Il Legionario n.81

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IL LEGIONARIO

Redazione:

Reg. N.10 del 11/05/07 Tribunale di Torre Annunziata

Mauro Manni Francesca Cuomo Alfredo Garofalo Marco Venerucci Diego Angelino Alessandro Proietti Alfredo Cinquina Maurizio Malvolta Aldo Galvagno Alessio Milone Sara Sandorfi Alessio De Silvestro Nicola Ceolin

Direttore Responsabile: Elena Sorrentino Progetto grafico: Elena Innocenti Copertina: Andrea Paolini Sito Internet: www.illegionario.com Email: laredazione@illegionario.com La collaborazione al settimanale è libera e gratuita


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di Elena Sorrentino C’erano 22 giocatori in campo, 3 romanisti e il resto del mondo. Quando gioca la nazionale non ho alcun sintomo che possa lasciar intravedere anche una piccola scintilla di passione per quella squadra. E’ un fatto che non so spiegare, ma è così. I sentimenti non si spiegano, ci sono e basta. Allora accendo la tv un po’ in ritardo, quando già l’Italia era sull’uno a zero. Ascolto un po’, mentre faccio altre cose al computer e sento che il primo gol l’ha segnato Aquilani. Senza pensarci troppo mi dico: “pensa te se pareggia Vucinic” e intanto continuo a fare altro. Il Montenegro sfiora il gol del pareggio, ma poco dopo ecco il telecronista (non so il nome, io come voce riconosco solo quella di Carlo Zampa) che si agita perché c’è un’azione in contropiede del Montenegro. Alzo lo sguardo e Mirko si sta involando verso la porta avversaria. Gol. “Bella Mirko” dico ad alta voce. Erano più di due settimane che non vedevo così tanti gol della Roma. Allora smetto un po’ di fare altro e mi guardo la partita, sperando che ora segni Daniele. Invece è ancora Alberto ad insaccare. Poco male. Un altro gol della maggica. Poi De Rossi sbaglia il retropassaggio e Mirko sbaglia un gol fatto e mi incavolo con entrambi. In un secondo due errori giallorossi. Il solito calo di tensione e il solito piatto. Poco male, Daniele, Alberto e Mirko giocano bene. Spero sempre nel gol di De Rossi o in un altro di Vucinic. Alberto crossa dalla destra, Daniele si lancia sul secondo palo e da posizione impossibile colpisce il palo, maledizione!!! Poteva essere il poker!!! Ci godiamo il tris di questi assi giallorossi, in attesa del re.

elenasorrentino@illegionario.com


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L'argomento pag. 5

Sotto a chi tocca da pag. 9

In & Out pag. 16

Chelsea pag. 18

Editoriale . . . . . . . . . . . . . .pag. 3

Triplice fischio . . . . . . . . pag. 13

L'argomento . . . . . . . . . . . pag. 5

Look at forum . . . . . . . . . pag. 14

Point of view . . . . . . . . . . . pag. 6

In & Out . . . . . . . . . . . . . . pag. 16

Sotto a chi tocca . . . . . . . . pag. 9

Chelsea . . . . . . . . . . . . . . pag. 18 Via del Sudario . . . . . . . . pag. 20


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di Diego Angelino

"Il romanista (Aquilani N.d.R.) non può continuare a nascondersi nel guscio di eterna promessa, perchè a 24 anni ha il dovere di mostrare la stessa personalità che il suo compagno De Rossi, nato soltanto 12 mesi prima, ha evidenziato con largo anticipo". Scriveva così Alberto Cerruti su La Gazzetta dello Sport di ieri – Mercoledi 15 – augurandosi inoltre che Aquilani “battesse un colpo”. Di colpi il Nostro ne ha battuti due, ciliegine su una prestazione di classe e personalità. Due caratteristiche che al centrocampista giallorosso non mancano, anche se qualcuno si diverte sempre a tirar fuori il paragone con De Rossi – chissà perché, eh? – dimenticandosi sempre di analizzare un dato fondamentale: Aquilani, da quando è rientrato a Roma nel 2004 dopo l’anno in prestito alla Triestina, ha avuto problemi muscolari in ogni stagione. Quindi è evidente che è più difficile crescere e maturarsi saltando quattro mesi all’anno per infortunio. Nonostante questi problemi (che speriamo siano definitivamente alla spalle), Aquilani ha sempre saputo ritagliarsi il suo spazio, migliorandosi di stagione in stagione e fornendo spesso grandi prove (pensate a Madrid, a proposito di classe e personalità). Stiamo parlando di un centrocampista completo, col lancio di cinquanta metri ed il tiro da fuori – sia di destro che di sinistro – che gioca sempre con la testa alta e che ha una grandissima capacità di inserimento. E quest’ultimo - a mio avviso - è un passaggio molto importante. Infatti sono da sempre convinto – nonostante lui possa benissimo fare il regista accanto a De Rossi, proprio in virtù della visione di gioco e del suo lancio lungo e preciso – che si possa esprimere al meglio qualche metro più avanti, diciamo dove siamo stati abituati a vedere Perrotta in questo triennio spallettiano, alle spalle del centravanti.

Perché in quella posizione – credo – riesce a dare il meglio di sé, avendo un piede “dolcissimo” e quindi sfruttando nel modo migliore la sua grande capacità di inserimento. Anche il primo gol di ieri sera arriva perché lui è bravissimo a seguire l’azione ed è abile ad avventarsi come il più consumato degli attaccanti su quel pallone vacante. La prima rete contro il Montenegro è solo l’ultima di una lunga serie realizzata dal numero otto giallorosso grazie agli inserimenti (basti pensare al vantaggio contro il Napoli nella prima gara di questa stagione oppure alla doppietta messa a segno contro l’Inter nella sfortunata finale di Supercoppa del 2006). Ora senza nulla togliere a Perrotta – elemento importantissimo nell’ultimo triennio e centrocampista in grado realizzare 8 gol in una sola stagione - credo si debba fare un’attenta valutazione della posizione in campo di Aquilani nel 4-2-3-1, soprattutto con l’imminente ritorno di Pizarro. Comunque – è indiscutibile – ben vengano i problemi generati dall’abbondanza di soluzioni che quest’anno non abbiamo affrontato praticamente mai. Concludendo su Aquilani, Alberto è stato bravo anche nelle dichiarazioni del dopogara: “ci vuole equilibrio nel calcio. Dopo una due partite giocate male piovono subito le critiche. Ma non mi sono abbattuto per cose piuttosto pesanti dette in questi giorni e non mi esalto ora”. La chiusura la vorrei dedicare a Mirko Vucinic, leader assoluto della sua nazionale e autore di una grandissima prova condita con gol: personalmente sulle sue qualità tecniche mai avuto dubbi - anche quando quasi tutti dicevano che ricordava Musiello: con la grinta di ieri sera, fa venti gol a stagione. Forza Roma! diegoangelino@illegionario.com


6 di Francesca Cuomo

Le ultime prestazioni della Roma, tra entusiasmo (a Bordeaux) e sconcerto (a Siena) hanno lasciato molte perplessità sulla condizione atletica dei calciatori ma anche sull'effettiva efficacia del mercato estivo. La giostra dei commenti però, più che sull'aspetto concreto e tattico, ha coinvolto principalmente le responsabilità dell'allenatore Luciano Spalletti. Le critiche rivolte al tecnico sono state per lo più indirizzate verso il suo probabile abbandono alla fine della stagione. Il momento critico sarebbe cioè colpa di una sua sostanziale mancanza di entusiasmo che si ripercuote anche su alcuni elementi dello spogliatoio, provocando prestazioni disastrose. Opinioni non condivise da tutti, per il direttore del “Corriere dello sport”, Alessandro Vocalelli: “Vedendo giocare la Roma a Siena avevo voglia di coprirmi gli occhi. Le colpe però non possono essere solo dell'allenatore: la Roma ha molti giocatori di un certo valore, basta fare due conti su tutti quelli che sono in nazionale. Spalletti ha fatto degli errori nella gestione dei giorni di ferie e per quel famoso viaggio a Parigi. La società invece ha acquistato ciò che ha potuto. Ma alla fine sono i calciatori ad andare in campo e sono loro che devono prendersi certe responsabilità. Non hanno alibi”. Analisi generale quella di Franco Melli che, inevitabilmente, coinvolge anche le colonne portanti dello spogliatoio: “Il grande calcio nasce al nord, a Milano e Torino. I calciatori nati a Roma, se vogliono fare una grande carriera, devono andare via: quelli che restano lo fanno per pigrizia o per comodità che, con il tempo, finisce per fare del male a loro e alla squadra. La Roma, dal 1927 ad oggi, non ha avuto continuità nei risultati positivi ma solo poche annate o brevi cicli. Adesso il ciclo di Spalletti si è esaurito; questa stagione non sarà buona come le ultime e, chissà quando, ricomincerà un altro ciclo positivo”. Per Gianfranco Teotino invece: “Sono convinto che la Roma tenendo Totti ha guadagnato, sia sotto il profilo umano che professionale. Con De Rossi la storia può ripetersi. I romani romanisti, fino a questo momento, hanno fatto grande la Roma”. Enrico Maida, da attento osservatore, ha individuato nel “fattore tempo” il problema di aggregazione della Roma: “De Rossi

Melli: "Il grande calcio nasce al nord"

Teotino: "I romani romanisti hanno fatto grande la Roma"


7 parla da leader e con grande carattere. La vicenda Spalletti-Chelsea può essere un problema solo tra la società e il tecnico, non è credibile che questo possa turbare i calciatori. L'attrito con la società, se c'è stato, mi sembra ampiamente superato e non credo possa incidere sul rendimento della squadra. Dopo un po' di anni è normale uno sfilacciamento nello spogliatoio perchè l'abitudine riduce l'entusiasmo e quindi la competitività”. Impegnato a criticare l'allenatore della Juventus, Claudio Ranieri, il direttore di Tuttosport, Paolo De Paola, trova anche il tempo di tessere le lodi di quello che viene indicato come papabile sostituto: “Spalletti è un buon allenatore; innanzitutto ha sempre manifestato grande rispetto a tutti i suoi colleghi, poi se ci sono problemi, catalizza su di sé le responsabilità senza mai scaricarle sui calciatori o sulla società”. Sempre sulla situazione delle panchine italiane, si esprime Ruggiero Palombo (Gazzetta dello sport): “La scelta di Spalletti di prendersi certe responsabilità sul momento critico della sua squadra è condivisibile ma anche abbastanza scontata. Non credo potesse fare altro. Ciò che non riesco a spiegarmi è il comportamento di Mourinho che fa la vittima: prima si è divertito ad arringare la stampa, adesso che non si diverte più dice di essere un martire. Forse sarebbe più giusto preoccuparsi del suo lavoro: voleva un Inter bella e con gioco di squadra ma, al momento, abbiamo visto solo un Inter di solisti, ancora più di quella di Mancini”. Poche idee ma ben chiare quelle di Ivan Zazzaroni: “La Roma vive un momento pessimo ma che è dovuto all'assenza dal campo di Totti e di troppi altri. Non possiamo pretendere dai giallorossi il gioco di sempre senza i giocatori di sempre”. La sosta per le nazionali e le tante convocazioni anche tra le fila della Roma, mette in luce anche il particolare momento di alcuni di loro. Per Franco Ordine (lunedì 13 - 10 - 2008): “Con tutto il rispetto e la stima che ho per Aquilani, mi pare che la sua crescita sia un po' troppo ritardata. Anche il fatto che Lippi non punti su di lui deriva proprio da questo. Il suo indiscutibile talento non è ancora venuto fuori”. Un profeta! Corsi, ricorsi e rincorsi!

francescacuomo@illegionario.com

Palombo: Mourinho ora fa la vittima

Ordine: Lippi non punta su Aquilani perchè il suo talento ancora non è venuto fuori". PROFETA!!!



9 di Alfredo Garofalo

Riparte la maratona fra Roma e Inter. All’Olimpico le due squadre si ritroveranno già per la seconda volta da quando è ripartita la stagione. La prima, il 24 agosto, a San Siro, nerazzurri e giallorossi si contesero la Supercoppa italiana. Dopo la lotteria dei calci di rigore il trofeo finì nella bacheca di via Durini. Ora il campionato offre ai capitolini l’occasione per una mini rivincita anche se la partita si arricchisce di significati ben più importanti. La Roma infatti ha già di fronte a se il match del dentro o fuori. Dopo sei giornate di campionato il divario che separa la formazione romanista dalla compagine meneghina, leader della classifica, è già di sei punti. Un ulteriore passo falso potrebbe tagliare fuori dai giochi la compagine allenata da Spalletti nonostante la stagione sia solo all’inizio. Un’inopinata sconfitta contro l’Inter peserebbe come un macigno su di un gruppo che è già tormentato da mille problemi. Anche l’undici di Mourinho non vive un periodo particolarmente brillante ma l’immenso organico a disposizione permette al portoghese di mascherare le difficoltà attraverso le forti individualità che ai nerazzurri di certo non difettano. Con numerosi infortunati, senza un gioco convincente e senza entusiasmare, il team lombardo è già in testa. Anche all’Olimpico, domenica sera, la squadra cara al presidente Moratti, si presenterà con alcune defezioni importanti. Mancherà certamente il francese Vieira che si è infortunato durante il ritiro con la sua Francia. Oltre al coloured vanno aggiunti gli indisponibili Figo, Jemenez e Maxwell. Inoltre bisognerà verificare le condizioni degli altri giocatori rientrati dagli impegni con le rispettive nazionali. Mourinho è preoccupato soprattutto per i sudamericani che torneranno solamente oggi. Tra questi, l’ex trainer del Chelsea potrà contare solamente su Adriano che, dopo la bella prestazione con il Venezuela, ha saltato il secondo impegno contro la Colombia in quanto squalificato. In difesa i nerazzurri recupereranno Chivu e Cordoba, oltre naturalmente a Burdisso, per cui non sarà necessario affrettare i tempi del rientro di Materazzi e Samuel. A centrocampo sarà uno

Ibrahimovic


10 fra Cambiasso e Stankovic a contendersi il posto lasciato vacante da Vieira. Il serbo appare leggermente favorito sul compagno di squadra che avrà meno tempo per smaltire il fuso orario. Completeranno il reparto mediano Zanetti e Muntari. In attacco Ibrahimovic ed Adriano sono i due punti fermi del tridente offensivo ideato da Mourinho. Si giocheranno una maglia Quaresma e Mancini, con il brasiliano che punta a giocare titolare di fronte al suo ex pubblico. Le sfide fra Roma e Inter sulle sponde del Tevere sono sessantatre. Ventisei volte i giallorossi si sono aggiudicati l’intera posta in palio contro i venti successi ottenuti dagli avversari. In diciassette casi l’incontro si è concluso con il risultato di parità. Nelle ultime due stagioni l’Inter ha trovato terreno fertile all’Olimpico dove si è imposta di misura nella stagione 2006/07 e con un rotondo 4-1 lo scorso anno. Alla Roma la vittoria tra le mura amiche con i nerazzurri in campionato manca dalla stagione 2003/04. Quella volta, nonostante l’arbitro Rosetti (sempre lui…sic!), i giallorossi si imposero per 4-1 grazie alle reti di Cassano, l’ex Mancini (2) e Totti. Il 41 è anche il risultato più roboante ottenuto dalla squadra romanista, mentre l’Inter è riuscita a fare meglio nella stagione 67/68 vincendo con un sonoro 6-2. Ma la partita più ricca di gol è stata quella della stagione 98/99: nove (5-4 in favore dell’Inter). In totale i gol giallorossi sono novantasette contro gli ottant’otto dei nerazzurri. I marcatori romanisti che all’ombra del Colosseo hanno timbrato più volte il cartellino contro l’Inter sono Montella, Balbo e Manfredini, tutti a quota quattro.

Mourinho

Nel ‘99 l’ultimo Zeman sfidò le magie di Roberto Baggio La trentunesima giornata della stagione 98/99 regalò un posticipo serale davvero pirotecnico. Niente di nuovo, a dire il vero, se si pensa che quella notte di maggio, a confronto, uno di fronte all’altro, si posero il modello calcistico “zemaniano” e la classe cristallina di Roberto Baggio. Due modi diversi di concepire il calcio: il collettivo, l’organizzazione tattica, gli schemi da un lato, l’individualismo e la genialità del singolo dall’altro. Non solo. Quella partita rappresentò, per certi versi, una resa finale fra due credo calcistici diametralmente opposti. Ne uscì sconfitta l’idea teorizzata dall’allenatore giallorosso che con l’Inter perse non solo i tre punti ma gran parte della credibilità, strettamente tecnica, che nel tempo si era costruito. La vittoria della squadra lombarda segnò probabilmente l’inizio del declino del trainer boemo (che per altre faccende avrebbe consumato la sua rivincita a distanza di anni). L’idillio fra Zeman ed il popolo giallorosso si spezzava definitivamente quella sera. Nei romanisti nasceva una nuova consapevolezza: l’integralismo del tecnico ceco non avrebbe mai portato a vincere qualcosa di concreto. Anche quella volta, infatti, alla Roma non bastarono quattro gol per battere l’Inter. I nerazzurri di Hodgson, che festeggiò nel miglior dei modi il suo ritorno sulla panchina meneghina, espugnarono l’Olimpico con il punteggio di 4-5. I giallorossi lottarono, combatterono, riuscirono a rimanere sempre attaccati al match ma nulla poterono di fronte alla grandezza di Roberto Baggio che per novanta minuti illuminò l’impianto capitolino. Da un suo lancio al 16’ prese forma il vantaggio nerazzurro firmato da Ronaldo che superò agevolmente l’impreparata difesa giallorossa e, dopo aver dribblato anche l’estremo difensore Konsel, depositò in fondo al sacco. Il “divin codino” si ripeté cinque minuti più tardi servendo su un piatto d’argento l’assist per il raddoppio di Zamorano. Totti, su rigore, ridusse lo svantaggio; ma la doppietta del cileno ristabilì nuovamente le distanze. Alla ripresa delle ostilità, una Roma trasformata impiegò tre minuti per recuperare il match con i gol di Paulo Sergio e Delvecchio. Ma i giallorossi, anziché frenare l’impeto, presero ad attaccare a testa bassa ed al 55’ furono puniti ancora una volta dal “Fenomeno”. Tutto da rifare. Al 78’ l’insperato pari di Di Francesco. La parola fine non era ancora scritta. La Roma pensò bene di riversarsi scriteriatamente nella metà campo avversaria a caccia del quinto gol che invece trovò l’Inter allo scadere con l’argentino Simeone che di testa indirizzò in rete un’altra pennellata di Baggio, l’ultima della partita. A fine campionato la Roma si piazzerà al quinto posto. Per Zdenek Zeman sarà l’ultima esperienza sulla panchina giallorossa. Il presidente Franco Sensi individuerà la via giusta per lasciare un segno nella Capitale nel cambio radicale della guida tecnica. Dall’anno successivo a condurre la compagine romanista ci sarà Fabio Capello.

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11 di Alfredo Garofalo

Le recenti missioni della Roma in Inghilterra hanno molto in comune con le avventure d’oltremanica del personaggio Dante Fontana raccontate nel celebre film di Alberto Sordi. Così come il modesto antiquario, anche la squadra giallorossa è sempre partita alla volta della Gran Bretagna con grandi propositi; ma come per il nostro robivecchi, anche per l’undici capitolino l’esperienza nella Perfida Albione, espressione coniata durante la Rivoluzione francese e ripresa dall’infame regime fascista, si è rivelata spesso amara. Nelle ultime due stagioni la compagine guidata da Luciano Spalletti ha conosciuto due cocenti sconfitte ed altrettante eliminazioni nei suoi viaggi in terra anglosassone. Il tecnico di Certaldo, questa estate, avrà sicuramente imparato bene l’inglese che potrà tornare utile a se stesso ed ai suoi uomini per evitare un’ulteriore figuraccia a pochi passi da Buckingham Palace. La sfida di mercoledì con il Chelsea offrirà l’occasione ai giallorossi di capovolgere la storia. Ma soprattutto la gara dello “Stamford Bridge”, con circa tremila tifosi al seguito, potrà concedere a De Rossi e C. l’opportunità di dare una sterzata ad una stagione troppo altalenante. In Champions la sconfitta inaugurale con il Cluj è stata parzialmente riscattata dalla vittoria allo ChabanDelmas. Ma se il risultato ottenuto nella patria del vino rosso è da prendersi come manna dal cielo, la migliore Roma, invece, è apparsa ancora molto lontana. Contro la squadra di Felipe Scolari servirà ben altra prestazione. Nonostante le difficoltà che pure i blues attraversano, sarebbe imperdonabile se i giallorossi sottovalutassero l’avversario. Il Chelsea, all’esordio in Champions League, ha strapazzato il Bordeaux fra le mura amiche ma ha incredibilmente sofferto in Romania contro l’undici di Trombetta che solo per poco non ha fatto un brutto scherzo anche alla corazzata di Abramovich. Anche per la squadra londinese le attenuanti non mancano. I numerosi infortuni infatti hanno impedito all’ex tecnico del Portogallo di schierare sempre la migliore formazione. In questo scorcio di stagione Scolari ha spesso rinunciato ai suoi uomini migliori. Drogba, Deco, Cole, Terry, Carvalho, Essien sono calciatori difficili da sostituire ed il Chlelsea ne ha

Anelka


12 risentito, seppur marginalmente anche nel suo cammino in Premier League. Nel campionato inglese i blues sono saldamente in testa insieme al Liverpool di Benitez. Cinque vittorie e due pareggi, entrambi allo “Stamford Bridge”, con Tottenham e Manchester United, hanno proiettato la squadra vice-campione d’Europa in vetta alla graduatoria. Le altre grandi sono già attardate, in particolar modo gli uomini di Fergusson stentano a sollevare la china. Contro la Roma, Felipe Scolari spera di contare su qualche giocatore in più. Di sicuro mancheranno Drogba ed Essien. Il capitano John Terry, invece, non ha risposto alla convocazione di Capello ma per la sfida di Champions farà di tutto per esserci. Da verificare le condizioni di Joe Cole, Deco e Carvalho. Probabilmente almeno uno dei tre potrà essere della partita ma molto dipenderà anche da chi scenderà in campo sabato pomeriggio nell’anticipo del “Riverside Stadium” con il “Boro”. Tra Roma e Chelsea esiste un solo precedente in una competizione europea. Le due squadre si sono affrontate il 22 settembre del 1965 in Coppa delle Fiere. A Londra i blues si imposero per 4-1 mentre al “Flaminio”, nel ritorno, finì a reti inviolate con tanto di sassaiola finale e tentativo di invasione di campo da parte del pubblico. Nel bilancio complessivo, la Roma nelle sue apparizioni in Inghilterra non ha mai avuto grande fortuna. Su ventiquattro trasferte oltremanica la Roma ha rimediato quattordici ko, la prima delle quali nel novembre del ’61 con lo Sheffield (4-0, reti di Fantham e tripletta di Young), mentre l’ultimo insuccesso è stato all’Old Trafford lo scorso aprile(1-0, gol di Tevez). Sono solamente tre le vittorie per la Roma nel Regno Unito. L’ultima agli ottavi di Coppa Uefa contro il Liverpool (0-1 firmato da Guigou) che però non servì ai giallorossi per passare il turno. Sono sette i pareggi. Il primo e forse il più dolce ci fu nella finale d’andata della Coppa delle Fiere contro il Birmingham (2-2, ai gol di Hallawell e Orritt rispose “Piedone” Manfredini con una doppietta). Un risultato che permise alla Roma di alzare il trofeo vincendo la gara di ritorno davanti al proprio pubblico.

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Quella volta allo “Stamford Bridge” brillò la stella di Venables Nella sua storia la Roma ha giocato una sola volta allo “Stamford Bridge”. Successe nel primo turno della Coppa delle Fiere edizione 65/66. Non un grande ricordo per la squadra giallorossa allenata da Oronzo Pugliese. L’undici capitolino venne travolto dalla formazione londinese che si impose con un perentorio 4-1. Un punteggio pesante che compromise qualsiasi speranza di rimonta da parte di capitan Losi e compagni nella gara di ritorno al “Flaminio”. Le reti da parte dei “blues” furono opera di Graham e di uno scatenato Terry Venables che mise a segno una tripletta. Quello che sarebbe in seguito diventato, alla metà degli anni novanta, l’allenatore della nazionale inglese fu protagonista in campo anche per una serie di episodi spiacevoli, come il pestone rifilato ad un giocatore della Roma accasciato a terra. La partita, infatti, fu molto dura e i ventidue giocatori, durante i novanta minuti, non persero occasione per scambiarsi reciproche “attenzioni”. Il gol della bandiera per la Roma fu firmato da Barison. alfredogarofalo@illegionario.com


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di Alessio De Silvestro

La partita in Bulgaria, finisce a reti bianche. L’Italia pareggia 0-0, contro la Bulgaria. Un punto che fa classifica, per il girone di qualificazione. Il pre gara inizia nella maniera peggiore, tutto il mondo è paese, e le tifoserie non si fanno i complimenti. Proprio l’atteggiamento, poco sportivo, fuori e dentro lo stadio, macchia una buona prestazione Azzurra. Si continua dopo gli scontri, con i fischi all’inno Nazionale Italiano. Tornando al calcio giocato, che è quello che ci piace di più, la squadra di Lippi si è ben comportata, in tutte le zone del campo. Gli Azzurri, rimangono primi in classifica, nel girone per le qualificazioni al Mondiale; e vanno avanti a vele spiegate. Lippi ha cercato di modificare la formazione iniziale, inserendo Pepe per l’infortunato Camoranesi e mettendo dentro subito Montolivo per Pirlo. La formazione che è scesa in campo, allo stadio Levski di Sofia, è composta da: Amelia, Zambrotta, Chiellini, Cannavaro, Dossena, Pepe, De Rossi, Montolivo, Gattuso, Di Natale, e Gilardino. Una buona Italia nel primo tempo, che prende le misure ai padroni di casa, e si propone in zona goal con il Gila. La prima frazione di gioco è molto tattica e con poche occasioni da ambo le parti. Il pubblico di casa risponde bene all’appuntamento con 50 mila presenti e incita i Bulgari, a fare la prestazione. Si va al riposo con la speranza di sbloccare il risultato nei secondi 45’ minuti. La Bulgaria, inizia il secondo tempo attaccando, gli Azzurri però non sembrano avere particolari problemi nel bloccare Berbatov e compagni. Gilardino manca di poco una deviazione di testa da due passi, su punizione di Pepe. Il risultato però non si sblocca e Lippi prova il triplo cambio: fuori Montolivo-Di Natale-Gilardino, dentro Giuseppe Rossi, Perrotta e Toni. Nel finale all’ 80’ minuto De Rossi, con un gran tiro dai 20 metri, sfiora l‘impresa. La partita finisce però con un discreto 0-0 tanto Pepe e sale in zucca. Forza Italia.

Alessio De Silvestro

L'Italia non sbanda contro il Montenegro. Nella partita di qualificazione, alle fasi finali di Lecce, gli Azzurri vincono 2-1. La formazione che scende in campo, contro Vucinic e compagni, è composta da: Amelia, Zambrotta, Cannavaro, Chiellini, Dossena, Gattuso, De Rossi, Aquilani, Pepe, Gilardino, e Di Natale. La partita inizia subito bene per l'Italia, che al 6' minuto del primo tempo segna proprio con Aquilani.Il centrocampista Giallorosso si riscatta delle critiche piovutegli addosso negli ultimi tempi e da grande giocatore, porta in vantaggio gli Azzurri. L'Italia vuole subito chiudere la pratica e si vede che è tonica e pronta fisicamente. Il Montenegro però da far suo, non vuole essere vittima sacrificale. Proprio negli uomini migliori, con Jovetic che inventa e Vucinic che conclude, al 16' minuto arriva il pareggio, in una classica azione di contropiede, Vucinic il capitano Montenegrino, infila Amelia in uscita. La squadra di Lippi però non si demoralizza e di nuovo Aquilani, al 28' minuto con la complicità di Tansijevic, mette alle spalle di Poleksic. Il primo tempo finisce con l'Italia che attacca e il Montenegro che cerca di ripartire in velocità. La ripresa inizia con lo stesso tema dei primi 45' minuti. L'Italia cerca di chiudere il Montenegro nella propria metà campo, e vuole il terzo goal. Aquilani inspirato serve al 50’ minuto, una palla goal a Gilardino, che si fa respingere il tiro da Poleksic. Passano i minuti e al 59’ minuto cambio nell'Italia: fuori Dossena e dentro Bonera, che si piazza sulla fascia difensiva destra, mentre Zambrotta si sposta a sinistra. L’Italia passa tutta per i piedi Romanisti e al 64’ minuto, Italia vicina al terzo gol: cross di Aquilani e colpo di testa in tuffo di De Rossi che si ferma sul palo. Lippi decide di dare respiro a Aquilani e al 65’ minuto arriva il cambio, in campo Perrotta. La partita vive di fiammate e entusiasma il Montenegro, nelle giocate di Jovetic e Vucinic. La partita volge alla fine al 75’ minuto ultimo cambio Azzurro, Quagliarella prende il posto di un appannato Di Natale. La partita si chiude con l’Italia ancora viva, ma il risultato rimane lo stesso maturato nel primo tempo. Oggi si è vista una buona Italia, unica nota negativa la difesa che a tratti ha sofferto la velocità degli avversari. La fase di qualificazione si chiude in positivo, con Marcello Lippi che arriva alla guida della Nazionale a 30 partite senza sconfitte, eguagliando il mito Pozzo. La serata Salentina si chiude a tinte Giallorosse, che sia di buon auspicio. Forza Ragazzi.

Alessio De Silvestro


14 di Mauro Manni

“E’ il gol del capitano, del simbolo di Roma, del gladiatore giallorosso, del bimbo de oro, con il numero 10: Francesco Totti”. Quanto ci mancano i suoi gol? Quanto ci manca la sua presenza in mezzo al campo? E’ qualcosa di smisurato. Quando si guarda la Roma senza di lui, si avverte la forte sensazione che in essa manchi qualcosa di importante. Manca colui che nel bene o nel male sta sempre lì. Il vero capitano. Carlo Zampa nelle parole citate all’inizio dice semplicemente la verità. Francesco Totti è il simbolo di Roma, il gladiatore che ormai tutto il mondo ha imparato ad apprezzare. In più di 10 anni Francesco ha incantato il mondo sfornando un numero infinito di assist, si è sacrificato in copertura, ha percorso chilometri e chilometri, ha subito un numero di falli difficilmente quantificabile, e dopo aver subito due infortuni gravissimi ha sempre trovato la forza di rialzarsi. Dopo lo scontro con Vanigli e la susseguente frattura parziale del perone, infatti, Francesco ha vinto un mondiale e conquistato la Scarpa D’Oro. Ora dopo la rottura del crociato è pronto a rientrare in campo e aiutare la Roma a risollevarsi. Negli ultimi tempi, approfittando del suo momento di difficoltà, ci sono stati i soliti cretini che hanno provato a creare una sorta di rivalità e confronto tra Daniele De Rossi e lo stesso Totti. Un confronto che non ha motivo di esistere. E’ come parlare del “Re e dell’Imperatore. De Rossi è la squadra... Totti è il calcio”, come sostiene maco sul LupoForum. Nel mondo del calcio, soprattutto in Italia, c’è tanta gente con la memoria corta e con poca riconoscenza. Francesco avrà sempre un posto indelebile nella storia della Roma, e avere Daniele De Rossi è una fortuna perché servirà ad alleviare leggermente il colpo quando, tra 100 anni, il capitano appenderà gli scarpini al chiodo. sul forum di popologiallorosso.com: «Basterebbe sentire come parla De Rossi di Totti nell’ultima intervista, per capire cosa voglia dire Totti per chi ci gioca insieme. De Rossi senza l’esempio di Totti e senza chi gli ha spianato la strada in questi anni, non sarebbe stato il giocatore che è adesso e non avrebbe avuto punti importanti di riferimento su come muoversi», basta veramente poco per capire chi è Totti. Probabilmente nessuno potrà mai riuscire veramente ad eguagliare tutti i suoi record e a dare ciò che ha dato lui alla causa. Del resto è riconosciuto da tutti come il più forte giocatore della storia della Roma. Francesco e Daniele, due caratteri molto diversi ma con principi veramente molto simili. Entrambi hanno fatto della propria squadra del cuore una filosofia di vita. Creare un dualismo tra i due è da stupidi. Anche perché come scrive maggica85, sempre sul forum di lupocattivo.net: «Sono due pilastri


15 fondamentali.. e non ha per nulla senso schierarsi con l’uno o con l’altro». Riagganciandoci al discorso iniziale, il “bimbo de oro” sta preparando il suo rientro in campo. Speriamo che stavolta non ci siano altri intoppi a fermare la sua corsa. In questa settimana è tornato ad allenarsi con il gruppo mostrando ai compagni la sua solita classe, anche se c’è comunque da dire che il fastidio al ginocchio non è ancora completamente scomparso. Totti infatti dovrà imparare a convincerci per almeno qualche mese, solo dopo il normale decorso di 6 mesi totali dal giorno dell’infortunio, infatti, il dolore scomparirà del tutto. La tifoseria giallorossa ha appreso la notizia con entusiasmo e un po’ di timore. Nessuno infatti vorrebbe rischiare l’unico vero fuoriclasse se non sta veramente bene. In tal senso le parole rilasciate da superkagno, ancora su lupocattivo.net: «Ci serve come il pane, quantomeno a livello psicologico. Daje», io: «Speriamo che sia totalmente recuperato. Ho una paura ogni volta… Fosse

Creare un dualismo tra Totti e De Rossi penso sia deleterio ed inutile, anche perchè è anacronistico mettere a confronto i due "gladiatori giallorossi" per antonomasia. Uno è la "Storia della Roma, con i suoi innumerevoli record difficilmente battibili nel tempo, l'altro ne è il degno erede, ben consapevole che sarà difficile superare il maestro. Sicuramente l'età di Totti e l'appannamento di questi ultimi tempi, per via dell'infortuno al ginocchio, stanno consentendo a De Rossi di ergersi a leader in campo e fuori. Ma nessun tifoso giallorosso può e deve dimenticare ciò che il "capitano" ha rappresentato e continua a rappresentare per i suoi tifosi. Cresciuto nelle giovanili giallorosse, esordio in serie A all'età 16 anni e capitano della Roma a 22, ai tempi di Zeman; uno scudetto conquistato a 25 anni, record di presenze e gol inanellati a ripetizione. Una coppa del mondo conquistata con la nazionale italiana dopo un infortunio patito pochi mesi prima. Capocannoniere con 26 reti l'anno seguente e scarpa d'oro; pallone d'oro sfiorato in diverse occasioni e molto altro. Una crescita calcistica e come uomo costante che ha consacrato Totti ai palcoscenici italiani, europei e mondiali. Colpito dai media nazionali e romani a causa della sua romanità spontanea, fiera e rappresentativa dei tifosi giallorossi. Cose difficili da dimenticare ma rivelatrici del carattere del nostro "capitano", condottiero che saprà ritrovare la condizione fisica per riportare la squadra ai posti che le competono in campionato e Champions League.

alessandroproietti@illegionario.com Il Capitano della Roma è Francesco Totti. Daniele De Rossi ne è un degnissimo vice, cui auguriamo in futuro di vincere tutto con questa maglia e di fare la Storia di questa squadra, come già fatto da Francesco. L’esistenza di presunti dualismi o altre baggianate del genere, lasciamole dire a qualche giornalista rancoroso.

diegoangelino@illegionario.com

la volta buona. Mi manca», IlGrandeZevi, sul forum di marione.net: «Lo sa pure il Mister che senza il Capitano non ce la possiamo fare», daniela, sul forum di popologiallorosso.com: «Daje capitano.. Ti voglio in campo solo perché tu da solo metteresti in crisi qualunque difesa» e Groucho74: «La cosa assurda in tutto ciò è che qualsiasi giocatore dai 15 ai 40 anni dopo un intervento ai legamenti rientra con molta calma dopo 6 mesi. Pare che Totti “è arrivato...non recupera più...è alla frutta...”. Stessi discorsi pre - stagione Scarpa d’oro. Io invece che di pallone non ci capisco niente prevedo una ventina di fischioni e altrettanti assist da qui a fine stagione. Ah dimenticavo... con mezza gamba ne ha già fatto uno contro la Reggina», ne sono la conferma. Il capitano manca a tutti, alla squadra, ai tifosi e agli amanti del bel calcio. Ci auguriamo tutti che questa volta sia la volta buona. C’è solo un capitano.

mauromanni@illegionario.com

Chi parla di un presunto dualismo tra Totti e De Rossi, non può definirsi romanista. Chi sceglie fra l’uno e l’altro, non è della Roma. La mia posizione è poco democratica ma secondo me chiunque si ponga il problema di una scelta tra il Capitano (e in assoluto giocatore), romano e romanista, più forte che abbia mai vestito la maglia giallorossa, e uno dei più forti centrocampisti del mondo, e sicuramente futuro Capitano, anche lui romano e romanista, non è un tifoso “vero”. Fateci invidiare da milanisti, interisti, juventini, fiorentini e soprattutto laziali, perché nessuno di loro ha la possibilità di vedere passare la fascia di Capitano da Giannini, a Totti e poi a De Rossi. Non date loro modo per dividerci, per creare partiti e fazioni, perché sarebbe inutile quanto deleterio. Godetevi questo dualismo e andatene fieri! marcovenerucci@illegionario.com Un'auto sportiva e una elegante, una bionda e una mora, una casa al mare e una in città, Totti e De Rossi. Per qualcuno sono solo sogni, per i romanisti sono realtà, per i laziali sono dualismi. Francesca Cuomo

francescacuomo@illegionario.com Totti o De Rossi? il punto è che questi due giocatori logorano chi non ce l'ha, Francesco e Daniele provocano invidia e rabbia perchè l'uno conosce benissimo il ruolo dell'altro dal punto di vista professionale e perchè la loro amicizia va aldilà del pallone. Francesco è il fratello maggiore che ha visto crescere Daniele e ne va fiero, Daniele è cresciuto guardando Francesco distribuire prodezze sul campo e ne ha compreso la grandezza. Totti e De Rossi, due calciatori straordinari, il capitano di oggi e quello di domani... è come compiere gli anni, non si può fermare il tempo solo che noi in questo caso sappiamo già cosa ci aspetta e non dobbiamo fare una scelta. Il caso ha voluto che questi 2 ragazzi nascessero in 2 momenti storici diversi e noi ci siamo goduti Francesco quando Daniele era ancora un bambino, ce li godiamo insieme oggi e ci godremo Daniele quando Francesco sarà troppo grande per giocare ancora col pallone !!! alfredocinquina@illegionario.com


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di Marco Venerucci

Ci sono partite e partite. Vi sono le giornate di Campionato, le gare di Coppa Italia, le sfide di Champions League, gli incontri di Coppa del Mondo. Ognuna con la sua diversa importanza, ognuna con il suo peso specifico per i tifosi ma anche per gli stessi giocatori. Poi vi sono quelle partite cosiddette speciali, perché in palio non vi sono né i tre punti, né i trofei. Mercoledì sera, 8 ottobre, a Firenze è accaduto un fatto davvero straordinario. Trentamila persone si sono riunite per assistere ad uno spettacolo diverso da quello che va in scena ogni domenica all’Artemio Franchi: questo pubblico si è radunato per applaudire e sostenere una vecchia gloria della Fiesole, Stefano Borgonovo. Nel 1988 Borgonovo passò dal Milan alla Fiorentina, e qui esplose come giocatore di grande talento, formando con un “certo” Roberto Baggio una coppia da gol fantastica, soprannominata B2. Nella stagione 88-89, i due realizzarono ben 29 gol, 15 reti per il codino nazionale e 14 per il suo compagno di reparto, che arrivò addirittura a vestire la maglia azzurra dell’Italia, senza però riuscire a dimostrare le sue doti. Dopo quell’annata eccezionale, Borgonovo non riuscì a ripetersi nelle stagioni successive lontane da Firenze e rimase una stella inespressa nel nostro calcio. Anche la sua carriera da allenatore durò solo pochi anni, perché cominciarono a manifestarsi i sintomi di una malattia purtroppo diffusa in questo sport: la SLA, la sclerosi laterale amiotofrica. Questa malattia colpisce 6 persone su 100 mila, ma nel calcio questa soglia sale a 40 su 30 mila, numeri che sottolineano come i due fenomeni siano strettamente collegati. Noti sono i sintomi: essa colpisce i muscoli dell’uomo, fino a paralizzarne il corpo e rendendolo anche incapace di parlare e di deglutire. I punti oscuri che caratterizzano questa malattia sono diversi e sono molti gli studiosi che stanno ricercando un metodo di diagnosi e di cura. Secondo alcuni, non si potrebbe escludere che tra le cause vi sia anche un eccessivo uso si medicine, anche se molti medici, ancora in attività presso talune squadre, non sembrano preoccuparsene. Nel frattempo però differenti ex-calciatori soffrono di SLA e ne stanno morendo, come ad esempio è avvenuto per Gianluca Signorini, bandiera del Genoa, che ha anche militato nella Roma, morto nel 2002 a soli 42 anni. Signorini e Borgonovo hanno deciso però di non farsi sconfiggere dalla malattia. Hanno lottato e hanno alzato la voce, decidendo di mostrarsi in pubblico, per far capire a tutti la gravità della loro situazione e il pericolo a cui tutti possono andare incontro. Alla partita per Borgonovo sono così accorsi molti dei suoi amici e di grandi campioni: da Baggio ad Antognoni, da Ancelotti a Maldini, da Tassotti a Ronaldinho, da Pruzzo a Pazzini, tutti per dimostrare la loro vicinanza a Stefano. E ci sono anche gli occhi lucidi, come quelli di Ruud Gullit, una leggenda del calcio internazionale, che non sanno trattenersi in questa occasione. Tutti gli hanno dato un abbraccio, una carezza, all’inizio della partita che il loro sfortunato collega ha visto dalla panchina, con il sicuro rammarico di non esserci ma la gioia, sprizzante dai suoi occhi, di vedere tanta, tantissima gente a dargli il giusto tributo, per la sua tempra da combattente, che non l’ha mai abbandonato. Alla fine, quello che conta, almeno oggi, non è stato il risultato della partita: Roberto Baggio ha portato il suo compagno di squadra sotto la curva dei festanti tifosi viola, che hanno accolto il loro beniamino col grido “Borgogol”, che ogni secondo si faceva più forte, più potente, in modo che nelle menti di tutti, questo coro potesse risuonare a lungo.Vi sono partite e partite. Borgonovo e la sua famiglia, che gli è stata sempre vicina in questi anni, l’hanno giocata e l’hanno vinta, contro l’avversario più difficile. E chi domani avesse intenzione di usare medicine per aiutarsi, chi volesse somministrarle ad ignari atleti, sappia che la salute è più importante di qualsiasi futile e momentanea gloria.

marcovenerucci@illegionario.com


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Vi sarà sicuramente capitato, nel corso della vostra vita quotidiana, di conoscere le cosiddette “persone senza volto”. Non ci riferiamo a mostri inumani o persone dal volto sfigurato, tipo Double-Face di Batman, ma a quei personaggi famosi solo per il loro nome o per la voce, ma di cui in pochi hanno visto l’identità fisica. Esiste, ad esempio, il Garante della Privacy che avrebbe il compito di tutelare la nostra vita privata, da eventuali accessi “non desiderati” da parte di terze persone, oppure possiamo parlare del famoso Mister Prezzi che dovrebbe monitorare i prezzi dei prodotti di consumo verificandone il corretto andamento. Anche in televisione esistono queste figure: basta pensare al diabolico Lucignolo, protagonista “in voce” di uno dei programmi più seguiti (?!?) dai giovani nostrani, oppure la voce del celeberrimo Comitato, presente in diversi programmi mattutini della Rai, per finire al famigerato Dottore, che ogni sera, dopocena, sfida i concorrenti nel format “Affari tuoi”, condotto da Max Giusti. Anche il calcio ha il suo personaggio “nero”: il Giudice Sportivo. Ogni domenica, nei campi di serie A, calciatori scorretti vengono ammoniti o addirittura espulsi da arbitri irreprensibili (?!?), che segnano sul loro taccuino vita, morte e miracoli dei calciatori in campo. Quante volte avreste voluto dare un’occhiata a quel libretto che i direttori di gara tengono a tutti nascosto? Magari non ve ne frega niente, ma c’è qualcuno che ogni settimana ha l’ingrato compito di registrare le diffide e le squalifiche e comunicarle all’esterno, in modo che tutti gli interessanti, gli operanti nel settore e anche i semplici tifosi, ne vengano a conoscenza. Se la maggior parte delle volte le decisioni sembrano scontate (un cartellino rosso = un turno di stop), in altre appare molto arduo dare una giustificazione al comportamento del Giudice Sportivo. Ciò avviene quando scatta il fenomeno dell’interpretazione, oppure l’arbitro riferisce all’autorità cose che magari sono sfuggite a prima vista a chi ha visionato la partita. E veniamo al casus belli: come ben sapete, la scorsa settimana, il difensore giallorosso Philippe Mexes è stato espulso durante la partita Siena - Roma, per doppia ammonizione, la seconda delle quali per aver reagito in maniera scomposta ad una decisione dell’arbitro, tra l’altro errata. Sbattendo in maniera stizzita la palla per terra, il francese ha ricevuto il secondo giallo ed è stato mandato anzitempo nello spogliatoio. Nonostante la severità esagerata, non ci sentiamo di dare torto all’arbitro, che ha voluto sanzionare un gesto d’ira, non consentito, di un giocatore. Dopo nove giorni ecco però la doccia fredda: secondo il Giudice Sportivo, Mexes dovrà rimanere fermo per ben tre turni! Leggiamo dalla motivazione di Gianpaolo Tosel (il nostro “giudice supremo”) che la squalifica è dovuta per il “comportamento scorretto nei confronti di un avversario e per proteste nei confronti degli ufficiali di gara” e nello specifico “per avere, al 20' del secondo tempo, all'atto dell'espulsione, rivolto all'arbitro un pesante insulto". Quest’insulto, facilmente individuabile, è simile a tanti di quelli che si sentono sui campi da gioco e che non giustificano sicuramente tre turni di squalifica. La cosa però più incomprensibile è la disparità di giudizio: la scorsa stagione il giudice Tosel, non ebbe la stessa accortezza quando Legrottaglie, a Napoli, investì di insulti il povero direttore di gara, mentre solo 5 furono le giornate di stop quando Cassano fece il suo show di protesta gettando la sua maglia contro l’arbitro. Qualche giornata fa, inoltre, il giocatore nerazzurro (?!?) Muntari, subì lo stesso trattamento ma stavolta per una manata in faccia all’avversario, ed un colpo al viso è ben diverso da un improperio! È vero che la dirigenza romanista potrebbe presentare ricorso contro questa decisione, ma sappiamo bene che ciò potrebbe non migliorare la situazione, anzi peggiorarla, con un aggravio della pena (evento già occorso alla nostra squadra). Allora, l’unico suggerimento che ci sentiamo di dare a Mexes è quello, la prossima volta, di dare un bel cazzotto in faccia al calciatore avversario per poi pentirsi….no, ovviamente è uno scherzo! Ma la serietà e la correttezza latitano in certe menti che dirigono il nostro calcio.

marcovenerucci@illegionario.com


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di Alfredo Cinquina

Dici Chelsea e prima di immaginare una squadra di calcio o un giocatore in particolare pensi al suo proprietario, Roman Abramovic, il magnate russo patron assoluto della società londinese. Dici Chelsea e pensi alla moltitudine di sterline che Abramovic da 5 anni a questa parte ha speso per costruire quella che ad oggi è una delle formazioni più forti del mondo. L’avvento di quest’uomo nel 2003 porta nelle casse dei blues fior di quattrini che verranno investiti sul mercato alla caccia dei migliori giocatori in circolazione. Abramovic, inoltre, estingue in tempi brevissimi tutti i debiti lasciati dalla vecchia gestione, circa 80 milioni di sterline da sommare ai 60 sborsati per l’acquisto del club. L’approdo del russo possiamo definirlo di certo uno spartiacque per la storia del Chelsea che inizia molto lontano nel tempo, di preciso nel 1905 in un pub denominato The Rising Sun proprio di fronte all’attuale ingresso del Croven Cottage, lo stadio del Fulham. In considerazione del fatto che nel quartiere esisteva già una squadra di calcio (il Fulham appunto) si decise di chiamare il club con il nome del quartiere più vicino, Chelsea. Da qui nasce la storica rivalità tra le due formazioni che ancora oggi è accesissima. I primi anni di vita non furono esaltanti, ne tantomeno quelli a cavallo tra le 2 guerre. Una scossa determinante per il

club nel 1952 la diede il neoallenatore Drake che oltre ad infondere carattere e grinta alla squadra, apportò sostanziali modifiche anche a livello organizzativo. Il logo odierno che vede un leone eretto con uno scettro in mano fu introdotto proprio da Drake che sostituì cosi il vecchio raffigurante un pensionato. Da Pensioners quelli del Chelsea divengono i Blues ed ancora oggi sono apostrofati in questo modo da tifosi ed avversari. Ancora a Drake si deve la vittoria del primo titolo nazionale nel 1954-55. Solo nel 70 arriva il primo titolo internazionale quando nella finale di Atene il Chelsea si aggiudica l’ormai tramontata Coppa delle Coppe ai danni del blasonatissimo Real Madrid. Alla fine degli anni 70 il club subì una grave crisi finanziaria dovuta anche al progetto di ammodernamento del proprio stadio, lo Stamford Bridge, da sempre casa dei Blues e che in passato poteva accogliere fino a 100 mila spettatori. Oggi è un moderno impianto di gioco che ne contiene 50 mila circa e come sempre nel caso degli stadi inglesi è un vero gioiello, anche se si è pensato a una nuova espansione resa impossibile dalla

Roman Abramovic


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Terry e Lampard vicinanza di altri edifici. La crisi finanziaria sfociò nella retrocessione in serie B, ma anche nell’avvento di un nuovo proprietario, Bates, il quale ripianò i debiti societari acquistando il club per la simbolica cifra di una sterlina. Con gli anni il Chelsea divenne di nuovo una delle squadre più forti in Inghilterra. L’avvento di Ruud Gullit come allenatore giocatore portò ottimi risultati. Importantissimo poi fu “ magic box “ Gianfranco Zola, calciatore dalla classe indescrivibile che a Londra ha dato il meglio di se. Gullit Fu sostituito in panchina da un altro italiano, Gianluca Vialli, al quale subentrò nei primi anni 2000 Claudio Ranieri che, nonostante una formazione di primo ordine messa a sua disposizione da Abramovich, nel

2003 non raggiunse gli obiettivi sperati. Nell’estate del 2004 il magnate russo mette a segno un colpo sensazionale ingaggiando l’allenatore vincitore della Champions League col Porto, Josè Mourinho. Il lusitano porta il club alla vittoria in campionato dopo 50 anni, nel 2005 e concede il bis l’anno dopo battendo vari record legati al minor numero di reti subite, alle partite senza sconfitte, ai punti fatti. Arrivano in questi anni anche 2 FA Cup e 2 coppe di lega. Il Chelsea è ai vertici del calcio inglese e nelle sue fila militano giocatori fantastici. Tra gli altri nominiamo Lampard, Terry, Drogba, Makelele, Cech. Nel 2007, però, iniziano i contrasti tra Mourinho e Abramovic che porteranno poi alla rescissione del contratto dell’allenatore. Lo scorso anno, Grant, raccogliendo l’eredità di Mourinho, porta la squadra alla finale di Champions contro il Manchester United, ma alla lotteria dei rigori proprio l’errore dagli undici metri del capitano, Terry, consegna la coppa ai red devils. Il resto è storia recente. Oggi il club è guidato da Felipe Scolari ed è una delle formazioni candidate alla vittoria sia del campionato che della Champions. Sarà affascinante incontrarli sul campo, sul loro storico campo con i tifosi a un metro dalla porta, sarà emozionante confrontarsi con quegli undici uomini in blu che sono tra i migliori calciatori in circolazione. Mercoledì 22 ottobre la Roma si gioca la qualificazione in Champions allo Stamford Bridge, la storia ci aspetta.

Stampford Bridge

alfredocinquina@illegionario.com


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di Alessandro Proietti

Via del Sudario, situata tra via del Monte della Farina e largo di Torre Argentina, è una via angusta che prende il nome dalla chiesa del Ss. Sudario che qui sorge, riedificata nel 1604 da Carlo di Castellamonte sulla preesistente chiesa di S. Ludovico ed affidata all’Arciconfraternita dei Piemontesi e Savojardi. Restaurata da Carlo Rainaldi nel 1678 la chiesa fu devastata nel 1856 da Giacomo Monaldi. Dopo il 1870 la chiesa passò sotto il patronato della Casa Reale dei Savoia, divenendone in pratica la cappella privata. Anche il toponimo della basilica è strettamente legato alla famiglia reale: infatti il termine “sudario” deriva dalla copia, conservata all’interno, della Sacra Sindone, il lenzuolo nel quale secondo la tradizione fu avvolto il corpo di Gesù. Dal 1430 la custodia del prezioso telo fu affidata ai Savoia che è tuttora conservato nella cappella della Sacra Sindone di Torino. La chiesa presenta una facciata a due ordini scanditi da paraste e separata da un muro triangolare spezzato; l’ordine inferiore presenta una porta centrale con timpano curvilineo e due porte laterali sormontate da una finestrella con cornice triangolare. L’ordine superiore presenta una finestra centrale con timpano spezzato e

sormontato dallo stemma sabaudo sorretto da due leoni. L’interno ospita le figure di cinque beati di casa Savoia, opera di Cesare Meccani e Giovan Domenico Cerrini detto il Cavalier Perugino. Sopra l’altare maggiore, all’interno di un’opera di stucco di Antonio Raggi (Gloria di Angeli con il Padre Eterno), c’è un quadro della Sacra Sindone delle stesse misure dell’originale, opera di Maria Francesca di Savoia. Sulla via si trova una seconda chiesetta, dedicata a S.Giuliano dei Fiamminghi fondata, secondo la tradizione, ai tempi di papa Gregorio II, quando gli stessi si convertirono al cristianesimo. Originariamente la chiesa aveva anche un piccolo ospedale annesso. Nel XIV secolo i due edifici furono restaurati, la chiesa fu ingrandita e adornata nel tempo. Lo stato attuale lo assunse nel 1675 ed è tuttora la chiesa nazionale belga. La facciata si presenta a due ordini, divisi


21 parte nobile di via del Sudario e fu demolita la zona riservata alla servitù, su via dei Barbieri. L’edificio si presenta con una facciata liscia intonacata, con due piani con finestre centinate ed una loggia a colonnine. La casa oggi ospita la biblioteca ed il museo teatrale della Società Italiana Autori ed Editori, con oltre 40mila volumi specializzati, maschere italiane della commedia dell’arte, costumi di attori celebri nonché una caratteristica raccolta di marionette. alessandroproietti@illegionario.com da paraste che nell’ordine inferiore hanno le volute dei capitelli ionici legati da piccoli festoni e nel secondo ordine vi è collocata, entro una nicchia, la statua seicentesca di S. Giuliano. Ai lati dell’arco della nicchia vi sono due leoni di Fiandra. Un’altra presenza importante nella via è data dalla cosiddetta Casa del Burcardo, un edificio fatto costruire da Giovanni Burkardt, maestro delle cerimonie pontificie dal 1484 al 1506. La casa, costruita in uno stile tardogotico, fu edificata intorno ad un’antica torre chiamata popolarmente Argentina, dal nome latino di Strasburgo, Argentoratum, dove il prelato era nato nel 1450. Per questo era soprannominato anche Argentinus e Argentina era considerata la zona circostante, un appellativo tuttora conservato nel Largo di Torre Argentina. La torre oggi non è più visibile dall’esterno perché incorporata nell’edificio e ridotta in altezza. Un tempo si ergeva sopra tetti senza finestre o al massimo con una feritoia, priva di quegli elementi che tendevano ad ingentilire questo tipo di edifici. Alla morte del Bucardo la casa passò al cardinale Giuliano Cesarini che aveva un altro edificio nelle vicinanze e con il quale lo stesso Bucardo aveva avuto dei contrasti, come riferisce lui stesso nel suo Diario. Il Cesarini collegò le due parti dell’edificio, separate da un cortile, attraverso un corridoio dallo splendido portico. Il fabbricato con il tempo perse la sua bellezza e fu manomesso fino al restauro del 1931 quando venne salvata la



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