Memoria come palinsesto

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GAIA CARAMELLINO FEDERICA DOGLIO MEMORIA COME PALINSESTO intervista a o KENNETH FRAMPTON 10 Loqui LetteraVentidue

INTRODUZIONE

Pierre-Alain Croset

KENNETH FRAMPTON, ARCHITETTO.

NOTE PER IL LETTORE

INTERVISTA

Inghilterra, 1949-1965: gli esordi

Architectural Design (AD), 1962-1965: la redazione

Stati Uniti, 1964-1966: il passaggio transatlantico

Princeton - Columbia dal 1965:

insegnare in America

1960-2023: scrivere di architettura

L’intuizione dell’architetto della Città-Stato, 1962

Incontri con l’Italia:

dialoghi a partire dagli anni Cinquanta

Sulle scuole di architettura oggi

Parlare di critica di architettura oggi

APPARATI

Bibliografia Biografia 7 15 21 32 38 42 54 63 70 96 103 111 118
INDICE

INTRODUZIONE

Pierre-Alain Croset

DAStU, Politecnico di Milano

Kenneth Frampton è quasi certamente lo storico dell’architettura che più di ogni altro ha influenzato positivamente lo sviluppo dell’architettura contemporanea negli ultimi cinquant’anni: questo è successo grazie ai suoi libri di grande successo, tradotti in numerose lingue, ma anche grazie al suo insegnamento universitario e alla sua continua e intensa attività come critico militante che ha promosso e fatto conoscere architetti spesso finora quasi del tutto sconosciuti. Come ben evidenzia questo libro, frutto di un lungo e appassionato dialogo a distanza tra l’Italia, gli Stati Uniti e l’Inghilterra, questa influenza durevole è probabilmente dovuta anzitutto al fatto che Frampton non sia solo uno storico. O meglio, come lui stesso afferma: “Anche se ho indossato il mantello dello storico di architettura, ho sempre scritto con la mente di un architetto”.

Decisivi per la sua formazione di architetto e di futuro storico furono non solo l’ambiente molto stimolante e aperto dell’Architectural Association alla fine degli anni 1950, ma anche e soprattutto l’occasione di entrare nel 1962 nella redazione di Architectural Design e di iniziare ciò che Frampton ricorda come “sicuramente il periodo più arricchente e produttivo della mia vita”, con le giornate divise tra il pomeriggio in redazione e il mattino come progettista nell’ufficio di Douglas Stephen & Partners. In questo ufficio, Frampton era stato responsabile del progetto dell’edificio residenziale Corringham a Bayswater nel centro di Londra (1960-62), vicino ad Hyde Park, dal 1998 classificato come “monumento storico di secondo grado”. Mosso dalla curiosità di conoscere questa “opera prima” del giovane Frampton, ho scoperto1 un’architettura straordinariamente complessa e innovativa, con una brillante e intelligente sezione che consente di distribuire ogni appartamento su quattro semi-livelli con un doppio orientamento, in questo modo offrendo una grande qualità abitativa a livello dei migliori esempi di housing europeo negli anni Sessanta.

Anche se dopo essersi trasferito stabilmente negli Stati Uniti nel 1965 Frampton rinunciò quasi del tutto all’attività di progettista, continuò tuttavia

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KENNETH FRAMPTON, ARCHITETTO

NOTE PER IL LETTORE

Gaia Caramellino e Federica Doglio

Questa intervista si è costruita con modalità e in momenti diversi. Partendo da tre incontri, tre videointerviste condotte nell’estate del 2022, la nostra conversazione è proseguita attraverso uno scambio transatlantico che si è costruito attraverso un fitto carteggio e numerose lettere, rigorosamente scritte su carta bianca, che Frampton ci ha inviato nel corso dell’ultimo anno.

I suoi dettagliati testi, attentamente assemblati con cura sulle pagine bianche, propongono una narrazione tematica, articolata seguendo una traiettoria biografica. I contenuti, in un primo momento strutturati attorno a tredici punti, sono stati organizzati in sezioni tematiche, intese come sintetici capitoli del libro. Questi ultimi sono il prodotto della meticolosissima scrittura in Inglese nata dalla penna di Frampton, e di una successiva traduzione in Italiano, ma, soprattutto, sono il prodotto di un intenso scambio di pagine, parole e idee che vanno a comporre le traiettorie di questo libro intervista.

La stampa di questa serie di conversazioni ci costringe a interrompere questo dialogo in un preciso momento, anche se il nostro scambio è continuato, e tuttora prosegue, aggiungendo con ogni lettera (sempre scritta a penna con inchiostro nero) parole, aneddoti, precisazioni.

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Uno degli intenti di questo libro è di rendere accessibile ad un pubblico ampio alcuni passaggi, alcuni momenti cruciali della biografia di Frampton che hanno influenzato la produzione di categorie critiche conosciute, come, per esempio, quelle di “regionalismo critico” o di “tettonica”.

Questa è un’occasione per portare in Italia la voce di Kenneth Frampton, senza alcun dubbio uno dei più significativi ed influenti storici dell’architettura contemporanea, ma anche un critico e un docente che ha formato e influenzato diverse generazioni di architetti, dall’America all’Asia, passando per l’Europa.

“Scrittura” è forse un termine ampio, ma non generico, che restituisce il suo lavoro di storico, critico e di docente: nelle pagine che seguono, così come in diverse altre occasioni, lo stesso Kenneth Frampton per descriversi sceglie di utilizzare il termine “scrittore”, proprio perché include tutte le dimensioni del suo articolato e complesso lavoro, iniziato negli anni Cinquanta in Europa, e precisamente a Londra.

Proprio nella capitale inglese, dopo gli anni della formazione all’Architectural Association (AA), Frampton si avvicina all’attività professionale lavorando come architetto, e collabora con diversi studi, tra i più significativi lo studio Douglas

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Stephen and Partners. La tesi che qui si sostiene è che sia proprio “la mente dell’architetto”, che siano i suoi preziosissimi anni trascorsi all’AA, insieme alla pratica della professione, ad aver strutturato il suo modo di guardare il mondo e il suo modo di scrivere di architettura. Kenneth Frampton è prima di tutto un architetto. E questo è sempre stato un tratto distintivo della sua opera, che sicuramente lo distingue da altri storici e critici della sua generazione. Inoltre, come sottolineato anche nella più recente pubblicazione dedicata alla sua opera, una preziosa raccolta di scritti in suo onore, Modern Architecture and the Lifeworld. Essays in Honor of Kenneth Frampton (2020), nessuno come Kenneth Frampton ha influenzato tante generazioni di architetti, di nuovo, dall’Europa, alle Americhe, all’Asia, all’Africa. Per quanto riguarda il panorama italiano, ci riferiamo sicuramente alle edizioni italiane di testi come Verso un Regionalismo Critico. Sei Punti Per Un’Architettura di Resistenza (1983), a Tettonica e Architettura. Poetica della forma architettonica del XIX e XX secolo (1992), fino a L’altro Movimento Moderno (2015), oltre alle prefazioni da lui scritte per numerosissimi studi monografici su architetti contemporanei.

I disegni inseriti all’interno delle pagine del libro pongono l’accento sul Kenneth Frampton architetto,

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sulla sua “thinking hand” per usare le parole di Juhani Pallasmaa, e sul suo modo di lavorare. Quello di un architetto che ha “indossato il mantello dello storico, del critico e del docente universitario”.

I disegni qui pubblicati provengono quasi interamente dagli archivi del Canadian Centre for Architecture di Montreal (CCA), dove è custodito il suo lavoro di docente e di studioso.

Il titolo è l’esito di uno scambio continuo tra gli autori e, nella versione proposta inizialmente da Frampton, conteneva la parola écfrasi. Il termine sintetizzava la natura, l’intento e i temi di questa conversazione: la descrizione dettagliata di luoghi, di persone, di esperienze, di tempi, che Frampton ripercorre e che andranno a costruire le traiettorie di questo libro, collezionando tasselli di memorie emerse durante le nostre conversazioni. Ma può anche essere interpretato come un omaggio di Frampton alla cultura greca, anche architettonica, cara all’autore, che, da sempre, considera il cuore della sua idea di Regionalismo Critico.

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Desideriamo ringraziare, in primo luogo, Kenneth Frampton per la sua grande generosità, per il tempo e la cura che ha dedicato a tutte le nostre conversazioni. Un ringraziamento particolare va anche a Mary McLeod, per il suo sostegno e la sua guida, costanti nel corso degli anni e per averci fornito questa preziosa occasione di dialogo. Ringraziamo infine Pierre-Alain Croset per il suo contributo introduttivo. Inoltre, tutti coloro che hanno letto i testi in corso d’opera e ci hanno sostenute in questo progetto.

Torino, Settembre 2023

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GAIA CARAMELLINO FEDERICA DOGLIO intervista a KENNETH FRAMPTON

La nostra conversazione con Kenneth Frampton inizia online nel giugno del 2022, per continuare fino all’agosto dell’anno successivo, in un susseguirsi di incontri su Zoom, di lettere scritte a mano e anche di email per affrontare le questioni più urgenti. Nel frattempo Kenneth Frampton si trasferisce da New York a Londra, dove ritorna a vivere dopo circa sessanta anni trascorsi negli Stati Uniti. E proprio da Londra inizia la nostra intervista.

INGHILTERRA, 1949-1965: GLI ESORDI

Partiamo dal periodo della tua formazione: dove tutto è iniziato? Dove è nato il tuo interesse per il mondo dell’architettura?

Ho iniziato a studiare architettura alla Guilford School of Art, a circa quaranta miglia da Londra, nel 1949, dove ho avuto come docenti, tra gli altri, i soci fondatori dello studio inglese Brownrigg & Turner, un gruppo che oggi è confluito successivamente nello studio londinese di Scott Brownrigg.

Brownrigg stesso aveva frequentato la Bartlett School of Architecture, all’University College di Londra: molti dei giovani insegnanti e assistenti

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part-time si erano formati in quella scuola.

Tra questi, ricordo Peter Hatton, assistente di David du Roi Aberdeen, l’architetto dell’edificio del quartier generale del Trade Union Congress (TUC) a Londra, in Russell Street. Si tratta di un edificio ispirato alla tradizione Bauhaus, che ben rappresenta il clima culturale del Regno Unito dopo la seconda guerra mondiale, quando gli Inglesi avevano eletto per la prima volta un governo socialista.

È alla Guildford School of Art che ho colto, sotto questa influenza della Bartlett, l’ethos dell’educazione architettonica inglese Beaux-Arts. Ricordo uno dei primi elaborati che mi hanno chiesto di produrre: la rappresentazione di una colonna ionica con le tecniche dell’incisione e dell’acquerello, completa di ombre e chiaroscuri, su carta Whatman.

Ripercorrendo la tua traiettoria biografica, all’inizio degli anni Cinquanta decidi di lasciare la Guilford School of Art per studiare architettura a Londra, e precisamente all’Architectural Association (AA): come l’ambiente intellettuale di questa scuola e come il clima multiculturale londinese del dopoguerra ti hanno influenzato?

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Nel 1950 mi sono trasferito a Londra. L’AA è stata un’esperienza totalmente nuova per me, anche in relazione alla “cultura di classe” della società britannica del tempo. Infatti, lì ho incontrato per la prima volta studenti che avevano ricevuto un’educazione migliore della mia, che provenivano dal sistema della “scuola pubblica”; una definizione che è fuorviante poiché le cosiddette scuole pubbliche erano, e sono ancora di fatto, private, a pagamento, sono istituzioni che non ricevono assistenza dallo Stato. Inoltre, provenendo da una città di provincia a sud di Londra, la capitale è stata per me un’esperienza eccezionalmente arricchente, soprattutto perché all’AA ho avuto il privilegio di far parte di una cerchia di ex studenti delle “scuole pubbliche” particolarmente sofisticati e talentuosi, molti dei quali hanno intrapreso brillanti carriere come architetti professionisti. Tra questi, ricordo, per esempio, John Miller, Patrick Hodgkinson e Neave Brown. Ciò che i primi due riuscirono a realizzare nelle prime fasi delle loro carriere, subito dopo la laurea, è apparso nel libro British Buildings del 1965, curato da me e da Douglas Stephen, illustrato con le fotografie di Michael Carapetian. Questo libro presentava anche la documentazione di un intero edificio residenziale di otto piani con appartamenti duplex, che io ho progettato e

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seguito in tutte le fasi, compresa la costruzione, risalente alla prima metà degli anni Sessanta, quando lavoravo per Douglas Stephen & Partners. Questo edificio è ora classificato come “monumento storico di secondo grado” all’interno del patrimonio architettonico inglese, anche per il sistema complesso di collegamento tra i diversi piani, risolto tramite una struttura di scale “a forbice”.

La AA School di Bedford Square, fondata nel 1847, era un’istituzione cosmopolita e sofisticata, relativamente piccola, che era già stata un centro propulsore per la cultura architettonica moderna inglese negli anni tra le due guerre, in particolare negli anni Trenta, fin dai tempi di Anthony Cox, uno dei fondatori dello studio Architects’ Co-operative Partnership (ACP). I membri dello studio ACP sono stati anche miei professori di progettazione al secondo anno e lo stesso Anthony Cox è stato uno dei principali redattori della pionieristica rivista scolastica Focus. Qui, Cox avrebbe scritto una brillante critica dell’Highpoint II di Berthold Lubetkin, condominio londinese costruito nella zona di Highgate.

Negli anni in cui io l’ho frequentata, l’AA si distingueva per il suo corpo docente cosmopolita che includeva, tra gli altri: il critico Robert Furneaux Jordan, che era il direttore nel nostro primo anno,

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Charles Burchard e Henry Elder, provenienti dagli Stati Uniti e dal Canada, Enrique de Piero, dello studio associato James Cubitt & Partners, l’architetto tedesco emigrato Arthur Korn, che scrisse il libro History Builds the Town (1953), l’architetto americano Michael Powers, Leo de Syllas dell’ACP, e Peter Smithson. In quegli anni hanno insegnato all’AA anche E. Maxwell Fry e Jane Drew, dirigendo il primo corso della cosiddetta “Tropical School”. Con loro abbiamo progettato abitazioni per i climi monsonici caldi e umidi (tipici dell’India) e altre per i climi tropicali caldi e secchi (tipici dell’Africa occidentale). Questo risale all’immediato periodo post-coloniale, in cui molti architetti inglesi lavoravano nelle ex colonie. La nostra generazione ha avuto come docenti di ingegneria strutturale lo stesso Ove Arup, specializzato in strutture in calcestruzzo, e Felix Samuely, specializzato in strutture in acciaio. I nostri docenti di storia dell’architettura erano Robert Furneaux Jordan e Sir John Summerson. Quest’ultimo era allora direttore del Museo Soane e abbiamo avuto il privilegio di averlo come guida alla visita del museo stesso. Proprio per Summerson ho scritto un saggio, che fu molto ben accolto, sulle chiese londinesi di Nicholas Hawksmoor, dopo averle visitate e studiate tutte con attenzione.

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In una serie di conversazioni con Gaia Caramellino e Federica Doglio, Kenneth Frampton ripercorre la sua articolata traiettoria biografica che si delinea tra Europa e Nord America a partire dagli anni

Cinquanta. Sin dai primi dialoghi emerge come “la mente dell’architetto” abbia influenzato il suo metodo di insegnamento, la definizione delle sue categorie critiche e la scrittura delle sue storie.

Le questioni emerse mettono in discussione la posizione che la storia può avere per la formazione e la pratica dell’architetto oggi, in un momento di “crisi” e di ridefinizione del suo ruolo.

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