Gmagazine 1018a Fiera di Sant'Orso Gennaio 2018

COPIA OMAGGIO - Supplemento a Weekend e Gazzetta Matin del 27 e 29 gennaio 2018

1018a Fiera di Sant'Orso

Emozioni millenarie La festa senza tempo dell'artigianato di tradizione

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Fiera di Sant'Orso 2018

Bentornata Foire U

na festa senza tempo.

E' la Fiera di Sant'Orso, che quest'anno spegne 1018 candeline. Tradizione ed emozioni millenarie.

Nel Medio Evo la fiera si svolgeva nel Borgo di Aosta, in quell’area circostante la Collegiata che porta il nome di Sant’Orso. Racconti leggendari narrano che tutto ha avuto inizio proprio di fronte la chiesa dove il Santo, vissuto anteriormente al IX secolo, sarebbe stato solito distribuire ai poveri indumenti e “sabot”, le tipiche calzature in legno ancora oggi presentate alla fiera (uan dimostrazione di come si realizzano avviene nelal centrale piazza Chanoux).

Da qualche anno è tutto

il centro cittadino a essere coinvolto nella manifestazione, all’interno e a fianco della cinta muraria romana.

La fiera di Sant’Orso è una celebrazione della creatività e dell’industriosità delle genti di montagna, e un grande evento popolare in cui si manifestano le carat-

teristiche proprie dell’identità valdostana.

In fiera sono presenti tutte le attività tradizionali: scultura e intaglio su legno , lavorazione della pietra ollare, del ferro battuto e del cuoio tessitura del drap (stoffa in lana lavorata su antichi telai di legno), merletti, vimini,

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oggetti per la casa, scale in legno, botti…

Quella di Sant'Orso è una fiera che sembra senza tempo. Oltre alla festa dell'artigianato di tradizione e degli artigiani, ce n'è un'altra parallela: quella dei visitatori che sempre più sono diventati un tuttuno con una città che per due giorni - sempre il 30 e il 31 gennaio - rivive emozioni millenarie.

E allora: buona fiera alla scoperta delle abilità degli artigiani valdostani, del gusto con i prodotti e i piatti tipici, e del divertimento, perché per chi non la conoscesse ancora, la Veillà (la sera/notte del 30) è qualcosa di straordinario.

Luca Mercanti

Fiera di Sant'Orso 2018

Alla scoperta di Sant’Orso Storia e prodigi del Santo più amato dai valdostani

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uello tra Sant’Orso e la Valle d’Aosta è un legame indissolubile che dura da oltre un millennio: le loro storie si sono incontrate ed intrecciate dando vita a una manifestazione straordinaria come la Fiera, che ogni anno attira tantissime persone nel capoluogo regionale e che affonda le sue radici in un passato lontano.

Le notizie che giungono ai giorni nostri provengono, in gran parte, dalla tradi-

sappiamo con certezza che Orso morì il 1° febbraio, giorno dedicato ai Santi Severo e Giulio.

Dai racconti e dagli scritti sulla sua vita, sappiamo che Sant’Orso fu un uomo generoso, semplice, dolce, pacifico, umile, altruista e votato all’aiuto del prossimo, che si rese protagonista di diversi prodigi che gli valsero la nomea di protettore contro la siccità, le malattie del bestiame, le intemperie, le alluvioni, i soprusi dei potenti, i parti difficili, i reumatismi e il mal di schiena.

zione orale e da una “Vitae Beati Ursi”, opera di un autore sconosciuto apparsa per la prima volta a cavallo tra l’VIII e il IX secolo, poi ampliata e rielaborata nella seconda metà del XIII secolo.

Sulla vita del Santo non sappiamo molto: secondo alcuni storici sarebbe vissuto nel VI secolo, secondo altri tra il VII e il IX; solo l’Abbé Henri ed il Monsignor Duc indicano l’anno della sua morte, da loro individuato nel 529, mentre

I prodigi del Santo

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econdo la tradizione, Orso era solito dividere il raccolto delle sue coltivazioni in tre parti uguali: una per sé, una per i bisognosi e una per gli uccellini che, riconoscenti, andavano a posarsi sulla sua testa. Oltre a questo curioso racconto, molta della fama del Santo proviene però da quattro grandi prodigi.

La fontana di Sant’Orso

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l primo racconto è legato ad un periodo di siccità che colpì la Valle d’Aosta.

Preoccupato dai campi aridi e con l’acqua che cominciava a mancare anche per i bisogni dei suoi fedeli, secondo la leggenda Orso prese il suo bastone e colpì una roccia facendo comparire una sorgente a Busséyaz, che attualmente si trova sotto la cappella costruita nel 1649.

Il palafreniere ed il cavallo

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entre era intento a nutrire i suoi uccellini, ai quali dedicava una delle tre porzioni di cibo provenienti dalle sue coltivazioni, vide passare davanti alla chiesa di San Pietro un cavaliere disperato, convinto di aver smarrito il più bello tra i cavalli del suo padrone. Sant’Orso lo

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fece quindi entrare in chiesa a pregare ed in seguito gli fece osservare meglio il cavallo che montava: era proprio quello che credeva scomparso.

Sant’Orso e l’esondazione del Buthier

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i narra che in un tempo lontano, in un giorno non meglio specificato, la città di Aosta fu invasa da una grande esondazione dovuta allo straripamento del torrente Buthier, con le acque che arrivarono a lambire le mura della città. Per porre rimedio a questa inquietante situazione, Orso pregò e tracciò sulle acque il segno della croce: l’acqua si ritirò e la città fu risparmiata.

La difesa dei più deboli

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ifensore dei deboli e degli oppressi, Orso si mostrò anche profeta: il protagonista di questo racconto è uno dei servi del vescovo Plocéan, reo di essersi comportato male nei confronti del suo signore.

Temendo una grave punizione, il servo chiese l’intercessione di Orso, che ottenne dal vescovo un finto perdono: una volta uscito dalla chiesa, infatti, il servo venne flagellato, rasato a zero e coperto dalla pece bollente. Orso si indignò e predisse la morte del padrone prima di quella del servo, che per le torture subite si trovava già in gravi condizioni; secondo la leggenda, quella notte stessa Plocéan fu strangolato da due diavoli nel suo letto.

Foto a sinistra: Sant'Orso di Ivano Laurent.

Foto a destra: Sant'Orso di Luigi Meynet Immagini tratte da: Masi G., Charles T., La Fiera di Sant'Orso.

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Fiera di Sant'Orso 2018

Sant’Orso e Aosta Un legame indissolubile tra il Santo e il capoluogo regionale fu ricostruita e ampliata più volte, conservando però l’antica cripta, anche se le reliquie furono traslate dall’altare della cripta all’altare maggiore della nuova collegiata, mentre molto della struttura originale venne stravolta. Oggi, all’interno del nuovo com-

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l rapporto che unisce Sant’Orso e la Valle d’Aosta è testimoniato dal suo essere Santo Patrono di Cogne e di Pont-SaintMartin, ma anche dall’importanza che esso ricopre per la città di Aosta. In virtù di questo legame, al Santo sono infatti dedicate la collegiata in cui visse e l’appuntamento più atteso dai valdostani, quella Fiera che, da oltre mille anni, il 30 e 31 gennaio riempie le strade di Aosta e che deve la sua nascita proprio a una delle opere di carità effettuate dal Santo.

Secondo un’antica tradizione, infatti, in questo periodo dell’anno Orso era solito aggirarsi per le vie della città distribuendo ai poveri i sabot, le tipiche calzature da montagna in legno.

Se la Fiera rappresenta un appuntamento imperdibile e unico, la testimonianza più solenne dell’affetto e della devozione dei valdostani nei confronti di Sant’Orso è però rappresentata dalla chiesa che il vescovo Anselmo fece costruire, all’inizio del XI secolo, nel luogo in cui fu sepolto il Santo e che negli anni

plesso, è possibile osservare i suggestivi affreschi sui muri, le decorazioni pittoriche sulle vetrate (tra i rari complessi di arte vetraria sopravvissuti in Italia), gli affascinanti stalli del coro ed il chiostro, il più puro gioiello dell’arte romanica in Valle d’Aosta.

I sabot Le origini dei sabot, antiche calzature montane in legno, si perdono nell’antichità. La loro nascita non è certa ma, vista l’abbondanza di legname e la necessità di avere calzature resistenti alla vita in montagna, è probabile che essi siano il frutto della felice intuizione di qualche falegname. Robusti per gli uomini, sottili e con il tacco per le donne e muniti di lacci per i bambini, i sabot hanno accompagnato un numero interminabile di inverni valdostani e occupano ancora un posto importante nella cultura della Valle d’Aosta.

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Fiera di Sant'Orso 2018

Il Santo patrono di Cogne Storia e leggenda di Orso il santo più amato dai valdostani

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ant’Orso, di cui non si conoscono né origini, né data di nascita, ma più probabile è la data della morte (1° febbraio 529) si racconta arrivò a Cogne, evangelizzò molti degli abitanti e scese poi ad Aosta fondando la Collegiata che porta il suo nome.

Ma come ci arrivò? Secondo la leggenda giunse dalla Val Soana, valicò un colle (di Acque Rosse, della Nuva o del Bardoney) e dimorò nel Vallone dell’Urtier, dove al Crêt sorse la prima chiesa.

Chi arriva a Cogne per la prima volta, innanzitutto conosce il “Prato di Sant’Orso” (la piana anticamente chiamata Vela, in origine una selva) che è visione di respiro senza pari e la cui bonifica, da orsi, lupi,

vipere e addirittura cinghiali, come da leggenda, è attribuita al Santo.

Ma il nome al “prato” è stato dato molto probabilmente nel 1202, quando si costruì la nuova parrocchia dedicata a Sant’Orso, che divenne patrono locale, raffigurato nella statua in alabastro gessoso ivi conservata. Oltre che con la santa messa, il Patrono viene festeggiato il 1° febbraio anche convivialmente. E' infatti in uso che gli abitanti del capoluogo invitino parenti ed amici a cena.

Orso fu tra i primi santi valdostani il cui culto risale a prima dell’anno mille e di lui, però, va sottolineato che è stato sacerdote e arcidiacono, ma mai Vescovo (a volte erroneamente raffigurato col bastone pasto-

rale anziché priorale) e che un’altra leggenda da sfatare è la sua origine irlandese; indagini agiografiche pongono un equivoco all’origine di questa diceria sorta nell’XI secolo a Vercelli dove esistevano due ospizi; uno gestito da canonici ursini e l’altro da irlandesi.

I santi a cui erano devoti, rispettivamente Sant’Orso e Santa Brigida, venivano festeggiati il 1° febbraio; da qui la probabile confusione.

La “Vitae beati Ursi” è un mistero, ma il Santo è uno tra i più amati e accanto al rispetto suscita una certa tenerezza, forse per uno dei simboli attribuitigli: l'uccellino sulla spalla sinistra a testimonianza del suo amore per queste creature alle quali lasciava, non mietendolo, metà del suo campo.

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Fiera di Sant'Orso 2018

A Donnas la Petite Foire La millenaria Fiera dell'artigianato nella splendida cornice dell'antico borgo

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gni anno, due settimane prima della fiera di Aosta, il borgo medievale di Donnas accoglie tra le sue caratteristiche vie la Fiera di Sant’Orso, dalle lontane ed imprecisate origini ma che mantiene ancora oggi intatta la sua tipicità. La manifestazione, che fino agli anni ’60 si svolgeva il 31 gennaio alla vigilia della festività di Sant’Orso, coincide adesso con la terza domenica di gennaio ed è considerata un’anticipazione molto sentita e apprezzata dell’omonima fiera di Aosta.

Gli appuntamenti della Fiera iniziano generalmente il

venerdì, con la Veillà, allegra festa tra le cantine del borgo in cui si mangia, si beve, si canta e ci si diverte insieme; il sabato le vie del

centro storico sono animate dalla suggestiva fiaccolata, seguita dalla Messa per gli artigiani nella Cappella di Sant'Orso e da una serata

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all'insegna della musica e del folklore, mentre l'esposizione vera e propria degli oggetti dell'artigianato valdostano si svolge la domenica, già dalle prime luci dell'alba e fino al tramonto, e si chiude con la premiazione delle produzioni migliori. Un tempo occasione per vendere gli attrezzi agricoli costruiti durante l’inverno ed altri oggetti utili alla vita quotidiana, dagli anni Cinquanta in poi, col mutare della società, si è trasformata in vera e propria vetrina dell'artigianato tradizionale autoctono che, ogni anno, affascina i migliaia di visitatori accorsi.

Fiera di Sant'Orso 2018

Anche a Donnas è Millenaria La storia della Fiera della bassa Valle che va in parallelo con Aosta

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gni anno, fin da tempi antichi, il borgo di Donnas accoglie la tre giorni della Fiera di Sant'Orso, importantissima vetrina per gli artigiani della Bassa Valle e del vicino Piemonte che, per scambiarsi attrezzi agricoli ed altri utensili di uso quotidiano, avevano meno facilità a raggiungere il capoluogo valdostano.

Fino alla vigilia della seconda Guerra Mondiale la Fiera di Donnas si svolgeva contemporaneamente a quella di Aosta; dal 1956, fino alla fine degli anni Sessanta, si teneva invece un giorno prima. In seguito, la manifestazione è stata spostata alla domenica precedente (quest'anno cade il 21 gennaio), consentendo così agli artigiani di partecipare ad entrambe le Fiere.

La Fiera di Donnas conta oggi circa 500 espositori (negli anni Ottanta erano 200) ed altrettanti banchi in cui è ancora possibile trovare rastrelli, ceste, cucchiai e mestoli, botti, sabot e oggetti per la casa, e ammirare l'incredibile maestria degli artigiani-artisti che emerge da sculture, bassorilievi, intagli su legno e pietra ollare, oggetti in rame e ferro battuto, ma anche pizzi, tessuti in canapa e lana, pantofole e molto altro ancora.

Il Comitato organizzatore

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el secondo dopoguerra la Fiera ebbe un nuovo slancio grazie al sindaco Alessandro Pramotton, al Consiglio comunale ed a Vittorio Bosonin, Aldo Cheraz, Mario Comola, Gabriele Nicco, Carlo Taddei e Gildo Lupia i quali costituirono un primo gruppo di amici solidali e appassionati (che nel 1962, diventò il “Comitato di incremento della Fiera di Sant'Orso di Donnas”, che oggi conta 20 componenti): nel 1952, grazie al gruppo, nel vecchio palazzo comunale di via Roma si tenne la prima mostra con riproduzioni in legno e numerosi oggetti di artigianato valdostano. Il primo presidente del Comitato fu Piero Busala, rimasto al vertice per ben 30 anni; a succedergli fu Graziano Comola, figlio di Mario e tutt'ora presidente dell'organizzazione.

In alto al centro un' immagine d'altri tempi tratta da: Sant'Orso di Donnas, La fiera, i volti, le storie. Edizioni La Selva In basso a destra alcuni membri del Comitato organizzatore nel 2016

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Fiera di Sant'Orso 2018

Nelle cantine del Borgo La veillà che incanta ed affascina gli avventori da quasi 20 anni La Scuola di scultura

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el 2000 fu creata la “Veillà”, la notte bianca che apre i festeggiamenti il venerdì in ricordo di quando gli artigiani arrivavano a Donnas a piedi, anche da fuori valle, aspettando la Fiera per tutta la notte. Veillà significa, come per quella che si tiene a fine gennaio ad Aosta, soprattutto festa: le 22 suggestive cantine del borgo aprono i battenti per accogliere amici

a scuola di scultura di Donnas è stata fondata nel 1963 dal poliedrico Lucio Duc (che vi insegnò fino agli anni Settanta) ed ebbe successo già da subito, con la partecipazione di dodici allievi, molti dei quali furono protagonisti della Fiera negli anni successivi. Dalla fine degli anni Settanta e per circa un decennio a presiedere la scuola fu l'artista di PontSaint-Martin Cristiano Nicoletta, estraneo alla produzione valdostana di tradizione

e curiosi, offrendo loro prelibate pietanze, tra le quali la minestra di castagne “soupé”, il prosciutto crudo di Bosses e Saint-Marcel, la fonduta, la piadina “miassa” farcita dal tipico formaggio fresco speziato “salignoun”, e ottimi vini rossi (Donnas ne è storicamente produttrice). Ad animare la Veillà vi sono anche gli antichi mestieri, spettacoli canori e folkloristici.

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e creatore di forme astratte e stilizzate; grazie a lui si iniziò a dedicare più attenzione allo studio ed alla ricerca di nuove forme espressive, nonché all'utilizzo di diverse tecniche e modelli figurativi. Nel 1981 la direzione del corso di scultura passò a Giuseppe Binel: il numero di allievi crebbe velocemente, finché verso la metà degli anni Ottanta fu attivato, accanto a quello di scultura, un ulteriore corso di intaglio decorativo. Dopo 36 anni, l'anno scorso, Giuseppe Binel ha passato il testimone allo scultore maestro artigiano Stefano Arnodo che attualmente segue nove allievi.

La Millenaria La Fiera di Sant’Orso di Aosta

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l 30 e 31 gennaio, Aosta vi aspetta per il tradizionale appuntamento con la Fiera di Sant’Orso, una festa che ogni anno riempie le vie del capoluogo regionale con la sua atmosfera, i suoi colori, i suoi profumi e le sue musiche, attirando decine di migliaia di visitatori che si aggirano felici e curiosi tra i banchi degli artigiani. Giunta quest’anno all’edizione numero 1.018, la Foire si rinnova continuamente restando sempre la stessa, per offrirvi un’esperienza indimenticabile alla ricerca dell’acquisto particolare o alla scoperta delle opere d’arte degli artigiani, che per l’occasione esibiscono le loro creazioni lungo tutto

il centro storico, facendo così rivivere una tradizione antica ma sempre affascinante.

Dopo “l’antipasto” rappresentato dalla fiera di Donnas, Aosta è pronta a farvi conoscere gli oltre 1.000 espositori che con ingegno e passione mettono in mostra le loro opere: nelle prossime pagine vi accompagneremo alla scoperta della Fiera, della sua storia, della sua evoluzione e dei suoi artigiani più apprezzati e conosciuti, ma anche di quella non tradizionale e di quella commerciale, ma vi faremo anche conoscere i piatti della tradizione enogastronomica valdostana che potrete assaggiare durante i due giorni della manifestazione.

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Fiera di Sant'Orso 2018

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Fiera di Sant'Orso 2018

Mille anni di storia Una tradizione senza tempo da rivivere ogni anno

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si interruppe tra il VX e il XVII secolo, forse per una perdita di interesse nei suoi confronti o per via delle variazioni climatiche che portarono a inverni più lunghi e rigidi e che resero più difficile alla gente ritrovarsi nel capoluogo in quei giorni o, ancora, a causa della peste che investì la Valle d’Aosta nel 1630.

Nuove notizie della Fiera di Sant’Orso arrivano dal XIX secolo, mentre il Novecento fu segnato da due grandi interruzioni legate alle Guerre Mondiali. Suggestivo, a questo proposito, un racconto immediatamente successivo alla Grande Guerra, che parla di un ingente aumento dei prezzi degli oggetti in vendita, che portò a una riduzione degli affari e ad una perdita di fascino della manifestazione.

ributo all’ingegno e alla creatività degli artigiani, la Fiera di Sant’Orso è un appuntamento ricco di significati che affonda le sue radici in un tempo lontano. Racconti e leggende, infatti, identificano la nascita della Fiera con il Santo che, di fronte alla collegiata che porta il suo nome, sarebbe stato solito distribuire ai più poveri i sabot, le tradizionali calzature in legno.

Visto il periodo in cui si svolge, la Fiera assume però anche un altro significato.

In passato gli inverni valdostani erano infatti più corti e la fine del primo mese dell’anno segnava così anche l’uscita dalla stagione fredda e l’inizio del nuovo anno agricolo. Ecco quindi che la Foire assume ancora più importanza: gli allevatori e i contadini delle vallate laterali si ritrovavano in città per acquistare nuovi capi di bestiame e soprattutto utensili e attrezzi per l’agricoltura.

I giorni nostri Con il tempo la Fiera riprese vigore, giungendo in splendida forma fino ai giorni nostri. Edizione dopo edizione, aumentano il numero degli artigiani ed il coinvolgimento dei visitatori, mentre all’anima tradizionale della manifestazione e al suo fascino si aggiungono vere e proprie opere d’arte, frutto dell’ingegno e della maestria degli artigiani. Tra utensili, oggetti in legno ed incredibili sculture, nei giorni della Fiera di Sant’Orso si respira

Dalle origini alla fine del ‘900 Tracciare i primi secoli di storia della Fiera non è semplice, ma dalle notizie che sono giunte fino ai giorni nostri sappiamo, ad esempio, che nel Medioevo si svolgeva solo nel borgo di Aosta, nella zona nei pressi della collegiata dedicata al Santo, e che probabilmente

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ancora oggi un’atmosfera affascinante tra storia e tradizione che continua a conquistare i cuori dei visitatori e che riesce ad attirare, ogni anno, un numero crescente di persone. In questo senso, l’edizione numero 1016 del 2016 rappresenta un vero e proprio record storico: complici le temperature miti e un calendario che ha fatto cadere l’appuntamento nel weekend, i passaggi nei due giorni furono 344 mila 746, con oltre 60 mila visitatori in più rispetto all’edizione precedente. Nei due giorni sono state segnalate 5 mila autovetture, 431 bus dedicati alla manifestazione e 519 camper. Sebbene immaginare una grande affluenza fosse prevedibile, il risultato definitivo ha superato di gran lunga ogni più rosea aspettativa degli organizzatori.

Tra le vie del centro di Aosta, tante pagine sono state scritte e tante, se non ancora di più, sono ancora da scrivere per questo meraviglioso rendez-vous con la storia.

Curiosità Come riporta Teresa Charles nel suo libro dedicato alla Fiera di Sant’Orso, nella seconda metà dell’Ottocento la manifestazione poteva contare su 95 espositori, mentre attualmente ne sono presenti oltre 1.000 tra artigiani e hobbisti.

Fiera di Sant'Orso 2018

La magia della Veillà Nella notte bianca tra i due giorni di fiera la città si anima all'insegna della tradizione

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iposti i banchi e messa in pausa la vendita degli oggetti, il centro di Aosta lascia spazio a quel momento di convivialità, condivisione e gioia chiamato “Veillà”. Riuscire a catturare e a raccontare lo spirito di questa lunga notte di festa a chi non ne ha mai avuto il piacere di farne parte non è semplice: gli intimi ricordi delle Veillà passate fanno parte di ognuno di noi, mentre tra un canto e un ballo, ogni edizione porta con sé nuove amicizie e nuova felicità. La magia inizia al calar della sera, quando il freddo si fa più pungente e la stanchezza della prima giornata comincia a farsi sentire: da quel momento la città si anima di nuova vita grazie ai gruppi musicali, ai cori e ai diversi stand pronti ad offrire un rigenerante bicchiere di vin brûlé o una ciotola di brodo caldo, mentre nei punti rossoneri si possono degustare i cibi della tradizione locale. Un tempo, “Veillà” indicava

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le lunghe serate invernali da passare con famigliari e amici giocando a carte, intagliando il legno, preparando gli attrezzi per la futura stagione agricola o ascoltando i racconti e gli aneddoti degli anziani; oggi questo termine indica proprio quelle feste che evocano la vita del passato. Dalla sera fino all’alba, persone di tutte le età affollano le vie, le “crotte” (cantine) ed i locali del centro, mentre fuori la gelida notte aostana viene riscaldata dai canti e dai balli folkloristici, che si alterneranno nelle zone dell'Arco di Augusto, Porta Praetoria, piazza Chanoux e nella piazzetta di Sant'Orso.La Veillà rappresenta un momento magico che coinvolge anche i bambini: nel pomeriggio, infatti, alla Cittadella dei giovani andrà in scena la “Veillà di petchoù” durante la quale, tra dimostrazioni e laboratori, i più piccoli potranno scoprire ed apprezzare questa antica tradizione della nostra regione.

Fiera di Sant'Orso 2018

Dalle piazze alle cantine Un viaggio all'interno delle crotte, un "rito" che si ripete da oltre mille anni

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ltre al lato ufficiale, che dalle 19 in poi anima le vie del capoluogo regionale, la Veillà anche un'anima più intima, che si lega in modo indissolubile alla tradizione.

Nella lunga notte tra i due giorni della Fiera di Sant'Orso, piccole e grandi cantine disseminate trai i vicoli o nascoste sotto i palazzi si preparano ad accogliere avventori in cerca di un bicchiere di vino, di un piatto di zuppa o di un assaggio di salumi e, soprattutto, desiderosi di fare festa.

Le crotte rappresentano il cuore pulsante della Veillà: al loro interno si canta, si gioca a carte, ci si racconta storie incredibili, si ritrovano amici di un tempo e si creano nuovi legami.

Riuscire ad entrare non è però sempre possibile: molte di esse, infatti, richiedono un invito, una parola d'ordine o un certo numero di tocchi sull'uscio prima di spalancare le loro porte. In altri casi, invece, l'accesso è libero e tutti possono respi-

rare il clima di festa e l'atmosfera di un tempo.

Nelle crotte non può certo mancare la musica: ogni cantina si attrezza come vuole, tra chi intona canti improvvisati e non sempre intonati e chi, invece, sceglie di invitare qualche gruppo musicale per un vero e proprio concerto.

Tra le cantine storiche che ogni anni si preparano ad accogliere i visitatori troviamo La Sisse de sen-t-ors, la Confrérie de Saint-Ours, il Cellier de l'Ours e poi, ancora, la Crotta degli apostoli e la Crotta des Amis de la Table Ronde. In questa lunga notte non può certo mancare lo spirito solidale alcune cantine, infatti, decidono di unire il clima di festa e la voglia di fare del bene raccogliendo piccole offerte da devolvere in beneficenza.

Infine, tradizione vuole che si visitino quante più cantine possibili e che si ritorni in quella giudicata migliore per l'ultimo brindisi prima di ritirarsi.

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Fiera di Sant'Orso 2018

Ogni edizione un ricordo Tradizione e rinnovamento in “chicche” da collezione

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ai due galletti nel manifesto del 1966, all’uccellino posato su un bastone di questa 1018ª edizione, sono in molti (grafici e non) ad aver realizzato i 53 manifesti che ogni anno segnano la principale “porta comunicativa” della Foire de Saint-Ours.

Agli inizi del nuovo secolo il famoso “peintre et graphiste” Franco Balan (autore del primo visual e di ben altri 14, solo per la Foire invernale) auspicava per i manifesti «un deciso intervento di restyling sostanziale», in linea con un valore caro ai valdostani: “tradition et renouveau”.

Quest’anno il ciondolo, un “Bossón di Bounì” (contenitore di sostanze acidule per la lavorazione della ricotta) è opera del tornitore Corrado Brunet de Les Amis du Bois di Introd.

Dal 2000, inoltre, esistono anche i ciondoli/tavolette dell'ASIV (Associazione scultori intagliatori valdostani, che ogni anno invita tra i più affermati artisti a realizzarne uno e il cui ricavo è destinato in beneficenza. Ad accettare nel

Un valore considerato, almeno negli intenti, dagli autori dei poster che, come i ciondoli, sono poi in molti a collezionare.

Lo scultore Ladislao Mastella li colleziona da sempre insieme a quelli di Donnas e della Foire d'été e ha il più datato: quello del 1964 in cartone e spago. I ciondoli rappresentano oggetti della tradizione valdostana in miniatura (tatà, galli, pizzi, rastrelli, zoccoli o oggetti d'uso locale) e sono creati ogni anno da un artigiano valdostano, sono donati dalla Fiera ad ogni espositore e senza la scritta “exposant” acquistabili da chi vuole un tradizionale souvenir.

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tempo l’invito, tra gli altri, Roberto Chiurato, Giuseppe Tecco, Giovanni Thoux e i compianti Francesco Nex (che realizzò il primo nel 2000) e Franco Balan.

«Quest’anno il nostro grazie va allo scultore Dorino Ouvrier - dice Dario Coquillard presidente ASIV – autore del bozzetto per il diciannovesimo ciondolo, disponibile già dal 27 gennaio prossimo in Atelier, in Piazza Chanoux».

Fiera di Sant'Orso 2018

Simboli della tradizione Galletti e fiori sono tra i più ricercati

L

'ingegno e la creatività degli artigiani valdostani trovano il loro culmine nel corso della Fiera di Sant'Orso, l'evento popolare più celebre della regione in cui si manifestano le caratteristiche più proprie dell’identità valdostana. Simbolo per antonomasia della manifestazione è l'immancabile galletto: ovunque si posi lo sguardo è presente almeno una rappresentazione di questo simpatico animale. Simbolo di rinascita e di risveglio, ma anche di vigilanza e di protezione dagli spiriti malvagi che popolano le tenebre, il gallo ben sintetizza la natura di questa festa: la Fiera rappresenta la Natura stessa che ritorna alla vita, nonostante il gelo invernale. Questo soggetto ha radici secolari: un tempo, vivendo in un ambiente povero, i bambini erano abituati a fabbricarsi i giocattoli da soli, intagliando il legno con le proprie mani e creando semplici forme ispirate, soprattutto, agli animali domestici più familiari, quali mucche e, appunto, i galli. Considerato da sempre un portafortuna, oggi il galletto, proprio come gli altri animali raffigurati, ha una funzione più decorativa: le forme sono sempre più stilizzate, proporzionate e curate nei particolari.

Altra creazione simbolica della Fiera, seppur più recente, è quella dei fiori in

legno: presenti sui banchi degli artigiani valdostani da una trentina d'anni, sono realizzati impiegando trucioli vari, come quelli di legno di melo, pioppo bianco, acero, ontano e salice, poi tenuti insieme da piccole pigne secche e rametti. Ispirati alla variegata flora valdostana, sono di diversa tipologia, passando dai più semplici fino ad arrivare ai più complessi, sono coloratissimi e capaci di dare un tocco di vitalità in inverno, quando quelli veri sono ricoperti dalla neve.

Apprezzati sia dai turisti sia dagli autoctoni, i fiori in legno sono tra i pezzi più ricercati.

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Fiera di Sant'Orso 2018

Utensili, grolle e tatà La tradizione simboleggiata da semplici ma immancabili pezzi da collezione Utensili per la cucina

T

ra gli oggetti più presenti sui banchi degli espositori vi sono i tipici utensili da cucina, come cucchiai, mestoli, colini, piatti, scodelle e recipienti in legno. Immancabili sono anche i taglieri, vassoi di legno rotondi, ovali o rettangolari sui quali tagliare salumi e formaggi: quelli rotondi con il manico servono per adagiarci la polenta ancora fumante e, quelli con incorporata una lama (i cosiddetti “copapan”), sono ancor oggi utilizzati per tagliare il pane nero. Sempre

presenti anche i marchi per il burro, contenitori intagliati che un tempo servivano per dare forma e decorare i panetti di burro fatti in casa.

Coppa dell'amicizia, derivata dalla grolla ma più bassa, panciuta, dotata di beccucci per bere e con il coperchio scolpito. Quest'ultima è usata per gustare il caffè alla valdostana in compagnia: servito fiammeggiante, è preparato con grappa, zucchero e spezie. Simbolo di amicizia, si usa “à la ronde”, passandola di mano in mano senza posarla sul tavolo finché non sia vuota.

Grolla e Coppa dell'amicizia

A

ltro simbolo distintivo della Fiera è la Grolla, calice da vino di legno con coperchio lavorato al tornio e, a volte, arricchito da diversi soggetti intagliati.

Di matrice insieme religiosa e contadina, la grolla era riservata alle bevute conviviali in occasioni speciali. Spesso è confusa con la

Tatà

M

ucche, muli, capre, cavalli, pecore e galline su quattro ruote: questi sono i Tatà, deri-

Livio Charbonnier mostra un marchio per il burro 2014

vati anch'essi dall'usanza del passato di creare artigianalmente i giochi per bambini. Questi giocattoli zoomorfi sono molto in voga oggi, anche se ormai hanno assunto una funzione puramente decorativa.

Se ne possono trovare di legno e di ceramica, colorati e raffigurati in maniera più o meno realistica a seconda dell'estro artistico dell'artigiano. Insieme alle Cornailles, piccole forme di mucche stilizzate dal corpo tozzo, senza gambe, costruite una volta dai bambini in assoluta libertà di proporzioni, rappresentano l'emblema dei giocattoli più tradizionali della Fiera.

Il mega Tatà di Ivo Chapel 2015

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Fiera di Sant'Orso 2018

Una Fiera in sicurezza Artigiani, istituzioni e volontari a servizio dell’evento dell’anno

C

on decine di migliaia di persone tra avventori ed espositori, la Fiera di Sant'Orso è senza dubbio la manifestazione che attira il maggior numero di persone nel capoluogo regionale e, per renderla indimenticabile, è necessario che ogni ingranaggio giri nel modo giusto organizzando tutto fin nei minimi dettagli. Per questo motivo, oltre agli artigiani, veri protagonisti della manifestazione, una macchina organizzativa che può contare su oltre mille persone tra enti, istituzioni e volontari, si muove fin dalla fine del mese di agosto per farsi trovare pronta al grande appuntamento.

Un'attenzione particolare, in

questa edizione, è dedicata al tema della sicurezza, con il COM (Centro Operativo Misto) a fare da occhio vigile e pronto a intervenire in caso di necessità e con una serie di misure aggiuntive,

come una migliore indicazione dei punti di uscita dal percorso, un opuscolo in tema di safety ed un'App gratuita liberamente consultabile su smartphone e tablet, mentre il Punto Medi-

co Avanzato sarà installato in piazza Narbonne. Molto di questo spettacolo di colori, suoni e tradizioni lo si deve proprio a chi lavora attentamente prima, durante e dopo l'evento.

L’OUTDOOR INNOVATIVO IN OGNI SUA SFUMATURA

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Fiera di Sant'Orso 2018

I legni della tradizione Profumi di essenze lignee, tra sgorbie e trucioli

I

l pregiato noce, i profumati ginepro e cirmolo, il morbido tiglio, il duro acero, la tenera betulla, il forte bosso o il molto forte frassino. Sono solo alcuni tra i legni nostrani ammessi per l’artigianato tipico valdostano. Grezzo o finemente rifinito con cere e/o con incursioni di colore, il legno ha bisogno di essere conosciuto. Le sue caratteristiche unite a talento e tecnica possono creare dei veri capolavori, apprezzati da appassionati e collezionisti, siano mobili, sculture, manufatti intagliati o torniti.

(Tra i tornitori artisti di questa tecnica Franco Bruno, Sergio Ferrol e Rudy Mehr).

Per chi vuole avvicinarsi al legno per “capirlo e farlo suo” esistono corsi regionali e, dal 1997, anche le “botteghe scuola”. Rober-

nata nel 2008) che ogni estate creano sul posto sculture per il bosco del Pian Villy a Champoluc oltre a Siro Viérin, le cui sculture si incontrano, invece, sul sentiero che da Vétan (Saint-Pierre) porta al suo Rifugio Mont Fallère (mt.

2.385).

Un pensiero, infine, a tutti gli artigiani e alle loro mani, che creano, tra sgorbie e trucioli, nel silenzio del loro atelier. Fermar-

to Chiurato espose l’idea a Giuseppe Binel e lavorandoci su proposero questa realtà dove poter insegnare a pochi allievi un’arte senza tempo che qui, in Valle d’Aosta, incorona il legno Re della tradizione.

Attualmente le scuole sono: sei di scultura (Dario Berlier, Giuseppe Binel, Matteo Crestani, Ornella Crétaz, Luciano Regazzoni e Sebastiano Yon), una per l’arte fabbrile (Mauro Savin) e una per la lavorazione del cuoio (Anna Maria Malavolti).

Un’altra realtà da ammirare passeggiando sono i due musei a cielo aperto curati da diversi anni da maestri artigiani quali Dario Berlier, Roberto Chiurato, Franco e Matteo Crestani, Franco Pinet, Luciano Regazzoni e Sebastiano Yon (Associazione ARTzapot

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si a parlare con loro è sempre un bel ricordo come l’oggetto (anche piccolo) che alla Fiera si dice porti bene acquistare e che non va incartato, perché orgogliosamente si mostra camminando insieme a chi l’ha scelto. Un sottile piacere reciproco.

Fiera di Sant'Orso 2018

Professionisti in vetrina Alcuni big si raccontano

A

d anticipare ed accompagnare la Fiera, ormai è consuetudine, è l'Atelier des métiers Atelier delle imprese di piazza Chanoux e piazza Plouves, situato nel cuore del centro storico di Aosta. Nelle tensostrutture dedicate, infatti, è allestita questa vera e propria mostra-mercato riservata alle imprese iscritte all'Albo degli artigiani, le quali hanno saputo trasformare la passione per l'artigianato in vera e propria professione. L'alta qualità dei manufatti e del savoirfaire è evidente sin dall'ingresso: oggetti

S

iro Viérin attende davanti alla sua dimora, dove vive e lavora, in una Saint-Oyen immersa nella neve. Il gatto Cendre scende dai tronchi, entra con noi facendo le fusa e approfittando dei discorsi sale furtivo dove non deve.

Lo scultore, uno fra i più noti artisti della Valle d’Aosta, negli ultimi tre anni allestisce alla Foire, in Piazza Chanoux, scenografie con personaggi e animali che raccontano la storia o la realtà alpina, che in questa prossima edizione sarà sorprendente ammirare.

Ma i suoi inizi?

«Da bambino facevo animali (tranne il cavallo), animali che ho ripreso a scolpire sei anni fa. Un corso di scultura alla Scuola d’agricoltura d’Aosta, lo studio di colore e prospettiva con il Professor Rolando Robino, poi la mia prima Foire nel 1972 come allievo e nel 1976, il mio primo banco.

La Fiera allora si sviluppava da via Sant’Anselmo a pochi metri oltre Porta Praetoria.

Da allora via via si è ingrandita sempre più».

Anche l’arte di Siro ha continuato a crescere attraver-

intagliati e torniti, oggettistica per la casa, mobili, ferro battuto, tessuti, calzature, accessori d’abbigliamento, lavorazioni in ceramica, rame, vetro, oro e argento mettono in risalto tutto l'ingegno degli espositori, rigorosamente valdostani.

Ma i professionisti non stanno tutti nel salotto di piazza Chanoux, c'è infatti chi ama esporre le sue opere nei banchetti lungo le vie della città.

In questa edizione di GMagazine andiamo alla scoperta di sette professionisti.

Siro Viérin

Arte scultorea e humor ad alta quota

so un’operosità dinamica, tesa alla ricerca espressiva e all’innovazione. Nel laboratorio le sue “creature” di un’intensità unica, attendono l’ultimo tocco in attesa di apparire alla Foire o, visto che lo scultore non smette mai di stupire, lungo il tragitto (il museo Viérin a cielo aperto) che porta al suo Rifugio al Mont Fallére.

«Da quando ho terminato il Rifugio nel 2012, di sculture lungo il percorso che parte da Vètan, ne ho piazzate circa

250. E arricchire questo museo a cielo aperto è per me, ora, la più grande soddisfazione, perché desidero raccontare attraverso la scultura, storielle anche umoristiche con personaggi o animali (dell’habitat alpino) a grandezza naturale.

La natura, dopotutto, è un palcoscenico che ti permette di agire “en plein air”».

Si può dire che per lei, scolpire è come respirare?

«Si, non ne posso fare a meno, è più forte di me. Mi viene l’idea, inizio un pezzo, magari 33

lo lascio lì, iniziandone altri, in attesa di finirli tutti. Mi diverto a scolpire cercando l’essenziale e a non rifinire alla perfezione, una cosa che non mi soddisfa».

Tra le sue essenze preferite?

«Il noce è bello da lavorare, ma ha venature che possono disturbare la scultura, ad esempio se vengono fuori su un viso, così nel tempo ho scelto altre essenze, come l’acero o il tiglio».

Scolpisce altri materiali?

«Ultimamente mi diverto anche a fare piccole sculture in cemento (una rana o un ermellino, una vescia), incastonandole nel loro habitat e partendo da un calco in legno, e col mio umorismo non sai mai cosa puoi incontrare lungo il sentiero!».

La neve ha ricominciato a scendere e a queste quote è ancor più affascinante perché il suo lieve vociare rende tutto ancor più surreale. È ora di andare, ma sembra che qualcuno scruti il salutarci dalla finestra del laboratorio.

E’ uno dei suoi “personaggi” che si racconterà alla Foire”.

E noi ne ascolteremo volentieri la storia.

L'intervista di Nadia Camposaragna

Giuseppe Binel Lo scultore filosofo di Donnas

T

ra le vigne e i castagni a Donnas dove è nato, abita e lavora in via L’Artadaz uno dei più apprezzati e conosciuti maestri artigiani: Giuseppe Binel. La sua capacità di spaziare con lenticolare attenzione e perizia, da un dettaglio all’altro, è davvero unica e rende tale ogni sua singola opera.

«Ho iniziato a scolpire da ragazzino apprendendo, nei due anni con Lucio Duc, i rudimenti di quest’arte e, visto che il legno mi ispirava molto, ma non avevo ancora le idee davvero chiare, è stata la vita a crearmi, naturalmente, questa opportunità».

La sua prima Fiera risale al 1981…

«Visti i miei natali la mia prima fiera non poteva che essere vissuta qui a Donnas, prima di partecipare a quella di Aosta nei giorni successivi. Ricordo che avevo portato oggetti di uso quotidiano e piccole sculture di animaletti, ma con mia grande sorpresa gli oggetti li lasciavano e le sculture le compravano e tutto sommato, avendo pochi attrezzi, con la scultura potevo sfruttare al meglio quello che ero portato a fare. Iniziai a scolpire tronchi e radici di grandi dimensioni e lavoravo il legno 24 ore al giorno. Diventò un chiodo fisso, pensavo solo a quello. Allora ad Aosta i banchi con le sculture partivano dall’Arco d’Augusto fino a Porta Praetoria dove nella piazzetta si trovavano gli attrezzi agricoli e poco oltre i manufatti dei corsisti di

nissimo e si presta molto per scolpire i visi ad esempio, ma ha un problema. Se non viene ben trattata subito dopo il taglio, marcisce facilmente a causa della corteccia “ impermeabile” che impedisce l’evaporazione».

Un’attenzione alle essenze che si rivela nell’espressività sempre più ricercata…

«Ad oggi mi interessa di più, attraverso la ricerca dell’espressività del soggetto raffigurato, raggiungere un livello di profondità, più intimo e legato alle emozioni, che raccontare una scena pastorale».

Cosa desidera ancora?

«Non vedo l’ora di andare in pensione. Per poter essere padrone del mio tempo e lavorare per il mio piacere, tranquillamente senza complicazioni, su quello che mi

scultura e di intaglio».

I risultati, peraltro, non tardarono ad arrivare…

«L’anno successivo e quello dopo ancora ad Aosta vinsi il secondo premio di scultura e avevo già iniziato a tenere corsi qui a Donnas affiancandoli a quelli di intaglio.

Dopo 36 anni di corsi ho concluso questo percorso l’anno scorso, ma mantengo ancora la bottega scuola».

Passando ai legni?

«Per anni ho lavorato il noce. Un legno nobile, ma coi suoi difetti. Come ho fatto a sopportarlo per tanto tempo! – sorride –. Così da un po’ di tempo viaggio tra le essenze e pur utilizzando ancora il noce per certi lavori, preferisco legni più teneri e profumati come il tiglio e il cirmolo o più insoliti come la betulla che si lavora be35

sembra abbia più senso, più valore e raggiungendo un certo livello di qualità per avere un altro tipo di soddisfazione».

In passato un diploma di perito elettrotecnico e la frequenza a Lettere e Filosofia…

«Ero tanto negato nelle materie tecniche quanto non lo ero in quelle umanistiche».

Ma quanta filosofia c’è nella scultura?

«Nella scultura “per forza di levare” molta. E’ un lavoro di una tale lentezza che ti induce alla riflessione. E’ un’attività meditativa per sua natura».

Dopo la Foire di Donnas, l’artista con le sue opere da ammirare e sulle quali riflettere, sarà alla Foire di Aosta nell’Atelier, in Piazza Chanoux.

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L'intervista di Nadia Camposaragna

Fernando “Nino” Casetta L’importanza della memoria

S

cultore per davvero, Fernando “Nino” Casetta, lo è diventato per sfida.

Commissionò una scultura a Dorino Ouvrier, già molto conosciuto, ma questi non trovando il tempo e sollecitato nel farlo, lo indusse a scolpirsi il pezzo da solo. Scattò la molla e liberò l’artista. Era il 1998.

Scolpì “L’inarpa” con mucche e pastori e oggetti d’alpeggio e, da allora, di Foire de Saint-Ours, (Aosta e Donnas), di Foire d’étè e di Mostre concorso, Nino non ne ha persa una, raccogliendo nel tempo premi e riconoscimenti.

All’incontro, nel suo atelier a Champlong di Martignon una frazione sopra a Villenueve, emergono i ricordi di una vita. Giovane sportivo, per tre anni campione valdostano di bicicletta su strada, dopo la scuola alberghiera, è stato cameriere e poi maître in Inghilterra, Germania, Svizzera e Francia prima di tornare in Italia e, infine, in Valle d’Aosta. Il poliglotta Nino diventa in seguito albergatore e contemporaneamente antiquario e restauratore.

Lo scultore espone, alle Fiere di Sant'Orso di Donnas (nella piazzetta del borgo) e di Aosta (in Piazza Chanoux), opere che richiamano la vita rurale valdostana scolpita nella sua memoria e che nascono da blocchi di noce, spesso lavorato rovesciato, tratte con vigore e attenzione in ogni singolo movimento e particolare raffigurati.

sempre in simbiosi con l’uomo. Principalmente scolpisco ciò che affiora dai miei ricordi e mi rende felice. Non amo le cose fatte in serie perché, per me, l’essere ripetitivo è come non andare da nessuna parte».

E lo spunto?

«Dai ricordi d’antan e dai vecchi mestieri. In ogni pezzo c’ è una storia, un perché, ciò che era, è e sarà».

Cosa serve per scolpire?

«Solo la forza mentale, per poter entrare nella materia».

Cosa pensa che renda importante una scultura?

«Con rispetto verso il la-

Pronto per le Fiere?

«Si, lo sono. Io e i miei pezzi. Tra questi una porta antica scolpita, oggetto sempre più richiesto in questi ultimi anni e la scultura ricavata da un trave di noce, facente parte di un torchio cinquecentesco, dove ho voluto raffigurare su quattro lati le tradizioni di Cogne, dalle sue miniere alla corale Lou Tintamaro, da Les dentellières intente a creare pizzi al tombolo, agli sciatori della Marcia Gran Paradiso».

Cosa l’affascina del legno?

«Pensare a quello che si può fare con questa materia, da 37

voro di ognuno, penso che la “grande” scultura venga dalla “grosse pièce”. È qui che gli errori, di proporzione e di armonia, si notano maggiormente e qui dove si vede la bravura e la mano dell’artista. Non potrà mai essere perfetta perché, se no, sembrerebbe fatta da una macchina, ma l’artista vero rasenta la perfezione pur rimanendo imperfetto. Questa è la bellezza nell’operare».

Vent’anni di Foire, si sente cambiato?

«Forse all’ inizio c’era più entusiasmo, ma a ben pensarci c’ è ancora. E’ l’entusiasmo, la spinta per creare qualcosa di nuovo. Alla fiera porto sempre qualcosa di diverso rivolto alla mia clientela e a chi non mi conosce ancora. E quando qualcuno si ferma e chiede “Cosa c’ è di nuovo?”, beh è una cosa importante, la soddisfazione e il piacere dell’artista».

Se Nino tornasse indietro?

«Ricomincerei tutto da capo, perché sono contento della mia vita, anche del lato birichino che ho avuto in gioventù, nonostante gli sbagli che poi sono quelli che ti fanno capire la bellezza della vita». È tempo di salutarci, i minuti sono piacevolmente scivolati via tra sculture, ricordi e un goccio di génépy, mentre la stufa a legna scoppietta e la vivace barboncina Clodette fa le feste in mezzo alla neve.

Ci vediamo alla Fiera!

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L'intervista di Nadia Camposaragna

Guido Diémoz Ricerca espressiva e fascino genuino "La carbonaia", opera vincitrice nella sezione scultura alla Foire di Donnas 2018

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campi innevati brillano al sole e nello splendido panorama troneggia su tutto il Monte Emilius.

Qui nella Valle del Grand Combin, in Frazione Chalet a pochi chilometri da Doues, vive e lavora Guido Diemoz. E qui, dove dal 1986 al 2006 ha gestito Le Bon Megnandzo uno dei più famosi ristoranti valdostani oggi La Maison du Bon Megnandzo (sei deliziose chambres d’hôtes gestite dal figlio Erik con la moglie Elisa Dussoyer), lo scultore ha il suo laboratorio e la sala dove espone le sue opere.

«Da bambino lavoravo il legno col coltellino. Poi nel 1976, prima col pittore Etto Marguerettaz che tenne un corso di scultura a Doues e successivamente con Rinaldo Jordaney, mi appassionai a questa tecnica. Approfondii successivamente con il Professor Rolando Robino disegno e proporzioni.

Negli anni dedicati alla risto-

razione con mia moglie Elvira Barmette, (vincitrice alla mostra concorso 2017, oggetti in vannerie, ndr), accantonai la scultura e la ripresi nel 2003 e a tempo pieno dopo la chiusura del ristorante».

Da allora un crescendo di esposizioni e riconoscimenti, oltre alla presenza costante alla Fiera di Sant’Orso di Aosta (in via Sant’Anselmo) e di Donnas (nella piazzetta del borgo) dove dal 2008 ha sempre ricevuto il primo premio (eccetto un secondo posto) per la “Scultura su legno”. La sua innata maestria nello scolpire con sentimento il noce antico, che predilige, lo porta con accuratezza a descrivere storie di vita rurale legata alla cultura contadina valdostana dove i personaggi che le popolano, sembrano “vivere” o “rivivere”.

«Nella “grosse pièce” le scene diventano più complete e si riesce a raccontare meglio una storia. Mi piace la ricer-

ca di realtà scomparse o che vanno perdendosi, vecchi mestieri o scene di vita come due dei pezzi che presenterò quest’anno».

La sua scultura però va al di là di questa ricerca…

«Nella scultura cerco anche di trovare per ogni soggetto raffigurato il movimento più significativo che ne determini il ruolo e l’espressione che ne definisce, ad esempio in una determinata mansione, sforzo, fatica o il sentimento provato».

Alla scultura da molto, cosa sente di ricevere in cambio?

«La più grande soddisfazione dalla scultura è il riconoscimento e capire che quello che ti è piaciuto fare è ok».

Cosa cerca nel legno?

«Mi piace il legno che ha anima e che in qualche modo mi induce ad assecondarlo. Quando lavoro le grandi radici, i grandi tronchi, è per me sempre una sfida, perché eventuali difetti o imprevisti, come pietre, nodi, vuoti, terra o crepe 39

possono diventare inaspettati pregi. Non ho mai scartato un pezzo e finora ho sempre portato a termine ciò che volevo realizzare e in futuro vorrei cimentarmi con figure in scala 1:1».

Si sfogliano, tra ricordi e storie, gli album colmi di fotografie delle sculture realizzate negli anni che, a partire dal primo lavoro (un cofanetto portagioie in cirmolo con degli uccellini scolpiti a bassorilievo) sono diventate sempre più opere d’arte articolate che giocano con lo “spazio”.

Con piacere, infine, racconta dell’ultima mostra “Il richiamo della montagna”.

Un’esperienza condivisa con l’amico e collega Dorino Ouvrier in terra catalana che dal maggio scorso, prima a Bolvir poi a L’Espluga de Francolí, si è conclusa pochi giorni fa. Sempre con modestia sempre avanti, sempre work in progress.

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Fiera di Sant'Orso 2018

Intaglio decorativo Fantasia e precisione

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n Valle d'Aosta la tecnica dell'intaglio (decorativo) è un'arte che può abbellire il legno, ma anche la pietra ollare e il cuoio.

Un tipo di intaglio, il più diffuso, è quello a punta di coltello che ha radici pastorali e per il quale ha molta importanza l’affilatura dello stesso con mola ad acqua o con pietre ad acqua o ad olio, ma esistono anche l'intaglio floreale e quello gotico diversi tra loro e da quello a punta di coltello,

Alla Fiera tanti sono gli artigiani intagliatori. Sui banchi è possibile ammirare il loro certosino lavoro su ciotole, scodelle, scatole, piatti, mestoli, collari per le capre, conocchie, tabacchiere, cornici, palette o forme per decorare il burro, grolle, croci, ceste per la semina o bellissime culle.

I manufatti si mostrano al meglio grazie anche alla fase della ceratura. Si sceglie la cera più opportuna, si applica con l’aria calda, di una pistola termica o di un phon, per scioglierla

nel modus operandi e per gli attrezzi usati.

A punta di coltello si possono eseguire scritte, dai più semplici ai più impegnativi ornati anche simbolici (ad esempio il monogramma di Cristo con i tre chiodi della passione) e innumerevoli decorazioni: a palmette, a dentello, cuori, fogliame, triangoli, losanghe, rosoni, che usate a dovere creano raffinatezze nei legni più intagliati: il tiglio, il cirmolo (chiamato anche pino cembro o arolla) il noce e l’acero.

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mentre la si stende col pennello e quando si asciuga, si passa alla fase della lucidatura, principalmente eseguita a spazzola o con panni di lana.

SI può dire, infine, che intagliare è un piacere, un momento di pazienza e di riflessione che non necessita di tanti attrezzi o luoghi particolari. Un misurarsi con se stessi nel cercare un’armonia dell’insieme spesso già “intagliata” nella mente dell’artigiano, prima ancora che le scaglie di legno saltino via, liberando piano piano la creazione.

L'intervista di Nadia Camposaragna

Giangiuseppe Barmasse L’arte che toglie il fiato

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l’imbrunire. Valtournenche è già avvolta nella magia del Natale e magico è l’incontro con Giangiuseppe Barmasse, che qui vive e lavora in Frazione Fontana. Gli ambienti del suo atelier, (esposizione, laboratorio e taverna), dove accogliere chi è interessato alle sue opere, sono curati in ogni particolare e all’entrata la scultura, da un bellissimo noce antico, che si svelerà solo alla Foire, è imponente. Come lo sono state le precedenti opere, che una alla volta e da molti anni a questa parte, si svelano soltanto alla Fiera di Sant’Orso ad Aosta ai piedi di Porta Praetoria.

Nato in una famiglia legata al mondo agricolo, lo scultore, da questo mondo, ha sempre attinto riferimenti da tramandare attraverso la concretizzazione di figure, contesti e avvenimenti col suo talento innato che, fatta eccezione per l’insegnamenti iniziali di papà

Camillo anch’egli scultore e col quale ha condiviso varie volte il banco fieristico, non ha avuto alcuna influenza accademica, se non l’intuito della professoressa di educazione artistica Daniela Piassot, che lo iscrisse alla sua prima fiera.

«La mia prima fiera risale al 1978. Nei primi anni ’90, invece, il mio primo grande pezzo, “La désarpa”, è stato il trampolino di lancio per continuare a creare opere di grandi dimensioni fino a “La Fiera del bestiame” che ha segnato l’edizione 2017. Una scultura che vuole ricordare un mercato che non c’è più. Sono opere che danno una certa soddisfazione, ma molto impegnative».

Come si è evoluta la Foire secondo lei?

«Ai tempi dei miei inizi c’era più unione era come più sentita, forse dato dal fatto che era più contenuta. Da allora ha subito un enorme cambiamento».

Nel futuro come la immagi-

na?

«Continua ad allargarsi in tutti i settori. Questo potrà portarla a diventare una grande fiera commerciale e al riguardo bisognerebbe porsi delle domande su ciò che davvero si vorrà mantenere delle sue origini con un’attenzione sempre alla qualità in relazione ad ogni settore».

Dall’idea alla scelta dell’essenza più adeguata alla realizzazione…

«Vado alla ricerca del blocco ligneo più adeguato a quello che ho in mente da realizzare. Per certe sculture, dopo il primo abbozzo, lascio che il legno si stagioni e si asciughi per uno o due anni».

Cosa prova nello scolpire?

«Prima di iniziare c’è sempre la paura di non riuscire. Ogni scultura ha la sua difficoltà ed è proprio la difficoltà che permette di avanzare, quella che cerco, la sfida con se stessi. La scultura la devi creare, una radice ad esempio può indurti a fare un

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qualcosa, un’altra massa, invece, ti induce a “levare”. Si deve avere intuito. Alla scultura dò tutto perché amo il legno come solo chi lo ama come me sa cosa vuol dire».

Un blocco particolare che si è trovato a lavorare?

«Quello diventato poi “Emozioni in vetta” che ritrae la principessa Maria José di Savoia e le guide Giulio Bich e Luigi Carrel sul Cervino nell’estate 1941.

E’ stato per ridare vita ad una pianta antica sradicata a Chambave dalla forza distruttrice dell’alluvione del 2000».

Un consiglio ai giovani che vorrebbero diventare scultori?

«Difficile a dirsi, ma un consiglio è quello di seguire sempre le proprie aspirazioni. Se si vuole fare veramente scultura, bisogna fare la scelta giusta e iniziare senza pensare al lato commerciale».

Al Cervino, inoltre, nel 2015 in occasione dei 150 anni dalla sua conquista, lo scultore ha dedicato un insieme di opere che vanno dalla riproduzione del Cervino in pietra verde dorata alla rappresentazione delle fasi più salienti che raccontano la storica impresa fino ai busti dei personaggi all’epoca coinvolti.

Il legno di noce sopra a tutto, oltre ad acero e cirmolo ad esempio, ma Giangiuseppe Barmasse si cimenta anche con la pietra e con le fusioni: in bronzo, (a tiratura numerata e limitata di figure che, sempre più, in chiave moderna risultano lineari, essenziali) e, occasionalmente, in zama e oro.

In un’alternanza tra riguardo al passato e sguardo nel futuro.

L'intervista

Franco e Matteo

Crestani

Q

ui in Valle d’Aosta, l’arte che scorre nelle vene ha due testimoni d’eccezione. Gli scultori Franco e Matteo “Memo” Crestani, padre e figlio, presenti alla Fiera di Aosta all’Atelier in Piazza Chanoux.

Franco, la sua prima Fiera nel 1974...

«Fino ad allora si andava alla Fiera per vedere i pezzi degli artigiani, poi un giorno ho ricevuto degli scalpelli in regalo e da un falegname del legno. Ho provato a scolpirlo e nel tempo l’entusiasmo è cre-

«Ho sempre seguito la tradizione, ma cercando di personalizzare, di sperimentare continuamente, come nei bassorilievi ad esempio con piani sfalsati. C’è una grossa differenza tra il mio prima e il mio dopo. A prima vista sono lavori che possono sembrare più semplici di un tempo, ma in questo momento sono appagato. Si sa che con l’età si raggiunge anche una certa serenità mentale».

Già, i piani sfalsati che animano la visione d’insieme, la costruzione della scena anche nelle essenziali e minimali rappresentazioni, una scelta estetica davvero particolare.

«E‘ da una decina d’anni che vado ricercando l’essenziale, una volta avevo bisogno di tanto per avere niente, ora è il contrario. Si ha sempre il

sciuto, anche attraverso il costante confronto con gli altri, lavorando su tecnica e scelte lignee, dal cirmolo al noce e fino all’attuale uso del noce antico…molto antico! Tra il ‘70 e ‘80 c’è stato come un movimento di giovani che cercavano un’innovazione nella scultura. Un periodo davvero bello e stimolante. Erano anni diversi anche per la macchina organizzativa, che aveva da gestire meno numeri e meno artigiani».

Una continua ricerca personale, Franco prima e dopo…

desiderio di dimostrare, ma alla fine “questo” passa poco o niente. Così ho iniziato ad eliminare, a ridurre dimensioni e contenuto. Anche perché lavorando sul legno antico, si sente l’esigenza di intervenire il meno possibile per rispettarne le parti consumate dal tempo, seppur esprimendo la propria artisticità».

Sono sculture che giocano con la finezza sia per i soggetti scolpiti di piccolissime dimensioni (le pecorelle i cui velli accarezzano le zampe sottili, ad esempio, sono incredibili), che per una certa magia dell’insieme, dove l’incursione opportuna del colore è la ciliegina sulla torta.

«Già in alcuni miei primi lavori misi del colore ed erano anni in cui colorare il legno era scelta audace, ma la pittu-

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Padre e figlio

Dna artistico ra è sempre stata la mia spinta naturale e di questa, nella scultura appresa, ho portato la profondità».

Cosa invidia a Matteo?

«La tecnica, quella sì e poi sono davvero rimasto colpito dal suo recente scatto evolutivo».

Matteo, raggiunto nella piccola Frazione Prariond a Valgrisenche dove vive e lavora, spiega che «più che scatto evolutivo è un voler avanzare assecondando la mia indole e cercare nuove forme espressive, sempre legate al mondo che conosco, ma protese alla contemporaneità.

L’idea principale è quella di abbinare alle sculture lignee materiali molto moderni, come il corten; materiali che diventano elemento chiave per comprendere l’opera nell’insieme, con figure scolpite quasi iperrealiste, atem-

porali in composizioni che spaziano nel concetto intimistico».

La realtà non è mai come ci appare…

«Da interpretare».

Dopo il diploma alla scuola d’arte di Aosta, sezione scultura, la prima Foire de Saint-Ours nel 1994 e tre anni alla storica scuola professionale per artigiani scultori di Selva di Val Gardena, sono molti i riconoscimenti e premi, finora ricevuti da Matteo. Maestro artigiano, insegna da otto anni nell’ambito del progetto regionale valdostano di “Bottega scuola”.

Ma che esperienza è stata la scuola gardenese?

«Un’esperienza illuminante.

Per gli insegnanti eccezionali tra i quali Bruno Walpot e per aver scoperto a tutti gli

effetti gli aspetti della tecnica scultorea. Una tradizione della scultura la loro, che differisce dalla nostra soprattutto nella costante ricerca del nuovo, sia nella tecnica che nell’estetica, avendo voglia sempre di indagare altre realtà».

Matteo prima e dopo…

«Prima ero legato più all’aspetto tecnico, estetico, commerciale della scultura, ora la vivo con senso di libertà di “potere” espressivo, se provo o penso a una sensazione desidero subito tradurla in scultura».

La difficoltà maggiore nello scolpire? «È quella di riuscire a dimenticarsi della tecnica per seguire l’idea, l’impulso».

Cosa invidi a tuo papà?

«L'anarchia – sorride e dice di getto –. La fantasia e la libertà mentale nel voler creare quello che più gli piace».

Membro dell’associazione scultori ARTzapot, ha inoltre sempre coltivato il suo talento musicale e dal 2008 all’anno scorso ha fatto parte del gruppo musicale L’Orage.

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Fiera di Sant'Orso 2018

I Mobili artigianali La creatività dell'artigiano è anche nei complementi d'arredo

T

ra i più classici mobili che si possono trovare tra i banchi della Fiera e all'Atelier des Métiers vi sono le cassapanche o “artson” di legno. Decorati da disegni geometrici o soggetti di vario tipo, come quelli naturali o religiosi, erano un tempo indispensabili per contenere la farina e gli alimenti nonché per riporre i corredi per la casa. Alcuni sono dotati all'interno di scomparti e, talvolta, di nascondigli ingegnosamente mimetizzati. Tipiche sono anche le culle, sollevate da terra da corti piedi collegati tra loro da due assicelle ricurve per assicurarne il dondolio, che i futuri padri realizzavano e regalavano alle spose il giorno delle nozze. Tra i mobili più moderni sono esposti tavoli, sedie, credenze, piattaie, letti, armadi, specchi, cornici per quadri ed altri complementi d'arredo per

raffinate nelle decorazioni, di varie forme e dimensioni.

Le più antiche sono le scatole per il sale, di forma rotonda o ovale, con il coperchio che ruota su un perno, insieme agli astucci portapenne.

Conocchie

T l'abbellimento delle stanze della casa, quali la cucina, il soggiorno, la camera da letto e la taverna. Di grande effetto e qualità sono anche le porte, le finestre, le scale e le balaustre, che pur conservando molti elementi della tradizione, rispondono a caratteristiche funzionali ed estetiche proprie del mondo contemporaneo.

Scatole e cofanetti

R

icca è la produzione di tabacchiere, cofanetti per i gioielli, scrigni per il denaro e scatole artigianali,

Letto a castello di Fabrizio Varisellaz - 2015

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radizionali rocche per filare, lavorate ed intagliate in modo accurato per il valore sentimentale che rivestivano una volta, le conocchie costituivano uno dei regali che l'uomo preparava per la futura sposa, a dimostrazione della dote femminile più apprezzata: l'abilità nei lavori domestici.

Fiera di Sant'Orso 2018

Il ferro battuto Arte magnetica

S

i dice ferro e la mente va alle fornaci e ai fabbri intenti a forgiare, curvi sull’incudine, il rovente metallo indomito e a quell’aura che avvolge gli antichi mestieri.

La lavorazione del ferro in Valle d’Aosta, ricca di giacimenti minerari, si deve principalmente allo sfruttamento delle miniere di magnetite di Cogne, dismesse nel 1979 e a quelle di carbone di La Thuile, dismesse negli anni ’60 del secolo scorso.

In passato molto minerale ferroso veniva usato per produrre armamenti necessari ai feudi locali prima, a casa Savoia poi e per le guerre del secolo scorso, oltre che per attrezzi agricoli e altri prodotti (grate, cancelli, serrature, chiavi) e per manifatture che, come la Fontana del Melograno del 1502 al Castello di Issogne e la Fontana del dottor Grappein d’inizio ‘800 a Cogne, hanno raggiunto alti livelli artistici.

L’impulso allo sfruttamento minerario risale al 1600 con l’arrivo di maestri fer-

rai bergamaschi e un secolo dopo con Bartolomeo Gervasone che sottoscrisse contratti con gli Challand e col Clero che aveva potere in Val di Cogne, per

estrarre il minerale.

Molti i forni che sorsero all’epoca. Da Pontboset a Ussel, da Aymavilles (dove si fondeva il metallo di Cogne) a Villeneuve, solo per citarne alcuni.

Da metà ‘800 la produzione artigianale entrò in crisi per l’arrivo di prodotti a basso costo da altri produttori europei, ma si riprese nel dopoguerra.

Non si può parlare di ferro, però, senza far cenno all’Ansaldo di Aosta (oggi Cogne Acciai Speciali), che da inizio ‘900 coi suoi giacimenti a Cogne, indirizzò la produzione alla 48

grande industria.

Oggi l’arte fabbrile unisce all’utilità degli oggetti anche ricerche storiche e artistiche. Tra i fabbri valdostani i maestri artigiani Mauro Savin, che riproduce oggetti della tradizione (campanacci) o storici (spade e armature medievali) e Livio Mognol che alla padronanza del mestiere, come per la forgiatura delle lame di coltello in “Damasco”, affianca la sua arte fatta di opere in cui, spesso, il concetto contemporaneo è chiave interpretativa.

Fiera di Sant'Orso 2018

La pietra ollare La roccia gentile dalle buone qualità

L

’utilizzo della pietra ollare, il cui nome deriva da olla (in latino pentola) dell’epoca romana, è nella tradizione di molti popoli da tempi antichissimi per la produzione di armi e manufatti, sia artistici che strumentali. Tra le proprietà di questa roccia metamorfica, di cui ne esistono vari tipi a diverse grane e a seconda dei componenti minerali che racchiude, c‘è la facilità a lavorarla e l‘accumulare calore che poi rilascia lentamente. Per la sua resistenza al fuoco viene impiegata nella costruzione di stufe (che in Valle d’Aosta hanno nei Fratelli Claudio e Fabrizio Ferrari tra i più apprezzati artigiani scultori di questi capolavori), per le piastre di cottura o per il pentolame e, vista la sua tenerezza, la si usa per creare oggetti, complementi architettonici e d’arredo e sculture. La si può tornire, scolpire o intagliare e, se rifinita a cera, diventa lucida quasi al pari del marmo.

La sua presenza in Valle d’Aosta vede a Valtournenche, Ayas, Champdepraz, Champorcher e Issogne gli affioramenti più importanti, ma anche a Pontey e Saint-Marcel, storici luoghi per la produzione di macine da mulino.

Tra gli artisti valdostani per i quali la pietra non ha segreti: Cesare Bottan, Rino Collé, Silvano Salto, Donato Savin, il maestro artigiano Sebastiano Yon e i citati fratelli Ferrari e il loro padre Renzo dal quale hanno ereditato il mestiere.

Ma come non accennare a Gino Daguin (classe 1935), molto probabilmente il primo artigiano a realizzare sculture in pietra ollare nel panorama dell’artigianato valdostano? Affascinato e catturato dalla pietra da lui ritenuta misteriosa “proprio perché si trova nelle viscere della Terra”, il suo talento nello scolpirla ha sempre avuto, nel gesto istintivo e senza basi preparatorie, l’espressione più ammirata.

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L’INVERNO NON È ANCORA FINITO PER O P M E T IN A R O E SEI ANC ISSI

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Attrezzi e rame Dalla funzionalità di un tempo alla bellezza decorativa di oggi

Gli attrezzi

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li attrezzi agricoli sono presenti alla Fiera di Sant'Orso fin dai tempi più antichi; tra quelli proposti ancora oggi dagli artigiani vi sono i rastrelli per la fienagione, realizzati con lunghi manici di frassino e denti di acero; i “fléyé”, due bastoni di lunghezza diversa (manico e battente) uniti da

la frutta direttamente sulla pianta, così come barili, botti, gerle e tinozze usate nei periodi di vendemmia e lavorazione dell'uva. Caratteristici sono anche i “corbeille”, cestini alti dotati di due coperchi, usati per trasportare nei campi viveri e vettovaglie; i “tsaven” impiegati per raccogliere frutta ed ortaggi e le “gorbe”, scatole in legno con manico usate per trasportare e distribuire le sementi nei campi.

una striscia di cuoio e usati per battere il grano; i “van”, cesti piatti con bordo rialzato usati per setacciare il grano; i “tamis” che servivano per setacciare la farina. Tra i banchi si possono trovare anche scale a pioli di diverse lunghezze, costruite con legno di abete rosso o frassino, utili per raccogliere

Il rame

S

eppur numericamente inferiori a quelli in legno o ferro, molto apprezzati sono anche gli oggetti in rame realizzati a mano

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dagli artigiani: si tratta del metallo più antico che l'umanità abbia mai utilizzato (si usa, infatti, fin dai tempi preistorici). Sbalzati, incisi o cesellati, si trovano alla Fiera soprattutto oggetti d’uso domestico e agricolo (storicamente documentati in Valle d’Aosta), ispirati agli attrezzi e agli utensili “d'antan” ma anche alle sculture in legno e pietra ollare: segnavento, brocche, porta candele, ciotole, innaffiatoi, piatti, centrotavola, caffettiere, vasi, pentole, orologi, set per fonduta e bourguignonne ed alambicchi adornano i banchi di coloro che li hanno modellati con pazienza, battendoli e saldandoli con amore.

Fiera di Sant'Orso 2018

Il settore non tradizionale Non solo legno. I manufatti in lana cardata, ceramica e vetro hanno preso piede negli ultimi decenni

C

on il tempo, il settore non tradizionale è diventato sempre più parte integrante dello spettacolo della Fiera di Sant’Orso. Il rispetto della tradizione e dell’anima storica della manifestazione, infatti, non ha impedito che si lasciasse spazio all’evoluzione dell’arte manuale in nuove forme e con nuovi materiali. Per questo, accanto al legno, che della fiera è il grande protagonista fin dalla prima edizione, è possibile trovare

Découpage, acquerello, matita, tempera, foglia d’oro, pastello, colori acrilici, fiori secchi, cucito, fimo, ceramica, realizzazioni in carta o paillettes, lana e vetro: così come per i soggetti, il settore non tradizionale comprende anche numerose tecniche diverse, unite però dalla stessa capacità, da parte degli artigiani, di realizzare un’opera d’arte da un semplice materiale. I visitatori non avranno che l’imbarazzo della scelta tra

un sempre maggior numero di espositori che propongono pezzi originali realizzati con le tecniche e i materiali più disparati. Passeggiando dalla piazzetta di via Guido Rey, passando nelle vie trasversali a quelle del centro e proseguendo verso la chiesa di Sant’Orso, infatti, non è raro incontrare i soggetti più disparati: elfi, angioletti, personaggi dei cartoni animati, paesaggi e animali fantastici, che fanno bello sfoggio di sé su diversi supporti e oggetti.

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i vari soggetti rappresentati: ritratti realistici o fantasiosi, mucche, camosci, stambecchi, “reines”, torte, dolcetti e cup cakes adornano quadri, spille, sciarpe, cappelli, tessuti e chi più ne ha più ne metta.

Il nostro suggerimento, se siete alla ricerca di qualcosa di unico e diverso, è di andare a curiosare tra i banchi degli espositori della fiera non tradizionale, perché è certamente il settore che fa per voi.

Fiera di Sant'Orso 2018

La Fiera Commerciale Dai mezzi da lavoro ed ecologici alle stufe a pellet, la Fiera all’insegna della tecnologia

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arallela a quella dell’artigianato di tradizione, che si svolge principalmente nelle vie del centro, il 30 e 31 gennaio si svolge un’altra fiera: quella dedicata ai mezzi agricoli e commerciali. Un’occasione definita “irrinunciabile” da molti espositori, che possono approfittare di una vetrina privilegiata e di decine di migliaia di visitatori per mostrare le ultime novità dal mondo dei mezzi agricoli, dello sgombero neve e del movimento terra, ma anche le innovazioni per quanto riguarda il riscaldamento delle abitazioni e tanto, tanto altro.

Quello commerciale, a dif-

in ottima salute.

In ogni caso, malgrado lo sviluppo della tecnologia e delle tecniche, in giro per la Fiera troverete però anche

ferenza di quanto si possa pensare, risulta comunque molto legato alla tradizionale Fiera di Sant’Orso e allo spirito originario di questa manifestazione. Fin dalle sue origini, infatti, l’appuntamento di fine gennaio rappresentava il momento ideale in cui acquistare e vendere oggetti e utensili utili per l’imminente inizio di una nuova stagione agricola. Molto è ovviamente cambiato nella storia della manifestazione, con lo sviluppo tecnologico e l’evoluzione delle tecniche agricole che si sono fatti ovviamente sentire, ma lo spirito utilitaristico della manifestazione è ancora vivo e

Vetrina commerciale

gli irriducibili, quelli che che alle novità preferiscono ancora la solidità e il fascino degli utensili realizzati a mano. Statene certi.

In questi due giorni, la zona che si sviluppa da piazza della Repubblica e in tutta la zona da via Torino all’arco d’Augusto e poi, ancora, giù in via Garibaldi fino in piazza Mazzini, si trasforma in una vera e propria maxi-vetrina a cielo aperto interamente dedicata all’aspetto commerciale, dove si possono anche trovare prezzi e offerte speciali dedicati alla manifestazione.

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Fiera di Sant'Orso 2018

Il Salone del Gusto Il padiglione enogastronomico di piazza Plouves dove si incontrano storia, arte e tradizione culinaria

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urante la vostra visita alla Fiera di Sant’Orso, approfittatene per fare una piccola deviazione al percorso e tuffarvi nei sapori proposti dal padiglione enogastronomico.

Situato in piazza Plouves, lo stand inaugura con qualche giorno d’anticipo la manifestazione ed è un luogo interamente dedicato alle specialità della Valle d’Aosta e del suo territorio: un regno che apre i battenti e le porte per mostrare a tutti le sue meraviglie.

Passeggiando all’interno del padiglione, turisti ed avventori avranno la possibilità di degustare e acquistare alcuni tra i prodotti più rappresentativi della nostra regione e scoprire nuove realtà. Negli anni, infatti, sono state molte le piccole aziende che hanno deciso di far conoscere al pubblico della Fiera le loro prelibatezze. All’interno della struttura, i grandi protagonisti sono senza dubbio i prodotti ortofrutticoli nonché i loro derivati e i prodotti caseari, con la

Fontina Dop e i formaggi d’alpeggio a meritarsi una menzione speciale.

Agli amanti di un buon bicchiere, invece, il padiglione offre un’ampia gamma di vini Doc, sempre più ricercati grazie alla loro eccellente qualità, oltre alle grappe e al tradizionale Génépy, il liquore ottenuto dall’infusione e dalla distillazione di diversi tipi di Artemisia.

Anche le aspettative dei più golosi non vengono certo disattese: dalle tegole alle torte di noci e castagne,

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dalle crostate di frutta fresca alle ciambelle, ce n’è proprio per tutti i gusti e per ogni palato.

Le gustose sorprese di quella sorta di scrigno che è il padiglione non terminano certo qui, tra latte, burro, lardo d'Arnad Dop, salumi e succhi di frutta, ma il modo migliore per scoprirle tutte è senza dubbio quello di prendersi una pausa nel corso della visita alla Fiera di Sant’Orso lasciandosi coinvolgere dai profumi e dai sapori dell’enogastronomia valdostana.

Fiera di Sant'Orso 2018

La fiera a tavola Proposte enogastronomiche delle Pro Loco della Valle d'Aosta

I due giorni della Fiera di Sant'Orso rappresentano anche una buona occasione per gustare i piatti tipici della tradizione valdostana, serviti dalle Pro Loco presso i punti rossoneri.

Seupa à la Vapelenentse In piazza Giovanni XXIII, l'associazione delle Pro Loco della Grand Combin servirà la Seupa à la Vapelenentse, una zuppa composta da strati di pane bianco raffermo e fontina, bagnati da un brodo di carne, spezie e cavolo (che nella ricetta originale va tassativamente usato solo per il brodo.

Trifolette d'Arvì

Seuppa de pors

La polenta

In piazza della Repubblica troverete invece la Trifolette d'Arvì, un piatto unico e sostanzioso, servito dalla Pro Loco di Arvier e preparato in un grande pentolone in cui si soffriggono pancetta, salsiccetta e cipolla e ai quali si aggiungono patate, latte, panna e toma.

In via Guido Rey, la Pro Loco di Emarèse preparerà la Seuppa de Pors, una zuppa di verdure servita con crostini di pane e che ha i porri come protagonisti. A cavoli, porri e patate, tagliati a pezzettini e fatti bollire sulla stufa, viene quindi aggiunto un pezzo di bollito o di osso per insaporire il tutto.

Favò di Ozein

Seuppa de Quart

Per gli amanti della polenta ci sono due soluzioni interessanti. In via Vevey, la Pro Loco di Brissogne proporrà polenta abbinata a salsiccia o salsiccetta, mentre i piazza Roncas la Pro Loco di Saint-Nicolas è solita servirla con il cervo in umido.

Non mancheranno poi i salumi e i formaggi, accompagnati da qualche buon bicchiere di vino valdostano.

Nello stesso padiglione della Trifolette verrà servita la Favò di Ozein, una zuppa di fave a cui si aggiungono un soffritto di verdure e pasta di salamella, la pasta corta da zuppa, la fontina, il pane di farina di segale e frumento gratinato nel burro fuso, spezie e aromi.

Un altro piatto della tradizione valdostana da consumare alla Fiera di Sant’Orso è la Seuppa de Quart, un piatto semplice che ha origini lontane; un tipico minestrone di verdure al quale si aggiungono fontina e pane nero che verrà servito in via Vevey.

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Non solo Sant'Orso

E dopo la Fiera...

Vive Introd et Madame de Challant: il Carnevale storico di Verrès

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al 1949, anno di fondazione del Comitato organizzatore e del primo Carnevale, circa duecento abitanti di Verrès si riuniscono per tre giorni indossando costumi d'epoca, sfilando nel borgo, ballando e banchettando nell'antico castello, per ricreare una vicenda accaduta nel 1450. Quell'anno Caterina di Challant, dopo la morte del padre Francesco, lottò contro la Casa dei Savoia e contro la sua stessa famiglia per ottenere la sua eredità (in quanto donna, non era considerata degna di riceverla). Il 30 maggio, insieme al compagno Pierre Sarriod, signore d'Introd, fu condannata al pagamento di un'ammenda ed alla confisca dei beni, condanna che tuttavia non la preoccupò molto: il giorno dopo, in occasione della Pentecoste, scortati da uomini armati, i due scesero a Verrès. Dopo aver pranzato dal reverendo Pietro di Chissé, prevosto della collegiata di Saint-Gilles, scesero nella piazza pubblica

sotto la chiesa (oggi piazza Chanoux) e fecero un gesto davvero democratico per l'epoca: danzarono a suon di piffero e tamburo insieme al popolo che li acclamò con l'espressione “Vive Introd et Madame de Challant” (Evviva Introd e la signora di Challant): ancor oggi il ricordo di quella giornata riecheggia nell'entusiasmo dei verreziesi durante i giorni del Carnevale.

I festeggiamenti entrano nel clou con la presentazione dei

personaggi (che variano ogni anno) nella piazza del paese, alla quale segue una singolare e simpatica lettura in lingua antica “maccheronica” da parte del battitore del “Manifesto d’intenti della cittadinanza”. Gli appuntamenti principali si svolgono tra il sabato e il martedì ed includono sfilate nelle vie di Verrès, cene e serate danzanti al castello, nonché la rappresentazione teatrale di “Una partita a scacchi” di Giuseppe Giacosa, seguita

Immagine tratta da “La parola alle maschere. Carnavals de la Vallée d'Aoste”,2003, Priuli & Verlucca, editori

da un Gran Galà. L'ultimo giorno, il martedì, si pranza in piazza René de Challant e nel pomeriggio Caterina e Pierre sfilano nel borgo con il loro seguito e con gruppi folkloristici e mascherati, carri allegorici e bande musicali. A chiudere il Carnevale è il “Veglionissimo”, la serata del ballo in maschera.

Le date da non perdere Sabato 10, domenica 11, lunedì 12, martedì 13, venerdì 16 febbraio 2018

Immagine tratta da “La parola alle maschere. Carnavals de la Vallée d'Aoste”,2003, Priuli & Verlucca, editori

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Non solo Sant'Orso

Pont-Saint-Martin Il Carnevale storico tra storia e leggenda

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l Carnevale di Pont-SaintMartin è tra i più antichi della Valle d'Aosta: lo testimonia una documentazione scritta nel 1902. Esso procedette a fasi alterne fino al 1910, anno in cui il programma assunse l'impostazione odierna con festeggiamenti dal sabato al martedì, su più date, tra gennaio e febbraio. Questo Carnevale è in parte rievocazione storica, in parte eco di antiche leggende, ricreando la sconfitta dei Salassi ad opera dei Romani da una parte e la leggenda della “Ninfa del Lys” dall’altra (il mito narra che, sdegnata contro gli abitanti, la ninfa ingrossò il torrente – chiamato appunto Lys - con l'intenzione di distruggere il paese ma, giunta con l'onda di piena nei pressi del ponte romano, le preghiere del popolo la con-

vinsero a piegarsi e a passare oltre senza far danni). Legata ad un’altra leggenda è anche l’usanza di bruciare, la sera del martedì grasso, l'effigie del diavolo appesa all'arcata dell'antico ponte romano (la costruzione del ponte, in una sola notte, è attribuita proprio al diavolo che pretendeva l'anima di chi l'avesse attraversato per primo. San Martino di Tours, di passaggio in paese, liberò sul ponte

un cane ingannando così il diavolo che dovette accontentarsi ed andarsene).

Tra i circa cinquecento figuranti del Carnevale, i personaggi principali sono il Santo Vescovo Martino, il Diavolo, il Console Romano, i Tribuni della Plebe, le Guardie Romane con il loro Comandante e la Ninfa del Lys, accompagnata da due Ancelle (le ultime tre figure introdotte solo nel 1952).

Uno dei momenti più particolari è rappresentato dalla “Corsa delle bighe”, creata dalla Pro Loco nel 1985 e che si svolge nel pomeriggio dell'ultimo lunedì del programma: i sette Rioni o “Insulae” della cittadina si scontrano con una propria biga ed un proprio equipaggio, costituito da un auriga e da atletici ragazzi che provvedono al traino. Il martedì grasso è dedicato alla sfilata con tutti i personaggi, la banda musicale e i carri allegorici; la giornata si conclude sotto l’arcata dell’antico ponte con il rogo del diavolo ed un magnifico spettacolo piromusicale che attira, ogni anno, un foltissimo pubblico.

Le date da non perdere Giovedì 8, venerdì 9, sabato 10, domenica 11, lunedì 12, martedì 13, mercoledì 14 febbraio

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IL CIBO COME MEDICINA DIETA CHETOGENICA: EFFICACIA IN DIVERSE PATOLOGIE

DIETA CHETOGENICA un regime dietetico terapeutico che utilizzato con le dovute precauzioni può garantire risultati rilevanti in diverse patologie: Obesità grave, certe forme Tumorali, Diabete mellito di tipo 2, Sindrome metabolica, Alzheimer, Parkinson, Epilessia, Steatosi Epatica Non Alcolica.

La dieta chetogenica è una dieta ipocalorica, ipoglucidica e normoproteica che in medicina è stata utilizzata per la prima volta negli anni 20 del secolo scorso per controllare pazienti pediatrici affetti da epilessia non trattabile con i farmaci allora disponibili. La dieta costringe il nostro organismo a bruciare i grassi piuttosto che i carboidrati promuovendo la mobilizzazione dei lipidi (grassi) dai depositi corporei e stimolandone l’ossidazione a scopo energetico a seguito della modificazione del rapporto tra insulina e glucagone circolanti. Tuttavia, se vi sono pochi carboidrati nella dieta, il fegato trasforma il grasso in acidi grassi e corpi chetonici. I corpi chetonici passano nel cervello a sostituire il glucosio come fonte di energia e stimolano la sazietà a livello del Sistema Nervoso Centrale. Creata, quindi, nel 1920 per combattere l’Epilessia, questa dieta è oggi studiata, come dimostrato da diversi studi scientifici, per la cura di numerose malattie: metaboliche quali Obesità (compresi pazienti candidati alla chirurgia bariatrica), Obesi con problematiche osteoarticolari (il cui peso ha un ruolo determinante), Diabete mellito di tipo 2, Sindome metabolica; neuronali come Alzheimer, Parkinson, Emicrania; Steatosi epatica non alcolica e certe forme Tumorali.

La Dieta approvata dalla Società Dietetica Medica è in grado di fare perdere i giusti chili per raggiungere il peso ideale. Questo tipo di dieta viene prescritta presso l’ambulatorio di Nutrizione e Metabolismo dell’IRV a pazienti selezionati e monitorizzati da un team esperto (Endocrinologo/Dietologo Dr. Mariagiovanna Filippella e Nutrizionista Dr. Giulia Cipriani) al fine di gestire la dieta e il dimagrimento senza alcun rischio per il paziente. I vantaggi sono rilevanti, per la rapidità dei risultati che accresce notevolmente la motivazione, per la riduzione della sensazione di fame tipica della chetosi, per l’effetto di risparmio sul tessuto muscolare, per l’azione anticellulite in quanto la dieta induce a metabolizzare i grassi, compresi quelli accumulati negli strati sottocutanei che formano la cellulite e per la maggior aderenza al piano alimentare che risulta in genere molto facile da seguire. La dieta si articola in 3 fasi: il dimagrimento, durante la quale, la perdita di peso è veloce (almeno 8 kg in un mese). Questa fase può durare anche qualche mese; la transizione, dura più o meno come la prima fase, vengono introdotti a questo punto i carboidrati meno calorici e di migliore qualità. In questa fase il paziente viene rieducato ad un sano e corretto stile di vita, al fine di ottimizzare e stabilizzare i risultati ottenuti nella fase di dimagrimento; il mantenimento, dove il paziente ha raggiunto gli obiettivi globali concordati con l’esperto Endocrinologo e Nutrizioni-

sta e intraprende il percorso nutrizionale a lungo termine seguendo i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana). In questa fase vengono consumati in modo bilanciato carboidrati, grassi e proteine, da associare all’attività fisica. L’ambulatorio di Nutrizione e Dietetica offre un incontro preliminare gratuito per i pazienti interessati a cui sarà spiegato il tipo di dieta. Ai pazienti che decideranno di seguire questo regime dietetico, candidati sulla base della valutazione endocrino-nutrizionale, sarà chiesto di eseguire degli esami ematochimici generali soprattutto per la valutazione della funzione epatica e renale, i cui risultati saranno poi portati e visionati al prossimo incontro. Alla prima visita verrà effettuato l’esame impedenziometrico (BIA), per la valutazione della composizione corporea (massa grassa, massa magra, liquidi corporei) e la plicometria, per poi stilare una dieta su misura. I controlli successivi alla prescrizione della dieta saranno condotti mensilmente. Verranno monitorizzati i paramenti antropometrici, la composizione corporea e lo stato di salute del paziente. Questa dieta è ben tollerata dai pazienti, tuttavia, come tutte le terapie, anch’essa può presentare degli effetti collaterali come ad esempio nei primi giorni mal di testa, che in genere scompare una volta raggiunta la chetosi e stitichezza, dovuta alla riduzione del volume di cibo consumato. Per evitare situazioni di questo tipo è importante che il soggetto mantenga un elevato consumo di acqua durante la fase di dieta, intorno ai 2 litri giornalieri. E’ controindicata: nell’insufficienza epatica e renale, nel diabete tipo 1, nella cardiopatia severa di recente insorgenza.

La dieta chetogenica non può essere protratta indefinitamente nel tempo, la maggior parte degli studi suggerisce che il piano alimentare chetogenico venga utilizzato per un periodo di 8-12 settimane dopodiché sarà elaborato un piano alimentare mediterraneo per consentire il mantenimento dei risultati ottenuti. L’indicazione a seguire la dieta deve essere sempre posta dal medico specialista che valuterà caso per caso indicazioni e controindicazioni. La dieta chetogenica è un trattamento non farmacologico efficace per diversi tipi di pazienti ed utile in differenti patologie in primis per gli Obesi ma studi promettenti ne dimostrano l’efficacia anche nel trattamento della Sindrome metabolica e del Diabete mellito di tipo 2 dove la dieta è un aspetto integrante del trattamento, con miglioramenti rilevanti nel quadro clinico e metabolico dei pazienti trattati e con possibilità di ridurre la terapia medica in corso. La dieta chetogenica, quindi, si configura come un ulteriore importante strumento per alcuni pazienti grazie alle molteplici potenzialità evidenziate dalla letteratura scientifica sia a livello clinico che metabolico.