quattro stanze, dove è maggiore la densità abitativa, puntando il dito contro la grave situazione di molti quartieri entro mura.

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L’inchiesta avviene in un momento di passaggio tra l’amministrazione moderata e quella popolare: “La popolazione di Verona diminuiva. Ora invece per le industrie crescenti e per la conseguente immigrazione aumenta con movimento sensibilissimo. Urge preparare le case per i nuovi inquilini.” Ma lo IACP, organismo tradizionalmente in mano alle giunte moderate in chiave antisocialista, si riscontra nei comuni a guida popolare con la gestione diretta del

La riva di Sant’Alessio prima dei muraglioni e con

problema della casa.

Nel 1907 infatti, il socialista Todeschini, viene eletto deputato mentre il partito democratico, in crisi, cede L’Adige ai radicali, accusandoli di opportunismo politico. Questi ultimi Si alleano con i socialisti, sovvertendo gli equilibri del consiglio comunale di Verona dopo le elezioni amministrative nel luglio 1907. Con le nuove elezioni val potere il blocco popolare, che elegge sindaco il radicale Luigi Bellini Carminesali: nel programma troviamo ai primi posti la formazione di temi urbanistici, la costituzione per essi di un demanio di aree e la costruzione del quartiere di case popolari.

Ritardi vi furono tuttavia con le nuove e decisive leggi su case popolari 21 e suoli 22 tra 1907 1908, con le quali il settore della casa popolare diventa strategico nell’affermazione di piani di ampliamento.

Comunque dal 1910 ci si occupò anche dell’espansione residenziale, presentando un progetto per edilizia popolare in cui fu incluso il quartiere di Tombetta, posto esattamente a cuneo tra la zona della prima industrializzazione di Basso Acquar e quella che sarà l’area che vedrà nascere di lì a pochi anni i nuovi Magazzini Generali. Le altre zone residenziali, questa volta per la nuova borghesia, si costruirono a nord nei quartieri di Borgo Trento e Valdonega, perseguendo il mito della “città giardino”. In questi anni si costruisce e si delinea una tendenza urbanistica per la città di Verona che rimarrà praticamente invariata fino ai giorni nostri, dividendo la città a

21. I voti che rileviamo in materia di legislazione urbanistica, nonostante le amplissime e inapplicate competenze dei regolamenti edilizi, sono occupati da una serie di leggi d’appoggio, che vanno dalle “istruzioni ministeriali sull’igiene del suolo e dell’abitato” del 1896 alle leggi sulla casa; alla legge Luzzatti segue regio decreto numero 89 del 27/2/1908, “testo unico sulle case popolari ed economiche”, che all’articolo 20 dispone: “i comuni nei quali sia riconosciuta la necessità di risanare

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quartieri insalubri, di provvedere alla deficienza di alloggi e case popolari ed economiche dovranno compilare i piani regolatori e di ampliamento”.

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22. Legge numero 320 dell’8/7/1904, “legge portante provvedimenti per la città di Roma” e successiva legge n 502 dell’11/7/1907.

Profondamente innovative, esse si basano sulla

zone e assegnando ad ognuna di esse un ruolo e una classe sociale. Si va dalla borghesia e l’insediamento residenziale a nord, alla nobiltà cittadina e le attività terziarie nel centro storico, fino alla classe operaia e la funzione industriale a sud.

Il carattere vincente della nuova politica di espansione si rileva dai dati indicanti l’andamento demografico tra il 1911 e il 1931 in cui si nota una costanza nelle zone centrali ma un decisivo aumento in quelle periferiche. Il numero di abitanti del Comune di Verona subì una consistente impennata nel 1927, quando venne decisa l’annessione di dieci comuni compresi nella prima fascia periferica: Avesa, Quinzano, Parona, S. Massimo, Cà di David, S. Michele Extra, Montorio, S. Maria in Stelle, Quinto di Valpantena e S. Giovanni Lupatoto (ora tornato autonomo). La decisione di compiere questa annessione aveva soprattutto valore economico, in quanto garantiva al Comune maggiori entrate che potevano essere investite per finanziare nuove opere urbanistiche.

Pagina precedente: pianta di Verona (1907-1908) che mostra l’assetto della città dopo i lavori nell’Adige e nel canale dell’acqua morta

3.1.3 Il ventennio fascista: sviluppo urbanistico ed espansione territoriale Fino a questo momento, lo sviluppo della città avvenne sempre per piccoli progetti promossi dall’Amministrazione o dalle personalità più influenti nella vita cittadina, ma che si limitavano a considerare soltanto quartieri o piccole porzioni di territorio, causando un’ac cozzaglia disomogenea di interventi che non favorirono di certo uno sviluppo ordinato. Dal 1931 cominciò a prendere piede l’idea di bandire un concorso per la stesura del nuovo Piano Regolatore della città. Il bando stabilì alcuni principi a cui i concorrenti dovevano attenersi nella stesura dei progetti: - evitare sventramenti, limitandosi a prevedere diradamenti per migliorare la viabilità; - studiare il sistema delle comunicazioni in modo da non aumentare ma anzi diminuire il traffico nelle zone più interne della città - in particolare intorno a Piazza Erbe - spostando il centro amministrativo in Piazza Bra, circondata da vie molto più ampie e scorrevoli; - disegnare i quartieri di espansione tenendo conto dei piani già in corso di esecuzione.

tassazione del patrimonio fondiario, quindi sulla pubblicizzazione di una quota degli incrementi di valore delle aree.

Rispetto alle leggi precedenti, quindi, piuttosto che sovvenzionare il Comune, si preferisce fornirlo di strumenti normativi tali da prenderlo finanziariamente autonomo e da metterlo in grado eventualmente di governare l’espansione urbana attraverso un’opportuna politica degli espropri.

Alla scadenza del concorso, nel luglio 1932, si contavano quattordici progetti. La cosa più interessante che si nota, leggendo i documenti inerenti ai progetti presentati durante il concorso, è la percezione che si aveva della città di Verona negli anni ’30 del XX secolo. La città era vista come divisa in zone ben distinte, aventi ognuna una densità e delle caratteristiche ben precise. Si passava dalla città romana racchiusa tra l’ansa del fiume e le mura, caratterizzata da un’alta densità edilizia con strade molto strette e poca 73

Pianta della cittĂ di Verona del 1927

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distinzione sulla loro gerarchia, alla città compresa tra le mura romane e quelle comunali, con larghe strade ma egualmente densa di costruzioni, a quella entro le mura scaligere con una costruzione continua sul fronte stradale ma vuota all’interno degli isolati e con vaste zone ancora da costruire a causa delle servitù militari. Infine i nuovi quartieri, quello a sinistra dell’Adige, ora chiamato Borgo Trento, con una forte differenza di costruzioni tra la zona pianeggiante e quella collinare ma con strade larghe e facilmente percorribili, fino ai quartieri esterni, sorti tutti su assi stradali provinciali e completamente privi di servizi. Tutti i piani presentavano, aldilà delle diverse metodologie di approccio, ipotesi sostanzialmente analoghe di intervento nel nucleo antico, per il quale si proponeva di intervenire sui punti di minima resistenza con la tecnica del diradamento edilizio.

Nel 1935, mescolando insieme le idee arrivate dal concorso di tre anni prima, fu varato un nuovo PRG, molto dettagliato per il centro ma assolutamente inadeguato per le periferie che erano il luogo maggiormente bisognoso di ordine e rigore. Successivamente, nel 1937, venne istituito un ufficio urbanistico, con il compito di approntare “piani particolareggiati di attuazione del piano stesso”. La stesura definitiva del piano arrivò soltanto nel 1939 e fu subito sottoposta al Ministero dei Lavori Pubblici ma l’approvazione venne posposta alla promulgazione della nuova Legge Urbanistica Nazionale, allora in corso di discussione, del 1942 e in seguito, gli eventi bellici, ne impedirono l’effettiva applicazione 23 .

23. M. Vittorini (a cura di), PRG ’93. Quaderno 1: Criteri di impostazione e prime proposte di tutela e intervento, Comune di Verona – Assessorato all’Urbanistica, Verona 1992, p.

60. (31) G. Fassio, Verona nei quattro anni di amministrazione comunale fascista, X maggio MCMXXIII – XXIII dicembre MCMXXXVI, Verona 1927.

Gli anni del fascismo a Verona saranno però ricordati maggiormente per le importanti opere urbanistiche attuate, siano esse state positive per la città o meno. In un volume che celebra i primi quattro anni di attività della nuova amministrazione, è esemplificata la

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Pagina seguente: Ettore Fagiuoli, progetto di sistemazione del Ghetto (1924)

“fascistissima efficienza” in un puntiglioso elenco di 130 pagine con descritti progetti e realizzazioni: dalle opere pubbliche tra cui il ripristino di Castelvecchio e la messa in funzione del Teatro Romano, agli interventi di valorizzazione dei monumenti cittadini, dallo sviluppo edilizio alla realizzazione di nuovi edifici di servizio. Sicuramente l’intervento che suscitò maggior scalpore in quegli anni fu la decisione di abbattere l’antico ghetto ebraico che si stendeva alle spalle di Piazza Erbe e che costituiva uno dei rari esempi sopravvissuti di conformazione viaria medievale in città. Le prime proposte per un’azione di questo tipo vennero presentate già all’alba della Prima Guerra Mondiale che fu proprio la causa principale che non fece portare a termine la questione. La politica urbanistica fascista si svolse in tutte le città italiane in modo pressoché identico. Il fine ultimo dei lavori attuati sembrò essere quello di trasformare il volto delle città per adeguarle a un unico ideale di decoro urbano, che esprimesse il vigore e la potenza ambiti da coloro che reggevano le sorti del paese.

Dopo la guerra, la questione dell’abbattimento del Ghetto, per far posto a un nuovo istituto di credito, fu riproposta dai nuovi programmi di risanamento urbano del regime. Appare evidente come un’area prospiciente Piazza Erbe fosse un investimento speculativo di altissima resa e, come in tutte le aree simili nel centro storico, l’intervento su di essa fu giustificato in nome del risanamento urbano e dell’opportunità di creare alloggi più decorosi. La questione dell’intangibilità di Piazza Erbe, risalente all’epoca romana e monumento indispensabile per la città di Verona, fu elusa evitando semplicemente di intervenire sulla cortina di case che si affacciavano sull’invaso della piazza. Il Ghetto fu infine sventrato nel 1924 e nell’operazione si procedette anche ad abbattere alcuni edifici di epoca scaligera per far posto alla nuova sede del Palazzo delle 76

Poste, costruito poi nello stile pittoresco che a Verona riscuoteva molto successo.

Direttamente conseguente all’operazione fu la costruzione di nuovi edifici per le famiglie sfrattate dalle aree demolite. E’ il caso del quartiere San Bernardino, nato nel 1926, e di altri interventi, tra i primi extra moenia, che vanno ad aggiungersi ai quartieri modello di Porta Palio, Borgo San Pancrazio e Tombetta, realizzati prima della guerra in seguito ad altrettanti piani di ampliamento. Nel 1924 vennero varati anche i primi piani per le aree di Borgo Venezia, San Pancrazio, Santa Lucia, Borgo Roma e della zona fuori Porta Palio, tuttavia il concetto di piano si espletava esclusivamente attraverso un riordino viabilistico fine a se stesso, che non aggiungeva nessun servizio ai quartieri in questione.

Riguardo alla politica della casa, un altro intervento urbanistico che ne favorì lo sviluppo in un’area prima dedicata all’aperta campa-

24. Ettore Fagiuoli (1884 –1961) è stato un architetto e scenografo italiano celebre per le sue opere a Verona e provincia oltre che per le sue scenografie del festival lirico areniano. Laureatosi in architettura nel 1908 al politecnico di Milano fece subito delle esperienze professionali in chiave eclettica.

Nel 1911 torna a Verona e inizia a collaborare con

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la soprintendenza ai Monumenti.

A Verona inizia la costruzione di numerosi villini signorili nell’area di Borgo Trento.

Nel 1913 supera lo stile liberty con la presentazione del progetto, classificatosi poi terzo, per la nuova sede della Cassa di Risparmio, in piazza delle Erbe, di chiara ispirazione neoclassica con elementi mittel-europei.

Sempre nel 1913 inizia l’attività di scenografo allestendo le scene di Aida: attività che lo porterà a firmare ben 37 scenografie, fino al 1950. Tra il 1922-26, progetta il nuovo palazzo delle poste nell’area ricavata dall’abbattimento di alcune case: in generale è molto attivo durante il fascismo. Tra

gna, fu la costruzione del Ponte della Vittoria tra il 1928 e il 1930.

Dedicato alla vittoria di Vittorio Veneto e alla celebrazione dei veronesi caduti, il ponte collegava il nucleo storico entro l’ansa dell’Adige con il nuovo quartiere borghese di Borgo Trento.

La vocazione ricca del quartiere era sempre stata chiara anche prima della costruzione del passaggio, visto che l’unico punto di accesso era quello attraverso Ponte Garibaldi per la cui costruzione la ditta aveva chiesto al Comune di poter applicare una tariffa di passaggio, non esattamente una cosa che potesse permettersi la povera gente.

La prima proposta per la costruzione del ponte fu lanciata nel 1921 dall’Associazione degli ex combattenti e la mozione venne prontamente raccolta e inserita nel programma elettorale dell’Amministrazione fascista. Tuttavia, solo il 10 luglio 1924, portate a termine tutte le procedure, venne finalmente bandito il relativo concorso nazionale. Il progetto vincitore, tra quaranta partecipanti, fu quello di Ettore Fagiuoli 24, che sarà autore di numerosi altri progetti durante il periodo di Amministrazione fascista.

L’ultima azione compiuta dall’Amministrazione fascista rientrò anch’essa nei programmi di risanamento urbano e fu l’abbattimento, nel 1935, delle case popolari su Lungadige San’Alessio, uno dei luoghi allora più suggestivi di Verona. Scomparve, ufficialmente per i consueti motivi di sicurezza e decoro urbano, in realtà per consentire l’allargamento della strada che usciva dalla città in direzione di Trento e della Germania. Contro la demolizione lottò anche il Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti che espresse parere assolutamente contrario. Fu lo stesso Consiglio che due anni più tardi sostenne l’istituzione dell’Ufficio urbanistico del Comune, per evitare in futuro danni quali quelli perpetrati al paesaggio storico in epoca fascista.

3.1.4 La ricostruzione: primi piani urbanistici Come si è visto la maggior parte degli interventi perpetrati in epoca fascista, si trovano all’interno della cerchia della Verona storica. E proprio la Verona storica sarà quella maggiormente colpita dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Il carattere di “confine” del territorio veronese e la forte presenza tedesca all’interno della città, la fecero oggetto di circa 100 bombardamenti da parte delle forze alleate. Gli edifici distrutti o lesionati gravemente furono più del 45% e tra questi si contarono il Municipio, il Teatro Filarmonico, tutti i ponti sull’Adige fatti saltare uno a uno dai tedeschi durante la ritirata, Castelvecchio, la Biblioteca Civica e molti Palazzi signorili nel centro storico. Oltre a questi danni, fra le vie più antiche della città si aprirono veri e propri varchi negli edifici, mentre altre porzioni di Verona, come Porto San Pancrazio, furono letteralmente rase al suolo . 25 Già nell’agosto del ‘45 la giunta municipale ritiene di affidare l’incarico alla redazione del piano di ricostruzione ad un professionista come Plinio Marconi 26, al quale viene commissionata anche la revisione del piano del 1939, per aggiornarlo alla nuova situazione creata dalla guerra. È lo stesso Marconi a suggerire termini dell’incarico: inizia così una frenetica attività di progettazione (e di rilievo, oltre che dei danni bellici, anche di alcune zone della città il cui materiale cartografico era andato distrutto), in quanto il piano di ricostruzione doveva essere adottato entro tre mesi.

Il 20 novembre 1945 la giunta affianca a Marconi un’apposita commissione consultiva per il PRG e per il piano di ricostruzione collegate all’ufficio tecnico municipale e composta principalmente da cittadini che possono arrecare un valido apporto alla risoluzione dei problemi urbanistici ed estetici della città. Verona sarà poi inclusa, dopo numerosi e pressanti appelli, negli elenchi dei comuni

il 1929 e il 1935 realizza, con la c o l l a b o ra z i o n e dell'ingegner Caracciolo per la parte meccanica, la Casa «il Girasole» a Marcellise, in provincia di Verona, da un progetto precedente dell'architetto Angelo Invernizzi. La particolarità della villa è di ruotare sul proprio asse per seguire il corso del sole durante l'intero arco della giornata. Negli anni seguenti, e fino alla sua morte avvenuta nel 1961, si occupa di numerosi progetti a Verona e provincia.

25. op. cit.

M.F. Coppari, G.P. Marchi, I segni della Verona del Novecento, Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, Verona 1995, p.

129.

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Marconi: piano di ricostruzione della città di Verona (1945-46) (BCVr)

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26. Plinio Marconi (1893 –1974) è stato un architetto e urbanista italiano.

Studia Architettura al Politecnico di Torino, dove rimane fino alla prima guerra mondiale, quando viene chiamato come tenente nel corpo dell’Artiglieria di montagna. A conflitto concluso si trasferisce a Roma con i fratelli, dove consegue la laurea in Ingegneria edile con il massimo dei voti.

Nel 1933 si costituisce la Scuola di perfezionamento in urbanistica: Marconi matura l’idea di una sua scelta a favore dell’Urbanistica.

Per Marconi l’urbanistica deve essere un problema tecnico, fondarsi su basi solide e certe, rimuovendo ogni estetismo.

“Sensibilità e tec-

che debbano redigere il piano di ricostruzione, beneficiando quindi delle agevolazioni previste (decreto ministeriale n. 1375 del 28/5/ 1946).

Come stabilito, il piano di ricostruzione riguardava lo studio delle sole parti interessate dalle distruzioni belliche: valeva quindi con il piano particolareggiato. Mancando un piano precedente (quella del 1939 non era stato approvato), il piano di ricostruzione non può sostituirsi al PRG, che sarà quindi redatto più tardi: e dunque nelle maglie del PRG che Marconi tesse il piano di ricostruzione, limitato alle regioni colpite dalla guerra nelle quali esistono temi urbanistici di qualche rilievo.

Il lavoro può essere diviso in tre fasi: la prima riguarda la rielaborazione sommaria del piano del 1939, introducendo le varianti necessarie in rapporto alla nuova situazione; la seconda concerne lo studio del piano di ricostruzione mentre la terza riguarda la stesura definitiva del nuovo PRG. 3.1.5 Prima fase Qui Marconi inizia dal comparare cinque progetti premiati nel corso del 1931: egli rileva fondamentalmente i tracciati principali. Le variazioni da apportarvi sono, a suo parere, relative da alcuni percorsi che potranno essere modificati, soprattutto approfittando delle avvenute distruzioni, per ottenere migliori lottizzazioni relativamente all’orientamento. Dovrà inoltre affrontare la sistemazione dei monumenti del nucleo storico e gli ambienti edilizi più caratteristici toccati dalla guerra. Le prime soluzioni studiate riguardano la visualizzazione, i quartieri di marca, le zone caratteristiche speciali e i tracciati stradali. Lo schema presentato dispone di nuovi quartieri residenziali, centri industriali, commerciali, installazioni

sportive eccetera, e definisce i caratteri delle singole zone secondo tipi edilizi individuati qualitativamente e metricamente mediante apposite norme. In questo modo l’ufficio tecnico comunale e Marconi possono procedere allo sviluppo di dettaglio del PRG e all’elaborazione del piano di ricostruzione.

3.1.6 Il piano di ricostruzione La produzione di nuove abitazioni private viene formalmente vietata in tutta Italia fino alla fine del 1947, per dar modo a uomini e mezzi di riparare le case meno gravemente danneggiate e far fronte alla questione abitativa. Si riprenderà presto costruire a ritmi sostenuti: tra il 1945 e il 1954 il Comune di Verona ha autorizzato il 60% dei vani abitativi di nuova fabbricazione.

Dal punto di vista tipologico, quantitativamente prevarranno forme di edificazione su lotto, ovvero edifici non contigui agli adiacenti e arretrati rispetto al fronte stradale. Nei quartieri residenziali degli anni 50 ricorrono le tipiche palazzine del piano INA casa e delle cooperative promosse dalla legge Tupini 27; ma le zone di Verona su cui il PRG proietterà maggiormente questa nuova edificazione saranno Borgo Roma e Borgo Milano, il primo ampliato con basse densità, il secondo con volumetrie intensive e semi-intensive.

Il 9 ottobre 1946 il consiglio comunale approva il piano di ricostruzione, ad eccezione della parte riguardante Piazza San Nicolò che verrà redatta in un’altra variante nel 1948. Lo strumento piano di ricostruzione, non previsto dalla legge del 1942, avevano scopo limitato di stabilire nuovi allineamenti, variando quelli esistenti o indicando zone alternative, prima che la ricostruzione avvenisse in modo spontaneo. In questo modo i piani avevano procedure di at-

nica debbono essere intese unitariamente ed ogni valore contenuto nel giusto piano”.

Nel periodo tra le due guerre partecipa a numerosi concorsi per piani regolatori: Verona (1932), Pistoia (1935), Aprilia (Italia) (1936), Bologna (1938). Il disegno è un mezzo fondamentale di trasmissione delle conoscenze all’interno della comunità disciplinare e per questo deve rispondere a requisiti di chiarezza e immediata comprensibilità È un modo per dare credibilità alla disciplina “contro l’urbanistica agnostica di tanti uffici tecnici comunali”. I piani sono per Marconi il “luogo” per fare urbanistica. I suoi piani hanno un’impronta inconfondibile, con

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le tavole preparate da lui stesso, dando loro una “forma” riconoscibile e ripetibile.

Lavora anche per il governo di Tunisi, progettando venti arrondissements a Tunisi e quello della penisola di Capo Bon (1966).

Importanti i quartieri di edilizia popolare Ina- Casa a Valdagno e Verona (1949), a San Lazzaro di Savena e Forlì (1954), a Correggio (1956), a Salerno, Pastena e Roma – Torre Spaccata (1958).

Nel 1963 diventa preside della Facoltà di Architettura di Roma, carica che tiene per due mandati in un periodo segnato dalla rivolta studentesca.

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27. Legge Tupini (legge 408 del 02.07.1949 art.13): rientra-

tuazione molto più veloce del consueto e un contenuto tecnico ovviamente più limitato. Marconi a Verona, invece, prima di redigere il piano di ricostruzione traccia schematicamente il PRG e a questo coordina il piano di ricostruzione. Quest’ultimo non comprenderà quindi tutti i vincoli contenuti nel PRG, ma solo quelli relativi alle distruzioni e alle piangenti necessità di occupazione. È importante sottolineare il legame esistente tra quelle che Marconi chiama prima e seconda fase (ovvero il PRG e piano di ricostruzione): per entrambi viene redatta una sola relazione e un unico quadro di norme urbanistico-edilizie. Le norme urbanistico edilizie saranno poi provvisoriamente inserite nel regolamento edilizio vigente, in modo da disciplinare fin da subito l’attività costruttiva.

Tale procedura implica un notevole dettaglio del disegno del piano e, per quanto riguarda le espansioni residenziali, l’utilizzo di lottizzazioni regolari con l’applicazione di tipi edilizi ben definiti.

3.1.7 Il piano regolatore generale Le analisi volte a conoscere l’organismo urbano costituiscono l’operazione preliminare alla redazione del PRG. L’esigenza è quella di evitare effetti negativi associati al traffico interno della cinta muraria: per questo vengono riprese delle linee guida già viste nei precedenti concorsi per la redazione dei piani urbanistici di Verona.

Il criterio fondamentale presieduto al progetto è comunque quello di non alterare in nessun modo il carattere edilizio e architettonico interno, limitandosi a caldo ti diradamenti nelle zone più colpite dalle distruzioni belliche. Evitare quindi il più possibile trasformazione sventramenti del centro storico e conservarne gli elementi architettonici: questi due tra i sei criteri del programma di concorso per il PRG del 1931, a sottolineare la continuità tra la cultura e l’at-

tività urbanistica del prima e del dopoguerra.

Marconi introduce, già livello di Pierluigi, tutte le prescrizioni necessarie a conseguire almeno una corretta distribuzione dei corpi edilizi: è questa l’operazione che esegue Verona, mediante l’utilizzo di due strumenti combinati, il piano di ricostruzione e il PRG. Attraverso tale successione di piani Marconi ritiene di poter tenere sotto controllo il territorio in modo che l’equilibrio spaziale sia costante e le fasi di attuazione si pongano come altrettanti stati di equilibrio nel processo di sviluppo pianificato. In attuazione vieni quindi tecnicamente progettata e prevista nel dettaglio, diventando controllabile e illuminando le decisioni future. Tali prescrizioni, valide tanto per il PRG che per il piano di ricostruzione, quanto più precise e determinate, sono la garanzia del disegno della città. Ma questa impostazione del piano, retto da così rigorose norme, viene scompigliata in occasione della sua approvazione da parte del consiglio comunale del 1954: è in questa sede che viene modificato il regolamento edilizio, contro il parere di Marconi. Il piano dell’urbanistica Marconi quindi cambia e cede agli interessi della logica di mercato.

La fase di ricostruzione portò comunque una nuova sensibilità verso problemi ambientali e di tutela del patrimonio storico-artistico veronese. Il vincolo paesistico esistente sin dal 1924 per la collina di Porta Vescovo e Porta San Giorgio fu esteso, nel 1956, alla zona collinare a nord della città. Nel 1959 furono sottoposti a tutela i Lungadigi e nel 1966 le pressioni della Soprintendenza portarono al Decreto Ministeriale che sottopose tutto il centro storico, racchiuso all’interno delle mura, allo stesso vincolo. La reazione del Comune fu di netta opposizione e il braccio di ferro tra le due parti continuò fino agli anni ’70 e oltre. Dal 2000, comunque, la città di Verona e in particolare il centro storico, è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’umanità.

no nei requisiti di edifici Tupini tutte le costruzioni non di lusso che abbiano almeno il 50% della superficie totale fuori terra adibita ad abitazioni e non più del 25% destinato a superficie commerciale. Nella superficie delle abitazioni si considerano balconi e terrazze.

83

3.2 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO STORICO POLITICO: GLI ANNI50, 60, 70 E 80 Nel 1948 la crisi nel settore edilizio è già in atto. Le cause sono molteplici, ma vanno per lo più identificate nella mancanza di un programma di agevolazioni all’edilizia, che si trova di fronte a un calo della domanda e ad un aumento abnorme dei prezzi dei materiali da costruzione. Il calo della domanda nasceva dal fatto che il provvedimento del blocco dei fitti è stato prorogato, a parere dei co struttori senza una vera ragione, disincentivando chi intendeva costruire abitazioni da dare in affitto.

Ecco quindi che il primo concreto intervento che i costruttori chiedono al Governo è lo sblocco dei fitti: prima di tutto dei locali adibiti ad uso diverso dall’abitazione, poi delle abitazioni civili e di lusso occupate da inquilini a reddito elevato e, successivamente, lo sblocco per tutte le abitazioni. Per lo Stato, tra l’altro, una ripresa del settore significherebbe un alleggerimento dell’onere della cassa integrazione, alla quale ormai devono ricorrere non soltanto imprese edilizie ma anche le aziende che producono accessori per l’edilizia risultano coinvolte dalla crisi.

Le pressioni costanti e l’aggravarsi della crisi inducono il Governo a varare i molto attesi provvedimenti: all’inizio del 1949 infatti il Consiglio dei Ministri emana le disposizioni per incrementare l’edilizia privata e pubblica: si concede un contributo costante trentennale del 4% sull’ammontare della spesa riconosciuta ammissibile per la ricostruzione; si concedono agevolazioni fiscali per la “costruzione di case di civile abitazione che non abbiano caratteristiche di lusso, con esenzione venticinquennale dall’imposta sui fabbricati e sensi84

bili riduzioni sull’imposta di registro e ipotecaria.

A Verona, il Collegio dei Costruttori risponde alla crisi con iniziative qualificate e qualificanti: nel marzo del 1949 prende avvio un corso di specializzazione per muratori, carpentieri e cementisti, finanziato con un «contributo scuole» corrisposto nel 1947 e nel 1948 dalle imprese di costruzioni della provincia di Verona. È del 1949, infatti, la costituzione della Fondazione Edilscuola.

Le leggi del 1949, e poi, forse ancor più, il famoso “piano Fanfani ” 28, e la legge Aldisio 29 dell’agosto del 1950 (che istituisce un fondo di 25 miliardi per l’incremento edilizio e che favorisce i piccoli risparmiatori, concedendo mutui fino al 75% della spesa effettiva della costruzione, con una previsione di 80mila nuovi vani) danno finalmente una boccata d’ossigeno all’intero settore, che riprende fiato dopo una stasi davvero pesantissima.

Per molte imprese, tuttavia, è già troppo tardi e il numero dei fallimenti raggiunge cifre molto alte.

28. vedi cap. 1

29. Legge 10 agosto 1950 n.

715, costituzione di un “fondo per l’incremento edilizio” destinato a sollecitare le attività di edilizia privata per la concessione i mutui per la costruzione di case di abitazione, art. n. 9

Nella morsa della crisi a pagare di più sono le medie imprese sviluppatesi nei periodi di molto lavoro seguiti alla fine della guerra con assunzione di personale, spesso approssimative nella gestione e disposte a ribassi nelle gare d’appalto pur di ottenere commesse pubbliche, e penalizzate quindi dagli enormi ritardi nella liquidazione dei lavori e dalle sistematiche inadempienze delle Pubbliche Amministrazioni appaltanti, con conseguenti crisi di liquidità e difficoltà estrema nell’accedere al credito.

Le grandi imprese si garantiscono da sole grazie alla minor concorrenza negli appalti e la maggiore possibilità di ottenere credito dalle banche; le piccole d’altro canto si salvano grazie alla loro maggiore elasticità e all’assenza di personale fisso cui dover provvedere.

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3.2.1. Anni Cinquanta (1952-1960) Dal confronto elettorale del 1951 viene eletto sindaco Giovanni Uberti, famoso per essere stato sempre in prima fila a favore dei meno abbienti in difficoltà sui problemi della casa, della famiglia, del lavoro. Uberti si distinse per la sua contrarietà agli sfratti e per l’impegno a fornire un’abitazione alle numerose famiglie che si ammassavano nei bastioni o nei forti austriaci. Al Villaggio dell’Oca costruì “case di passaggio”, in cui alloggiare provvisoriamente famiglie in attesa di una sistemazione più adeguata.

Il 1952 apre un periodo decisamente più prospero per le imprese costruttrici, che registrano un aumento della produzione del 30% rispetto al 1951. Sul totale dei vani costruiti in Italia (700.000) il 40% è rappresentato da edilizia sovvenzionata.

Anche a Verona si registra una tendenza complessivamente soddisfacente, dovuta in buona parte a commesse pubbliche o di grandi Enti (Case INCIS, INA, alloggi popolari della Cassa di Risparmio per i propri dipendenti e via dicendo).

Scatta anche il piano poliennale dell’ANAS per il miglioramento della rete stradale nazionale che interessa anche la mia provincia; stanno anche per iniziare i lavori per la costruzione del tratto autostradale Padova-Brescia, la cui realizzazione, sospesa a causa della guerra, porterà ora al completamento dell’autostrada Torino-Venezia. Di grandissimo rilievo il fatto che nel 1954 l’amministrazione Uberti vara il Piano Regolatore Generale, affidato all’arch. Plinio Marconi, di cui abbiamo ampliamente descritto nelle pagine precedenti.

Il PRG del 1954 ribadisce in sostanza le norme del Piano di Ricostruzione del 1946: rispetto per il centro storico, salvaguardia delle aree di interesse storico e paesistico, individuazione delle zone di 86

Una scultura di Libero Cecchini

futura espansione.

Nel 1955 può dirsi quindi concluso il primo periodo post- bellico, quello della ricostruzione: moltissime le realizzazioni di quegli anni, ovviamente, sia in città che in provincia.

Il decennio seguente, 1955-65, è caratterizzato sia dall’iniziativa privata che, in misura più rilevante, da investimenti pubblici, promossi per dotare delle indispensabili infrastrutture (strade, scuole, chiese, fognature...) quelle aree nelle quali sorgono via via le nuove unità abitative finanziate da privati.

Il Collegio dei Costruttori di Verona apre questo secondo decennio di attività con due iniziative di rilievo: la prima prende vita nel 1955 e ha carattere umanitario e sociale ed è rivolta ai figli dei lavoratori dell’edilizia, inviati alle colonie estive alpine e montane. La seconda importante iniziativa è del marzo del 1956: viene inaugurata la nuova sede della Scuola d’istruzione Professionale dei lavoratori dell’edilizia voluta dal Collegio dei Costruttori e dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori edili. Realizzata dall’architetto Libero Cecchini, la nuova sede sorge a Est della città, a lato della strada comunale Verona-San Michele e concentra in una superficie coperta di 655 metri quadri, le aule per l’insegnamento teorico, la direzione, il refettorio e i vari servizi.

In questo periodo Cecchini è molto impegnato, è cresciuto tanto professionalmente e, pur continuando a farlo, inizia già a raccoglierne i frutti. Diventa docente e poi direttore della Scuola Del Marmo, oltre che socio dell’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona, di cui sarà vicepresidente per l’indirizzo artistico per venticinque anni.

Mentre continua a svolgere l’attività di scultore, realizzando opere in marmo, bronzo e legno, avvia un’importante ricerca sulla pre87

compressione della pietra e ne sperimenta positivamente gli esiti in diverse realizzazioni.

Il 1956 segna l’operare di Cecchini in maniera incancellabile: assistendo ad’una lezione tenuta da Le Corbusier a Torino, il suo operare si arricchisce del plasticismo materico del maestro svizzero. Inoltre, la sua personale posizione nei confronti di storia architettura e natura si avvicina inconsapevolmente all’organicismo di Wright e soprattutto di Aalto, che si scorge in particolare nei progetti delle ville private.

La situazione edilizia nel 1957 conferma la tendenza (già rilevata negli anni precedenti) alla concentrazione di costruzioni nei centri di maggior ampiezza, determinata dal crescente fenomeno dell’inurbamento. I Comuni capoluogo e quelli con più di 20.000 abitanti raggruppano il 65,3 % delle abitazioni costruite nel 1957, la maggior parte delle quali composte da appartamenti di 3/4 vani che risultano i più richiesti sul mercato in seguito al progressivo sblocco dei fitti. Si registra infatti l’abbandono di vecchi appartamenti di grandi dimensioni in favore di alloggi di più recente costruzione e di minore metratura.

La mancanza di progettazioni per grandi opere pubbliche incide pesantemente sull’occupazione, che nonostante il fervore dell’iniziativa privata cala dell’8 %.

E’ un momento di transizione per il mercato edilizio, che registra anche qualche cedimento. Il basso reddito ricavabile da appartamenti dati in affitto sconsiglia investimenti privati in quella direzione; gli investimenti pubblici tendono, come già si è detto, a completare l’iniziativa privata con infrastrutture, ma non prevedono interventi di edilizia popolare a costi contenuti per i ceti meno abbienti: soltanto 1/5 delle abitazioni costruite dalla fine della guerra alla metà degli anni Cinquanta sono dovute ad edilizia sovvenzionata (INA Casa, Istituto Case Popolari, cooperative edilizie) mentre 88

Gli uffici finanziari sono degli anni Sessanta

i restanti 4/5 sono dovuti al finanziamento privato estremamente attivo: l’Italia è uno dei Paesi in cui, proporzionalmente alla superficie territoriale, si costruiscono più case, ad un ritmo così intenso che in alcuni periodi del dopoguerra è stato di tre vani al minuto; di ancor maggior intensità è però l’incremento demografico, che ha visto i 41 milioni di abitanti del 1938 divenire 50 milioni nel 1958. È evidente però che l’abnorme produzione edilizia degli anni 195556 non può continuare all’infinito, ed è il 1958 a segnare la svolta negativa nel mercato. Si parla di crisi, ma in realtà si tratta di un ritorno alla normalità, prevedibile secondo i più attenti osservatori del mercato, ma purtroppo inatteso per la maggior parte delle imprese edilizie.

Nel 1959, pochi giorni prima del collaudo di Ponte Pietra, sposa Argenta, un giorno speciale in mezzo alla staticità del mercato edilizio.

3.2.2. Anni Sessanta (1960-1970) Gli anni Sessanta segnano il consolidamento definitivo per molte aziende venete e veronesi. Tra il 1961 e il 1971 il reddito medio della provincia di Verona viene più che triplicato, passando da 221 a 714 miliardi di lire (+ 320 per cento!) e viene a triplicarsi anche il reddito netto pro capite che passa da 333mila a 920mila lire, restando costantemente al di sopra del dato nazionale (nel 1961 lo supererà del 4,2 per cento mentre nel 1971 il divario sarà di un + 3,6 per cento).

E’ di questo decennio l’espansione industriale anche nei centri comunali attorno al capoluogo, cosiddetti “a corona”. Proprio alla fine di questo decennio verrà coniata (in uno studio dell’IRSEV, l’Istituto Regionale di Ricerche Socioeconomiche) la definizione di “modello veneto” di sviluppo, che sarà alla base, alla fine del seco89

Schizzi progettuali del brefotrofio di Verona

30. La Cassa è un ente di natura contrattuale, emanazione cioè della c o n t ra t t a z i o n e collettiva nazionale e territoriale del settore edile. Compito della Cassa e quello di fornire ai lavoratori dipendenti dalle imprese edili industriali e artigianali una serie di prestazioni che garantiscano all’operaio edile un trattamento salariale parificabile a quello goduto dagli occupati negli altri comparti industriali basati su impianti fissi.

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lo, del tanto propagandato “modello Nordest”.

Per il settore edile peraltro il decennio inizia sotto cattivi auspici, con l’ennesima proroga degli affitti (21 dicembre 1960), che promette un aumento del 20 per cento per gli appartamenti e del 25 per cento per gli uffici. A conoscere un autentico sviluppo, in questo periodo, è solo l’industria dei laterizi. Nel 1960 vengono realizzati 12108 vani, 9328 nel 1961, 12288 nel 1962. La lira però comincia a deprezzarsi, sale il costo della vita e le famiglie devono cominciare a tagliare le loro spese.

Nel gennaio del 1962 il Parlamento approva la costituzione dell’Albo Nazionale dei Costruttori che mette finalmente ordine tra le aziende che possono concorrere agli appalti dello Stato e degli enti pubblici. L’inceppamento ormai forte nella vendita degli immobili porta le imprese a concedere dilazioni di pagamento sempre più ampie, mentre la mancanza di nuovi piani regolatori aumenta i problemi per il settore, che trova sempre meno aree edificabili sul territorio.

Il 1° gennaio del 1962 viene costituita la Cassa Edile 30 . È sempre il 1962 l’anno della tanto attesa legge di riforma dell’urbanistica, la 167, che però ottiene risultati assolutamente controversi, aggiungendo incertezze, appesantendo la burocrazia e creando nuovi problemi. Solo due anni più tardi, nel 1964, ci si troverà così di fronte ad uno dei peggiori anni in assoluto per il settore edile.

Nei primi quattro mesi i progetti per realizzare nuove costruzioni segnano un calo di circa un terzo rispetto all’anno precedente. E nell’intero triennio tra il 1960 e il 1963, i dati ufficiali indicano una diminuzione del 63 per cento delle ore lavorate in edilizia pubblica.

La compravendita di immobili è quindi ridotta al minimo. Sono bloccate le vendite di aree fabbricabili, va in crisi il comparto degli immobili ad uso commerciale, si incaglia il mercato della seconda casa. Per Verona questo significa un freno allo sviluppo delle aree

Prospetto del brefotrofio

della montagna e del lago.

Nel corso del 1964 le unità complete ma invendute sono in Italia ben 300mila, due terzi delle quali con- centrate nei capoluoghi di provincia. Il 20 per cento delle case realizzate tra il marzo 1964 e il marzo 1965 rimangono invendute, mentre in autunno il loro numero sale a 380mila.

A fronte di questa crisi generalizzata, il governo risponde da un lato con la fiscalizzazione degli oneri sociali (calcolata al 3 per cento) e dall’altra aumentando in modesta misura i lavori pubblici, con gare d’appalto per nuove strade e pubblici edifici.

Solo alla fine del 1965 arriveranno autentici ed attesissimi provvedimenti concreti per l’edilizia, e la legge 1179 introdurrà una serie di agevolazioni a favore di quanti vogliono acquistare o costruire una casa popolare. Dopo la gravissima crisi del 1964 cominciano quindi ad arrivare, a livello nazionale, i segnali di una lenta ripresa.

L’anno successivo, il 1966, fa registrare un vero e proprio boom nelle domande di mutui. Un boom per certi versi inaspettato, che richiede allo Stato uno sforzo di ben 4mila miliardi, contro i 500 stanziati per l’intero biennio.

E anche in questo caso Verona rientra perfettamente nel trend nazionale.

La ripresa degli anni successivi vede, in ordine d’importanza, il segnalarsi di opere stradali, l’edilizia pubblica e la costruzione di nuove abitazioni popolari.

3.2.3. Anni Settanta (1970-1980) Gli anni Settanta sono anni di crescita alternata a frenate vistose, con contraddizioni e problemi anche sul piano sociale. All’interno del settore edile si comincia a fare seriamente i conti con il feno91

Sezione

meno del cosiddetto “lavoro nero”. Ma il Collegio deve porre attenzione anche ad un altro dato negativo: la nascita e l’affacciarsi sul mercato di imprese prive di qualsiasi qualificazione. Si paga la mancanza di accurati controlli da parte delle autorità preposte, controlli assenti soprattutto sui lavori privati, mentre per quelli pubblici esiste la griglia costituita dall’Albo nazionale dei costruttori.

Le aziende “improvvisate” nascono e prosperano peraltro soprattutto grazie alla massiccia evasione dei contributi previdenziali, alterando in questo modo le regole del libero mercato e scaricando i relativi costi sociali sull’intera collettività.

Problemi seri anche sul versante creditizio: nei primi due mesi del 1979 i cordoni del credito delle banche erano così tirati che oltre il 60% dei cantieri esistenti venne costretto a rimandare i lavori.

Il blocco dei fitti veniva intanto continuamente prorogato (per un altro triennio, nel 1970), mentre resta in vigore una legge particolarmente avversata dalla categoria, la 167, ritenuta del tutto inadeguata a rappresentare gli interessi della collettività.

Solo nel 1978 arriva una provvidenziale boccata d’ossigeno grazie al consiglio regionale del Veneto che stanzia per Verona 1650 milioni di lire a favore dello IACP, l’Istituto Autonomo per le Case Popolari, stanziamento che aiuta ma non risolve le difficoltà esistenti sul mercato.

Nel 1979 si celebra il trentennale di Edilscuola. L’ingegner Giuseppe Voi, presidente del Collegio, ripercorre la storia della fondazione ricordando i “padri” dell’iniziativa, tra cui l’architetto Libero Cecchini.

Questi anni per lui sono caratterizzati dai grandi progetti di restauro e della riqualificazione del centro storico veronese, tra cui ricordiamo i complessi edilizi di Via Cattaneo e Via Adua. Sono di questi anni il Brefotrofio provinciale e la Scuola Materna di Boscochiesanuova, oltre che le intense sperimentazioni nell’uso del cemento 92

armato.

Ancora una volta notiamo il suo impegno e il suo interesse nella realizzazione di opere che sfiorano il sociale, che si concentrano in ogni momento della vita di una persona, da quando ne ha più bisogno (l’infanzia) fino ad arrivare all’età adulta in cui ognuno può diventare autosufficiente, e tornare al bisogno di assistenza nell’anzianità.

Intanto la situazione economica complessiva resta purtroppo difficilissima, con un’inflazione ormai a due cifre, un costo del denaro che sale alle stelle e con una realtà imprenditoriale edile sempre più condizionata in modo negativo da una mole impressionante di regolamenti e direttive, che gravano sul settore in misura pressoché insostenibile.

3.2.3. Anni Ottanta Negli anni ottanta Cecchini realizza importanti progetti di restauro, da menzionare in particolare quelli relativi ai lavori della Basilica di San Zeno e di San Procolo, di Porta Leoni, di Palazzo Forti e degli Scavi Scaligeri. Nel 1996 fonda con il figlio lo Studio Libero e Vittorio Cecchini Architetti Associati, che partecipa a numerose competizioni nazionali e internazionali.

Per quanto riguarda l’aspetto sociale, anche qui abbiamo un dato degno di nota: la creazione nel 1987 con un gruppo di professionisti de “Fondazione Verona per adulti portatori di handicap” che si pone l’obbiettivo di realizzare un centro riabilitativo polifunzionale che è tutt’ora in fase di progettazione-realizzazione, in località Spianà a Verona. Questo per rimarcare il fatto di quanto sia importante l’aspetto sociale (e socievole) in ogni tema o argomento venga trattato la Cecchini: la persona sta sempre al primo posto, è il primo pensiero, che precede ogni progetto e ogni intenzione.

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Vista degli uffici finanziari dal Ponte Aleardi

4. LIBERO CECCHINI: UN PROTAGONISTA

Fin dall’inizio Cecchini sviluppa una concezione dello spazio architettonico come qualcosa che esiste in natura e va perciò ricercata nei luoghi, non solo quando si devono reinterpretare i manufatti esistenti, ma anche quando si interviene con una costruzione ex-novo.

I primi contatti con il tema della casa collettiva risalgono al 1948, quando si classifica al secondo posto nel concorso INA Casa per il progetto di una struttura edilizia popolare in Via Orti di Spagna; successivamente elabora un piano nel quartiere Golosine dove compaiono anche torri di cinque piani.

Rispetto alle iniziative progettuali contemporanee sparse in Italia, si può notare un attento controllo degli effetti prospettici e un rigore compositivo che tende a costruire ritmi semplici e forti, in grado d’integrarsi con naturalezza negli insediamenti tradizionali. Se ne ha conferma nelle case a schiera costruite nella natia Sant’Ambrogio, dove la disposizione a scaletta degli alloggi su due piani è commentata e mediata da una scala esterna, ripresa da analoghi elementi di una contrada distrutta dai bombardamenti della guerra.

Va riconosciuta la sua coerenza, manifestata attraverso piani paesistici a Malcesine come in Lessinia, nell’opporsi alle lottizzazioni indifferenti, cui contrappone la densità del villaggio o il riparo solitario delle ville isolate. E’ nella progettazione di queste ultime che il contatto con la natura si fa più vibrante e suggerisce ardite scomposizioni dell’organismo edilizio e articolazioni geometriche estremamente libere. L’aspetto interessante di queste composizioni è però la loro genesi, che non fa capo alla volontà di esibire fantasie architettoniche, ma l’affetto nei confronti dei luoghi, interpretati nella loro tradizione, fonte d’invenzioni non gratuite, perché frutto 95

Plastico di progetto

di rinvenimento. Il nuovo involucro si struttura, o forse si destruttura, per minimizzare il proprio impatto e accogliere le immagini naturali che lo circondano.

Della vasta casistica residenziale emerge una costante volontà di riqualificazione dello spazio plasmata sulle condizioni realizzative e sulle vocazioni dell’esistente, ma sempre tenacemente perseguita. Confrontando le case popolari con le ville signorili, si avverte, in forma diversa, la stessa tensione a realizzare una felice fusione col contesto senza evitare per questo il confronto con l’eredità del Novecento, sentita come pilastro fondamentale della propria cultura.

4.1 GLI UFFICI FINANZIARI L’opera più rappresentativa di Cecchini può essere riassunta e raffigurata negli Uffici Finanziari di Verona, posti sul Lungadige Capuleti. La loro posizione così insita nella città storica ne permette lo studio approfondito in relazione alle preesistenze: un tema importante per quanto riguarda il restauro, ma soprattutto il costruire sul costruito.

Il progetto nasce dall’esigenza di ridare continuità al tessuto urbano contenuto all’interno dell’ansa del fiume, compromesso da scelte insediative prive di logica urbana. L’impianto regolare è molto semplice: esso è dato da una sequenza di volumi pieni e vuoti, quindi spazi pieni e aperti tenuti insieme da una spina centrale. Il complesso si articola in quattro corpi di fabbrica di cinque piani ciascuno, ritmati dalla presenza di cortili e percorsi pedonali interni.

Tutto questo non viene percepito da un semplice pedone che passeggia sul Lungadige: è necessario un occhio allenato e attento per 96

Prospettiva - elaborato prodotto per l’appalto di concorso (vinto con la ditta Mazzi di Verona)

scorgere la ripetizione e il gioco di volumi che si nasconde all’interno di questo complesso.

La facciata su Capuleti però è visibilmente ritmata anche da finestrature quadrate che caratterizzano il piano primo (rialzato) e da serramenti verticali che segnano tutta la facciata come ferite nel resto del complesso.

La struttura è in cemento armato con rivestimenti esterni in pietra, ancora una volta un metodo tradizionalmente veronese di costruire: sul piano formale sono esplicite le citazioni dell’edilizia storica veronese (per l’appunto): per esempio, la finestra continua a nastro è una reinterpretazione in chiave moderna delle finestre del mezzanino del centro storico, e di come la velocità possa influenzare l’architettura. Le auto, sfrecciando veloci sulle strade infatti, ci permettono di percepire la città in modo diverso da come si faceva un tempo, scandito invece dal ritmo dei passi.

Uguale considerazione ritroviamo nella finestratura dell’ultimo piano, a diretto contatto con la copertura, reinterpretazione delle storiche mensole dei cornicioni delle facciate, che producevano un gioco di luci e di ombre sull’intera facciata.

Il progetto è del 1966, e segna anche l’ingresso di Cecchini a far parte ufficialmente della progettazione sociale della città di Verona.

Questo progetto, forse, lo inizia già all’intenzione di sentirsi parte della politica e all’organizzazione (sempre e comunque soprattutto sociale) della sua città.

L’intervento, comunque, è riuscito benissimo e al giorno d’oggi, dopo qualche ritocco sul piano del restauro, svetta fiero sulle sponde del fiume Adige racchiudendo in sé una vasta area di 5000 mq: per quanto volumetricamente molto consistente e riconoscibile nella sua funzione pubblica, grazie a un uso sapiente dei pieni e dei vuoti, la sua immagine non risulta affatto incombente e si inserisce perfettamente nella continuità del tessuto urbano.

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Foto al giorno dâ&#x20AC;&#x2122;oggi degli uffici finanziari; particolare dei serramenti; vista dal lungadige del ponte Aleardi e disegni dei prospetti

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WORKS

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5. ANALISI PROGETTUALE: ALLOGGI PLURIFAMILIARI

La mia analisi verte sulla raccolta dei migliori progetti di residenza plurifamiliare (pubblici e privati): in ogni progetto le caratteristiche formali, materiali e strutturali vengono descritte minuziosamente come ha cercato di fare l’autore attraverso la realizzazione di ognuno senza far uso di parole.

Qui il termine sociale acquista una grande importanza: nell’opera di Cecchini è estendibile all’intera sua campagna di restauri e ricostruzioni post-belliche, finalizzata non solo a riportare in vita un’opera architettonica, ma anche a dare un aiuto alla ripresa morale della popolazione: “senza la continuità che il restauro garantisce, dunque senza l’innesto del nuovo nel vecchio e viceversa, si avrebbero solo città nel deserto, squallide periferie prive di calore umano”.

Tra il 1966 e il 1976 Cecchini è presidente dell’AGEC, in cui opera per promuovere la produzione di edilizia residenziale a basso costo, in base alle esperienze europee, soprattutto londinesi, con cui entra a contatto in occasione dei viaggi organizzati con gli amministratori veronesi e francesi, da cui apprende le tecniche della fabbricazione.

Come amministratore Libero Cecchini gestisce la carenza di microalloggi per anziani creando delle case-albergo in otto quartieri della città, differenziate tra loro, in relazione al contesto e al territorio. All’epoca queste strutture risultarono innovative nel territorio veronese per l’inserimento dei servizi di base. I progetti di case per anziani, scuole pubbliche di diverso ordine e di grado, ospedali, un brefotrofio, un istituto per sordomuti, un centro per la riabilitazione psico-motoria sono testimoni di un’attenta partecipazione al dibattito locale e al progetto d’architettura sociale.

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1949 5.1. QUARTIERE PORTO SAN PANCRAZIO

Porto San Pancrazio è uno dei primi interventi INA-Casa attuato a Verona, oltre ad essere uno dei primi progetti di case popolari di Libero Cecchini. E’ relativo al I° Settennio di interventi del Piano INA-Casa essendo stato progettato sul finire del 1949, a pochi mesi di distanza dalla cessione della prima area di questa zona, di proprietà del Comune di Verona. La suddetta area venne ceduta gratuitamente il 4 Aprile del 1949. Questo è un anno cruciale per Verona, che aveva da poco, ma prontamente, iniziato a muovere i primi passi verso la ricostruzione della città dopo le distruzioni belliche. E di fatto il 31 Marzo dello stesso anno nella prima lettera del Sindaco di Verona, Fedeli, alla Gestione INA Casa, si legge che proprio San Pancrazio è tra le aree maggiormente colpite dalle distruzioni belliche. Oltretutto è in una zona adatta all’ampliamento della città in ricostruzione. Infatti in seguito S. Pancrazio assieme ad altri vicini quartieri di espansione quali S. Michele Extra e Borgo Venezia, sarà interessato dal PRG che prevederà una circonvallazione con due allacci alla strada statale Tridentina.

Nella relazione tecnica del piano regolatore, l’architetto Plinio Marconi si esprime esplicitamente sul risultato dell’intervento INA casa a San Pancrazio. Infatti parlando delle sistemazioni edilizie di rilievo nei quartieri di origine recente, nei settori di espansione e nei centri satellite, afferma che: << borgo San Pancrazio, prima estremamente disordinato, oggi sta assumendo una struttura funzionale e esteticamente idonea>>.

Il piano urbanistico di quartiere è stato progettato dallo stesso Plinio Marconi, mentre al progetto degli edifici parteciparono moltissimi professionisti, tra i quali ovviamente il nostro architetto Libero Cecchini, in mezzo progettisti di alto livello come Carlo Mutinelli Gino Fainelli Guido Dongili. Tra i nomi spiccano alcuni dei progettisti che si erano già distinti nell’epoca tra le due guerre come per 103

Planimetria di Quartiere San Pancrazio Borgo San Pancrazio dopo i bombardamenti del â&#x20AC;&#x2DC;44. Via Galileo Galiei

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esempio Carlo Mutinelli, autore di alcuni edifici di rilievo a Verona, assieme a un altro grande nome dell’architettura veronese, ovvero Ettore Fagiuoli, nonché professore di Cecchini, che partecipa invece come membro della commissione preposta alla redazione del PRG. INQUADRAMENTO GENERALE Il quartiere si estende nell’area est della zona di Porto San Pancrazio. La conformazione del quartiere è molto condizionata dalla linea ferroviaria Verona-Venezia che funge da limite artificiale e cinge la zona lungo il perimetro a Est, ovest e nord rendendo possibile l’espansione sono in senso orizzontale e verso sud nella zona rurale.

Oggi il quartiere rappresenta una delle zone della prima periferia della città, appena al di fuori dei bastioni della città storica e vicino a Porta vescovo, una delle porte di accesso al Centro Storico.

All’epoca della sua realizzazione era una zona già configurata da un carattere popolare. Infatti la zona su cui sorgerà l’intervento INA casa, chiamata ex campo sperimentale, era un quartiere di carattere popolare interamente colpito dai bombardamenti. L’area, di quasi 20.000 mq sorge tra via Galilei e un’area assegnata al comitato della Fraternità Cristiana per la costruzione di case per i senzatetto.

Essendo la prima esperienza in ambito INA casa per la città, l’incarico di stazione appaltante lo tiene proprio il comune. Vengono assegnati 300 vani almeno per 120 milioni di lire da suddividere in due lotti.

Inoltre, il Comune sperimenta la prima cessione gratuita alla Gestione delle due aree occorrenti per questa grande opportunità.

Complessivamente vengono realizzati 198 alloggi corrispondenti a 1000 pani, dislocati in 23 edifici.

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Stato dei lavori al 12.11.1949.

Costruzione dei travetti

La direzione dei lavori viene affidata inizialmente all’ingegner Guido Dongili dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Verona, mentre dal 1951 si assumerà l’incarico l’Ingegner Pereffi dell’Ufficio Tecnico Comunale.

Le aree cedute sono inserite nel piano di ricostruzione e sono destinate entrambe all’espansione dell’abitato. Infatti nelle relazioni allegate al progetto di massima dei vari cantieri e redatte dal Direttore dell’Ufficio Tecnico dell’IACP Guido Dongili, si legge che il carattere della zona è periferico con destinazione residenziale operaia a giardino. Inoltre i lotti adiacenti, all’epoca della relazione (3 agosto 1949) costituivano un villaggio operaio con case a un piano perché l’utilizzazione consigliata del proponente dell’area, cioè il Comune, era estensiva con edifici di massimo tre piani. Dongili scrive inoltre ulteriori informazioni generali: la viabilità adiacente all’otto in parte resistente e in parte in costruzione come previsto dal PRG; i servizi pubblici come acqua luce e gas possono già predisposti, per quanto riguarda l’esposizione, non sono presenti costruzioni vicine.

CARATTERISTICHE DELL’INSEDIAMENTO Il quartiere si sviluppa in due settori, un ovest e uno est. Esso si sviluppa attorno a un asse di verde pubblico pedonale di ambito comunale parallelo alla via Galilei e originato dall’intersezione con Via Ligabò. L’asse attraversa longitudinalmente tutto l’insediamento e termina nella sorta di corte formata dall’angolo dell’edificio L e contenuta dalle due ali del Centro Sociale. Il quartiere è infatti dotato di vari servizi pubblici che si innestano lungo l’asse principale e lungo l’asse secondario ortogonale ad esso. Lungo questa seconda direttrice troviamo la chiesa e la scuola che verranno edificate alla fine dell’edificazione residenziale. L’intersezione tra questi due assi 106

Cantiere 365. Case 7 Marzo 1950.

genera una piazza centrale.

La zona è anche dotata di spazi verdi, che si possono organizzare secondo tre livelli; attraverso questa analisi si può capire l’impostazione dell’edificato. Abbiamo tre tipi di verde: il pubblico, il privato, e il condominiale.

Per quanto riguarda il verde pubblico si tratta dell’asse attrezzato con percorsi pedonali e arredi, oltre a dei tappeti erbosi con vegetazione ad alto fusto. Concepita come spina portante, quest’area aumenta la propria centralità grazie ai collegamenti pedonali che si arrestano o dipartono da qui. Questi non si pongono ortogonalmente all’asse ma sono disposti secondo un’angolatura che permette di avere varietà di viste in un’area che altrimenti sarebbe caratterizzata dalla monotonia. Oltre all’angolazione dei fabbricati, si deve sottolineare la varietà di tipologie edilizie che caratterizzano questo insediamento esteticamente vario.

Attorno all’asse principale si distribuiscono altre aree verdi, il verde condominiale, in questo caso con valenza di isolato, mi presti dei quali si trovano gli edifici residenziali con i propri spazi verdi. Queste zone sono preposte ad ospitare la vita all’aperto degli abitanti degli edifici.

Il verde privato invece è annesso le residenze, di uso esclusivo per la tipologia edilizia delle case a schiera con alloggi duplex e accesso privato. Può essere coltivato a orto oppure aver funzione di giardino.

Come si può vedere dallo schema il verde privato domina l’impianto.

Il settore edificato a est si sviluppa lungo le vie nuove predisposte dal comune, ovvero via Ligabò, via Domaschi e via Giovanni Vittorio Duca. Si sviluppa con un andamento totalmente differente dall’altro settore. Infatti pur affacciandosi sull’ingresso dell’asse di verde attrezzato, non dialoga in alcun modo con essa. Al con107

trario viene disposta all’interno del settore, una strada di modeste dimensioni che senza alcun arredo urbano si sviluppa seguendo un’altra direzione. Questa non può essere definita una direttrice e taglia da nord a sud il lotto collegando le due vie Domaschi e Duca.

Gli spazi verdi in questo caso non si possono organizzare secondo tre livelli ma si possono ricondurre al verde secondario. L’intero lotto viene caratterizzato dal verde condominiale mentre vengono preposte tre zone verdi comuni all’incontro della strada interna con via Duca.

La viabilità del quartiere viene lasciata all’esterno, in quanto ogni lotto è cinto dalle vie già citate previste dal PRG. Gli alloggi all’interno degli edifici sono di vario taglio, da un minimo di tre vani a un massimo di sette. Come dicevamo prima, di edifici presentano una certa varietà di tipologie.

- edifici in linea a più blocchi scala: questa tipologia si trova con una certa frequenza; ogni vano scala serve quasi sempre due appartamenti per piano, posti in posizione generalmente simmetrica e speculare rispetto al collegamento verticale. Lo schema distributivo maggiormente utilizzato prevede un piccolissimo corridoio d’ingresso, di pianta quadrata che prepara l’accesso al soggiorno, da cui si accede poi alla cucina. In genere tutti gli alloggi sono dotati di almeno un balcone o una loggia, quasi sempre con accesso o del soggiorno o dalla cucina. Il corridoio d’ingresso prosegue idealmente in un piccolo corridoio-ripostiglio che porta ai servizi e alla zona notte.

- palazzine isolate: lo schema degli alloggi nei pieni tipo non si discosta molto da quello degli alloggi in linea. Anche qui troviamo simmetria rispetto al corpo delle scale. L’accesso avviene mediante un corridoio questa volta a L su cui si affacciano tutte le stanze. La distribuzione è determinata dal corridoio, che funge da separatore tra la zona notte e la zona giorno. Date le prescrizioni precise del 108

Stato dei lavori al 21 Ottobre 1949

Pagina accanto: Tavola degli spazi verdi

piano Ina casa anche qui è presente una loggia.

- edifici a schiera con alloggi duplex: anche questa tipologia viene largamente utilizzato in questo quartiere. La zona giorno è occupata totalmente dal piano terra e si sviluppa anche qui da un piccolo corridoio quadrato che da un lato collega le scale per raggiungere la zona notte, mentre dall’altro accompagnare soggiorno. Il soggiorno diventano spazio per l’attività familiari, e lo spazio di attraversamento per raggiungere la sala da pranzo e la cucina. Il piano terra si affaccia direttamente sul giardino privato retrostante l’abitazione.

TECNICHE COSTRUTTIVE La ricerca d’archivio svolta, ha portato al reperimento di materiali molto utili per l’individuazione e lo studio delle tecniche costruttive. Infatti oltre al reperimento di progetti, è stato possibile visionare le relazioni tecniche di progetto, le relazioni del direttore dei lavori, i verbali di visita e di collaudo. Questa documentazione ha permesso di raggiungere un’adeguata conoscenza delle tecniche costruttive usate nei cantieri INA casa a Verona.

Le tecniche costruttive per il quartiere di San Pancrazio sono assolutamente tradizionali. Infatti più volte si è potuto leggere nelle relazioni tecniche dei vari cantieri: La costruzione delle case seguirà secondo le caratteristiche in uso nella città di Verona.

Dalle diverse relazioni tecniche, dai particolari costruttivi e del capitolato speciale d’appalto si possono estrapolare le tecniche più frequenti nei cantieri INA casa di Verona e presenti anche nel quartiere in oggetto. Tali tecniche si possono riassumere nel seguente schema: - le fondazioni, data la natura ghiaiosa del terreno, sono in calcestruzzo di calce idraulica calcolata per una resistenza unita109

ria del terreno di 3kg/cmq. Sopra le fondazioni, per una maggiore garanzia di impermeabilizzazione, sarà disteso un triplice strato di cartone feltro bitumato, con interposto strato di asfalto a caldo.

- Le murature perimetrali sono in pietrame tufaceo grezzo, delle cave locali o in mattoni.

- Le strutture portanti interne sono preferibilmente a pilastro (in mattoni o cemento armato) al duplice scopo di aumentare gli spazi utili disponibili e di ottenere una maggiore economia rispetto le murature continue.

- Le pareti divisori e tramezzi sono normalmente mattoni forati, anche se talvolta si usano pieni.

- I solari sono in sistema misto di laterizi speciali e nervature di calcestruzzo di cemento armato con cappa superiore in calcestruzzo con spessore non inferiore ai 4 cm. Il solaio di divisione fra l’ultimo piano e il sottotetto sarà in travetti di laterizio armati.

Un’altra tecnica usata è il solaio in calcestruzzo di cemento a cassa aria in laterizio.

- La copertura è composta da un solaio in travetti di laterizi armati e tabelloni ancorati a un cordolo in calcestruzzo. Sopra la struttura è posto il manto di coppi; in alternativa si trovano coperture con ossatura portante in cemento armato e solai leggeri di sottotegola, sempre con un manto in coppi.

- I pavimenti dei seminterrati sono in battuto di cemento lisciato superiormente con spolvero di cemento puro e rullati, con sottostante vespaio di ciottoloni e ghiaia. I pavimenti dei vani di abitazione invece, sono in mattonelle di cemento, in marmitte di graniglia a grana fina, in piastrelle di gres o in parquet a spina di pesce. Le soglie delle porte sono in lastre di marmo.

- Le scale sono invece di due tipi: o formate da lastre di pietra incastrate nei muri laterali (con sotto gradini in mattoni intonacati), oppure sono in struttura di cemento armato con gradini in lastre 110

Centro Sociale di porto San Pancrazio

Pagina accanto: fabbricato Cb-Cc. Corpo a due piani e corpo a tre piani. Piano tipo

di pietra e alzata in mattoni intonacati.

- I muri sono usualmente intonacati con malta di calce tirata a stabilitura civile. I muri dei locali addetti servizi igienici sono invece rivestiti con piastrelle smaltate.

Tutti i vani sono tinteggiati a colla con zoccolini a fasce. In alcuni casi viene usato il marmorino a stucco liquido per servizi e vano scala, mentre per gli intonaci esterni si usa una manca bastarda e intonaco tipo Terranova in varie tinte dato a spruzzo.

Nel caso in cui siano presenti sotto tetti non praticabili, vengono aerati allo scopo di permettere un giro d’aria continuo. Le aperture sono generalmente protette da una rete metallica a maglia fina, mentre il cornicione di gronda è in ossatura portante in cotto, ovvero in mattoni pieni intonacati e colorati.

I serramenti sia interni che esterni di portefinestre sono di legno di abete dipinti ad olio. Per quanto riguarda invece i brani seminterrati sono in profilati di ferro.

Le ringhiere sono costituiti da ferri profilati a disegno semplice completati da un corrimano in legno lucido. L’impianto elettrico, idraulico, igienico, sanitario e di riscaldamento sono completi in ogni appartamento.

La recinzione verso strada invece è costituita da muretti in pietrame con cancellata sovrastante. È stata ritenuta cosa migliore non prevedere alcuna cancellata superiore che potrebbe risultare monotona per la sua lunghezza, e andrebbe a costituire un sentimento di isolamento negli abitanti del quartiere, oltre che di dubbia efficacia come protezione.

L’area interna disponibile viene frazionata e destinata a orto oppure giardino ed ogni porzione sarà recintata con paletti in cemento armato e filo di ferro spinato.

Ogni alloggio è inoltre dotato di accessori indispensabili: - in cucina focolare completo costituito da soglia, spalle, cap111

Fabbricato con 6 duplex . Pianta rimo piano

pa e comignolo fuori tetto in muratura. Ci sono inoltre un secchiaio di graniglia provvisto di vaschetta, scolapiatti rubinetto e sifone di scarico.

- In bagno latrina l’inglese o water in porcellana con sciacquone e scarico fognario; lavabo in porcellana completo di ogni accessorio. Inoltre è prevista una doccia con poggiapiedi in legno o vasca da bagno a seduta, in camerino attiguo ai servizi oppure nel medesimo vano.

MATERIALI E CAPITOLATO SPECIALE Un’altra importante documento che aiuta a capire le caratteristiche costruttive è il capitolato speciale d’appalto dell’Istituto autonomo case popolari di Verona del 30 agosto 1949 e i documenti correlati adesso, ovvero le relazioni di calcolo, i compiti medici, i libretti delle misure.

Nella prima parte si tratta l’oggetto è il prezzo dell’appalto, la designazione sommaria delle opere e la descrizione delle opere principali. Nella seconda parte si parla della qualità e provenienza dei materiali, il modo di esecuzione dei singoli lavori e il loro ordine nell’andamento del cantiere. Nell’ultima parte si spiegano le disposizioni particolari riguardanti l’appalto è il modo di valutare i lavori. È interessante soffermarsi sulla descrizione dei materiali, poiché emerge l’attenzione che si pone all’utilizzo di materiali locali di qualità oltre che di facile reperimento, e per questo di costo ridotto. Quest’aspetto è fondamentale nella politica di economia e di attenzione per la dignità delle abitazioni da parte della gestione Ina casa.

La Pietra Tutta la pietra da costruzione per le murature proviene dalle migliori cave di Avesa e Quinzano e la pietra da taglio occorrente per 112

fabbricato Cb-Cc. Corpo a due piani e corpo a tre piani. Prospetto ovest, prospetto est

Fabbricato con 2 duplex . Piano terra, primo piano

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le soglie sarà esclusivamente proveniente dalle migliori cave di Sant’Ambrogio. In generale le pietre naturali dovranno rispondere a precisi criteri estetici e di formazione.

I SERVIZI DI QUARTIERE Il centro sociale del quartiere è un fabbricato unico, sono due vani collegata ad angolo retto, disposto nell’angolo libero dell’azione centrale del quartiere.

Il fabbricato comprende: • due aule per l’assistenza all’infanzia con annessi servizi • Ufficio per l’assistenza sociale con annesso locale di riposo e servizi • Due aule che possono unirsi a formare un unico salone, due locali di lettura, con annessi servizi, compresa la cucinetta.

La costruzione stata eseguita secondo gli usi locali; per la costruzione dell’alloggio dell’asilo e delle pensiline sono stati usati pilastri e soletta in cemento armato. La copertura è il laterizio ed è presente una soffittatura sottostante. È presente una terrazza per cui si è richiesta impermeabilizzazione con cartone catramato e asfalto.

I pavimenti sono di foggia diversa a seconda degli usi: linoleum per le aule dell’asilo, mattonelle greificate per l’ufficio medico, in scaglia grossolana per ufficio e zona riposo dell’assistente sociale, in palladiana per l’aula e le salette dell’assistente infine in graniglia per il pavimento rimanente.

I serramenti interni sono in abete colorito, mentre in esterno si oscurano con una griglia avvolgibile in legno (per le aule sono invece in alluminio). Le pareti divisori delle aule formanti la sala riunione sono scorrevoli e tutte le pareti interne sono colorate a colla, mentre quelle esterne con intonaco tipo Terranova. Nel cucinino troviamo piastrelle in ceramica che formano uno zoccolo alto 1.50 114

Schema del quartiere

Pagina accanto: Stato dei lavori al 21 Ottobre 1949

m come in molte abitazioni. Per l’esterno si configura una zoccola in pietra grezza di rivestimento: il medesimo trattamento lo ritroviamo per il rivestimento dei pilastri della loggia. La pietra è infine presente per altre le finiture esterne: l’esame di ogni porta sono in marmo da 2 cm, gli scalini esterni sono in pietra come anche i davanzali.

CANTIERE UNO Nel Maggio del 1949, Il Comitato di attuazione del piano di incremento occupazione operaia – case per lavoratori- ha affidato all’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia l’incarico di Stazione Appaltante per l’esecuzione dei lavori di costruzione di un gruppo di case per lavoratori di proprietà della Gestione INA-CASA nel Quartiere S. Pancrazio. Inoltre per accelerare l’esecuzione delle costruzioni, nelle località che hanno dimostrato di avere pronte aree e progetti, il comitato ha deciso di assegnare al Comune di Verona la somma di 75.000.000 £ in anticipo sugli stanziamenti del piano ordinario (che verranno deliberati in ottobre per gli altri enti inclusi nel piano del 1 anno.

La procedura prevista dal Piano Fanfani per gli appalti alle ditte di costruzioni prevede la possibilità da parte delle Stazioni Appaltanti di invitare le ditte di fiducia a una licitazione privata che, attraverso un’asta, vagli le offerte di ribasso proposte dalle imprese, aggiudicando l’incarico all’offerta più conveniente. In questo caso la ditta aggiudicataria è l’Impresa Faccioli, ben nota sia all’Istituto che all’Amministrazione Comunale per le sue prestazioni in altri cantieri INA CASA nella città di Verona. ll Cantiere si compone di 8 edifici che completano quasi interamen115

Case a schiera. Aprile 1950

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te il lotto d’angolo utilizzato per il cantiere 363. Anche in questo caso troviamo la scelta di una tipologia mista di edifici. Lungo la strada interna sorgono i due edifici lineari di a più corpi scala di cui l’unico di 3 piani, il corpo D, con un’appendice annessa di 2 piani.

Nella zona più vasta, verso Est, si dispongono “a ventaglio” una serie di 6 edifici a due piani composti di duplex a schiera.

1. TIPOLOGIA A SCHIERA CON DUPLEX: Questa tipologia è determinata da 6 edifici composti da duplex di 2 piani fuori terra. Ogni elemento è dotato di 6 vani legali. Sono previsti 6 fabbricati, uno da 2 alloggi., 3 da 6 alloggi e 2 da 4. In tutto sono 28 alloggi con il loro terreno di competenza di ogni appartamento da mantenere a giardino o a orto.

2. TIPOLOGIA IN LINEA A PIU’ CORPI SCALA: Si tratta di due edifici, suddivisi in tre blocchi: Ca e Cb-Cc: Cc è un’appendice di due piani di Cb, con 4 appartamenti, 2 per piano, dotata di 4 o 5 vani per alloggio. Il blocco Cb è dotato di 3 piani e 12 alloggi che si compongono sempre di 4 o 5 vani legali. Infine l’edificio Ca, allineato sia con la strada che con la stecca del cantiere, ha 2 piani e 8 alloggi disposti su 2 piani.

I cinquantadue alloggi, da progetto, sono perciò di vario taglio con un massimo di 6 vani per alloggio. Tuttavia il maggior numero di abitazioni è costituito mediamente da alloggi di 4-5 vani. Anche qui la distribuzione degli alloggi è di forma regolare e lo schema che risulta maggiormente ripetuto è quello costituito da un ingresso centrale che distribuisce gli accessi a tutte le altre stanze.

CANTIERE DUE L’ Istituto deve procedere al completamento del lotto ora in costruzione in quartiere S. Pancrazio. Infatti, come risulta dalla planime117

Schema del quartiere

tria richiesta dal Gestione nella fase di controllo, la sistemazione del terreno ceduto alla Gestione in questa località, prevedeva la costruzione di 8 case nel cantiere visto precedentemente. Con il finanziamento di 75.000.000 £ del 19.5.49 se ne sono potute appaltare soltanto 6.

Questo progetto prevede la costruzione delle due case residue, segnate in rosso nella planimetria schematica soprastante.

TIPOLOGIA A SCHIERA CON DUPLEX: Questa tipologia è determinata da 2 edifici composti da duplex di 2 piani fuori terra. Ogni elemento è dotato di 6 vani legali. Sono previsti 2 fabbricati: il blocco A con 2 appartamenti e il blocco B da 6 appartamenti. In tutto sono 8 duplex e 48 vani legali.

Gli alloggi sono a divisione verticale con scale indipendenti, complete di ogni prestazione per essere abitabili.

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Formazione dei travetti. 27 marzo 1949

Getto del solaio sopra le cantine. 28 Ottobre 1949

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1951 5.2. EDIFICI AD APPARTAMENTI NEL QUARTIERE GOLOSINE

Nucleo di espansione residenziale a sviluppo contenuto per i limiti opposti al contorno dal parco ferroviario e dalla Zai, il quartiere delle Golosine viene costruito tra il 1951 e il 1955 grazie al Piano Fanfani. Data la localizzazione periferica l’autonomia del complesso in termini di servizi di quartiere (centro sociale, capi sportivi, verde attrezzato) assume una valenza strategica.

L’organizzazione complessiva viene decisa all’interno del piano di ricostruzione, interamente gestito dallo IACP; il tutto si compone di quattro lotti suddivisi da una viabilità del quartiere radiale convergente verso una piazzetta (l’attuale intersezione via Caccia-Cattarinetti-Gaspare del Carretto). Il tessuto edilizio è semi-intensivo, circa 330 appartamenti distribuiti in una cinquantina di edifici alti fino a cinque piani. È posta una certa cura nell’articolare corpi edilizi, in modo da creare percorsi pedonali e un verde condominiale che si snoda tra i fabbricati. Accanto all’architetto Libero Cecchini lavorano l’architetto Carlo Vanzetti e l’unico ingegnere Giuseppe Poso (1900-1989), entrambi veronesi.

La vicenda della costruzione del quartiere Golosine risulta difficilmente analizzabile poiché la ricerca d’archivio ha portato al reperimento di pochi e lacunosi documenti. Il problema principale deriva dal fatto che non siano stati reperiti i carteggi del 50% dei cantieri.

Allo stesso tempo i carteggi dei cantieri studiati [4518, 6851] presentano una serie di contraddizioni che rendono difficile riconoscere gli edifici relativi ad essi. Le planimetrie reperite mostrano il quartiere nella sua interezza, con i numeri di alcuni cantieri posti sulle sagome degli edifici, ma leggendo le planimetrie dei singoli lotti si scopre che i numeri non corrispondono tra loro. Purtroppo non essendo quasi mai datati, i disegni non si possono disporre in un ordine cronologico che possa aiutare a capire gli sviluppi e le eventuali varianti nel progetto che possano giustificare tale incongruenza. Parallelamente si sono riscontrati notevoli mancanze nei 121

Planimetria scala 1:500

Planimetria di progetto del quartiere

documenti quali delibere comunali, corrispondenza tra la Stazione Appaltante e la Gestione e contratti. Per questo motivo l’analisi incrociata dei documenti con i disegni non ha portato a risultati completi o esaustivi.

Anche l’analisi dei finanziamenti risulta molto incompleta. Si hanno notizie dei finanziamenti di due cantieri. Per il primo cantiere si conosce che la somma stanziata non interessa solo il cantiere in oggetto ma anche altri cantieri dislocati in diverse zone della città.

INQUADRAMENTO GENERALE Il Quartiere Golosine sorge a Sud Ovest della città, in un’area periferica che all’epoca della ricostruzione era di carattere rurale delimitata a Nord, ovvero verso la città, dalla grande fascia occupata dalla linea ferroviaria che da Milano giunge alla stazione di Verona.

La zona, secondo il PRG di Marconi, è stata pensata come zona di espansione residenziale periferica. Fa parte di quei nuovi quartieri nati a Verona per soddisfare le esigenze del Piano di Ricostruzione e definire lo sviluppo futuro della città nell’arco dei 30 anni di durata del Piano Regolatore. Infatti tra i problemi fondamentali della città nel dopoguerra emergeva l’esigenza di dare una forma alla città futura, tramite la dislocazione qualitativa e quantitativa delle zone di espansione residenziali o di altra natura. Di conseguenza si doveva plasmare il costruito come un organismo cinematico: in rapporto alle esigenze del traffico. In realtà il quartiere Golosine nasce come quartiere suburbano connesso a quelli limitrofi di Santa Lucia e Borgo Roma, in parte esistenti e in parte pianificati. Questi tre quartieri nel loro insieme vanno a completare una zona confinante con la grande zona artigianale-industriale di Verona individuata sempre dal PRG. Questi quartieri nati dalle pianificazione della ricostruzione ven122

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Pianta tipo casa A-B scala 1:50 (blocco F)

gono poi decongestionanti con opportune tangenziali e tronchi stradali. Viene tracciata un’arteria di scorrimento a sud per legare i quartieri di Parona, Chievo, San Massimo, Croce Bianca, Santa Lucia-Golosine alla zona industriale.

CARATTERISTICHE DELL’INSEDIAMENTO

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La zona è stata nel piano di Ricostruzione, suddivisa in 4 lotti serviti da una rete stradale che li separa. La zona si àncora alla storica via della Bassa, ora via Carlo Alberto, che delimita il quartiere su uno dei due lati lunghi del quartiere che assume una forma rettangolare separata diagonalmente in quadranti dalle sopracitate strade da PRG. I lotti hanno a disposizione molte aree verdi sia pubbliche sia private e vengono supportate ulteriormente da campi sportivi e parchi giochi per i bambini del quartiere.

In questo quartiere si nota la differenza rispetto a quartieri “cittadini” come San Zeno o periferici ma sempre vicini al centro come San Pancrazio. Infatti alle Golosine vengono largamente usati edifici

con minimo 3 e massimo 5 piani. La scelta è dettata dall’obbiettivo di sfruttare al meglio la zona che non avendo vincoli paesaggistici o di tutela di edifici storici particolari, permette di soddisfare maggiormente il fabbisogno di case ma senza dimenticare l’importanza di un impianto vario e organico, con viste variate, edifici intensivi ma a altezze diverse che si muovono secondo geometrie il più possibile naturali e efficaci.

E’ stato previsto un sistema di due strade principali che dividono ortogonalmente in 4 settori il quartiere generando un centro geometrico e funzionale. L’asse principale è l’asse Est Ovest che come una retta attraversa l’area separandola in due quadrati. La simmetria è alla base di questo impianto, ma è interessante notare come la seconda direttrice riesca a generare un movimento ben calibrato che non lascia percepire monotonia ma al contrario ne amplifica la variazione. Infatti l’asse Nord Sud idealmente è perpendicolare all’altra direttrice, ma nell’atto concreto si muove sinuosamente moltiplicando a ogni suo angolo le sue diramazioni che servono gli edifici. In questo modo viene resa l’idea del borgo, che al perimetro del quartiere e dei lotti presenta edifici allineati parallelamente alle strade pubbliche, mentre all’interno si scopre un susseguirsi di sfasamenti, corpi inflesse, angoli concavi ricordati collegati da passerelle pedonali sospese, oltre a spazi verdi che circondano l’edificato.

Dall’analisi del verde si capisce la volontà di far nascere un insediamento periferico ma inscindibile dal verde che ne definisce l’assetto: qui riconosciamo un verde primario, secondario e terziario.

Parlando di verde primario si tratta di sottili strisce lineari di verde ad aiuola che seguono le strade interne ai lotti. Sono centrali e costeggiano i luoghi di carattere pubblico, ovvero i cortili e gli spazi centrali comuni tra le case. Il verde attrezzato previsto è ben progettato con arredi e campo giochi per bambini, ed alcune pla-

Particolari dell’edificio a-b

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nimetrie possiamo notare che è presente in ogni lotto. Per quanto riguarda il verde secondario esso consiste nel verde condominiale, nei pressi del quale si trovano gli edifici residenziali. Questo genere domina l’impianto: sulle strade perimetrali e svegliarsi il quartiere partono i collegamenti pedonali ai vari edifici. Queste aree non sono rivolte solo nei cortili ma sono predisposti ad aspettare la vita all’aperto degli abitanti anche verso le strade. Il verde terziario è invece il verde di carattere privato, solitamente coltivato a orto e giardino, annesso alle residenze che per questo quartiere è totalmente assente per essere coerente con il carattere residenziale a densità consistente.

Nella chiedendo edifici di questi anni disegni sono di taglia simile e mediamente ampi. In ogni corpo sono presenti alloggi da 5 e/o 6 piani. Osservando la planimetria generale, si osserva che almeno in pianta gli edifici tendono a ripetersi; e come già riscontrato in altri quartieri, gli edifici presentano una certa varietà di tipologie.

Edifici a L a più blocchi scala: è una tipologia che caratterizza decisamente il quartiere. Lo schema negli alloggi dei piani tipo non si discosta molto da quello della tipologia in linea. Il corridoio rettilineo viene frazionato da un susseguirsi di porte che ne disegni sembrano essere fin troppe, ma che in realtà rispondono all’esigenza di separare in modo ancora più netto la zona giorno dalla zona notte e i differenti servizi e accessori. Ogni vano scala serve sempre due appartamenti per ogni piano, anche perché gli edifici a L di questo quartiere consistono in due o tre rettangoli sfalsati o ruotati tra loro ma tutti con ingressi separati. Verso sud, gli edifici sono tre rettangoli disposti a L e alti 3 piani. I corridoi di accesso sono corti, a L o a T, e separando sempre la zona notte dalla zona giorno, rimangono al centro dell’appartamento.

Agli opposti del corridoio generalmente si trovano i servizi e solitamente la sala è corredata da una loggia.

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Acquerelli di Libero Cecchini Pagina accanto: Serramenti e balconi dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio a-b in via Carisio

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Progetto del corpo b, blocco D

L’edificio D ha due corpi che si collegano con passerelle, e presentano altezze differenti, dai tre ai cinque piani. Ogni rettangolo ospita uno o due appartamenti per ogni piano. L’accesso avviene direttamente dal soggiorno, oppure tramite un corridoio a L, su cui si affacciano tutte le stanze. Date le prescrizioni del piano Ina casa, anche qui è presente una loggia che serve direttamente la cucina: Cecchini ha quindi rispettato le direttive nazionali. Talvolta, avendo affacci su tutti e quattro i lati, il lato corto del rettangolo può essere utilizzato come una grande loggia che estende verso l’esterno in soggiorno.

Un’altra tipologia di edificio è la palazzina isolata. Lo schema degli alloggi nei piani tipo ha una logica condivisa dagli altri tipi di edificio. Ogni lotto presenta questa tipologia: l’edificio in pianta è riconducibile ad un rettangolo con alcune variazioni delle pareti che si piegano generando l’accesso al vano scala o a logge irregolari. La palazzina ha un perimetro ben definito che richiama due quadrati sfalsati e un vano scala centrale che funge da cerniera servendo due alloggi per ogni piano ripetute per cinque piani. Questo è uno degli edifici più alti e potrebbe essere ricondotto alla tipologia della torre. Esiste una distribuzione tipo degli alloggi valida per tutti gli edifici, riconducibile sempre alla tipologia d’ingresso e corridoio che dettano poi la distribuzione interna: si tratta di un corridoio rettilineo che termina con il soggiorno e separa sempre la zona notte dalla zona giorno e su cui si affacciano le stanze.

TECNICHE COSTRUTTIVE Come è già stato detto in precedenza, la ricerca d’archivio in questo caso ha portato al reperimento di pochi materiali. Purtroppo non di tutti gli edifici si è trovato il progetto. Le uniche informazioni si hanno per qualche cantiere, corredati da disegni, relazione tecni130

Pianta piano tipo blocco D

che e i capitolati mentre è stata inconcludente la ricerca dei cantieri mancanti. Anche qui le costruzioni si rifanno alle tecniche tradizionali come nella maggior parte dei quartieri. Anche se non si hanno molte informazioni si può comunque ricordare che le imprese che hanno vinto l’appalto dei lavori per e Golosine sono le medesime ditte chiama edificato anche in altri quartieri Ina casa. È comunque doveroso sottolineare quanto uso venga fatto delle pietre locali e talvolta del legno reperibile nella regione.

Le caratteristiche costruttive riassumono sette fabbricati connessi da delle passerelle e raggruppati in tre blocchi per il primo cantiere, e cinque fabbricati raggruppati in tre corpi per il secondo. Le murature fuori terra sono in pietrame tufaceo omogeneo non gelivo e malta di calce idraulica. I mori hanno spessori varianti da 60 a 40 cm secondo i disegni del progetto. Ad ogni 150 cm di altezza e la muratura è listata con due corsi di mattoni a tutto spessore dell’altezza di 15 cm. Nel muro di fondo dei terrazzini vengono usati mattoni pieni di 26 cm di spessore o foratoni portanti. Sulla parete esterna di sette murature sono opportunamente fissate lastre di fibrocemento spesso 2 cm. A livello di ogni solaio è stato eseguito un cordolo di calcestruzzo di cemento armato alto quanto il solaio.

La copertura è costituita da un’ossatura portante in cemento armato misto a laterizio e da un piano tavellonato in malta di calce e da un manto superiore in tegole curve.

La struttura delle rampe delle scale è costituita da gradini portanti secondo il sistema a voltino come risulta da progetto. Ogni gradino e in lastre di pietra di Prun ed è bocciardato faccia a vista. Le alzate sono in marmo lucido rosso Verona mentre i pianerottoli sono pavimentati in mattonelle di graniglia di colori chiari; verso la rampa si trova una lastra di pietra dello stesso tipo di gradini. Il parapetto delle scale e in ferro lavorato e sia lo zoccoletto lungo le pareti che i pianerottoli sono sempre in marmo rosso di Verona. All’esterno i 131

Acquerello del l’edificio a-b di Libero Cecchini Pagina accanto: Via Piccono della Valle, due edfici posti l’uno in fronte all’altro

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gradini sono in pietra viva sagomati come per le scale interne; lo stesso vale per i gradini della cantina, che sono appoggiati all’estremità sui muri.

I pavimenti nei locali interni e nei terrazzini sono in mattonelle di cemento e graniglia 20x20 cm di colore chiaro. Nei bagni sono invece poste in opera delle mattonelle di graniglia di colore scuro (nero e rosso levanto e verde alpe). Per le cantine i pavimenti presentano un vespaio di ciottoli compressi con sovrastante battuto in cemento.

Per quanto riguarda gli intonaci e le decorazioni varie, i davanzali delle finestre saranno in pietra viva mentre la zoccolatura esterna è in lastre naturali di pietra delle cave del Veronese fissate a malta.

L’intonaco è a tre passate sia all’interno che all’esterno, con rinzaffo di malta, un secondo strato di malta e uno strato di sabbia di fiume. La tinteggiatura è in latte di calce e colori chiari.

Nel bagno le pareti hanno un rivestimento in mattonelle bianche in ceramica per un’altezza minima di 160 cm con zoccolo superiore in mattonelle colorate. Le cantine sono suddivise da muretti in

calcestruzzo con rete metallica e ferri a T. I divisori dei soffitti sono invece in graticcio di abete intervallati da traversi in tavole d’abete.

MATERIALI E CAPITOLATO SPECIALE MURATURE IN PIETRA E MALTA Le murature del sotterraneo e anche di elevazione sono eseguite in pietrame proveniente dalle cave di Avesa e Quinzano. Le pietre devono essere pulite e lavate, e sia nelle facce di posa che nella testa devono venire spianate. Le pietre posate devono essere collegate l’una con l’altra, rinzaffate senza produrre vani.

MURATURE IN MATTONI I muri con spessore minore di 39 cm sono eseguiti in laterizio comune pieno o forato a scelta del Direttore dei Lavori, mentre le tramezze dei vani di un appartamento sono in mattoni forati con spessore di 8 cm. Le divisorie tra gli appartamenti sono costituite da doppie pareti di 8 cm con intercapedine di 5.

OPERE IN CEMENTO ARMATO Per la progettazione e l’esecuzione delle opere in cemento armato si era tenuti a osservare le disposizioni contenute nel R.D. 16 novembre 1939 n. 2228, circa le norme per l’esecuzione dei leganti idraulici, nel n. 2229 per le opere in cemento armato e semplice. Le opere in calcestruzzo armato del quartiere sono l’intelaiatura longitudinale interna portante dei fabbricati, i terrazzini e le relative pensiline di copertura e collegamento, le solette rampanti, i ballatoi e i parapetti delle scale, nonché il cornicione di gronda.

SOLAI I solai in cemento sono costituiti da soletta semplice o con nervature, con travi principali o secondarie. Il solaio appoggia su muri per tutto lo spessore dello stesso. I solai sono misti in laterizio e ce133

Particolare di un edificio nel cantiere Uno

Pagina accanto: Edificio e particolare del passaggio del cantiere Uno

mento armato con travetti di 16,5 cm di altezza e cappa superiore di 3 cm. La soffittatura dell’ultimo piano viene eseguita con travetti accoppiati in laterizio e cemento armato, eseguiti fuori opera, con interposte tavelle speciali da soffitto.

COPERTURE Il tetto degli edifici a falde incrinate è costituito dal manto di copertura in coppi e da una struttura in travetti di laterizio e calcestruzzo armato. Superiormente troviamo la travellatura mentre la struttura portante sarà completata da travi di colmo, diagonali e gronda in cordolo di cemento armato.

SCALE Le scale delle cantine hanno gradini in pietra viva lavorata a grana mezza fina, di pedata 40 cm appoggiate alle estremità sui muri. La larghezza della scala non è inferiore a 1m e le alzate sono standard (18cm). Quelle di accesso ai vani principali sono invece in calcestruzzo armato e i gradini sono rivestiti di marmo locale (parapetti in ferro e corrimano in faggio). Per quanto riguarda le scale esterne, i gradini sono in pietra viva, posti su struttura in laterizio.

PAVIMENTI I pavimenti di cemento si trovano nelle cantine ed è rigato o rullato.

In tutti i vani degli appartamenti e nelle trombe delle scale, i pavimenti sono in mattonelle di graniglia: sono costituite da cemento bianco, polvere di marmo e sogliettina di marmo di colorazione varia. Nella soglia delle porte dei balconi è inserita una lama di ferro. In tutti i piccoli vani accessori è lasciata la facoltà all’impresa di sostituire il pavimento con mattonelle di cemento monocromatico industriali.

SERVIZI DI QUARTIERE Le Golosine è un insediamento periferico che necessita di un’attenzione particolare ai servizi di quartiere, per non lasciare nell’isola134

mento gli abitanti a risentire parte dell’organismo urbano. Proprio questo riguardo è nato un problema tra la gestione degli abitanti degli edifici per quanto concerne la costruzione del centro sociale.

Il 24 settembre 1953 il Comitato di Attuazione assegnato l’importo di 9 milioni per la costruzione di un centro sociale nel quartiere di Santa Lucia- Golosine. Il progetto è stato approvato all’inizio del 1954, redatto dall’IACP con la collaborazione di Libero Cecchini.

L’impresa vincitrice è la ditta filippini Egidio. Nei lavori eseguiti sono state introdotte alcune varianti dettate da ragioni di decoro e praticità: per esempio nelle aule i serramenti delle finestre sono in ferro a bilico anziché in legno, con vetro termo lux. Inoltre nell’ambulatorio e il pavimento è stato eseguito in piastrelle greificate bianche e il rivestimento in piastrelle verdi; la cubatura totale è di 1573 mc.

Il fabbricato comprende l’ufficio per l’assistente sociale con annesso locale riposo, due aule che possono fondersi in un unico salone e annessi servizi. La costruzione viene eseguita secondo gli usi della zona: innanzitutto fondazioni continue in calcestruzzo di cemento; muri portanti in calcestruzzo per la parete interrata, in pietrame e mattoni per la parte fuori terra. La saletta e in calcestruzzo armato misto a forati e il tetto in ossatura di cemento armato. I serramenti, come di consueto, sono in abete mentre il serramento di separazione tra le due aule è in legno a telescopio. L’esterno è tinteggiato con intonaco Terranova: tutti gli ambienti di servizio, l’ambulatorio e la cucina hanno zoccolo con intonaco finto marmo. La costruzione di questo centro sociale ha provocato viva agitazione presso gli assegnatari, in quanto, la costruzione stessa viene ad essere molto addossata ai fabbricati già esistenti (a loro parere). Questi si sono presentati in deputazione per chiedere che sia inoltrata la protesta e la loro richiesta che la costruzione venga fatta su un’altra area.

I toni e contenuti della protesta confermano le difficoltà che gli as135

Schema del cantiere uno

Visuale da via Carisio

segnatari INA casa incontrarono nei primi mesi di convivenza nei condomini. Infatti le condizioni delle abitazioni erano migliorate, ma anche cambiate nelle responsabilità e nei servizi. Sul piano sociale si trattava di assegnatari che nonostante tutto non potevano godere appieno di ciò che gli veniva offerto, oltre al fatto che gli fosse difficile cambiare mentalità da un momento all’altro una volta ricevuta la casa.

Nonostante la protesta bisogna sottolineare che il Centro Sociale è stato costruito, inoltre è stato corredato da un parco giochi per ragazzi. Infatti il 14 aprile 1955 la Gestione comunica il benestare per la costruzione di un campo da giochi alle Golosine da parte della Tennifer secondo quanto proposto dalla stazione. Dalla resoconto lavori in corso si sa che il parco è corredato da una buca sabbia concordati prefabbricati, pavimentazione opus incertum posata su caldane calcestruzzo, panchine in cemento e graniglia levigate, e un Giro d’Italia in cemento prefabbricato, ovvero una pavimentazione tipica dei complessi INA casa, con un pavimento con lastre in cemento sagomate con il profilo dell’Italia e delle regioni.

CANTIERE UNO Per la lottizzazione, l’istituto si è tenuto lo schema redatto da Plinio Marconi, già in possesso e accettato dalla gestione in occasione del conferimento del primo lotto. I lavori comprendono sette fabbricati connessi da delle passerelle e raggruppati in tre blocchi. Ospitano 48 alloggi 283 vani. Il progetto è stato redatto dall’architetto Libero Cecchini e approvato il 21 dicembre 1950. I lavori sono stati affidati alla ditta Filippini. Il fabbricato A è costituito da tre corpi fabbrica contigui contraddistinti dalle lettere A,B,C, sono tutti a tre piani fuori terra con un piano scantinato opportunamente diviso e un sottotetto costituito da un ampio stanzone. Ciascun corpo di 136

Schema del cantiere due

Foto dell’edificio a-b

fabbrica è servito da una scala, con due alloggi ogni ripiano, sei alloggi da sei vani (per i fabbricati A e B) e sei alloggi da cinque vani (fabbricato C). Totale di 18 alloggi e 102 vani.

I fabbricati B e H sono costituiti ciascuno da due corpi fabbrica A di tre piani e B di 5 piani e hanno il medesimo schema distributivo.

Due vani scala servono i fabbricati: quello nel corpo B è a giorno e consente l’accesso a parte del corpo A attraverso passerelle in cemento armato. Tutto il fabbricato ha un piano seminterrato opportunamente diviso ma non collegato fra il corpo A e il corpo B. La parte a tre piani ha pure una soffitta indivisa mentre la parte a 5 piani ha il terrazzo di copertura con sovrastante parziale tettoia. Il fabbricato D consiste in 14 alloggi e 89 vani, mentre il fabbricato H comprende 16 alloggi e 92 vani.

CANTIERE DUE I lavori comprendono 5 fabbricati raggruppati in 3 blocchi. Ospitano 34 alloggi e 176 vani. Il progetto è stato redatto dall’Arch. Libero Cecchini, iscritto all’albo degli architetti di Verona e viene approvato nell’Aprile 1953 come si deduce dai timbri sui disegni.

Nei carteggi dell’ATER questi edifici non vengono identificati da lettere ma sono chiamati Gruppo I°, Gruppo II° e Gruppo III°. Nel lavoro in oggetto si è scelto di non rinominarli poichè i documenti riguardanti questo cantiere e in generale l’intero quartiere, presentano varie lacune e per ciò si può trarre solamente una archiviazione provvisoria che richiederebbe un approfondimento ulteriore negli archivi INACASA di Roma.

TIPOLOGIA A “L” A PIU’ CORPI SCALA: Il Gruppo I° si trova su un’area che era già in possesso dell’INACASA. È costituito da due corpi a) e b) di 3 piani oltre allo scantinato. Accoglie 12 appartamenti totali: nel corpo a) sono 3 appartamenti di 5 vani e 3 di 6 vani legali 137

Schema cantieri/edifici senza fonti

per 33 vani. Il corpo b) ha invece 6 vani complessivi di 5 vani, ovvero 30 vani in tutto.

Ogni corpo è servito dal proprio vano scala. La pianta si configura in due trapezi rettangoli con lato obliquo in comune . Il Gruppo II° sorge su un’area che il comune ha ceduto il 31 Gennaio 1951. I due corpi di fabbrica si elevano per 3 piani oltre alle cantine: anch’esso accoglie 12 appartamenti totali e 63 vani ma è distribuito diversamente. Il corpo a) ha una pianta rettangolare con 6 alloggi di 5 vani per 30 vani complessivi mentre il corpo b) consiste in pianta in due trapezi congiunti per il lato obliquo, a cui viene affiancato il corpo a). Questo corpo ospita 6 alloggi complessivi, 3 di 5 e 3 di 6 vani, ovvero 33 vani totali.

TIPOLOGIA A PALAZZINA ISOLATA: Il Gruppo III° è composto da un unico corpo a 5 piani e servito da un unico vano scala con 2 alloggi ogni piano; lo scantinato è suddiviso in 10 scomparti. Il fabbricato è coperto a terrazza, sul lato scale ha una tettoia a parziale copertura delle terrazze stesse. L’edificio consta 10 alloggi di 5 vani per 50 vani totali.

CANTIERI/EDIFICI SENZA FONTE La ricerca d’archivio per questo cantiere ha fatto emergere sostanziali lacune che non permettono di avere informazioni di alcun genere sulle vicende di cantiere che interessano questo lavoro. Il risultato è un’analisi che si ferma al 50% degli edifici costruiti, come si può evincere dalla tavola soprastante. Si sono potuti reperire alcuni disegni, anche se non del tutto completi, che possono permettere fortunatamente di farsi un’idea sommaria di alcune costruzioni.

Per le rimanenti, osservando la planimetria si possono azzardare delle analogie con edifici simili studiati negli altri cantieri del quartiere in oggetto.

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Pianta piano tipo, blocco I°; ater

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1954 5.3. CASA IN VIA CESARE ABBA

La ricerca d’archivio di questo progetto non ha portato a molti risultati; le uniche cose interessanti di cui abbiamo avuto notizia sono state delle foto storiche e la dichiarazione di agibilità firmata il 6 giugno 1956.

INQUADRAMENTO GENERALE Via Cesare Abba è una traversa di Via 4 Novembre, strada principale nel quartiere di Borgo Trento, appena fuori le mura. Infatti per arrivarci bisogna attraversare l’Adige superando Ponte della Vittoria, ostacolo che permette di separare la città storica dai quartieri che la circondano.

La palazzina si trova in una zona molto bella di Verona, in mezzo a case unifamiliari in stile liberty, in quello che dovrebbe esser stato il quartiere-giardino della città romana.

Le arterie stradali che la circondano permettono agli abitanti di questa zona di raggiungere il centro storico a piedi, mentre l’autostrada e la tangenziale più vicine sono agli estremi nord (uscita Verona nord a 10 minuti). Borgo Trento sorge ai piedi delle Torricelle, la collina che domina la città, ed è collegata verso est a Ponte Pietra e al Teatro Romano; è presente anche un polo ospedaliero molto grande e perfettamente funzionante.

CARATTERISTICHE DELL’INSEDIAMENTO Nel corso degli anni questa palazzina è stata sicuramente ritoccata e modificata; infatti dalle uniche immagini che si hanno dell’epoca di costruzione possiamo riscontrare delle differenze dallo stato attuale.

Per esempio, molti terrazzi sono stati chiusi con vetrate, in modo da creare delle verande e poterne cosi usufruire anche nella brutta 141

Quasi tutti i balconi sono stati chiusi e trasformati in verande

Particolare della copertura

stagione; oltre al fatto che originariamente l’intonaco del corpo di fabbrica era diverso dal giallo acceso che è presente al giorno d’oggi.

La palazzina in via Cesare Abba è stata costruita per le famiglie di professori delle scuole medie nel 1954.

Il progettista si è soffermato soprattutto sulla disposizione di appartamenti, e cioè due per piano e di media grandezza; un locale di ogni alloggio è destinato a studio, per lezioni private, con accesso diretto dal pianerottolo. Su tutti i fronti si aprono ampi balconi-terrazzi, sporgenti dal profilo in pianta solo per circa metà della loro profondità cosi da essere godibili anche con il cattivo tempo. Le pareti esterne sono intonacate. L’ingresso è posto a lato del fabbricato, non prospicente alla via; il portone d’entrata è in legno con la tettoia in marmo e ha una linea molto pulita, tratto caratteristico di Cecchini.

Il disegno particolare dei balconi crea un ritmo nella facciata altrimenti statica; grazie all’alternanza dei mattoni e della griglia abbiamo un gioco di pieni e vuoti, altra caratteristica peculiare dell’architetto.

Come abbiamo detto in precedenza, Cecchini è molto interessato all’aspetto sociale delle architetture: qui si adopera per dare un alloggio alle famiglie di professori, che fanno parte quindi di una fetta del popolo italiano che non è necessariamente costretta ad abitare delle case popolari, ma appartiene al ceto medio-basso.

Gli alloggi progettati sono molto grandi e comodi; essi si compongono di una zona giorno (composta da cucina, salotto e sala da pranzo) e di una zona notte (composta da due camera da letto di cui una padronale, due bagni e una zona studio). Sia a zona giorno che i servizi igienici affacciano su dei balconi; gli appartamenti sono specchiati rispetto l’interno e sono aggrappati al corpo scala centrale.

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Foto della palazzina negli anni â&#x20AC;&#x2DC;50 e al giorno dâ&#x20AC;&#x2122;oggi; in basso a destra possiamo vedere il particolare del portone dâ&#x20AC;&#x2122;ingresso

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Pianta piano tipo

Particolare di un interno: sala da pranzo e accesso alla cucina

TECNICHE COSTRUTTIVE Come è già stato detto in precedenza, la ricerca d’archivio anche qui ha portato al reperimento di pochi materiali. Purtroppo le uniche informazioni che si hanno sono dei disegni, corredati dalla relazione tecnica di collaudo di abitabilità, mentre per i capitolati la ricerca è stata inconcludente.

La documentazione riprende le tecniche costruttive usate nei cantieri INA casa a Verona.

Le tecniche costruttive sono assolutamente tradizionali.

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1955 5.4. CASA IN VIA ORIANI

I progetti di edilizia residenziale pubblica (per AGEC, ATER, INA Casa, IACP) e di edilizia residenziale sociale (per molte società cooperative e imprese di costruzioni) stesi e realizzati dal nostro protagonista nel Comune di Verona, tra gli anni 50 e gli anni 80, hanno prodotto alcune soluzioni interessanti e innovative, allineate alle ricerche nazionali e internazionali di quegli anni. Moltissimi progetti e le realizzazioni, tra cui ritroviamo la progettazione di casa di via Oriani, realizzata nel 1954 per la Cooperativa “Dal Cero” di Verona.

INQUADRAMENTO GENERALE La casa di via Oriani anni si trova direttamente sulla circonvallazione che porta in Borgo Milano, verso Porta Palio, una delle antiche porte di accesso alla città.

La zona sorge di fronte al vecchio zoo di Verona, ora solo parco dei bastioni. Siamo nelle vicinanze della stazione ferroviaria Porta Nuova, dell’imbocco della tangenziale e dell’autostrada e della zona degli uffici della città; fa parte di quei nuovi quartieri nati a Verona per soddisfare le esigenze del Piano di Ricostruzione e definire lo sviluppo futuro della città nell’arco dei 30 anni di durata del Piano Regolatore.

Al giorno d’oggi è diverso da come era stato progettato: al posto dei cortiletti interni troviamo il Ministero della Difesa Caserma Dalla Bona, oltre a una serie di negozi di altrettante palazzine che circondano il progetto in questione.

Inoltre via Oriani è diventata ora circonvallazione Oriani e collega circonvallazione Raggio di Sole con circonvallazione Maroncelli.

L’edificio in sè comunque non è cambiato di molto, solo il suo contesto.

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CARATTERISTICHE DELL’INSEDIAMENTO La palazzina è composta di sei piani più uno rialzato all’ultimo piano che costituisce appunto il settimo. La cosa interessante che l’architetto fa qui è l’accostamento di due volumi indipendenti, contenenti ciascuno un solo appartamento per piano e incernierati a un corpo scale con ascensore che si sviluppano su piani sfalsati, sia in pianta sia in sezione. La morfologia del lotto stretto e profondo (che si affaccia sui giardini delle storiche mura della città) suggerisce a Cecchini di far slittare i due volumi, garantendo a ciascun appartamento la vista sul verde esterno. Alla lineare semplicità del partito architettonico esterno corrisponde la soluzione piantistica degli alloggi, dalle zone giorno, notte e servizi ben distinte.

Gli alloggi sono in tutto 12 distribuiti su sei piani, ciascuno di 110 m quadrati. La distribuzione planimetrica dimostra ancora una volta l’efficacia della composizione semplice: i locali di soggiorno si affacciano, con ampie superfici vetrate e spaziose logge, sulla zona a verde antistante, godibili anche per il soggiorno all’aperto. La vita collettiva della zona giorno è articolata in sotto-ambienti e percorsi specializzati. Vengono utilizzate pareti mobili e uno spazio filtro d’ingresso; tutto questo rende questo l’edificio non solo moderno ed efficiente, ma anche esempio di buona architettura.

TECNICHE COSTRUTTIVE In questo caso la ricerca d’archivio non ha prodotto alcun risultato; si può quindi solo supporre in che modo sia stata costruita la palazzina, riscontrandolo a occhio. Non è possibile però capire precisamente se le volontà del progetto siano state rispettate in tutti questi anni; potrebbe essere stato intonaco o modificato in corso d’opera; potrebbero esser state approvate delle varianti da pro148

Foto storiche del complesso viste da sud e da nord-ovest; pianta del piano tipo; immagini attuali e particolari formali

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Vista da ovest particolare della copertura; la visuale della palazzina affacciata su strada e al parco dei bastioni all’incrocio con via città di Nimes

gettisti diversi che hanno avuto buon fine: insomma, non abbiamo modo di verificare la storia di questo edificio. Così possiamo solo provare a ricostruirla.

In linea con le edificazioni dell’epoca, la palazzina di Via Oriani sembra aver seguito le tecniche costruttive tradizionali. Per uno schema riassuntivo dei metodi tradizionali di costruzione usati nei cantieri INA Casa si rimanda alla scheda di progetto sul quartiere di Porto San Pancrazio.

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1958 5.5. EDIFICIO AD APPARTAMENTI IN LUNGADIGE PONTE CATENA

L’edificio per appartamenti in Lungadige Ponte Catena è un progetto del 1958 richiesto dall’INA Casa per sottindendere alle necessità della zona nord-ovest della città.

INQUADRAMENTO GENERALE Il civico n. 7 in Lungadige Catena si trova nella zona ovest di Verona, limitrofo al quartiere di Borgo Trento. Trovandosi vicino alla palazzina in via Cesare Abba le infrastrutture che connettono l’edificio sono le stesse di quelle che interessano il progetto di cui sopra, con l’unica differenza che la palazzina si trova sul finire di borgo Milano, altro quartiere alle porte di Verona annesso durante il periodo dei piani di ricostruzione, quindi gode anche dei collegamenti con Corso Milano e, proseguendo, con il lago di Garda. Per riassumere, il corpo di fabbrica è situato di fronte all’Ospedale Civile Maggiore, aldilà del fiume Adige.

TECNICHE COSTRUTTIVE Come già stato detto in precedenza per altre esperienze, la ricerca d’archivio in questo caso ha portato al reperimento di pochi se non nessun materiale. Purtroppo non è stato ritrovato il progetto. Le uniche informazioni che si hanno sono dovute al reperimento di relazioni miste, ma più in particolare della dichiarazione di agibilità.

Questa documentazione ha permesso di raggiungere un’informazione particolare: all’epoca della sua costruzione l’edificio era diviso in due numeri civici e gli enti commissionanti erano due: l’INA Casa e la Cooperativa Libellula, quella che interessa a noi perché è stata questa cooperativa a contattare Libero Cecchini.

Le tecniche costruttive comunque sono assolutamente tradizionali. Infatti si è potuto leggere nelle relazioni tecniche: “la costruzio153

Varie viste da Lungadige Catena e da via G. Da Verazzano dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio INA Casa: si notino in particolare i tratti distintivi della palazzina e in generale di tutti i complessi INA (come per esempio la struttura portante a vista)

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ne della casa seguirà secondo le caratteristiche in uso nella città di Verona.” Questo lo si può notare anche visivamente, in quanto lo scheletro strutturale della palazzina è a vista come nei più classici quartieri INA Casa, in muratura con solette in laterocemento.

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1971 5.6. CASA - ALBERGO PER ANZIANI DI VIA VOLTA

“[…] la casa da sola non basta più a risolvere i problemi dei nuovi gruppi bersaglio - degli anziani, degli immigrati, eccetera - servono servizi per aiutarli a vivere meglio – gli anziani in particolare – a sopravvivere anche, in alcuni casi, o per aiutarli a integrarsi, per quanto riguarda gli immigrati. E quindi, una nuova missione attende gli operatori dell’edilizia sociale. […]”

Nell’ambito dell’attività svolta da Libero Cecchini come presidente nell’AGEC di Verona tre 1966 e il 1976, orientata a sperimentare un innovativo piano di gestione e manutenzione del territorio, a indire concorsi di progettazione e a sensibilizzare l’opinione pubblica sui nuovi orientamenti dell’architettura partecipata e l’autocostruzione (nelle torri AGEC per esempio di Borgo Milano la distribuzione interna degli alloggi e raffinata gli abitanti), si annovera anche lo studio della realizzazione di immobili destinati a nuclei di anziani a basso reddito, con alloggi di piccole dimensioni, con buona accessibilità, benserviti delle infrastrutture e ben connessi con il centro urbano.

L’AGEC predispose la costruzione di alcune case per anziani distribuita sul territorio comunale, inserite in zone di vecchi quartieri popolari, al fine di non recidere i legami degli abitanti con le loro tradizioni abitative, le loro abitudini e il loro tenore di vita. Lo scopo era anche quello di non ghettizzare quartieri, ma di costruirvi quell’articolazione sociale che è tipica dei centri storici di antica formazione.

Tra i vari interventi c’era la previsione di aggregare alcuni servizi minimi, come un ambulatorio medico, sale riunioni e un giardino, ma anche, in prospettiva, dei laboratori artigiani, forieri di interazioni tra vecchie e nuove generazioni.

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Planimetria scala 1:200 del complesso; foto strica vista dallÏinterno del cortile e inquadramento in scala 1:2000 (sezione C, foglio 7°)

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INQUADRAMENTO GENERALE La casa albergo di via Volta, un complesso realizzato appena al di fuori delle mura scaligere tra il Centro Storico e il quartiere di Borgo Venezia, costituisce il progetto pilota, i cui caratteri potevano essere spesso ripetuti nei successivi interventi di nuova costruzione.

L’edificio è posizionato a ridosso delle mura della città e la sua forma a C è appoggiata alla strada delle Torricelle nella parte chiusa, mentre si apre verso il cortile interno. È in una zona strategica per quanto riguarda gli accessi al centro e la tranquillità di un luogo isolato: essendo in una zona leggermente rialzata i rumori vengono attutiti anche dallo strato arboreo nell’immediato intorno del costruito, oltre al nascondere la visione non troppo piacevole di una strada trafficata.

Il complesso è a ridosso del volto di San Giorgio, il cavalcavia che separa via Volta e via Nazario Sauro; gli ingressi sono poi posti nel vicolo a destra di Via Volta, che finisce in una strada chiusa e non percorribile alle macchine, ma che si collega per i pedoni a una scalinata che porta in via Giovanni Francesco Caroto, le cosiddette Torricelle.

Proseguendo verso est la zona è collegata a Via Fincato, strada principale del quartiere di Borgo Venezia che porta poi alle tangenziali sud e ovest e più avanti all’autostrada A4, mentre verso ovest il complesso è collegato al centro storico e più avanti al quartiere di Borgo Trento.

La direzione dei lavori viene affidata inizialmente all’architetto Libero Cecchini, che in questo periodo è alla presidenza dell’AGEC, e successivamente al rag. Danilo Cappellaro, mentre il collaudo dell’edificio viene effettuato dall’ingegner Augusto Ambrosi da Verona.

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Sezione longitudinale; viste da via Volta dell’edificio, con i particoari serramenti rossi in risalto

CARATTERISTICHE DEL COMPLESSO Come abbiamo detto precedentemente, la casa-albergo si sviluppa in tre ali con al centro il cortile: una parte al piano terra è dedicata alla zona comune, dove è presente una sala riunioni accessibile solo dai condomini; mentre tutto il primo piano è dedicato agli alloggi.

Al piano terra ampi porticati e gallerie vetrate e riscaldate costituiscono un piacevole spazio per incontrarsi e passeggiare anche nella cattiva stagione. Qui, in prossimità dell’ingresso, si trovano servizi comuni aperti anche al quartiere: sale di soggiorno, un bar, un negozio, un ambulatorio medico. I 34 alloggi sono di due tipi, di 50 e 38 m², e presentano gli stessi caratteri distributivi.

Possiamo cercare di classificare poi il verde: il verde pubblico è attrezzato con percorsi pedonali e arredi, oltre a dei tappeti erbosi con vegetazione d’alto fusto. La centralità di quest’area, concepita come spina portante, viene aumentata in quanto su di essa si arrestano e/o dipartono collegamenti pedonali per accedere ai vari edifici. Non viene riconosciuto nessun tipo di verde privato: possiamo notare che il principio di socializzazione vige in questo complesso più che in ogni altra costruzione vicina, e quindi anche il verde è messo in condivisione tra gli abitanti di questi spazi.

Sono presenti degli ulteriori spazi verdi: in realtà questi non hanno nessuna funzione, se non quelli di essere di risulta, anche se inizialmente c’era stata l’ipotesi di adibire ad orti questi spazi.

I corpi di fabbrica salgono nel leggero digradare del terreno e sono connessi tra loro da corridoi-galleria, corpi scala e ascensori, pensati come punti di coesione e luoghi di interscambio sociale. I servizi sono posti agli estremi dell’edificio al piano terra, come per esempio l’ambulatorio (all’estremo nord), la sala d’attesa e la sala da pranzo (all’estremo sud) e la sala riunioni (posta all’estremo est).

Per quanto riguarda gli alloggi (in maniera più specifica) il comples160

so mette a disposizione due tipologie di vani: uno di 50 e l’altro di 34 m quadri (come già anticipato prima).

Tutti gli accessi sono organizzati sul disimpegno che dà sul cortile e gli alloggi sono specchiati l’uno rispetto all’altro: generalmente sono dotati di una sala principale (che può fungere da salotto/cucina/sala da pranzo), di una camera da letto, di un bagno e di un antibagno. Il terrazzino è incluso a partire dal primo piano fuori terra. Il tutto è servito da tre corpi scale, due agli angoli dell’edificato e uno all’estremo nord in direzione del cortile.

La tipologia dell’edificio è facilmente riconducibile a un edificio a ballatoio, nel quale la distribuzione è fornita appunto dal ballatoio interno che segue tutto l’impianto (è anche chiamato disimpegno nei carteggi rinvenuti). Il totale degli alloggi è 34 ed è distribuito su due piani fuori terra, considerando il fatto che il piano terra è adibito alle zone comuni e ai servizi, e alle zone relative alla socializzazione tra i condomini.

TECNICHE COSTRUTTIVE E MATERIALI La ricerca d’archivio svolta, ha portato al reperimento di materiali molto utili per l’individuazione e lo studio delle tecniche costruttive.

Le tecniche costruttive per la casa per anziani di Via Volta sono assolutamente tradizionali. Infatti più volte si è potuto leggere nelle relazioni tecniche dei vari cantieri: la costruzione del complesso seguirà secondo le caratteristiche in uso nella città di Verona.

Nel preventivo di spesa del progetto del 28 aprile 1968 l’ammontare dei lavori era di L. 155.000.000 e comprendeva le voci seguenti: - Cls. per sottofondi e fondazioni dosato con cemento tipo 730 a q.li 1,50 mc; 161

- Cls. In opera per fondazioni armate, murature pure armate ecc. dosato a q.li 300/mc, ferro e casseformi contabilizzati a parte; - Cls. per c.a. in opera per travi e pilastri, ferro e casseformi contabilizzati a parte; - Casseformi per getti in cls per fondazioni e murature; - Casseformi per getti in c.a. travi e pilastri; - Solaio in cls a laterizio H 20+4 escluso il ferro; - Acciaio semiduro per solette; - Manto di copertura con tegole a canale; - Muratura di forati in cotto da 8 cm; - Intonaco civile per gli interni e per gli esterni; - Intonaco rustico, rasatura in calce bianca, intonaco di cemento decorativo con polvere di marmo su intonaco con cemento bianco; - Tinteggiatura a tempera e imbiancatura con 2 mani di calce in opera; - Vespaio battuto in cemento; - Pavimento in tessere di gres 7,5x15 di colore rosso, pavimento alla palladiana e in marmette 25x25 o 30x30 scaglia 5/7 in opera a piombo; - Sottofondo con isolamento termico acustico ecc e rivestimento di piastrelle di ceramica 7,5x15 cm; - Gradini in marmo, lastre (Veronese, trani o botticino) lucidato in spessore 3cm; - Zoccolino battiscopa nelle scale H 16,5; - Tubazioni in materiale plastico per fognature, canne fumarie circolari e in fibrocemento a sezione rettangolare; - Manto impermeabile per copertura piana, fornitura e posa in opera in polistirolo espanso; - Telai di finestre e porta finestra in abete coloriti a smalto; - Porte interne tamburate in abete coloriti a smalto dimen162

Vista di spazi e servizi comuni: nella prima foto viene inquadrata la sala riunioni, mentre nell’altra si vede l’attacco dei due corpi di fabbrica al piano primo a il passaggio al piano terra Disegno del prospetto ovest in scala 1:200

sioni 80x205 – 70x205; - Avvolgibili in abete coloriti a smalto; - Corrimano in legno duro scale, lavori in ferro, serrande a bilico; - Lavori in ferro per telai in profilato normale e abbellimento atrio.

MATERIALI E CAPITOLATO SPECIALE Un’altra importante documento che aiuta a capire le caratteristiche costruttive è il capitolato speciale d’appalto dell’AGEC di Verona del 22 ottobre 1967 e i documenti correlati ad esso, ovvero le relazioni di calcolo, i computi medici, i libretti delle misure.

Nella prima parte si tratta l’oggetto è il prezzo dell’appalto, la designazione sommaria delle opere e la descrizione delle opere principali, oltre ai compiti e alle responsabilità di ciascuna figura all’interno dell’organizzazione del cantiere. Nella seconda parte si parla della qualità e provenienza dei materiali, il modo di esecuzione dei singoli lavori e il loro ordine nell’andamento del cantiere. È interessante notare che più di una volta, nei carteggi ritrovati, si richiede la sospensione dei lavori; di questo argomento tratteremo dopo.

CONCLUSIONI Secondo la licenza rilasciata in seduta 18 marzo 1969 n. 10 all’AGEC, il prospetto dell’edificio doveva essere intonacato o tinteggiato, o rivestito o stuccato a regola d’arte (condizione che sussiste tutt’ora), ma soprattutto “l’esecuzione dei lavori potrà avere inizio 163

Vista del cortile interno oggi; un corridoio interno: da notare la cura con cui Cecchini progetta il complesso, la differenza di materiale tra l’alzata e la pedata e la strombatura delle finestre.

soltanto dopo che l’Ufficio Tecnico Comunale, a richiesta dell’interessato, avrà determinato i punti fissi di linea e di livello da osservarsi scrupolosamente”.

Questa licenza aveva validità di un anno, e il 2 marzo 1970 venne presentata la richiesta di apportare varianti al progetto originale.

Tutto ciò, oltre alle varie richieste di sospensione lavori, denota una difficoltà alla costruzione dell’immobile, oltre a vari ritardi che si sono registrati.

Gli scioperi e le agitazioni sindacali dell’autunno del 1969 si fanno quindi sentire anche qui, da una raccomandata a mano mandata dalla ditta che aveva in appalto i lavori, l’impresa di costruzioni edili Recchia Antonio.

La costruzione di questo fabbricato è quindi ben lontana dalla politica con cui si sono costruiti i quartieri INA casa o, rimanendo sempre in tema Cecchini, gli edifici di Porto San Pancrazio e delle Golosine. I ritardi caratterizzano la costruzione di questo lotto, a differenza della fretta, o meglio della voglia, che si aveva negli anni precedenti di realizzare quartieri dove la gente potesse andare a vivere il prima e il meglio possibile.

La casa albergo al giorno d’oggi si presenta invecchiata; sotto certi aspetti i materiali hanno avuto una buona resistenza ma, sotto altri aspetti, l’edificio non si è conservato come avrebbe dovuto.

Infiltrazioni di umidità e impianti che perdono sono i problemi che più preoccupano gli abitanti di questo complesso, oltre che problemi all’impianto di riscaldamento. Tralasciando questi aspetti le tecniche costruttive tradizionali utilizzate ci lasciano un immagine dell’edificio in buone condizioni e perfettamente riconoscibile all’interno del tessuto cittadino.

La scelta dei serramenti rossi si distacca completamente dagli edifici nei dintorni e la loro modularità ne genera un disegno ritmato sull’intonaco bianco.

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Nellâ&#x20AC;&#x2122;altra pagina: prospetto est, particolare per la scelta dellâ&#x20AC;&#x2122;intonaco e la pianta generale al primo piano

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INTERVIEW 6. INTERVISTA AL PROTAGONISTA DEL TEMPO

Cecchini è stato molto disponibile a rispondere alle mie domande; anzi si è mostrato accomodante e molto felice del mio interesse verso la sua storia in particolare.

Siccome la sua biografia è nota a tutti e facilmente rintracciabile e definibile, ho scelto di porgli delle domande a carattere più specifico e più “pericoloso” se vogliamo, parlando di temi come la politica, i rapporti con i personaggi illustri del tempo e lo spirito con cui lui ha svolto il suo lavoro in tutti questi anni, anche se alla fine quello che ne è uscito è stato un dialogo a tutti gli effetti.

D: Per quanto riguarda la sua esperienza riguardo il primo dopoguerra, come per esempio il piano di ricostruzione di Volargne o le cose popolari di Ponton, c’è anche un’altra realizzazione, che sono le case popolari di Grezzana di cui non si parla mai. Che cosa ricorda di quel periodo? Come sono andate le cose nella particolare situazione di Volargne per esempio?

LIBERO: Un mese fa abbiamo fatto una ricerca con degli architetti, rivedendo tutto il problema del dopoguerra immediato, abbiamo per appunto tirato fuori l’argomento di Volargne (che è importante) il fatto che c’era bisogno di lavori pubblici, di ricostruzione immediata: questo per me è importante anche perché, appena dopo lo scoppio, che è stato a novembre del ‘44 si è iniziata subito con la ricostruzione. Dunque forse nel 1947, non vorrei sbagliarmi.

La prima casa verso la Chiesa, percorrendo la strada che va da Nord a sud, di cui sono state consegnate le chiavi nel ’47… insomma per questa ricerca si è ritrovata una fotografia in cui io sono nella casa che è stata inaugurata in cui c’era una vedova entusiasta che batteva le mani sui muri e diceva “questa è una casa solida! il terremoto non ci fa niente, non si sente niente” .

Case fatte con la pietra, e la malta, erano su due piani; all’ingresso 166

lei si affacciava, poi c’era il camino di pietra e la cucina alla veneta, quella ancora con l’influenza svedese, perché nel famoso piano Fanfani, le case, l’ina casa, abbiamo subìto un’influenza svedese dalla cultura. Infatti tu vedi delle cucine molto piccole, che si usavano nel nord perchè qui, e anche a scuola, dicevano che una cucina grande per una donna non andava bene, perchè arrivati a sera, avrebbe fatto non so quanti km quindi era per fare meno fatica. E poi c’era da considerare anche l’aspetto psicologico, gente di campagna, puoi immaginare…

Allora questa qua, c’è anche un disegno… c’è il muro, c’era tutta la camminata con la scala che va in su, e dopo qua devi pensare che non c’era ne l’acquedotto, ne la corrente e di conseguenza erano abituati ad avere i bagni all’aperto, proprio in quest’appendice qua, ecco un piano.

Oltre alla cucina, la scala portava anche in cantina e sopra alle camere da letto, e passava vicino a un disimpegno che in un secondo tempo è diventato la stanza da bagno, ma in realtà non era stato concepito per quello perché il bagno era fuori.

Pur essendo alti due piani, la volumetria normale era importante ed era stata influenzata dalla stessa Villa del Bene, sempre lì nel paesello di Volargne. Successivamente le case da un piano davano più fastidio di quelle da due perché il concetto fondamentale è l’armonia, che viene dato dalla volumetria; perciò per esempio, se vai ad Algeri, nelle case arabe che hanno dei cortili interni da 10 m, o nei nuraghe, seguono una loro linea, sono coerenti tra di loro. È importante qua che si possa leggere, perché era stata fatta in accordo con i piani di ricostruzione.

Facendo una ricerca tra i vari piani di ricostruzione italiani, poi, hanno scoperto che l’unico che ha la terza dimensione, dello spazio, delle facciate, è questo qua, e nasce appunto dal disastro dei bombardamenti tedeschi e dalla collaborazione con l’architetto Torres, 167

che ha considerato il restauro importante come la ricostruzione, per fare un esempio con la Villa del Bene.

E allora quando hai scritto di questo paesetto piccolo e le sue problematiche urbanistiche, ferrovia autostrada tangenziale, liberare il centro storico dal traffico pesante, che il rapporto del restauro di Villa del Bene e altre case, con il rapporto della ricostruzione deve avere tipologia simile. Tutte insieme, dalla piazza e restauri che sono stati fatti , per concludere, pare quasi il discorso di adesso, un discorso attuale, che questo è un piccolo e allo stesso tempo grande esempio di quello che si dovrebbe fare, nei rapporti paesaggistici e urbani in Italia.

Questo ha molta importanza, questo concetto, organizzando nell’ambito per esempio. Di Volargne, organizzare una specie di studio collettivo, fare indagini…

Accontentare la gente.. Per esempio ho avuto la fortuna di fare delle case popolari, con una fornace della calce nel paese vicino, e una fornace di mattoni a Volargne. A queste due fornaci abbiamo dato il carbone per avviare la produzione, poi i residui venivano portati tutti a Ostiglia, perché il proprietario era da là, e noi avevamo l’ordine di fare i mattoni e la calce.

E questi sono esempi di partecipazione della gente, la voglia di fare era importante; è anche la situazione che c’è adesso, bisogna fare; e poi quest’inserimento di casa è tutto complesso, un concetto abbastanza odierno, anche essendo passati i cinquanta, sessant’anni.

Per me è importante. Poi c’è la casa di Grezzana…

Ecco questa nasce così, con il Genio Civile: quella nasce con l’Ina casa e faccio sempre il racconto che segue perché è abbastanza interessante. Per fare queste case popolari mi chiama il direttore, che era sabato, dicendo:” domenica notte dobbiamo andare a Roma, all’Ina casa, con il progetto tipo di casa popolare, andiamo 168

portargli un po’ di materiale” per esempio il computo metrico, o la stima dei costi… di sabato!

Allora non c’era quello che stampa non c’è niente, allora io ho fatto tutto a mano; e domenica sera andiamo a prender il vagone letto e siamo andati a Roma. Ci siamo presentati all’Ina casa e il commissario che ha nominato i professionisti di alto livello, anche questo conta molto, era Libera. Al quale io mi sono scusato, non avevo niente, non avevo le copie stampate, avevo fatto tutto a mano; e allora questo dice dopo che ha guardato, no no è il più bel progetto che ho visto e quando siamo andati via mezzogiorno è stato approvato, con sopra il visto, gli accordi e il finanziamento necessari dall’architetto Adalberto Libera, e noi abbiamo preso un rapido al pomeriggio e il giorno dopo abbiamo iniziato a fare la gara appalti.

Per far capire come la burocrazia, molto importante, che è notoriamente molto lenta, questa volta ci ha assecondati.

Per quanto riguarda le case di Ponton bisognerebbe trovare un libretto interessante, allora qui c’entravano l’Ina casa e il consorzio delle cooperative..

Siccome erano sulla strada, lì c’è un corpo senza finestre, un blocco, che non guarda la strada, però in parte c’è l’ingresso sulla destra, se hai un pezzo di carta ti mostro... (si mette a disegnare) Nel rientro si apriva la porta e c’era solo una finestrella che dava sulla strada: dentro poi era come una casa a schiera, con il cortile interno, sopra un cavalletto con il balcone e in fondo l’Adige.

In pratica dalla strada vedi sempre un rientro. Questo l’ho fatto per avere sempre un rapporto abitativo, il sole era sempre a sud dove c’è il verde e l’Adige.

Però la popolazione non l’ha accettata volentieri, tanto è vero che siccome era durante il 1954 e a Domegliara a febbraio facevano i carri di carnevale, quell’anno hanno fatto un carro con le case, e so169

pra al tetto c’era la mia testa; l’altro architetto sopra e l’ingegnere, con in mano un rotolo di carta e senza testa: sono scoppiati tutti a ridere quando l’hanno visto, e anche ogni volta che io lo racconto, perché nessuno se lo aspetta! Addirittura un carro di carnevale…

Diciamo che è una nota molto umoristica di partecipazione della gente. È buon segno, significa che la gente partecipa.

Si, ma loro volevano guardare in strada anche perché le altre case che ci sono guardano tutte in strada: vedi, sono un po’ più arretrate, più riservate… però la gente a quell’epoca e anche dopo volevano avere accesso diretto alla strada, volevano andare in strada. È un fatto anche urbanistico del nostro territorio, anche nella Valpolicella: in poche parole, quando sono venuti fuori dalle corti padronali i contadini, perchè da secoli erano dentro al portone con la villa o comunque dentro all’abitazione del padrone di casa, questo modo di vivere la comunità sociale a un certo punto con la guerra cambia. Essi si sono un po’ liberati e sono usciti, si sono scaricati sulle strade, specialmente quella strada nuova della Valpolicella che non erano capaci di tenerli indietro e dicevano, “questi qui, li uccideranno” vanno in mezzo alla strada, passa il traffico anche se era meno di quello di adesso. Anche di notte succedeva e noi, bisognava convincere la gente che non bisogna andare in strada, è pericoloso.

Quindi psicologicamente bisogna insegnare alla gente come si abita: lo spazio del vivere, le inclinazioni psicologiche, sociali, particolari in momenti storici della vita diversi, soprattutto in un momento così agitato di storia, che ha scosso generazioni.

Non si deve però sempre accontentarli, si deve dare la giusta misura che possano ragionare, e riflettere di più, poi con il tempo ti 170

danno ragione. Questo è il discorso di un architetto.

L’architetto deve collaborare e tener conto della partecipazione con la gente, questa ci vuole, ma ci vuole anche un po’ di pazienza, e cercare di farli capire ed educarli, un passo alla volta vero, ma bisogna educarli a vivere bene. Deve esserci il momento e cominciare a vivere bene se c’è la possibilità di farlo. Se ce n’è nel territorio, viverlo, perché qui abbiamo una situazione particolare: è un paese continuo, non ha spazi intermediari, è continuo. Il verde c’è, frantumato, però in questi ultimi tempi, però bisogna educare a venirne fuori da questa crisi. Veramente, negli ultimi 10 anni secondo me è stato peggio di prima, perché tutto sommato c’è stato un qualcosa di simile al rilassamento nel controllo nello sviluppo.

D: Ha mai avuto problemi riguardo la politica? Ostacoli, progetti che non ha superato per colpa della politica veronese?

No la politica è cambiata, come ti dicevo prima…

Inizialmente c’era, tanto per dire, le case INA non sono state fatte per abitare, sono state fatte per occupare la gente a lavorare, perchè si occupava del lavoro, distruzioni causate dai bombardamenti.

Però si viveva anche con poco, si viveva con delle case che, considerandole oggi, sono case per modo di dire, i servizi non ci sono per esempio…insomma sono quelli che sono, anche se bisognerebbe seguire un’armonia, un rapporto, ecc.

Anche nelle grandi città è pericolosa, non è che trovi ostacoli, nel senso che subito ce n’erano meno evidentemente, erano organizzazioni diverse, c’era la necessità, c’era anche la grande voglia di fare. E poi c’erano anche i politici che in quel momento volevano fare: partecipavano, c’era più semplicità, anche nei rapporti urbanistici e compositivi. Però, vedi, la politica è sempre stata pericolosa, tante volte noi critichiamo gli architetti, urbanisti,… Ma vengono 171

dopo. Quando un’amministrazione fa un provvedimento, una legge amministrativa, ti mette in confusione tutto.

L’esempio di Verona: la città era composta dalla cerchia storica, e dalla corona di comuni (Avesa, Quinzano, San Massimo, Poiano,..) in cui ognuno aveva il municipio e la scuola elementare. Avevamo una città satellite con satelliti, come in tutto il Veneto. Ecco cosa succede. Nel periodo durante la guerra, e il periodo tra le due guerre, hanno fatto una delibera per fare la grande città: riunendo e cancellando tutte le autonomie comunali. Adesso, questo provvedimento, sembra una cosa da una paginetta, ma ha cambiato Verona: perché se ogni paese aumentava e alimentava se stesso autonomamente, noi avremmo avuto la grande corona di verde, che divide la città storica dall’altra città. Avremmo avuto un’altra città, che oggi, secondo me sarebbe stata migliore. Quando hanno fatto tutto l’insieme (e poi è stato programmato l’intervento unitario) ci si è trovati con una città morale, che aveva questi satelliti, erano un buon nutrimento, avevano gli orti, l’agricoltura, era la produzione che manteneva e nutriva la città. Ecco quindi, purtroppo, un provvedimento amministrativo può essere deleterio. L’amministrazione è sempre un punto di domanda, a meno che non sia puntuale come per esempio la Soprintendenza. Era più semplice, per esempio, nel giudizio che la commissione edilizia forniva: io sono stato in commissione appena finita la guerra, c’era tutti i clienti, e i corpi di forza, come i vigili del fuoco, erano presenti alle riunioni nella commissione. E nasceva ogni volta una discussione collettiva tra i rapporti e i rispetti della legge di uno o dell’altro. Perché evidentemente con le varie leggi separate è difficile progettare, perchè si vuole accontentare l’uno si e l’altro no.

Il mio è un caso un po’ particolare comunque perché io ho vissuto da libero professionista fino al 1951 durante la ricostruzione del ponte di Castelvecchio, incarico voluto da Gazzola, che era mio profes172

sore assistente al Politecnico di Milano e mi ha chiamato perché io conoscevo fondamentalmente le pietre, essendo di una famiglia che c’era dentro nel mestiere.

E poi, sempre in quegli anni, abbiamo lavorato insieme alla ricostruzione di Ponte Pietra, e poi sono venuto via. Per questo ho avuto una preparazione storica fortunata, particolare, di avere una cultura della conservazione e anche della ricostruzione, che non è corretto del tutto, ma che in quel momento era importante vedere e far arrivare le immagini della città alla gente per dare fiducia perciò eravamo considerati con rispetto.

In questa possibilità culturale che ho avuto, ho potuto intervenire e aiutare a risolvere i problemi, per esempio quando i provvedimenti edilizi dicevano che le case dovevano essere alte tra i 3 e i 3.20 m, le case nel centro storico han demolito tutto: qualche casa per mantenere la facciata, per mantenere l’immagine per i ricordi più vecchi. Per esempio, sugli angoli, c’era il voltatesta, da regolamento, cioè quello che era sullo spigolo…allora uno poteva stare li, ma l’altro doveva essere sistemato. Ma capisci che sistemare tutti gli angoli, venivano massacrati. Cioè allora li, questa partecipazione che c’era, è stato Gazzola che nel centro storico ha permesso che un edificio è un bene culturale e che bisogna lasciarlo com’è. E recuperare tutti gli altri edifici stando sotto al regolamento; sono piccole robe ma che sovrastano tutto.

Qui io non lavoravo per i privati, ma per l’edilizia pubblica, ho fatto molti concorsi INA Casa, anche nel periodo dei villaggi. L’INA Casa che per me è stato un periodo molto bello urbanisticamente.

Quindi la politica, vedi, gioca molte situazioni che poi entrano in discorsi negativi ecco. Io sono sempre stato convinto che la politica, non quella locale ma la politica nazionale, sia un po’ pericolosa.

Comunque la struttura delle soprintendenze, del ministero della pubblica istruzione allora era debole: non ha avuto la capacità 173

strutturale di poter sviluppare i compiti di legge (nel ’39 era nata la legge sul paesaggio e nel ’42 quella sulla città). E invece il genio civile che era una struttura consolidata, storica, ancora dell’epoca sabauda, ha avuto la precedenza. E c’è stato il concetto di piano regolatore dalla città alla campagna. E qui per me è stata la rovina della realtà in questo paese. La città non è riuscita a far capire al paese che ha sbagliato; perciò credo che le responsabilità politiche ci siano tante volte, molte più di quelle che si pensa.

D: Dal 1966 per ben dieci anni Lei è stato presidente all’A.g.e.c.: che tipo di ricordi le ha lasciato? Come giudica questa esperienza? Ha portato cambiamenti rispetto ai suoi predecessori o successori?

L’AGEC è stata un grande esperimento umano per me. È stato un esperimento che mi avvicinato molto alla gente, perché anche quando c’erano le assegnazioni, come oggi, ceravo di conoscere i problemi delle famiglie anche se era difficile.

Io ero presidente in minoranza per la verità, non in maggioranza, rimandavo sempre il problema alla settimana successiva, e nel frattempo volevo andare a guardare coi miei occhi la gente come abitava. Ecco, li mi sono persuaso che c’erano delle situazioni drammatiche capisci, ragazzi e famiglie affette da malformazioni, persone handicappate anche allora. Per esempio, un episodio che mi ha sconvolto una volta in commissione fu questo: un giorno entra un signore che ci mette sul tavolo un bambino formalitico, senza braccia e senza gambe. Era una palla in pratica, una sfera, una cosa impressionantissima, che ti sconvolge. Da questo lato, fare queste case, mi ha dato un senso di umanità nei rapporti; d’altro canto ho cercato di far diventare l’AGEC centro culturale dell’edilizia popolare e convenzionata. Che fosse il centro non solo burocratico ma anche culturale dell’edificare.

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È stata comunque alla fine un’esperienza, che vicino a quella precedente è stata conservativa, e quella umana e sociale quindi della vita di un uomo è stata la combinazione. Insomma, non so se ho fatto bene o male nella vita ma so che questa cosa è servita a me e a dare anche a nostri molti colleghi e ai politici una visione diversa, una visione più completa delle cose e dell’abitare. Cioè lo spazio dell’abitare. Insomma, uno partecipa con tutti i sensi nell’abitare perciò dare questo minimo spazio alle famiglie che ne abbisognavano, e dotarle di tutte le cose più moderne e una buona luce, un buon orientamento. Dare una visione buona.

Anche Volargne è stata un’esperienza umana molto bella e capisci che la città fisica era una roba e la città psicologica è un’altra. Nei rapporti sociali e nell’altra realtà ho cercato di dargli motivi, validi; ad abitare insieme nelle case popolari sono anche persone di ceto medio: c’era un maestro di scuola che faceva parte della commissione che volle andare ad abitare nelle case popolari e stare insieme con la gente... E difatti un certo Albertini che mi è rimasto impresso e si ferma a salutarmi, e sto qua si è fermato a vivere insieme per capire di più le esigenze della gente che ci viveva.

Devi tener presente che io volevo provare con Gazzola a far diventare l’Italia tutta museo: con i ruderi che ha, forse una soluzione è quella di mettersi un berretto alla fine del Brennero e fare il museo internazionale dell’Italia, museo della natura, musei delle opere, del passato, della stratificazione storica perché di stratificazione storica ne abbiamo in quantità enorme, perché dopo aver cominciato a scavare nei rapporti archeologici del passato, il passato esce e crea un continuo scoprire e aggiungere ricchezza ricchezza… e poi manipolarla e cercare di farla rivivere e farla rivivere insieme con l’uomo.

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A parte gli scherzi, penso che la solidarietà sia fondamentale. Guarda senza solidarietà, senza partecipare con gli altri, vedere e vivere con gli altri, lavorare con la gente… Credo che questo sia un senso di continuità storica perciò voi giovani avrete un avvenire difficile ma se vi tenete preparati e cercate di capire sempre prima di muovervi, di rendervi conto guardare tutto. Non si può lavorare senza rendersi conto dove metti i piedi eh capisci, i piedi bisogna metterli giusti possibilmente.

Ho visto la settimana scorsa un evento, fatto dall’architetto Anselmi e diversi artisti del veneto, dove hanno filmato tutto il percorso lungo le autostrade e la ferrovia, che parte da Verona e Vicenza Padova e Mestre e hanno guardato tutto quello che passa sopra la nostra testa, stando fermi. Vedi l’ossessione della gente che vive ai margini di questo borgo, di questa piaga che si dilata, come corre l’automobile e si dilata, e corre e di nuovo si dilata e investe e attraversa territori di depressione, di miseria, di povera gente…è una roba impressionante.

Che, quando è finito il film non avevo neanche il coraggio di parlare, non sai dove sei e questo è interessante da vedere perché noi quando siamo in macchina facciamo parte di un paesaggio che corre, facciamo parte della vita e ci sfugge, e non è in mano; hai un’immagine sfocata e astratta, come una pittura. Qualche volta anche in stazione, in treno, vedi un paesaggio che ti piace, ma sei in una stazione, è un’immagine astratta, non è reale, corre veloce.

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Non bisogna innamorarsi di questa situazione, purtroppo c’è la tendenza, visto anche nella riproduzione di cose tecnologiche, disegni a computer, 3d, fare lo sfumato, cose che sfuggono, sfumato, sfumato e sfumato, l’aria e la nuvola diventa architettura, diventa qualcosa che non ha margine o non ha spigoli, non ha capacità di attaccarsi; è qualcosa di ovattato e c’è tutta l’immagine sfuggente.

Invece l’architettura è anche concretezza e muro e pietra e legno; è qualcosa di un’altra sostanza, non è solo la tenda, non possiamo pensare che l’immagine sia di grandi tende, veloci cosi... La trasparenza va bene, l’uso provvisorio di queste cose va bene perché piuttosto di creare, il più delle volte è meglio avere un’immagine provvisoria, piuttosto che fare qualcosa di sbagliato.

Tenete presente che avete tuto da rimodellare e da mettere a posto: fatelo con il cuore e con il sentimento di chi vede, dovete sempre pensare agli altri, a quelli che vanno ad abitare non a voi.

Perché tante volte anch’io ho sbagliato, e mia moglie mi diceva:” guarda lo so che tu sei contento, ma quelli che vanno dentro saranno contenti?” mia moglie mi ha sempre bacchettato…è un vantaggio avere una moglie che ti bacchetta cosi cosa ne dici?

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BIBLIOGRAPHY

• Barbara Bogoni, Libero Cecchini: natura e archeologia al fondamento dell’architettura, Alinea Editrice, Firenze 2009 • da Architetti Verona n. 91, Curiosità attesa e scoperta del vuoto, pag 10-19 • Lia Franzia, da abitare Verona, n. 36 dicembre 2009, La casa è un ombrello • Carlo Perogalli, Architettura residenziale italiana. Case e palazzine isolate, Gorlich editore, Milano 1963 • da Architetti Verona, n.80, Archeologia di una professione: conversazione con Libero Cecchini, pag. 32-35, Lorenzo Marconato e Alberto Vignolo • A cura di Paola di Biagi, La grande ricostruzione. Il piano INA-Casa e l’Italia degli anni ‘50, Donzelli, Roma 2001 • Da Domus, Italia anni 50: La grande ricostruzione, Maggio 2002, pag 3-4 • A cura di Rinaldo Capomolla e Rosalia Vittorini, L’architettura Ina casa 1949-1963, aspetti e problemi di conservazione e recupero, Gangemi Editore • Raffaele Pugliese, La casa popolare in Lombardia, 19032003, Milano 2005 • Raffaele Pugliese, La casa sociale: dalla legge Luzzatti alle nuove politiche per la casa in Lombardia, Edizioni Edicopoli, Milano 2005 • Pierpaolo Brugnoli, Urbanistica a Verona (1880-1960), Ordine degli Architetti di Verona, 1996 • Pierpaolo Brugnoli, A. Sandrini, L’ architettura a Verona dal periodo napoleonico all’età contemporanea, Banca Popolari di Verona, Verona 1994 • F. Vecchiato, Verona nel Novecento, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Verona, Verona 2000 • Maria Stella Vecchiato, La guerra e la ricostruzione

Ritratto di Libero Cecchini eseguito dall’amico Milo Manara

• Rosanna Fantozzi Micali, Piani di ricostruzione e città storiche 1945-1955, Alinea editrice, Firenze 1998 • L. Beretta Anguissola (a cura di), I 14 anni del piano INA-Casa, Roma, 1963 • Antonio Erba, Edilizia popolare nel mondo ed in Italia, Masson Italia editori, Milano 1981 • Numero monografico di Edilizia Popolare, n. 135 marzo-aprile 1977 • Da Urbanistica, n 15-16, 1955, pag. 25, relazione di Piccinato • num. monografico di Casabella, Città piani e progetti, n.

451-452, Milano, ottobre-novembre 1979 • Francesca Lui, Il programma INA CASA a Verona: programmazione, progettazione, tecnologie costruttive, tesi magistrale 2011/2012, relatore Matteo Gambaro • Raffaella Simonelli, Confrontarsi con le “preesistenze”: teoria e prassi dei Piani di Ricostruzione post-bellica in Italia, Libreria CLUP, 2008 SITOGRAFIA • • • • • • •

archivio.comune.verona.it www.skyscrapercity.com www.comune.verona.it www.larena.it www.vr.archiworld.it www.agec.it www.atervr.it

THANKS

Non è facile citare e ringraziare, in poche righe, tutte le persone che hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo di questa tesi di laurea: chi con una collaborazione costante, chi con un supporto morale o materiale, chi con consigli e suggerimenti o solo con parole di incoraggiamento, sono stati in tanti a dare il proprio apporto alla mia carriera universitaria e a questo lavoro.

La mia gratitudine va innanzitutto al protagonista di questa tesi, Libero Cecchini e ai collaboratori del suo studio, che con la disponibilità e la pazienza che mi ha dedicato mi ha permesso di realizzare questo lavoro e questo studio su di lui. Un grazie in particolare va anche a Barbara Bogoni, professoressa al Politecnico di Milano, che mi ha fornito molte informazioni utili all’inizio di questa avventura e, in un modo o nell’altro, è stata sempre presente in questo lavoro.

Grazie anche a Francesca Lui, fondamentale in questo lavoro in cui ha dato, magari inconsapevolmente, un notevole contributo.

Grazie all’interessamento del geometra Lugoboni dell’AGEC ma soprattutto al geometra Marzi, che mi ha aiutato nella ricerca d’archivio. Grazie al mio relatore, il professor Ferrè, che mi ha dato l’input per iniziare a studiare questi temi e approfondire la vita di Cecchini, oltre ad avermi seguito e consigliato.

Infine, ringrazio di cuore le mie coinquiline e tutti i parenti e amici che mi sono stati vicini in questi ultimi mesi, e dalle cui sorprendenti manifestazioni di affetto ho tratto la forza per superare i momenti più difficili, e ho ritrovato gli stimoli per dedicarmi a questa tesi di laurea.