Amancio Williams

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DANIEL TIOZZO

INDICE

PREMESSA

PARTE I

IL PROGETTO PER ANTITESI.

Immensità misurabile

Sulla forma sublime

Progresso conservatore

Sulle relazioni tra tecnica, verità e progetto

Ambiguità trasparente

Sulla figura del quadrato e il labirinto

Dipendenza autonoma

Sulle relazioni con Le Corbusier

PARTE II

La Casa sul ruscello, Mar del Plata, 1943-45

Il Padiglione di servizio, Mar del Plata, 1943-45

La Casa nel parco, Mar del Plata, 1943

Una lettera di Amancio, 1943

Prima lettera di Williams a Le Corbusier, 1946

Risposta di Le Corbusier a Williams, 1946

Seconda lettera di Williams a Le Corbusier, 1946

Architettura e urbanistica del nostro tempo, 1949

L’arrivo del Graf Zeppelin a Buenos Aires, 1951

Le

Roberto

La

L’ESPERIENZA DI
MAR DEL PLATA
E ANALISI
INTERPRETAZIONE
PARTE III ANTOLOGIA DEGLI SCRITTI
città di oggi, 1958
Marx
Burle
, 1961
nuova era, 1961 Omaggio a Le Corbusier, 1965 6 10 12 30 58 80 112 144 116 146 164 126 152 165 132 155 167 158 169 171 176

Claudio Williams

Su mio padre

Luciano Semerani

Abitare per costruire

Pablo Williams

Amancio Williams e il Monumento per Berlino

Luis Müller

Tre ospedali per Corrientes: antitesi, invenzione e sistema

Gino Malacarne

Techo alto, Bóveda cáscara. Declinazioni dello spazio ipostilo, una invenzione di Amacio Williams

PARTE IV CONTRIBUTI
Bibliografia Biografia Indice dei nomi 178 180 186 190 216 196 220 208 222

PREMESSA

AMANCIO WILLIAMS PROGETTARE PER ANTITESI 6

Nelle pagine che seguono si delinea un percorso di ricerca ricco di rimandi, di intrecci e di relazioni, che si è sviluppato durante il dottorato in Composizione Architettonica effettuato tra il 2010 e il 2013 presso l'Università Iuav di Venezia e che vede come protagonista la figura dell’architetto argentino Amancio Williams.

Un personaggio atipico nel panorama dell’architettura moderna che non mancherà di stupirvi.

A trentacinque anni dalla sua morte, il suo approccio all’architettura, i suoi progetti e le sue teorie rimangono, in buona parte, ancora inesplorati. La produzione critica, composta quasi totalmente da pubblicazioni sudamericane, risulta esigua e finora non ha garantito una sufficiente e doverosa diffusione all’importante testimonianza rappresentata da Williams.

Questa ricerca, attraverso l’analisi di due progetti significativi, cerca di sondare e scoprire il mondo complesso e straordinario che è alla base dell’opera del maestro argentino.

Il primo dei due progetti racchiude in sé due edifici, entrambi realizzati: la Casa sul ruscello, la sua architettura più nota e il Padiglione di servizio, una piccola dependance destinata ai domestici.

Il secondo progetto, che non venne mai realizzato, riguarda una terza abitazione: la Casa nel parco.

Parliamo quindi di tre residenze, progettate nel medesimo anno, il 1943, e nello stesso luogo, a poca distanza una dall’altra, racchiuse in uno spazio circoscritto, quello del Parco Pereyra Iraola di Mar del Plata. Queste caratteristiche, temporali e spaziali, ci inducono comprensibilmente a ipotizzare, per entrambi i progetti, scelte compositive e figurative similari. La realtà ci consegna invece una dimensione assai più complessa e affascinante. I progetti sono estremamente diversi e la loro analisi puntuale ci permette di cogliere la grande ricchezza compositiva che contraddistingue, fin dai primi anni di attività professionale e dalle prime esperienze, l’architettura di Amancio Williams.

Quella che riscontriamo è una maniera di operare che appartiene a una rara quanto inusuale dimensione progettuale. Una dimensione che si fonda su continue contrapposizioni, su logiche antitetiche capaci di dar vita a soluzioni sorprendenti e del tutto uniche.

Non è forse una contraddizione e, al contempo, una risposta singolare, posizionare una casa, che rimanda al concetto di stabilità, sopra un elemento come un ruscello, in continuo movimento?

7 PREMESSA

L’obiettivo di questo studio è comprendere questa straordinaria abilità di Williams nell’utilizzare e nell’accostare concetti e principi all’apparenza contrapposti. Si sono analizzate le vicende e i fatti della storia. Si è rapportato l’architetto alla terra d’origine e alla natura, relazionandolo, inoltre, con il mondo artistico e architettonico delle avanguardie europee, approfondendo in particolar modo i legami con Le Corbusier, da lui stesso definito suo grande maestro.

Prima di proseguire nella lettura è utile chiarire l’approccio metodologico di questa ricerca.

Un primo livello di lettura ha permesso di individuare e scomporre le parti principali che caratterizzano ogni progetto. Questo lavoro è risultato essenziale per comprendere la natura della struttura che regola la composizione e al contempo facilitare l’accesso a un secondo e più profondo livello di lettura.

Ogni parte anche se decontestualizzata ha portato alla luce una propria specificità, un proprio bagaglio di riferimenti e di mondi molto spesso avvolti da quell’apparente contraddizione che associamo a Williams. È qui che emergono le antitesi che motivano la tesi alla base di questo volume. Ciò che sembra un’architettura “semplicemente” tecnica, risultato di un approccio di stampo ingegneristico, svela la notevole complessità di un processo compositivo recondito, quasi “segreto”.

Il progetto per antitesi, è così il frutto di un modello compositivo subliminale capace di tenere assieme visioni antagoniste e per questo in grado di generare un’autentica alternativa. Quella che Williams definisce a ragione una pura invenzione.

Il suo proposito è spingere più in là l’umanità e alzare l’asticella del possibile.

Sia chiaro, non vi è segno di presunzione, ma piuttosto di una grande fede nelle potenzialità di sviluppo di quello che egli definisce un mondo nuovo.

I progetti di Mar del Plata, come del resto tutta la sua produzione, perseguono tale direzione. A ciò si sommano il desiderio e la necessità di fondare una nuova identità architettonica per il suo Paese. Un percorso che si evolve e sviluppa sulle tracce di un mondo precedente, di esperienze e conoscenze passate. L’idea di architettura di Williams non si fonda quindi sul concetto di “tabula rasa”. É una scelta che lo accomuna a Le Corbusier, ma anche ad architetti che hanno lavorato in Sudamerica come Antonio Bonet o Lina Bo Bardi.

Desumere l’identità specifica di un progetto che ricorre a una composizione basata sull’antitesi, può sembrare

AMANCIO WILLIAMS PROGETTARE PER ANTITESI 8

complicato. In verità, attraverso un rigoroso studio analitico, diventa chiaro come l’antitesi non sia il frutto di una semplice circostanza fortuita determinata dalla sommatoria di temi diversi, ma sia effettivamente la modalità con la quale Williams si approccia al progetto con l’intendo di ricercare un “nuovo inizio”.

Va inteso pertanto che, in riferimento alle velleità invenzioniste di Williams, si rimanda all’abile capacità di formulare proposte dall’alto coefficiente di originalità. Un’originalità non quale presupposto del diverso, dello strano e irrelato, quanto piuttosto espressione dell’origine, per dare risposta alla necessità di incontrare un principio d’identità e appropriatezza.

Un percorso simile a quello di Lina Bo Bardi in Brasile, con la differenza che le architetture non rimandano a un sogno irrazionale di stampo surrealista, quanto a una speranza nel progresso dalla natura divina.

Lo spessore delle scelte riscontrate alimenta la necessità di rivalutare l’opera nel suo complesso. In pochi hanno saputo legare con tanta maestria temi che tuttora persistono al centro del dibattito culturale e del progetto di architettura. Le relazioni tra natura e artificio, la giusta dimensione del rapporto tra l’uomo e la tecnica sono solo alcuni di questi temi. I testi di Williams, in questo libro per la prima volta tradotti in italiano e alcuni inediti, sono carichi di speranza; uno strumento quasi obbligatorio da sottoporre ad ogni studente e professionista che si cimenti nella lunga strada dell’architettura.

Nota per il lettore

Il lavoro qui presentato si suddivide in quattro parti.

La prima, di carattere teorico, affronta quattro tematiche fondamentali per comprendere la strategia compositiva di Williams. La seconda parte supporta l’impianto teorico con un lavoro di reinterpretazione e ridisegno dei due progetti al centro della ricerca. La terza contiene una selezione dei testi più utili a comprendere l’opera del maestro argentino. Le traduzioni si rifanno a documenti raccolti presso l’archivio della Fondazione Le Corbusier e l’Archivio Williams. L’ultima parte raccoglie alcuni preziosi contributi. Le riflessioni, diverse anche per approccio, di Luis Müller e Gino Malacarne, dei figli di Williams, Pablo e Claudio, e del compianto Luciano Semerani, rendono più interessante e completo lo sguardo sull’opera di Williams, rafforzando la grandiosa capacità della sua architettura di esprimere valori collettivi con sapienza e dignità.

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PARTE I IL PROGETTO PER ANTITESI. L’ESPERIENZA DI

MAR DEL PLATA

PROGRESSO CONSERVATORE
Joseph Mallord William Turner, Rockets and Blue Lights (Close at Hand) to Warn Steamboats of Shoal Water, 1840. © Clark Art Institute

IMMENSITÀ MISURABILE

(Sulla forma sublime)

Nel chiudere questa visione d’insieme della bellezza sorge naturale l’idea di paragonarla col sublime, e in questo paragone appare notevole il contrasto. Gli oggetti sublimi sono infatti vasti nelle loro dimensioni, e quelli belli al confronto sono piccoli; se la bellezza deve essere liscia e levigata, la grandiosità è ruvida e trascurata; la bellezza deve evitare la linea retta, ma deviare da essa insensibilmente; la grandiosità in molti casi ama la linea retta, e quando se ne allontana compie spesso una forte deviazione; la bellezza non deve essere oscura, la grandiosità deve essere tetra e tenebrosa; la bellezza deve essere leggera e delicata, la grandiosità solida e perfino massiccia. Il bello e il sublime sono davvero idee di natura diversa, essendo l’uno fondato sul dolore e l’altro sul piacere, e per quanto possano scostarsi in seguito dalla diretta natura delle loro cause, pure queste cause sono sempre distinte fra loro, distinzioni che non deve mai dimenticare chi si proponga di suscitare passioni.

13
Burke E., A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful, Londra 1757, trad. it. Inchiesta sul Bello e il Sublime, Aesthetica, Palermo 2006, p. 135.

UN PAESAGGIO TRA TUTTI: LA PAMPA

Per comprendere la visione di Amancio Williams e in particolare il ruolo che ricopre la natura nei suoi progetti, sarà utile, se non addirittura necessario, provare a “guardare” come ha fatto lui.

Usare quegli stessi occhi che hanno saputo immergersi in quel paesaggio, la pampa, che tanto influenzò lui e tutta la cultura argentina, diventando l’icona di un intero Paese. Ciò è facilitato dal fatto che la pampa è l’estensione più prossima di Buenos Aires.

Un luogo che i portegni1 caricano di figure perlopiù rare e antiche. Il paesaggio della loro tradizione, quasi mitologico.

Amancio Williams nasce a Buenos Aires nel 1913, nel mezzo di una stagione, iniziata nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, nella quale l’Argentina gode di una sempre maggiore prosperità e importanza dovuta in primo luogo a una economia volta all’esportazione. Sono anni in cui la popolazione complessiva aumenta di sette volte grazie soprattutto all’arrivo di immigrati europei.

Le città valicano i limiti abituali obbligando il paese a una puntuale organizzazione che passa necessariamente dal confronto con i temi della vastità, delle grandi dimensioni e dell’appropriazione del vuoto. Ed è la natura, infatti, sia essa selva, deserto o ancor meglio, proprio la pianura pampeana, ad assumere le sembianze del vuoto nell’immagine collettiva del tempo. Al progresso, in quell’ultimo scampolo di ventesimo secolo e al tempo futuro, percorso da un nascente sentimento nazionalista, è lasciato il compito di occupare e riempire quel vuoto assordante che fino a poco tempo prima rappresentava nient’altro che la maestosità della natura.

Anche per questa ragione, come sottolinea Graciela Silvestri2, il conformismo dettato dalle nuove ragioni nazionaliste annulla pluralità geografiche e storiche preferendo dare un’immagine generica della pampa, un’immagine che al contempo risulta potente, sublime, capace di rientrare in un’ottica funzionale all’idea di nazione che via via si consolida nel paese. Si riesce a trasformare qualcosa di piatto, spoglio quasi noioso nell’icona di un popolo. Si intuisce la

1. Abitanti di Buenos Aires.

2. Per un approfondimento sulle modalità in cui l’arte e l’architettura sono state testimoni delle difficoltà di esprimere l’immensità pampeana si veda il saggio di Silvestri G., La pampa come el mar, in “La Biblioteca” n. 7, Buenos Aires 2008.

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necessità di dare a quel paesaggio pampeano una forma che non può che essere sublime.

Tuttavia, se teniamo a monito le considerazioni di Edmund Burke, che a metà del settecento pone il sublime tra le questioni fondamentali dell’estetica, notiamo come sia proprio di forme che è carente il sublime. Non vi è calcolo, misura, geometria e pertanto forma. Nel sublime manca tutto ciò che ci dà modo di ponderare e valutare razionalmente.

La ricerca formale si fa intrigante e complessa e diventa materia di studio per l’architettura del ventesimo secolo. Anche per queste ragioni Le Corbusier si cimenta nella ricerca di opportunità che un territorio di tali caratteristiche può mettere a disposizione. Egli ricorda la sua prima impressione, una volta giunto a ridosso delle coste sudamericane, di fronte a Rio de Janeiro, a bordo del transatlantico Massilia, nel 1929:

Urbanizzare in questo luogo equivale a riempire la botte delle Danaidi! Tutto sarebbe assorbito da questo paesaggio violento e sublime. L’uomo non può far altro che inchinarsi e impiantare alberghi turistici. Rio? Una città di villeggiatura! E a Buenos Aires, davanti all’aridità totale, all’assenza di tutto, questo nulla che forma un buco immenso di spazio, che sembra non trovare ostacoli se non nella Cordigliera delle Ande, ecco – pensavo – un luogo fatto per sollecitare l’uomo a lavorare, per sublimare le sue idee, per esaltare il suo coraggio, per provocare atti creativi, per destare la sua fierezza, per far nascere una civiltà. Su quel niente, bisogna tentare di costruire la città del Ventesimo secolo! E tanto peggio per Rio!3.

Le Corbusier, attraverso le sue parole, ci conferma concetti chiari sulla natura del paesaggio. La terminologia usata è figlia di un ambito culturale dove i principi e le considerazioni di Burke sembrano essere ormai consolidati. Il paesaggio per Le Corbusier è per l’appunto sublime e violento nelle coste brasiliane ed è un buco immenso di spazio nella pampa portegna. La stessa immensità, lo stesso vuoto alle spalle di Buenos Aires rappresenta un paesaggio del tutto sublime. Se da un lato a Rio de Janeiro l’uomo si ritrae a piccoli gesti, dall’altro, dove emerge la vastità del vuoto pampeano, l’uomo raccoglie la sfida del creare. Quella sfida che, per l’appunto, gli fa immaginare Buenos Aires come una metropoli dal futuro grandioso.

3. Le Corbusier, Précisions sur un état présent de l’arcbitecture et de l’urbanisme, Crès, París 1930, trad.it. Precisazioni sullo stato attuale dell’architettura e dell’urbanistica moderna, Laterza 1979.

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IMMENSITÀ MISURABILE

Amancio Williams, Casa sul ruscello, 1943-1945. Per gentile concessione di Claudio Williams, Archivio Williams.

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29 IMMENSITÀ MISURABILE
László Moholy-Nagy, Composition A II, 1924.

AMBIGUITÀ TRASPARENTE

(sulla figura del quadrato e il labirinto)

Ossessivamente sogno di un labirinto piccolo, pulito, al cui centro c’è un’anfora che ho quasi toccato con le mani, che ho visto con i miei occhi, ma le strade erano così contorte, così confuse, che una cosa mi apparve chiara: sarei morto prima di arrivarci.

59
Borges J. L., L’Aleph, Adelphi, Milano 1998.

L’INFLUENZA DELLE AVANGUARDIE EUROPEE

La pubblicazione della rivista “Arturo”, avvenuta nel 1944, svela e afferma una realtà artistica ormai matura che da anni si va consolidando, prendendo in prevalenza spunti e riferimenti dalle avanguardie europee.

Lo stesso Maldonado, leader del movimento concreto-invenzionista, ricorda le pubblicazioni che iniziarono a circolare a Buenos Aires a partire dagli anni Trenta e che lo catapultarono in una dimensione totalmente nuova e motivante. Riferendosi al catalogo della mostra Cubism and Abstract Art realizzata a New York nel 1936 egli afferma:

Questo catalogo mi mise in contatto, non per la prima volta (ma quasi), con le opere, riprodotte in bianco e nero, di Mondrian, Van Doesburg, Vantongerloo e dei costruttivisti russi Malevič, Tatlin, Rodchenko ed El Lissitzky1

Di sicuro lo stupore e l’ammirazione di Maldonado sono sentimenti diffusi tra tutti coloro che si avvicinarono in vario modo al movimento concreto in Argentina e lo stesso interesse è da associare anche a un giovane Williams frequentante il mondo universitario.

Per arricchire l’analisi sulla composizione di Williams è quindi importante vagliare quegli aspetti che lo legano alle avanguardie europee, soffermandoci in particolar modo su quella sovietica.

L’avanguardia russa, di fatto, si identifica fortemente con le idee che portano alla rivoluzione d’ottobre del 1917, spingendo l’arte a convertirsi in uno strumento fondamentale per sostenere la creazione di un nuovo Paese, in quanto capace di coinvolgere l’intera popolazione. Basti pensare che a pochi mesi dalla rivoluzione, in uno stato ancora scosso dagli eventi bellici, il dipartimento di Belle Arti colloca nei ruoli chiave molti artisti avanguardisti con lo scopo di organizzare una vita culturale e artistica dalla quale far emergere una nuova società.

Vi sono distinte correnti che sostengono la rivoluzione in maniera anche contrapposta, ma tutte perseguono lo stesso obiettivo, quello di avviare un processo di trasformazione in tutti i campi: arte, cultura, politica. Alcuni come Malevi e El Lissitzky, risultano punti di riferimento anche al di fuori dei confini nazionali.

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1. Intervista a Tomas Maldonado realizzata da Giacinto Di Pietratonio, in “Flash Art”, n. 151, Milano 1989.

In Argentina, per esempio, a distanza di qualche decennio, diversi artisti si mettono alla prova con le prime sperimentazioni plastiche d’ispirazione “russa”. Ne è un esempio Maldonado che nel ‘45 si cimenta in Sin titulo, (la prima opera concreta) che rimanda in maniera chiara a Malevi e precisamente all’opera Quadrato rosso e quadrato nero

Malevi , attraverso l’idea di Suprematismo, arriverà a sostenere che l’arte è espressione pura senza rappresentazione.

Solo la sensibilità è essenziale e merita di essere espressa attraverso l’opera d’arte. Al contrario, le apparenze esteriori della natura non meritano alcun interesse e pertanto non devono essere rappresentate.

Il fatto che Malevi sia stato tra i primi a evidenziare il problema della rappresentazione, indicando delle possibili risposte, fa sì che il suo pensiero venga considerato, negli ambienti portegni, come un punto di partenza importante da cui trarre spunto per ulteriori ricerche formali. Vi è, in un certo senso, il desiderio di mutuare contestualmente non solo la dimensione artistica, ma anche lo spirito innovatore e radicale figlio della rivoluzione russa.

La ricerca delle forme del mondo nuovo, che così ardentemente stimola Williams, trova un altro appiglio con cui confrontarsi e a cui ispirarsi.

L’architettura, come l’arte, è ormai pronta e matura per partecipare attivamente alla trasformazione dello status-quo,

Kazimir Severinovič Malevič, Quadrato rosso e quadrato nero, 1915.

Tomás Maldonado, Sin titulo, 1945.

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AMBIGUITÀ TRASPARENTE

Amancio Williams, Casa nel parco, 1943, Mar del Plata. Prospettiva della corte interna. Fondo A.W. © CCA

Le Corbusier, dipinto su cartone dedicato ad Amancio Williams, 1947. Fondo A.W. © CCA

DIPENDENZA AUTONOMA

(sulle relazioni con Le Corbusier)

Il vuoto totale. Ma non è così. La natura ha donato questo incontro della Pampa con l’Oceano, su di una linea piatta, infinita. Qui l’uomo esiste per agire, per manifestare se stesso. Pertanto, Buenos Aires, pura creazione umana, pura creazione dello spirito, blocco immenso eretto dall’uomo, nell’acqua del Rio, in piedi nel cielo d’Argentina. In questa speranza vi è qualcosa di inebriante, di nobile. Che incitamento, che invito al viaggio!

Le Corbusier, Précisions sur un état présent de l'architecture et l'urbanisme, Georges Crès & Cie, Parigi, 1930, trad, it. Precisazioni sullo stato attuale dell‘architettura e dell‘urbanistica, Laterza, Bari, 1979, p. 228.

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Amancio Williams, Aeroporto di Buenos Aires, 1945. Prospettiva. Fondo A.W. © CCA

inciso, con le proprie idee e i propri progetti, sulla vita professionale di Williams. La dipendenza del secondo si fa ancora più lampante quando si esaminano i temi di ricerca progettuale, molto spesso identici. Tuttavia va fatta definitiva chiarezza sul concetto di dipendenza.

Se assumiamo come base per la nostra riflessione l’etimologia del termine, ci accorgiamo che dipendere (dal latino de-pendere) significa provenire, prendere origine. Di fatto, in questo caso, la dipendenza di Williams nei confronti di Le Corbusier, è vissuta dallo stesso come una normale conseguenza di affinità e pensiero.

Gli insegnamenti sono assorbiti da Williams in maniera del tutto lineare, alla stessa stregua di come potrebbe farlo un discepolo devoto.

Non a caso, nella prima lettera inviata a Le Corbusier, Williams inizia definendolo immediatamente con il termine maestro, che implica profondo rispetto e gratitudine. Egli precisamente scrive:

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Mio caro e gran maestro: colui che le scrive è un uomo che Lei non conosce e che la conosce attraverso la pubblicazione delle sue opere. Le scrivo per ringraziarla per tutto quello che ha fatto per l’umanità [...]10.

Tuttavia tale dipendenza (devozione) non si dimostra come una semplice adesione ai principi lecorbuseriani privi di soggettività e rielaborazione, ma, anzi, è in grado di emanciparsi sviluppando una propria autonomia creativa. Per questo possiamo parlare di “dipendenza autonoma”, di un’eredità rivalutata che possiamo far risalire alle pagine di Précisions.

89
10. Williams A. a Le Corbusier, corrispondenza del 23 gennaio 1946, FLC.
DIPENDENZA AUTONOMA
Amancio Williams, Aeroporto di Buenos Aires, 1945. Schizzi. Fondo A.W. © CCA

PARTE II

INTERPRETAZIONE E ANALISI

La struttura ponte

La soletta e il parapetto

La scelta tipologica: l'evoluzione della casa chorizo

L’arco e i setti

La sequenza delle stanze

La galleria distributiva

Il basamento su cui insistono i vani d’ingresso

Il patio

118
0 5 m

Gli elementi in copertura

Il solaio

La struttura

119
5 m
La copertura 0

PRIMA LETTERA DI WILLIAMS A LE CORBUSIER

Buenos Aires, 23 gennaio 1946

Carissimo e grande maestro,

Chi le scrive è un uomo che lei non conosce, ma che La conosce attraverso le sue opere pubblicate.

Le scrive per ringraziarla per tutto ciò che ha fatto per l’umanità e per lui stesso. Sono un uomo che, dopo un’infanzia piena di allegria e di immaginazione, è stato travolto dal vortice di una società decadente, che non sa esprimersi né comprendere i nostri tempi. Durante questo periodo della mia vita ho studiato ingegneria per tre anni, ho costruito una casa a 19 anni, ho condotto una vita insulsa arricchita da attività come la navigazione, l’aviazione, la vita di campagna, ecc.

Nel 1938, a 25 anni, un fortissimo desiderio di cercare la verità mi ha portato a rompere ogni rapporto con la società che mi circondava. Ho ritenuto che l’ambito più appropriato per esprimere a pieno ciò che sentivo era l’architettura, perché vi trovavo aspetti umani: sociali, tecnici, economici, politici, plastici... e tutto questo con grandi potenzialità artistiche.

Sono stato ammesso alla Escuela de Arquitectura dell’Università di Buenos Aires, dove ho trovato la stessa società accademica dalla quale desideravo allontanarmi.

In tre anni e mezzo ho completato i sei anni di studi, opponendomi sempre ad ogni forma di accademismo, riducendo così al minimo il tempo di contaminazione.

Alla fine di questi studi sono venuto a sapere di lei per caso. Di lei non si parlava in Facoltà, i suoi libri non circolavano, e quasi non restava nessun ricordo della sua visita a Buenos Aires. Ho saputo di questa visita solo una volta lasciata la Facoltà.

Tra l’altro, appena ho saputo della sua esistenza, ho fatto tutto il possibile per procurarmi i suoi libri e per cercare tutto ciò che fosse legato a lei. Ho esplorato ogni libreria di Buenos Aires, dove ho potuto trovare qualcosa, e ho scritto più volte e in diversi modi a Paesi sudamericani, agli Stati Uniti e all’Inghilterra per chiedere i suoi libri, senza mai ricevere una risposta. Ho anche cercato, attraverso le autorità della Facoltà, di trovare le risorse per farla venire fino a qui (immaginavo attraversasse una situazione difficile-1940), ma ho ottenuto dal Preside solo 1.500 pesos. Al termine degli studi nel 1941 ho sposato Delfina Gálvez, anche lei architetto, che mi ha accompagnato nel corso dei miei primi lavori, ma che ora ha dovuto

AMANCIO WILLIAMS PROGETTARE PER ANTITESI 152

allontanarsi dalla professione per dedicarsi alla cura e all’educazione delle tre bambine che abbiamo avuto nel frattempo.

Più tardi ho conosciuto architetti che erano stati suoi allievi.

Il caos in cui il mondo è sprofondato, l’accademismo che regna ovunque (anche su alcuni suoi discepoli) e la necessità di salvare l’umanità, mi spingono a cominciare, senza perdite di tempo, lavori di revisione dei valori, di sintesi, alla ricerca della verità. Queste ricerche hanno dato i loro frutti e sono sempre state fatte per diventare concrete. Lentamente, intorno a questi progetti, è nato un vero e proprio Studio. Per poterne far parte si esigono straordinarie doti morali e di buona fede.

Attualmente i lavori del nostro studio non mirano a fornire soluzioni concrete, ma a fissare dei criteri generali.

I miei primi lavori sono stati nel campo plastico, dell’architettura e dell’urbanistica.

Oggigiorno le attività e le ricerche dello Studio abbracciano anche campi più vasti come la teologia, la filosofia, la sociologia, l’economia ecc. La mia personale ricerca della verità mi ha condotto verso la Chiesa Cattolica e attribuisco grande importanza al compimento di questa tappa.

Lo studio è formato da uno splendido gruppo di persone di talento. I più giovani hanno terminato gli studi universitari da un anno, mentre gli altri sono figure di grande valore e formazione, dotati di senso creativo e che lavorano anche in altri campi.

Lo studio è straordinariamente vivo. Il lavoro di ognuno ispira quello degli altri. Dobbiamo sopportare una lotta terribile per poterci mantenere puri, senza scendere a compromessi. In alcuni momenti ci ha sostenuto solo la Provvidenza.

Abbiamo avuto molte possibilità di costruire, ma non abbiamo realizzato nulla perché non siamo stati in grado di superare la resistenza locale, frutto dell’accademismo o di altro ancora peggiore. Credo che da qui a un anno le necessità del nostro Paese renderanno possibile la realizzazione di queste opere.

La Signora Jane Bathory, che parte domani per la Francia, si è gentilmente offerta di portarle alcuni dei miei lavori. Non le mando molte cose a causa della mancanza di tempo per preparare delle copie e per la difficoltà nel reperire materiale fotografico a Buenos Aires. Le mando solo ciò che ho a portata di mano, che in linea di massima, fa parte dei miei primi lavori. In questi studi mi ero proposto di lavorare con la massima libertà nello spazio, il che mi avrebbe permesso di dare all’arte plastica il suo pieno valore e indirizzare la tecnica verso soluzioni spaziali in grado di risolvere il lavoro con la massima purezza. In sintesi, questo senso spaziale dell’architettura mi permette di rispondere ai problemi posti dall’urbanistica.

Attualmente i lavori del nostro studio non mirano a fornire soluzioni concrete, ma a fissare dei criteri generali. Più avanti le invierò questi lavori tra i quali figurano quelli che trattano i temi dell’urbanistica.

Mi è giunta voce che è molto occupato con la ricostruzione dell’Europa e con incarichi del Governo francese per la ricostruzione della Francia.

153 ANTOLOGIA DEGLI SCRITTI

SU MIO PADRE

Sono molti gli studenti universitari, di corsi di primo o secondo livello, provenienti da università e scuole di tutto il mondo, che si rivolgono al nostro archivio per richiedere informazioni sul lavoro di Amancio Williams. Informazioni generali, ma anche su argomenti specifici e particolari. È interessante notare che quasi tutti desiderano soffermarsi su due aspetti della personalità di mio padre che catturano la loro attenzione. Da un lato, i suoi processi di progettazione e disegno, e dall’altro la forte presenza della tecnologia in tutto il suo lavoro.

Per quanto riguarda i suoi processi di disegno, in generale, questi studenti o ricercatori sperano di trovare probabilmente un approccio grafico lineare e coerente dal quale poter dedurre il processo creativo. In realtà da questi si scopre che Williams non era un grande disegnatore, ma aveva un’immensa capacità di immaginare ed elaborare mentalmente tutti i suoi dettagli. Arrivava in studio e “dettava” le sue idee, con incredibile meticolosità, a un collaboratore che le trasferiva su carta, e poi insieme le perfezionavano. Non c’è un’evoluzione creativa di tipo grafico nelle sue opere.

È notevole la somiglianza tra i primi schizzi o bozze di quasi tutti i suoi progetti e il loro risultato finale. Non ci sono evidenti cambiamenti e modifiche nei suoi disegni tali da suggerire un’evoluzione del pensiero ideativo e compositivo. Concepiva le sue idee nella sua mente e poi, semplicemente, le sviluppava e le rappresentava. Ed è attraverso questa espressione grafica delle sue opere che ha tirato fuori tutta la sua capacità di sintesi e la sua sensibilità plastica.

I suoi disegni hanno sempre risposto a un problema formulato con precisione. Se il problema da risolvere era posto con lucidità, la soluzione era generalmente molto chiara e quasi ovvia. Nella Casa sul ruscello, l’obiettivo era quello di posizionare la casa senza alterare la natura del luogo e, a sua volta, dare unità alle due parti del lotto separate dal ruscello.

AMANCIO WILLIAMS PROGETTARE PER ANTITESI 180
Settembre 2019

L’intuizione di una struttura-ponte come risposta al problema fu quasi ovvia. Poi è arrivato lo sviluppo del progetto e il suo perfezionamento finale.

Nella Sala per lo spettacolo plastico e il suono nello spazio, la sezione, a forma di ali aperte di farfalla, risponde a un modello acustico matematico, con l’obiettivo principale di ottenere il massimo bilanciamento del suono in un ambiente chiuso. La geometria della sezione della sala è definita da una curva che assicura ad ogni spettatore di ricevere la stessa qualità e quantità di suono. Pur con proporzioni variabili di suono diretto o riflesso tutti ricevono la stessa qualità e, al contempo, godono della stessa visione.

Il progetto realizzato con Walter Gropius per l’ambasciata tedesca fu anche una risposta alla necessità di preservare la qualità e la continuità dello spazio urbano, dato che questo edificio sarebbe stato costruito in Plaza Alemania. Così decisero che l’intera area pubblica dell’ambasciata sarebbe stata interrata e l’intera area privata, invece, elevata, sostenuta da colonne alte e sottili.

In questo modo, è stato mantenuto un ampio campo visivo che attraversava l’edificio, sia per i pedoni che per gli automobilisti. Da questo presupposto si sviluppò la soluzione architettonica.

Amancio Williams, sala per lo spettacolo e il suono nello spazio, 1942-1953. Sezione con studio acustico. Fondo A.W. © CCA

181 CLAUDIO WILLIAMS

ABITARE PER COSTRUIRE

La casa, nell’Europa centrale, è uno stereotipo, a volte nobilitato dalla poesia. Penso a Tessenow e a Taut, teorici dell’“oggettività”.

Anche Max Bill ed Amancio Williams si propongono una ricerca dell’oggettività, che per Williams è la “verità”.

Ma l’esito è opposto. La “verità” per Bill e Williams risiede nell’“invenzione dell’opera”, non nella “tradizione consolidata del tema”.

Ci sono case, nella breve storia del movimento moderno, che a prima vista, come quella di Amancio Williams a Mar del Plata, non sono propriamente case d’abitazione. Penso alla Villa Savoye nella campagna di Poissy, a casa Tugendhat, alla periferia di Brno.

Inoltre, come nella Casa sulla cascata, a Bear Run, in Pennsilvania, la costruzione di Amancio Williams rinuncia alla solidità del rapporto con la terra e incorpora l’idea dell’acqua, che è un elemento dinamico, perché chiaramente questa “casa” vuol essere un “ponte”.

Molti hanno già scritto che queste monadi sono prodotti maniacali dell’egocentrismo degli architetti che hanno avuto la chance di poter inventare non certo un nuovo modo di “abitare” ma solo di sperimentare un nuovo modo di “costruire”. A me pare inutile, dopo che tutte le stramberie di questo mondo si sono contese lo spazio metropolitano, da Londra a Shanghai, da Parigi a Dubai, porci il quesito della liceità di queste quattro case, che come tante altre non hanno forse corrisposto del tutto alle aspettative dell’abitante. Piuttosto bisogna cercare di capire i dispositivi progettuali che hanno portato degli architetti geniali a costruire degli oggetti così inconsueti. E questo, cercar di capire, è quello che riesce a fare questo lavoro di ricerca, diventato libro, di Daniel Tiozzo.

Queste quattro non-case che ho indicato non nascono dal posto, sono oggetti che si appoggiano al terreno, come calati

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Agosto 2019

da un altro pianeta e lo fanno sì diventare “luogo” (òikos) ma in un modo imprevisto. Le Corbusier usa una scatola bianca, sospesa su pilotis, che viene modellata con sottrazioni e decorazioni e traforata in più direzioni nell’involucro e nel corpo. Una cosa cubista, sosteneva Giedion, ma qui non c’è lo strazio della violenza e della deformazione dei ritratti di Picasso, c’è piuttosto la trasparenza fenomenica dell’artificio prezioso e neoclassico del ninnolo d’alabastro, del gioiello d’ambra.

Mies, a sua volta legittimamente neoclassico, perché erede di Karl Friedrich Schinkel, adotta la trasparenza materiale, eliminando del tutto l’involucro che non solo è vetro ma può essere fatto rientrare nel pavimento. Nel vuoto galleggiano dei nuclei, frammenti elegantissimi del comfort irrinunciabile in una vita di successo.

Amancio Williams, col fantasma di Le Corbusier, sostituisce i pilotis con un trapianto diretto della struttura arcuata di un ponte svizzero, su cui colloca con un potente aggetto, quello che potrebbe essere un elegantissimo container, o un vagone dell’Oriente Express, interamente segato da una finestra a nastro.

Restano, a testimoniare l’avvenuta antropizzazione del posto, solo le linee orizzontali che guidano la percezione calma della campagna.

Wright incastra natura e artificio attraverso la complementarità indissolubile del volume stalagmitico con lo spazio aereo e introduce lo scroscio e il precipitare dell’acqua tanto da rendere paradossalmente magica l’opera di antropizzazione.

Se i soffitti delle terrazze fossero stati rivestiti, come da progetto, in foglia d’oro il baluginare dei riflessi avrebbe ancor più contribuito alla smaterializzazione dei corpi nella fluidità dello spazio.

Amancio Williams, col fantasma di Le Corbusier, sostituisce i pilotis con un trapianto diretto della struttura arcuata di un ponte svizzero, su cui colloca con un potente aggetto, quello che potrebbe essere un elegantissimo container, o un vagone dell’Oriente Express, interamente segato da una finestra a nastro.

La scatola è pesante nel davanzale, sottile nel tetto.

Un fatto saliente è in tutti questi casi la sparizione del tema, canonico nella “casa” d’abitazione, della facciata

La Terra, che è la riserva di energia di tutto ciò che cresce, non partecipa a questi modelli di antropizzazione del “luogo”. L’oggetto si svolge nello “Spazio”. E si rivolge allo

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Lina Bo Bardi, Museo d’arte di San Paolo (MASP), 1968.

Amancio Williams, Casa sul ruscello, 1943-1945, Mar del Plata. Prospettiva di studio e dettagli della porta d’entrata. Fondo A.W. © CCA

Spazio. Uno “Spazio cosmologico” non uno spazio geometrico o topologico.

I due massicci pilastri cavi che sostengono la soletta nervata del pavimento del salone della Casa in Mar del Plata anticipano, nella loro forza ciclopica, i due appoggi mastodontici che anni dopo Lina Bo Bardi userà nel trilite del “Museu de Arte” di San Paolo del Brasile.

Nell’architettura sudamericana non è mai venuto meno l’ardimento strutturale. Esso costituisce l’essenza della dimensione simbolica dell’atto del “costruire”.

L’unicità dei materiali, un cemento armato estremamente curato, scrive l’autore, ma lo si legge bene anche nelle immagini fotografiche di quel numero 16 della rivista Zodiac che per prima in Italia dedicò un ampio spazio all’opera di Williams, la perfezione dei dettagli interni, nel disegno dei serramenti di finestra, dei corrimano, delle doppie scale d’accesso sono tutti fatti che, pur nella loro francescanità, trasmettono l’orgoglio della forma perfetta, e appartengono a quella civiltà dell’architettura sudamericana che ha avuto dei veri Maestri di una appassionata ricerca di autenticità.

In sintesi è proprio a questa invenzione di un abitare autentico, forse a scapito della stessa appropriatezza, che si deve l’anticonformismo di una generazione di intellettuali-architetti, che nella prima metà del XX secolo hanno reinterpretato, personalizzandola nell’oggetto, un tutt’uno di interno/ esterno/luogo, l’idea della “costruzione”.

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TRE OSPEDALI PER CORRIENTES: ANTITESI, INVENZIONE E SISTEMA

Nel 1948 l’Argentina stava attraversando il primo governo di Juan D. Perón. L’anno precedente era stato varato il primo “piano quinquennale”, che sulla scena internazionale del secondo dopoguerra mirava a riposizionare il Paese promuovendone l’industria, sostituendo le importazioni e attivando l’economia attraverso un intenso programma di opere pubbliche. In ambito sanitario si distinse il Segretario della Sanità Pubblica, il Dott. Ramón Carrillo, che nel 1949 venne nominato Ministro quando la sua segreteria fu promossa al grado di ministero.

L’organizzazione del Ministero della Sanità in questo contesto richiedeva una struttura in grado di progettare e gestire i lavori da intraprendere, e per questo fu istituita una commissione consultiva tramite la delibera n. 2.253 del 3 luglio 1947, nella quale fu nominato l’architetto Amancio Williams come consigliere, carica onoraria che avrebbe lasciato l’anno successivo per dedicarsi alla progettazione di tre ospedali che, nell’ambito del vasto piano di opere del governo, sarebbero stati costruiti all’interno della provincia di Corrientes.

Sebbene Williams nel 1951 avesse consegnato i progetti con i loro calcoli e tutte le informazioni necessarie per indire una gara d’appalto per la loro costruzione, gli ospedali non furono mai costruiti. Una possibile causa della loro mancata realizzazione – nonostante molti altri progetti del Ministero della Salute riuscirono ad essere realizzati – fu il progressivo allontanamento del dottor Carrillo dal centro del potere politico. La Fondazione Eva Perón portava avanti progetti di azione sociale che si sovrapponevano al settore sanitario, portando a una lotta per le risorse economiche e simboliche che costrinse Carrillo a dimettersi nel 1954. Di conseguenza, gli ospedali di Corrientes furono dimenticati, nonostante gli sforzi dell’architetto per promuoverne la realizzazione.

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Tuttavia, pur essendo rimaste sulla carta, le novità introdotte da Williams ci permettono di intendere questi progetti come un’avanzata esplorazione progettuale, legata alle più innovative tendenze internazionali, mentre un elemento sviluppato in quell’occasione, la struttura che fu chiamata “volta a conchiglia”, con il tempo guadagnò autonomia e trascese la sua origine per diventare un’immagine iconica che rappresenta l’architetto come un marchio distintivo.

Antitesi

Il dottor Ramón Carrillo aveva idee ben precise su come dovevano essere gli ospedali che sarebbero stati costruiti durante la sua amministrazione: riservava quelli di tipo “blocchi in altezza” per i grandi centri urbani, mentre per le comunità più piccole avrebbero dovuto avere uno sviluppo orizzontale. Queste e altre premesse erano state annunciate attraverso conferenze e bollettini che mise in circolazione e che nel 1951 riunì nei due tomi che furono pubblicati sotto il titolo Teoria dell’ospedale1. Il secondo volume trattava le de-

1. Carrillo R., Teoría del Hospital. Tomo I Arquitectura - Tomo II Administración, Departamento de talleres gráficos del Ministerio de Salud Pública de la Nación, Buenos Aires 1951.

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Amancio Williams, prospettiva degli ospedali, 1948-1953. Fondo A.W. © CCA

In alto: Amancio Williams, progetto per la Scuola Industriale a Olavarría, 1960.

In basso: Amancio Williams, progetto per una Stazione di servizio per Automotores Avellaneda, 1954-1955.

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esemplari sulla costa del Rio de La Plata, come doppio tributo a Williams e al cambio di millennio (Vicente López, Claudio Vekstein, Claudio Williams, 2000) e quelli presso “El Molino. Fabbrica culturale”, dove un insieme di 13 elementi costituisce una piazza semicoperta (Santa Fe, 2010. Governo della provincia con la consulenza di Claudio Williams).

Questo è uno dei pochi casi, se non l’unico in Argentina, in cui un pezzo architettonico viene riprodotto in più occasioni, con finalità diverse e persino decenni dopo la morte del suo autore, dando luogo ad una condizione di esistenza autonoma. Forse con questo possiamo affermare che l’accoppiata colonna/volta a conchiglia è installata in un luogo che probabilmente Amancio Williams è arrivato a considerare: l’invenzione di un nuovo ordine, un ordine moderno.

Lidy Prati e Amancio Williams posano su una delle conchiglie con lo sfondo dello skyline della città di Buenos Aires.

© Archivio Williams

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LUIS MÜLLER

Amancio Williams (1913-1989)

è uno degli esponenti più importanti e originali della cultura argentina e del movimento moderno; tuttavia la sua architettura rimane in parte ancora inesplorata.

La produzione critica in Italia non sempre ha garantito una sufficiente diffusione della sua rara quanto inusuale dimensione progettuale, fondata su antitesi capaci di dar vita a soluzioni sorprendenti e uniche.

Questo volume è un‘occasione per riscoprire le strategie tecniche e compositive di Williams, in grado di rispondere ai temi e alle esigenze della contemporaneità.

Il libro conta su un repertorio di immagini inedite, su un ricco contributo teorico e su una esegesi critica del suo modus operandi, accompagnata da schemi e analisi re-interpretative.

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