L'Urlo di Vitruvio n.3

Maggio 2014 N.3 Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci V. Madruzzo 24, 38122 Trento vitruviocheurlo@gmail.com Redattrici: Giulia Casonato e Vittoria Brolis Impaginazione e Grafica Muck Up

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E’L NAUFRAGAR M’E DOLCE IN QUESTO MARE

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Il piacere è il fiore del dolore Chiara Da Rugna

Inchiesta Universitaria Redazione Da Vinci-Scholl

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Sarajevo la rinascita dalle ceneri Selene Ghezzi

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Editoriale

LA NOSTRA ULTIMA LISTA

giornalino realizzato da

DI VITTORIA BROLIS E GIULIA CASONATO 3A

Grazie, A chi non sta leggendo A chi odia questa società A chi crede che si dia il meglio quando ci si mette in gioco A chi picchia per amicizia A chi dice in giro che picchia ma poi non lo fa (per amicizia) A chi vorrà prender parte alla redazione di questo giornalino A chi la bici preferisce spingerla A chi ci ha sempre voluto dare Coraggio (ragazzi!)

A chi ha capito che canzone ci ha ispirato A chi ha sopportato tutto l’anno le nostre “entrate e uscite fuori orario” A chi ha sempre la porta aperta A chi quest’anno ha votato per la prima volta A chi è troppo perfetto per non essere ricco A chi pensa che questo sia il momento giusto per cambiare A chi non mangia per amore e a chi ha sempre fame A chi pensa che questi siano gli anni migliori della sua vita A chi, a questi anni migliori della sua vita, ha deciso di aggiungerne uno A chi squilla il telefono in classe A chi usciva la gente A chi crede che Miche sia il miglior grafico del mondo (per esempio: noi) A chi...cchiricchi di fantasia A chi quest’anno ha guidato la scuola A chi vorrebbe scappare, ma alla fine rimane A chi è senza respiro quando il prof scorre il dito sull’elenco A chi ha uno spirito da vinciano anche se è del Galilei A chi non sa mai se portarsi l’ombrello e quando decide alla fine piove A chi la festa dell’1 maggio l’allunga fino al 2 (giugno) A chi stava aspettando questo giornalino per chiudere in bellezza A chi l’intellettuale non lo fa per noia A chi crede di Aver Sempre ragione A chi “crede nel coraggio e anche nella paura” A chi quando sorride è un raggio di sole A chi il suo entusiasmo lo regala agli altri A chi questa esperienza l’ha resa speciale A chi non si lascia scivolare la vita addosso A voi tutti.

La nostra ultima lista

Redattrici:

Giulia Casonato

Vittoria Brolis

Impaginazione e Grafica

Muck Up

SommarioSommarioSom

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L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

Sommario

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editoriale la nostra ultima lista rubrica musica love is indie rubrica libri una notte ho sognato che parlavi rubrica cinema beyond the edge the last great climb viaggi a cracovia tra i banchi di scuola sarajevo rubrica arte we want you politica benvenuto presidente stazione futuro (a) chi serve? trasformare la possibilità in realtà indipendenza dalla dipendenza è libertà? personaggi giuseppe giusti - leonardo da vinci bill toms attualità ultras di un calcio malato dani alves chiara classe ve lettera dal prof dalessandro il piacere è il fiore del dolore inchiesta università interviste a chi ce l’ha fatta test ad aprile francesco benanti storie il ragazzo del primo piano rubrica moda il perfetto davinciano test rappresentanti test che rappresentante sei pausa caffè pagelle i quasi 20 motivi per cui non ho mai scritto al giornalino un saluto L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

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Rubrica Musica

Rubrica Libri

Love is INDIE air

Love is

Ma se essere indie è una moda ed è anche il distinguersi dalla massa, allora chi lo è veramente?

INDIE air

Una

Tommy ama sentirsi libero, non sopporta l’oppressione. Il problema é che nessuno se ne rende conto

ho sognato NOTTE chePARLAVI DI ELISA GAZZIN 3A

DI ELENA TABARELLI DE FATIS 3A

Secondo wikiHow (per chi non lo sapesse è un utilisssssimo sito che ti spiega di tutto, da come consolare le ragazze a come decorare un uovo di pasqua), per essere “indie” bisogna seguire alcune semplici regole sull’abbigliamento: “Sii te stesso”, “Evita i grandi marchi e i negozi tradizionali”, “Mescola un sacco di stili”…ma esattamente cosa significa?

Il termine INDIE non deriva dal soprannome di quel simpaticone di un Indiana Jones, è un “neologismo della lingua inglese derivato dalla contrazione del termine independent”.

Independent da che, vi chiederete. Ebbene, da tutto ciò che è mainstream, cioè comune e influenzato dalla massa.

Questo termine non riguarda semplicemente un modo di vestirsi, è stato infatti importato dal mondo della musica.

Se le quattro grandi case discografiche (Sony, EMI, Warner e Universal) hanno invaso circa il 90% di quello che è il mercato discografico mondiale, il restante 10% è indie.

Comprende cioè tutte le band che snobbano il grande pubblico e che hanno un approccio molto “fai-da-te” per quanto riguarda la composizione e la produzione, come i Killers, gli Arctic Monkeys, i Baustelle o i Kooks. Spesso la musica di queste band si assomiglia ed ha un suono che guarda verso il passato, per intenderci si tiene alla larga dalle discoteche e predilige i garages.

Dal momento che basta che una musica

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Una notte ho sognato che parlavi

venga prodotta da una casa discografica indipendente perché sia indie, qualsiasi genere musicale la ha come sottocategoria, anche se il più conosciuto è l’indie rock.

Uscendo dal mondo musicale, l’essere indie è una moda diffusasi in questi ultimi anni e, parlando molto generalmente, per diventarne un esponente bisogna cominciare ad ascoltare band sconosciute o semi-sconosciute dal resto dell’umanità.

Ma se essere indie è una moda ed è anche il distinguersi dalla massa, allora chi lo è veramente?

Non essendoci una risposta ben precisa, vi lascio con il dubbio e qualche canzone carina da ascoltare.

Armatevi di registratore e chitarra, scendete in garage e sbizzarritevi, ragazzi. Il mondo indie vi aspetta!

Baustelle – Il Futuro Kooks – Junk of the Heart (Happy) Eels- My Beloved Monster Talking Heads – Psycho Killer Princess Chelsea - The Cigarette Duet

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Baustelle The Kooks Talking Heads

Sono cresciuto convinto che l’obbiettivo principale di un uomo non fosse quello di riprodursi. Per me tutti devono semplicemente riuscire a realizzarsi, ognuno a modo proprio. Ho sempre pensato che i figli non avrebbero mai fatto parte della mia vita, che non sono l’uomo adatto a procreare. In realtà la vita mi ha smentito. Dopo essere stato convinto da mia moglie che tanto lo desiderava mi sono ritrovato ad essere padre di due bambini Filippo e Tommaso. Assieme a Tommaso sono entrato in un mondo che non conoscevo, Tommy é autistico. “L’autistico penso sia il vero essere umano, programmato per vivere il futuro.” Non ha paura di mostrare i suoi sentimenti, passa dal più coccolone e affettuoso di sempre, all’arrabbiato nel giro di un secondo e il tutto anche a causa di piccoli particolari fuori posto dei quali tu non ti rendi nemmeno conto, ma che lo infastidiscono tanto! Ormai sono passati quattordici anni e posso dire di conoscerlo bene, anzi sono quello che lo conosce meglio. Avendo passato molto tempo assieme a lui ho avuto la possibilità di capirlo. Tommy ama sentirsi libero, non sopporta l’oppressione. Il problema é che nessuno se ne rende conto, tutti quelli che vivono attorno a lui gli stanno addosso perché hanno paura che possa farsi male, che gli altri non si accorgano di lui e che lo trattino male per i suoi strani atteggiamenti o che venga investito da un’auto lungo la strada. “Certi giorni mi accorgo come assapori la vertigine della libertà quando lo lascio andare aventi da solo; immaginando che si senta simile al resto della gente che cammina per strada, senza qualcuno che lo tenga per il braccio perché ha paura che possa finire sotto un autobus.”

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L’autore del libro “Una notte ho sognato che parlavi” ci accompagna durante l’esplorazione di una realtà poco conosciuta, spesso ignorata e sottovalutata: l’autismo. Per andare a fondo nella faccenda, per capire che non basta “sentir parlare” per conoscere, per rendersi conto che non é un mondo distante da noi e che in fondo sono tutti degli uomini con dei sentimenti e delle necessità e che in questo caso sta agli altri far si che anche loro possano realizzarsi.

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copertina del libro pubblicato nel 2013 da Mondadori

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Rubrica Cinema

Beyond the edge - The last great climb

un’ intenso spirito di solidarietà che spingerà i protagonisti allo sfinimento per il successo della propria patria

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DI ALESSANDRO CASTELLI 5B DI GIOVANNI ZANFEI 4C

Dalla Nuova Zelanda, patria di uno dei due conquistatori del Monte Everest, arriva questo capolavoro: “ Beyond the Edge”, in italiano “Oltre il limite”. Una delle numerose occasioni, tra film e incontri, che raccontano al pubblico del Trento Film Festival la storia e i numerosi aspetti della montagna più alta del mondo.

Questo film si assume il compito di parlare della tanto inseguita vittoria dell’uomo sulla natura. Composto da immagini d’epoca e ricostruzioni magistralmente e fedelmente effettuate, Beyond the Edge ripercorre passo per passo la storia della spedizione inglese del 1953 che portò il neozelandese Edmund “Ed” Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay in vetta all’Everest il 29 maggio, giorno di incoronazione della regina Elisabetta. Quale miglior regalo se non quest’ultima grande impresa coloniale dell’impero inglese?

Il regista ci porta dentro la squadra della spedizione composta da alpinisti, portatori, animali e attrezzi di ogni genere, caratterizzata da una volontà comune di essere l’eletto per il tentativo decisivo per la conquista della vetta ma anche da un’ intenso spirito di solidarietà che spingerà i protagonisti allo sfinimento per il successo della propria patria. Vediamo ad esempio alpinisti celebri come George Lowe insieme a pochi altri portatori che si esauriscono per aprire la via che porterà Hillary e Tenzing in vetta il 29 maggio, giusto prima dell’ arrivo dei monsoni tanto temuto dal colonnello John Hunt, il capo spedizione designato.

Il forte rumore del vento e la forse eccessiva drammatizzazione degli eventi, sicuramente un po’ indigesti per i più ferrati frequentatori del festival, trascinano lo spettatore dentro al film, dentro agli affilati e pericolosi ghiacciai himalayani e dentro alle tende trepidanti di attesa per la fatidica notizia. Buona Notizia che verrà finalmente portata al campo base dai due forti alpinisti sfiniti ma immensamente felici, subito calorosamente accolti dai compagni e amici.

Un film di ottima fattura che sicuramente porterà agli occhi anche dei meno interessati ed esperti una vicenda fondamentale nella storia moderna dell’ umanità e del progresso, quale è la conquista dell’ Everest.

Un’avventura incredibile, quella che Leo Houlding, Sean “Stanley” Leary e Jason Pickles hanno avuto modo di vivere scalando l’Ulvetanna, lungo l’inviolata cresta NE di questa maestosa montagna, un monolito alto 2931 metri che esce dal ghiaccio nel cuore dell’Antartide.

“Il secondo posto più remoto al mondo dopo la Luna” (dice Robert Caspersen che per primo scalò questa montagna nel 1994), ecco dove si sono recati i tre scalatori (avventurieri, oserei dire in questo caso) britannici per uscire dalla routine quotidiana, così sicura e noiosa, alla ricerca del proprio limite e di sensazioni estreme.

Le straordinarie immagini di Alastair Lee raccontano quest’impresa pazzesca, mettendo in risalto l’umanità, la voglia di vivere e soprattutto di divertirsi dei tre protagonisti, che non perdono mai il buon umore né tanto meno il sorriso a dispetto dell’isolamento pressochè totale, di temperature inferiori anche a -30°, passaggi resi quasi impossibili dalle avverse condizioni meteo e la durezza della vita in un luogo dove, citando il film, “ti si gela il culo”.

Un film dove la montagna è protagonista, ma ciò che colpisce maggiormente sono le parole che lasciano trasparire l’immensa gioia, e il pizzico di follia, dei tre alpinisti uniti alle straordinarie capacità tecniche e soprattutto mentali necessarie per scalare una montagna altrettanto straordinaria, sua maestà Ulvetanna, perfetto mix tra il pericolo e il divertimento che solamente la roccia può offrire.

sua maestà Ulvetanna, perfetto mix tra il pericolo e il divertimento che solamente la roccia può offrire.

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locandina di “The Last Great Climb” del regista Alastair Charles Lee

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immagine del film “Beyond the Edge” della regista canadese Leanne Pooley

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

A Cracovia tra i banchi di scuola

A CRACOVIA TRA I BANCHI DI SCUOLA Parco santa Chiara di Trento, 22 aprile 2014 DI ANDREA SANTONI 4B E IRENE TASIN

BEYOND THE LAST THE EDGE GREAT CLIMB

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Viaggi

Ore 15:35

OGGETTO: Ritrovo informale di un gruppo di partecipanti al treno della memoria con il tentativo più o meno riuscito di redigere un articolo recante le considerazioni sul viaggio.

Innanzitutto siamo concordi nell’affermare che il Treno della Memoria è un’opportunità unica e di grande valore, in primis per la consapevolezza che ci ha permesso di raggiungere. Gli spunti di riflessione che ci ha lasciato sono molti e crediamo che ognuno dei partecipanti al viaggio sia rimasto segnato in maniera differente dagli altri, poiché l’intera esperienza comporta un coinvolgimento interiore unico e personale. Crediamo che il valore di questo progetto sia nella sua capacità di coinvolgere anche e soprattutto i “disinteressati”, chi magari tende a chiudere gli occhi di fronte alla realtà, la cosiddetta “zona grigia”; togliere il velo di indifferenza che ormai coinvolge sempre più persone, in modo da educare alla curiosità, all’impegno e alla partecipazione.

I tanti aspetti positivi ci portano a sperare che l’iniziativa sia riproposta anche nei prossimi anni, perché attività di questo genere non devono essere assolutamente messe in secondo piano; ci teniamo a riportare le nostre riflessioni proprio perché abbiamo a cuore la continuità dell’iniziativa e speriamo che esse vengano lette anche da chi ha la possibilità di cambiare le cose.

Il problema principale che abbiamo riscontrato consiste proprio nella struttura della settimana e nell’organizzazione di tutto il progetto, dalla preparazione agli incontri successivi al viaggio. In modo particolare il Treno della Memoria non può e non deve essere considerato come un’esperienza fine a se stessa, ma deve far parte di un percorso che comprenda un prima, un durante e un dopo di eguale importanza, in modo da non restare privo di senso. Quello che abbiamo avvertito è invece una generalizzazione e una banalizzazione, che secondo noi hanno sortito effetti diversi da quelli che ci aspettavamo prima della partenza.

A partire dalla preparazione, organizzata in quattro incontri, abbiamo notato che le proposte erano strutturate male, dispersive e di dubbia utilità (come esempio per chi c’era il video di Stramentizzo).

Durante il viaggio, la maggior parte delle attività erano calate dall’alto e limitavano l’autonomia del singolo gruppo e quindi anche il trovare un’identità comune.

Capiamo che quest’anno il progetto sia stato gestito da persone che lo prendevano in mano per la prima volta e che i tempi dedicati alla preparazione degli

educatori sono risultati più ristretti rispetto agli anni precedenti, ma ci sembrava comunque importante far sentire la nostra voce. In generale avremmo preferito che anziché suggerire loro delle attività, si lasciasse la libertà di pensare qualcosa di specifico per le persone che avevano di fronte, anche perché ogni gruppo era diverso dagli altri per numero di ragazzi e caratteristiche. Alcune proposte erano sì ideate da loro, ma solitamente ci dovevamo attenere a ciò che già era stato stabilito dall’organizzazione generale.

Aggiungiamo anche il fatto che il volersi muovere sempre tutti insieme ha contribuito a creare molti tempi morti o, al contrario, momenti in cui si doveva andare di fretta per non inceppare la tempistica generale e ci è dispiaciuto perderci degli aspetti della città o di ciò che abbiamo visto solo per questo motivo.

Per quanto riguarda le attività, ci è sembrato che esse non aggiungessero nulla di più a ciò che già siamo abituati a sentire su questo tema ogni volta che viene affrontato. Proprio perché il Treno della Memoria è un’iniziativa unica e decisamente fuori dagli schemi, ci aspettavamo di affrontare quest’argomento in maniera diversa da come viene solitamente fatto a scuola o in altre occasioni, cercando di allargare i nostri orizzonti e avvicinandoci alle nostre esperienze personali.

Alcuni momenti hanno centrato questo obiettivo secondo noi fondamentale, ma in linea di massima è mancato uno sforzo da parte dell’associazione di andare oltre i cliché e le frasi fatte che ogni giorno siamo abituati a sentire. L’apice di ciò è stata la cosiddetta “assemblea plenaria”, che è risultata essere un incontro esageratamente lungo (quattro ore e mezza), ripetitivo e banale. La sua struttura, paragonabile a quella di un talk show televisivo, prevedeva una serie di interventi più o meno simili tra loro, che non portavano nulla di nuovo ma, anzi, contribuivano ad alimentare questo sentimento di banalità che troppo spesso abbiamo avvertito. L’impressione che purtroppo abbiamo avuto è stata quella che ogni gruppo avesse selezionato gli oratori migliori che, esponendo ciò che gli altri si aspettavano sarebbe stato detto, prendevano il classico applauso di rito, senza tentare un minimo di spaziare dagli schemi prestabiliti. Ci siamo ritrovati ancora una volta tra i banchi di scuola, a Cracovia anziché a Trento, ma sempre di mentalità scolastica e ristretta si è trattato.

Certo non è stato sempre così, infatti siamo concordi nel dire che l’assemblea di gruppo della mattina è stata molto

più produttiva e valida rispetto a quella plenaria, cosa che dimostra quanto sia necessario valorizzare le attività “spontanee” rispetto a quelle organizzate. Durante questo momento è stato finalmente lasciato spazio al singolo di elaborare le proprie riflessioni senza pressione e le idee che sono scaturite da quest’attività erano finalmente libere da aspettative e pregiudizi. Era appunto poco il tempo lasciato per ragionare sulle cose viste e metabolizzare l’esperienza, senza necessariamente condividere le sensazioni con altri, anche perché per arrivare a ottocento persone è inevitabile cadere nell’errore delle frasi fatte.

Spesso viene evidenziato il problema dell’alcool, soprattutto da parte di chi non ha vissuto quest’esperienza in prima persona, ma ciò che più ha colpito noi è stato invece come l’intero progetto sia stato fondato sulla banalità e sulla generalizzazione. Questo articolo non vuole essere accusatorio, ma semplicemente offrire uno spunto. Ci sembrava doveroso farlo in quanto nel nostro gruppo (e non solo) questo problema è emerso più volte e ci ha lasciato (tutti) piuttosto amareggiati; discutendone con i nostri educatori abbiamo realizzato che alcune delle nostre opinioni non sono condivise da tutti e quindi ci teniamo ancora una volta a sottolineare che questo è solamente un nostro parere, che però ci sembrava fondamentale lasciare.

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Rubrica Arte

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Rubrica Arte

We want you

We want you

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l’indifferenza e l’ignoranza fanno più danni dell’odio

DI CHIARA LISSONI 1A

Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant (dove fanno un deserto, lo chiamano pace) Oggi vorrei parlarvi di guerra, di pace, di libertà, di manipolazione, delle loro differenze e delle loro uguaglianze, con citazioni di grandi autori e di gente comune. Molti credono che siano cose opposte, ma dipende tanto dal punto di vista. Mi viene in mente un esempio di questa strana polarità, angeli e demoni, perché fondamentalmente sono la stessa cosa: l’angelo custode che ti ha aiutato a vincere la battaglia è, visto dal tuo nemico, un demone distruttore. Forse è proprio questo il punto: gli uomini fanno la guerra, travestendola con altre parole come ‘lotta per la libertà’; fanno deserto e lo chiamano pace. Certamente nessuno vorrebbe essere in ambiente di guerra, ma, se lo fosse, ci sarebbero cose più forti di lui che gli impedirebbero di scegliere da che parte stare. Se ci pensate tutti quelli che lo hanno fatto sono stati eliminati, perché si opponevano alla massa ed erano così pienamente convinti di ciò che sostenevano, da essere disposti a morire, pur di portarlo a termine. Al contrario, c’era anche chi si chiedeva, perché stesse lottando per vivere, sapendo già che sarebbe morto comunque; a quel punto, con tale convinzione, cercava di sembrare quello che non era per essere uguale a tutti, senza rendersi conto che l’unica cosa che lo differenziava dagli altri, era

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il colore della divisa. Questi erano accecati dalla grandezza dei loro superiori e si sa: la grandezza genera invidia, l’invidia genera rancore, il rancore produce menzogne, e, di conseguenza, finivano per “innamorarsi” delle loro stesse bugie, così che prima ingannavano gli altri e finivano con l’ingannare se stessi. Non capivano che chi apprezzava la guerra, non provava compassione nell’uccidere e nel veder soffrire; l’obbiettivo era uno solo: volevano solo sopravvivere a quella devastazione. Questi periodi, però, hanno anche della pace all’interno, perché ci si poteva isolare, “senza dover sbattere la propria solitudine in faccia agli altri o doverla vivere come un affronto…”, perché la solitudine è anche libertà; e, in quei momenti, la felicità è frutto di libertà, anche se la libertà è frutto del valore.

Perché essa non è il vedere i fatti dall’alto, non è il volare, non è neanche l’avere un’opinione: la libertà è partecipazione. È proprio questo ciò che sfruttavano i governi: facevano aspettare a lungo le loro decisioni alla popolazione, in modo che, quando una cosa sembrava non dovesse arrivare mai, quando alla fine compariva, disorientava; ed è proprio questa confusione che lasciava via libera alla politica. Ovviamente quando la guerra è finita, tutti si trovano d’accordo sull’esse-

siamo come spugne, ovvero assorbiamo tutte le assurdità, scambiandole per vere

re contro questo genere di violenza, ma “quando si è dentro ad una cosa fino al collo”, è difficile rendersene conto, riuscire ad opporsi e a tirarsene fuori, perché la massa crede in quello che sta facendo, al punto da chiamare “codarda” la gente coraggiosa: questi erano visti come una vergogna, fucilati come esempio per gli altri, per cercare di nascondere la reale mentalità dei pochi, con la vigliaccheria dei molti. La colpa, però, non è solo degli esponenti, perché le guide non sono altro che gli ideali che influenzano gli altri, la colpa è anche del popolo. Avete presente quando si resta nella vasca da bagno troppo a lungo e le dita si avvizziscono?

Lo strato superiore della pelle assorbe l’acqua, si dilata e s’increspa. Ecco il vero problema: siamo come le spugne, ovvero assorbiamo tutte le assurdità che sentiamo, scambiandole per vere, a causa di ignoranza e di pigrizia. Non ci si rende conto, che vivere in un mondo di pace o di guerra, libero o in schiavitù, ma senza aver la consapevolezza del proprio significato e del perché si è in quella circostanza, non è essere un uomo innocuo, ma inutile. Non ci si rende conto, che vivere senza avere un’opinione propria o un ideale in cui credere, non è essere solo un uomo indifferente, ma anche ignorante; d’altra parte, troppo spesso, l’indifferenza e l’ignoranza fanno più danni dell’odio. E di colpo ci si trova a disprezzare chi pensa con la propria testa e ad adorare chi ci manipola, preferendo quel tipo di vita; così, quando si esce, ci si ritrova in una situazione critica, perché è più difficile perdonare chi ha ragione rispetto a chi si sbaglia. I più cinici, però, cercano di trovare un’altra strada, una terza via, per affrontare i momenti instabili e seguono un ideale americano che afferma “finché ci saranno almeno due uomini sulla terra, uno vorrà la morte dell’altro, quindi se vuoi vivere, ti conviene essere il terzo uomo che vende loro le armi”. E di colpo, ci si ritrova a vedere la guerra sotto l’aspetto delle grandi fabbriche, impegnate ad alimentare le battaglie, dando però lavoro al popolo. Sicuramente, quando qualcuno vince, pensa di aver fatto il giu-

sto, di aver guadagnato, ma ai vinti cosa rimane? Devastazione, dolore, separazione, o semplicemente nulla. Loro sì che sapranno raccontare fino a fondo cosa hanno provato, cos’è successo; mentre chi vince, viene subito accecato dal potere, dal proprio ideale valore e onore.

Chi perde, invece, rimane a mani vuote, capendo solo che l’ultimo nemico ad essere sconfitto, è la morte; loro sapranno accettare di dover morire senza cercare di fuggire, perché comprenderanno che vi sono cose assai peggiori nel mondo dei vivi, che morire.

Vedete, ragazzi, come una cosa brutale come questa possa essere ribaltata, vista sotto altri punti di vista; come si possa riversare la colpa sugli altri, vedendo la Storia sotto l’aspetto dei ‘perdenti’ e non dei vincitori. Come si possa far pensare che un qualcosa che si crede positivo o negativo, abbia aspetti contraddittori.

Non bisogna, tuttavia, lasciarsi suggestionare: un aspetto peculiare della negatività, infatti, è farti credere che ha più potere del suo contrario; ma non bisogna neanche fargliene una colpa, perché il male non sa cosa sia il male, finché qualcuno non gli strappa la maschera del bene.

Dunque: “Ubi maior, minor cessat…”

Citazioni presenti di: Dan Brown, Oscar Wilde, Clara Sanchez, Delphine De Vigan, J. K. Rowling, Tacito, Marco Bassetti

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gli uomini fanno la guerra, travestendola con altre parole come “lotta per la libertà”

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The uncle Sam

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foto dello spettacolo “We want you” durante il Da Vinci Show

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Viaggi

Sarajevo

SARAJEVO DI SELENE GHEZZI 4A

LA RINASCITA DALLE CENERI

Eravamo scettici, noi della 4°A, quando il professor Dossi ci propose, ancora ad inizio anno, di andare in gita a Sarajevo.

Non solo, alcuni di noi si erano categoricamente opposti al viaggio a causa del costo elevato. Proseguendo con l’iniziativa, però, si è aperta davanti a noi la possibilità di arrotondare la quota svolgendo delle attività di autofinanziamento. Il progetto prevedeva l’organizzazione e la collaborazione dell’associazione “Viaggiare i Balcani” di Trento che dai primi anni dalla fine della guerra nella Ex – Jugoslavia si occupa di sensibilizzare e far conoscere, soprattutto attraverso dei viaggi, la realtà dei Paesi balcanici.

Così, dopo tre incontri di formazione, l’8 aprile 2014 le classi 4°A, 4°C e 4°F sono partite alla volta della Bosnia ed Erzegovina per conoscere meglio una realtà che viene spesso ignorata dalle nostre generazioni.

A Jasenovac, un paesino che sorge sul confine serbo-croato, abbiamo visitato il vastissimo campo di concentramento, il più grande costruito nei Balcani durante la seconda guerra mondiale. Al centro di questa distesa d’erba sorge un monumento a forma di fiore, che è stato edificato in nome della rinascita, della vita che torna, della pace, ed è facilmente riconducibile a tutte le religioni, cristianesimo, islamismo ed ebraismo, perché tutti sono stati vittima della guerra.

Siamo arrivati a Prijedor nel tardo pomeriggio dove alcuni di noi hanno conosciuto le famiglie che li avrebbero ospitati. La sera siamo stati invitati a cenare al centro culturale KUD Kozara, un circolo che dà l’opportunità ai gio-

vani di destreggiarsi, anche all’estero, in performance di danze folkloristiche.

Il 9 aprile, dopo un breve giro turistico di Prijedor la nostra guida ci ha mostrato un murale che è stato realizzato nel 2013 e che raffigura Mladen Stojanovic, eroe jugoslavo e figura di riferimento a Prijedor, circondato da una serie di simboli della città.

L’impatto con Prijedor è stato molto forte, trattandosi di una città abbastanza povera, situata in una zona desolata e poco urbanizzata ma con ancora visibili i segni della guerra.

Siamo partiti poi per Sarajevo e ci ha accolto una città ovviamente diversa da Prijedor: una capitale, i cui edifici sono portatori di ricordi, segnati da solchi indelebili e parlano al posto degli animi degli abitanti. Sarajevo non è solo la capitale della Federazione serbo-croata, ma anche di tutta la Bosnia ed Erzegovina ed è conosciuta per essere lo scenario dell’assassinio del duca Francesco Ferdinando, evento che ha segnato l’inizio della prima guerra mondiale. Ma la città è famosa soprattutto per il suo assedio, durato tre anni, da parte delle forze serbo-bosniache, durante la guerra di Bosnia. La nostra guida, Dina, ci ha spiegato nei dettagli la tragedia che gli abitanti hanno vissuto durante quel periodo. La cosa più straordinaria dell’assedio è che sul fronte sarajevese erano presenti sia croati e bosniaci che persone di origine serba: i cittadini che, pur dovendo in linea teorica appartenere al fronte nemico, hanno combattuto per la propria città, andando contro le proprie origini. Uno di questi è il generale ser-

bo Jovan Divjak, che noi abbiamo incontrato. Abbiamo appreso quindi che per bosniaci, croati o serbi che abitavano a Sarajevo, durante l’assedio, la nazionalità era irrilevante, tutti combattevano per difendere la propria casa, i propri vicini, la propria vita. Eppure, nonostante questa mentalità diffusa tra la popolazione, c’era anche chi era disposto a sparare contro i propri compagni di scuola ed i propri amici, come ci ha spiegato Dina.

Nonostante la guerra, però, Sarajevo è sopravvissuta durante l’assedio: cinema, teatri e scuole hanno continuato a svolgere le attività quotidiane ed è stato forse anche questo che ha fatto in modo che i sarajevesi non perdessero la spe-

Questo viaggio che, come citato all’inizio, non ci aveva per nulla allettato, si è rivelato invece molto interessante. Abbiamo sentito spesso le parole “pulizia etnica” ed è forse questo l’aspetto più impressionante della storia della Bosnia Erze-

govina, cioè che spesso ci sia un comune denominatore che unisce le diverse guerre: l’idea di eliminare e sopprimere qualcuno che si ritiene diverso per nascita, religione o pensiero. Un’ennesima guerra di sofferenze causate da chi vuole imporre il proprio volere sugli altri con una violenza inaudita. Ciò che mi ha fatto riflettere una volta tornata a casa si può riassumere in una sola parola: umanità.

Non mi sono mai chiesta cosa significasse realmente questo termine ( il che può sembrare un paradosso). Cos’è umano?

Umana è la guerra, che porta sofferenze e lascia solchi indelebili nel cuore, sul corpo e nell’animo della gente; umana è la rabbia e la determinazione con cui si sono fatte azioni imperdonabili; umana è l’indifferenza di chi non prova a capire, di chi non riflette e di chi non spinge se stesso a conoscere di più; ma umana è anche la speranza di chi crede che nonostante la fame e il freddo non tutto sia perduto, ma soprattutto umani sono gli occhi e le parole di chi è sopravvissuto, di chi ha sofferto ma si è rialzato per combattere, e ora ricostruire ciò che è stato distrutto.

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Foto a cura di Anna Strada e Luca Martinelli (4A)

Vista dall’hotel di Sarajevo

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Ponte di Mostar

Monumento dei caduti nel campo di concentramento di Jasenovac

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rivare alla nostra meta abbiamo sostato a Blagaj dove abbiamo visitato la Tekja, un luogo di culto musulmano.

Mostar è una piccola città della Federazione, famosa per il suo ponte sul fiume Narenta che nel 1993 fu completamente distrutto dai bombardamenti serbi, e che nel 2005, dopo essere stato ricostruito con i detriti recuperati dalle acque, è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Nonostante anche Mostar fu tenuta lungamente sotto assedio, ci appare come una sorta di “città delle fate” con il suo paesaggio collinare a cui dà il suo contributo la vicinanza del mare, rendendola affascinante e di conseguenza anche meta molto ambita dai turisti.

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Tekija di Blagaj

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ranza nella libertà e che continuassero a lottare nonostante gli edifici in fiamme.

Il secondo giorno a Sarajevo abbiamo visitato la sede dell’associazione Obrazovanje gradi BiH fondata dal generale Jovan Divjak a favore dei bambini che sono stati vittima della guerra offrendo loro sostegno di qualunque tipo, sia morale che materiale.

Nel pomeriggio abbiamo visitato il tunnel che durante la guerra di Bosnia ed Erzegovina collegava Sarajevo alla zona bosniaca, subito dopo la linea serba, oltre il monte Igman. Si tratta di un cunicolo molto stretto, spesso allagato, come ci ha spiegato la guida, che serviva per il trasporto di rifornimenti. Per sei mesi infatti, i cittadini hanno sofferto la penuria di cibo, ma nonostante ciò non si sono arresi e hanno atteso l’intervento della NATO che ha lasciato intravedere la fine dell’assedio.

L’ultima tappa del nostro viaggio è stata la città di Mostar, circondata da colline coperte di arbusti. Prima di ar-

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Edificio con segni delle granate a Prijedor

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Viaggi

Sarajevo

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Nuova biblioteca di Sarajevo, ricostruita dopo l’incendio del 1992

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Matteo Renzi, nelle vesti di Segretario Nazionale del Pd

(SPERANDO CHE IL TUO NON SIA UN FILM COMICO)

BENVENUTO

PRESIDENTE DI NICOLA SBONER 4B

Sì lo so, questo articolo arriva con molto ritardo, quasi 3 mesi. Meschinamente ho preso tempo, perché racchiudere un figura politica come Renzi in poche righe, prima che iniziasse a fare qualcosa, era una cosa difficile.

Direi di partire dal principio, quando il nostro Matteo era “solo” il Sindaco di Firenze.

Subito si è messo in mostra con grandi opere ed eventi (concerti, mostre, ecc), la realizzazioni di ciclabili e passaggi pedonali nel centro e il risparmio di 19 milioni di euro privatizzando l’Ataf (Azienda dei Trasporti dell’Area Fiorentina), ma come ogni altro grande Uomo anche il nostro Renzi ha mostrato subito i suoi limiti, non si può presiedere la giunta comunale se si è in giro a farsi propaganda: in due anni su 62 sedute è stato presente solo a 15, cioè il 24% circa.

E queste assenze sono costate molto all’Italia, non solo nella credibilità: 36,6 milioni di euro di fondi europei persi, a causa dei ritardi nei lavori per il completamento della tramvia. Dopo anni di rinvii (l’idea è nata nel 2004), nuovi patti e firme (stranamente sempre in periodo elettorale), Renzi disse che la linea sa-

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A questo punto mi sorge spontanea una domanda: chi è davvero Matteo Renzi? rebbe stata pronta per primavera 2014.

E ad oggi (09/05/14) ancora niente.

A questo punto mi sorge spontanea una domanda: chi è davvero Matteo Renzi?

Direi che possiamo affermare che lui è il capotreno di questa stazione chiamata Italia (cit. Andrea Santoni), ma come sta affrontando questo delicato ruolo?

Ha seriamente dimostrato un impegno maggiore rispetto a quando era a Firenze?

Il 17 febbraio Renzi ha presentato il suo programma: 4 mesi per 4 riforme. Si parte con quella sulla legge elettorale da realizzare entro febbraio, poi posticipata a luglio (dai, sono solo 5 mesi, neanche troppi). Riforma successiva, il

lavoro: 80€ in busta paga in più e chiudiamo tutto. Ma l’occupazione, che sta raggiungendo minimi storici? A quella si penserà con calma, adesso deve andare a fare un intervista. Delle altre due riforme (fisco e amministrazione) preferisco non parlarne, perché dovrei entrare in dettagli che nemmeno io conosco bene.

Cerchiamo però di trovare una qualche scusante al nostro Paladino: sicuramente la rottura interna del PD non lo aiuta e neanche il bicameralismo italiano italiana (altra proposta renziana è infatti quella di eliminare il Senato). Ma le cause di questa spaccatura all’interno della classe politica verso Renzi da dove nascono? Forse dal suo modo di essere un One Man Show, cioè una persona che riesce ad apparire sempre (da questo punto di vista possiamo dire che ha rivoluzionato il modo di fare politica) e che ormai è diventata una moda, basta vedere tutte le pagine satiriche nate contro di lui sulla Rete. Ma se questo modo egocentrico di Renzi non riesce ad attirare molte attenzioni la spiegazione può essere che forse lui opera così solo per il nostro bene. Magari è diventato un uomo copertina solo per poter arrivare

grazie a questo ha scoperto che la politica è televisione e non più idee dove gli altri avevano paura ad addentrarsi, nei meandri della politica, e grazie a questo ha scoperto che la politica è televisione e non più idee. Forse questo suo modo di essere ipocrita, promettendo cose che poi non riesce a mantenere, è solo un bene per l’ Italia, perché

facendo così è sicuramente riuscito a convogliare l’attenzione su di se. Potremmo dire che è riuscito a diventare il cancro di questo Paese, ma solo per poterlo curare, per potersi curare, perché realisticamente aveva capito che ormai per poter cambiare qualcosa bisogna distruggere tutte le fondamenta precedentemente messe, in modo da creare un terreno fertile per delle riforme mira-

te e utili. Cos’altro possiamo dire di questo uomo? Forse non ci resta che aspettare e vedere se proprio lui, che sembra l’uomo meno indicato (forse secondo solo a Grillo) per governare il nostro Paese, riuscirà a farci risorgere.

Quindi caro Matteo Renzi ho solo una frase per te: Benvenuto Presidente.

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Politica

Stazione Futuro

STAZIONE FUTURO: DI GIORGIO CASTELLI 3C

(a) chi serve?

breve analisi di un partito senza partito Come azzardarsi ad andare contro Stazione Futuro, culla dei politici del domani, quelli tutti giovani, volenterosi, onesti? Io l’ho fatto, non solo per darvi di che leggere ma anche e soprattutto per interesse personale. Alla nascita del partito, senza indugio, mi ero informato sul movimento, parlando con gli allora soci fondatori di questo magnifico progetto; già dalle prime risposte qualcosa stonava rispetto alla visione di partito, di movimento o anche solo di ritrovo di ragazzi desiderosi di partecipare a questo mondo di adulti per non dire vecchi: le info mazioni erano vaghe, la direzione da intraprendere brumosa, il tutto correlato di definizione -hipster, se si vuole- di “partito apartitico”. Avete presente quando al giorno d’oggi un gruppo di ragazzi si trova insieme a fare un tipo di musica indefinibile?

Non si dice “indefinibile” ma “indie”, allo stesso modo Stazione Futuro si ripara dietro una classificazione inclassificabile per non cadere nel rischio di rappresaglie politiche, con un solo aggettivo alzano bandiera bianca su ciò che non hanno ancora fatto e probabilmente mai faranno. Astuto, per chi decide di crederci.

Tralasciando questi specchietti per le allodole, S.F. è un partito di nobilissima ispirazione comunista, staliniana però, dove tutti sono uguali ma i fondatori sono più uguali degli altri; problemi? Non ne vedo, poiché chi più chi meno nessuno fa niente.

Le assemblee, puri momenti di svago, sono utili quanto il Brioschi per un etiope, avendo tutte come tematica principale la discussione di problemi interni di impor-

tanza vitale quali la modifica dello Statuto (o del nonstatuto, essendo un non-partito?) e il reclutamento di nuovi adepti da tesserare al più presto per fare numero. In effetti già nei primi tempi alla mia domanda “Ma se tutti sono soci, chi comanda?” non era arrivata risposta, lasciando cadere tutto in eloquente silenzio.

I cinepanettoni fanno sempre sold-out e per quanto possano sentirsi umiliati dal proprio lavoro Boldi e De Sica ne escono sempre vincitori, pieni di soldi.

Il parallelismo con Stazione Futuro è più che lampante: entrambi incontrano ciò che il pubblico pare chiedere, entrambi vedono uscire di scena i vertici vincitori e gli spettatori scontenti.

I Boldi e De Sica di turno si riconoscono a vista d’occhio, basta saper notare gli impegni politici esterni al non-partito dei giovani capi. Un esempio? Consulta provinciale. Coincidenza? Impensabile.

Ebbene sì, pare proprio che la dimensione di una partito apartitico fosse stretta a chi il partito l’ha fondato, d’altra parte chi non si stuferebbe di soffiare in un canotto bucato? Mirabile la lungimiranza dei fondatori nello scorgere il modo più appropriato per avvicinarsi al mondo degli adulti, quello dove si gioca sul serio e

non lo si fa spammando hashtag dall’inutilità fastidiosa, magari con qualche aiutino esterno di chi la politica la fa per mestiere.

Stazione Futuro si presenta in tutto e per tutto come un movimento sociale totalmente fine a se stesso, non trovando opere pratiche riscontrabili nel mondo vero, quello che non starebbero distruggendo ma cambiando. Certo, si potrà obiettare che non è passato tanto tempo da quando il partito è diventato operativo, che sono giovani, che bisogna lasciarli lavorare.

Numeri, signori!

- 2: siamo alla seconda coppia di segretari - 8: i mesi passati dall’entrata in scena del movimento - 100+: i militanti, sulla carta, del partito - ∞: le parole spese - ∅: le azioni concrete ad oggi

TRASFORMARE LA POSSIBILITA’ IN REALTA’

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ricchezze che nessuno ci può rubare, la cultura è una risorsa che risiede dentro di noi e che possiamo utilizzare a nostro piacimento. Purtroppo nel mondo in cui viviamo molte volte questo potere viene sottovalutato poiché anche le persone più superficiali, per non dire sciocche, riescono a raggiungere gli apici. Molte volte le cose vanno così non lo nego, ma ciò su cui voglio insistere è il fatto che chi ha cultura avrà sempre una marcia in più in tutto, poiché la cultura è ciò che fa

Libertà

sibilità per eccellenza, è la luce che ci illumina nel lungo cammino del progresso: ci mostra la via e poi sta a noi trasformare la possibilità in realtà. La cultura indaga tutto lo scibile umano e dice qualcosa ad ognuno di noi, ci fa emozionare, ci fa librare in alto e vedere le cose da un’altra prospettiva. Nel momento in cui sento un novantenne che mi dice che non riesce a capacitarsi di come abbia potuto vivere una vita senza filosofia, quando vedo un cieco a una mostra di opere d’arte che nonostante non veda voglia tentare di capire ciò che si vede attraverso le parole, quando vedo gli occhi di un bambino illuminarsi nel sentire della buona musica

per questo mondo che molte volte mi delude ma che è così bello che vale la pena lottare

e percepisco nei suoi occhi quella voglia di vivere e di diventare grandi, quando vedo un ragazzo down che si emoziona nel scrivere una lettera, io lì vedo la bellezza e vedo una realtà che mi piace. Da questi piccoli gesti io trovo la felicità e la voglia di impegnarmi per questo mondo che molte volte mi delude ma che è così bello che vale la pena lottare.

Non chiudete le vostre menti: leggete un libro, guardate un quadro, scrivete i vostri pensieri e soprattutto non fermatevi all’apparenza del reale, andate oltre e scoprirete le infinite possibilità che questo mondo ci offre: solo così scoprirete la pura bellezza.

INDIPENDENZA DALLA DIPENDENZA E’ LIBERTA’?

Internet – Google – Youtube – Niccolò Fabi – Indipendente. Un paio di DI LUCIA BATTISTI 5H

DI MILENA BOLLER 5C

La cultura, cos’è la cultura? Ognuno di noi ha un’idea generica di che cosa significhi, ma siamo mai andati nel profondo di questo concetto apparentemente semplice? La cultura è conoscenza, si potrebbe dire, ma questo implicherebbe il chiedersi cosa significhi avere conoscenza. Avere cultura, avere erudizione significa avere, potere, essere padrone di se stessi e delle proprie decisioni. Noi con la conoscenza possiamo andare lontano poiché questa è una delle poche

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Politica

progredire la società.

La cultura è apertura a nuovi orizzonti, la cultura è speranza in un futuro migliore, la cultura è potere alle proprie idee, la cultura è un sogno, magari utopistico, ma pur sempre un sogno. Inoltre se si può sognare si può sperare e questa è la base per crescere, per rendere il nostro mondo migliore. Sognando, usando la fantasia noi possiamo immaginarci un nuovo mondo che ancora non esiste ma che potrebbe esistere; la cultura è la pos-

cuffie e un clic per entrare in un mondo più armonioso.

Indipendente Voglio essere Indipendente Perché solo da Indipendente Si esiste Si resiste […]

Ma è poi felice chi è Indipendente Da tutto?

Niccolò Fabi Droghe, Fumo, Alcol, Caffeina, Teina, Denaro, Televisione, Computer, Radio, Musica, Sport, Libri, Cellulare, Fotografie, Cibo, Amici, Affetto, Bellezza, Viaggi, Salute.

Quando possiamo dirci indipendenti? Ma soprattutto davvero libertà è indipendenza? Davvero la libertà è l’assenza di

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ogni legame con la terra, davvero libertà è volare, davvero si tratta solamente di un’idea? E se è un’idea allora è irraggiungibile concretamente?

Di Libertà si può parlare solo filosoficamente? Di cosa non parliamo filosoficamente? Amore, Odio, Morte, Vita: portiamo tutto a una sfera superiore a noi.

Allontaniamo ciò che più ci mette in crisi: il senso della nostra vita. Finiamo per vivere in parallelo a una vita complicata, ci diciamo “tutto bene” perché il “va da schifo” è difficile, comprende il metterci dentro totalmente nella nostra vita per esaminarla punto per punto, comprende tempo, voglia e soprattutto quell’ascolto incondizionato che solo pochi sono disposti a darti.

“Io sto bene quando sto lontano da me” insomma, è più semplice, più controlla-

bile.

Per me libertà sta nell’entrarci in questa vita, per me libertà è esserne dipendenti.

Per me libertà sta nello sporcarsi le mani, grondare di sudore, piegare le ginocchia, gridare a pieni polmoni me stessa, passare ore ad ascoltare la vita di chi mi sta a fianco per non dover arrivare a constatare di non aver mai conosciuto nessuno, stringere mani, abbracciare, perdonare, accettare i miei limiti, buttarmi nell’ignoto, conoscere, sorridere e piangere senza vergogna.

Per me libertà è dare e lasciare un segno, un’impronta, me stessa nella storia e negli altri. Solo così potrò dire di aver vissuto, solo così potrò esserne felice, solo in questo modo potrò essere soddisfatta della mia vita; solo così potrò dirmi libera.

Per me libertà non è solo un’idea, non è solo una bella parola con la quale riempirsi di approvazioni e di bei pensieri, non è qualcosa da raggiungere, né qualcosa da conquistare.

Per me la libertà ha il sapore di umano e di terra.

Per me è qua, basta afferrarla.

Per me Libertà è partecipazione.

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Il logo del movimento Stazione Futuro

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copertina di Niccolò Fabi, cantautore romano, autore della canzone “Ecco”, uscita nel 2012

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Personaggi

Giuseppe Giusti - Leonardo da Vinci

GIUSEPPE GIUSTI

Giuseppe Giusti fu un poeta toscano del Risorgimento. Nacque da una ricca famiglia di proprietari terrieri a Monsummano Terme il 12 maggio 1809 e morì a Firenze il 31 marzo 1850. Dai sette ai dodici anni fu affidato alle cure di Don Antonio Sacchi, nel 1821 frequentò il collegio Zuccagni Orlandini di Firenze e nell’estate del 1823 entrò nel prestigioso Real Collegio Carlo Lodovico di Lucca. Con spirito ribelle e contestatore, nel novembre del 1826 si iscrisse «di contraggenio» alla facoltà di diritto dell’Università di Pisa. Per anni a Firenze condusse una vita bohémienne, frequentò salotti, biliardi, teatri, casini e soprattutto il famoso caffè dell’Ussero, dove improvvisava a braccio scherzi e rabeschi tra gli applausi della gente: «Ogni sera grandi scialacqui e grandi spese: rosbif divorati, bottiglie di Sciampagna asciugate». Alla fine di gennaio del 1844 poté finalmente partire con la madre per Roma e Napoli dove prese alloggio in Via Toledo. Fu accolto con cortesia tanto «che dopo pochi giorni gli pareva d’esser nato là». Nello stesso anno a Lugano, a sua insaputa, venivano pubblicate alcune sue poesie ad opera di un anonimo editore, Poesie italiane tratte da una stampa a penna.

Giuseppe Giusti se ne risentì vivacemente e infatti, subito dopo, diede alle stampe i Versi nell’edizione di Livorno. Nell’agosto del 1845 si decise a partire, in compagnia della marchesa D’Azeglio e di Vittorina Manzoni, figlia di Alessandro Manzoni, per Milano.

«Ogni sera grandi scialacqui e grandi spese: rosbif divorati, bottiglie di Sciampagna asciugate» Dall’autore dei Promessi Sposi ebbe la sua prima grande consacrazione letteraria. Dopo le produzioni poetiche del 1844 e del 1845, pubblicò una terza edizione nel 1847, Nuovi versi di Giuseppe Giusti, che ebbe un successo strepitoso di pubblico e di mercato. Gli ultimi anni della vita di Geppino, come affettuosamente lo chiamava Alessandro Manzoni, furono contrassegnati dalla grande illusione di un’Italia finalmente libera e dalla disillusione per la conduzione della guerra d’Indipendenza. Morì il 31 marzo 1850 nel palazzo dell’amico carissimo Gino Capponi, in via San Sebastiano, soffocato dal sangue per la rottura di un tubercolo polmonare. Le sue composizioni, caratterizzate da un umorismo pungente e venate talvolta da una sottile malinconia, hanno come cornice la piccola provincia toscana. Furono pubblicate dapprima in forma sparsa, poi raccolte in varie edizioni nel 1844, 1845, 1847. La poesia più nota è Sant’Ambrogio, nella quale il poeta dichiara apertamente le proprie posizioni anti-austriache rivolgendosi direttamente a una “Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco”. Altre composizioni molto note sono: Il re Travicello, Il brindisi di Girella, Le memorie di Pisa, Il papato di Prete Pero. Tra le opere in prosa ricordiamo le Memorie inedite e una raccolta di Proverbi toscani pubblicati anch’essi postumi. Assai interessante il ricco Epistolario dal quale emerge la sua viva parlata toscana.

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Bill Toms

DI SEBASTIANO

Mi chiamo Sebastiano e ho scritto questo articolo perché il prossimo anno verrò nella vostra scuola. Ho scelto Leonardo da Vinci perché è il nome del vostro liceo mentre ho scelto Giuseppe Giusti perché è la via in cui si trova l’istituto. A presto.

LEONARDO DA VINCI Leonardo fu l’indiscusso genio dai mille talenti. Matematico, pittore, musicista, appassionato di astronomia, ingegnere e grande pensatore, nacque a Anchiano, nell’aprile del 1452.

Figlio illegittimo del notaio ser Piero e della contadina Caterina, si trasferì in tenera età a Vinci nella casa paterna, dove venne accudito ed educato con affetto. Ancora bambino partì per Firenze ed entrò come apprendista nella bottega d’arte di Andrea del Verrocchio, approfondendo le sue capacità artistiche e scientifiche. Più tardi, nel suo peregrinare in molte città italiane, quali Milano, Mantova, Roma e Firenze, dipinse la “Gioconda”, che ancora oggi lascia gli esperti perplessi sulla vera identità del soggetto ritratto, ovvero Monna Lisa di Giocondo, nobildonna fiorentina. Nel 1517 accettò l’invito di Francesco I a lavorare per la corte francese, sì ritirò quindi nel maniero di Clos-Lucé vicino alla reggia di Amboise e qui morì alcuni anni più tardi.

Nonostante lui stesso si definisse “omo sanza lettere”, in quanto non conosceva il greco e aveva poca dimestichezza con il latino, Leonardo scrisse tantissimi appunti. Leonardo usava un tipo speciale di scrittura, da lui stesso messa a punto, detta “speculare”: iniziava infatti a scrivere sul lato destro del foglio proseguendo verso sinistra (l’esatto contrario di come facciamo noi usualmente) e per riuscire a leggere era quindi necessario utilizzare uno specchio che riflettesse le lettere. Pare utilizzasse questo metodo per evitare che occhi troppo indiscreti potessero leggere i suoi pensieri e studi, rubandogli idee o diffondendo i suoi segreti.

Importantissime sono state le sue invenzioni. Leonardo ideò macchine da guerra, come la catapulta gigante, le macchine volanti, il cannone a tre canne, l’acciarino automatico a pietra focaia, macchine civili, come il mulino a cilindri, l’alambicco e la trivella e macchine idrauliche come il ponte girevole, l’imbarcazione a pale, lo scafandro. Il genio di Leonardo è senza dubbio incontestabile ed impareggiabile e ancora oggi è l’esempio lampante di come la fantasia, la curiosità e lo spirito di osservazione siano doti importantissime per inventare, creare e scoprire.

ancora oggi è l’esempio lampante di come la fantasia, la curiosità e lo spirito di osservazione siano doti importantissime per inventare, creare e scoprire

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Giuseppe Giusti

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Personaggi

BILL TOMS DI SERENA CRISTOFORETTI 5F

Quando alla mia classe è stato proposto di assistere ad un concerto di Bill Toms, è stato facile capire dagli sguardi perplessi dei miei compagni che non ero l’unica a non averlo mai sentito nominare.

Ma, come si sa, le attività che non riguardano il programma scolastico allettano lo studente e non poco: una proposta simile non si poteva certo rifiutare, e così ci siamo iscritti a questo live ‘per pochi intimi’, pur senza sapere di preciso cosa ci aspettasse.

L’aula magna, con le sue file di sedie ordinate come per una qualunque conferenza, lasciava intendere che quello a cui stavamo per assistere non sarebbe stato un concerto sfrenato e coinvolgente come molti di noi avrebbero preferito.

In effetti, complici l’imbarazzo iniziale e il ‘motore freddo’ della band come del pubblico, le prime canzoni non hanno colpito particolarmente la maggior parte degli spettatori, erano pochi i coraggiosi a battere le mani. Dimostrando di sapere come ci si comporta sul palco, Bill e i suoi non si sono lasciati scoraggiare dalla nostra scarsa partecipazione e anzi, hanno continuato a incitarci a muoverci e a lasciarci trasportare dalla musica. E infatti sono bastate un paio di canzoni in più perché non ci fosse più nessuno fermo sulla sedia: il ritmo scandito dalle nostre mani era diventato parte della stessa performance, e anche chi cercava di contenersi non poteva evitare di tenere il tempo col piede. Il live ci ha decisamente dato la carica di entusiasmo ed emozione che invece l’ascolto in classe di alcune

tracce del cd non ci aveva suscitato; si avvertiva, anche solo osservando la sicurezza dei movimenti, che l’artista che avevamo di fronte non era un novellino.

L’atmosfera si è scaldata, le melodie che spaziavano dal country al blues – mantenendo sempre l’impronta rock – facevano scatenare studenti e professori, che si lanciavano in improvvisati balletti e sgambettanti trenini. L’imbarazzo ha abbandonato la mansarda, lasciando gli studenti a congratularsi tra loro per la decisione di partecipare all’evento.

Conclusa l’esibizione, mentre in molti si congratulavano con Bill, il sassofonista Phil Brontz e l’intera band, ho ricevuto un invito che davvero non potevo declinare: l’occasione di intervistare gli artisti, seduta a pranzo con loro, il preside e due miei compagni di classe. Aiutandoci con la traduzione, io, Filippo e Florian, abbiamo posto alla band domande tecniche ma anche curiosità personali, per conoscere i gusti e la storia di Toms, che dalle sue parti (originario di Pittsburgh, Pennsylvania) è considerato una vera e propria leggenda vivente, grazie al suo talento e alle sue collaborazioni con artisti del calibro di Bruce Springsteen, Bob Dylan e Stevie Ray Vaughan. Bill Toms, con i suoi cinquantuno anni, di cui trentasei da chitarrista, trentotto da sassofonista, e a trentatré dalla sua decisione di diventare musicista di professione, vanta featuring stellari che gli sono valsi la visibilità internazionale, oltre che la stima e l’affetto del pubblico al di qua come al di là dell’oceano. La sua caratteristica è

quella di cantare e suonare una musica ‘soulful’, che viene dall’anima, che racconta storie della propria terra, di persone comuni e di sentimenti profondi. Bill ci tiene in particolare a sottolineare che, a suo parere, la musica che ha avuto e avrà sempre successo è quella in cui l’artista crede senza riserve, in cui mette l’anima. Alla domanda ‘cosa ne pensi della musica di questi anni?’ risponde che non rintraccia nel pop la stessa passione del rock dei decenni passati, ma crede nelle potenzialità di chi fa ancora musica col cuore, di chi come lui cerca le radici dei generi che suona e si lascia guidare dalle suggestioni del viaggio attraverso le città che hanno fatto la storia del rock.

‘What about electronic music?’ ‘It’s compressed. It’s not true, there are no instruments. People do not sit in a room and just play, that’s a big loss. But as long as people are creating, technology is ok.’.

Più di un’ora e mezzo di chiacchiere e di appunti sul modo di vivere e di pensare di questo artista che fino a tre ore prima non conoscevo (e di ottimo cibo – un sentito grazie al preside!), dopo un concerto che ha superato largamente le mie aspettative: una normale giornata di scuola che inaspettatamente si è trasformata in una esperienza difficile da dimenticare figata!

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Attualità

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Attualità

Ultras di un calcio malato

Dani Alves

di un ULTRAS ALVES calcioMALATO DANI UnaBANANAcontro ilRAZZISMO DI ALESSANDRO BLASIO 5E

DI GIULIA CASONATO 3A

Roma, Stadio Olimpico, 3 maggio 2014.

Napoli – Fiorentina, finale di Coppa Italia.

Ci sono certamente problemi più importanti da analizzare, ma mi sento di parlare anche di questo, considerando che il giornalino spazia su vari argomenti.

Sarebbe dovuta essere una semplice partita di pallone, una finale di Coppa. La rivalità sportiva ci sta, purché si accenda sugli spalti e che si spenga in contemporanea al triplice fischio dell’arbitro: così non è stato.

Per chi non avesse seguito la vicenda, il messaggio che è passato è che per colpa del famigerato ultras partenopeo “Genny ‘a carogna” la partita è cominciata con 45 minuti di ritardo. In realtà questo è ciò che tv e giornali vogliono far passare, perché il vero motivo dell’inaspettato posticipo del match è un altro: a un tifoso napoletano è stato sparato un colpo di proiettile prima della gara solo perché sostenitore di un’altra squadra. E voi direte: “ma quindi che ha fatto l’ultras?” Anche io non credo sia uno stinco di santo un personaggio che indossa la maglietta “SPEZIALE LIBERO”, fatto sta che il capo ultras della curva voleva ottenere chiarezza dal capitano del Napoli sulle condizioni fisiche del tifoso e subito i giornali ne hanno approfittato: “Genny ha dato il via libera”, “Genny ha detto che si può giocare”, “Comanda Genny” si leggeva sui giornali il giorno seguente. Speziale è un ultras catanese, ora incarcerato, che ha ucciso l’ispettore Raciti durante un derby siciliano nel settembre del 2007.

La figura di Filippo Raciti (un uomo che a 40 anni lascia due figli e la moglie) è stata spesso oggetto di slogan espressi da ultras del calcio, che intendono offendere e colpire polizia e carabinieri in quanto istituzioni. Ora dico: ma con tutti i presenti allo stadio, con i continui contatti tra forze dell’ordine, con tutti i confronti tra arbitri che anche le televisioni hanno mostrato, davvero vogliamo credere che un poveraccio di quel genere abbia pilotato tutto dall’alto della sua ignoranza?

Siamo ancora più ignoranti se davvero vogliamo pensare ciò, probabilmente fa comodo questa versione. L’ultras fino a quel momento (s)conosciuto da pochi solo a Napoli d’un tratto ha fatto l’assist ai media (che subito hanno colto come avvoltoi) per far parlare solo di lui da due settimane a questa parte. Addirittura è passato in secondo piano il fatto che un ragazzo sia in bilico tra la vita e la morte per scrivere di Gennaro De Tommaso (detto appunto “Genny ‘a carogna”), che andrebbe solo preso e sbattuto in gabbia.

Molti sono stati i messaggi di solidarietà per Ciro Esposito, il tifoso ricoverato all’ospedale di Roma, da Dortmund a Monaco, da Frosinone a Siviglia. Chi sostiene la scritta “Speziale libero” dovrebbe solo

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Gennaro De Tommaso, detto Genny ‘a carogna

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Gli scontri prima della finale di Coppa Italia

le soluzioni per evitare questi spiacevoli episodi esistono eccome

provare cosa vuol dire perdere il padre o il marito in un modo assurdo come questo.

A mio parere le soluzioni per evitare questi spiacevoli episodi esistono eccome, ma evidentemente alla base di tutto c’è qualcosa di marcio e quindi conviene non intervenire o farlo simbolicamente, come pro-forma. Un esempio molto concreto e simile alla situazione italiana si era verificato in Inghilterra pochi anni fa con qualche differenza: gli ultras si chiamavano hooligans e i provvedimenti furono presi concretamente, come fece Margaret Thatcher, la “lady di ferro”. Se società che hanno un fatturato di milioni e milioni di Euro (o Sterline) vengono multate con ammende massime ridicole (50.000 Euro) non cambierà mai niente; se solo si provasse a far aumentare gli zeri, proibire le trasferte, chiudere gli stadi (e non solo i settori), cacciare questi elementi, società e tifo organizzato ci penserebbero due volte ad uscire dalle righe. In Inghilterra ha funzionato…

Io, Giulia Casonato, figlia, nipote e sorella in una famiglia di interisti, posso vantare di aver trascorso molte delle serate della mia infanzia davanti a delle partite di calcio alla televisione. Più per l’effetto soporifero e per il clima generale che si crea davanti alla tv, l’abitudine di passare 90 minuti a guardare alcuni uomini rincorrere una palla, ogni tanto, la coltivo ancora.

Rimane il fatto però che le mie conoscenze calcistiche in quanto a giocatori, inni, squadre o mercato sono pari a zero. E sarà per questo o per la mia poca mondanità che quando mio padre mi ha chiesto se avevo sentito di Dani Alves e della storia della banana, la mia faccia perplessa ha risposto per me. Alla mia faccia è seguita la sua, stupito dalla mia ignoranza e successivamente, dopo la richiesta di aiuto per trovare qualcosa di cui scrivere per il giornalino, una decisione: dovevo assolutamente parlare della rivoluzione delle banane, il primo vero passo del calcio contro il razzismo (a sentire lui). Ma per quelli che come me non sapevano nulla di questa storia tornerò indietro fino alla sera del 27 aprile, alla partita di Villarreal - Barcellona. Succede infatti che al momento di tirare un calcio d’angolo il giocatore del Barça si vede piovere dagli spalti una banana, lanciata da un

non simpatico tifoso del Villarreal. A questa evidente provocazione il terzino però reagisce con inaspettato autocontrollo e ironia, raccogliendo la banana, mangiandola e tirando la palla. La partita finisce con il team catalano che si porta a casa il match 3-2, ed il calciatore brasiliano (quindi di colore, quindi discriminabile, a quanto pare) ringrazia il tifoso per averlo fatto vincere. Poche ore e la notizia fa il giro del mondo. Nasce un hashtag #SiamoTuttiScimmie. Iniziano a girare i tweet solidali a Alves e foto di persone con una banana in mano, dalla gente più comune ai VIP più acclamati, da Matteo Renzi a Matteo Salvini. E se questi ultimi possono avere qualche secondo fine in questo periodo dell’anno a ricordare la loro intolleranza per il razzismo (anche l’ultimo Matteo, sì), sembra che la questione stia comunque a cuore al mondo. Forse non a coloro che il 5 maggio hanno ripetuto il gesto contro il giocatore juventino Kevin Costant, oppure alla curva interista che durante il derby ha esposto una banana gigante contro Balotelli. Ma di certo queste azioni non rimangono impunite: al Villarreal infatti è stata inflitta dalla Commissione Disciplinare una multa di 12.000 €, aumentata di altri 6.000 su richiesta del Ministero degli Interni. Poca

cosa forse, ma comunque un segno. Al tifoso invece è stato tolto il lavoro, rischia 3 anni di carcere e l’espulsione a vita dal club del Madrigal. Una reazione giusta o forse eccessiva, in ogni caso Dani è intervenuto per chiedere di ridare il lavoro al ragazzo, che “probabilmente volva fare uno scherzo e ha scatenato un putiferio”.

E questo è un bel gesto finale per chiudere questa storia, anche se le banane continuano a diffondersi per raccontare storie di razzismo. Una rivoluzione calcistica che parte con buoni ideali, che si spera prosegua e che non si addormenti, come me, cullata dal tiqui-taca spagnolo.

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Dani Alves raccoglie la banana tiratagli da un tifoso avversario

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Su internet l’idea ha spopolato con l’hashtag #SiamoTuttiScimmie

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Chiara

Classe VE

CHIARA DI CLASSE 5E

Eccoci qua! La tua classe negli ultimi mesi non ha smesso di pensare a te, Chiara. Ogni volta che entriamo a scuola e leggiamo E’l naufragar m’è dolce in questo mare, quando ci prendiamo cura dell’orchidea regalata da Raisa, durante le lezioni passate a fissare il tuo orologio blu, ci manchi, sempre.

Abbiamo pensato di dedicare questa parte dell’ultimo numero dell’Urlo a te, per lasciare un segno anche sulla carta del ricordo che sempre portiamo e porteremo con noi una volta finito il liceo.

La tua classe VE

CLASSE VE “Ciao Chiara, a domani”.

Queste le ultime parole che ti abbiamo detto quando stavi uscendo dalla classe.

Poi il domani è arrivato e in classe nessuno sorrideva più. Le lacrime avevano sostituito le parole e noi non capivamo.

“Chiara non c’è più” aveva detto il prof.

“Ma come non c’è più! Dov’è? Com’è possibile?” e poi tra tutte le domande “Perché?”. E allora ecco che ti vediamo, con quella tua bellissima espressione: gli occhi chiusi, la testa inclinata e un sorriso. Un sorriso prezioso ed elegante in cui racchiudevi sempre un pensiero o una frase da aggiungere alle parole appena pronunciate, ma poi preferivi non dircelo e lo lasciavi in sospeso. Chissà cosa avevi intuito da non riuscire ad esprimerlo a parole, chissà fino a dove erano arrivate le tue riflessioni.

In classe pensavi sempre a noi: preparavi e portavi il cibo più buono, concludevi le discussioni tra compagni evitando il litigio e portandoci a riflettere, e poi avevi portato l’orologio blu e ci prestavi sempre lo scotch, e sempre se avevamo bisogno di qualcosa eri disponibile e presente in ogni situazione, generosa e altruista.

Dicevi: “Il tempo non ritornerà e l’ho perso così tante volte”. E in quel momento la letteratura era tutto per te. “Devo ammettere che ho un buon maestro. Alla fine traggo le mie riflessioni dalle lezioni di letteratura però cerco di conservarle dentro, sono tutto ciò che ho. Senza la letteratura non riesco a vedere il mio futuro”. Così andavi in fondo alle cose perché “senza coraggio non si vive si esiste solamente”.

“Dove sei ora? Come facciamo noi ora? E la maturità, e l’università, perché non ci sei?” Ed ecco che rivediamo quel tuo sorriso con gli occhi chiusi, la stessa espressione che avevi quando siamo andati a salutarti. Ci vuoi dire qualcosa. “Parlaci Chiara! Cosa deve fare la tua classe adesso?” I tuoi occhi sembrano socchiudersi e la tua bocca pronta a svelarci per un momento il tuo pensiero. E invece no, ancora una volta rimane in sospeso e il tuo sorriso continua a guardarci dolcemente.

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

Hai cambiato le nostre vite Chiara. “Non voglio mettere pesantezza nella leggerezza” hai detto una volta, e così, sei stata un soffio che ci ha attraversati delicatamente per cinque anni facendoci riflettere e interrogare, spingendoci a non essere superficiali ma complessi e poi di colpo ci hai risvegliati. Quando saremo in grado di riprendere a studiare, a fare interrogazioni, a prepararci per un tema, ogni cosa Chiara sarà per te. Tu rimarrai sempre intensamente presente nelle nostre azioni e nei nostri pensieri fino alla maturità e nel nostro futuro.

Ti vogliamo bene Chiara, tua per sempre classe VE.

Chiara

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Lettera dal prof Dalessandro

RICORDO DI CHIARA (ASSEMBLEA DI ISTITUTO 28 MARZO 2014)

Lettera dal prof Dalessandro

Buongiorno a tutti, io ho avuto la fortuna di essere stato l’insegnante di Lettere di Chiara. Prima di dedicarle questi versi di Eugenio Montale (un poeta che lei amava molto), permettetemi un ricordo personale, forse aiuterà chi non l’ha conosciuta bene a conoscerla un po’ meglio.

Chiara era la ragazza che non voleva farsi scivolare addosso la vita… l’ha detto e scritto più volte.

Ora io credo che la sua vita non sia scivolata via, che lei abbia in qualche modo lasciato un segno; in noi di VE, insegnanti e studenti, certamente.

La sua passione per l’arte e la letteratura, la sua personale ricerca della “Bellezza”, la voglia di conoscere, di capire… tutto questo è il suo segno.

Per Chiara i giorni di scuola non erano quasi mai noia, ma occasioni; i suoi amati poeti non pagine da studiare, ma momenti di esperienza…fare esperienza: quello che ogni giovane vita dovrebbe chiedere e ha il diritto di chiedere: anche questo è il suo segno.

Voi, che siete i suoi compagni, i suoi amici, non lasciate che scivoli via, raccoglietelo come una preziosa eredità.

Per come l’ho conosciuta io, Chiara era un carattere riservato, quasi schivo, tuttavia non di rado ci sorrideva…sorrideva con gli occhi!

Ecco, il mio ricordo personale è questo: un giorno qui nel liceo ho incrociato Chiara, con Camilla credo; accortasi della mia presenza lei si è girata per rivolgermi non so quale domanda e nel farlo mi ha sorriso mostrandomi tutta la sua gentilezza… questa è l’immagine che mi piace portare con me di Chiara, questo il ricordo che voglio condividere, come quando si mostra la fotografia di una persona cara che non c’è più…una fotografia mai scattata ma vi assicuro vivissima!

Ecco perché quando quella mattina ho saputo, pensando a lei, questi versi di Montale sono affiorati alla mia memoria da soli, senza che li andassi a cercare; Montale li scrisse per un suo amico, noi li facciamo nostri e li dedichiamo alla nostra amica Chiara. Io spero che le piacciano!

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida scorta per avventura tra le petraie d’un greto esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi; e su tutto l’abbraccio di un bianco cielo quieto.

Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano, se dal tuo volto s’esprime libera un’anima ingenua, o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo [estenua e recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma, e che il tuo aspetto si insinua nella mia memoria grigia schietto come la cima d’una giovinetta palma…

Leopardi

L’INFINITO

Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

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Chiara

Il piacere è il fiore del dolore

La via assordante strepitava intorno a me.

Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore immenso, passò sollevando e agitando con mano fastosa il pizzo e l’orlo della gonna agile e nobile con la sua gamba di statua.

Ed io, proteso come folle, bevevo la dolcezza affascinante e il piacere che uccide nel suo occhio, livido cielo dove cova l’uragano.

è il

FIORE del

DOLORE

E’ doloroso. Il piacere è il fiore del dolore.

Misurarmi, pesarmi, soppesare, mettermi alla prova: quanto valgo? E ci dicono di continuare ad interrogarci, ci dicono di essere curiosi, di cercare: di cercare cosa? Soluzioni? No, esse sono materiali.

Risposte? Forse perché esse denunciano il coraggio di interrogare se stessi. Ma esiste la verità? Cosa potrei rispondere alla domanda “cos’è la felicità?”

Innanzitutto presuppone che essa esista certamente e sia tangibile, quantificabile, che sia un materiale a cui dare un valore. Quindi è davvero giunto il tempo, com’era stato detto, in cui quelle stesse cose che fino allora erano state donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate, tutto divenne commercio.

Ma negare la speranza significherebbe negare quel vago che solo può dare un senso di piacere.

E’ il messaggio di Giacomo Leopardi: l’uomo è per la felicita, vi tende, continuamente mosso dal desiderio, ma non

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

Poesie

A UNA PASSANTE

PIACERE

DI CHIARA DA RUGNA 5E

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Baudelaire

Il

E’ frustrante sentire un senso di inadeguatezza e di insufficienza ad ogni respiro.

Una giornata: mi sveglio (per seconda, tutto ha un ordine ben preciso negli orari organizzativi della vita), faccio colazione, mi lavo, mi vesto, esco di casa, è sempre più inverno eppure dovrebbe finire.

Vado a scuola, cammino, ascolto, parlo, rido, guardo ma non vedo, perciò non conosco. Torno a casa, mangio. Se esco di nuovo cammino, forse per andare in centro. Se resto, studio.

Chiara

può essere in alcun modo felice. La pura anticipazione di una fine inevitabile, presente in ogni istante, frustra il piacere rendendoci superficialmente consapevoli di esistere.

Eppure ci sono quegli istanti meravigliosi ed irrazionali, improvvisi, imprevisti, non pensati: cos’è il ricordo che mi assale e mi squarcia il fiato?

Ma siamo completamente soggetti a quel tempo perfettamente scandito di cui siamo inventori.

Vado in piscina, nuoto. Sono divisa, mi sento bene sott’acqua eppure anche imprigionata in una vasca a cui è il cemento a dare forma, e poi l’acqua ha un odore ed un sapore chimici: cloro. Il mare non è così.

Ceno. Aiuto la mamma: aiutarla nelle cose semplici la rende un po’ meno stanca, un suo bacio sulla guancia mi ringrazia, sottovoce, delicato.

Necessito di un momento di contatto con il mondo infinitamente aperto di internet: ho bisogno di riaffermarmi su uno schermo, di riflettere me stessa, e pericolosamente scivolo nella rettorica, che è inadeguata affermazione di individualità.

Cerco di identificarmi: voglio sentire una voce che mi ripeta “sono io”.

Quanto pesa il confronto con gli altri! Per me a volte è insostenibile. Ma cosa cerchiamo allora nel prossimo se non felicità? È un’esperienza contraddittoria il confronto, uno scontro creativo, doloroso e

Un lampo, poi la notte! - Bellezza fuggitiva dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere, ti rivedrò solo nell’eternità?

Altrove, assai lontano di quì! Troppo tardi! Forse mai!

Perchè ignoro dove fuggi, né tu sai dove io vado, tu che avrei amata, tu che lo sapevi!

Montale TEMPO E TEMPI Non c’è un unico tempo: ci sono molti nastri che paralleli slittano spesso in senso contrario e raramente s’intersecano. È quando si palesa la sola verità che, disvelata, viene subito espunta da chi sorveglia i congegni e gli scambi. E si ripiomba poi nell’unico tempo. Ma in quell’attimo solo i pochi viventi si sono riconosciuti per dirsi addio, non arrivederci.

di piacere. Quando il nostro desiderio, da cui dipendiamo sempre, sarà di donare felicità, e solo allora saremo sereni e speranzosi di riceverne poi, forse quel desiderio non peserà così tanto.

Sono persa, sono persa, ho perduto, sto perdendo tempo.

La bellezza.

Come fare? Sempre fare, agire, pensare, volere.

Cosa vuoi? Cosa?

Non capire!

Essere.

Mi rendo conto che se penso alle persone che credo importanti nella mia vita, sono quelle che mi hanno fatto arrabbiare davvero, per cui ho pianto lacrime che erano un balsamo liberatorio. Persone che non sempre hanno saputo usare le parole giuste, ma che hanno agito.

Come sa essere rivelatorio un atto! La felicità è in un istante, un istante in cui non capisci nulla e assapori tutto.

Una volta ci chiesero in terza superiore,

durante un progetto, di rispondere alla domanda “cosa ti piace?” ed io dissi “riflettere, e non lasciarmi scivolare addosso le cose”. Non so se sia artificiosa e vaga come risposta. A me piace la letteratura.

So che è ciò che mi fa stare bene perché mi inquieta come un corpo di Schiele o uno sguardo di Munch, è ciò che mi fa fare esperienza, in un istante.

Mi colpisce, mi ferma, leggo. Scrivo. E si, anche se quel tempo descritto da Marx è giunto, per fortuna la poesia non è una merce – disse Montale nel suo discorso alla consegna del Nobel.

E non sono nuova, non sono moderna, per questo voglio andare via. Per conoscere e imparare la novità del racconto, per illuminare di moderno la mia vita.

Avrò qualcosa di nuovo da raccontare, forse, l’anno prossimo. Torino, forse. Potrò cominciare a scrivere un racconto che risponda a questa definizione, un racconto sulla felicità appunto.

Ma ero rimasta alla riflessione davanti allo schermo di un computer: che caso!

Un articolo intitolato “A scuola di felicità”: insegna come coltivarla. Sono proposte soluzioni, quindi materiali, ed è interessante come si contraddicano. Ad esempio: “essere occupati, ma non troppo sotto pressione”, e subito dopo “riporre la propria felicità non in eventi esterni”.

Credo che la felicità assomigli alla bellezza di queste parole, dette senza retorica da una persona che vuole aver cura di me: “Sospendi qualsiasi giudizio”.

Odio le scadenze perché non riesco a rispettarle e mi fanno scrivere diversamente dalle mie aspettative. Odio non avere scadenze perché il tempo deve essere organizzato.

Continuo a sentire dentro di me l’insufficienza.

Vado a dormire, alzarsi per seconda significa sei e trenta del mattino.

da SATURA - Montale

Henry Scott Holland

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.

La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu.

Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.

Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.

HO SCESO, LA MORTE NON DANDOTI IL BRACCIO E’ NIENTE Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

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Inchiesta Università

Interviste a chi ce l’ha fatta

INTERVISTE A CHI CE L’HA FATTA DI REDAZIONE DA VINCI-SCHOLL

CI VUOLE CORAGGIO PER RESTARE, AD ANDARSENE SONO BRAVI TUTTI. 1. Presentati (nome, età, facoltà frequentata e anno di frequentazione, liceo di provenienza) 2. La celebre frase “dopo questi cinque anni figurarsi che mi rivedrete a Trento” esce spesso dalle bocche di noi studenti disperati. Perché, invece, hai scelto di rimanere?

3. Trento ha la fama di essere una città piena di opportunità per gli universitari, ti trovi d’accordo?

4. Finalmente si studia solo quello che veramente ci interessa, gli orari sono vari e si conosce gente nuova. Questo è quello che, in genere, pensiamo noi studenti quando sentiamo la parola “università”. È stato difficile abbandonare i ritmi “da superiori” e adattarsi a quelli universitari?

5. Pensi che la tua scuola superiore ti abbia preparato in maniera adeguata all’università? Hai trovato difficoltà in determinate materie a causa di una preparazione insufficiente?

6. I test d’ammissione, spesso, provano conoscenze e cultura generali. Su questo punto, la scuola superiore ti aveva preparato?

7. Ora che sei inserito in una determinata facoltà, pensi che frequentando un’altra scuola superiore avresti potuto ottenere una preparazione migliore nel campo che studi?

8. Scegli: verifica o esame?

9. Ci racconti un episodio o un ricordo particolare che ti viene in mente quando ripensi ai tuoi cinque anni di superiori?

10. Ci raccomandi un comportamento assolutamente da evitare nei primi giorni all’università, onde evitare gaffe e figuracce?

11. Descrivi con tre parole la facoltà che frequenti!

Testimonianze e racconti sulla vita universitaria e sul bagaglio liceale che ci portiamo sulle spalle.

Nell’immaginario della maggior parte di noi studenti, l’università è un posto meraviglioso e misterioso, dove i professori girano il mondo per svolgere lezioni e seminari e dove gli studenti passano velocemente da festaioli incalliti del giovedì sera a creature associali e irritabili durante il fatidico periodo pre-esame. Scherzi a parte, abbiamo intervistato alcuni ragazzi ex- davinciani che frequentano diverse facoltà di Trento.

L’obiettivo è quello di fare una breve riflessione sulla preparazione delle scuole superiori per l’università, e... beh, di vedere, almeno in parte, quello che ci aspetta!

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Test ad Aprile

FEDERICO GOZZER

1. Buon giorno, mi chiamo Federico Gozzer, ho 21 anni e frequento il primo anno di “ingegneria dell’informazione e organizzazione aziendale” a Povo (non Mesiano). Un nome lungo e che riempie la bocca ma in fondo in fondo non vuol dire molto. Il liceo che ho frequentato è l’unico che valga la pena frequentare, ovvero il vostro.

4. Assolutamente no! Ragazzi, l’università è UNA FIGATA, vai a lezione quando vuoi; studi solo cose che non ti pesa studiare; i corsi sono talmente grandi che dei tuoi compagni ne conosci metà se va bene durante l’anno; i professori non sanno neanche come ti chiami; se ti annoi durante una lezione, o hai i postumi della sera prima, puoi tirare fuori il portatile e andare su Facebook, o uscire a prenderti un caffè. Ecco, dopo avervi fatto esaltare per bene, sappiate che questo è il periodo “di lezione”, poi, arriva il “periodo esami”. Non so quale sia il lato peggiore, se la biblioteca in sé, o la puzza di sudore della biblioteca, o lo studio intensivo, o i tuoi rapporti sociali che sfumano lentamente e inesorabilmente, o i tuoi amici che ti chiedono “che fine hai fatto?”, o le occhiaie che da sottili e impercettibili linee scure si trasformano in enormi voragini nere che al loro interno risucchiano la tua vita peggio di un bacio di dissennatore, o il sapere che tutti i sacrifici che stai facendo probabilmente non ti faranno arrivare neanche a 18. Valutate voi i pro e i contro, e agite di conseguenza.

9. Beh ragazzi, ce ne sono troppi non posso raccontarli tutti per bene! Al Da Vinci succedeva sempre di tutto! Le verifiche coi postumi, sgattaiolare nei sotterranei, il primino collassino, le ore buche al santa, le marine al baretto, i tornei delle assemblee, gli ultras del triangolare, picchiarsi tra compagni di classe, cagare nei bagni dei prof dell’ala nuova per stare più in pace, la lotta al potere contro la mafia davinciana, le discussioni su Facebook, la candidatura e il fallimento come rappresentante degli studenti, i nazionali di scacchi, le gite, imbucarsi a seguire lezioni della classe in cui eri stato segato con i prof che

FEDERICA GUIDI

01 L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

Inchiesta Università

TEST AD APRILE DI STEFANO SARTORI E SARA CETTO 5G

Fino all’anno scorso ad un aspirante medico si prospettava un’estate d’intenso studio: fino a luglio per l’esame di maturità, i mesi restanti invece per il test d’ingresso a settembre. Da quest’anno invece, senza aver precedentemente interpellato insegnanti o studenti, il MIUR ha deciso di anticipare l’esame d’ammissione ad aprile, insieme a quelli di veterinaria ed architettura; ovviamente l’esame è unico senza la possibilità di rifarlo come avviene in altre università. C’è da domandarsi se quest’anticipo è servito a qualcosa, ma la risposta è evidente agli occhi di tutti.

Innanzitutto lo studente si trova ad affrontare un test che deciderà il suo futuro quasi in contemporanea con l’esame di Stato. Le ripercussioni sull’attenzione in classe e sulla media scolastica sono inevitabili. Problema che non si risolve col tempo poiché, essendo il test molto selettivo ( 1 su 6 sarà ammesso) , un non ammesso passerà un momento di delusione che comporterà poca voglia di studiare. Già di per se la quinta è un anno difficile e pieno di tensione, di conseguenza si sperava che almeno il Ministero dell’Istruzione (se cosi si può ancora chiamare) aiutasse gli studenti a dare il meglio.

Oltre alla data anche la struttura del test solleva ed ha sempre sollevato critiche e proteste: se un futuro medico deve conoscere Chomsky per entrare all’università almeno fatelo sapere prima. L’esame di ammissione richiede varie conoscenze: biologia, chimica, fisica, matematica e cultura generale; tuttavia ben il 30 % delle domante verte su argomenti di logica che tolgono numeroso tempo alle altre materie, le quali purtroppo molto spesso contengono argomenti mai stati affrontati nel corso del liceo e introvabili sui libri di testo fatti apposta per l’esame di ammissione. In pratica il test si basa più sulla fortuna che sullo studio; uno studente che studia tutto l’anno rischia di arrivare dopo uno studente che non ha mai aperto libro.

Partendo dal fatto che ci dev’essere un metodo di selezione per l’università c’è da chiedersi se questi sono i metodi più efficaci. Il semplice fatto che la media dei voti di quest’anno è calata di nove punti rispetto a quello del 2013 è l’emblema dell’inefficacia del test così come è strutturato e la data in cui si è svolto. Negli ultimi giorni il ministro dell’istruzione Stefania Giannini ha dichiarato che modalità e data dell’esame devono essere modificati; si spera che non sia il solito annuncio politico e che dall’anno prossimo siano premiati gli studenti veramente meritevoli. Intanto buona fortuna a tutti gli aspiranti medici!

pensano tu sia ancora in quella sezione, la bibliotecaria, imbrogliare ai mille metri, imbrogliare alle verifiche, imbrogliare alle elezioni del rappresentante di classe, il nome di Chuck Norris che spunta a TUTTE le elezioni di qualunque cosa, provarci con la ragazza della classe a fianco, essere rifiutato dalla ragazza della classe a fianco, dire al prof “vado in bagno”, dire al prof “mi giustifico”, sentirsi dire dal prof “non ne hai più di giustifiche”, la gioia del firmarsi le giustifiche da solo, la gioia di firmarsi le giustifiche da solo dopo aver fatto i 18, comprare il duplicato del libretto, le telefonate a mia madre,“l’aula nerd”,

1. Ciao! Mi chiamo Federica Guidi e dopo sei lunghi anni di liceo scientifico Da Vinci ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Sociologia frequentando il corso di Servizio sociale.

2. Devo ammettere che anche io ero una di quelle studentesse pronte a partire per nuovi orizzonti finito il liceo e, in effetti, ci ho pure provato. Il primo test l’ho fatto a Udine per ostetricia e potete immaginare com’è andato visto che sono qui. La seconda scelta era servizio sociale e dopo essermi informata ho scoperto che la facoltà di Trento è la migliore in Italia, per questo motivo ho deciso di rimanere.

8. TUTTA LA VITA VERIFICA!Sarà che l’esame se non lo passi lo ridai e non ci perdi granché mentre se in una verifica prendi 4 te lo tieni e fa media ma stiamo parlando di due cose veramente diverse. Un esame può riguardare diversi libri e non è detto che tutto venga trattato con il docente, una verifica invece è basata su quelle 50,60 pagine o su quei due argomenti che tra le cose, quasi sicuramente hai ripetuto più e più volte in classe. Se me le facessero adesso le verifiche penso che le adorerei, dopo aver provato il brivido degli esami di gennaio e febbraio non c’è storia.

l’aula computer in cui non ho mai visto i PC accesi, il topo sulle scale dell’ala vecchia, il soffitto crollato dell’ala vecchia, “l’ufficio” dell’ala vecchia, i pavimenti che scricchiolano dell’ala vecchia, l’inaugurazione dell’ala nuova, le lavagne superswag dell’ala nuova, la media del sei spaccato di fine quinta, gli amici del “che culo mi han dato 60”, i compagni di classe in generale e scommetto che potreste continuare la lista molto meglio di me!

11. #tecnologia #tranquillità #secchioni.

9.Prof di arte: “Se qualcuno, qui dentro, non ha voglia di ascoltare la lezione può alzarsi e uscire a prendere il caffè”.

Alunno (alzandosi in pieni e sventolando la mano al cielo): “Quanti macchiati??”

Un altro episodio che ancora oggi ricordiamo quando ci troviamo tra vecchi compagni resta: (non è colpa mia ma i più divertenti restano quelli durante arte) Prof di arte: “Di chi è la Zattera della medusa, voi li in fondo che fate le sapienti?”

Gruppetto in fondo (pieno di convinzione) : “Della Medusa?!”

11. 3 parole sinceramente faccio fatica a trovarle, propongo : STUDIO, TIROCINIO,STUDIO ma penso che non si riferiscano solo alla mia università.

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Inchiesta Università

1. Giordano, 21 anni; economia (gestione aziendale) terzo anno, liceo Leonardo Da Vinci.

3. Dipende cosa si intende per opportunità. Dal punto di vista della formazione e della preparazione non ci si può lamentare, le pecche dei servizi dell’ateneo sono veramente poche grazie ai tanti corsi di laurea offerti e agli ingenti investimenti che vengono fatti ogni anno per avere delle strutture all’avanguardia. Trento sta ormai diventando una città universitaria, la gente che ci vive non si sente ancora pronta per un cambiamento, lo dimostra il fatto che vi siano pochi spazi per lo svago dei ragazzi.

5. Le materie che affronto all’università non hanno molto in comune con la maggior parte delle materie che ho studiato alle superiori, ma penso che valga di più avere un buon metodo di studio rispetto ad una preparazione più precisa. Il test d’ingresso di economia, quando l’ho fatto, richiedeva conoscenze di matematica e di italiano. Devo dire che la preparazione delle superiori è stata sufficiente per passare il test.

8. Quando mi trovo davanti ad un esame rimpiango le verifiche delle superiori, per il volume di cose da studiare, ma la soddisfazione di passare un esame è mille volte superiore a quella di prendere un bel voto in una verifica.

9. Non è facile riassumere cinque anni di superiori in un solo

trarre le mie considerazione, cioè che se uno ha voglia di fare può scegliere qualsiasi scuola e indirizzo di studio voglia e state sicuri che se uno ci crede sul serio in quello che vuole nessuna crisi e nessun mercato saturo di personale può mettergli i bastoni tra le ruote.

9. Correva l’anno 2012, era una mattinata invernale come tante altre, ma a farla uscire dall’ordinario era stata la nevicata notturna che aveva trasformato il cortile interno in una landa polare completamente ammantata. Tale fenomeno aveva quindi spinto, durante la ricreazione, decine e decine di studenti ad accorrere in cortile per cimentarsi in una impareggiabile guerra vecchio stile di palle di neve. Lo spettacolo era formidabile, massi di neve mirabolanti che si staccavano dal suolo per finire sulle schiene di ragazzi urlanti, curiosi accorsi per rinfrescarsi le idee nella refrigerante aria di Gennaio, plotoni di studenti che si inondavano di palle di neve nella terra di nessuno tra le due palestre ed accorti opportunisti che sfruttavano la caotica situazione di guerriglia per fumare le loro tanto agognate sigarette della metà mattina. Ma tutto questo era solo ordinaria amministrazione per noi ludici davinciani. Il fatto che quella mattina mi impressionò e divertì tutti quelli che assistettero alla scena fu un’improvvisa

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

dare la mia “partenza” alla magistrale.

6. Circa, nel senso che la parte di cultura generale l’impari ascoltando i telegiornali, leggendo i quotidiani e tenendoti informato sulle questioni contemporanee, ma nel complesso è importante avere una buona preparazione che sicuramente il Liceo ti fornisce, ma anche un pizzico di fortuna non guasta mai!

8. ESAME! Semplicemente perché scegli tu la data (mese, anno) in cui farlo e puoi prepararti come e quando vuoi.

10. Un consiglio potrebbe essere quello

palla di neve vagante che, tramite una traiettoria parabolica, giunse in corridoio e più precisamente sul maglione indossato da un professore suscitando il suo stupore e il divertimento dei passanti che bighellonavano da quelle parti. Volente o nolente l’artefice di quel tiro rallegrò la giornata di molte persone quella mattina.

10. Fosse per me ognuno può atteggiarsi come meglio crede durante i primi periodi di università. Comunque ho notato che uno studente che si veste elegante, se ha la parvenza di avere la tua età, ha la capacità di suscitare ilarità ai meno abituati a vedere ventenni in camicia e giacca, ma ha anche la possibilità di farvi risaltare in mezzo a tutta quella marmaglia di studentelli vestiti ancora con calzoncini e magliette dai colori e disegni strampalati. Quindi se siete degli inguaribili egocentrici e bisognosi di attenzioni quello è l’abbigliamento giusto fatto a posta per voi. Se, invece, non sopportate di avere gli occhi addosso fin dal primo giorno posticipate il cambio dell’abbigliamento di qualche settimana.

03

11. Dipartimento (1) di (2) Economia (3).

Più descrittivo di così si muore! (Scusate la risposta ma l’ora è tarda e il richiamo del letto è forte. Viva.)

di fare subito amicizia con i vostri “colleghi” perché la maggior parte di loro vi accompagneranno nei momenti migliori e peggiori nei futuri tre o cinque anni della vostra vita, di non essere timidi o agitati, non immaginate quante volte mi sono persa a cercare le aule dove si tenevano le mie lezioni, insomma è normale, ma poi, nel giro di poco tempo, tutto diventerà più bello e reale.

11. Originale,”moderna fuori, ma molto classica dentro”, interessante.

aneddoto, sicuramente non mi manca dovermi alzare tutte le mattine alle 7 e aver qualcosa da fare ogni giorno per il giorno seguente, ma mi manca il dolce far nulla dell’estate e i pomeriggi passati a “studiare” con miei compagni di classe. Ricordo che per un periodo ci trovavamo il pomeriggio in quattro e mentre due giocavano all’xbox, gli altri avrebbero dovuto studiare. Il problema è che le partite duravano 10 minuti ciascuna quindi c’erano continui cambi e inevitabilmente si finiva per dire: “ ma tanto domani non mi interroga” 10. Consiglio di cercare di frequentare sempre le lezioni, il primo anno non mi pareva vero di poter non andare a lezione e che nessuno mi dicesse niente a riguardo. All’università si studia per se stessi e per nessun altro e ci si mette un po’ a capirlo, io personalmente il primo semestre del primo anno ho dato solo un esame convinto che tanto li avrei dati più avanti, così mi sono trovato a dover studiare come un matto per recuperare. Consiglio anche di fare tutte le certificazioni possibili alle superiori, perché poi ne vengono richieste alcune e portano via un casino di tempo, quindi fate le certificazioni linguistiche e ECDL che vi serviranno sicuramente.

11. in tre parole: interessante, difficile, soddisfacente.

MONICA BRUGNARA

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ALESSIA TERRAGNOLO 1. Sono Terragnolo Alessia, ho ventuno anni, frequento la facoltà di Lettere e Filosofia corso di laurea in Beni culturali al primo anno e sono un’ex studentessa del Liceo Da Vinci indirizzo scientifico.

2. Beh, guarda in realtà ero proprio una di quelle ragazze che continuava a ripetere di volersene andare da Trento o addirittura dall’Italia, poi alla fine informandomi sul corso di laurea che volevo intraprendere ho notato che quello a Trento era proprio uno dei migliori in Italia, di conseguenza ho deciso di riman-

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Giordano de Francesco

GIORDANO DE FRANCESCO

FRANCESCO DANIELI

1. Francesco, 19, Dipartimento di Economia e Management, Primo Anno, Liceo scientifico Leonardo Da Vinci.

2. Devo ammettere che frasi del genere sono passate anche nella mia testa, ma ad essere sincero era più un desiderio di uscire da questa città non tanto per motivi di studio, quanto per desiderio di viaggiare. Ora lo so che può essere avvincente ed entusiasmante all’ennesima potenza scappare da Trento a prescindere da quale corso di studio si vuole intraprendere dopo il liceo, ma rimane il fatto che scegliere un’università non è come scorrere un catalogo di viaggi dove scegli prima dove andare e poi cosa fare. Almeno io la vedo così.

L’Ateneo di Trento è uno dei migliori d’Italia e se purtroppo come è capitato a me, il corso di studi che vuoi intraprendere è presente anche nella tua tanto agognata città, la vedo inutile la pretesa di uscire per andare in altre città con costi aggiuntivi tendenti al futile.

Comunque sia fare l’università a Trento non significa essere blindato e costretto a stare qua per sempre. Le occasioni ci sono per uscire e seguire corsi propedeutici anche fuori.

4. Per abbandonare i ritmi mattinieri del liceo è bastata una settimana dopo l’orale dell’esame di maturità. E’ stato un po’ più difficile entrare nell’ordine delle idee di dover andare a lezione il pomeriggio, però la prima volta non è stato tragico, anzi dopo tre giorni mi sembrava strano essere andato per cinque anni a scuola solo la mattina. Mi sembrava così innaturale.

6. Senza ombra di dubbio la scuola superiore ha aumentato e arricchito le mie conoscenze in maniera trasversale sui più svariati argomenti, però ad essere sincero per quanto riguarda i test di cultura generale devo molto alla conoscenza che mi sono fatto al di fuori dei banchi di scuola, leggendo, informandomi e curiosando qua e là ( quante cose si facevano pur di non studiare!)

7. Avendo frequentato una sola scuola superiore non saprei dire al dettaglio se aver fatto le Scholl, il Prati o il Galilei mi avrebbe permesso di ottenere un bagaglio culturale più ampio. Forse avrei avuto la vocazione di fare il medico o forse avrei maturato una repulsione verso gli studi che mi avrebbe spinto a partire per l’Australia in cerca di un lavoro. Questo non so’ dirvelo con certezza, però posso

Inchiesta Università

Francesco Danieli

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Auditorium del dipartimento di lettere e filosofia

02

Dipartimento di lettere e filosofia

03

1. Nome: Monica, 19 anni, primo anno di mediazione linguistica, Liceo Leonardo Da Vinci 4. Assolutamente no, non è stato difficile. Non è vero che si studia solo quello che interessa, ma per quanto riguarda gli orari sono molto meno pesanti rispetto alle 35 ore settimanali del liceo e comunque rimane il fatto che, se non per poche ore, almeno nel mio caso, non si è obbligati a frequentare le lezioni e questo è già una grande cosa. È vero anche che si conosce gente nuova, e all’università si trovano persone di tutti i tipi. Dal secchione in prima fila che non perde una parola di quello che dice il prof, al nullafacente in ultima che passa le ore a giocare a Candy Crush e 2048. Resta il fatto che l’ambiente non sarà sicuramente quello della classe che avete ora.

Godetevi i vostri compagni finché potete!

5. Il test d’ingresso mi intimoriva un po’, uscendo dallo scientifico bilingue non pensavo di potermela giocare con persone che uscivano invece da un linguistico, ma ho deciso di provarci comunque. Io sono stata ammessa, molti di loro no. Per questo dico sì, ero preparata in modo adeguato, e forse questo è stato anche merito delle ottime insegnanti di lingue che ho trovato lungo il mio percorso.

8. Una persona in grado di organizzarsi bene vi direbbe che preferisce l’esame per due motivi.

1. Puoi decidere la data in cui darlo, che non è cosa da poco.

Se non sei pronto per il pre-appello c’è l’appello estivo o mal che vada lo darai a settembre. La verifica invece se è fissata per quel giorno è quel giorno e non ci sono alternative.

1. Il voto di un esame si può sempre rifiutare, il voto di una verifica comunque vada peserà sulla tua media.

Però sapete che vi dico io? Non prendiamoci in giro, la verifica è molto più facile di un esame. Il problema forse è che non sono ancora entrata totalmente nell’ottica universitaria e spesso, come accadeva alle superiori, mi ritrovo a studiare all’ultimo momento.

L’anno scorso studiare all’ultimo momento voleva dire studiare 100 pagine di storia dell’arte il giorno prima della verifica, difficile ma fattibile. Ora, studiare all’ultimo momento per un esame è veramente una corsa contro il tempo, visto che non si parlerà più di pagine ma di LIBRI. Significa rinchiudersi in casa per minimo 3 giorni spegnendo il cellulare, nascondendo il computer, dormendo il minimo indispensabile, e alzando la testa dal libro solo per mangiare qualcosa, proprio per evitare lo svenimento, anzi meglio se mangi mentre studi. Tutta la vita verifica!

11. Nuova, aperta, stimolante.

Facoltà di economia

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

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Inchiesta Università Francesco Benanti

esistono altre scelte possibili finito il liceo

DI TITO ZOPPELLO 1G

“Si è svegliata, corri.”

Quattro parole, che mi rimbalzavano nella testa come piccole palline da ping pong.

“Si è svegliata, corri.”

Corsi. Corsi come se mi stessero inseguendo, passando con il rosso e saltando muretti senza neanche accorgermene. Lo zio, dietro, col fiatone, doveva sentirsi un po’ come quando si guarda Banlieur 13, suppongo. Non che me ne fregasse molto.

Correvo, e morta lì. Con ancora addosso il pigiama, non me ne fregava niente, volavo in giro per la città. E poi lì, l’ospedale.

Mia mamma, gli occhi assenti, accasciata lì sul lettino di quel blu - verdognolo che ispirava malattie solo a vederlo, e intorno un nugolo di gente che andava, veniva, analizzava macchinari che mandavano lucette. Diamine, quella è mia mamma, levatevi dalle palle!

Quella è mia mamma. No, quella non era mia mamma. Perché la donna stesa lì mi guardò come guardava tutti gli altri: confusione, distacco. Mamma, mamma guardami!

Mi avvicinai. Prontamente, il mio caro infermiere, che mi aveva sempre tenuto aggiornato sulla situazione, mi abbracciò.

“Non andare.”

“Come no, è mia mamma, è viva, cazzo, viva!”

“Non è più tua mamma.”

“Cosa intendi? Sì, è lei, cioè non è che se ne va tutto solo per un incidente.”

“Un incidente e quattro mesi di coma vegetativo. E’ già un miracolo che sia sveglia. Sai cosa vuol dire quattro mesi di coma?”

“Vuol dire una fottuta pausa di quattro mes…”

“Danni cerebrali irreversibili.”

FRANCESCO BENANTI

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

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IL RAGAZZO DEL PRIMO PIANO PT. 3

…MA NON C’É SOLO L’UNIVERSITÁ 1. Presentati (nome, età, cosa fai nella vita): Francesco Benny Benanti, 20 anni, Servizio civile in Caritas.

2. Perché hai preso questa decisione?

Era un’idea che mi ronzava in testa ancora prima dell’ultimo anno di liceo. Mi è sempre piaciuta l’idea di essere parte attiva nel sociale e quando ho letto il progetto provinciale “UN ANNO PER ESSERCI” in un ente a nostra scelta, ho deciso che questo era quello che faceva per me.

3. Perché hai scelto di rimanere a Trento per farlo?

Ho avuto la fortuna di rientrare nella graduatoria provinciale e in particolar modo in quella della Caritas in cui avevo fatto domanda e superato la selezione. Non avevo mai pensato di cambiare città forse perché,come dicono alcuni, sono troppo attaccato alle persone che frequento ogni giorno o forse perché non ho trovato nulla di realmente interessante che mi facesse venire voglia di andare in altre città.

4. Con chi hai a che fare e come si svolge una tua giornata tipo?

Il mio servizio si svolge al centro di ascolto proprio qui a due passi dal Da Vinci.

Svolgo attività di segreteria e, una volta alla settimana, faccio colloqui di ascolto con le persone. Ogni mattina vengono accolte massimo 10 persone che hanno bisogno di parlare con qualcuno, sia per bisogni materiali (biglietti per spostarsi in altre città per esigenze reali, vari sussidi economici, buoni medicinali, richieste pacchi viveri ecc..) sia per il semplice bisogno di scambiare due parole. É una cosa stimolante e che mi fa molto riflettere poter accogliere queste persone che magari hanno dormito per strada la notte o in un dormitorio e vengono al CedAs(Centro di Ascolto) anche semplicemente per ricevere e donare un sorriso. Una realtà che non mi era del tutto sconosciuta prima, ma che adesso sto imparando ad approfondire e comprendere sempre di più, cancellando quei pregiudizi e luoghi comuni che prima avevo.

5. Cosa ti ha dato questa esperienza?

Cosa mi sta dando volete dire, visto che sono a metà del mio percorso! Beh, in questi primi 6 mesi ho incrociato davvero tante storie che sono una più incredibile dell’altra. Ogni giorno ognuna di queste mi regala la voglia di vivere e comprendere sempre di più quali sono i veri problemi che ti asciano senza niente, ma proprio niente. Sto imparando quanto è importante instaurare vere relazioni per non rimanere soli. Paura che accomuna un po’ tutti.

6. Cosa ti piace di più?

Storie

Il ragazzo del primo piano

Entrare in relazione con questi amici e scambiare due semplici parole o un sorriso.

7. Tornando al liceo, ci racconti un episodio o un ricordo particolare che ti viene in mente quando ripensi ai tuoi cinque anni di superiori?

Ricordare un solo momento di 5 anni vissuti in questa scuola è un po’ difficile.. Ma me ne viene in mente uno che probabilmente mi ha anche indirizzato verso questa scelta del servizio civile: la mia prima intervista per il primo volume di Presenti a due ragazzi del Punto d’incontro. Ricordo che avevamo passato del tempo a parlare ed era stata una chiacchierata piacevole. Non era stato niente di che, ma forse è quello che mi ha iniziato ad aprire gli occhi verso questo mondo.

8. Descrivi con tre parole questa tua esperienza!

Stimolante, arricchente, riflessivo.

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sede CedAs in Via Endrici a Trento

“Eh?” “Sai che vuol dire, ragazzo mio?”

“Cioè, ne abbiamo parlato a scienze, ma cosa comporta questo? Come è cambiata lei?”

“Vuoi davvero saperlo?”

“Di’ quel cazzo che vuoi, lei è ancora mia mamma ed è viva.”

“Sei determinato. Vai, ma attento, non è più lei.”

Non capivo veramente cosa poteva essere successo. Cazzo, danni cerebrali permanenti, perché tutti sti infermieri non parlano come mangiano? Ah, certo: non hanno le palle. Quando fui motivato mi avviai, ma l’infermiere aveva ragione. Qualcosa non andava. Mia madre non tentava neanche di avvicinarsi.

Stava li.

“Ehi, mamma.” “...”

“Mamma.”

“Ragazzino, io non sono tua mamma. Non ho figli.”

“Sì invece, guardami.”

“Non sei mio figlio.”

“Come no?”

“No. Però qualcosa mi ricordo di te.”

“Ah sì? Beh sentiamo, mamma.”

“Non chiamarmi mamma! Dunque… Tu… Tu sei… Ah, già. Un giorno la signora Oknoma, quella che abita di fronte a me, mi ha detto che le avevi suonato per entrare in casa, avevi perso le chiavi. Almeno, eri tu, no? Quello che abitava al piano di sotto… Quello che si era presentato in un modo buffo. Aspetta… come le avevi detto?”

“Mamma, sono tu figl…”

“Ah, giusto! - Mi apra, sono il ragazzo del primo piano! - “

IL PERFETTO DAVINCIANO DI DEXTER

Il vostro sogno è diventare rappresentanti d’istituto? Oppure sognate di guidare un giorno una folla inferocita durante una manifestazione? Bene, ecco quello che dovete fare/essere/avere per diventare il perfetto da vinciano: 1. Must-have: eschimo!

2. Le Birkenstock per sembrare un po’ straccioni.

3. Rasta...o almeno capelli lunghi.

4. Barbetta incolta (non sarà difficile).

5. Braghe larghe da fattone sciallo amante della natura.

6. Somigliare a Santoni magari aiuto.

7. Qualche piercing un po’ a caso, per un’ aria trasgressiva.

8. Magliette con citazioni di De André/Gaber/Guccini.

9. Magliette di Che Guevara... ed essere comunisti ovviamente.

10. Adorare le bidelle.

11. 1,79 € = freschello = felicità.

12. Il caffettino all’Ariston ci sta sempre.

13. Le Clarks, pure con la neve.

14. Il maglione della nonna.

15. Vestiti a fiori.

16. Treccine colorate.

17. Sembrare figli dei fiori.

18. Distinguerci dal Galilei 19. ...salta il rospo, salta anche la rana.

20. Nonostante l’animo ribelle, essere eleganti almeno un giorno all’anno.

21. Il Santa come seconda casa.

22. Preferire l’ala vechia a quella nuova.

23. Conoscere i sotterranei.

24. La cicchetta nei bagni almeno una volta nella vita, ma anche di più.

25. Rollare...perché siamo così ribelli barboni, si punta al risparmio.

26. Il bordeaux è decisamente un colo-

re da vinciano, sia per i vestiti, che per i capelli.

27. Immancabile... orgoglio da vinciano!

28. Libertà è partecipazione! (cit. di Gaber, ovviamente).

29. Avere sotto latino, fisica e matematica, nonostante si faccia uno scientifico.

30. Albi Tommi, sei tutti noi!

31. Avere la Romagnoli (ti vogliamo bene Lella!)

32. Il collettivo!

33. La sbronzetta l’ultimo giorno di scuola.

34. Ultimo giorno... acqua, uova e farina.

35. Venerare il tegame.

36. Ultimo, ma non meno importante...

L’Urlo di Vitruvio.

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

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Test Rappresentante

TEST CHE DI REDAZIONE

Rispondete alle seguenti domande e in base alla maggioranza di lettere ottenute scoprirete a quale rappresentate assomigliate di più!

RAPPRESENTANTE Qual è la tua musica preferita: a. ska b. rock c. reggae tech/dub d. folk

3

Che tipo di film preferisci: a. horror b. commedia c. azione d. biografie

4

Quale facoltà sceglieresti: a. nessuna facoltà b. psicologia c. ingegneria d. medicina

5

Se hai un’ora buca cosa fai: a. dormita in bidelleria b. pausa cicca c. faccio il record a 2048 d. in giardino al sole

A - PIETRO: Sei una persona allegra, ma un po’ sulle sue. Con idee e spirito d’iniziativa, ma che sta comoda anche seduta.

Che sa ridere di se stesso, ma anche (e soprattutto) degli altri. A volte un po’ permalosa, ma a cui passa subito e perdona sempre tutti. E che si mette in gioco, senza paura di perdere. A voi Pietri dedichiamo questa frase che ci ricorda l’animo del nostro rappresentante: “Se sei triste pensa che in questo momento da qualche parte del mondo c’è un idiota che tira una porta dove c’è scritto spingere”.

D - CHIARA: Sei una persona difficile da definire, forse perché non ti piace essere identificata, classificata. Non ti piace avere un’etichetta, e forse vorresti che neanche il resto del mondo ce l’avesse. Vai contro corrente, perché è la tua natura. Lotti per le cose in cui credi, perché ti sarebbe inevitabile farlo. Guardi il mondo attraverso i tuoi occhi colorati, perché così è tutto più bello. E questa è la tua frase: “Non ho bisogno che sia facile, ho bisogno che ne valga la pena”.

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

6

Cosa prendi alle macchinette: a. schiacciatine piccanti b. cappuccino c. cappucino e fanta d. mela da casa

7

Qual è la tua parte preferita della scuola: a. sotterranei b. ala vecchia c. entrata d. cortile davanti alla palestra 3

8

Quale materia preferisci: a. scienze b. filosofia c. mate (anche se non vado bene) d. mate (e vado bene)

9

La tua birra preferita: a. Ichnusa b. Hofbräuhaus c. Paulaner d. rossa

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Pagelle

Pausa Caffè

DI ROBERTO CIALDELLA 5F

I Quasi 20 Motivi per cui non ho mai scritto al Giornalino 1. Perché non so cosa scrivere (e non so scrivere).

2. Perché ho paura della gente.

3. Perché non sono abbastanza alternativo per scrivere sull’Urlo.

4. Perché tanto non mi pubblicheranno mai.

5. Perché ho il debito di matematica.

6. Perché se non mi danno un voto io non scrivo nulla.

7. Perché l’ultimo libro che ho letto è “Il culetto indipendente”.

Avevo ancora i denti da latte.

8. Perché il cane ha mangiato quello che avevo scritto, e non contento si è sbaffato anche il computer.

9. C’è il sole.

10. Scriverei, sì, ma non mi pagano.

11. Perché tanto c’è sempre qualcuno che scrive.

12. Perché non reggerei il peso del successo mondiale.

Pagelle

DI 5B

SE HAI FATTO MAGGIORANZA:

2

SEI?

C - ANDREAS: Lo sei perché saluti sempre tutti. Perché sembri celare segreti di stato dietro alla tua faccia enigmatica. Perché, dopo tutto, i segreti di stato non ti piace tenerli per te.

Perché ti piace bofonchiare.

Ma anche ridere. Perché “chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia”. E per finire, perché non è sempre vero che è sulla faccia degli stolti che abbonda il sorriso.

Quale dei seguenti corrisponde al tuo appuntamento perfetto: a. concerto rock b. passeggiata nel parco c. birretta ignorante d. concerto dei Modena

B - ANNA: Il cinismo sta a te, come il ketchup alle patatine.

Eppure, questa salsa, rimane sempre un’aggiunta facoltativa, e così anche tu a volte scegli di non farne uso. E quando di rosso in te rimane solo il colore dei capelli, una tonalità più chiara, ma pur sempre accesa si fa strada.

Quella vena romantica, la voglia di far funzionare tutto e la passione che metti nelle cose che fai. Questa è la tua frase: “Siate sempre la scelta e mai l’alternativa”.

1

Pausa Caffè

Che rappresentante sei?

13. Perché le croccantelle si incastrano sempre.

14. Perché il caffè del primo piano fa schifo, ma è sempre meglio di quello inesistente del terzo.

15. Perché la mia vita mi va bene cosí.

16. Perché mia mamma e Genny ‘a carogna non vogliono.

17. Perché il Da Vinci di una volta non c’è più, come le mezze stagioni.

18. Perché mi piace scrivere seduto sui davanzali, ma la presidenza lo ha severamente vietato.

19. Perché come Herbert Ballerina io volevo fare l’usciere, non lo scrittore. (Se non l’avete capita siete delle brutte persone.

Come i piccioni, che non sono persone ma sono brutti. Rimediate, ORA.).

20. Perchè se avete letto fino alla fine siete simpatici. Questo non c’entra.

5

Alla nuova fermata delle corriere che ha separato gli studenti valligiani da quelli cittadini, dimenticandosi che l’integrazione e lo scambio interculturale sono fondamentali. Cari baccani, ci mancherete tanto.

6

Ai bidelli, che seppur abbiano dovuto improvvisarsi Signore Fletcher e Detective Conan per una mattina, controllando e investigando a destra e manca, non hanno perso la loro immensa dose di simpatia e comprensione. Senza dubbio i migliori amici degli studenti.

Onore e gloria a voi.

7

Alla Classe 4°A che a “A Suon di Parole” sta facendo Vedere a tutta Trento di quale favellA sono dotati i davinciani, battendo anche i rivali del Galilei. Bravi! I rappresentanti vi offriranno dA bere! IO

0

Come rimane il numero di macchinette al terzo piano.

1

Va ovviamente a lui, la leggenda: colui che è riuscito a vomitare in uno dei più importanti musei europei. Dopo questa sarai per sempre ricordato.

2

Come il tasso alcolico di alcuni individui all’assemblea d’istituto.

3

Ai due “primini” che hanno regalato uno spettacolo disdicevole: volendo risolvere le loro questioni private in modo animalesco, hanno dato vita a quella che sembrava più una parodia di Fight Club che una rissa.

Patetico vederli trascinati per i corridoi sotto braccio dal professore. In conclusione: pessimi.

8

4

Alla disperazione/ansia/pazzia che si sta diffondendo tra i poveri studenti di quinta, che, già allo stremo dello forze, si stanno apprestando ad affrontare il peggio periodo dell’anno. Forza maturandi di tutto il mondo, unitevi! Ovviamente (a seconda dei gusti) in bocca al lupo o in culo alla balena.

Cosa non si farebbe per la propria sezione? Questo voto va a tutti quelli che hanno versato sangue e sudore nelle varie competizioni proposte all’ultima assemblea d’istituto. Particolare menzione a chi, pur di guadagnare un punto, è rimasto addirittura in mutande.

Questo è amore.

9

L’eccellenza va alla sezione B che ha meritatamente vinto la coppa delle sezioni, dimostrando la sua netta superiorità sulle altre. (La Redazione non si prende la responsabilità della veridicità delle informazioni date).

10

Perché ogni mattina, quando entriamo a scuola, alziamo lo sguardo, leggiamo quella frase e pensiamo a te.

Il voto 10 è tuo Chiara. Ci manchi.

Un Saluto

DI MATTEO ZANETTI 5F

Ciao, sono Matteo Zanetti, ma qui tutti mi conoscono come Zanna.

Che dire.

E’ l’ultimo anno.

L’ultimo mese.

Mi sembra ieri, forse l’altro ieri, quando come un naufrago ignaro dell’isola che lo attende, sono capitato in questa scuola.

Non posso dire che fosse una scelta, più che altro è stata casualità, perchè nessuno di noi, nemmeno il più consapevole, sapeva cosa lo aspettava.

E’ stato un cammino tortuoso, non privo di ostacoli e di contrasti, ma condito di gioie e inaspettate follie.

Le chiaccherate sommesse, le risate trattenute e quelle andate al vento, gli amori dimenticati e quelli indimenticabili, le amicizie finite ma infinitamente importanti per la mia storia.

Sono giunto alla fine di questo cammino.

Salto al livello successivo.

Mi sento triste, ma più completo.

Come se fossi partito zoppo e ora sapessi camminare, come un cieco che torna a vedere.

Grazie a tutti per aver dipinto l’uomo, il bambino e il ragazzo che sono oggi.

Firmato: Matteo Zanetti

L’Urlo di Vitruvio Maggio 2014

Viso. “Specchio dell’anima”. Se è così, c’è gente che ha l’anima davvero brutta.

Gustave Flaubert