IL CULTO AL DIO SILVANO NELTERRITORIO DI CAPOSELE
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se Silvano brandiva un ramo di pino, Vito brandisce una croce di legno. A Silvano, custode delle greggi, venivano fatte offerte dai pastori, così a Vito, almeno qui a Caposele: da sempre nel giorno della sua festa i pastori offrivano al santo in dono i propri prodotti: tutto ciò non suggerisce forse una particolare somiglianza tra le due figure? E i tre giri che tradizionalmente si fanno intorno alla pietra di San Vito hanno per caso un legame con i giri che i tre uomini dell’antichità dovevano fare intorno alla casa della partoriente per scongiurare l’assalto di Silvano? Non c’è risposta certa a queste domande. Quanto scritto sopra sono solo congetture, ipotesi relative ad analogie e somiglianze sub contraria specie tra paganesimo e usanze cristiane radicate da secoli che non ci permettono di dire una parola che sia ultimativa. Sicuramente anche in queste zone lo scontro tra Cristianesimo e paganesimo avrà lasciato delle tracce: ad esempio costumi pagani diventati cristiani e santi cristiani che richiamano in un certo qual modo gli dei pagani. Quanto detto sopra vuol essere solo un valido suggerimento per una futura ricerca volta a capire meglio quanto è accaduto nella nostra terra, perché dal buio di tempi antichi si possa illuminare di nuova luce il presente che viviamo e offrire un contributo nella comprensione di ciò che siamo.
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NICOLA SANTORELLI, Il fiume Sele e i suoi dintorni, p. 111-113; Valsele tipografica, Materdomini.1989. Cfr. anche AMATO GRISI, L’Alta Valle del Sele dalle origini al XV secolo, pp. 9598, Editore Boccia, Salerno. AUGUST REIFFERSCHEID, Sulle immagini del dio Silvano e del dio Fauno, pp. 211 e ss., .Roma, Tipografia Tiberina, 1866.
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opposto. È come se nella Valle del Sele il Cristianesimo abbia sottolineato alcuni aspetti e figure della sua fede proprio in risposta ai precedenti culti, tra i quali quello al dio Silvano. Uno di questi aspetti può essere la forte presenza del culto mariano nella Valle: significativa è l’opposizione tra l’odio per la donna e la maternità da parte di Silvano e la maternità di Maria dall’altra. È un caso che la nostra valle si sia popolata di luoghi sacri dedicati ad una donna, Maria, che è rappresentata sempre nel suo essere madre? Basti pensare che a Caposele, di fronte alla Preta, luogo sacro al dio Silvano, su una collina i cristiani edificarono un controaltare dedicato a Maria, invocata come Mater Domini. È un caso che la leggenda riferisca che la sua immagine sia stata ritrovata in una selva (ritorna il simbolismo del bosco) di sambuchi? La presenza del più antico luogo mariano del territorio di Caposele sembra quasi ribadire che ormai la maternità in queste zone non avrebbe dovuto temere più nulla: le partorienti sarebbero state protette da Maria, madre per eccellenza. Contro di lei Silvano non avrebbe avuto più nessun potere. Si pensi ancora alle grotte, alle cime dei monti, ai pianori di montagna dell’intera valle: zone boschive per eccellenza, e quindi dimora indiscussa di Silvano, costellati di edicole, poi diventate chiese, dedicate a Maria: Santa Maria del Fiume (dove ancora due stalattiti stillano il ‘latte’ della Madonna per le madri novelle), Santa Maria di Grienzi, Santa Maria della Neve in territorio di Calabritto; la Pietra della Madonna (un’antica pietra incavata che è stata buttata in fondo al burrone della località Castagneta da irrispettose ruspe quasi venti anni fa), Santa Maria di Pasano, Santa Maria della Neve (quest’ultime non più esistenti: la seconda era sulla Pietra di San Vito) in territorio di Caposele; si pensi ancora a Santa Maria dell’Olmo in quel di Senerchia e a tanti altri luoghi mariani ancora. Tuttora a Caposele si tramanda la leggenda delle sette sorelle (sette Madonne) che, spaventate da un giovane che sembrerebbe un pastore dall’aspetto non certo nobile, si sono rifugiate nei monti e per le valli montane erigendo lì la loro dimora. Chissà che tale racconto non si riferisca nel suo significato più remoto a Silvano, notoriamente nemico delle donne che appunto spaventava, che tenta di mettere simbolicamente in fuga una donna, Maria la quale si rifugia proprio nei luoghi a lui più cari. Se fosse così, il racconto non sarebbe un’immagine dell’ultimo tentativo del paganesimo di scacciare il Cristianesimo tra queste valli? E che dire della subitanea diffusione del culto del primo martire cristiano delle nostre zone, Vito, nella valle del Sele? San Vito è rappresentato sempre accompagnato dal cane, come Silvano, e
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el 1834 fu ritrovata in località Preta un’importante lapide di calcare risalente al tempo dell’imperatore Domiziano (I sec. d. C.) . La scoperta, fatta dall’illustre caposelese Nicola Santorelli, attirò su Caposele l’interesse non solo della corte reale di Napoli, che la voleva nel Museo del Regno, ma anche di studiosi illustri di antichità, tra i quali il famoso epigrafista Theodor Mommsenn (1817-1903). Tale epigrafe, conservata attualmente ad Avellino, testimonia l’esistenza, nel nostro territorio, di un tempio pagano dedicato al dio Silvano, il cui culto era curato da un collegio di sacerdoti. In pratica nella lapide è riportata la donazione di quattro fondi (Giuniano, Lolliano, Percenniano e Statulliano) al dio, con rispettiva villa rustica situata in ognuno di essi. La donazione, fatta da uno sconosciuto Lucio Domizio Faone, voleva essere un voto a Silvano affinché vigilasse sulla buona salute dell’imperatore Domiziano che, devoto al dio, ne aveva fatto erigere un tempio sull’ottavo miglio della via Appia. I sacerdoti del tempio di Caposele dovevano, in ottemperanza a tale voto, celebrare cinque feste all’anno: le calende di Gennaio, la festa della nascita dell’imperatrice Domiziana l’11 Febbraio (data conosciuta proprio grazie al ritrovamento di Caposele), le feste cosiddette rosali il 20 Giugno, la festa del dio Silvano il 27 Giugno e la festa della nascita di Domiziano il 24 Ottobre. Del tempio non è rimasta alcuna traccia. Probabilmente il nome della località dove la lapide fu trovata, Preta, deriverebbe secondo il Santorelli da ‘Pareta’, una volgarizzazione del latino “parietem” ovvero parete, in quanto nell’Ottocento ancora era visibile la parete di un edificio identificato dallo storico caposelese con il tempio del dio Silvano. Ma chi era questo dio? Come mai il suo culto era diffuso proprio nelle nostre zone? Nel Pantheon degli dèi romani Silvano, pur non essendo una delle divinità più importanti, di certo era una delle più antiche. Egli era un dio di aspetto virile, con capelli lunghi, barbuto e ‘boschereccio’: il suo nome, infatti, richiamava quello della ‘silva’ della selva, del bosco che era la sua dimora. Aveva sulla testa una corona di pino che gli contornava il capo e una pelle di capra che ricadeva su di un braccio e alla quale erano appesi frutti quali uva, mele e pigne. In una mano brandiva un grande ramo di
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cipresso o pino e nell’altra un coltello ricurvo. Calzari tipici dei contadini romani ne coprivano i piedi. Non mancavano anche rappresentazioni in cui appariva vestito di una tunica. In lui, cioè, convivevano due modi di essere, quello del selvaggio e seminudo dio dei boschi e quello di un dio più, potremmo dire, civilizzato . Non a caso era sacro a lui il più nobile dei fiori, la rosa. Seguito sempre da un cane, non amava - al contrario del suo alter ego greco il dio Pan o anche del suo parente prossimo romano Fauno - le donne, specie le gestanti. Prediligeva i boschi, ma era invocato come guardiano delle ville, dei giardini e dei campi. Di questi ultimi era il dio tutelare dei confini, e siccome gli antichi romani erano soliti far giungere il bosco vicino ai campi, è normale che la sua dimora fosse in questi ultimi. Si credeva altresì che proteggesse le greggi dai lupi e che promuovesse la fertilità del bestiame. Era temuto particolarmente dalle donne che aspettavano bambini e non sopportava assolutamente i neonati. Sembra uno strano gioco della storia, ma proprio nella terra di Caposele in cui era venerato un simile dio, secoli dopo verrà venerato colui che sarà il protettore delle partorienti e dei bambini: Gerardo Maiella. Riguardo alle donne in dolce attesa, era così grande la paura che si aveva del dio che addirittura gli antichi romani posero di guardia alle case in cui esse dimoravano, per proteggerle da Silvano, ben tre divinità: Intercidona, Pilumno (cui veniva preparato un divano all’interno della casa) e Deverra. Queste dovevano scongiurare l’improvvisa irruzione di Silvano che avrebbe potuto spaventare a morte i neonati e usato violenza alle donne. Un rito particolare era volto ad ottenere il desiderato effetto difensivo: di notte, subito dopo il tramonto del primo giorno di vita del bimbo, tre uomini dovevano camminare intorno alla casa. Il primo doveva colpire la porta con una scure (in onore di Intercidona), il secondo doveva colpire la stessa porta con un pestello (in onore di Pilumno), e il terzo doveva spazzare l’uscio con una scopa (in onore di Deverra). Così facendo la casa otteneva la protezione delle suddette divinità e Silvano non poteva più entrarci. Caposele, luogo di boschi, acque e foreste, era dunque la sede di un tempio in cui si venerava un simile dio: forte e protettivo per i campi e le greggi da un lato, terribile contro donne e bambini dall’altro. Quanto è rimasto di questo culto silvestre nelle nostre zone? Ovviamente nulla: il Cristianesimo da molti secoli ha ormai spazzato via il paganesimo con tutti i suoi riti. Tuttavia ad una osservazione più approfondita degli usi e delle tradizioni locali non possono non balzare all’occhio delle coincidenze strane che testimoniano come proprio nelle nostre terre esistesse in passato un culto che il Cristianesimo ha soppiantato con un altro, potremmo dire,
di Mario Sista
Anno XXXIX- Agosto 2011 N. 82
S.AGOSTINO, De Civitate Dei, libro VI. Cfr. anche GIROLAMO POZZOLI, Dizionario d’ogni mitologia e antichità, p. 99, vol. VIII, Milano 1822.
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