smile - Dalle immagini alla scrittura e viceversa

Accademia di Belle Arti di Carrara Diploma Accademico di I livello Scuola di Grafica Prof. Silvia Papucci

smile

Dalle immagini alla scrittura e viceversa Tesi di Arianna Pardeller Matricola G203 Relatore Prof. Romeo Traversa A.A. 2017/2018 3° Sessione: 28/09/2018

Indice 5 Introduzione

76 Il linguaggio visivo delle chat

21 Kaomoji 30 Kaoani e Henohenomoheji

91 96 98

100

ASCII Art Stili e tecniche Utilizzi particolari di ASCII art Simili all’arte ASCII

121

Le mie riflessioni

7 10 12 14 16

Emoticon Nasce la smiley face :-) e :-( Smiley World Stili e forme

33 Altri stili orientali 33 Stile coreano 35 Orz 35 Stile ideografico cinese

37 Emoji 46 Applicazioni 48 Progetti artistici 56 Progetti di traduzione e

progetti letterari 61 Esperimenti sociali 64 Campagne promozionali

o di sensibilizzazione 68 Abbigliamento ed oggettistica 71 73

Simili allo smiley Oltre gli emoji

81 Dalle immagini alla

scrittura e viceversa 86 Un mezzo artistico inusuale

103 La punteggiatura 103 Evoluzione della punteggiatura 107 Il tramonto della punteggiatura 110 I segni di punteggiatura 112 Punteggiatura straniera 113 Esperimenti e progetti 116 Punteggiatura espressiva 122 Glossario 126 Bibliografia e Sitografia 130 Ringraziamenti

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“It’s not what you look at that matters, it’s what you see.”

—Henry David Thoreau

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Introduzione Smiley, emoticon, kaomoji, emoji. La faccina sorridente ha cambiato nome e forma innumerevoli volte e ha una storia più lunga e interessante di ciò che si possa pensare.

La mia tesi è un viaggio alla scoperta di quella parte della comunicazione scritta che vuole esprimere le emozioni e gli stati d’animo dell’uomo nell’epoca moderna, un linguaggio visivo che inizia 40.000 anni fa sulle pareti delle caverne e viaggia attraverso le culture per unire tutti gli abitanti del pianeta con un linguaggio universale. È un mondo vasto, che si lega all’evoluzione della scrittura e in particolare alla punteggiatura, punto di partenza di questa forma di comunicazione, trasformandola in qualcosa di diverso, che a sua volta modifica il testo. Emoticon e punteggiatura espressiva creano un sistema di comunicazione unico e personale, che ognuno può fare proprio per esprimersi al meglio.

Il mio interesse per l’arte e i segni grafici, unito a quello per le lingue e le forme di comunicazione, mi hanno portato ad esplorare questo universo che li racchiude entrambi, guidandomi alla scoperta di una realtà inaspettatamente vasta e coinvolgente.

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Emoticon L’origine delle prime emoticon è incerta, si potrebbe addirittura risalire al XVII secolo, nel corso del quale un notaio slovacco era solito disegnare una faccina felice o triste per indicare la sua soddisfazione o meno riguardo lo stato dei registri finanziari della sua città, ma la loro nascita è indubbiamente legata all’esigenza di introdurre nella comunicazione scritta ciò che non può essere trasmesso a parole: le espressioni facciali e corporee e la gestualità.

La difficoltà di esprimere queste sfumature proprie del linguaggio faccia a faccia —e quindi di trasmettere il proprio stato d’animo e le proprie emozioni— ha portato alla creazione di emoticon (che si sono gradualmente evolute in emoji), ovvero riproduzioni stilizzate delle principali espressioni facciali attraverso l’uso di lettere, numeri, segni di punteggiatura ed altri glifi.

Il termine “emoticon” è l’unione delle parole inglesi “emotion” (emozione) e “icon” (icona) e indica appunto una piccola immagine che esprime emozioni. Utilizzate soprattutto in chat, forum, blog, social network e SMS, le emoticon vengono automaticamente trasformate in immagini corrispondenti

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(che hanno ereditato la denominazione di “emoticon”), differenti per ogni piattaforma e sistema operativo.

La comunicazione attraverso immagini non è una novità: i primi tentativi di espressione non orale risalgono infatti a 40.000 anni fa, con gli affreschi nelle caverne. Questi disegni possono essere considerati pittogrammi, ovvero simboli che ricordano l’oggetto che rappresentano.

Nelle prime forme di scrittura ritroviamo invece gli ideogrammi, che utilizzano immagini per rappresentare idee e concetti. I sumeri adoperavano la scrittura cuneiforme, nella quale i suoni venivano rappresentati tramite forme quali triangoli e stelle.

La forma più conosciuta di scrittura attraverso immagini è senza dubbio il geroglifico egiziano, un complesso sistema di pittogrammi e ideogrammi.

Nel tempo sono comparse altre forme scritte basate su ideogrammi, soprattutto in Oriente, le radici di quelli che ora sono i linguaggi cinese, giapponese e coreano, che tuttora fanno uso di ideogrammi.

Furono i Greci ad abbandonare i riferimenti visivi per sviluppare una forma astratta di scrittura basata sulla fonetica, ovvero sui suoni delle parole, più che sugli oggetti a cui si riferiscono.

Oggi possiamo comunicare da una parte all’altra del mondo in tempo reale, a voce o mandando messaggi di testo in ogni alfabeto possibile, grazie all’aiuto dei computer e dei cellulari.

Ancora una volta torniamo a sfruttare il potere del simbolo, del pittogramma (come l’emoji “cuore”) e dell’ideogramma (come l’emoji con il simbolo del riciclo). Ma quand’è che l’immagine è tornata ad essere importante nella scrittura?

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Un primo caso di emoticon —probabilmente non intenzionale— è la poesia del 1648 di Robert Herrick “To Fortune”, nella quale compare il verso “Tumble me down, and I will sit / Upon my ruins (smiling yet : )”, che sembra terminare con la raffigurazione del sorriso descritto, ma potrebbe trattarsi di un errore di battitura.

Un altro caso di emoticon accidentale compare nella trascrizione a cura del New York Times di un discorso di Abramo Lincoln del 1862: “(applause and laughter ;)”, anche qui la faccina —questa volta ammiccante— compare dopo la parola “risata”, in una delle frasi che descrivono le reazioni del pubblico. Nessuna delle altre contiene un’emoticon, però.

Nel 1881 la rivista umoristica Puck pubblicò un breve articolo intitolato “Arte Tipografica”, mostrando quattro espressioni facciali —gioia, malinconia, indifferenza, stupore— create utilizzando solo caratteri tipografici. La differenza tra queste e le emoticon moderne è la loro lettura a visione verticale, come dei veri volti umani.

Lo scrittore e poeta Johannes V. Jensen, famoso per le sue sperimentazioni con la forma della sua scrittura, in una lettera inviata all’editore Ernst Bojesen nel dicembre 1900 ha inserito una faccina felice ed una triste che ricordano le due emoticon più famose.

Nel 1919 la Buffalo Steam Roller Company di New York inserì nelle sue ricevute una faccina sorridente, posta sotto la parola “Thanks”. La faccina era però molto più dettagliata della versione che conosciamo noi: aveva sopracciglia, naso, denti, A fianco: le emoticon presentate sulla rivista Puck (gioia, malinconia, indifferenza e stupore).

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mento e ombreggiatura.

Su un’altra rivista umoristica, la Harvard Lampoon, un articolo del 1936 di Alan Gregg propose un’altra serie di simboli orientati verticalmente per rappresentare alcune espressioni facciali: “ - “ per un sorriso, “ -- “ per una risata (si vedono più denti), “ # “ per un’espressione accigliata o per mostrare interesse e incredulità, “ * “ per l’occhiolino. Sebbene queste non possano essere definite emoticon, rappresentano comunque un tentativo di esprimere gli stati d’animo attraverso segni grafici.

Nel film “Port of Call” di Ingmar Bergman del 1948 è presente una scena in cui la protagonista disegna con il rossetto su uno specchio una faccia triste, per esprimere la propria infelicità.

Nella locandina di un altro film, “Lili”, vincitore di un premio Oscar, compaiono alcune faccine sorridenti.

La stazione radio newyorkese WMCA ha dato il via nel 1962 ad una promozione con la quale gli ascoltatori potevano vincere una maglietta gialla con una faccina stilizzata sorridente e lo slogan “WMCA good guy”.

Nasce la smiley face

Nel 1963 l’artista Harvey Ball creò la famosa “smiley face”: un tondo giallo brillante con due puntini neri rappresentanti gli occhi e una curva rivolta in su per la bocca. Fu realizzata per una compagnia di assicurazioni del Massachusetts come parte di una campagna per sostenere il morale dei suoi impiegati dopo un brutto periodo. Il suo design, creato per apparire A fianco: la maglietta della WMCA; la smiley face di Harley Ball.

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su spille, cartoline e poster e far sorridere gli impiegati della compagnia, fu inciso su cinquanta milioni di spille e si diffuse immediatamente in tutto il mondo, diventando famoso.

Probabilmente questo smiley ispirò le successive emoticon, la più comune delle quali è infatti una piccola faccia gialla sorridente. Ci sono state diverse versioni precedenti e successive, ma quella di Ball è la più iconica.

La sua faccina sorridente fu ripresa negli anni ‘70 da una campagna pubblicitaria dei fratelli Bernard e Murray Spain per vendere oggettistica: furono realizzate spille, magliette, tazze e sticker con la smiley face e la frase “Have a nice day”.

Nel 1971 Franklin Loufrani avviò la Smiley Company, mettendo per primo un trademark alla smiley face, chiamandola semplicemente “Smiley”. La compagnia passò poi al figlio Nicolas Loufrani, che contestò la dichiarazione di Harvey Ball di aver creato la prima faccina sorridente, affermando che il design è così semplice che nessuno può avanzare la pretesa di averlo creato. Come prova inserì nel sito web affreschi trovati nelle grotte francesi, datati 2500 a.C.: la prima faccina sorridente è stata rinvenuta su una pietra all’interno di una grotta a Nîmes.

Intorno agli anni ‘70, sul sistema operativo PLATO, vennero create alcune faccine sorridenti, tra cui le famose WOBTAX e VICTORY, tramite la sovrapposizione di caratteri.

Nel Regno Unito la faccina felice gialla è stata associata alla cultura psichedelica, soprattutto all’organizzatore di festival A fianco: le icone del sistema operativo PLATO; un manifesto del Windsor Free Festival.

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Bill “Ubi” Dwyer, che ha aiutato ad organizzare il Windsor Free Festival tra il 1972 e il 1974 e ha utilizzato lo smiley come logo personale, indossandolo sul cappello e sui vestiti.

Un utente di MsgGroup (uno dei primi BBS), Kevin MacKenzie, inviò nel 1979 un’e-mail agli iscritti al gruppo in cui suggeriva di introdurre qualche sentimento nei freddi testi dei messaggi, e proponeva di utilizzare un trattino preceduto da una parentesi chiusa “ )- “ per indicare una linguaccia, ma la sua invenzione non ebbe molto successo. :-) e :-(

L’introduzione delle emoticon nel mondo virtuale è attribuita ufficialmente all’informatico statunitense Scott Fahlman.

Fu proprio lui, infatti, ad usare le emoticon “ :-) “ e “ :-( “ per rappresentare rispettivamente un’espressione di gioia e di tristezza, in un documento pubblicato il 19 settembre 1982 su un BBS (“Bulletin Board System”, un computer che permette agli utenti esterni di connettersi ad esso attraverso la linea telefonica, con la possibilità di scambiare messaggi e file; veniva utilizzato prima dell’avvento di Internet) dell’università Carnegie Mellon, presso la quale insegnava.

Il documento è stato ritenuto perso per anni, è stato poi rinvenuto nel 2002 in dati d’archivio: 19-Sep-82 11:44 Scott E Fahlman

:-)

From: Scott E Fahlman <Fahlman at Cmu-20c> I propose that the following character sequence for joke markers: :-) 12

Read it sideways. Actually, it is probably more economical to mark things that are NOT jokes, given current trends. For this, use :-( “Leggetele di traverso”, spiegava a proposito delle faccine nel messaggio, esprimendo la necessità di usare queste “sequenze di caratteri” per distinguere i messaggi scherzosi da quelli seri, a suo parere molto meno numerosi.

La sua fu un’invenzione di successo: utilizzava caratteri già presenti in ogni font in modo semplice ed efficace, e quella che era partita come una proposta scherzosa si diffuse rapidamente dalla Carnegie Mellon a tutte le università e i centri di ricerca.

Ormai le faccine erano entrate nel mondo della rete e della messaggistica. Nel corso degli anni ‘80 ci fu un’esplosione di creazioni eseguite con la ASCII Art, tra cui numerose emoticon e altre decorazioni grafiche.

La smiley face è anche associata alla musica elettronica di fine anni ‘80: sulla cover del singolo “Beat Dis” dei Bomb the Bass del 1987 è presente uno smiley giallo con uno schizzo di sangue rosso su un occhio, in riferimento ad una vignetta del fumetto “Watchmen” di Alan Moore e Dave Gibbons del 1986.

Il termine “emoticon” è stato utilizzato per la prima volta dal New York Times nel 1990, ed è stato aggiunto all’Oxford English Dictionary solo nel giugno 2001.

A fianco: la cover del singolo “Beat Dis” dei Bomb the Bass del 1987; la cover di un volume della rivista i-D che tratta di moda e intrattenimento.

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Nel 1997 la casa editrice O’Reilly & Associated pubblicò un dizionario emoticon di 93 pagine, intitolato “Smileys” e compilato da David Sanderson. Nello stesso periodo James Marshall, uno studente di astronomia dell’Università di Maryland ha iniziato a stilare un dizionario online sulle emoticon, che ormai contiene migliaia di voci.

Smiley World

Nel 1997 Nicolas Loufrani, direttore della società londinese SmileyWorld Ltd, notando il crescente utilizzo delle emoticon ASCII, diffuso soprattutto sui telefoni cellulari, iniziò la realizzazione di icone colorate corrispondenti alle emoticon ASCII già esistenti e realizzate con semplici segni di punteggiatura e glifi, migliorandole per un uso più interattivo nel mondo digitale. Loufrani creò così le prime emoticon grafiche e fece registrare i disegni per la prima volta nel 1997 presso lo United State Copyright Office. Queste furono le prime emoticon grafiche ad essere pubblicate sul web come file gif nel 1998. Uno dei primi sistemi di chat ad utilizzarle è stato nel 1998 Yahoo! Messenger.

Nel 2000 le emoticon create da Loufrani furono rese disponibili per gli utenti dei cellulari, che potevano scaricare più di 1000 emoticon grafiche e le rispettive versioni ASCII da Internet tramite il sito “smileydictionary.com”.

Nel 2001 creò un dizionario online sulle emoticon —The Official Smiley dictionary— suddiviso per categorie (tra cui: classiche, espressioni, bandiere, celebrazioni, divertimento, sport, meteo, animali, cibo, nazioni, occupazioni, pianeti, zodiaco, neonati).

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A fianco: wallpaper dal sito smiley.com, della società SmileyWorld Ltd, diretta da Nicolas Loufrani.

Nel 2002 è uscito un libro di Marabout, nel formato di un diazionario, che raccoglie queste emoticon: “Dico Smileys”, che offre ai lettori un codice speciale per scaricare vari smiley sul proprio cellulare.

Nel 2004 Running Press pubblica un compendio di smiley con oltre 120 variazioni ufficiali della faccina gialla, proponendosi come guida tascabile.

L’immagine e il logo si sono diffusi in ogni settore, dall’abbigliamento ai peluche, alla pubblicità. La Smiley Company è una delle 100 maggiori compagnie di licenza nel mondo. Il primo negozio Smiley ha aperto a Londra nel dicembre 2011.

Nel 1999 Harvey Ball fondò la World Smile Corporation —poi divenuta Harvey Ball World Smile Foundation—, un’organizzazione no profit i cui proventi, ottenuti tramite donazioni e concessione di licenza dello smiley, continuano ad andare in beneficenza. La fondazione è anche il maggiore sponsor del World Smile Day, il primo venerdì di ottobre di ogni anno, fondato da Harvey Ball nel 1999.

A fianco: una manifestazione per il World Smiley Day. 15

Stili e forme Le emoticon si sviluppano in orizzontale, secondo il senso di scrittura, ma vanno viste “di traverso”, come suggeriva Fahlman: nelle emoticon meno recenti il primo segno incontrato raffigurava gli occhi (rappresentati solitamente dai due punti oppure dal segno di uguale), seguito dal naso (un trattino, che può anche essere sottinteso) e infine dalla bocca (una parentesi aperta o chiusa, oppure una lettera dell’alfabeto). Se gli occhi sono formati dal segno di uguale —utilizzo rafforzato dalla vicinanza dei caratteri “=“ e “)“ sulla tastiera— il trattino è quasi sempre sottinteso, oppure sostituito da una “O”.

Uno studio linguistico ha suggerito che l’uso del naso in una emoticon possa essere connesso all’età dell’utente.

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Si può arricchire il significato di un’emoticon aggiungendo piccole variazioni che rendono l’emozione espressa più complessa e sofisticata.

Aggiungendo un’ulteriore parentesi ad una faccina triste la si può rendere “molto triste”, applicandovi un apostrofo si può esprimere l’idea del pianto, sostituendo il punto e virgola ai due punti si può rappresentare l’occhiolino, con la lettera “B” si dà l’idea degli occhiali da sole, creando la faccina “cool”, etc.

Un’emoticon particolare e molto diffusa è “XD“, che esprime divertimento, e deriva sempre, per quanto possa sembrare strano, da un’espressione facciale: quando si ride tanto si tende a strizzare gli occhi, creando con sopracciglia e guance

una forma che richiama una “X”. Per enfatizzare l’intensità del sentimento si può anche aggiungere ulteriori “D”. Un altro modo per rappresentare un divertimento estremo è aggiungere la “lacrima” (ovvero l’apostrofo) agli occhi, raffigurando quel fenomeno detto “piangere dal ridere”.

Emoticon come la faccina che manda il bacio, o la cosiddetta faccina “cool”, ovvero con gli occhiali da sole, sono meno riconoscibili delle altre, ma ormai molto diffuse e conosciute.

:-)) :)) :O)) :-(( :(( :O(( ;-) ;) ;O) :’-) :’) :’O) :’-( :’( :’O( ;-D ;D ;OD :’-D :’D :’OD :-$ :$ :O$ :-@ :@ :O@ :-# :# :O# :-% :% :O% :-& :& :O& :-* :* :O* ;-P ;P ;OP ;-S ;S ;OS ;-3 ;3 ;O3 =-)) =)) =O)) =-(( =(( =O(( =’-) =’) =’O) =’-( =’( =’O( =’-D =’D =’OD =-$ =$ =O$ =-@ =@ =O@ =-# =# =O# =-% =% =O% =-& =& =O& =-* =* =O* B-) B) BO) B-( B( BO( B-D BD BOD B-O BO B-P BP BOP B-S BS BOS B-X BX BOX B-3 B3 BO3 B-/ B/ BO/ B-| B| BO| B-)) B)) BO)) B-(( B(( B’-) B’) B’O) B’-( B’( B’O( B’-D B’D B’OD B-$ B$ BO$ B-@ BO@ B-# B# BO# B-% B% BO% B-& B& BO& B-* X-) X) XO) X-( X( XO( X-D XD XOD X-O XO X-P XP XOP X-S XS XOS X-3 X3 XO3 X-/ X/ XO/ X-| X| XO| X-)) X)) XO)) X-(( X(( XO(( X’-) X’) X’O) X’-( X’( X’O( X’-D X’D X’OD X-$ X$ XO$ X-@ X@ XO@ X-# X# XO# X-% X% XO% X-* X* XO* XDD XDDD Alcuni caratteri possono essere usati per sostituirne altri: per esempio “o” “O” e “0” sono praticamente intercambiabili, e la parentesi tonda per la bocca può essere sostituita dalla quadra, graffa o dal segno di maggiore o di minore.

:o) :0) :c) =o) =0) =c) :o(( :0(( :c(( ;oP ;0P ;cP BoD B0D BcD :-o :-0 :-p :-b :-] :-} :-> :^-) :^D =op =0b =c0 =[ ={ =< =^< 8-) 8) 8D 8o( 8’-( x-) x) 17

Nei paesi del nord Europa le lettere “Ö” e “Ü” possono essere usate come emoticon in sostituzione, rispettivamente, di “:O“ e “:D“, e vanno guardate in senso verticale.

Per esprimere rabbia o agitazione si aggiunge il segno “>“ per raffigurare delle sopracciglia aggrottate. È anche possibile rappresentare un angioletto e un diavoletto, aggiungendo un’aureola o delle corna alla faccina.

Un’altra emoticon comune, che però si differenzia poiché non rappresenta un’espressione facciale, è il cuore: “<3”. Si tratta comunque di un’immagine che rappresenta un’emozione. >:-( >:( >:-/ >:/ >:-\ >:\ >:-| >:| >:-O >:O O:-) O:) O:-3 O:3 0:-) 0:) 0:-3 0:3 OB-) 3:-) 3:) }:-) }:) }:-D }:D }B-) <3 <33 <333 </3 <\\3 Le sopracciglia date dal segno di maggiore possono rappresentare anche espressioni felici.

>:-) >:) >:-D >:D >:-P >:P >=o) >=) >=oD >=D >=oP >=P >=0) >=0D >=0P >P >B-) >BD >8) >8->

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Per ampliare il raggio di espressioni rappresentabili, ora è possibile invertire il senso di lettura di alcune emoticon, poiché, servendosi solo di caratteri ASCII, questa forma di espressione è limitata dal verso di alcuni simboli: per esempio la faccina sconvolta “D:“ va letta da destra a sinistra, al contrario di quella molto felice “:D“. Ma questo può anche essere un modo per giocare con la forma dei glifi.

Da questo momento è diventato possibile —e piuttosto comune tra chi ama distinguersi— invertire l’ordine dei segni per rappresentare le solite faccine: per esempio da “:-)“ a “(-:“, che rappresentano la stessa espressione felice.

D-: D: Do= D= (-: (: (o= (= )-: ): )o= )= (-; (; )-’: )’: O-: O: O= /: \: /-: \-: /= \= ]-: ]: }-: }: (-8 )o8 Aggiungendo dettagli, combinando le sequenze di segni in modi diversi o facendo piccole modifiche, le variazioni possibili diventano pressoché infinite.

):< =*> /=< :-X >:C *-] ;-{ 3=P >x-b 0:-§ =O// };c3 >X( >;0D :^PP XO} ]:c(( >8-0 C-:< DD8< <:-| :-## ‘,:-/ ]--’={ #-S B°)) :Q__ :{o

Sono stati creati addirittura dei personaggi famosi, riconoscibili per alcune caratteristiche fisiche, come Elvis Presley, Bill Clinton, Ronald Reagan, Homer Simpson e Santa Claus. Un’altra emoticon che non rappresenta un volto è la rosa, realizzata con la chiocciola. ~:-\ =:o]

7:^]

~(_8^(|) *<|:-)

@}->-

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____________

/\__/\ / ( ´ ∀ ` ) < オマエモナー ( ) \ ____________ | | | (__)__) 20

Kaomoji Nel 1986 è nato anche un altro stile di emoticon, creato in Giappone sul BBS ASCIInet, completamente diverso da quello occidentale. Queste emoticon, dette “kaomoji” (dal giapponese “kao” viso e “moji” carattere, lettera), che comprendono caratteri occidentali e giapponesi, segni di interpunzione e altri glifi, devono essere viste in verticale, e non “di traverso”.

Le emoticon di questo tipo presentano una struttura di base formata da occhi —che possono essere asterischi, lettere (per esempio “O”, “X”, “T”, etc.), trattini, accenti circonflessi “^“, o tantissimi altri glifi, tra cui caratteri stranieri— separati da una bocca (un puntino, una lineetta bassa, etc.) —talvolta sottintesa— e, in certi casi, un naso; una particolarità sono le parentesi (tonde, quadre, graffe) che racchiudono gli altri segni, delineando i contorni del viso.

Talvolta vengono aggiunti caratteri per conferire tratti tipici Nella pagina precedente: il gatto Monā, mentre dice la sua frase preferita “anche tu!”.

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dei manga, come la gocciolina di sudore, che può essere rappresentata in vari modi: apostrofo, punto e virgola, virgolette alte, punto esclamativo, etc.

(^^) (^.^) (^_^) {^_^} (#^.^#) (=^.^=) (>^_^<) (*^.^*) (^-^) (^v^) (^O^) (^m^) (^///^) (^_-) (^_-)-☆ (✿◠‿◠)

(^^ ゞ (^_^;)

(<_<) (>.>) (>_<) (><) (-.-) (-_-) (-_-;) (-.-”) (-”-) (一一;) (￣ー￣) (*￣m￣) (~o~) (~_ ~;)

(=.=) (=_=) (‘_’) (・へ・) (. .) (._.) (-_-)zzz (-_-)!!

(o.o) (O_O) (o_o) (O_o) (o_0) (^0_0^) (o|o) (・.・;) (・_・;) (・ ・;) (°°) (°-°) (°.°) (°o°) (°_°) (°レ°)

(;_;) (;O;) (T_T) (t_t) (T.T) (ToT) (TnT) (Ｔ▽Ｔ) (QQ) (Q_Q) (Q.Q)

(*_*) (*.*) (*o*) (X_X) (x.x) ((+_+)) (+o+) (@.@) (@_@;) (・・? (?_?)

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I kaomoji permettono di esprimere emozioni complesse o miste, non facilmente ottenibili con le emoticon tradizionali, e si sono recentemente diffusi nel mondo a partire dai sempre più numerosi forum di manga e anime —per questo motivo vengono spesso chiamate emoticon “stile anime”—, con

la limitazione dei caratteri ASCII disponibili sulle tastiere occidentali (limite superato ormai grazie ai siti che raccolgono centinaia di kaomoji e a quelli che permettono di crearne di nuovi, fornendo una lista di caratteri di tutti gli alfabeti). Il fenomeno si è poi esteso ai videogiochi online e anche a chat, forum e social network non riguardanti i manga.

Gli utenti occidentali non hanno però adottato l’utilizzo delle parentesi per contornare il volto, ritenendolo superfluo e poco pratico. Un’altra caratteristica dei kaomoji occidentalizzati è l’allungamento della bocca, che si ottiene ripetendo la lineetta bassa.

Nei kaomoji l’attenzione è posta principalmente sugli occhi —mentre nelle emoticon occidentali la parte più importante è la bocca, che infatti è solitamente il segno più grande dell’emoticon—, in considerazione del fatto che per i giapponesi gli occhi sono lo specchio dell’anima (anche i personaggi dei manga hanno occhi molto grandi, mentre il resto dei tratti facciali quasi sparisce).

O_O >.< e.e ^^ °° u.u -_- -3- -w- ‘_’ ;_; ;O; çwç C_C *u* =0= =3= =A= =w= >o< ^///^ >///< ^^” o.O’ owo o@O -_-; .-. !>_<! <@>___<@> ^___^ O___O

Alcune emoticon in stile giapponese sono state create in ambito occidentale: il vampiro, la faccina che mostra il dito medio, due persone che battono il cinque, la cheerleader, John Lennon e il pesce (che indica anche qualcosa di sospetto, dall’espressione “something fishy”). *,..,* t(-_-t) >_>^^<_< *\o/* //0-0\\ <*)))-{

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La moda di aggiungere le sopracciglia agli occhi di queste emoticon a vista verticale è nata in Brasile. ò_ó ó_ò õ_o ù_ù o_Ô

Ritornando al Giappone, un’abitudine comune è quella di aggiungere delle piccole braccia ai lati della faccia, spropositatamente grande. In questo modo l’emoticon non rappresenta più solamente l’espressione facciale, ma una gestualità più estesa. Talvolta possono essere aggiunti anche accessori, come le cuffie per ascoltare musica.

\(^_^)/ (^.^)y-.o○ (^_^)/ (^o^)／ ＼(^o^)／ (^^)v (/_;) (^_^)/~ (-_-)/~~~ (T_T)/~~~ ＼(◎o◎)／！ ((d[-_-]b))

Un kaomoji tipicamente orientale è il “Kowtow”, l’inchino usato come segno di rispetto o per scusarsi. _(._.)_ <(_ _)> m(__)m m(_ _)m

Un famoso e diffusissimo kaomoji rappresenta una persona che ribalta un tavolo, il “table flip”. Sul sito japaneseemoticon. me esiste una sezione interamente dedicata a tutte le variazioni di questa azione. (╯°□°）╯︵ ┻━┻ ┬──┬ ¯\_(ツ)

┻━┻︵ヽ(`Д´)ﾉ︵ ┻━┻ 24

┬─┬ノ( º _ ºノ)

(ノಠ益ಠ)ノ彡┻━┻ Ulteriori varianti possono essere ottenute combinando i caratteri dei diversi alfabeti, e i giapponesi si rivelano molto creativi in questo senso.

٩(o˽o)۶ ¯\_(ツ)_/¯ (╯°□°)╯ (≧∇≦)/ (/◕ヮ◕)/ (^o^)丿 ∩(·ω·)∩ (·ω·) ＼(°ロ＼) (＾◇＾) (´∀`)

(⌒▽⌒） (*^▽^*) (￣□￣;) (*´▽｀*) （ ﾟ Дﾟ) (°◇°)

ヽ(´ー｀)┌ (＃ﾟДﾟ) ┐(‘～`；)┌

（ ´_ゝ`） ((((；ﾟДﾟ))) Σ(ﾟДﾟ) （・∀・） (ΘεΘ;) (☞ﾟヮﾟ)☞ Alcuni kaomoji raffigurano due o più personaggi che interagiscono, oppure comprendono frasi giapponesi.

（ ^_^）o自自o（^_^ ）

ヽ(´ー`)人(´∇｀)人(`Д´)ノ

♪┏(・o･)┛♪┗ ( ･o･) ┓

お(^o^)や(^O^)す(^｡^)みぃ(^-^)

（‐＾▽＾‐） オーホッホ

Le emoticon con parentesi, bocca, naso e braccia, specialmente quelle che includono i segni “<“ o “>“ sono

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anche chiamate “Kirbys”, per il loro aspetto che ricorda il personaggio della serie di giochi della Nintendo, Kirby.

<( ^.^ )> <(^_^<) <(o_o<) <( -’.’- )> <(‘.’-^) (>’;..;’)> <(｀^´)> Esistono anche kaomoji che non raffigurano volti o persone, come la tazza di tè, la stella cadente, la bomba e diversi animali, tra cui: gatti, cani, uccelli, orsi, scimmie, ragni, pesci, polipi, serpenti, pipistrelli, etc.

（ΦωΦ） ლ(=ↀωↀ=)ლ ^ↀᴥↀ^ (=^‥^=) (^._.^)ﾉ =＾● ⋏ ●＾= ₍⸍⸌̣ʷ̫ ⸍̣​̣ ⸌₎ ฅ^•‫^•ﻌ‬ฅ

∪･ω･∪ (∘❛⌔❛∘) ᶘ°ᴥ°ᶅ @・ꈊ・@ <°)))彡 ///\oo/\\\ <コ:彡 Ｃ:.ミ ~>°)～～～ ～°·_·°～ _旦~~ ●～*

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Esprimere concetti ed emozioni tramite poche semplici linee fa parte della cultura giapponese, a partire dalla loro scrittura: gli ideogrammi sono appunto la rappresentazione stilizzata di un oggetto o di un concetto, di un’idea.

In Giappone le emoticon sono molto più diffuse ed utilizzate rispetto al resto del mondo. Sono anche più numerose, poiché fanno uso di un maggior numero di caratteri, non hanno la limitazione della larghezza —quelle occidentali non possono espandersi ai lati del volto, data la loro lettura di traverso, mentre i kaomoji possono essere composti da due soli caratteri, come “^^”, oppure essere estesi aggiungendo ai lati del volto ulteriori dettagli, braccia e mani, e addirittura altri personaggi— ed esprimono non solo una semplice emozione individuale, ma anche emozioni e azioni complesse, oggetti e persino intere storie.

La maggior parte dei kaomoji contiene anche caratteri di altri alfabeti (tra cui il cirillico) e può occupare anche più di una riga di testo, allo scopo di realizzare espressioni ancora più articolate, raggiungendo talvolta un livello di complessità pari a quello dell’ASCII art. Queste sono chiamate Shift JIS art (Shift JIS è una codifica di caratteri ASCII sviluppata da una compagnia giapponese) o semplicemente AA (abbreviazione di ASCII Art).

Esistono diversi siti su cui reperire emoticon ASCII già pronte, soprattutto quelle che comprendono caratteri di alfabeti stranieri, o quelle particolarmente complesse da realizzare. Kaomoji.ru comprende tantissime emoticon in stile giapponese, Uplist presenta una lunga lista di emoticon di tutti i tipi.

ASCIImoji è un addon di Google Chrome che consente di ottenere un’emoticon digitando una parola chiave tra due parentesi tonde: per esempio digitando (bear) si ottiene ʕ·͡ᴥ·ʔ. Questo sistema rapido e semplice è utilizzabile su qualsiasi sito e non richiede di installare nessun pacchetto aggiuntivo, in quanto le emoticon sono solamente testo. Sul sito è anche possibile contribuire proponendo un’emoticon ed una parola chiave ad essa associata.

Il canadese Peter Saydak, grande fan delle emoticon, ha realizzato un sito web che raccoglie un numero impressionante di kaomoji (più di 10.000): japaneseemoticons.me. Per rendere più facile la ricerca le emoticon sono racchiuse in categorie: ci sono quelle che esprimono emozioni, per esempio felicità o tristezza; quelle che riguardano specifiche azioni o attività, come dormire o A fianco: wallpaper dal sito japaneseemoticon.me di Peter Saydak.

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∧＿∧ （；´Д｀）

∧∧ ／ 中＼ （ ｀ハ´） γ~三ヽ (三彡０ﾐ) （ ´∀｀）

Monā

Sinā

Monastē

|￣￣| ＿☆☆☆＿ （ ´_⊃｀） Samū ┏━┓ ━━ ﾐΘc_Θ-ﾐ

Yudā

＿＿ │〓.│ ━━ ﾐ ´_＞｀） Jakū

ridere; diversi animali, come gatti o scimmie; e tantissime altre sezioni. Ogni lista è preceduta da una breve introduzione scritta dall’autore e ogni categoria è ulteriormente divisa in sottosezioni più specifiche. È anche possibile proporre un kaomoji di propria creazione, partendo da una lista di parti del corpo fornita dal sito.

Saydak ha anche sviluppato un’app per smartphone grazie alla quale è possibile trovare qualsiasi kaomoji e copiarlo per inserirlo nei messaggi. Gli utenti possono crearsi una lista di preferiti per trovare più velocemente i kaomoji più utilizzati.

Alcune emoticon orientali particolarmente espressive si sono rapidamente diffuse in tutto il mondo, come Kannada ಠ_ಠ , che è diventata la rappresentazione ufficiale della confusione, dell’incomprensione e della disapprovazione, o il kaomoji “shrug” (alzata di spalle), ¯\_(ツ)_/¯. Alcune sono diventate veri e propri personaggi, come la Lenny Face ( ͡° ͜ʖ ͡°), il gatto Monā, etc.

Il nome del famoso gatto Monā deriva dalla sua frase preferita: “omae mo nā” (anche tu!). Monā è nato nel 2000 da un post troll su 2channel, intitolato “Test”. Un utente ha costruito il gatto con la tastiera per farlo lamentare dei forum con la frase “Avete troppo tempo libero”, la prima risposta era lo stesso Monā che ribatteva “Anche tu!”. Il personaggio ha avuto così tanto successo da ispirare una serie di animazioni e di giochi flash incentrati su di esso, come Mr. Monar e The 2chan Battle game. Su Linux il font per rappresentre la Shift JIS art si chiama Mona Font, in onore del personaggio.

A fianco, in ordine: Monā, personaggio giapponese; Sinā, personaggio cinese; Monastē, personaggio indiano; Samū, personaggio americano; Yudā, personaggio ebreo; Jakū, personaggio inglese.

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L’emoticon, realizzata utilizzando soltanto la tastiera ASCII è stata ormai soppiantata (perlomeno in contesto occidentale) dal più recente emoji.

L’emoticon fa specifico riferimento alla rappresentazione tipografica di espressioni facciali (con alcune eccezioni, come il cuore “<3”) e non ha necessariamente bisogno di un programma che la elabori trasformandola in un’icona colorata e animata, può essere letta e compresa nella sua forma tipografica —anzi è proprio in questo modo che è più apprezzabile nella sua espressività—. Non va confusa con l’emoji, che si riferisce alla rappresentazione illustrata di oggetti di qualsiasi tipo (dalle espressioni facciali ai pezzi di pizza) creata usando Unicode e si presenta come un’icona, solitamente colorata e talvolta animata, che non ha alcun collegamento visivo con il codice digitato per generarla.

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Kaoani e Henohenomoheji Un altro tipo di emoticon è quella animata: il kaoani, termine derivato dal giapponese “kao” (faccia) e “ani” (animazione), è una piccola emoticon in formato .gif che solitamente rimbalza su e giù come una pallina, fluttuando. Nato in Giappone, è conosciuto anche come puff, anime blob, anikao o anime emoticon. Molto usati su forum, siti, chat e blog, ne esistono di tutti i tipi, ma quelli originali sono di colore bianco. I kaoani sono raffigurati mentre compiono tantissime azioni diverse: ridono, cantano, ballano, mangiano, etc.

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I giapponesi hanno un altro modo tradizionale di rappresentare un volto utilizzando dei caratteri: Henohenomoheji (へのへのもへじ) o Hehenonomoheji (へへの のもへじ) è il nome della rappresentazione di un viso umano che gli studenti giapponesi disegnano e mettono sullta testa di un “kakashi” (spaventapasseri) o di un “teru bōzu” (da “teru”, risplendere e “bōzu”, monaco buddista, il teru bōzu è una tradizionale bambola giapponese fatta di carta o stoffa bianca, che veniva appesa alla finestra dai contadini per allontanare la pioggia e richiamare il bel tempo, accompagnando l’atto con una filastrocca cantata).

Il volto è formato dai sette caratteri hiragana che compongono la parola: へ he, の no, へ he, の no, も mo, へ he, じ ji. I primi due “he” formano le sopracciglia, i due “no” sono gli occhi, il “mo” è il naso e l’ultimo “he” è la bocca. Il contorno del volto è delineato da una parte del carattere “ji”, mentre i suoi due dakuten (i due segnetti simili alle virgolette alte) formano l’orecchio o la guancia.

Ne esistono anche alcune versioni alternative: Hemehemekutsuji (へめへめくつじ), Heneheneshikoshi (へねへ ねしこし), Hemehemeshikoji (へめへめしこじ), Shinishinishinin

じ へ のへ の も

へ

(しにしにしにん).

Inoltre, un gruppo di nippo-brasiliani che studiavano gli hiragana negli anni ‘50, nello Stato di San Paolo, creò un viso simile senza il contorno “ji”, chiamandolo perciò Henohenomohe, altri ancora disegnarono un grosso “no” (の) intorno al viso, al posto del “ji”, oppure aggiunsero una “i” (い) in fondo, sotto il “ji” per formare il collo.

A fianco: un esempio di Henohenomoheji giapponese.

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Altri stili orientali I paesi orientali hanno hanno fatto propri i kaomoji giapponesi, adattandoli alla propria scrittura, dando vita a stili particolari, che utilizzano caratteri appartenenti alle diverse culture.

Stile coreano

Nella Corea del Sud le emoticon occidentali sono poco usate, lo stile coreano è simile a quello giapponese, ma utilizza l’alfabeto Hangul coreano, un alfabeto fonetico composto da sillabe, in cui ogni carattere rappresenta una sillaba ed è composto da due o tre suoni elementari. In questo modo si può creare un numero enorme di emoticon diverse.

Le consonanti jaum “ㅅ“, “ㅁ“, “ㅂ“ sono usate per bocche e nasi, “ㅇ“ e “ㅎ“ per gli occhi. ㅇㅅㅇ

ㅇㅂㅇ

ㅇㅁㅇ

-ㅅ-

^ㅂ^

ㅎ_ㅎ

Spesso sono usati per gli occhi anche l’apostrofo o le virgolette alte, e la “ㅇ“ può essere utilizzata per la bocca in un’espressione di sorpresa.

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‘ㅅ’“ㅅ”‘ㅂ’‘ㅇ’ ^o^ Le vocali moum “ㅜ“ e “ㅠ“ raffigurano una faccia che piange, in modo simile alla lettera “T“ dell’alfabeto latino. Ma in questo caso il puntino o la lineetta bassa rappresentante la bocca può essere presente o meno. Uno dei due occhi può essere chiuso. ㅜㅜ

ㅜㅇㅡ

ㅠㅠ

Y.Y

뉴뉴

ㅜ.ㅜ

ㅠ.ㅜ

ㅠ.ㅡ

ㅜ_ㅠ

ㅡ^ㅜ

Anche nello stile coreano si può aggiungere la gocciolina di sudore, oppure altri segni per esprimere imbarazzo, utilizzando caratteri non coreani. Sono molto comuni anche l’occhiolino realizzato con la tilde e la faccina che arrossisce con gli asterischi.

-;/

*ㅇ*

--^

ㅡㅡ;;;

ㅇㅅㅇ;

-_-;;

ㅎ_ㅎ;;

-_^;

//_//

^.~

*^.^*

Per un occidentale le emoticon coreane sono probabilmente le più strane e difficili da interpretare. ^오^

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~_~

--a

-6-

+0+

>ㅁ<

>3<

Orz L’emoticon Orz, che ha moltissime varianti, raffigura una persona inginocchiata, con la “O“ come testa, la “r“ come braccia appoggiate a terra e parte del corpo e la “z“ come il resto del corpo e le gambe. Questa figura rappresenta fallimento e disperazione, ma può anche essere usata per mostrare una grande ammirazione (talvolta con sarcasmo) per un’azione di qualcuno. È nata nel 2002 sul forum giapponese Techside: un utente ha fatto una domanda riguardante una copertura di cavo, digitando “ ＿|￣|○ “ come raffigurazione del cavo e della sua copertura. Qualcuno ha commentato che sembrava una persona inginocchiata e il simbolo è così divenuto popolare, scatenando una ricerca per la variante più semplice e veloce da digitare, che è risultata essere Orz. Questa emoticon non va confusa con “ m(_ _)m “, che significa “grazie” o “scusa”.

Orz orz Or2 on_ OTZ OTL O7Z O|¯|_ STO JTO _no _|7O Sto Jto ＿冂○

Stile ideografico cinese Nel web cinese è comune utilizzare il carattere 囧 (luminoso) per rappresentare una faccia accigliata, che può essere combinata con l’emoticon di postura Orz: 囧rz.

Alcune varianti sono 崮 (re 囧), 莔 (regina 囧), 商 (囧 con cappello), 囧興 (tartaruga).

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Apple 36

Emojidex Emojione Facebook

Google

HTC

LG

Messenger Microsoft Mozilla

Twitter

Emoji L’emoji è una piccola icona a colori usata nella comunicazione elettronica scritta per esprimere un’emozione, un oggetto o un concetto. Il termine “emoji” è composto dai due vocaboli giapponesi “e” (immagine) e “moji” (carattere, lettera), anche se è ormai diventato un sinonomo di “emoticon”. È una piccola immagine che possiamo inserire nei messaggi per trasmettere semplici pensieri o rafforzare quello che stiamo dicendo —o meglio, scrivendo—.

Il primo emoji è stato creato verso la fine degli anni ‘90 da Shigetaka Kurita, un membro del team che si occupava di i-mode (una delle prime e più diffuse piattaforme internet mobile, che comprendeva previsioni meteo, news, email e servizio di prenotazione per eventi) della NTT Docomo. La sua compagnia aveva avuto successo grazie all’introduzione di un piccolo simbolo a forma di cuore sui suoi cercapersona Pocket Bell, molto in voga tra gli adolescenti giapponesi intorno al 1995. Le versioni successive del Pocket Bell però Nella pagina precedente: differenze tra emoji di diversi servizi.

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abbandonarono il cuoricino in favore di strumenti più utili in contesti lavorativi, come supporti per i kanji (l’alfabeto giapponese composto da ideogrammi) e l’alfabeto latino.

Quando si resero conto dell’errore i loro maggior acquirenti, i giovani, avevano abbandonato il Pocket Bell per il suo rivale Tokyo Telemessage.

In questo periodo, con il lancio di Windows 95, l’uso di email nella comunicazione digitale si stava diffondendo, ma i giapponesi, le cui lettere personali erano tradizionalmente lunghe ed elaborate, ricche di espressioni onorifiche e formule di cortesia, avevano difficoltà ad abituarsi a questo metodo di comunicazione più diretto e conciso. L’assenza di questi elementi e di quelli legati alla comunicazione faccia a faccia hanno spinto Kurita a cercare qualcosa per rendere più chiaro il significato dei messaggi scritti e più interessante la nuova piattaforma i-mode. Con il suo team ha visitato San Francisco per studiare il Pocket Net della AT&T, il primo servizio al mondo che fornisse internet sul cellulare. I telefoni di quel tempo (intorno al 1998) avevano schermi piccoli, in bianco e nero e non consentivano la visualizzazione di immagini, perciò le previsioni del tempo erano trascritte a parole. Kurita ha pensato che fosse poco intuitivo, e che delle icone —come il sole e la pioggia delle previsioni meteo alla TV— avrebbero migliorato parecchio il servizio, e da questo ha avuto l’ispirazione: ha deciso di introdurre alcuni semplici volti per rendere più chiaro il tono dei messaggi.

ASCII Art e kaomoji, già ampiamente diffusi in quel periodo, non erano un’opzione, poiché troppo complessi da inserire in un cellulare. Così Kurita e il suo team hanno sviluppato un intero set di 176 emoji da 12x12 pixel raffiguranti espressioni A fianco: l’icona a forma di cuore presente sul Pocket Bell.

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Sopra: il set originale di emoji creato da Shigetaka Kurita negli anni â&#x20AC;&#x2DC;90.

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facciali, segni zodiacali, sport, cibi, mezzi di trasporto e oggetti vari. Nel set originale erano presenti cinque cuori (di cui uno per il simbolo delle carte) poiché Kurita riconosceva l’importanza dell’icona “cuore” che aveva portato al successo la società Docomo.

Kurita ha preso ispirazione da diversi elementi della sua infanzia, soprattutto dai manga, dai kanji e dai pittogrammi sui pannelli informativi e sulle mappe. Nei fumetti ci sono tantissimi simboli: la lampadina per indicare un’idea, la gocciolina di sudore per rappresentare l’ansia, le nuvolette sulla testa per indicare rabbia; dai kanji ha preso la capacità di esprimere concetti astratti con un solo carattere (per esempio l’amore); l’ultima ispirazione sono stati i pittogrammi realizzati per i giochi olimpici di Tokyo del 1964: a quei tempi le indicazioni in Giappone erano solo in lingua giapponese, ma in questa occasione è stato proposto di utilizzare i pittogrammi per renderle comprensibili anche agli stranieri.

Inizialmente gli scopi degli emoji dovevano essere tre: esprimere emozioni, mostrare contenuti quali le previsioni del tempo e le news, e funzioni generali come creare ID, password e loghi.

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Kurita ha sviluppato il design di ogni emoji colorando i quadratini sui fogli di carta per rappresentare i pixel, che poi sono stati trasformati in immagini digitali dall’architetto Jun Aoki. La parte più difficile era centrare l’emoji nella griglia composta da un numero pari di pixel.

Ogni icona era composta da un codice di 2-byte nella zona libera dello schema Shift JIS ed era caricata sui cellulari Docomo come un qualsiasi carattere tipografico. Gli utenti potevano selezionarne una scegliendola da una lista presente nell’app delle email.

I suoi design, pensati come simboli, abbastanza vicini alle

lettere da non sembrare fuori posto in una frase, sono semplici e molto differenti dalle icone gialle e dettagliate che conosciamo ora, e assomigliano ad un ibrido di emoticon e grafica dei giochi per computer a 8-bit.

In un’intervista Kurita ha affermato che sul Pocket Bell erano presenti solo due simboli: un telefono e il cuore. Il telefono era utilizzato quando si voleva essere richiamati da qualcuno, ma il cuore si poteva usare per esprimere un’emozione, quindi può essere considerato il primo emoji.

Ha anche ammesso di aver ideato un emoji “cacca”, che però non è stato ritenuto consono agli standard di morale e decenza della Docomo e quindi non è stato reso pubblico, almeno finché non è stato adottato dalla KDDI. Ha concluso l’intervista dicendo che gli emoji sono uno strumento di comunicazione e non spariranno mai, ma continueranno a cambiare e ad evolversi come risultato dell’ambiente che li circonda. È possibile paragonare i set di emoji ad un font vero e proprio, un alfabeto nel quale ogni carattere è più di una singola lettera, è una parola completa. Il loro significato è in costante evoluzione e può variare con l’interpretazione di ognuno.

Il successo della Docomo ha spinto altre compagnie —come la AU e la J-Phone (diventata poi SoftBank)— a creare i propri set di emoji, aggiungendo altre immagini ed animazioni. Gli emoji di una compagnia però non erano visualizzabili sui dispositivi delle altre.

Gli emoji si sono diffusi nel resto del mondo nel 2010, quando alcuni caratteri sono stati incorporati nell’Unicode Standard (l’Unicode Consortium è un gruppo no profit di

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programmatori che lavorano per creare un sistema di codici standard per tutto ciò che riguarda l’informatica, in modo che ogni dispositivo elettronico comunichi nello stesso modo), permettendo così di essere standardizzati su differenti sistemi —sebbene alcuni caratteri ora definiti emoji siano stati in realtà ereditati da sistemi di messaggistica come Yahoo e MSN Messenger, nei quali erano in uso già prima del 2010—.

Il primo set di emoji di Unicode 6.0 comprendeva 722 caratteri, nella versione 7.0 del 2014 sono stati aggiunti 250 nuovi emoji —molti dei quali ripresi da font dingbat come Wingdings e Webdings—, con la versione 8.0 si è arrivati a 1013, introducendo cinque diverse tonalità della pelle per gli emoji umani (oltre al classico colore giallo), basate sul sistema di classificazione del dermatologo Thomas Fitzpatrick, ideato nel 1975. La creazione di nuovi emoji e la loro aggiunta all’Unicode è in continua evoluzione.

Nel 2011 la Apple ha incluso un set di emoji nella tastiera del suo software iOS 5, accrescendo enormemente la loro popolarità a livello mondiale.

Adesso ogni sistema operativo mobile, ogni servizio di messaggistica online, ogni social network ha un proprio set e gli emoji si vedono ovunque, dai semplici messaggi quotidiani tra amici e parenti alle campagne pubblicitarie di grosse aziende (Coca-Cola, Ikea, Esselunga), in progetti letterari (come Emoji Dick dell’artista Fred Benenson) ed artistici (come EMOJI IRL.LOL. di Liza Nelson).

Gli emoji subiscono piccole variazioni a seconda della piattaforma o del sistema operativo, poiché ogni compagnia ha creato una propria rappresentazione grafica di ogni icona.

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Nel 2012 la AU ha deciso di ridisegnare i propri emoji per renderli più simili al design originale di Kurita, coinvolgendo

nel progetto lo stesso creatore.

Il dizionario di Oxford, che ha incluso la parola â&#x20AC;&#x153;emojiâ&#x20AC;? nel 2013, ha nominato đ&#x;&#x2DC;&#x201A; (â&#x20AC;&#x153;Face With Tears of Joyâ&#x20AC;?, Faccia Con Lacrime di Gioia) la â&#x20AC;&#x153;Parola dellâ&#x20AC;&#x2122;anno 2015â&#x20AC;?, notando inoltre come in quellâ&#x20AC;&#x2122;anno ci sia stato un notevole aumento nellâ&#x20AC;&#x2122;uso della parola â&#x20AC;&#x153;emojiâ&#x20AC;? e riconoscendone lâ&#x20AC;&#x2122;impatto sulla cultura popolare. Swiftkey, unâ&#x20AC;&#x2122;app per lâ&#x20AC;&#x2122;uso di emoji sui dispositivi mobili, ha confermato che â&#x20AC;&#x153;Face With Tears of Joyâ&#x20AC;? era lâ&#x20AC;&#x2122;emoji piĂš utilizzato al mondo in quellâ&#x20AC;&#x2122;anno (vittoria riconfermata nel gennaio 2017).

La American Dialect Society ha dichiarato che đ&#x;?&#x2020; (â&#x20AC;&#x153;eggplantâ&#x20AC;?, melanzana) è stato lâ&#x20AC;&#x2122;â&#x20AC;?Emoji piĂš degno di notaâ&#x20AC;? dellâ&#x20AC;&#x2122;anno 2015.

Nel 2016 è stato realizzato un musical sugli emoji chiamato Emojiland e presentato a Los Angeles. Lâ&#x20AC;&#x2122;anno successivo è uscito un film dâ&#x20AC;&#x2122;animazione basato sugli emoji: Emoji â&#x20AC;&#x201C; Accendi le Emozioni (The Emoji Movie), prodotto dalla Sony Pictures Animation.

Alcune ricerche hanno mostrato che gli emoji vengono spesso fraintesi, a causa della diversa interpretazione che può avere il destinatario, oppure del differente modo in cui uno stesso emoji è rappresentato su diversi sistemi operativi e applicazioni (lâ&#x20AC;&#x2122;emoji â&#x20AC;&#x153;pile of pooâ&#x20AC;? ha solitamente una faccia sorridente, ma quello della HTC non ha nĂŠ occhi nĂŠ bocca, mentre quello di Emojidex ha addirittura le guance rosse per risultare piĂš carino).

Per esempio: lâ&#x20AC;&#x2122;emoji con le due mani unite rappresenta una persona che prega oppure due persone che battono il cinque?

O ancora una persona che chiede â&#x20AC;&#x153;per favoreâ&#x20AC;??

A causa della loro ambiguità alcuni emoji hanno assunto significati diversi a seconda della cultura. Lo stesso emoji nominato prima può essere visto in Oriente come una persona che ringrazia.

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Essendo nati in Giappone, ci sono emoji specifici della cultura giapponese, per esempio lâ&#x20AC;&#x2122;uomo dâ&#x20AC;&#x2122;affari che si inchina, maschere tradizionali (la maschera tengu, per esempio, viene usata per indicare un atteggiamento presuntuoso e vanitoso, ma un occidentale potrebbe interpretare quella faccia rossa con le sopracciglia aggrottate come unâ&#x20AC;&#x2122;espressione di rabbia), diversi piatti giapponesi (ramen, dango, onigiri, curry giapponese, sushi). Un altro emoji frainteso dagli occidentali è la â&#x20AC;&#x153;sleepy faceâ&#x20AC;?: quella che sembra una faccina triste con una lacrima sotto lâ&#x20AC;&#x2122;occhio è in realtĂ la rappresentazione di una persona addormentata con la bollicina che emerge dalla narice, come accade in molti anime giapponesi, espediente che sostituisce il â&#x20AC;&#x153;zzzâ&#x20AC;? dei fumetti occidentali.

Gli emoji sono diventati un vero e proprio linguaggio, in continuo sviluppo e crescita. Ogni sistema operativo con la possibilità di inserimento di font addizionali può aggiungere font che supportano emoji.

EmojiOne, un font open-source disponibile sotto licenza gratuita, supporta lâ&#x20AC;&#x2122;intero set emoji a colori della versione Unicode 9.0. Il font Symbola contiene tutti gli emoji in monocromo della versione 8.0 e alcuni della 9.0.

Altri font che includono un buon numero di emoji sono Noto Emoji e Quivira.

Ă&#x2C6; stato creato anche un sistema di unione di emoji che permette loro di comportarsi come un singolo carattere: ZERO WIDTH JOINER (ZWJ). Per esempio si può rappresentare una famiglia con un uomo, una donna e una bambina: đ&#x;&#x2018;¨â&#x20AC;?đ&#x;&#x2018;Šâ&#x20AC;?đ&#x;&#x2018;§ .

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I sistemi che non supportano questa funzione la ignorano, riportando i tre caratteri distinti.

Con il tempo si sono create delle “regole” sull’uso e sulla posizione degli emoji in una frase. Non esistono veri e propri errori, ma, visto che il loro scopo principale è quello di enfatizzare un pensiero o un’emozione, gli emoji vengono solitamente posti al termine di una frase, oppure appena dopo la parola che vogliono raffigurare.

I colori sono diventati importanti per esaltare il significato: una faccina rossa significa rabbia, una verde rappresenta malessere o disagio, etc.

Emojipedia è un’enciclopedia online, organizzata in sezioni, che divide gli emoji per categoria, piattaforma, versione, versione Unicode, e riunisce tutte le informazioni su ogni singolo emoji. Inoltre documenta ogni variazione dei simboli emoji e dei loro significati.

Nel 2014 Emojipedia ha lanciato una campagna sui social media chiamata World Emoji Day (“Giornata Mondiale dell’Emoji”), festeggiata ogni anno il 17 luglio. La data è stata probabilmente scelta a causa del modo in cui è rappresentato l’emoji “calendario” sugli iPhone.

Un’altra campagna di Emojipedia è “Adotta un Emoji”, lanciata nel settembre 2015 nel tentativo di liberare il sito dagli ads, ma il programma fu chiuso nel novembre 2016 poiché generava confusione per la somiglianza con il progetto di raccolta fondi di Unicode.

Esistono anche dei social network dove si chatta utilizzando solo emoji, ma al momento non sono ancora molto popolari.

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Applicazioni Recentemente sono state introdotte su Facebook le reaction, emoji che permettono agli utenti di esprimere differenti reazioni ai contenuti postati: una serie di pulsanti collocati sotto ogni post, che consentono, oltre al classico “like” (il pollice in su), di esprimere amore, gioia, rabbia, divertimento, stupore e tristezza.

L’applicazione di messaggistica istantanea LINE è diventata famosa in tutto il mondo per i suoi personalissimi emoji e sticker, disegnati da diversi illustratori e compagnie quali la Disney, la Aardman, la Sony ed altre. Sviluppata dalla filiale giapponese di una compagnia sudcoreana nel 2011 a seguito del terremoto e dello tsunami del marzo di quell’anno, che hanno distrutto la maggior parte dei sistemi telefonici giapponesi, è nata con l’intento di creare un sistema di comunicazione che non necessiti della linea telefonica, ma solo di Internet. Nel febbraio 2015 aveva raggiunto 700 milioni di utenti. Il motivo del suo successo è dovuto alla funzione di suggerimento automatico di emoji e sticker in risposta ad alcune parole chiave digitate, in questo modo gli utenti non devono perdere tempo scorrendo lunghissime liste di caratteri per trovare quello giusto, ma semplicemente scegliere tra quelli proposti.

C’è anche un AppStore che consente agli illustratori e ai designer di vendere i propri sticker: il LINE Creators Market.

LINE commissiona emoji anche ad illustratori di cui apprezza A fianco e nella pagina seguente: le reaction di Facebook, anche in versione Halloween; alcuni dei personaggi più famosi dell’app per mobile Line; le reaction dell’app per chattare Tinder.

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il lavoro, come l’inglese Dan Woodger, che nel 2014 ha realizzato un set di 1000 emoji per l’app.

L’applicazione per iPhone “Emojiary”, dello studio newyorkese All Tomorrows, è un diario virtuale in cui l’utente può trascrivere i propri ricordi e sentimenti sia tramite testo che con gli emoji. L’app manda messaggi di chat per ricordargli di registrare le proprie sensazioni ogni giorno. Scorrendo indietro nel tempo si può ripercorrere tutte le sensazioni giorno per giorno. Gli utenti che scrivono regolarmente vengono ricompensati da icone aggiuntive, ed è possibile acquistare pacchetti tematici di emoji.

I creatori dell’app sperano che le persone si rendano così conto dei benefici di tenere un diario e riescano a vedere meglio i collegamenti tra ciò che fanno e le loro sensazioni.

Secondo loro un metodo visivo è più efficace per registrare emozioni e sensazioni, rispetto al solo testo.

Emojiary si propone come metodo di autoriflessione, tramite il cellulare, che è solitamente visto come mezzo di distrazione.

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Progetti artistici Dal momento della loro nascita, emoticon ed emoji sono stati l’ispirazione per artisti e designer, che li hanno adoperati utilizzando stili e mezzi molto diversi tra loro (dalla pittura alla fotografia, dalla scultura al video e alla computer graphic) per realizzare opere originali, prendendo talvolta spunto da artisti famosi e opere conosciute.

Sebbene questi lavori siano così differenti tra loro, è evidente che tutti questi artisti hanno riconosciuto negli emoji un nuovo linguaggio espressivo pieno di potenzialità.

Nel dicembre del 2013 si è svolta a New York un’intera mostra d’arte dedicata agli emoji: Emoji Art and Design Show. Presentata da Forced Meme Productions, Eyebeam e GroupMe, includeva stampe digitali, sculture, performance e opere video su una varietà di temi a cura di oltre venti artisti (tra cui Fred Benenson, Liza Nelson, Matthew Rothenberg, Fahad AlHunaif, Mike Burakoff e Zoë Burnett). Per l’occasione è stata creata anche un’edizione speciale di Womanzine, una rivista online rivolta a persone che si identificano come donne, chiamata “Emoji” . L’esibizione è tuttora visitabile sul sito emojishow.com.

L’inglese Banksy, considerato come uno degli esponenti maggiori della street art, è conosciuto per le sue opere a sfondo satirico su argomenti come la politica, la cultura, l’etica, nelle quali documenta la povertà della condizione umana e le atrocità della guerra. Ha anche realizzato alcuni lavori in cui sostituisce il volto di militari o addirittura della morte con una faccina gialla sorridente.

A fianco: un’immagine della morte realizzata dall’artista inglese Bansky.

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Emoticon Art è un’iniziativa di due artisti digitali, Gualtiero e Roberto Carraro, per studiare e valorizzare la scrittura multimediale dei giovani caratterizzata dall’uso di emoticon che accompagnano le parole. La scrittura creativa nata spontaneamente nei social network ha strette relazioni con modi di espressione antichi e moderni, come l’arte rupestre, gli ideogrammi cinesi, le opere surrealiste e futuriste.

L’obiettivo di questo progetto è estrarre dalla creatività del linguaggio giovanile una nuova modalità artistica.

Emoticon Art utilizza materiali antichi, come la creta ed il marmo, e più moderni, come il plexiglass ed il PVC, unendoli ad una forma d’arte ricavata dal linguaggio digitale, prendendo esempio dai graffiti antichi, dall’arte tribale, dalle insegne pubblicitarie e dai più famosi movimenti artistici d’avanguardia, per creare un collegamento tra la creazione dei segni moderni e quella primordiale.

Come gli artisti dell’avanguardia, che per andare oltre il sistema trovavano nuove forme di espressione, spesso regredendo ai linguaggi primordiali (per esempio Picasso, che si ispirava alle maschere africane), così fanno oggi gli utenti dei social network con le emoticon. In entrambi i casi riprendono le forme di espressione primitive ed infantili.

Nastya Nudnik, artista e art director ucraina ha postato su Behance un progetto chiamato Emoji-nation, che consiste in una serie di opere d’arte famose da lei selezionate e riprodotte con caratteri emoji —nella prima serie— o sovrapposte con fumetti di dialogo, emoji ed altre icone caratteristiche dei social network —nella seconda serie—, con lo scopo di far riflettere su come vediamo immagini e A fianco: alcuni esempi di emoticon tribali dal sito di Emoticon Art; il progetto Emoji-nation di Nastya Nudnik.

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persone in relazione a ciò che troviamo sui social media e che usiamo quotidianamente.

La galleria d’arte di Los Angeles Cantor Fine Art ha trasformato una serie di opere famose in emoji, postando i risultati sulla pagina Instagram. A realizzare questi emoji è stato il designer e art director Sam Cantor, che si occupa della galleria insieme al padre Larry. Egli si è rivolto ai follower della galleria sui social media, chiedendo loro quali artisti o quali opere avrebbero desiderato vedere come emoji.

Da questo progetto scherzoso è nata una vera e propria campagna e Cantor è stato contattato da diverse compagnie che gli hanno proposto di trasformare queste immagini in veri e propri emoji da utilizzare quotidianamente.

Il set di emoji, che comprende artisti quali Michelangelo, Magritte, Dalì, Warhol, Pollock, Duchamp, Haring, Frida Kahlo, Botticelli, è tuttora in espansione.

Su Twitter invece è nata la moda di rappresentare le opere d’arte attraverso gli emoji, è possibile ritrovare questi riferimenti scherzosi ma creativi cercando l’hashtag #emojiarthistory.

Lee Masterson è un artista che lavora con gli emoji su tela o superfici di ceramica ingrandendoli a dismisura, finché si arrivano a vedere solo i pixel ed è difficile riconoscere l’immagine originaria. L’artista li raccoglie in gruppi per trasmettere una narrazione o un’idea. Egli sostiene che è come guardare un fiore con un microscopio: anche se è possibile vedere il fiore ad occhio nudo, quando lo ingrandisci così tanto scopri un mondo nuovo.

A fianco: qualche emoji di Sam Cantor ispirato ad opere ed artisti famosi.

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Masterson dichiara di aver scelto di utilizzare gli emoji perché interessato alla tecnologia e che i suoi soggetti preferiti sono i farmaci, le armi e gli animali.

“Emoji Among Us” (Emoji tra di noi) è un cortometraggio di Dissolve sull’impatto che queste piccole icone hanno avuto sulla nostra società. Dedicato a Shigetaka Kurita, è composto da filmati in cui sono inseriti personaggi emoji come se fossero parte di esso, rendendo talvolta difficile distinguerli dal filmato originale.

Un altro artista che colloca gli emoji nel mondo reale è il fotografo e direttore creativo americano Able Parris: utilizzando l’app Phonto aggiunge personaggi emoji alle sue fotografie, creando scenari surreali o integrando i due mondi in modo realistico, realizzando le sue fantasie e postandole sul suo Instagram. I soggetti delle sue opere spaziano da statue che lanciano palloni da basket a nuotatori nel cielo, da animali alla guida di auto ad alieni che attaccano la città come in vecchi giochi arcade. Il progetto si chiama, appunto, “Emoji Daydream”, sogno ad occhi aperti, fantasia.

“Emoji IRL.LOL.” è un progetto dell’artista Liza Nelson, che ha selezionato alcuni classici emoji Apple e li ha riprodotti fotograficamente o in forma di scultura, affermando che queste piccole immagini formate da 20x20 pixel che utilizziamo quotidianamente meritavano di essere osservate più da vicino.

In un’intervista l’artista si è espressa sul suo progetto con queste parole: A fianco: alcuni fotogrammi del cortometraggio Emoji Among Us di Dissolve; una fotografia di Able Parris.

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“Ormai pensiamo e parliamo davvero in emoji, e un giorno mi sono accorta che diamo per scontata questa forma di comunicazione. Crediamo che passare ore a scambiarci messaggi con minuscole immagini di cacche e floppy disk e linguacce sia normale, come se lo facessimo da sempre. E la cosa più assurda è che riusciamo davvero ad esprimere emozioni incredibilmente reali con queste cose. Negli ultimi due anni ho avuto centinaia di conversazioni serie con amici e colleghi artisti sul tema degli emoji —siamo tutti ossessionati dall’idea di analizzarli per comprendere il loro significato e di capire quali ci rappresentano, cosa che è diventata un nuovo passatempo ovunque dagli otto anni ai trenta—. Ho deciso di rendere omaggio ai personaggi che hanno un maggior significato per me e, per quanto sembri ridicolo (poiché essi sono in sostanza piccoli cartoons), gli emoji sono diventati parte integrante della nostra cultura e del nostro linguaggio. Il mio progetto è una presa in giro e allo stesso tempo un tributo ai caratteri che sono diventati nella nostra cultura molto più che piccole immagini sullo schermo di un iPhone.”

“Emoji.ink” è un’app online creata da Vince McKelvie che permette ai visitatori del sito di costruire immagini usando il set di emoji della Apple. Il sito si presenta come una lunga lista di emoji tra cui scegliere per iniziare la propria opera, selezionandone uno si apre un foglio bianco dove è possibile cambiarne le dimensioni e trascinarlo con il mouse per disegnare qualsiasi cosa con la scia lasciata dall’emoji.

L’artista e art director giapponese Takakura Kazuki, specializzato in pixel art, ha iniziato a sperimentare con

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A fianco: il progetto Emoji IRL.LOL di Liza Nelson; un’immagine realizzata tramite l’app Emoji.ink.

questa app, creando incredibili illustrazioni, che poi ha postato sul suo account di Instagram.

Egli racconta: “Mi ha ricordato il gioco Nintendo Mario Paint per la console SNES e mi ha lasciato a bocca aperta. Gli emoji sono nati in Giappone, perciò ho pensato che sarebbe stato interessante usarli per disegnare motivi e famosi personaggi giapponesi.”

Kazuki afferma che solitamente impiega dalle due alle cinque ore per realizzare una di queste illustrazioni, ed il risultato è estremamente colorato e dettagliato.

L’illustratrice Giulia Zoavo e l’art director Vittorio Perotti, entrambi milanesi, hanno deciso di ridisegnare gli emoji della Apple per dare loro un aspetto più contemporaneo, senza alterare il loro significato. Il loro “Emoji Redesign Project” comprende 845 emoji, rimodellati con uno stile più fresco, semplice e a tinte piatte.

Sul loro sito emojisgoflat.com hanno aperto uno shop dove vendono vari prodotti di emoji con il nuovo design.

L’artista coreana Hong Hyo-Ju ha ideato e realizzato un set particolare di emoji, basato sull’artista americana Cindy Sherman, conosciuta per le sue fotografie in cui si traveste in tantissimi modi diversi, incarnando personaggi famosi.

Hong ha trovato una somiglianza tra le espressioni delle emoticon e gli autoritratti della Sherman e ha prodotto un set di 20 icone raffiguranti i diversi volti della fotografa con altrettante espressioni facciali: le Cindy Sherman-icon, sostenendo che a volte una faccina gialla perfettamente felice A fianco: due opere realizzate da Takakura Kazuki con Emoji.ink; le Cindy Sherman-icon di Hong Hyo-Ju.

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o una con una bocca orizzontale dall’espressione sconcertata non bastano, abbiamo bisogno di espressioni più umane.

Ritenendo che non esistano emoji adatti ad esprimere al meglio gli introversi come lei e a manifestare il bisogno di passare un po’ di tempo da soli, l’artista britannica Rebecca Evie Lynch ha ideato gli Introji, una serie di emoji che consentono agli introversi di esprimere al meglio il loro disagio in situazioni sociali e le attività che più li caratterizzano, come stare a casa, guardare la TV, leggere e stare al computer. L’artista afferma di amare gli emoji, che portano un po’ di calore ai messaggi, e spera che i suoi Introji facciano lo stesso, ma in un modo che rifletta aspetti più complessi delle interazioni umane.

Molti Introji sono rappresentati all’interno di bolle che li proteggono dal mondo esterno e dalle interazioni sociali, ma allo stesso tempo li isolano da questi, al punto che ogni tanto si ha bisogno di aiuto per uscire dalla propria bolla.

Emoticon ed emoji sono chiamati anche “smiley faces”, faccine che sorridono, ma il progetto del graphic designer italiano Silvio Cocco propone le Emoticon della crisi, una versione grottesca degli smiley che vuole rappresentare la crisi della società contemporanea. Una raccolta di rabbia, impotenza, sgomento, depressione e altri sentimenti negativi che nascondiamo dietro un sorriso amaro. Si tratta di sorrisi nervosi e disperati, che rispecchiano i veri sentimenti.

Il progetto unisce la grafica vettoriale con fotografie di porzioni di cose reali, frammenti di una realtà in rovina.

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A fianco: gli introji disegnati da Evie Lynch.

L’autore del libro “The Story of Emoji” ha chiesto ad alcuni artisti di disegnare nuovi emoji che secondo loro dovrebbero esistere. Alcuni esempi sono il “Mind Blown” di FL@33, che rimpiazzerebbe le emoticons “ O_O “ e “ O_o “ ed il sempre più comune “OMG” per rappresentare totali stupore ed incredulità; il “Typo” di Peskimo, un polipo che ha appena commesso un errore di battitura; “Undo” di Matt Chase, per quando si vorrebbe cancellare completamente ciò che si ha appena fatto; “Just Kiddin” di Friso Blankevoort, per alleggerire l’atmosfera dopo una battuta pesante ed eliminare i fraintendimenti; l’ingegnoso emoji “Oh Shit” ideato da Noma Bar non presenta solo l’immagine di una cacca, ma anche la silhouette di due persone che urlano, i cui occhi sono formati dalle mosche; Liza Nelson ha proposto l’emoji “Bacon”, per accompagnare l’uovo quando si parla di colazione inglese; l’emoji “Fingers Crossed” è stato aggiunto a Unicode nel 2016, in seguito al design di David Henckel per il libro.

A fianco: alcune Emoticon della crisi di Silvio Cocco.

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Progetti di traduzione e progetti letterari “Emoji Dick” è un progetto del 2009 di raccolta fondi curato da Fred Benenson, che consiste nella traduzione in emoji del famoso romanzo “Moby Dick” di Herman Melville. Ognuna delle 10.000 frasi del romanzo è stata tradotta tramite un elaborato sistema di crowdsourcing (sviluppo collettivo) creato da Amazon, il sito Amazon Mechanical Turk (con il quale i lavoratori vengono pagati per svolgere piccoli incarichi a loro scelta), in cui ogni frase veniva tradotta tre volte da altrettanti operatori e poi votata da un altro set di operatori.

Ogni traduttore ha ricevuto 5 centesimi di dollaro ed ogni votante 2 centesimi.

Il risultato è un libro che chiunque abbia supportato con una donazione ha ricevuto in PDF (o in versione cartacea, a seconda della donazione). La Biblioteca del Congresso americana ha aggiunto Emoji Dick alla sua collezione nel 2013, affermando che è un’opera unica, che ha trasformato un famoso classico della letteratura in un prodotto della comunicazione moderna, ponendo la questione se possa ancora essere considerato un classico letterario anche se scritto con il linguaggio tipico degli smartphone.

Benenson è fortemente interessato all’influenza che la tecnologia digitale ha sul linguaggio, sulla comunicazione e sulla cultura, e gli emoji sono una parte importante di essa, in positivo o in negativo, per cui ha voluto affrontare alcune delle nostre paure verso il futuro del linguaggio scritto passando una grande opera di letteratura attraverso questo particolare filtro moderno.

A fianco: il progetto di raccolta fondi Emoji Dick, a cura di Fred Benenson.

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Nella pagina seguente: il poster con la traduzione in emoji di Alice nel Paese delle Meraviglie, chiamato Wonderland e realizzato dal designer Joe Hale.

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Un altro progetto simile è stata la traduzione in emoji di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, chiamato “Wonderland”, a cura del designer Joe Hale.

Il risultato finale, che comprende più di 25mila emoji, è stato impaginato in un grosso poster e messo in vendita.

Nel maggio del 2015, il programmatore Matthew Haughey ha pubblicato una serie di cinque tweet, composti solo da emoji, che rappresentano l’intera trama del film “The Big Lebowski”, diretto dai fratelli Coen nel 1998. Il progetto, chiamato “Big Lebowskemoji”, può essere trovato anche in versione accompagnata da annotazioni sul sito matt.haughey.com.

Lo studio di design Bureau Mirko Borsche lavora dal 2010 con la Bavarian Radio Symphony Orchestra (BRSO), per la quale crea poster e dirige una pubblicazione annuale con le date di concerti ed eventi e altre informazioni importanti: la Symphonieorchester.

Ciascuno dei volumi cerca di presentare l’orchestra in modo nuovo e il design cambia di anno in anno. Per la pubblicazione del 2015-2016 hanno voluto dare spazio ai giovani per presentare le loro impressioni sul lavoro della BRSO. Il risultato è un design che ricalca lo stile delle riviste e dei quotidiani, ma con un tocco scherzoso di freschezza dato dall’aggiunta di emoji nel testo.

Il progetto Emojitaliano, avviato da Francesca Chiusaroli, Johanna Monti e Federico Sangati per Scritture Brevi, propone di codificare una grammatica degli emoji, in modo da poterli

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A fianco: una parte di Big Lebowskemoji, postato su Twitter da Matthew Haughey; una parte della copertina della rivista annuale Symphonieorchester per gli anni 2015-2016.

utilizzare per creare testi comprensibili a tutti.

Il primo esperimento è stato Pinocchio Emoji: la traduzione per immagini del famoso romanzo di Collodi, la cui stesura è stata portata a termine grazie all’aiuto dei follower di @ scritturebrevi su Twitter. Il progetto Scritture Brevi riflette sul linguaggio degli SMS e su come la scrittura moderna cerchi la brevità e l’essenziale, secondo il principio dell’informatività: abbreviando un testo si mantengono solo gli elementi che trasmettono informazioni e si elimina il superfluo.

Pinocchio è rappresentato dall’icona del ragazzo che corre, il concetto di burattino è trasmesso con l’emoji “robot”. I verbi sono contraddistinti da un apice, per non confonderli con i sostantivi (la scarpa può rappresentare l’oggetto in sé oppure il verbo “andare”). La differenza rispetto ai progetti di traduzione precedenti (“Emoji Dick” e “Wonderland”) è proprio il fatto che presenta un codice, un glossario ed una grammatica (inoltre in “Emoji Dick” è stato usato il numero 4 per la preposizione “for”, rendendo impossibile la traduzione in lingue diverse dall’inglese): sono state cioè fissate delle regole che permettono a tutti la decodificazione del testo.

Da qui è nato EmojitalianoBot, un dizionario digitale che traduce da italiano a emoji e viceversa.

Su Twitter il gruppo ha avviato recentemente la traduzione di alcuni articoli della Costituzione in Emojitaliano.

Da Emojitaliano è nato un progetto più grande: EmojiWorldBot, il primo dizionario per la traduzione multilingue degli emoji. Entrambi i progetti sono il risultato di una ricerca nel campo della linguistica per costruire un linguaggio nuovo, fondato sulle immagini e per questo A fianco: la copertina di Pinocchio in Emojitaliano, progetto avviato da Francesca Chiusaroli e Scritture Brevi; un estratto da Book from the Ground, scritto dal cinese Xu Bing.

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interlinguistico, interculturale e comprensibile a tutte le età.

EmojiWorldBot permette agli utenti di contribuire al glossario partecipando ad alcuni giochi, come indovinare i collegamenti tra un’immagine e le parole.

“Book from the Ground” è un romanzo scritto interamente in emoji e simboli. L’autore, Xu Bing è uno dei protagonisti dell’arte cinese contemporanea che si fa portavoce della rivoluzione culturale in Cina. È famoso per il suo “Book from the Sky”, realizzato con più di 4000 caratteri cinesi illeggibili inventati dallo stesso artista. Pubblicata nel 1988, quest’opera creò confusione poiché era impossibile decifrare i segni.

Xu Bing si è poi trasferito a New York, dove ha continuato ad esplorare la decostruzione della lingua. Qui ha creato “Book from the Ground”, abbattendo le barriere linguistiche, per scrivere in una lingua universale accessibile a tutti. Nel suo lavoro lo spettatore —o meglio, il lettore— è chiamato ad interagire per riconoscere forme del linguaggio quotidiano di uso comune. Dal “Libro dal Cielo”, che nessuno poteva leggere, è passato al “Libro dalla Terra”, che tutti possono leggere, a prescindere da lingua e cultura.

Questo romanzo è il risultato di sette anni di ricerche ed esperimenti e racconta nel dettaglio un giorno nella vita di un impiegato, Mr. Black. La narrazione lo segue mentre si sveglia e svolge le attività mattutine, si reca al lavoro, indugia in sogni ad occhi aperti, socializza ed infine torna a casa a dormire, per ripetere tutto il giorno dopo.

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Esperimenti sociali Un esperimento interessante è l’Emoji tracker: creato dall’artista e sviluppatore Matthew Rothenberg (mroth su Twitter), tiene traccia in tempo reale dell’uso di tutti gli emoji di Twitter. Su emojitracker.com è possibile vedere cosa viene utilizzato di più e gli emoji usati si illuminano in tempo reale, aggiornando costantemente la classifica. Cliccando su un emoji si possono anche vedere i tweet più recenti in cui è adoperato, anch’essi in tempo reale.

“Face with Tears of Joy” è rimasto primo indiscusso dal 2015, seguito da un cuore rosso con un miliardo di utilizzi in meno.

Rothenberg ha anche creato un Emoji tracker interattivo all’Eyebeam Art and Technology Center di New York, nel gennaio 2014, chiedendo ai visitatori di interagire e influenzare il destino del tracker.

L’artista e designer londinese Callum Copley ha costruito un’installazione d’arte collettiva chiamata Emoji Spectrum, accompagnandola con un saggio in cui paragona gli emoji ai pittogrammi creati da Gerd Arntz e Otto Neurath negli anni ‘30. Questi ultimi avevano sviluppato Isotype (acronimo di “International System of Typographic Picture Education”), un sistema di pittogrammi ideato per comunicare le informazioni in modo semplice e visuale, senza il bisogno delle parole.

Questo sistema era nato con l’intento di migliorare l’insegnamento verso i bambini, ma si è rivelato rivoluzionario per la segnaletica pubblica, l’infografica e la rappresentazione dei dati quantitativi.

Copley sostiene che gli emoji non rappresentano alcune delle A fianco: l’Emoji tracker progettato da Matthew Rothenberg; alcuni pittogrammi del set Isotype di Gerd Arntz e Otto Neurath.

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emozioni che fanno parte della ruota di Plutchik (o Fiore di Plutchik): un diagramma che contiene un ampio raggio di emozioni umane, dalle più intense, poste negli spazi centrali, alle più lievi, verso l’esterno. Secondo l’artista non ci sono emoji per aggressività, disprezzo, rimorso, disapprovazione e sottomissione, e aggiunge che il linguaggio scritto rischia di essere corrotto dall’uso e dalla dipendenza da questi simboli melodrammatici.

La sua installazione è una riproduzione del Fiore di Plutchik, sul quale chiunque può attaccare dei piccoli emoji in corrispondenza dell’emozione che rappresentano, e vuole sottolineare sia come gli emoji non riescano a rappresentare l’intera gamma di emozioni umane —e perciò non siano un metodo di comunicazione adeguato— sia come siano ambigui e dipendenti dall’interpretazione dell’individuo.

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Un esperimento simile è Emoji Autism Facial Recognition Therapy, presentato alla mostra Emoji Art a Manhattan dall’artista performer Genevieve Belleveau, che trova interessanti le possibilità di interpretazione delle faccine gialle. Il progetto esamina i più comuni fraintendimenti di emoji grazie al suo Emoji Recognition Chart, un catalogo di emoji con le rispettive emozioni secondo l’interpretazione di Siri (l’assistente digitale creato dalla Apple).

L’esperimento riprende la ricerca dello psicologo Paul Ekman sulle microespressioni utilizzato nelle terapie per l’autismo.

Durante l’esposizione l’artista chiedeva ai visitatori quale emoji avrebbero utilizzato per rispondere a determinate domande, posizionandoli sul diagramma in base al livello della loro interpretazione.

Il progetto mira ad esaminare la difficoltà di interpretare gli emoji, paragonandola alla difficoltà che hanno le persone affette da autismo nel riconoscere le emozioni.

Nella pagina precedente e sopra: il progetto Emoji Spectrum di Callum Copley con alcuni esempi di emoji.

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Campagne promozionali o di sensibilizzazione La catena scandinava di articoli per la casa Ikea, ormai conosciuta e diffusa in tutto il mondo, ha realizzato un proprio set di emoji, sviluppato dall’agenzia Lemz nel 2015.

Le emoticon Ikea sono disponibili su un’app per iPhone che consente di utilizzarle come normali emoji per parlare di mobili e articoli per la casa. Alla base del progetto c’è l’idea che gli emoji fanno sì che i messaggi scritti siano più semplici da capire e rendono la conversazione più divertente.

Il set include più di cento emoji, alcuni dei quali facilmente riconoscibili come prodotti Ikea —dalla classica shopping bag blu e gialla, alle polpette svedesi, e ad alcuni specifici mobili, come le librerie Billy—.

L’agenzia pubblicitaria EJE Puerto Rico ha lanciato una campagna originale per la Coca Cola: ha registrato indirizzi URL per ogni emoji che rappresenta felicità. Inserendo una smiley face, seguita dal suffisso “.ws”, da un dispositivo portatile, si apriva il sito della Coca Cola di Puerto Rico, chiamato emoticoke.com. Alejandro Gómez, direttore di questa sede, spiega che ormai la maggior parte degli utenti visita il sito tramite dispositivi mobile, così hanno voluto creare una connessione con i giovani —i loro maggiori clienti— attraverso un linguaggio a loro familiare, gli emoji.

Il marchio di caramelle Mentos ha lavorato con l’agenzia pubblicitaria londinese BBH per sviluppare il proprio set di 10 emoji, chiamate “ementicons”. Onuno di questi raffigura una caramella di colore diverso con una faccia disegnata

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A fianco: le ementicons disegnate da Geneviève Gauckler per la campagna pubblicitaria delle caramelle Mentos.

dall’illustratrice Geneviève Gauckler, il set, dall’aria un po’ stravagante, comprende faccine romantiche, imbarazzate, festaiole ed una molto entusiasta che fa il gesto del doppio “like”. È stata creata anche un’app per Apple e Android con una tastiera speciale che permette di utilizzare le ementicons come se fossero normali emoji.

L’agenzia digitale creativa +rehabstudio ha sviluppato un set di emoji chiamato Politicons per incoraggiare le discussioni politiche e l’affluenza alle elezioni del Regno Unito nel 2015, soprattutto tra i giovani.

Il set include personaggi politici quali i leader dei partiti, un pugno con la scritta “vota”, un braccio che regge la parola “tassa”, un passaporto sostenuto da mani con diversi colori di pelle, etc. Il progetto è stato avviato dopo che un sondaggio della Ipsos Mori —la seconda maggiore organizzazione di ricerca di mercato nel Regno Unito— ha rivelato che il 34% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni è influenzato nel voto da ciò che legge sui social media. Sul sito il motto è: “Quando la tua opinione è seria ma la tua chat non lo è, dì la tua opinione con un POLITICON.” Un’altra iniziativa riguardante le elezioni del Regno Unito dello stesso anno è stato il film d’animazione “Elections in emoji”, realizzato dal responsabile delle comunicazioni del consiglio comunale di Preston City, Stephen Parkinson, che utilizza gli emoji per sottolineare i motivi per i quali è importante votare. Parkinson confessa che l’ispirazione è stata sua figlia diciannovenne, con la quale scambia messaggi pieni di emoticon ed emoji, usandoli anche per comporre A fianco: i politicons progettati dall’agenzia +rehabstudio per le elezioni britanniche del 2015.

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storie. Quando la ragazza ha espresso il parere che il suo voto non avrebbe fatto la differenza, lui ha deciso di creare una storia con gli emoji per spiegare ai giovani in modo semplice perché è importante votare.

Nel 2016 anche gli Stati Uniti hanno adottato un metodo simile per le elezioni: sono stati realizzati i volti dei candidati alla presidenza in versione emoji, insieme ad altri simboli americani, come la Casa Bianca, la bandiera americana, etc., in modo che la gente potesse commentare e discutere di politica e delle elezioni in modo più espressivo.

La compagnia Intelligent Environments, famosa per le sue innovazioni tecnologiche, come la prima carta di credito online e la prima banking app per smartwatch, ha creato nel 2015 Emoji Passcode, un’applicazione che permette di accedere all’account bancario tramite un PIN composto da quattro emoji, scelti da una lista di 44 icone. Emoji Passcode è stato integrato nella loro banking app per Android.

La compagnia sostiene che questo sistema è matematicamente più sicuro di un codice a quattro cifre, poiché consente un numero di combinazioni superiore di 480 volte (circa 35 milioni, per la precisione) e che risulta più complicato per gli hacker identificare combinazioni comuni rispetto a quelle con i numeri —come date di nascita ed anniversari—. Un altro vantaggio consiste nel fatto che è più facile ricordare delle immagini piuttosto che parole o numeri.

In definitiva, la Intelligent Environments ha sviluppato questo sistema per le nuove generazioni, sempre più abituate a comunicare attraverso gli emoji.

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A fianco: gli Endangered Emoji proposti dal WWF per una raccolta fondi a favore delle specie protette nel 2015.

Il 12 maggio 2015 il WWF ha lanciato una campagna di raccolta fondi per proteggere le specie in via di estinzione e i loro habitat: #EndangeredEmoji. Dalla scoperta che 17 emoji del set standard di Twitter rappresentano animali in via di estinzione è nata l’idea di trasformare la popolarità di questi personaggi in donazioni: per partecipare alla campagna bastava ritwittare il tweet del WWF che mostrava tutti gli Endangered Emoji, alla fine del mese l’utente riceveva un riepilogo degli emoji di animali a rischio utilizzati e poteva scegliere quanto donare.

Un’altra campagna a favore degli animali è stata avviata da PETA (People for the Ethical Treatment of Animals), un’organizzazione no profit a sostegno dei diritti animali.

Sono state realizzate alcune immagini forti sul tema composte da emoji raffiguranti gli animali da proteggere.

Innocence en Danger è un’organizzazione no profit che manifesta contro tutte le forme di abuso sui bambini.

L’agenzia pubblicitaria francese Rosa Park ha lavorato nel 2014 con una compagnia di effetti visivi per ricreare tre emoji con i volti di uomini reali per una campagna sui pericoli delle chat online. I risultati sono inquietanti facce deformate, accompagnate dalla frase: “Chi sta realmente chattando online con vostro figlio?”

A fianco: una delle immagini della campagna per gli animali lanciata da PETA; i tre emoji con volti umani sviluppati dall’organizzazione no profit Innocence en Danger per una campagna sui pericoli delle chat online.

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Abbigliamento ed oggettistica La compagnia californiana Betabrand, che si occupa di abbigliamento e calzature, è una community online che progetta, realizza e distribuisce nuovi prodotti no-stop. Il suo successo è dovuto al fatto che permette ai fan di partecipare alla fase di progettazione proponendo idee che sviluppa in poche settimane.

Da questa collaborazione è nata una linea di prodotti con l’emoji “cacca”, che comprende delle scarpe da ginnastica, realizzate nel novembre 2014, e una camicia lanciata nel febbraio 2015.

Valley Cruise Press è un marchio di arte e design specializzato in edizioni limitate di riviste, oggetti, accessori e abbigliamento che riguardano l’arte. La sua spilla smaltata BFF è un omaggio all’omonimo emoji che raffigura due “best friend”, affermando che, sebbene molti emoji assumano significati diversi per persone diverse, le due gemelle che ballano rappresentano per tutti l’amicizia. Questa spilla vuol essere una sorta di moderno braccialetto dell’amicizia.

Un’altra compagnia che ha realizzato spille di emoji è la Pintrill, fondata nell’aprile del 2014 da Jordan Roschwalb, Doni Gitlin e Andrew Yung. Alcune delle sue spille più famose sono quelle raffiguranti le mani: il pugno, l’applauso, il segno dell’ok, le mani unite in preghiera, etc.

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Il sito Emojistuff.com, creato da Richard Trautmann nel 2013, vende merchandise vario a tema emoji: da cuscini a spille, portachiavi, sticker, palloni da spiaggia e zaini.

Emojistuff.com ha anche sviluppato un’estensione di Google Chrome, chiamata Emoji Input, che permette di vedere e

introdurre emoji sui campi di inserimento di qualsiasi sito.

Trautmann racconta che lui e i suoi amici si divertivano a creare intere frasi costituite solo da emoji e che ognuno di loro aveva una propria faccina che gli amici potevano usare al posto del nome. L’amore per gli emoji l’ha portato a creare l’estensione di Chrome per sé, per poterli utilizzare anche su siti, tweet, messaggi e status. Quando gli emoji sono diventati popolari, Trautmann ha deciso di renderla pubblica e scaricabile gratuitamente riscuotendo immediato successo, con più di 30.000 utenti, così ha aperto il sito per vendere merchandise a tema.

La catena di abbigliamento Primark, che ha aperto da poco negozi anche in Italia, ha prodotto diversi capi a tema emoji, tra cui la maglietta con i giorni della settimana rappresentati da emozioni corrispondenti e quella con la scimmia “non vedo, non sento, non parlo”.

A fianco: la scarpa della linea di prodotti con l’emoji cacca della compagnia Betabrand; la spilla BFF del marchio Valley Cruise Press; alcune spille a tema emoji realizzate dalla compagnia Pintrill.

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Simili allo smiley Come affermava Nicolas Loufrani, lo smiley è un’immagine talmente semplice e intuitiva che se ne trovano tantissimi esempi ricorrenti nelle varie culture:

Pac-Man, il protagonista della serie di giochi giapponese dallo stesso nome prodotta dalla Namco nel 1980, è raffigurato come un piccolo cerchio giallo con una bocca, il cui design ricorda le emoticon classiche. Il creatore del personaggio, Tōru Iwatani, afferma che l’ispirazione fu una pizza senza una fetta, che gli procurò una visione di “una pizza animata, che corre attraverso un labirinto e mangia cose con la sua bocca a forma di fetta mancante”. Per il design ha preso spunto anche della semplificazione e dall’arrotondamento del carattere giapponese per “bocca”, “kuchi” (口), mentre il nome viene da “paku-paku”, un’onomatopea che sta per “inghiottire qualcosa”. Il Pac-Man originale è rappresentato come un cerchio giallo con una grande bocca, mani, piedi, occhi, naso e sopracciglia a punta.

Acid2 è una pagina test creata dal Web Standards Project per esporre i problemi del rendering delle pagine web nei

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browser e in altre applicazioni. Il personaggio è un cerchio giallo con occhi, naso e bocca formati da pixel ingranditi.

Quando c’è un problema i suoi tratti si deformano, segnalando che l’applicazione non ha superato il test.

Mr. Yuk è un marchio creato dal Children’s Hospital di Pittsburgh e utilizzato ampiamente negli Stati Uniti per etichettare sostanze velenose se ingerite. Mr. Yuk è raffigurato come un cerchio verde con occhi strizzati, bocca all’ingiù e lingua di fuori in una chiara espressione di disgusto e malessere, sottolineato dal colore verde.

Un volto sorridente simile ad uno smiley può essere riconosciuto nel cratere marziano Galle, situato nel bordo orientale del bacino di impatto Argyre Planitia: due piccoli gruppi di montagne nella parte nord del cratere e una montagna curva a sud creano l’immagine di una faccia sorridente, per questo motivo Galle è conosciuto anche come l’”happy face crater”. È dimostrato che l’uomo tende a dare maggior attenzione ai volti umani rispetto alle altre cose, riconoscendoli immediatamente anche quando questi si trovano circondati da altri oggetti. Ciò vale solo per i volti umani, non per i musi degli animali. L’essere umano si concentra sul volto poiché esso porta gran parte delle informazioni relative ad una persona: la sua identità, le sue emozioni, la direzione del suo sguardo, etc. È grazie a questa peculiarità umana che riusciamo a riconoscere le espressioni delle varie emoticon, anche nelle loro forme più basilari ed astratte, come le emoticon ASCII.

A fianco: il Pac-Man originale; Mr. Yuk, marchio creato dal Children’s Hospital di Pittsburgh; il personaggio Acid2 della pagina test creata da Web Standards Project.

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Oltre gli emoji Ovviamente i font ricchi di dingbat (in tipografia: ornamenti, caratteri solitamente usati per la creazione di cornici) esistevano già: Zapf Dingbats e Wingdings sono solo i più famosi, essi integrano il testo con simboli e pittogrammi utilizzando i tasti della tastiera. In un certo senso si può dire che gli emoji siano un tipo di dingbat, poiché sono caratteri non-alfabetici o glifi che possono essere digitati, ma al contrario dei dingbat essi non sono necessariamente icone monocrome, e sono stati i primi simboli ad essere ampiamente usati con il tastierino del cellulare.

Esistono un sacco di font non-letter, chiamati “symbol” o “pi”, che comprendono una grande varietà di glifi per ogni circostanza, dai fleuron ornamentali ai loghi più famosi.

Ma se l’utilizzo di questi ornamenti nella scrittura sta divenendo popolare nell’era digitale, questo procedimento è molto più antico: i manoscritti erano ricchi di fleuron ed elaborate cornici.

iConji è un sistema di comunicazione pittografico gratuito sviluppato dalla Kai Staats con l’intenzione di creare un nuovo metodo di comunicazione che combini la velocità degli SMS con la capacità di scavalcare le barriere culturali e linguistiche. Per questo motivo è stato scelto un sistema per lo scambio dei messaggi basato sulle immagini e non sulla lingua. iConji utilizza un vocabolario visivo di caratteri che comprende traduzioni per la maggior parte delle lingue parlate. I caratteri, progettati per essere multiculturali, danno essi stessi un’idea del loro significato. iConji Messenger è stato rilasciato nel 2010 per Apple iOS e la maggior parte dei browser web, inoltre esiste anche l’applicazione web per Facebook e Twitter: iConji Social.

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Esso consente una comunicazione simile agli SMS, ma potenzialmente più veloce ed efficace, in quanto ogni carattere rappresenta una parola o un concetto e non una lettera, e propone di rimpiazzare il misto di testo ed abbreviazioni confuse proprio di chat e SMS con una serie di icone colorate con lo stesso significato.

All’interno di queste applicazioni i caratteri hanno una risoluzione di 32x32 pixel, un formato PNG colorato e in trasparenza e gli angoli arrotondati. I caratteri sono sviluppati in grafica vettoriale, quindi possono essere ingranditi e ridotti a piacere. La digitazione di una frase tramite queste applicazioni è chiamata iConjisation. iConji ha debuttato con 1183 caratteri, conosciuti come lexiConji, e divisi in sezioni che l’utente può personalizzare a piacimento, per consentire maggior velocità ed efficienza.

C’è anche la possibilità di aggiungere testo o metadati per rendere più chiaro il significato.

Alcuni concetti sono però troppo astratti per essere rappresentati graficamente, perciò qualche parola, tradotta in diverse lingue, è inserita tra i caratteri (per esempio i pronomi personali). Sono presenti anche caratteri per lo spazio, i simboli logici e matematici più comuni, i segni di interpunzione e le bandiere di tutte le nazioni.

Il vocabolario iConji permette a qualunque utente di progettare e inserire nuovi caratteri, oppure modificare e migliorare le icone già esistenti: tramite la Artist Community l’utente può aggiungere i propri caratteri al lexiConji, dopo aver ottenuto l’approvazione.

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A fianco: alcuni simboli del set iConji, sviluppato dalla compagnia Kai Staats per creare un metodo di comunicazione veloce ed innovativo.

iConji non è stato il primo tentativo di creare un nuovo linguaggio universale: secondo il libro “In the Land of Invented Languages” (Nella Terra dei Linguaggi Inventati), scritto da Arika Okrent, negli ultimi mille anni sono stati inventati oltre 900 linguaggi, di cui circa una dozzina sono basati su pittogrammi, nella speranza di trovare una soluzione per una comunicazione globale.

casa elettricità dare

sole

ruota macchina

Uno dei tentativi più riusciti è stato Blissymbolic, realizzato per comunicare con i bambini affetti da disabilità. Questo sistema comprende più di 5000 simboli grafici, ognuno dei quali è chiamato Bliss-word ed è composto da uno o più Blisscharacters che possono essere combinati in infiniti modi per creare nuovi simboli.

Questi simboli, che comprendono pittogrammi (che ricordano l’oggetto che rappresentano) e ideogrammi (che rappresentano un’idea o un concetto), sono semplici e veloci da imparare, non richiedono l’apprendimento della lettura, ma allo stesso tempo sono abbastanza sofisticati da consentire l’espressione di pensieri, idee e sentimenti.

The Noun Project è un altro tentativo di raggiungere una comunicazione interlinguistica e interculturale attraverso un deposito di icone universali. Come iConji, anche The Noun Project consente agli utenti di contribuire al vocabolario progettando e proponendo nuove icone.

Un altro alfabeto particolare nato nel contesto di internet è il leet (o “eleet”, con chiaro riferimento alla parola “elite”), che propone di rimpiazzare alcuni caratteri con altri che non siano necessariamente lettere, seguendo un criterio di A fianco: alcuni simboli del linguaggio Blissymbolic.

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somiglianza tra i glifi: per esempio “leet” può essere scritto “l33t”, o addirittura senza alcuna lettera “1337”.

Il leet, che veniva utilizzato soprattutto da hacker e giocatori online, è ormai caduto in disuso, in favore di linguaggi web più recenti e moderni.

Il linguaggio visivo delle chat

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La comunicazione virtuale è carente dei segnali uditivi e visivi, normalmente associati alle emozioni, presenti invece nelle conversazioni faccia a faccia. Per questo motivo deve utilizzare altri metodi per trasmettere le emozioni tramite il testo scritto: le emoticon prima di tutto, ma gli utenti di chat e social network hanno sviluppato alcuni espedienti per rendere più chiaro il loro stato d’animo, come l’uso del maiuscolo per enfatizzare, i puntini di sospensione e un uso spropositato di punti interrogativi ed esclamativi.

Questo utilizzo eccessivo di punteggiatura ed emoticon è la conseguenza del fatto che la comunicazione virtuale genera una sensazione di anonimia, che rende necessaria una manifestazione sempre maggiore delle emozioni.

Inoltre le emoticon e gli altri stratagemmi riducono la possibilità di fraintendimento del testo scritto. Le email, solitamente associate a contesti lavorativi o operazioni economiche, vengono spesso recepite come neutre o negative, proprio per la mancanza di elementi quali il tono della voce, l’espressione facciale, la gestualità. Le prime emoticon sono state proposte da Fahlman in un’email proprio a questo scopo.

Emoticon e punteggiatura sono ormai diventati segnali importanti dello stato d’animo nella comunicazione virtuale: un SMS o un messaggio di chat senza emoticon o senza un punto esclamativo può trasmettere un senso di indifferenza, mentre un punto fermo alla fine di una frase è spesso

interpretato come segno di irritazione. Un messaggio con scritto “Sei un idiota” può essere inteso come un insulto, ma con l’aggiunta di un emoji sorridente cambia completamente di tono. Spesso utilizziamo gli emoji quando non abbiamo le parole giuste: un semplice “Buon compleanno” può sembrare banale e uguale a tutti gli altri, ma con un emoji possiamo renderlo unico e speciale.

L’uso talvolta spropositato di questi elementi è dato dal fatto che è più facile manifestare emozioni in chat, poiché la comunicazione virtuale non solo favorisce l’anonimia, ma riduce anche la pressione sociale, rendendo gli individui più inclini ad esprimere emozioni positive, ma soprattutto negative, di quanto non farebbero di persona. È molto facile che si creino conflitti nella comunicazione virtuale, a causa dei possibili fraintendimenti dati dalla mancanza di emoticon e di punteggiatura, oppure al contrario di un eccessivo utilizzo di questi ultimi, che spesso esplicitano più emozioni di quante ne dovrebbero essere espresse.

Sebbene i medium che permettono un maggior numero di segnali emozionali ed un’immediatezza di feedback, come le chat, abbiano più probabilità di ridurre questo tipo di conflitti, è impossibile eliminare ogni ambiguità (uno smiley può rassicurare il destinatario di un messaggio, oppure può essere interpretato negativamente come sarcasmo).

La cyberpsicologa Linda Kaye, dell’università britannica di Edge Hill, ha pubblicato su Trends in Cognitive Science una ricerca riguardante emoticon ed emoji, che ha mostrato come questa forma di comunicazione fornisca indicazioni sulla A fianco: qualche logo che utilizza emoticon o figure che richiamano volti umani e sorrisi.

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personalità di chi la usa. Le persone formulano giudizi in base a come un individuo utilizza emoticon ed emoji, l’uso che ne facciamo può modificare quindi la percezione che gli altri hanno di noi e influire sulle nostre relazioni sociali.

Ormai oltre il 90% degli utenti della rete utilizza normalmente emoticon ed emoji su blog, forum, chat, all’interno di email e SMS. È interessante notare che soltanto il 54% di essi ha dai 18 ai 34 anni, perciò quasi la metà è composta da adulti o addirttura persone anziane. Questo significa, secondo l’autrice dell’articolo, che questa forma di comunicazione è più legata alla personalità che all’età.

Kaye sostiene che utilizziamo gli emoji come i gesti e le espressioni facciali, per valorizzare i segnali emotivi. Il modo in cui gesticoliamo è complesso e varia non solo da persona a persona, ma anche a seconda di cultura, età, sesso, e queste differenze esistono anche nel mondo viartuale (per esempio è stato provato che le femmine tendono ad usare più emoticon rispetto ai maschi, allo stesso modo in cui esprimono più emozioni nella comunicazione faccia a faccia).

Secondo la ricerca di Vyvyan Evans professoressa di linguistica alla Bangor University di Wales, gli emoji sono la forma di linguaggio con la crescita più rapida di tutti i tempi. Il 72% delle persone tra i 18 e i 25 anni trova più semplice esprimere le proprie emozioni usando gli emoji e il 50% di persone in questa fascia di età sostiene che gli emoji permettono loro di comunicare in modo migliore.

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Perché usare emoticon ed emoji?

Non c’è una vera e propria risposta soddisfacente: alcuni sostengono che questi espedienti del linguaggio scritto migliorino la conversazione; altri che aggiungano enfasi e rafforzino la comunicazione, rendendo più chiare le idee; altri

ancora che alleggeriscano il “mood”, l’atmosfera.

Ovviamente c’è la questione della rapidità: tutti sono d’accordo sul fatto che è più semplice cliccare su una piccola immagine o digitare una semplice combinazione di tasti, invece che perdere diversi minuti per scrivere delle frasi complete con una tastiera, soprattutto nel caso in cui si parli del piccolo tastierino touch-screen di uno smartphone.

Chissà se si arriverà a creare un emoji per ogni parola esistente, a questo punto servirebbe davvero un dizionario apposito. Emoji ed emoticon sono molto più conosciuti ed utilizzati rispetto agli altri linguaggi basati su immagini — come iConji— e potrebbe funzionare come sistema autonomo, poiché la sua introduzione nel linguaggio comune non è stata forzata, ma gradualmente e spontaneamente inserita nelle frasi di tutti i giorni. Questo linguaggio è già un passo avanti rispetto alle parole, perché esprime le emozioni in modo rapido e migliore.

Molti si chiedono se sarà solo una moda temporanea, ma questo sistema di comunicazione, iniziato negli anni ‘80 con le prime emoticon di Fahlman, si sta ampliando e consolidando sempre più, e la combinazione di parole e immagini, soprattutto nel campo della messaggistica digitale, è uno strumento di comunicazione troppo potente per essere abbandonato del tutto. Queste piccole icone colorate ci permettono di aggiungere ad un breve messaggio di testo diversi livelli di humor, emozione e significati.

A fianco: qualche logo che utilizza emoticon o figure che richiamano volti umani e sorrisi.

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Dalle immagini alla scrittura e viceversa La scrittura, definita da Aristotele “simbolo della parola detta” e da Voltaire “la pittura della voce”, è il rapporto tra un segno grafico e il significato convenzionalmente attribuito ad esso. I sistemi di scrittura moderni sono stati preceduti da forme di proto-scrittura, composte da simboli ideografici e mnemonici, nelle quali è assente la codifica grammaticale delle parole, rendendo molto complicato ricostruire con certezza l’esatto significato del testo.

Prima ancora di questi sistemi l’uomo comunicava tramite immagini: i graffiti, che risalgono addirittura al paleolitico superiore (circa 40.000 anni fa).

Dai graffiti si passa ai pittogrammi, simboli stilizzati che rappresentano un oggetto: le figure vengono semplificate e geometrizzate, spesso ridotte a segni geometrici come linee e cerchi. Con questo metodo era possibile trasmettere solo concetti elementari.

Un primo passo nell’evoluzione della scrittura avviene con la scrittura cuneiforme, adottata fin dal 3400 a.C. dai popoli sumeri, babilonesi e assiri per facilitare la contabilità (deriva

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infatti dal sistema usato per tenere i conti in cui dei ciottoli rappresentavano le merci). Si tratta della prima forma di scrittura che non raffigura l’oggetto, ma utilizza simboli (un insieme di segni fonetici, alfabetico-consonantici e sillabici) convenzionali associati ad esso.

Con il tempo questi segni furono semplificati e ridotti da un migliaio a circa 600, e la direzione di scrittura passò da verticale ad orizzontale. Il termine “cuneiforme” deriva dalla forma dello stilo: esso terminava con un triangolo che lasciava tracce a forma di cuneo.

I geroglifici egizi risalgono allo stesso periodo (circa 3000 a.C.) e si fondano sulla rappresentazione di oggetti e concetti tramite pittogrammi, ideogrammi e, in misura minore, fonogrammi (segni associati ad un suono). Gli ideogrammi rappresentano un avanzamento rispetto ai soli pittogrammi, poiché consentono di rappresentare idee ed elementi astratti: nonostante raffigurino oggetti, animali o persone, possono assumere il significato di azioni o concetti ad essi associabili (l’immagine di un piede poteva rappresentare un piede, ma anche l’azione del camminare).

L’utilizzo di questo sistema era riservato a monumenti e templi, assumendo quindi un valore di sacralità, mentre le scritture quotidiane in Egitto erano quella ieratica e quella demotica, derivate dai geroglifici. Il termine egizio per “geroglifico” può essere tradotto come “scrittura sacra incisa” o “parole del dio”, poiché l’invenzione della scrittura era attribuita al dio Thoth.

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La scrittura cinese, composta da ideogrammi, si sviluppò in maniera indipendente intorno al 1600 a.C. Partendo dai pittogrammi, questi segni hanno subito un processo di astrazione fino a trasformarsi in ideogrammi, che sono

arrivati fino all’epoca contemporanea praticamente invariati.

Gli ideogrammi cinesi sono circa 14.000, ma solo 4000 sono usati quotidianamente. Nella cultura cinese la scrittura è considerata un’arte, di cui è più importante l’armonia delle forme rispetto alla leggibilità.

Anche la scrittura pre-colombiana mesoamericana (caratteristica dei maya e degli aztechi, civiltà le cui origini risalgono al 1500 a.C.), che comprende circa 800 geroglifici, è stata sviluppata in modo indipendente.

La scrittura geroglifica e quella cuneiforme erano diffusissime ma estremamente complesse. Con lo scopo di semplificare il sistema di scrittura, i fenici associarono, intorno al 1300 a.C., ad ogni simbolo un suono unico, dando vita alla scrittura alfabetica proto-sinaitica, composta da 22 grafemi e priva di vocali. Questa mancanza impedì al nuovo sistema di diffondersi, finché i greci non ne presero in prestito alcune lettere e vi inserirono nuovi segni associati alle vocali, creando l’alfabeto greco, composto da 24 lettere. Lo stesso nome “alfabeto” viene dalle prime due lettere greche: alpha e beta. Oltre alle vocali i greci invertirono il senso di scrittura: la scrittura fenicia si leggeva da destra verso sinistra, mentre i greci introdussero prima il sistema bustrofedico, cioè con la lettura delle righe ad andamento alternato, per giungere infine a quello destrorso.

L’alfabeto greco fu la base degli alfabeti etrusco e latino, infine si diffuse in tutta Europa, subendo innumerevoli evoluzioni e trasformazioni. Gli alfabeti greco e latino diedero luogo a diverse scritture europee, come il runico, il gotico ed il cirillico. L’alfabeto aramaico, invece, anch’esso di derivazione fenicia, segnò la nascita dell’ebraico, del siriaco e dell’arabo.

Con la rivoluzione dell’alfabeto la pratica della scrittura si diffuse ovunque e assunse importanza nel corso dei secoli.

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Ma questo non è l’unico metodo di scrittura: in alcuni paesi orientali è rimasta la scrittura tramite ideogrammi, e sono state sviluppate scritture non lineari per casi particolari, come la scrittura Braille per le persone non vedenti, il codice Morse e il pentagramma per la musica.

Un tipo di comunicazione tramite pittogrammi è tuttora diffusissima: la segnaletica presente negli spazi pubblici, composta da simboli universali che permettono una lettura rapida ed accessibile a tutti, al contrario della scrittura. Per non parlare delle icone digitali presenti su computer, tablet, cellulari, etc. Il monitor del computer diventa la metafora della scrivania: il desktop, appunto, che comprende cartelle, documenti, stampanti, altoparlanti e addirittura un cestino.

Il cursore del mouse è una freccia, riprendendo lo strumento con cui gli uomini cacciavano.

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Una caratteristica tipica dell’essere umano è il suo impulso di creare arte, e di farlo spesso con i metodi e gli strumenti meno pratici possibili (come, per esempio, la macchina da scrivere).

Anche la scrittura è stata trasformata in arte, a partire dai manoscritti dell’epoca medievale, in cui il testo era abbellito da decorazioni (manicule, fleuron, cornici) e illustrazioni e le lettere iniziali erano vere e proprie opere d’arte.

Esistono diversi esempi di testi in cui le parole sono strettamente legate ad un’immagine, soprattutto in ambito religioso. Dal Rinascimento in poi questi componimenti perdono il loro carattere religioso e vengono usati in tantissimi altri contesti. Le figure più ricorrenti composte in questo modo sono il labirinto e la clessidra.

Il testo impaginato per creare immagini è diventato popolare con il movimento di poesia concreta e visiva.

Il poeta surrealista francese Guillaume Apollinaire (1880-

1918), considerato uno dei precursori della moderna poesia concreta, realizzava a mano i suoi poemi visivi, chiamati “calligrammi”, nei quali il testo compone un’immagine.

Con l’invenzione della stampa i libri potevano essere prodotti in modo molto più rapido, dando modo agli scrittori di sperimentare con la tipografia.

Uno dei primi esempi di tipografia creativa è il libro “Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”, di Lewis Carroll (Charles Lutwidge Dodgson), del 1865, pubblicato qualche anno prima che la macchina da scrivere fosse inventata. Nel terzo capitolo (“A Cactus Race and a Long Tale”) il testo segue la forma di una coda di topo.

L’artista inglese Tom Phillips ha creato un libro particolare chiamato “A Humument”. Egli si è appropriato del romanzo vittoriano “A Human Document”, scritto da William Hurrell Mallock nel 1892, contraendone il titolo per formare una nuova parola che taglia ed unisce le due originali. Le pagine del libro sono alterate: alcune parole o frasi sono cancellate, alcune pagine sono ricoperte da pittura, inchiostro, grafite, lettere battute a macchina, collage, per farne un nuovo poema.

Il suo testo è realizzato collegando parole con linee tracciate a mano, evidenziandole con nuvolette come quelle dei fumetti.

Nel sec. XX diverse avanguardie artistiche sperimentarono utilizzando lettere e parole in modo creativo: i futuristi con le loro Tavole parolibere, i cubisti e i dadaisti inserendo nelle loro opere caratteri tipografici a scopo estetico, i costruttivisti sfruttando il legame fra testo ed immagine per trasmettere valori educativi.

A fianco: una pagina dell’opera “A Humument”, progetto dell’artista inglese Tom Phillips.

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Un mezzo artistico inusuale La prima macchina da scrivere, la Remington No. 1, è stata lanciata nel commercio nel 1874 dalla E. Remington & Sons e già vent’anni dopo la sua introduzione nel mondo del lavoro la typewriter art era usata per creare cornici e abbellire la corrispondenza e gli annunci, spesso realizzati da donne che svolgevano il ruolo di segretarie.

Negli anni ‘90 del 1800, le case produttrici di macchine da scrivere organizzavano gare di velocità di dattilografia e competizioni di disegno con la macchina da scrivere. Di queste sono rimasti solo pochissimi esempi, come la farfalla composta da Flora F. F. Stacey nel 1898.

I pionieri di questa forma di arte sono Hendrik Nicolaas Werkman, Pietro de Saga (pseudonimo di Stefi Kiesler) e uno studente del Bauhaus, allievo di Josef Albers, il cui nome è ignoto. Essi hanno iniziato a realizzare opere con la macchina da scrivere intorno agli anni ‘20.

Nel suo libro “Artyping” del 1940 Julius Nelson parte dalla dattilografia ornamentale mostrando come la cornice più semplice possa essere composta anche solo da una serie di “x” in successione, illustrando poi combinazioni sempre più complesse. Egli ha diviso le istruzioni per creare artyping in sezioni definite: cornici, cut-out design e maschere, lettering, design semplici ed intermedi, fino ai più avanzati, pattern simili ai ricami, ritratti.

Nelson è stato il primo a spiegare l’ombreggiatura (shading), dedicandovi una grossa parte del libro, mostrando come possa essere ottenuta con diverse tecniche: dalla selezione di

A fianco: la farfalla creata da Flora F. F. Stacey durante una competizione di typewriter art.

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lettere più leggere o più scure, alla spaziatura tra i caratteri, dalla diversa pressione dei tasti della macchina o il cambio del nastro di inchiostro, alla sovrapposizione delle lettere.

La typewriter art divenne negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 la colonna portante di tutto il movimento artistico della poesia concreta, nella quale la disposizione tipografica dei caratteri sulla pagina trasmette il contenuto e il significato della poesia allo stesso modo del testo della poesia.

Il poeta simbolista francese Stéphane Mallarmé è considerato uno dei precursori della poesia concreta poiché ha utilizzato la spaziatura orizzontale e verticale variabile e diversi font nella presentazione del suo poema di dieci pagine “Un Coup de Dés”, stampato nel 1897.

Molte poesie concrete sono state composte nell’ambito dei movimenti artistici di inizio ‘900: Futurismo, Dada, l’avanguardia Russa.

Eugen Gomringer iniziò a definire i suoi componimenti “poesia concreta” nel 1956, quando lavorava come segretario per l’artista svizzero Max Bill, sostenendo che erano un controbilanciamento poetico all’arte “concreta” di Bill. Per arte concreta si intenteva un’arte che proveniva direttamente dalla mente, quindi più cerebrale che astratta. L’arte concreta ritraeva caratteristiche visive costruttiviste, con la giustapposizione di piani, colori e forme.

Nel 1958 il gruppo brasiliano Noigandres ha scritto il proprio manifesto: “Pilot Plan for Concrete Poetry”, in cui afferma che la poesia è un oggetto in sé e per sé che non interpreta oggetti esterni o sentimenti interiori e che la poesia concreta tratta della comunicazione di forme e contenuto strutturale, non dei soliti messaggi di comunicazione.

Non tutte le poesie concrete possono essere considerate typewriter art, allo stesso modo in cui ci sono opere di

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typewriter art nelle quali le lettere utilizzate non hanno nessuna relazione con l’immagine, distinguendosi perciò dalle poesie concrete. I pattern geometrici sono molto popolari, come nel caso di Ferro, Nannucci, Etlinger, e non mancano gli optical artists, come Ulrichs, Valoch, Kistelanetz.

Un’opera particolare è l’imponente poema “Carnival” di Steve McCaffery, completato tra il 1967 ed il 1970. McCaffery, critico, poeta e professore, faceva parte dell’avanguardia canadese della poesia intorno agli anni ‘70, occupandosi di poesia sonora, visiva e concreta. “Carnival” si presenta come un flusso che entra ed esce dall’astrazione sia a livello di testo che a livello visivo.

Un altro genere di typewriter art sono i typed paintings (dipinti battuti a macchina).

Alberich i Escardivol (1912-1973) ha realizzato alcuni dei dipinti simulati più complessi e realistici del genere. Le sue opere sono contraddistinte da colori vividi, ottenuti cambiando i nastri colorati e ripassando sopra diverse volte.

Ella ricopiava ritratti e dipinti da fotografie e li riproduceva su tela, utilizzando fino a diciassette nastri di colore e un misto di lettere e segni di punteggiatura, senza fare alcun ritocco con il pennello.

Paul Smith (1921-2007) era un typewriter artist che ha sofferto di una grave paralisi cerebrale spastica in tenera età che gli ha impedito di imparare a leggere e scrivere.

Non potendo tenere in mano un pennello o una matita, durante l’adolescenza imparò ad utilizzare la macchina da scrivere per disegnare, realizzando nell’arco della sua vita A fianco: due opere di Paul Smith, realizzate con la macchina da scrivere.

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circa 400 immagini di animali, treni, nature morte, natura, scene di guerra e ritratti di capi spirituali, come il Papa, Gesù, Madre Teresa. Smith ha anche riprodotto alcune opere che ammirava, come la Monna Lisa di Leonardo da Vinci e Il Pensatore di Auguste Rodin. Un altro soggetto prediletto era lo scoiattolo con cui aveva fatto amicizia.

Smith creava le sue immagini utilizzando solo i caratteri disponibili sulla prima riga della tastiera: @, #, $, %, ^, &, *, (, ). Mentre batteva a macchina bloccava i tasti in modo da non digitare per sbaglio un numero. Con la mano sinistra teneva ferma la destra, lasciando libero un solo dito per premere i tasti. Aggiustava la spaziatura tra le lettere e tra le righe e premeva il pollice sul nastro per creare le ombre. Quando diventò più abile iniziò ad utilizzare nastri colorati. Grazie ad alcuni stratagemmi rendeva le sue opere più simili a disegni con pastelli e carboncino, piuttosto che pennino ed inchiostro.

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_______________________________________________________ / Si può far sì che la Silly cow compaia ad ogni \ | apertura del computer recitando una battuta spiritosa, | \ raccolta attraverso il programma “fortune” / ------------------------------------------------------

\

^__^ \ (oo)\_______ (__)\ )\/\ U ||----w | || ||

Sopra: la Silly Cow utilizzata nelle chat per riportare messaggi scherzosi.

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ASCII Art ASCII (acronimo di “American Standard Code for Information Interchange”, Codice Standard Americano per lo Scambio di Informazioni) è una tabella per la codifica dei caratteri pubblicata dall’American National Standard Institute (ANSI) nel 1963 (definitiva nel 1968).

Il sistema standard di codifica ASCII, composto da 128 caratteri, era basato su codici di 7-bit, esteso nel 1979 a 8-bit per poter raddoppiare il numero di caratteri rappresentabili (per un totale di 256, tra caratteri e sequenze di controllo).

Di questi 128 caratteri, i codici decimali compresi tra 0 e 31 e il 127 sono caratteri non stampabili (codici di controllo), e quelli dal 32 al 126 sono caratteri stampabili (il 32 corrisponde al carattere di “spazio”): █ ! “ # $ % & ‘ ( ) * + , - . / 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 : ; < = > ? @ A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z [ \ ] ^ _ ` a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z { | } ~

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L’ASCII Art utilizza il computer per creare opere visive realizzate con i 95 caratteri ASCII stampabili.

Gli altri caratteri ASCII, da 0 a 31 e 127, possono essere rappresentati in 7-bit, ma sono invisibili e quindi non possono essere utilizzati nell’arte ASCII —con l’eccezione dei caratteri 10 (il “line feed”, per terminare le righe di testo) e 13 (“carriage return”, ritorno a capo), che vengono usati nei documenti di testo—.

L’arte ASCII è nata in risposta all’impossibilità delle prime stampanti di stampare immagini: si utilizzavano i caratteri di testo come segni grafici. Per distinguere le stampe di diversi utenti era comune inserire all’inizio di ogni stampa una pagina speciale, detta “banner”, contenente il nome in grandi dimensioni realizzato come arte ASCII. Questo tipo di arte era anche inserita nelle prime email, che non consentivano di introdurre immagini e, più in generale, su Internet, che inizialmente era composto da solo testo, dove si costruivano con questo metodo diagrammi e grafici.

Una delle prime forme di ASCII art consiste nella “Spy at the Wall” e nella “Silly Cow”, utilizzati scherzosamente nella cultura hacker in chat e documentazioni di software.

Cowsay è un programma che genera immagini ASCII di una mucca con un messaggio, utilizzando il linguaggio di programmazione Perl. Può anche creare immagini di altri animali, come Tux il Pinguino e la mascotte Linux.

Anche se è ancora utilizzata, l’ASCII art ha avuto il suo picco di popolarità negli anni ‘70 e ‘80, prima dell’era del web: era A fianco e nella pagina seguente: alcune immagini di ASCII art.

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il linguaggio visivo di BBS, Telnet ed altri network precedenti al WWW. Era molto comune anche nei MUDs (multi-user dungeons) e MUGs (multi-user games) e fra i gruppi artistici underground. Queste erano tutte applicazioni basate sul testo: se si voleva inserire un’immagine o un grafico, bisognava crearlo con il testo. Verso la fine degli anni ‘80 l’arte ASCII ed ANSI era diffusissima, ma nel corso degli anni ‘90 il miglioramento delle prestazioni grafiche dei computer e la diffusione di font a larghezza variabile hanno portato al declino di questo tipo di arte.

Immagini di arte ASCII possono essere realizzate con qualunque editor di testo e solitamente necessitano, per una corretta visualizzazione, di un font monospace, con caratteri a larghezza fissa (come quelli di una macchina da scrivere).

Alcune generazioni di computer non seguivano lo standard ASCII ed avevano i propri set di caratteri: l’Atari 400/800, rilasciato nel 1979, utilizzava il set di caratteri ATASCII; il Commodore 64, rilasciato nel 1982, aveva il set PETSCII, una forma estesa dell’ASCII-1963. Entrambi i set hanno prodotto opere di arte simile ad ASCII.

Negli anni ‘70 e primi anni ‘80 era comune realizzare un tipo di arte ASCII basata sull’uso massiccio di sovrapposizioni, chiamato Overprinting, che poteva essere realizzato sullo schermo o con una stampante, sovrapponendo i caratteri come con una macchina da scrivere.

In certi casi, come per il sistema PLATO del 1973, la sovrapposizione di testo consentiva un’ampia varietà di effetti grafici, utilizzati soprattutto per creare emoticon come le famose faccine sorridenti WOBTAX e Victory.

Questa tecnica, già sperimentata sulle macchine da scrivere,

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è stata presto rimpiazzata dall’arte ASCII ombreggiata o colorata, la ANSI art.

L’arte ANSI, che si può definire la cugina colorata dell’ASCII art, richiedeva un software di editing speciale, perché non c’era un modo semplice per generare a mano le sequenze (chiamate Escape sequences, poiché iniziavano tutte con il carattere ESC). Il nome deriva dal driver del sistema MS.DOS “ANSI.SYS” —non, quindi, da American National Standard Institute—, che aggiungeva allo standard ANSI controlli addizionali per manipolare l’aspetto del testo sullo schermo, aggiungendo il colore ed altre funzioni. Aveva un set di 16 colori disponibili, di cui i primi 8 potevano essere utilizzati anche come colori di sfondo. Potevano anche essere usati in modalità lampeggiante, per un totale di 32 colori, ma questa modalità venne presto abbandonata.

La variante di ASCII art in cui si fa uso di caratteri con codici a 8-bit si chiama “Block ASCII” o “High ASCII”, questa, molto in voga negli anni ‘90, utilizza un set di 255 caratteri. Sebbene questo numero comprenda le lettere di lingue straniere, i caratteri più comuni in questo tipo di arte sono più grafici, adatti a raffigurare cornici e riquadri. Essi non si trovano sulla tastiera, ma è possibile ottenerli tenendo premuto il tasto ALT e digitando un numero tra 128 e 255 sul tastierino numerico.

Alcuni dei più popolari sono: ░ ▒ ▓ █ ▀ ▄ ▌▐ ■ ▪ ┌ ┐ └ ┘ ─ │ ├ ┥ ┴ ┯ ╞ ╟ ╚ ╔ ╩ ╦ ╠ ═ ╬

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Il primo gruppo artistico che ha lavorato con il set esteso di caratteri ASCII era chiamato “Aces of ANSI Art” (Assi dell’Arte ANSI) o “AAA”; alcuni dei membri si sono distaccati per

formare il gruppo AciD (“ANSI Creators in Demand”, Creatori di ANSI su Richiesta).

I file di arte ANSI o Block ASCII non sono più visualizzabili su Windows, a meno di non scaricare un programma apposito, come ACIDview.

L’unico stile diffuso durante gli anni ‘90 che usava solo i caratteri ASCII a 7-bit è detto “Oldskool” o “Amiga style” (poiché frequentemente utilizzato sui computer Commodore Amiga, a partire dal Commodore Amiga 1000), questo stile disegna contorni e silhouette, più che immagini realistiche e adopera principalmente i caratteri: _ / \ - + = ( ) < > : . , ;

Un altro stile è detto “Newskool” ed utilizza righe di caratteri tipo “$#Xxo” per creare non solo i contorni, ma anche per riempire e fare l’ombreggiatura.

Nonostante il nome, questo stile è piuttosto vecchio, ma è stato rimpiazzato dall’Oldskool e dalla Block ASCII, tornando di moda solo alla fine degli anni ‘90.

Uno degli esempi più antichi di ASCII art si trova nelle creazioni al computer di Kenneth Knowlton del 1966, pioniere della computer graphic e ritrattista che utilizza la tecnica del mosaico.

Knowlton realizza la maggior parte dei suoi mosaici con l’assistenza del computer. “Studies in Perception I”, il libro che ha pubblicato con Leon Harmon nel 1966, raccoglie alcune delle loro prime opere.

A fianco: un’immagine creata dall’artista digitale Kenneth Knowlton.

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Stili e tecniche L’arte ASCII può essere usata con tecniche differenti per ottenere diversi effetti artistici.

Le forme più semplici di ASCII art sono combinazioni di due o tre caratteri per esprimere emozioni in un testo: le emoticon prima di tutto ed i kaomoji giapponesi. Gli esempi più complessi di questo tipo di arte ASCII si sviluppano su più linee di testo.

La line art è uno stile che permette di creare forme e contorni, mentre la solid art realizza oggetti pieni. Lo shading è una tecnica che utilizza caratteri di intensità diversa per ottenere gradienti o contrasti.

H H H H HHHHH H H H H

EEEEE E EEEEE E EEEEE

L L L L LLLLL

Il “typewriter style” utilizza le lettere e la punteggiatura per creare parole e segni di dimensioni maggiori, in uno stile tipografico unico (esiste anche un programma che permette di disegnare ed usare font di grandi dimensioni creati con caratteri normali attraverso l’arte ASCII: Figlet):

L OOO W W OOO L O O W W W O O L O O W W W O O L O O ,, W W O O LLLLL OOO ,, W W OOO

RRRR R R RRRR R R R R

_____ ___ ____ _ _ | ___|_ _/ ___| | ___| |_ | |_ | | | _| |/ _ \ __| | _| | | |_| | | __/ |_ |_| |___\____|_|\___|\__|

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L L L L LLLLL

DDDD D D D D D D DDDD

!! !! !!

!!

L’arte ASCII sviluppata dai giapponesi prende il nome di Shift JIS art (abbreviata talvolta in SJIS art oppure AA). Nata dalle sperimentazioni sui kaomoji, essa utilizza la codifica di caratteri ASCII sviluppata dalla compagnia giapponese ASCII Corporation: Shift JIS. Divenuta popolare sul BBS 2channel, è ormai usata anche nel campo degli annunci pubblicitari, poiché compare spesso nella forma di gif animate.

A differenza dell’ASCII art occidentale, essa sfrutta il font proporzionale MS Pgothic, che è il font standard per i siti web giapponesi su Windows. Da qui è nato il Mona Font, che ha i caratteri della stessa larghezza di quelli di MS Pgothic, per i sistemi che non hanno quest’ultimo, come ad esempio Linux.

Nella serie televisiva giapponese Densha Otoko sono presenti immagini di SJIS art, poiché uno dei personaggi è un artista e utilizza le sue opere per incoraggiare il protagonista.

La maggior parte dell’ASCII art viene realizzata con font monospace, come il Courier New, ma negli editor di testo i font più utilizzati sono font proporzionali, come Arial o Times New Roman, nei quali i caratteri non hanno tutti la stessa larghezza. Se visualizzata con questi font, l’ASCII art creata con un monospace risulterà distorta o addirittura irriconoscibile.

Alcuni artisti tuttavia hanno prodotto opere visibili con questo tipo di caratteri, concentrandosi sulla rappresentazione di gradienti e bordi ed utilizzando il block shading. Questa ASCII art offre una maggiore precisione e attenzione al dettaglio.

L’arte ASCII si può realizzare con qualsiasi editor di testo, ma sono stati sviluppati programmi specializzati (ASCII art editors, come JavE) che permettono di disegnare linee, A fianco: due immagini di Shift JIS art.

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rettangoli ed altre forme e di riempire le aree con testo, come in un programma di grafica.

Per la Block ASCII e la ANSI art viene usato quasi sempre un editor di testo speciale (come TheDraw e AciDDraw per MS DOS), perché per generare i caratteri richiesti su una tastiera standard è necessario conoscere il codice ALT per ogni carattere. Questi editor di testo hanno set di caratteri speciali assegnati ai tasti. PabloDraw è uno dei pochi editor speciali per l’ASCII e ANSI art sviluppati per MS Windows XP. Altri programmi trasformano automaticamente un’immagine in ASCII art, come Ascgendotnet. Il metodo più comune utilizzato da questi ASCII art generators è quello di convertire l’immagine in toni di grigio con precisione minore di 8 bit e poi assegnare un carattere diverso ad ogni corrispondente valore dei pixel. Si tratta di uno dei metodi più vecchi. Negli anni ‘70 era comune nei centri commerciali far stampare su una maglietta un’immagine in ASCII art, convertita con questa tecnica a partire da una fotografia tramite un computer.

Utilizzi particolari di ASCII art

Gli ASCII comics sono un tipo di webcomics che utilizza testo ASCII per formare le immagini. Uno dei più famosi si intitola “The Adventures of Nerd Boy”, è composto da circa 600 strisce, che l’autore, Joaquim Gândara, ha realizzato tra il 2001 e il 2007 e ha postato sul newsgroup di arte ASCII alt.ascii-art.

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L’utilizzo più estremo di arte ASCII consiste nella riproduzione di video: il software AAlib (ASCII art library), inizialmente disponibile solo per i sistemi Unix-like, permette di riprodurre l’output video di qualunque applicazione come ASCII art. È usato in vari programmi, come Xine (per Unix) e Mplayer. Quest’ultimo ed il lettore video VLC permettono

di visualizzare i video utilizzando come output l’ASCII art in modalità monocromatica oppure a colori, utilizzando le librerie AAlib e libcaca.

Il videogioco Quake dispone di un driver video che consente di visualizzare l’intero gioco in arte ASCII, attingendo alle librerie AAlib.

“Overkill” è invece un videogame interamente disegnato in arte ASCII colorata.

YouTube ha introdotto come pesce d’aprile nel 2010 un sistema simile che consentiva di riprodurre video in arte ASCII: TEXTp, che, secondo il testo dello scherzo, avrebbe fatto risparmiare a YouTube 1 dollaro di costi di banda per ogni secondo di riproduzione.

Il cantante Beck Hansen ha ricreato il video della canzone “Black Tambourine” in caratteri ASCII.

Ormai esistono diverse applicazioni per smartphone che generano ASCII art in tempo reale attraverso la videocamera del telefono. Queste applicazioni, come ASCIIcam per Android, permettono di salvare il risultato sia come file di testo che come immagine.

L’arte ASCII animata è nata nel 1970, con semplici animazioni date dallo spostamento del cursore, che cancellava i caratteri che componevano l’immagine, per dare l’idea del movimento.

Recentemente le animazioni in ASCII art sono state riprese: è possibile visualizzarle grazie a JavaScript (programma di scripting utilizzato nella programmazione web). Queste animazioni consistono in una serie di immagini che scorrono in successione, e sono chiamate ASCIImation.

Un esempio famoso è Star Wars ASCIImation. Con una

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serie di operazioni complesse si può ricreare ASCIImation elaborate, con effetti come il Morphing, emulazioni di star field, effetti di dissolvenza ed animazioni frattali. ASCIImator è un’applicazione online che consente di creare in modo semplice animazioni ASCII e condividerle con gli altri utenti.

Simili all’arte ASCII

Parente dell’ASCII art è la AOL Macro Art: America on Line (AOL) è uno dei pochi provider di Internet che non consente l’uso di font a larghezza fissa. Fino al rilascio della versione 4.0 gli utenti avevano un solo font: Arial-10, un font proporzionale. Agli utenti di AOL l’arte ASCII risultava deformata, perciò ne modificavano la spaziatura a mano per renderla normale con il loro font proporzionale.

Molti artisti AOL hanno creato immagini con il font Arial, utilizzando anche il set di caratteri esteso, e queste composizioni sono state chiamate “macro”. Sfortunatamente se riprodotte al di fuori di AOL non vengono visualizzate correttamente (talvolta nemmeno con il font Arial, poiché esso varia da sistema a sistema).

Anche se ha molto in comune con la ASCII art, la AOL Macro Art non può essere considerata arte ASCII.

Un altro metodo di fare arte utilizza il set di caratteri Unicode.

Unicode consente la massima flessibilità nel campo dell’arte basata sul testo, grazie alla sua enorme varietà di caratteri, ma è difficile trovare un font a larghezza fissa adeguato ad ottenere un sotto-set di Unicode valido. I sistemi operativi Unix-style forniscono font Unicode completi a larghezza fissa, per esempio xterm. Windows ha il font Courier New, che include caratteri quali: 100

┌ ╥ ─ ╨ ┐ ♥ ☺ Ƹ ̡ Ӝ ̵ ̨ Ʒ ̄ ̵.

Glitchr è un esempio di Unicode art iniziato nel 2012: è un progetto dell’artista Laimonas Zakas, che ha fatto un’arte del rompere le rigide griglie che i social network ci impongono, dentro alle quali dobbiamo scrivere. Il progetto è nato da un post che Zakas ha visto su Facebook nell’estate 2011: era un gruppo scomposto di caratteri Unicode che si estendevano uno sopra l’altro, uscendo dallo spazio che gli sviluppatori di Facebook avevano preparato per i post. Da questo errore nella programmazione del sito (e forse anche di Unicode), un glitch, Zakas ha iniziato a sperimentare per copiarlo ed ha creato una pagina per condividere i suoi esperimenti: era nato Glitchr.

L’artista ha realizzato un account Facebook e uno di Twitter, dove posta le sue opere migliori, che vengono considerati come graffiti digitali, e spesso cancellati, o meglio aggiustati.

Ma Facebook può correggere solo gli errori presenti nel proprio codice, non quelli di Unicode. Si può dire che Zakas dipinga usando Unicode come pennello ed i social network come tele. I simboli sono combinazioni di segni diacritici ed altri glifi, alcuni dei suoi caratteri preferiti sono i simboli cirillici per “un milione” ҉ e per “centomila” ҈.

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La punteggiatura Protagonista di questa tesi è la punteggiatura (o interpunzione), ovvero l’insieme dei segni convenzionali che serve a scandire il testo scritto e, in secondo luogo, a riprodurre le intonazioni espressive del parlato.

I segni di interpunzione fanno parte dei segni paragrafematici, ovvero accorgimenti grafici che hanno lo scopo di organizzare gli elementi costitutivi di un testo, ma non hanno corrispondenza a livello fonetico della lingua.

Evoluzione della punteggiatura

Nell’antichità i greci scrivevano senza spazi tra le lettere né punteggiatura, senza distinzione tra maiuscole e minuscole, ed era compito del lettore riuscire a decifrare il testo e capire dove finiva una parola e ne iniziava un’altra.

Nel terzo secolo a.C. il capo della famosa biblioteca di Alessandria d’Egitto, Aristofane di Bisanzio, propose di segnare i punti di pausa nei documenti con tre positurae. Esse erano rappresentate da un unico segno, il punto, collocato a diverse altezze accanto all’ultima lettera: in basso segnava

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la subdistinctio (pausa breve, corrispondente alla virgola) e si diceva comma, a media altezza rappresentava la media distinctio (pausa media, equivalente al punto e virgola o ai due punti) e prendeva il nome di colon, in alto esprimeva la distinctio (pausa lunga, come il punto fermo) e si chiamava periodos. I nomi inglesi dei segni di punteggiatura derivano strettamente da queste denominazioni (“comma”, “colon”, “period”, che indicano rispettivamente la virgola, i due punti e il punto fermo).

Le righe del testo in cui avveniva un interessante cambiamento di argomento erano segnalate dai paragraphoi, piccole linee orizzontali a margine dei documenti.

Uno dei primi successori del paragraphoi è nato dall’usanza ricorrente nel primo secolo a.C. di introdurre i paragrafi dei testi latini con la lettera “K”, in abbreviazione della parola kaput (“testa”), per indicare che quanto seguiva era l’inizio di un nuovo argomento. I romani, che consideravano la lettera “K” fuori moda, preferivano utilizzare la “C” di capitula. Queste piccole “C” divennero sempre più elaborate, acquisirono prima una, poi due linee verticali, trasformandosi gradualmente in quello che oggi chiamiamo “piede di mosca” (¶), il più iconico segno di paragrafo esistente.

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Durante il Medioevo le positurae subirono innumerevoli modifiche. La definitiva evoluzione del sistema interpuntivo si vede dal commentario all’Ars di Giovanni di Bonandrea, dove i punti sono divisi in sostanziali e accidentali: i sostanziali sono la virgola (,), il coma (.′) e il periodo (.); gli accidentali sono il punto legittimo o doppio (..), che è usato al posto del nome proprio quando questo è ignorato da chi scrive, il semipunto (./ e più avanti =), che indica che una parola non è finita e continua nella riga successiva, l’interrogativo (inizialmente

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raffigurato con un punto sovrastato da una linea ondulata o spezzata), che compariva nei manoscritti longobardocassinesi anche sulla prima parola della frase.

Nel sec. XII lo scrittore italiano Boncompagno da Signa propose un nuovo sistema di punteggiatura fondato su due soli segni: una sbarretta (slash) / per rappresentare la pausa e una lineetta (dash) — per concludere la frase. La sbarretta, chiamata virgula suspensiva, fu un enorme successo, sostituendo a pieno titolo il comma di Aristofane.

Dopo il crollo dell’Impero Romano nel sec. XIV la scrittura e la produzione di manoscritti fu relegata ai monaci, che realizzavano libri finemente decorati ed abbelliti da illustrazioni. Per distinguere i paragrafi utilizzavano il piede di mosca oppure l’ingrandimento della lettera iniziale, che veniva spostata e decorata.

Solo con la nascita della stampa vennero fissate delle regole standard nell’uso della punteggiatura, grazie a scrittori (Pietro Bembo), trattatisti (Orazio Lombardelli) e tipografi (Aldo Manuzio).

Aldo Manuzio (nato tra 1449 e 1492 – 1515), considerato uno dei maggiori editori di ogni tempo, ha introdotto numerose innovazioni destinate a segnare la storia dell’editoria, tra cui l’invenzione del carattere corsivo, chiamato italico o aldino.

Il contributo più significativo di Manuzio alla scrittura fu la definitiva sistemazione della punteggiatura: il punto come chiusura del periodo, l’apostrofo e l’accento impiegati per la prima volta nel loro utilizzo odierno, infine l’invenzione del punto e virgola.

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Nel corso della seconda metà del ‘400 venne definita la maggior parte dei segni di punteggiatura che utilizziamo oggi: la sbarretta di Boncompagno da Signa fu abbassata e curvata per diventare la virgola moderna, prendendo il suo antico nome greco “comma”; il punto e virgola si era aggiunto ai due punti e al punto interrogativo; l’unico punto di Aristofane rimasto era quello posto in basso, che diventò il punto fermo.

Il segno del paragrafo venne sostituito dall’indentazione: gli stampatori lasciavano lo spazio a inizio paragrafo per le lettere iniziali decorate e i piedi di mosca, che dovevano essere effettuati a mano dai rubricatori, ma la produzione dei libri era fortemente incrementata a causa della maggiore velocità della stampa rispetto al manoscritto, così sempre più spesso lo spazio veniva lasciato vuoto. Questo spazio iniziò presto ad indicare l’inizio di un nuovo paragrafo.

Verso la fine del ‘500 fu introdotto il punto esclamativo o ammirativo, rappresentato da un punto con una linea sopra, prima del quale si utilizzava il punto interrogativo. Questo segno rimase per molto tempo un surrogato del punto interrogativo, diffondendosi ampiamente solo nella seconda metà del Settecento.

L’interpunzione nei poeti romantici non seguiva particolari regole, ma obbediva soprattutto a criteri stilistico-artistici, sottolineando i valori sentimentali del discorso.

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La letteratura moderna utilizza pochi segni interpuntivi, evitando quelli più enfatici, come il punto esclamativo, e preferendo la semplice virgola a segni più elaborati come il punto e virgola e i due punti.

I paragrafi adesso vengono comunemente separati da una

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riga bianca, invece che dal rientro, poiché le righe bianche sono più facilmente individuabili scorrendo la pagina di testo.

I paragrafi sono anche gradualmente diventati più brevi: adesso possono anche essere composti da una o due frasi, tanto che prima o poi potrebbe non esserci più distinzione tra paragrafo e frase.

Il tramonto della punteggiatura

La scarsa importanza attribuita all’interpunzione risale alla prevalenza, nell’antichità, del discorso parlato: nell’epoca classica si considerava lo scritto solo una trascrizione della comunicazione orale, nella quale la punteggiatura era assente o impiegata esclusivamente per indicare le pause del discorso —è in questo periodo che nasce la stenografia (dal greco “stènos”, stretto, e “grafìa”, scrittura), un metodo di scrittura veloce che impiega segni, abbreviazioni e simboli per rappresentare lettere, suoni, parole e frasi.

Creata probabilmente allo scopo di riuscire a trascrivere velocemente il parlato, era ampiamente utilizzata dai romani per riportare i discorsi di Cicerone—. È solo con l’invenzione della stampa che il linguaggio scritto non viene più visto come subordinato al discorso orale e trascrizione del parlato, ma acquisisce una propria autonomia ed una struttura sintattica, con l’affermazione definitiva dei segni di punteggiatura moderni.

La messaggistica istantanea e i social network hanno ormai reso opzionali le lettere maiuscole e il punto a fine frase (mettere il punto è superfluo: l’operazione di invio del messaggio determina già la fine di una frase).

Il punto non sta solamente scomparendo, ma ha acquisito una carica emozionale, diventando una sorta di emoticon: la

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risposta “va bene” ad un messaggio sembra sincera, mentre aggiungendo un punto diventa una risposta fredda, che suggerisce irritazione o addirittura rabbia. A seconda del contesto può segnalare anche una risposta sarcastica. Mentre “va bene!” può suggerire entusiasmo, ma anche sfinimento, a seconda dell’andamento della conversazione.

Una ricerca della Binghamton University di New York ha dimostrato che il punto ha assunto nelle comunicazioni via chat una valenza diversa da quella grammaticale: i ricercatori hanno sottoposto 126 studenti universitari ad un test, mostrando loro una serie di domande e risposte scambiate via cellulare o scritte a mano (per esempio, a domande come: “Ho un biglietto in più per la partita, vieni?”, venivano offerte risposte affermative come: “Sì”, “Bello”, “Ok”, “Certo”). Le risposte seguite da un punto fermo sono state percepite meno sincere, ma solo se lo scambio era avvenuto al telefono. In una ricerca successiva è stato provato che il punto esclamativo rende invece un messaggio scritto più sincero.

Questo risultato può essere spiegato dal fatto che gli SMS sono solitamente messaggi molto informali, e l’inserimento di un punto alla fine sembra conferire ad essi un carattere di artificiosità che risulta sospetto, mentre il punto esclamativo aggiunge vivacità ad un testo che deve essere breve e privo di troppi dettagli.

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Al contrario della letteratura moderna, nelle chat spesso i segni più enfatici, come il punto esclamativo o i puntini di sospensione, vengono utilizzati più del necessario, per rendere più chiare le emozioni e le intenzioni di chi scrive (è preferibile terminare il messaggio di chat con un punto esclamativo o con i puntini di sospensione, piuttosto che con un punto fermo), mentre le banali virgole e i punti fermi

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vengono sottintesi in favore di una digitazione più rapida.

Per lo stesso motivo si utilizzano abbreviazioni (“xkè”, “xò”, “sn”), acronimi e parole straniere che non hanno una vera e propria traduzione in italiano (“lol”, “meme”) ed emoticon, kaomoji, emoji.

Talvolta una comunicazione in chat tra due utenti che si conoscono bene e sanno di cosa stanno parlando può svolgersi anche senza parole: - ???

- !!!!!!!!!!!!

- :O - ;) -…

- :P

La lingua riflette i cambiamenti nella società e nella vita quotidiana, e, visto che la nostra vita sta diventando sempre più caotica e veloce, il nostro modo di comunicare si adegua a questo ritmo frenetico.

La punteggiatura nei messaggi istantanei assume un forte valore espressivo, influenza il significato percepito nei messaggi e viene utilizzata per trasmettere emozioni e altre informazioni. Visto che le emoticon più semplici sono formate da segni di punteggiatura e svolgono lo stesso ruolo di questi ultimi nelle chat, si può dire che la punteggiatura e le emoticon sono correlate e servono ad esprimere un proprio stato d’animo senza dover ricorrere a tante parole.

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I segni di punteggiatura I segni di punteggiatura odierni della lingua italiana sono:

- punto; - virgola; - due punti; - punto e virgola; - punto interrogativo; - punto esclamativo; - puntini di sospensione; - trattino; - lineetta; - parentesi tonde e quadre; - virgolette (ne esistono tre tipi: apici, a due apici, caporali).

Altri segni comunemente considerati come punteggiatura sono l’apostrofo e l’asterisco.

A differenza degli altri segni paragrafematici i segni di interpunzione possono avere un valore nella lingua parlata, determinando pause, timbro ed intonazione.

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La virgola è forse il segno più usato nella letteratura, ma il più trascurato —insieme al punto— sui social network (in post, commenti e soprattutto chat). Eppure si tratta di un segno fondamentale per la comprensione della frase, un segno che, se spostato di una parola, può cambiare il senso intero del discorso. È diventato famoso l’appello “usa la punteggiatura, salva tua nonna!”, con le due frasi, identiche ma diverse per la presenza della virgola: “Vado a mangiare, nonna” e “Vado a mangiare nonna”.

Ci sono tantissimi altri esempi in cui la presenza o meno della virgola, o la sua posizione, cambia il significato della frase: “giornata difficile da dimenticare”, “giornata difficile, da

+−÷±%‰°=≠≡≅≈≃∼∽∞∴∵|⇒→⊃⇔≡↔¬˜∧& ∨ ∥ ⊕ ⊻ ⊤ ⊥ F 0 ∀ () ∃ ⊢ ⊨ · ↑ ∁ ∄ ⊧ ⊬ ⊭ ⊼ ⊽ ◇ ⋆ ↓ ⌐ ⌜ □ ⥽ ⨇ ¹ ² ³½¼¾∂√∟∩∫≤≥{} ¤₳฿₵¢₡₢$₯֏₫₠€₣ƒ₲₴₭₤ℳ₥₦₰₧₱₽₨₸₪£ ₩₮₹

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dimenticare”; “mentre Luca salta, un ostacolo cade”, “mentre Luca salta un ostacolo, cade”.

Oltre ai segni di punteggiatura esiste un’infinità di altri segni: i simboli matematici, quelli monetari, i segni diacritici, segni appartenenti ad alfabeti diversi, differenti tipi di parentesi, lineette e barre oblique, e tantissimi altri. Ogni font possiede un numero diverso di glifi, a seconda della sua funzione.

Punteggiatura straniera

Nell’ortografia spagnola vengono utilizzati un punto interrogativo invertito ed un punto esclamativo invertito all’inizio di frasi rispettivamente interrogative o esclamative, oltre ai normali punti corrispondenti a fine frase. A differenza di questi ultimi, i segni invertiti scendono sotto la riga di testo.

Il punto interrogativo e il punto esclamativo invertiti sono stati proposti nel 1754, quando la Real Academia pubblicò la seconda edizione de “La ortografia de la Real Academia”, allo scopo di rendere più chiare le domande e le esclamazioni in frasi molto lunghe.

In alcune lingue, come quella araba e quella persiana, il senso della scrittura va da destra a sinistra, per cui il punto interrogativo è ribaltato orizzontalmente.

Al contrario, nelle lingue ebrea e yiddish, anch’esse scritte da destra a sinistra, il punto di domanda mantiene l’orientamento classico.

A fianco e nella pagina seguente: qualche logo realizzato con segni di punteggiatura.

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Esperimenti e progetti Ciò che resta di un romanzo, togliendo le parole, è la punteggiatura. Ma osservando l’insieme di questi segni, che presi da soli non significano nulla, si può comunque comprendere qualcosa dell’opera originale, o perlomeno qualcosa sul metodo di scrittura dell’autore.

Il progetto “Between the Words” (“Tra le Parole”) del designer americano Nicholas Rougeux consiste in una serie di poster dedicati alla letteratura classica (come “Orgoglio e Pregiudizio”, “Moby Dick”, “Alice nel Paese delle Meraviglie”, “Peter Pan”), nei quali compaiono solo i segni di interpunzione, organizzati in forme a spirale.

Rougeux si è ispirato al progetto “Writing without Words” (“Scrivere senza Parole”) di Stefanie Posavec, che ha analizzato la struttura (lunghezza delle frasi, tematiche, ritmo delle frasi, punteggiatura) di alcuni romanzi classici, comparandoli tra loro per ottenere schemi e realizzare visual colorati. Dopo aver ammirato il lavoro di Posavec, Rougeux ha iniziato a sperimentare con la letteratura visiva e accidentalmente ha rimosso tutte le lettere da un testo, scoprendo che ciò che ne restava —la punteggiatura— era interessante di per sé. A partire da questa scoperta ha composto i poster posizionando i segni in spirali per renderli più affascinanti e per inserirli meglio in una pagina.

I poster, paragonati tra loro, rivelano degli schemi e delle differenze nello stile di scrittura dei vari autori, e nel loro utilizzo della punteggiatura. Si può notare la frequenza dei dialoghi nella narrazione dal numero di virgolette usate; o la lunghezza delle frasi, osservando l’alternarsi di virgole e punti; o ancora il frequente utilizzo o meno di punto esclamativo e punto e virgola, i due segni più trascurati nella

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letteratura. “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”, per esempio, contiene numerosi punti esclamativi; “Peter Pan” presenta molte virgole, rispecchiando il modo in cui i bambini raccontano storie (“e poi, e poi, e poi...”); “Moby Dick” ha un sacco di lineette emme, utilizzate da Herman Melville per citare le sue fonti sulle abitudini dei cacciatori di balene.

Adam Calhoun ha realizzato un progetto simile, eliminando le parole dai suoi romanzi preferiti, per creare dei visual con i segni di punteggiatura rimanenti. In uno di questi ha lasciato la punteggiatura in blocco, ammirandone la bellezza geometrica, in un altro ha assegnato ad ogni glifo un colore diverso, ottenendo un diagramma che illustra quali segni compaiono più spesso. Inoltre ha composto un grafico che mostra diverse caratteristiche di questi romanzi: ha dimostrato che “Addio alle armi” di Ernest Hemingway fa affidamento quasi unicamente su punti e virgolette, mentre William Faulkner utilizza molti punto e virgola.

La pagina Twitter Scritture Brevi ha lanciato nel 2013 la campagna “adotta un segno”, in occasione della Giornata nazionale della punteggiatura, che si festeggia negli Stati Uniti il 24 settembre. Il progetto invita ad adottare un segno tra quelli di interpunzione, diacritici, tipografici, matematici ed altri ancora, e a condividerlo su Twitter con l’hashtag #adottaunsegno.

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A Bristol da circa tredici anni gira di notte colui che è stato soprannominato il Bansky della punteggiatura, dal nome del famoso street artist. Egli si autodefinisce un “vigilante della grammatica” e corregge i piccoli errori di cartelloni ed insegne. Si è costruito degli strumenti appositi per compiere la sua missione, tra cui scalpelli, adesivi ed il famoso

Sopra: parte del poster di “Peter Pan” e di “Ulisse” (di James Joyce) di Nicholas Rougeux.

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“apostrophiser”, che usa per raggiungere i segni più in alto.

Afferma di trovare insopportabile passeggiare per le strade della sua città osservando inerme gli attentati compiuti contro la sua lingua. La sua attività illegale viene supportata dalla maggior parte della popolazione, ed egli ritiene che sia “più criminale lasciare lì quegli errori”.

Punteggiatura espressiva Oltre alle emoticon, sono stati creati nel tempo altri simboli per rendere i messaggi scritti più espressivi: il punto esclamativo ed il punto interrogativo, insieme agli altri segni di punteggiatura non erano più sufficienti a soddisfare la crescente richiesta di metodi per esprimere emozioni e sensazioni in modo più efficace e preciso.

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Il punto esclarrogativo (interrobang), che unisce il punto esclamativo e il punto interrogativo, può essere utilizzato per enfatizzare affermazioni retoriche o ironiche (“Mi stai dicendo che non hai mai mangiato un cheeseburger?!”), proponendosi come alternativa alle scritture !? e ?! utilizzate in precedenza.

Il nome italiano unisce semplicemente le parole “esclamativo” ed “interrogativo”, mentre quello inglese viene dell’unione della parola latina interrogatio (domanda retorica) con lo slang inglese bang (punto esclamativo).

Il simbolo è stato proposto da Martin K. Speckter, presidente della Martin K. Speckter Associates Inc., un’azienda pubblicitaria newyorkese, nel 1962 in un articolo scritto per TYPEtalks Magazine. L’interrobang è stato inserito nel 1966 come carattere tipografico metallico nel font Americana e nelle macchine da scrivere della Remington nel 1968, sostenendo che esprime “l’incredulità della vita moderna”.

Di questo segno esiste anche la versione capovolta, utilizzata

‽‽ ‽‽ ‽‽ ‽ ‽ ‽‽ ‽‽

dallo spagnolo e altre lingue:.

Nonostante ne esista anche il relativo carattere Unicode, il punto esclarrogativo è utilizzato molto di rado, e spesso viene sostituito dalle scritture precedenti, che possono essere realizzate con caratteri presenti su una comune tastiera.

Prima di Speckter era già stato proposto un segno per evidenziare le domande retoriche o ironiche che non richiedono risposta: nel 1580 il tipografo inglese Henry Denham ideò il percontation point, un punto interrogativo ribaltato orizzontalmente, chiamato anche reversed question mark (punto di domanda ribaltato).

Nel 1668 il filosofo inglese John Wilkins propose, nel suo saggio “An Essay towards a Real Character and a Philosophical Language” (Un Saggio verso un Carattere Reale ed un Linguaggio Filosofico), che l’ironia fosse contraddistinta nei testi scritti da un punto interrogativo ribaltato orizzontalmente, chiamato irony mark.

La rivista belga di Marcellin Jobard introdusse nel 1841 un segno dell’ironia dalla forma di una punta di freccia ingrandita con un piccolo gambo. L’anno seguente propose di usare lo stesso simbolo, orientato in varie direzioni, come “punto di irritazione, punto di indignazione, punto di esitazione”.

Nel 1899 il poeta francese Alcanter de Braham propose il punto di ironia (point d’ironie) per indicare che una frase necessita di essere compresa anche su un secondo livello (quello dell’ironia o del sarcasmo). Il simbolo è sempre il punto di domanda ribaltato.

A fianco: esempi di punto esclarrogativo in diversi font.

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L’autore francese Hervé Bazin propose diversi segni di punteggiatura espressiva nel suo libro “Plumons l’Oiseau” del 1966, tra cui il “love point” (punto dell’amore), costituito da due punti interrogativi, di cui uno ribaltato verticalmente, con un unico puntino, accostati a formare la sagoma di un cuore. Il punto d’amore può essere utilizzato nei messaggi che esprimono amore ed affetto, come si fa con il cuore emoticon o emoji. Inoltre Bazin ha ideato un proprio punto di ironia (costituito dalla lettera greca “psi” con un punto sotto), oltre al punto di dubbio, quello di certezza, il punto di acclamazione e quello di autorità.

Nel 2007 il tipografo olandese Bas Jacobs disegnò un nuovo segno di ironia, chiamato “ironieteken”, un punto esclamativo con l’asta a forma di saetta. Uno dei motivi per cui il simbolo non ebbe successo è che se accostato ad un altro ironieteken assomiglia al logo nazista delle SS.

Lo snark mark (punto di sarcasmo) è stato creato dal tipografo americano Choz Cunningham intorno al 2007 per segnalare le frasi sarcastiche. Il segno è formato da un punto fermo seguito da una tilde, simboli facilmente reperibili nella maggior parte dei font, che vengono combinati per ottenere un nuovo significato: quindi non è stato realizzato nessun nuovo simbolo, ma è stato usato lo stesso concetto alla base delle emoticon.

Nel 2010 Paul e Douglas J. Sak, rispettivamente un ingegnere e un contabile, proposero il SarcMark come punto per

A fianco: i segni di punteggiatura creati dal francese Hervé Bazin (in ordine: il punto d’amore, il punto di certezza, il punto di autorità, il punto di ironia, il punto di acclamazione e quello di dubbio).

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esprimere sarcasmo. Il simbolo ricorda una chiocciola o un sei rovesciato con un punto nel mezzo: è un segno di interpunzione che termina la frase.

La virgola esclamativa è un segno di punteggiatura che esprime sorpresa senza però terminare la frase, mentre la virgola interrogativa indica una domanda senza interrompere la frase. Questi due segni sono stati inventati nel 1992 dagli americani Leonard Storch, Haagen Ernst Van e Sigmund Silber per esprimere gli stessi concetti dei relativi parenti con il punto, ma piazzati in mezzo alle frasi, come appunto le virgole. Essi sostengono che non sia necessario far finire la frase solo perché si è emozionati per qualcosa.

A fianco: il point d’ironie di Alcanter de Braham; l’ironieteken di Bas Jacobs; lo snark mark di Choz Cunningham; il SarcMark di Paul e Douglas J. Sak; una virgola esclamativa ed una virgola interrogativa.

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Le mie riflessioni L’uomo è sempre alla ricerca di un mezzo per esprimere la propria interiorità. Lo fa attraverso la scrittura, l’arte, la musica, il teatro, la danza.

“If I could say it in words there would be no reason to paint.”

—Edward Hopper

A volte è impossibile esprimere ciò che proviamo con le parole e la scrittura ci sembra un mezzo inadeguato, per questo il linguaggio visivo è sempre stato molto importante nella storia dell’uomo.

Tendiamo a ritrovare nell’ambiente e nei segni scritti forme riconoscibili, come il volto umano, che ci comunica , tramite le espressioni facciali, emozioni e stati d’animo.

Il volto umano è stato così inserito nella comunicazione scritta, riscuotendo un enorme successo grazie alla sua forza espressiva e alla sua capacità di comunicazione che supera le barriere linguistiche.

La globalizzazione ha fatto sì che le emoticon, nate negli Stati Uniti, si diffondessero in tutto il mondo, diventando famose grazie alla società londinese Smiley World, per poi trasformarsi in emoji con l’intervento del Giappone.

La punteggiatura, adoperata inizialmente per esprimersi nella scrittura come nel discorso parlato, ora viene recuperata in modo creativo per lo stesso scopo: farsi comprendere meglio.

La punteggiatura e le emoticon si rivelano, nella società moderna, due elementi essenziali che hanno un unico fine: l’espressività.

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Glossario AALIB: ASCII Art Library, è una libreria grafica che permette alle applicazioni di convertire immagini e video in ASCII art.

ANIME: abbreviazione di “animazione”, si riferisce ai cartoni animati di origine giapponese.

ANSI: American National Standard Insistute, è un’organizzazione senza fini di lucro che definisce le norme industriali per gli Stati Uniti. L’arte ANSI è la versione colorata di ASCII art.

AOL: America On Line, provider di internet.

ASCII: American Standard Code for Information Interchange, è una tabella per la codifica dei caratteri prodotta dall’American National Standard Institute (ANSI) nel 1963.

BBS: Bulletin Board System, un computer o un’applicazione che permette agli utenti esterni di scambiare file e messaggi connettendosi ad esso tramite la linea telefonica. Era utilizzato prima dell’avvento di Internet.

CALLIGRAMMA: componimento poetico in cui il testo è posizionato in modo da formare un’immagine.

CUNEIFORME: scrittura caratterizzata da segni di forma triangolare la cui invenzione è attribuita ai sumeri.

DATTILOGRAFIA: pratica della scrittura mediante l’uso di una macchina da scrivere.

DINGBAT: in tipografia sono gli ornamenti, i caratteri solitamente usati per la creazione di cornici.

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ESCLARROGATIVO: il punto esclarrogativo è un segno di

punteggiatura caratterizzato dallâ&#x20AC;&#x2122;unione di punto interrogativo e punto esclamativo. Indica le domande retoriche o le frasi ironiche.

EMOTICON: piccola immagine composta da segni di punteggiatura e glifi che esprime emozioni utilizzata in messaggi e social network.

EMOJI: simbolo pittografico utilizzato nelle chat per esprimere visivamente oggetti, emozioni e concetti.

FLEURON: glifo dalla forma di un fiore o di un foglia utilizzato nelle composizioni testuali come segno di punteggiatura o ornamentale.

FONETICA: branca della linguistica che studia i suoni.

FONOGRAMMA: segno associato ad un suono.

FONT: insieme di caratteri tipografici accomunati da unâ&#x20AC;&#x2122;unico stile.

GIF: Graphic Interchange Format, è un formato per immagini digitali di tipo bitmap solitamente usato per immagini animate.

GLIFO: forma del carattere tipografico.

HANGUL: alfabeto fonetico coreano composto da sillabe.

HENOHENOMOHEJI: o hehenonomoheji, rappresentazione grafica del viso umano realizzata dagli studenti giapponesi che utilizza i caratteri stessi del nome.

HIRAGANA: alfabeto fonetico giapponese composto da sillabe.

IDEOGRAMMA: simbolo che rappresentante graficamente concetti e idee.

I-MODE: una delle prime piattaforme di Internet mobile.

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INDENTAZIONE: spazio vuoto all’inizio della prima riga di un paragrafo.

INTERPUNZIONE: o punteggiatura, sistema di separazione degli elementi di un testo tramite segni convenzionali.

IOS: sistema operativo sviluppato da Apple.

KANJI: sistema di scrittura giapponese formato da ideogrammi.

KAOANI: piccola gif animata simile ad un’emoticon nata in Giappone e utilizzata nelle chat.

KAOMOJI: stile di emoticon nato in Giappone.

LEET: o eleet, alfabeto nato su Internet che rimpiazza alcuni caratteri con altri secondo un criterio di somiglianza dei glifi.

LIBCACA: è una libreria che converte immagini in ASCII art colorata.

MACRO: composizione simile all’ASCII art creata dagli utenti di AOL. MANICULA: segno a forma di mano che veniva posto ai margini di un documento per evidenziare un passo del testo.

MONOSPACE: i font monospace sono caratterizzati da caratteri a larghezza fissa.

PARAGRAFEMATICO: segno che ha lo scopo di organizzare gli elementi costitutivi di un testo.

PARAGRAPHOI: piccola linea orizzontale a margine del documento che indicava anticamente un cambio di argomento nel testo.

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PDF: Portable Document Format, formato di file sviluppato da Adobe per la presentazione dei documenti.

PIEDE DI MOSCA: antico segno tipografico che indicava un capoverso o un nuovo paragrafo.

PITTOGRAMMA: simbolo grafico che ricorda visivamente l’oggetto che rappresenta.

PLATO: Programmed Logic for Automatic Teaching Operations, primo sistema educativo informatico nato negli USA nel 1960.

PNG: Portable Network Graphics, formato di file per immagini.

POSITURAE: segno simile ad un punto che indicava anticamente una pausa nel testo.

PROTO-SCRITTURA: forma di scrittura in cui è assente la codifica dei caratteri.

SHIFT JIS: codifica di caratteri ASCII sviluppata da una compagnia giapponese.

SMILEY: o smiley face, faccina gialla creata nel 1963 da Harvey Ball.

STENOGRAFIA: metodo di scrittura veloce che impiega segni e abbreviazioni per rappresentare lettere, suoni, parole e frasi.

UNICODE: l’Unicode Consortium è un gruppo no profit di programmatori che lavorano per creare un sistema di codici standard per tutto ciò che riguarda l’informatica, in modo che ogni dispositivo elettronico comunichi nello stesso modo.

UNIX: sistema operativo portabile per computer.

URL: Uniform Resource Locator, sequenza di caratteri che individua univocamente l’indirizzo di una risorsa in Internet.

WEBCOMIC: fumetto pubblicato sul web.

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Ringraziamenti Qui si conclude la mia tesi, ma non il mio viaggio alla scoperta delle forme di comunicazione che uniscono scrittura e linguaggio visivo.

Voglio ringraziare innanzitutto il mio relatore, il prof.

Traversa, per la sua disponibilitĂ , per le sue indicazioni e i suoi preziosi consigli.

Poi ringrazio mia mamma, per la sua pazienza nel rileggere la tesi insieme a me, aiutandomi a correggere errori e imperfezioni, e per i suoi suggerimenti fantasiosi.

Infine ringrazio lâ&#x20AC;&#x2122;Accademia di Belle Arti di Carrara e i suoi docenti e studenti, per aver reso speciale la mia esperienza di studio.