Mag67 febbraio 2015

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N. 67 FEBBRAIO 2015

Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,30 + Mag € 0,20)

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Cento domande al professore Cinquanta indisciplinate di Giuseppe Guin Intervista a Federico Roncoroni Lei crede che qualche volta i suoi studenti abbiano pensato: «Il professor Roncoroni è proprio un gran rompipalle»? Le è capitato di dare un voto in più a qualche studentessa soltanto perché era carina? Ma qualcuno le ha mai detto: «Lei per me scrive proprio male»? Mai usato un libro per accendere il camino? E politicamente lei come si colloca? Gesù Cristo l’hanno rovinato i cristiani o era già partito male di suo? Lei la paura di morire l’ha provata. Come ci si sente?







di Diego Minonzio

ORGOGLIOSI DI UN COMASCO COSÌ A Como ci sono personaggi che non basterebbe

spunti che coglierete in queste righe, il più ecla-

un intero “Mag” per raccontarli. Tale la ricchez-

tante è il luogo, l’ambiente nel quale si è svolta la

za degli spunti, la profondità delle osservazioni,

chiacchierata e nel quale vive da sempre Federi-

il fluire copioso del talento, affinato dalle prove

co Roncoroni. La casa. La sua casa. La sua casa

durissime che la vita - da vera livella qual è - riser-

piena di libri. Gonfia di libri. Pulsante di libri.

va a ognuno di noi. Intelligenza. Cultura. Ironia.

Fatta, ecco il temine più appropriato, “fatta” di

Malinconia e amarezze. Insomma, tutto quello che

libri. Libri al posto delle pareti, dei tavolini, delle

serve per modellare un comasco di cui essere or-

sedie, un’osmosi totale con l’elemento nel quale

gogliosi. E che oggi vi raccontiamo così.

un intellettuale vero come lui trova sostentamento

Il primo numero dell’anno del nostro mensile si

e ispirazione. Preferiamo non anticipare troppo i

apre infatti con una lunga intervista - cento do-

contenuti dell’intervista, ma leggendola potrete

mande tonde tonde; cinquanta davvero indiscipli-

di certo capire tante cose del suo rapporto con

nate, fidatevi… - a Federico Roncoroni. Alla fine

la scuola, con gli studenti e i giovani in generale,

ce l’abbiamo fatta a incastrare il professore più ce-

con le passioni umane e con la storia del proprio

lebre della città, scrittore, saggista, docente, mana-

secolo, tutta vissuta da vero protagonista, con l’a-

ger culturale ai massimi livelli nazionali, grande

more - per le persone e per i gatti - con la politica,

amico della nostra avventura editoriale alla quale

la fede, la malattia e la paura del nulla, della fine

regala magnifici affreschi a cavallo tra il narrativo,

che tanta parte ha preso dei suoi ultimi anni e

il saggistico e il memorialistico per impreziosire,

tanta ispirazione ha fornito alle sue opere più re-

di volta in volta, le pagine de “La Provincia”, de

centi e sofferte. Una lettura magnifica, davvero, e

“L’Ordine” e, naturalmente, anche del “Mag”, con

sapere che verrà condivisa da così tante persone

quella scelta di aforismi acutissimi e pungenti che

in un contenitore di questo prestigio è un motivo

allietano ogni mese il nostro patinato.

di gioia e di orgoglio.

Questa volta, infatti, gli abbiamo impedito di scri-

Ma il “Mag” non si esaurisce qui, naturalmente,

vere e lo abbiamo invece costretto a spogliarsi di

visto che offre ai suoi affezionati lettori tanti altri

ogni ritrosia e cautela nel rispondere alle doman-

servizi presi dal cuore della società comasca più

de di Giuseppe Guin, ormai un vero specialista

profonda e legata alle radici della nostra cultura.

del genere e autore delle apprezzatissime inter-

Basta sfogliarlo, con la certezza che anche il 2015,

viste al vescovo Diego Coletti, al sindaco Mario

per il “Mag”, sarà un anno bellissimo e pieno di

Lucini e al teologo Bruno Maggioni. E fra i tanti

esperienze sorprendenti.

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N. 67 FEBBRAIO 2015

Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,30 + Mag € 0,20)

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Cento domande al professore Cinquanta indisciplinate

MAG Febbraio 2015

di Giuseppe Guin Intervista a Federico Roncoroni Lei crede che qualche volta i sui studenti abbiano pensato: «Il professor Roncoroni è proprio un gran rompipalle»? Le è capitato di dare un voto in più a qualche studentessa soltanto perché era carina? Ma qualcuno le ha mai detto: «Lei per me scrive proprio male»? Mai usato un libro per accendere il camino? E politicamente lei come si colloca? Gesù Cristo l’hanno rovinato i cristiani o era già partito male di suo? Lei la paura di morire l’ha provata. Come ci si sente?

7 L’EDITORIALE di Diego Minonzio 13 DIECI BELLE NOTIZIE di Maria Castelli LE OPINIONI 19 «Occhi sul mondo» di Umberto Montin 21 «Donna di Picche» di Chiara Milani 22 «La borsa & la vita» di Fabrizio Musa 25 «Pubbliche virtù» di Guido Capizzi

Copertina Fotografia di Carlo Pozzoni

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CAMMINANDO CON MARCO POLO

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62

Un comasco in marcia da Venezia a Pechino di Sara della Torre 51

VOGLIA DI VOLARE

Il paracadutismo sogno di Antonella di Serna Brivio 62

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IL SOGNO OLIMPICO

LUCA NON CEDE

La campionessa comasca di Mtb di Riky Monti

Vincere a hockey in sedia a rotelle di Simone Casiraghi

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DA 50 ANNI CON LORO

L’associazione Anffas dalla parte dei disabili di Laura D’Incalci

26 100 DOMANDE AL PROFESSORE, 50 INDISCIPLINATE di Giuseppe Guin

Nato e residente a Como, saggista, romanziere e viaggiatore, Federico Roncoroni ha pubblicato vari testi sulla lingua italiana e su autori dell’Ottocento e del Novecento. Una laurea in filologia classica, una ventina di anni di insegnamento nei licei, poi una carriera da “professore a distanza” come autore di libri di testo. La sua “Grammatica della lingua italiana”, Mondadori, resta, infatti, un testo fondamentale per gli studenti e non solo per gli studenti. Sempre per l’editoria scolastica, Roncoroni ha composto il celeberrimo “Testo e contesto. Guida all’analisi delle opere degli autori nel loro tempo”. Amico e studioso di Piero Chiara, di tanto in tanto concede ai suoi lettori qualche rarità dello scrittore luinese, tratta dalle carte private di cui è custode. Titolo articolo | Mag Febbraio 2015 | 9


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DIRETTORE RESPONSABILE

Diego Minonzio

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RESPONSABILE di REDAZIONE

QUI DAL MONDO

Giuseppe Guin

L’attività comasca dell’International club di Arianna Augustoni

tel. 031.582342 - 335.7550315 fax 031.582421 g.guin@laprovincia.it redmag@laprovincia.it

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NON ESISTONO RAGAZZI CATTIVI

OPINIONI Chiara Milani, Fabrizio Musa Guido Capizzi, Umberto Montin,

Storie di vita e di riscatto 82

QUANDO COMO SAPEVA RIDERE Le storiche riviste della satira lariana di Rosaria Marchesi 95

Le parole che non tornano di Emilio Magni

97

Tutto in un tratto di Paola Mascolo

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Eventi 111

Idee (S)fashion di Serena Brivio

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SERVIZI

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DIETRO LE MASCHERE UN POPOLO Storia e tradizioni del Carnevale di Schignano di Mario Chiodetti 119

Animali

di Marinella Meroni

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Il bello della Salute di Eugenio Gandolfi di Franco Brenna di Tiziano Testori di Francesca Bianchi di Filina Di Stefano

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Grande schermo

di Bernardino Marinoni 10 | Mag Febbraio 2015 | Sommario

FOTOSERVIZI Carlo Pozzoni, Andrea Butti, Ricky Monti REALIZZAZIONE GRAFICA

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L’aforisma del mese

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TENDENZE E MODA Serena Brivio

IMPAGINAZIONE Stefania Sperandio

115

di Carla Colmegna

Maria Castelli,Carla Colmegna, Marinella Meroni, Eugenio Gandolfi, Emilio Magni, Bernardino Marinoni. Franco Brenna, Tiziano Testori, Luca Meneghel, Alessandra Uboldi, Paola Mascolo, Federico Roncoroni, Francesco Angelini,

DIREZIONE CREATIVA Monica Seminati

di Alessandra Uboldi

Scaffale

RUBRICHE

L’Oroscopo

Navigazioni Lariane di Luca Meneghel

Sara Della Torre, Ricky Monti, Simone Casiraghi, Rosaria Marchesi, Laura D’Incalci, Arianna Augustoni, Mario Chiodetti

di Federico Roncoroni

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Last minute

di Francesco Angelini

PUBBLICITà Sesaab servizi - Divisione Spm Tel. 031.582211 STAMPA Litostampa - Bergamo Numero chiuso in tipografia il 28 gennaio




di Maria Castelli

Belle notizie

Il regalo degli alpini Sono incalcolabili le iniziative di solidarietà che si sono susseguite nelle ultime settimane. Una proviene dagli Alpini di Laglio, appartenenti ad un’associazione come l’Ana che ha fatto della generosità la propria bandiera e del legame tra generazioni il proprio vessillo. A sorpresa e con totale discrezione, le Penne Nere hanno consegnato 1.500 euro alla scuola del paese: la somma è frutto di una raccolta all’interno del Gruppo, sensibile ai bambini e al loro futuro. E ogni banconota da 10 o da 20 euro rappresenta un pezzettino di cuore di ogni vecio o bocia alpino. «È stata una donazione davvero gradita – ha sottolineato la dirigente dell’istituto comprensivo di Cernobbio, Anna Grandi - Con la generosità che le ha sempre contraddistinte, le Penne Nere hanno salutato docenti ed alunni, con la soddisfazione di aver risposto al desiderio di migliorare la nostra società in momenti difficili».

Un bell’esempio da Erba Infuriavano le polemiche e le indignazioni sulle massicce assenze dal servizio dei vigili urbani di Roma la notte di Capodanno, ma ad Erba gli agenti erano regolarmente al lavoro e rappresentavano la faccia della pubblica amministrazione che piace tanto a tutti. Ma c’è di più: un agente, Luca Baronti, figlio unico, s’è presentato in servizio nonostante avesse perso il padre appena due giorni prima. «Gli ho chiesto personalmente se volesse farsi sostituire - ha dichiarato il comandante Marco Giglio ma Baronti non ha voluto, ha detto che era il suo lavoro e che lo avrebbe svolto regolarmente». È una forma di eroismo quotidiano? «È un bell’esempio di attaccamento al lavoro, di serietà e di senso civico», ha sottolineato, mentre il vicesindaco Claudio Ghislanzoni ha messo in evidenza che «il senso del dovere ha prevalso». E ancora: i colleghi non avrebbero stentato a farsi avanti per sostituire Baronti. «Il servizio di polizia locale ad Erba è eccellente - sostiene Ghislanzoni - Con i nostri agenti non abbiamo mai avuto problemi, nemmeno per la reperibilità nei turni serali e notturni».

I colori dei genitori Vacanze di Natale e di lavoro volontario per un gruppo di genitori di Cavallasca: hanno dedicato il loro tempo a ridipingere corridoi e spazi comuni della scuola primaria frequentata dai propri figli. Il materiale è stato acquistato dal Comune; i genitori l’hanno utilizzato con creatività, passione e anche un po’ di fatica. Pareti spoglie e un po’ tristi, come avevano constatato alcuni genitori recandosi a scuola, hanno preso colore, in particolare azzurro e giallo e calore. E sono state pure decorate: una mamma, per esempio, ha disegnato e dipinto tre grandi posate rosse sulla porta della mensa. Come se ogni pennellata fosse un abbraccio. Non si vede, ma c’è. Dieci belle notizie | Mag Febbraio 2015 | 13



Belle notizie

Quello che funziona

Volontari per i bambini

Da una lettera al quotidiano “La Provincia”: «Nei pressi del parcheggio di Cernobbio, io e la mia famiglia ci siamo accorti di un bel gatto sdraiato sul selciato e rantolante a causa di una zampa rotta. Dopo aver provato a contattare veterinari chiusi per festività, abbiamo chiamato l’Asl di Como allo 031/370111 che si è subito prodigata nel metterci in contatto con il suo veterinario che a sua volta ha provveduto ad allertare un operatore. Dopo circa 30 minuti di attesa sul posto, puntualmente è arrivato l’operatore che in poco tempo ha provveduto a caricare il gattone sulla sua ambulanza. Tutto ciò per ringraziare la struttura operativa Asl per la cortesia e puntualità dimostrate e per ricordare a tutti coloro che incappano in questi tristissimi incontri di non girarsi dall’altra parte».

A Somaino, frazione di Olgiate Comasco, alcuni residenti hanno promosso una colletta per sistemare la recinzione rotta dell’unico spazio disponibile per i giochi dei bambini e un gruppo di volontari s’è dedicato all’intervento. Marco Cusini, Marco Guffanti, Alessio Bulgari, Maurizio Bernasconi ed Alessandro Albonico hanno sostituito la recinzione del campetto e hanno fatto in modo che i bambini non possano più sollevarla, rischiando di correre in strada a recuperare il pallone. La colletta è stata organizzata al bar “La vie en rose” ed ha fruttato 200 euro. «Qualcuno è rimasto sbalordito per una raccolta fondi destinata ad un intervento in carico alle pubbliche istituzioni. Ma ha fatto l’offerta, pur di garantire ai nostri bambini e ragazzi un luogo sicuro in cui giocare», ha detto la titolare del bar, Erica Corrao.

Un primato in sanità Il primario dell’Unità Operativa di ortopedia - traumatologia dell’ospedale Sant’Anna, Vincenzo Zottola, ha impiantato due protesi d’anca in un solo intervento, con una tecnica mini - invasiva e che non ha precedenti. «Si tratta di una nuova procedura per la ricostruzione dell’anca con una protesi artificiale, più conservativa e che mantiene integri tendini e muscoli - ha spiegato il primario - È una pratica complessa, ma consente una riabilitazione più semplice». Rita Gatti, 68 anni, la paziente sottoposta alla nuova metodica, ha confermato l’assenza di dolore post operatorio: «Ringrazio i medici che mi hanno seguita - ha detto - Non pensavo di riprendermi così in fretta dopo l’intervento». All’esito positivo hanno contribuito il reparto di riabilitazione e la Fisiatria, a conferma dell’importanza del “lavoro di squadra” nell’ospedale generale provinciale.

Un legame mai spezzato Due avvocati di lungo corso, Emilio Vercellini, 76 anni e Giannino Pagliaga, 75 anni, scolaretti nell’immediato dopoguerra, hanno cercato, trovato ed incontrato il loro maestro di quarta elementare, Carlo Mistò, 92 anni. L’avevano salutato 67 anni fa, al termine dell’anno scolastico 1947 - 1948. Ma non l’hanno mai dimenticato. L’hanno ritrovato a Binago, hanno trascorso insieme un pomeriggio di ricordi e di emozioni, hanno guardato le vecchie foto, si sono scambiati affetto, ripercorrendo anni, vicende, personaggi, sacrifici e soddisfazioni lontane. Ed è riaffiorato tutto come bello e buono. Come dire che non viene mai perduto niente di tutto ciò che resta nel cuore.

Dieci belle notizie | Mag Febbraio 2015 | 15



Belle notizie

L’eredità per San Fedele Cupola, affreschi sottostanti e parte della volta della basilica di San Fedele, nel cuore di Como, sono sottoposti a restauri che li riporteranno all’antico splendore. Il costo dei lavori è di circa 350mila euro. Un contributo significativo, 140mila euro, proviene dalla generosità di un cittadino che ha lasciato in eredità alla parrocchia 140mila euro ed ha chiesto che siano utilizzati proprio per i restauri, definiti urgenti dagli esperti universitari che hanno analizzato lo stato di fatto.

Alessandro, il moto perpetuo «Cerco di darmi da fare invece di piangermi addosso»: lo dice Alessandro Saccone, 36 anni. S’è inventato un lavoro che a Como non c’era: la consegna della spesa in bicicletta, per quattro euro ogni volta. Era disoccupato, non ha più trovato neppure contratti a termine, così ha deciso di mettersi in proprio, sviluppando la passione per la bicicletta e lo spirito di servizio. E’ riuscito a consegnare perfino 86 chili di arance recapitati sul balcone di una persona anziana e una volta ha pedalato da Como a Lanzo Intelvi per una consegna. «Non ho spese, vivo con la famiglia e ho bisogno di pochissimo. Non arrivo a mille euro, ma per me è sufficiente. Sono da solo e sta andando bene», afferma contento.

La caduta e il fashion Da amazzone a stilista: dopo un incidente a cavallo, Clarissa Tabarini, 24 anni, residente ad Appiano Gentile, ha sviluppato una passione che sentiva dentro da sempre, anche durante le gare sportive. Si è diplomata Fashion Product Design all’Accademia del Lusso di Milano e due suoi abiti sono stati selezionati per le sfilate di Roma e di Milano nell’ambito del concorso indetto tra tutte le sedi italiane ed europee dell’Accademia. Vorrebbe lavorare in un ufficio stile, ma le sue domande sono rimaste inevase. Così, ha adattato la propria camera a laboratorio di sartoria e confeziona i vestiti, anche quelli in concorso. Uno avrà anche una ribalta televisiva nazionale. «La moda è un modo per comunicare agli altri - dice la giovane stilista - Io trovo l’ispirazione in quello che ho vissuto e nelle mie emozioni».

Dieci belle notizie | Mag Febbraio 2015 | 17



di Umberto Montin

IL KIT DELLA SPERANZA Coperta, cerotti, calzini, crema solare, acqua, berretto di lana, Ecco la scorta per la sopravvivenza, per resistere nella guerra più silenziosa e letale che si combatte nelle strade, nelle città americane e in tante altre metropoli del mondo. La battaglia per poter continuare a vivere nonostante l’assenza di un lavoro, di una casa, di una famiglia. La scommessa del kit per i senzatetto ha fatto centro, almeno per Ezzie Richey, una vita di disperazione, disgrazie ed emarginazione alle spalle nonostante il suo arruolamento nell’esercito. Uno zainetto messo ai suoi piedi con dentro i beni di prima necessità per chi dorme sotto le stelle lo ha salvato e trasformato la sua vita in un’avventura per portare aiuto a chi vive ancora senza una casa. Ezzie Richey, veterano dell’esercito quel contenitore se l’è trovato all’improvviso, deposto da Tom Bagamane fondatore e presidente di un’associazione di volontariato senza scopo di lucro che ha sede a Los Angeles, The Spirit Giving . Il sodalizio esiste da 15 anni e ogni sei mesi porta il kit di sopravvivenza a chi vive per la strada, circa 2.600 nel 2014 nella sola metropoli californiana. I volontari di The Spirit Giving consegnano questi zaini nei quartieri dove la densità di emarginati e sbandati è più alta. «Tutto quanto c’è in quei kit permetterà a qualcuno di poter vivere un po’ meglio pur nella sua condizione», ha spiegato Bagamane. «All’interno si trovano prodotti da toeletta, per l’ igiene di base, prodotti alimentari, prodotti di idratazione, gli elementi per tenerli al caldo, quelli per conservarli asciutti». Richey è originario dell’Alabama, a Los Angeles è giunto nel ’98 spinto dal dolore della perdita, in una incredibile quanto tragica sequenza, della madre, dei due fratelli gemelli nati prematuramente,

di un altro fratello. Nonostante il suo lavoro - nella Quinta unità di supporto ospedaliero ai combattenti a Forte Bragg in North Carolina e nel Seconda Divisione di Fanteria in Corea - cominciò a bere e poi a drogarsi. Perse la moglie, ma riuscì a trovare un lavoro da autista e addirittura a iscriversi a Sociologia grazie a un sussidio governativo. Finché con la perdita della zia che lo ospitava si ritrovò su una strada. Fare lo studente e ammettere di vivere senza una casa erano due condizioni complicate da mettere insieme e soprattutto da raccontare in giro: «Non volevo far sapere a nessuno che conoscevo che ero diventato un senzatetto». E così fece Richey: nascose la sua situazione ai compagni di corso, ogni giorno doveva cercare un luogo per lavarsi, farsi la barba, battere alle porte per sfamarsi, cercare un angolo dove trascorrere la notte. Due anni gli sembrarono due decenni e pian piano la depressione si fece largo nella sua vita. «Sentivo tutto ciò che porta verso la fine della vita». Finché nel momento più basso della sua esistenza fra i piedi si ritrovò improvvisamente quello zainetto. «Ho visto tutta quella roba - ha raccontato Richey - ma anche molto di più. Ho pensato che qui c’era l’amore». Da allora Ezzie Richey si è laureato, ha un appartamento ottenuto grazie al programma di edilizia convenzionata di un’associazione di veterani. Adesso anche lui va in giro a portare il kit che l’ha salvato al momento giusto, per fare lo stesso con chi vive da barbone. «Mi vedo nelle persone qui fuori - ha rivelato al Los Angeles Times - io sono stato come loro». A questi lascia lo zainetto sapendo che dentro, oltre ai beni di prima necessità, potranno trovare altro: la speranza.

«Non volevo far sapere a nessuno che conoscevo di essere diventato un senzatetto»

Occhi sul mondo | Mag Febbraio 2015 | 19



di Chiara Milani

Responsabile scientifico della Biblioteca comunale di Como

Imprese che nascono dai sogni Tra i molti doni che i libri elargiscono, c’è regalare parole per esprimere sentimenti, pensieri, idee, meglio di come noi sapremmo e potremmo fare, se dovessimo usare parole nostre. Per questo amiamo più di altri alcuni libri, li compriamo per gli amici, li consigliamo. Essi ci appartengono. Chi ama leggere è un cacciatore di sorprese e sa che un manuale di matematica può essere una sinfonia, che dalle pagine di un trattato di giardinaggio può apparire filosofia, che un romanzo può non dire nulla risolvendosi in una banale sequenza di parole. Sovente capita di ricordare e amare un autore per quel suo unico libro che possiede una grazia speciale. Libri così luminosi sono rari, e non importa se si tratti di saggio scientifico o di opera di fantasia: dentro pagine intense ci siamo noi e c’è il mondo intero. E ogni lettore sa che ci sono grandi libri bellissimi ma anche piccoli libri magici. Nella mia esperienza ne ho trovati pochi. A uno di questi affido un messaggio. È un folgorante libro di sole 64 pagine scritto da un funambolo speciale. Un uomo che pochi anni fa ha incantato un folto pubblico al festival “Torino Spiritualità” parlando di etica, cioè di azione e comportamento coerenti con i principi morali; etica che nel suo caso diventa anche estetica. Il libro si intitola Credere nel vuoto, l’autore si chiama Philippe Petit. L’argomento è la sua vita, scandita da passeggiate su fili tesi ad altezze vertiginose. Inizia con queste parole: “Vorrei parlare di me e di quarant’anni di teatro nei cieli di tutto il mondo”. A 24 anni Petit ha teso un filo sulla sommità delle scomparse torri gemelle di New York, ci ha camminato sopra dall’una all’altra e ha continuato, disobbedendo alla gravità, a passeggiare tra i campanili di Notre Dame, sul ponte della baia di

Sidney, sopra stadi e cascate. Si è esibito in camminate clandestine, per spettacoli di grandi registi, per l’anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, per raccogliere fondi in favore di molte cause. Ma prima di avventurarsi tanto in alto, quando di anni ne aveva solo 17, scrisse il Trattato di funambolismo del quale ora, dopo circa 50 anni, dice: “non cambierei neppure una virgola”. In Credere nel vuoto le sue imprese impossibili sono un richiamo, un esempio, perché il vero argomento è altro: “alle persone come me la parola impossibile non piace, infatti non la uso mai”. La passione e l’amore guidano le sue scelte: “Ci sono alcune parole che ripeto spesso, e passione è una di queste”. Ogni scelta di vita ha un prezzo, ogni scelta è un confronto con gli altri. Molte volte bisogna mediare ma mai cedere: “e non ditelo a nessuno, ma credo che le persone qualche volta sono pagate per dire di no”. Ma per fortuna, non tutti sono ottusi. Non il vescovo di St. John the Divine a New York che ha inviato quest’uomo non credente, ma rispettoso del modo di pensare altrui, che dice di affidarci al nostro intuito e invita a “essere dei fuorilegge”, quale ospite fisso della cattedrale, dove ha ora il suo studio nel triforio, la galleria che corre sotto la navata. Il funambolo Petit si definisce più volte “ingegnere”, perché prepara meticolosamente i suoi progetti ma anche “poeta”, perché le sue imprese nascono dai sogni, e i territori dell’ingegnere e del poeta si toccano nella capacità di osare, di avventurarsi nelle terre da sogno di mondi ignoti. La Grecia classica lo sapeva: produrre e fare poesia sono lo stesso vocabolo, una medesima azione. Le parole con le quali Petit chiude la sua storia, siano un augurio in tempi difficili: “Quindi, andate a casa e sognate”.

Chi ama leggere è un cacciatore di sorprese e sa che un manuale di matematica può essere una sinfonia

Donna di picche | Mag Febbraio 2015 | 21


di Fabrizio Musa

artista

L’ARTE E LA COMO CHE STUPISCE Non sembra nemmeno di essere a Como. Quante volte avete sentito ripetere questa frase ad eventi, serate, manifestazioni… A me è capitato di sentirla sempre più spesso negli ultimi anni e ancora più spesso negli ultimi mesi. Ma cosa significa? Significa che quando molti comaschi si trovano ad un evento che ritengono ben riuscito, ben organizzato, in una bella location… lo considerano possibile solo in qualche altra non ben identificata città. Ovunque, ma non a Como. E da qui l’affermazione stupita: «non sembra nemmeno di essere a Como». La mia considerazione è molto semplice ed immediata… ma se questi eventi che ci rimandano subito a realtà che non sono la nostra capitano sempre più spesso e di frequente proprio da noi, proprio a Como, perché continuare a ripetere quella frase e non prendere atto che queste cose nella nostra città accadono? È consuetudine ormai parlare male di Como, è normale leggere decine se non centinaia di post su Twitter o Facebook o altrove sul web o sui giornali dove si analizzano, si elencano tutti gli elementi negativi più o meno veri legati alla nostra città. Ed è facile trovarne come è facile trovarne in ogni altra città del Pianeta. Non ci sono parcheggi? I “posti blu” sono cari? A New York si possono pagare anche 30 dollari all’ora per un posto vicino al Theatre District o Times Square. Nessuno lo dice. I taxi sono cari? A Londra i taxi costano il triplo rispetto a noi. Ma non vorrei parlare solo di costi di parcheggi o di organizzazione dei mezzi pubblici, questo lo fanno già in molti. È logico, molte città nel mondo sono meglio organizzate della nostra o di quelle italiane in generale, hanno più finanze da investire, il senso civico è diverso, sono più ecologiche e così via. Vorrei però dire qualcosa di positivo di questa città che amo da sempre.

Mi è capitato veramente di rado qui come altrove di partecipare a qualche iniziativa culturale od evento ben organizzati in cui non ci fosse nessuno, anzi. Quando qualcosa è ben fatta la partecipazione dei comaschi è totale. Sono stato a decine di serate con grande presenza di pubblico. Vorrei dire a quelli che sostengono che a Como è inutile organizzare eventi culturali e non, che quando c’è qualcosa di bello la cittadinanza partecipa come in ogni altra città. Questo è uno dei miti da sfatare e gli esempi da fare sarebbero veramente tanti. Anzi, non voglio solo dire che sono tanti. Li voglio proprio nominare, ne voglio parlare perché se lo meritano e sicuramente qualcuno mi scuserà perché con sole “7000 battute” ne tralascerò molti… Parolario è una manifestazione cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. È ormai un punto di riferimento per scrittori e personaggi del mondo della Cultura. Il successo di pubblico ottenuto nelle ultime edizioni è un dato di fatto, tanto da aver addirittura scatenato polemiche sulle locations poco adatte a contenere un così importante afflusso di persone. Barbara Minghetti ha rinnovato, ringiovanito e fatto crescere notevolmente il “nostro” Teatro Sociale. Ha permesso anche che si aprissero le porte di una struttura notoriamente “chiusa” con la propria programmazione per organizzare eventi di qualità. Recentemente “Marker”, un gruppo di giovani, ha saputo sfruttare questa grande opportunità creando due serate, la prima all’interno del teatro e la seconda all’esterno, nello spazio dell’Arena, coadiuvate per gli allestimenti da un altro gruppo di architetti, gli XYZ, sempre giovani e sempre comaschi, che hanno ottenuto una straordinaria partecipazione all’insegna della creatività, del teatro e

«Non sembra nemmeno di essere a Como» È il ritornello di quando qualcosa funziona

22 | Mag Febbraio 2015 | La borsa o la vita


della musica. Salvatore Amura, direttore dell’Accademia Galli, ha portato la città dentro l’Accademia e l’Accademia nella città… organizzando serate, mostre, presentando artisti, creando alleanze con eventi esistenti e creandone di nuovi. Il gruppo degli OLO, ormai noto ai più, è una bellissima realtà di giovani che hanno trasformato in un lavoro la loro passione per la realizzazione di video. Sono persone di Como che lavorano in tutto il mondo, che portano alto il nome della nostra città. Durante una delle loro futuristiche proiezioni su Villa Olmo qualche anno fa, in occasione dell’apertura di una delle grandi mostre, da più parti ho sentito sussurrare : «Che meraviglia, non sembra neanche di essere a Como». Il gruppo Olo Creative Farm è prossimo in questi giorni a compiere dieci anni di attività, avendo mantenuto sempre la loro sede nella nostra città. Siamo a Como. Siamo ancora a Como. Nonostante poi il periodo di crisi esistono ancora imprenditori illuminati che investono sull’arte e sponsorizzano Mostre ed eventi, primi tra tutti gli Amici di Como. Come non parlare poi del nuovo Lake Como Film Festival, bellissima manifestazione che ogni anno dal 2012 attrae centinaia di addetti ai lavori e non. Ancora un altro gruppo di giovani comaschi che con dedizione e grande impegno portano le loro passioni al grande pubblico della città. Tra i giovani citerei il neo-quarantenne Achille Pedraglio che, completamente in controtendenza rispetto a tutte le gallerie d’arte che in Italia stanno chiudendo i battenti, si dedica con grandissima passione alla sua neonata Galleria in Piazza Volta. Ho recentemente conosciuto anche Tatiana Rykoun che, interpretando e riconoscendo le nuove potenzialità del territorio, da guida turistica è riuscita a creare un network di persone che credevano come lei nella sua idea ed ha fondato la rivista Ozero

Komo, interamente in Russo che parla della nostra città e delle cose da fare qui per chi viene in vacanza per una settimana o più, rivolta al crescente flusso turistico proveniente dalla Russia. Come non nominare poi Carlo Pozzoni? Bravissimo fotografo “storico” de “La Provincia” diventato per passione editore, promotore culturale, organizzatore di mostre di qualità, ospitando nel suo spazio presentazioni di libri ed eventi culturali. Queste nominate e sicuramente molte altre persone meritano attenzione e sono responsabili della “vita culturale” di questa città. Grazie a loro non mi sento più di dire «non sembra neanche di essere a Como» ma prendo atto che viviamo in una bellissima realtà ricca di stimoli e di ottime iniziative portate avanti da molti concittadini volenterosi. Non da ultimo… ma in che città viviamo? Com’è possibile che da tutto il mondo migliaia di persone ogni anno vengano qui, si impegnino in voli transoceanici anche solo per passare pochi giorni a Como? Ci rendiamo conto ogni giorno della bellezza che ci circonda? Della natura, del lago, dei monumenti del Terragni, del Duomo, del panorama mozzafiato da Brunate o della serenità che può dare una gita in battello? Quanti di voi non prendono un battello da anni? Che dire di più? Esistono innumerevoli esempi di persone che tengono viva questa città con passione e dedizione, che hanno idee, hanno la voglia di realizzarle ed il più delle volte ci riescono anche. Allora, nel nostro piccolo possiamo smettere per un momento di guardare quello che non va e concentrarci su quello che va? Sulle persone e sulle iniziative che funzionano e rendono bello vivere a Como? Possiamo smettere di dire «non sembra nemmeno di essere a Como»… e renderci conto di ciò che di positivo costantemente ci circonda?

«Nel nostro piccolo occorre smetterla di guardare quello che non funziona e concentrarci su quello che va»

La borsa o la vita | Mag Febbraio 2015 | 23



di Guido Capizzi

Ricercatore economico e giornalista

QUANDO SUL LAGO PICCOLO È BELLO Piccolo è bello. Potrebbe essere racchiuso in questo slogan il motivo della scelta di Esino Lario per il raduno internazionale 2016 di chi scrive e realizza l’enciclopedia virtuale Wikipedia, consultata via Internet da milioni di persone nel mondo. Un bel successo per un paese che ha utilizzato anche il brand “Lake of Como”, quello che il Sistema Turistico Lago di Como (Province di Como e Lecco con le rispettive Camere di Commercio e le Associazioni Albergatori di Confcommercio) ha inventato per la promozione del territorio, che è stato usato poco. Il marchio che sarebbe stato utile diffondere molto più di quanto non sia stato fatto negli ultimi anni. Un “buco” operativo in vista di Expo 2015 Milano, aggravato dall’aver voluto creare un nuovo brand, quello della città di Como con un “sottotitolo” simile a un sito già esistente, anche se carente - “LakeComo” del Consorzio Como Turistica con l’Associazione Amici di Como e il CIA Consorzio Imprenditori Alberghieri. Ci potremmo fermare qui, con l’amaro commento legato alla forsennata corsa al primato del “siamo i migliori” che nella piccola e provincialissima città di Como è una patologia incurabile, ma andiamo avanti. Che bisogno c’era di un brand della città di Como (quello scelto tra, dicono, centinaia e che è, per molti, brutto), mentre esisteva un brand del territorio lago di Como, sicuramente più accattivante e spendibile a livello di marketing promozionale? Che bisogno c’era di spendere 50mila euro (di cui

10mila al vincitore del disegno del marchio e 40mila per la gestione del concorso a premio) da parte del Comune di Como? Ciò che il piccolo Comune di Esino è riuscito a ottenere darà (e già sta dando sui media nazionali e internazionali) benefici a tutto il territorio. Dunque grazie allo sforzo di amministratori e cittadini di Esino Lario, mentre il brand “Como” sembra già cestinato (chi lo sta usando? Pare dimenticato anche dal Distretto dell’Attrattività - altro modo per definire il Distretto Urbano del Commercio). Anni fa, addirittura prima che si legiferasse sui “Sistemi Turistici Locali”, una cooperativa comasca, poi costretta alla liquidazione, investì soldi propri e creò un simpatico sito - www.sistematuristicolagodicomo. it - che esiste ancora e che era originale e dava spazio alla conoscenza del territorio con molte professionali pagine su luoghi, percorsi e storia. In più promuoveva le piccole strutture ricettive, gli alberghi di 1 e 2 stelle, gli agriturismo agli albori del loro diffondersi. Dovremmo ricordare e ringraziare chi si impegnò, mentre tutti gli altri chiacchieravano, per la crescita del territorio, pubblicando via Internet una precisa guida turistica del lago di Como, dei due rami del Lario. Così dovremmo ringraziare e affiancare il piccolo Comune di Esino Lario che, partendo dalla realizzazione degli “Archivi Pietro Pensa” a Villa Clotilde, sarà il polo di attrazione per l’importante evento internazionale di Wikipedia un anno dopo Expo 2015.

Così Wikipedia sbarca sul lago. In attesa dell’Expo l’attrazione del brand Lake of Como per rilanciare il turismo

Pubbliche virtù | Mag Febbraio 2015 | 25


100 domande al professore 50 indisciplinate di Giuseppe Guin Il mondo che c’è fuori non entra in questa casa. Federico Roncoroni, assorto nel suo mondo, è poco avvezzo ad aprire quella porta. Qui ci sono pareti impenetrabili. Anzi, qui non ci sono pareti, ma soltanto barriere di libri che nascondono i muri e tutto ciò che sta al di là. Oggi questa porta si è aperta. E il mondo può attendere. 26 | Mag Febbraio 2015 | Cento domande al professore


Titolo articolo | Mag Febbraio 2015 | 27


FEDER ICO RONCORONI Nato e residente a Como, saggista, romanziere e viaggiatore, Federico Roncoroni ha pubblicato vari testi sulla lingua italiana e su autori dell’Ottocento e del Novecento. Una laurea in filologia classica, una ventina di anni di insegnamento nei licei, poi una carriera da “professore a distanza” come autore di libri di testo. La sua “Grammatica della lingua italiana”, Mondadori, resta, infatti, un testo fondamentale per gli studenti e non solo per gli studenti. Sempre per l’editoria scolastica, Roncoroni ha composto il celeberrimo “Testo e contesto. Guida all’analisi delle opere degli autori nel loro tempo”. Amico e studioso di Piero Chiara, di tanto in tanto concede ai suoi lettori qualche rarità dello scrittore luinese, tratta dalle carte private di cui è custode. Alla collaborazione con Chiara si devono, tra le altre cose, una traduzione del “Satyricon” di Petronio e una minuziosa e acuta “Vita di Gabriele d’Annunzio” che ebbe uno straordinario successo. Ricordiamo anche la sua curatela di varie opere di d’Annunzio (“Il piacere”, “Alcyone”, “Solus ad solam” e le “Lettere d’amore a Barbara Leoni”), l’edizione di un epistolario inedito di Carlo Emilio Gadda, la raccolta di poesie “Nella deriva del tempo”, ES Edizioni 2007, e il “Manuale di scrittura non creativa”, pubblicato nel 2010 nella BUR. Nel 2013 ha pubblicato presso Mondadori il suo primo romanzo, “Un giorno, altrove”, che ha ottenuto grande apprezzamento sia dalla critica sia dal pubblico. L’esordio narrativo risale invece al 2010 con i racconti del “Sillabario della memoria”, pubblicati da Salani. Sempre di narrativa è la sua opera più recente, in uscita in questi giorni da Mondadori: una raccolta di “racconti di passione linguistica, letteraria e libraria” intitolata “In principio era la parola”.

Professore, lei crede che qualche volta i suoi studenti abbiano pensato: «Il professor Roncoroni è proprio un gran rompipalle»? Oh, sì, per fortuna. Un titolo di merito, per me, visto che ero il loro insegnante. Lei invece che professore pensa di essere stato? Unico. A chi deve il merito del suo essere “il professor Roncoroni”? A me stesso. Il suo peggior difetto? La superbia intellettuale. Gli altri che pregi le riconoscono? Non lo so, e non mi sono mai preoccupato di saperlo. A scuola le è capitato di dare un voto in più a qualche studentessa, soltanto perché era carina? Sì, una volta, a New York. O, meglio, a New York un anno sono stato accusato da una studentessa di aver dato alcuni punti in più a una sua compagna, particolarmente bella, che a suo parere non li meritava. Ci fu un’inchiesta interna - là le cose funzionano così - e fui scagionato perché risultò che la fanciulla oltre che molto bella era molto intelligente e preparata, cosa che anche là succede più spesso di quanto non si creda.

A scuola era più amato dai maschi o dalle femmine? Amato e odiato in pari grado, ma più dalle ragazze che dai ragazzi. Le è successo che qualche professoressa le abbia fatto il filo? Non credo proprio. Qualcuna che le ha dato buca? Non ho mai dato a nessuna l’occasione di farlo. Non aver fatto il preside è stata una delusione? E perché? Ho fatto Lettere per insegnare, non per fare il burocrate. Perché ha lasciato l’insegnamento così presto, dopo vent’anni? Quando ho capito che alla scuola avevo dato tutto quello che potevo e che la scuola mi aveva dato tutto ciò che poteva, me ne sono andato. La mia vita è piena di cambiamenti radicali come questo. Comunque ho lasciato la scuola, non l’insegnamento. A insegnare ho continuato e continuo a farlo: negli Usa, nei corsi di perfezionamento e di aggiornamento e, soprattutto, con i miei libri. Lei ha sulla coscienza qualche studente che non ce l’ha fatta solo perché lei non l’ha capito? L’insegnante non possiede un apriscatole. Se uno studente - tra i sedici e i diciannove anni - resta


100 domande al professore indisciplinate 50 chiuso nel suo guscio, non c’è stimolo motivazionale che tenga: come non c’è sordo come chi non vuol sentire. Il difetto che non sopportava negli studenti? Il fatto che fossero giovani, sempre giovani, e che ringiovanissero di anno in anno: io invecchiavo e loro avevano sempre sedici anni, poi diciassette, poi diciotto e al massimo diciannove, e poi di nuovo sedici, diciassette e così via. Il pregio che oggi gli studenti non hanno più? Non saprei. Forse la buona educazione, come mi raccontano alcune ex alunne che hanno voluto fare le insegnanti, forse l’impegno nello studio e l’interesse per la cultura, come mi raccontano altre. Ma, alla fine, ogni volta concludiamo che gli studenti sono sempre quelli di sempre. E c’è qualche suo studente di fronte al quale ha detto: «Ah però! Questo farà strada!». In una ventina di anni di insegnamento, l’ho pensato di sette o otto, ed ho visto bene. Molti, molti di più, però, sono quelli che mi hanno piacevolmente sorpreso: da studenti erano - mi erano parsi - svogliati e mediocri, e invece dopo il Liceo sono come sbocciati e hanno fatto ottime carriere nel Cento domande al professore | Mag Febbraio 2015 | 29


100 domande al professore indisciplinate 50 campo delle professioni come medici, economisti, ricercatori, penalisti, civilisti, magistrati, fisici, insegnanti e docenti universitari in Italia e all’estero. Qualcuno che aveva dato buoni segni si è perso per strada o, meglio, si è ritagliato una vita diversa da quella che la scelta del Classico avrebbe lasciato presagire.

Ma nel complesso, ce l’hanno fatta tutti, quale più e quale meno. Per esempio? Per esempio, ce l’hanno fatta, e alla grande, le ragazze dei miei anni di insegnamento all’Istituto Magistrale: studiavano perché volevano diventare maestre e sono

diventate ottime maestre: hanno fatto, e talora ancora fanno, il lavoro più bello, più produttivo e, per un insegnante, più gratificante del mondo: insegnano ai bambini a leggere e a scrivere. La più grande delusione a scuola? Scoprire ogni giorno che quanto si insegna viene recepito da meno della metà della classe: tu insegni a tutti e per tutti, ma più della metà se ne frega. La scuola di oggi è peggio perché non c’è più lei? Non credo proprio. Del resto non saprei neanche dire se quella di un tempo fosse migliore di quella di oggi. Quella che ho frequentato io e quella in cui ho insegnato, per molti aspetti erano peggiori di quella di oggi. L’ignoranza è una colpa propria, di altri o una tara genetica? L’ignoranza, in quanto condizione propria di chi non sa e di chi è incolto, non è una colpa. Lo diventa in chi, messo nelle condizioni di istruirsi, di apprendere e di migliorarsi, non mette a frutto l’occasione che gli viene offerta. E questa non è ignoranza ma asinaggine. I figli dei ricchi a scuola hanno più chance? Non necessariamente. In molti casi i figli dei ricchi, persi tra

30 | Mag Febbraio 2015 | Cento domande al professore


settimane bianche, scuola di vela, soggiorni estivi all’estero, lezioni di tennis e bischerate varie, sono poveri di interesse per la scuola e hanno obiettivi scolastici alquanto limitati.

rosi, validi e positivi, ma poi le cose andarono come andarono. E non alludo a quanti, portando alle estreme conseguenze i principi del ’68, approdarono alla lotta armata, ma a quanti, e non erano certo i migliori, fecero un gran casino e poi, al momento opportuno, si tirarono fuori e diventarono uomini di potere anche più duri di quelli che avevano contestato: dirigenti, opinionisti, direttori di giornali, di case editrici e di reti televisive.

La scuola privata è un lusso o una necessità? Né un lusso né una necessità. Solo una possibilità, che dovrebbe essere concessa a tutti i genitori, di scegliere per i propri figli una scuola dove chi insegna rispetti i principi e i valori L’università di in cui loro credono. È successo che qualche massa è stata un professoressa le abbia disastro? Nel ’68, lei da che fatto il filo? È stata il frutto di parte stava? Non credo proprio. una grande conquiStavo da una gran sta ed è diventata brutta parte: quella Qualcuna che, invece, un mezzo disastro, del neolaureato al le ha dato buca? ma non per colpa suo primo anno di Non ho mai dato a nessudi chi si è battuto insegnamento. na l’occasione di farlo. per far sì che tutti Fu un anno pazzesco: mi sentivo una potessero accedere alla formazione recluta buttata sulla universitaria. Colinea del fuoco. La munque sia, restiamo sempre scuola in cui avevo studiato non tra gli ultimi in Europa quanto a esisteva più e, al di là degli slogan numero di laureati. e delle ideologie, nessuno sapeva realmente come avrebbe dovuto E i troppi studenti in università essere quella nuova. sono tutti candidati alla disoccupazione? E la contestazione studentesca Spero di no. La colpa della disocqualcosa di buono ha ottenuto, cupazione giovanile, comunque, o da lì è iniziato il tracollo? non è l’università e, neppure, a Gli intenti, almeno di quelli che ben vedere, delle facoltà e dei erano in buona fede, erano gene-

In alto a destra: Federico Roncoroni in piazza Duomo con il padre Geo. A sinistra: foto di classe alle elementari.

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corsi di laurea inutili che sono stati istituiti per moltiplicare le cattedre e sistemare la moltitudine di docenti in circolazione. Di fatto, i nostri laureati, per quanto, come dicevamo, ancora troppo scarsi di numero, finiscono sempre per trovare un lavoro. Dirò di più: non conosco giovani veramente in gamba – laureati o semplicemente diplomati – che non abbiano trovato in breve un posto di lavoro. Andare all’estero a studiare è un imperativo? No: è un’occasione preziosa che pochissimi si possono permettere. La morale è soggettiva o ha le sue leggi? La morale è una e indivisibile. Le morali di comodo sono tante quanti gli uomini e le donne. Lei nella vita pensa di aver peccato molto? Ho peccato tutte le volte che ne è valsa la pena, ma, purtroppo, non tutte le volte che avrei potuto farlo. Il settore peccaminoso più gettonato da Federico Roncoroni? Quello gioioso, spassoso, piacevole e festante della voluttà e dintorni. Qualcuno in giro che non le perdonerà mai un torto c’è? Che io sappia no. Comunque, se

ci fosse, lo avverto che il tempo per presentare ricorso e ottenere una riparazione è scaduto.

Con i diritti d’autore quanto avrà incassato in vita sua? Abbastanza.

E lei ha qualcuno in giro che non perdonerà mai? Sì: lo sconosciuto che, un giorno di pioggia a catinelle, mi ha rubato l’ombrello al supermercato.

Ci sono giorni in cui non sa come tirar sera? Per fortuna no, o non ancora.

E giorni che non bastano per fare tutto quello che vorrebbe? Perché questa sua passione per Da sempre, come molti, avrei bisogno di avere qualche ora in più gli aforismi? per fare tutto quello che vorrei. Ho sempre amato questa forma di Ma da sempre, per una sorta di scrittura breve: un perfetto meccanismo espressivo igiene mentale, alle che, in equilibrio tra 19.30, qualunque Il suo settore peccamieleganza e sostanza cosa stia facendo, noso più gettonato. di pensiero, a metà smetto di lavorare e Quello gioioso, spassoso, strada tra il gioco di non faccio più niente piacevole e festante della parole e la massima sino all’indomani voluttà e dintorni. filosofica, arriva a mattina: converso, sorprendere e a far guardo la televisione Nella vita pensa riflettere il lettore e leggo. di aver peccato molto? sulle cose piccole Certo, per via del Tutte le volte che e grandi della vita. lavoro che faccio, ne è valsa la pena. la testa continua a Gli aforismi non le lavorare per conto sembrano il modo suo, ma non è una per acculturare gli ignoranti che cosa faticosa. non sanno leggere più di tre righe? No, certo. L’aforisma non si proIl professor Roncoroni guarda la pone di acculturare come non televisione? si preoccupa di moraleggiare: è Tutte le sere. Telegiornali, film, preferibilmente thriller, telefilm tipo Il una manifestazione di ingegno, tenente Colombo, L’ispettore Derrick, di acutezza, di intelligenza e di che rivedo sempre volentieri tutte capacità di sintesi che affascina le volte che li trasmettono, Cold l’ignorante (“colui che non sa”) e case, Senza traccia e adesso N.C.I.S, la persona colta. Lascia freddi solo Il comandante Florent e Elementary. i tonti e gli stupidi di professione.

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100 domande al professore indisciplinate 50 Il medico mi ha tassativamente proibito di guardare spettacoli di varietà (di Affari tuoi, dice, potrei morire sul colpo, come pure di Ballando con le stelle, Tale e quale, Masterchef, Amici e simili), talk show (i più pericolosi di tutti per la mia salute sono Porta a porta e Servizio Pubblico) e scemeggiati (sì, ha capito bene: con la m).

Le donne di Federico? Tutte le donne dei mazzi di carte: donne di cuori, donne di quadri, donne di fiori e, ahimè, anche donne di picche. Sua madre? Era mia madre. E suo padre? Era mio padre.

I figli non le sono mancati? Non mi sono mai mancati. Mi mancano, e tanto, adesso che saprei come crescerli. Piero Chiara chi è stato per lei? Un maestro, di vita e di lavoro: mi ha aperto la testa, e le porte della grande editoria. Un amico: mi ha fatto capire che cosa vuol dire avere un amico ed essere amico di qualcuno.

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100 domande al professore indisciplinate 50 Da lui che cosa pensa di aver preso? Da lui ho preso di tutto: la fede nella libertà, il rispetto delle persone, la passione per i libri, la curiosità, la sete di conoscenza, l’impegno e la costanza professionale, la coerenza morale e civile, il piacere e la fatica di scrivere qualcosa ogni giorno, e il lavoro preciso sulla pagina per esprimere in modo facile anche le cose difficili. L’unica cosa che non sono riuscito a rubargli è stato il talento. Nel corso degli anni, qual è il libro che lei ha consigliato più di ogni altro? In ogni fase della vita ho consigliato, più di ogni altro, un libro particolare: fino ai quattordici anni, consigliavo I misteri della giungla nera di Emilio Salgari; tra i quindici e i diciannove, Il grande Meaulnes di Henry-Alain Fournier e Tonio Kröger di Thomas Mann; tra i venti e i trenta, Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry; tra i trenta e i quaranta, Le relazioni pericolose di Pierre-AmbroiseFrançois Choderlos de Laclos e negli anni seguenti il Lamento di Portnoy di Philip Roth e Lei così amata di Melania M. Mazzucco. Ancora oggi penso di avere poco da spartire con chi, uomo o donna, non abbia letto “almeno” questi libri. Che vuole: in questo sono razzista. 34 | Mag Febbraio 2015 | Cento domande al professore


Il libro che le ha fatto perdere tempo? Quelli che, per colpa mia non loro, non ho capito e non sono mai riuscito a finire: Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, Ulisse di James Joyce e L’uomo senza qualità di Robert Musil. Come vede tre capolavori indiscussi della storia della letteratura.

dei mobili che ha pazientemente intarsiato il mio amico Sergio, meno dei gioielli che ha finemente cesellato la mia amica Valeria e soprattutto meno, molto meno, dei bambini che la mia amica Valentina ha aiutato a venire al mondo. E poi scrivere è l’unica cosa che so fare e che mi piace fare.

Quello che avrebbe voluto scriCe n’è qualcuno che sarebbe stato vere lei? meglio non scrivere? Volta per volta ognuno di quelli Li riscriverei tutti. Forse in modo che venivo consigliando e che ho diverso, perché sono inevitabilmente cambiato, ma li riscriverei tutti. citato poco fa. E non è detto che non li abbia scritti davvero io, se Quello che avrebbe voluto reè vero, come è vero, che il lettore è censire? sempre anche autore Il Cantico dei Cantici. del testo che legge. Piero Chiara chi è stato per lei? Quelli che si rifiuta Ha tenuto il conto Un maestro, di vita e di di leggere? di quanti libri ha lavoro: mi ha aperto la tePer principio non scritto? sta, e le porte della granrifiuto di leggere Non li ho mai conde editoria. Un amico: mi tati. Ma tra saggi, niente. ha fatto capire che cosa traduzioni (Paolo Da qualche anno, vuol dire avere un amico. Diacono, Abelardo però, mi capita di e Eloisa e poi Casanova), libri d’arte, curatele, antologie, manuali scolastici, edizioni di opere dannunziane e di testi inediti di Chiara e di Gadda, plaquette dedicate a Micio Macio, raccolte di aforismi, di poesie e di racconti, saranno una settantina. Tanti. Sì, tanti. Ma sono sempre meno

In alto: due immagini del giovanissimo Federico Roncoroni. Qui sopra e sotto: relatore a due diversi convegni

sbatterne parecchi dalla finestra – sotto ho un giardino – dopo dieci pagine. I suoi libri pensa siano apprezzati? A giudicare dai rendiconti editoriali direi che sono molto venduti. Che siano anche molto apprezzati lo spero. Ma qualcuno le ha mai detto: «Lei per me scrive proprio male»? Sì, molti me l’hanno detto, ma so Titolo articolo | Mag Febbraio 2015 | 35


anch’io che ho una pessima grafia. Io stesso non riesco a rileggere quanto scrivo. Il mio editore mi ha messo accanto sin dall’inizio una “interprete”, che è diventata la mia più preziosa collaboratrice. Veramente, domandandole se qualcuno le ha mai detto che scrive proprio male, non alludevo alla grafia. Non avevo capito... Sì, una che l’ha detto c’è stata. Una insegnante comasca. Non l’ha detto a me, ma a un amico che è corso subito a informarmi. Però quella non conta, perché, se sa leggere come sa le cose che dovrebbe insegnare, non è fededegna. Sa che il più delle volte i complimenti sono falsi? Sempre, non il più delle volte. Quelli che riceviamo e quelli che facciamo. Pensa di avere attorno tanti malati di piaggeria? Non credo proprio. Ne sento la puzza a distanza e li evito, come evito chi fuma. Ma è vero che tutti i giorni le arriva uno scatolone di libri dalla Mondadori. Un giorno sì e un giorno no Mondadori e Einaudi, e tutti i giorni buste di libri di altri editori e di premi letterari. 36 | Mag Febbraio 2015


100 domande al professore indisciplinate 50 E che fine fanno? Mica li leggerà tutti. Mi piacerebbe leggerli tutti, ma è impossibile. Prima seleziono e tengo per me quelli che mi servono per il lavoro e che mi riservo di leggere. Poi una seconda selezione, con il diritto di portare via quelli che vogliono, la fanno mia sorella Egea, che si prende libri di scrittori israeliani e sul mondo ebraico, biografie e romanzi di autori italiani contemporanei, e Bernardino, che si prende esclusivamente libri di cinema e sul cinema. Tutti gli altri li regalo alle biblioteche.

l’arte contemporanea, non sono ancora riuscito a scoprire il confine tra le opere d’arte degne di questo nome e le prese per il culo. Circa gli scrittori, ha ragione. Tutti scrivono, anche quelli che non hanno niente da dire e quelli che non sanno scrivere. Ma nessuno può impedire a nessuno di scrivere. L’unica difesa è non leggere quanto scrive. Le piace leggere su ebook? Non particolarmente. Tutti i miei libri esistono anche in versione ebook ma per adesso ne contemplo sull’iPad solo la copertina.

È vero che in Italia ci sono più La carta stampata è proprio destinata al macero in nome dei scrittori che lettori? tablet? È un paradosso. Ma Credo proprio di no. è un dato di fatto che Dio esiste o no? Ci sarà una conviveni numeri dei libri che Certo che esiste. za, che mi auguro vengono pubblicati Ci mancherebbe altro che lunga, tra cartaceo e è di gran lunga sunon esistesse. periore a quello dei digitale e solo quando avremo finito gli libri che vengono Lei saprebbe dimostrarlo? alberi ci porremo il venduti. Senza dire No. Ci credo, e tanto mi problema. che il numero degli basta. scrittori, in prosa e in Le poesie e i poeti versi, cresce di continuo mentre quello le piacciono? dei lettori di continuo diminuisce. Le poesie mi piacciono tantissimo. I poeti preferisco leggerli che Una volta gli artisti erano gli articonoscerli. sti, gli scrittori gli scrittori. Oggi diventano artisti anche certe bestie È d’accordo sul fatto che spesso e scrittori anche certi analfabeti! la poesia sia soltanto una prosa Circa gli artisti non mi pronuncio, con gli a capo? perché, per quello che riguarda Spesso, ma per fortuna non sem-

Il Liceo Classico Alessandro Volta di Como dove Roncoroni ha trascorso la maggior parte dei suoi anni di insegnamento.

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100 domande al professore indisciplinate 50 pre. Una poesia al giorno leva lo psicologo di torno. Di libri prestati quanti non le sono più tornati indietro? Quattro in tutta la vita, e tutti ai tempi dell’adolescenza, quando ancora mi fidavo della gente. Però ricordo sia i libri sia i maleducati cui li ho prestati. Se ci tenevano tanto ad averli, bastava che me lo dicessero e avrei fatto come faccio adesso con chi me li chiede in prestito: se sono ancora in commercio glieli regalo e me li ricompero; se non sono più in commercio, dico loro di no.

Nella pagina accanto in alto a sinistra: Federico Roncoroni con Piero Chiara; a destra con Marco Chiara. 38 | Mag Febbraio 2015 | Titolo articolo

difficile da me, e lei si guarda sempre in giro per metterci su le mani e riportarselo via. In una libreria svizzera ne ha trovato una copia praticamente nuova e mi ha proposto uno scambio, anche se sapeva bene che per me un libro letto è “un possesso per sempre”, anche materialmente, e che quindi mi tengo quello che ho letto. E pensare che in capo a un anno le passo un centinaio di libri, nuovi di zecca.

Mai usato un libro per accendere il camino? No. Ma ho usato E lei qualcuno che un camino, di cui I gatti che cosa sono non sa più da dove ho fatto chiudere la in casa Roncoroni? arrivi ce l’ha? cappa fumaria, come Creature sacre. Di ognuno so bene libreria. Superato a chi l’ho rubato, e il primo impatto i Non le sembra che gli poiché tutti sanno libri si sono trovati umani si stiano istupiche non restituisco benissimo. dendo con gli animali? mai un libro che ho Se così è, io sono il più fatto mio leggendoI giornali, invece, istupidito degli umani. lo, nessuno più mi faranno una brutta E ne vado fiero. presta libri. Il caso fine? limite è costituito da Spero proprio di no. mia sorella Egea che Ricevo la copia digitale dei maggiori non mi presta più quotidiani, ma vado in edicola niente da tempo immemorabile. tutti i giorni a comprare l’edizione Sono anni e anni che mi chiede cartacea. di restituirle Lo sa Dio di Joseph Certo i giornali vanno ripensati Heller (Mondadori, 1985), uno dei negli obiettivi e dovranno integrarsi romanzi più divertenti che mi sia meglio con le edizioni digitali. I capitato di leggere. Ogni volta che tempi per loro sono indubbiamente viene a trovarmi, sono costretto grami, ma, se non li ha fatti fuori la a nasconderlo, cosa peraltro non


televisione, hanno di che campare ancora a lungo. E i giornalisti non è che l’hanno già fatta, una brutta fine? Che il cielo non voglia! I giornalisti del resto sono una razza resistentissima alle intemperie e ai cambiamenti climatici e hanno grandi capacità di recupero e di riciclo: sono sopravvissuti, talvolta pagando con la vita, a dittature di ogni tipo e colore, hanno superato l’età della composizione a caratteri mobili, quella del torchio a mano, del torchio a vapore, delle rotative di Hoe, della linotipia e dell’offset: vuole che non si adattino al digitale? Una volta scrivevano a mano o a macchina e a mano portavano l’articolo in tipografia.

Bianchi e Paolo Sensini – con cui avevo condiviso i primi anni di lavoro editoriale e che erano morti prematuramente, e ho posto tutti i miei libri scolastici sotto la loro egida. Che mondo è quello di chi si informa e si istruisce tramite Wikipedia? Lo stesso mondo che si informava o

istruiva attraverso la tradizione orale e che oggi si istruisce attraverso le enciclopedie, le dispense, i manuali, i programmi di Piero Angela e suo figlio Alberto e di Roberto Giacobbo e i libri stessi: tutta roba che va affrontata con il giusto spirito critico. I gatti che cosa sono in casa Roncoroni? Creature sacre.

La grammatica italiana firmata Sensini, oltre che un gran business, che cosa è stata? La messa a frutto di vent’anni di insegnamento e una verifica costante dell’efficacia dei miei metodi didattici. Perché non ha voluto metterci il nome? Non è che non ho voluto: ho scelto di non mettercelo. Da una parte, mi era ormai passata la fregola di piantare il mio nome e cognome in testa o in calce a tutto quello che scrivevo. Dall’altra, volevo rendere omaggio a due amici – Marcello Cento domandeTitolo al professore articolo | Mag Febbraio 2015 | 39


Non le sembra che gli umani si stiano sempre più istupidendo con gli animali? Se così è, io sono il più istupidito - il più stupido - degli umani. E ne vado fiero. Le sembra normale che spendiamo più soldi per allevare animali che per aiutare la gente disgraziata? Chi spende soldi per gli animali è di animo tale che non trascura certo i suoi simili che sono nel bisogno. Chi ama gli animali ama anche il prossimo, benché sia più difficile farlo. La politica non le è mai interessata? Tutt’altro, mi interessa eccome. Non fosse altro perché mi costa un occhio della testa e in cambio non mi dà niente. E poi mi diverte osservare i nostri politici all’opera: che attori, che commedianti, che comici, che buffoni! E politicamente lei come si colloca? Sono libero, liberale e libertino.

Nella pagina accanto: durante l’incontro con i ragazzi della Pediatria del Sant’Anna, nell’ambito della manifestazione “Parole di cuore”, 2014.

40 | Mag Febbraio 2015 | Titolo articolo

I politici italiani sono davvero irrecuperabili? Sì, a tutti i livelli. E anche se riuscissimo a rottamarli tutti, compresi i rottamatori, ne salterebbero fuori subito di nuovi da tutte le parti. Di fatto, quello della politica è certamente uno sporco lavoro, e qualcuno deve pur farlo, però la cosa preoccupante è che ci sia tanta

gente disposta a farsene carico. I grandi statisti sono definitivamente estinti? Ho conosciuto un solo, vero grande statista: il mio parrucchiere di via Carloni. Era anche un grande commissario tecnico della Nazionale di calcio. E soprattutto faceva bene il suo lavoro. Del mondo che non ha visto che cosa vorrebbe vedere? Ho visto tutto quello che mi interessava vedere. Adesso mi limito a ripassare. A tavola Roncoroni è un buongustaio? Sono uno che preferisce mangiare bene che mangiare male, ma mangio tutto, tranne le barbabietole, i finocchi bolliti, gli gnocchi di zucca e poche altre cose che neanche ricordo. Bevitore raffinato però sì. Un’amica che mi ha dirozzato in gioventù affinché potessi frequentare convenientemente la vita di società mi ha dato il nome di tre rossi e di tre bianchi, con i relativi abbinamenti, che mi avrebbero fatto ben figurare. Ho fatto tesoro dei suoi insegnamenti, e da allora passo per un raffinato gourmet. In realtà so soltanto capire se un vino sa o non sa di tappo: in questo sono molto bravo. La gentile amica mi ha insegnato anche a ordinare il whiskey,


100 domande al professore indisciplinate 50 scegliendolo tra ben sedici varietà che mi descrisse e fece assaggiare una per una. Però il whiskey non mi piace, e mi limito a sfoggiare le mie competenze con i commensali. Lei non è un caratterino facile. Vedendosi allo specchio che cosa cambierebbe dei suoi modi di fare? Niente. Per via della superbia intellettuale che fin dall’inizio mi sono

riconosciuto come peggior difetto, mi piaccio come sono. Inoltre preferisco avere un carattere non facile che essere privo di carattere e, cosa non poco importante, non ho mai obbligato nessuno a sopportarmi. La mania dell’archiviare tutto è un vizio della giovinezza o dell’età che avanza? Archivio solo parole. Lo faccio da

quando frequentavo le elementari e registravo le parole che mi piacevano o di cui non conoscevo il significato su un quadernetto. E la pignoleria quando le è esplosa? Probabilmente è una cosa innata, ma gli studi di filologia classica hanno certo contribuito a svilupparla ulteriormente e a raffinarla.

Cento domandeTitolo al professore articolo | Mag Febbraio 2015 | 41


100 domande al professore indisciplinate 50 E la fama di “orso” che la circonda? Passo per poco socievole, è vero, e per uno che fa gruppo con se stesso. Ma il fatto è che, come Didimo, ho finito da tempo la colla con cui ci si attacca alle persone, e quella che una volta mi legava a qualcuno si è seccata e non tiene più. Ma quanto le va stretta questa Como? Non c’è posto dove stia meglio che a Como. E quando mi allontano per qualche tempo, penso sempre al giorno in cui ci tornerò e mi rifugerò nella mia tana comasca. Lei però non c’è mai agli eventi comaschi. È perché non la invitano o perché non ci vuole andare? Sono di rado a Como e, quando ci sono, come le dicevo, conduco vita ritirata. Qualche salotto che frequenta? Ne esistono ancora? Un paio di comaschi che apprezza? Più di un paio, ma non è il caso di farne i nomi, sia perché sono persone che come me amano la riservatezza sia perché nominare loro vorrebbe dire escludere i tanti altri di cui ho stima e considerazione. Quelli che sarebbe meglio non incontrare? Nessuno. Dico volentieri buongiorno e buonasera a tutti. E poi via. 42 | Mag Febbraio 2015 | Titolo articolo

C’è qualcuno che, se lo incontra per strada, le vien voglia di girare la faccia dall’altra parte? Come Didone quando incontra Enea agli Inferi? Non ho motivo di farlo con nessuno. Qualcuno che cambia strada se incontra lei? Può darsi. Ma visto che un simile figuro cambia strada, io non me ne accorgo. E se me ne accorgessi non mi interesserebbe niente. Dio esiste o no? Certo che esiste. Ci mancherebbe altro che non esistesse. Lei saprebbe dimostrarlo? No. Ci credo, e tanto mi basta. Gesù Cristo l’hanno rovinato i cristiani o era già partito male di suo? Gesù Cristo non lo può rovinare nessuno, ma purtroppo, per imperscrutabili ragioni, sopporta tutto e tutti, anche quanti pretendono di parlare in suo nome, e non li confonde e distrugge. Questa Chiesa cattolica la entusiasma o le fa storcere il naso? La Chiesa è costruita sulla roccia ed è stata vivificata dal sangue dei martiri: la rispetto. Quelli che non mi entusiasmano sono l’amministratore delegato, i membri del consiglio di amministrazione e i direttori generali. Stimo e ammiro,


invece, quanti lavorano nella vigna del Signore, i preti. Non tutti certo, ma molti. Per esempio, tanto per non fare nomi, don Virginio Bianchi, che non c’è più, e don Aurelio Pagani, che per fortuna c’è ancora.

Come mai ha scritto un libro così personale, quasi autobiografico, come Un giorno, altrove? L’ho scritto per smettere di viverlo. Ha paura della vecchiaia vera? Non ho avuto paura della giovinezza, come potrei avere paura della vecchiaia?

Nel suo ultimo romanzo Un giorno, altrove, come nel Sillabario della memoria e nelle sue poesie, c’è La malattia quanto l’ha segnata? molto sesso. Un debole da sempre La malattia, cioè, per chiamarla o un sintomo di una incipiente con il suo nome, il linfoma non vecchiaia? Hodgkin linfoblastico a cellule Che cacchio! Quello che lei chiama T, ha diviso la mia vita in due sesso è la vita stessa: parti: una vita ante è energia, desiderio limphomam natum I politici italiani sono e gioia, che neane una vita post limdavvero irrecuperabili? che la vecchiaia, per phomam natum. Sì, a tutti i livelli. quanto possa agire Altro non dico, che E anche se riuscissimo a in vile e nefanda è meglio. rottamarli tutti, ne saltecollaborazione con rebbero fuori di nuovi i betabloccanti, può Le sovviene di tanto da tutte le parti. spegnere. C’è nei in tanto il pensiero miei libri, come c’è della morte? E politicamente nella mia vita e in Ci penso sempre e lei come si colloca? tutto il mondo che non ci penso mai. Libero, liberale mi circonda. e libertino. Lei, la paura di moriPerché ha rimandato re l’ha provata. Come tanto l’esordio nella ci si sente? narrativa? Quando mi è capitato di morire, Come narratore posso parere una non ho provato paura, perché non primipara anziana, ma credo che sapevo che stavo morendo. Sono non ci sia un’età più adatta di morto, pare, ma, e di questo sono un’altra per cominciare a scrivere. sicuro, sono tornato in vita - quindi Si scrive quando i tempi sono forse non sono morto davvero. Come mi sono sentito? A pensarci ora, maturi, e ci si sente di farlo.

visto che allora non ero presente a me stesso, direi che forse, conciato come ero, mi sarò sentito felice di andarmene. Nell’aldilà che cosa pensa di trovare? Quando ci ho fatto capolino, ho visto, alla fine di un tunnel buio e freddo, una grande luce e nella luce ho trovato ad aspettarmi le mie nonne, che allora erano le uniche persone care che erano morte prima di me. È stato molto consolatorio vederle, forse anche perché mi hanno rispedito a casa. Cosa spero di trovarci? Quiete, riposo, silenzio e pace, come meritano i morti. Il paradiso come se lo immagina? L’unica immagine del paradiso che mi viene in mente è quella della pubblicità del caffè Lavazza, Qualità Rossa. Ma quando ci arriverò io, la troverò lì oppure lei sarà... altrove? Molto difficile, se aspira ad andare in paradiso. Io, di fatto, se andrò da qualche parte, andrò certamente all’inferno: mi sono adoperato in tutti i modi per andarci, perché là ci troverò tutti i miei amici e le mie amiche. Grazie professore. Anche il paradiso può attendere… g.guin@laprovincia.it

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di Sara Della Torre

CAMMINANDO CON MARCO POLO

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Così Renzo Proserpio ha realizzato il sogno di ripercorre la via della seta da Venezia a Pechino. «Bisogna sapersi adattare perché abbiamo affrontato condizioni di vita difficili. Abbiamo mangiato per un mese zuppe, riso e spiedini di montone e pecora. Abbiamo ammirato i profili del Karakorum, la muraglia cinese. Soprattutto abbiamo apprezzato la dimensione di un viaggio a contatto con la realtà indigena. Abbiamo constatato che chi ci ha ospitato, possiede poco ed è felice. Questo è il grande insegnamento che mi sono portato a casa».

C

i sono viaggi che nessuna agenzia è in grado di proporre. Viaggi fantasticati, agognati, vagheggiati, ma spesso destinati a rimanere nell’immaginazione o chiusi dentro un cassetto. È il viaggio che si fa una volta nella vita, quello che ogni individuo ha dentro e diventa parte della propria identità. Renzo Proserpio ha cullato il suo viaggio per tanto tempo: ripercorrere da Venezia a Pechino i passi di Marco Polo. Con mezzi pubblici o privati, purché le strade fossero le stesse del commerciante veneziano. Ricalcare 8000 chilometri di orme, dall’Italia alla Cina,

Camminando con Marco Polo | Mag Febbraio 2015 | 45


con la consapevolezza dei cambiamenti adattati da tempo e storia, ma con la stessa curiosità, la stessa emozione di avvicinarsi a mondi, nonostante tecnologia e comunicazione, distanti e misteriosi. «Non riuscivo, però, a trovare una agenzia che proponesse ciò che avevo in mente. Non trovavo compagni disposti ad affrontare l’avventura - spiega Renzo Proserpio, comasco, 70 anni, alle spalle una vita di lavoro nel mondo tessile -. Poi le strade si sono aperte, le combinazioni individuate e, in pochi mesi, il sogno si è avverato». È il 4 settembre 2014 la data di partenza da Venezia, dalla casa di Marco Polo. Ansia, agitazione, eccitazione sono i bagagli più pesanti di cinque pellegrini. Due lariani, Renzo Proserpio e la moglie Emma Castoldi, Bruno Garlato, che ha curato la logistica del viaggio, Umberto Chiaromanni, veneziano insegnante universitario di letteratura e storia di viaggi, Giulio Gavotti, ingegnere gestionale milanese. «Un pool di persone (età tra i 65 e i 75 anni - solo Giulio abbassava la media con i sui trent’anni) trovate per caso su Internet, semplicemente lanciando la proposta all’interno di gruppi

amanti di trekking e di avventura. Anche questa scelta metteva un po’ di preoccupazione - spiega il camminatore lariano -. Iniziare un viaggio con tre sconosciuti». In realtà, passione forte, motivazioni salde, regole condivise sono garanzie per la buona riuscita di una impresa. E i cinque compagni di viaggio l’hanno sperimentata sulla propria pelle. «Siamo stati insieme fino al 30 settembre, condividendo tutto: fatica, impegno, difficoltà, cibo, medicine. La cosa sorprendente è stata l’armonia che si è creata tra di noi. Collaborazione, solidarietà e amicizia, che, ancora oggi, non riesco a spiegare». Il viaggio, come per “Il Milione” di Marco Polo, si è conquistato un titolo “Camminando con Marco Polo”, un percorso, fatto, solo per pochi tratti con l’aereo, ma in gran parte con pulmini privati e per lunghi tragitti a piedi, nel deserto, tra i villaggi, dormendo ospiti nelle case dei contadini o in campeggi di fortuna, senza temere altitudini elevate, strade accidentate, silenzi e solitudini. «Si parte perché si è ancora giovani e si desidera ardentemente essere pervasi dall’eccitazione, sentire lo scricchiolio degli stivali nella polvere; si va perché si è vecchi e si sente il bisogno di

Si parte perché si è ancora giovani, o perché si è vecchi e si sente il bisogno di capire, prima che sia troppo tardi. E per vedere quel che succederà

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capire qualcosa prima che sia troppo tardi. Si parte per vedere quello che succederà». Con questa frase di un noto scrittore viaggiatore inglese Colin Thubron si conquista un viaggio, tra il timore dell’ignoto, la paura di non farcela e la bella sensazione di dare concretezza ad un sogno. «Bisogna sapersi adattare - racconta Proserpio - perché abbiamo affrontato condizioni di vita difficili: ruscelli per lavarsi e servizi igienici in mezzo ai prati tra asini e pecore. Abbiamo mangiato per un mese zuppe, riso e spiedini di montone e pecora. Guai a chi cercava di assaggiare qualcosa di diverso. Uno di noi ha assaggiato lo yogurt e il latte dei contadini: è stato male per dieci giorni e ha esaurito la nostra scorta di medicinali. Abbiamo ammirato i profili del Karakorum, la muraglia cinese. Soprattutto abbiamo apprezzato la dimensione di un viaggio a contatto con la realtà indigena, non una vacanza fatta di turismo superficiale. Abbiamo constatato che chi ci ha ospitato, possiede poco ed è felice. Sa vivere alla giornata e non ha ansia. Si accontenta ed è tranquillo. Questo è il grande insegnamento che mi sono portato a casa».

I colori di una scoperta Immagini tratte dal viaggio di Renzo Proserpio con la moglie Emma Castoldi, Bruno Garlato, Umberto Chiaromanni e Giulio Gavotti. Camminando con Marco Polo | Mag Febbraio 2015 | 47


Folclore e tradizioni Qui sopra: Una suggestiva immagine di tre donne incontrate a Samarcanda. A destra: il bazar di Turpan e Buchara.

Il programma prevedeva di evitare il passaggio per l’infuocato vicino Oriente, sorvolandolo in aereo e scendendo direttamente a Ashgabat, la capitale del Turkmenistan. Poi, di lì, il passaggio in Uzbekistan, Kirghizistan, fino al fiume Giallo per entrare a Pechino. Tra i tanti luoghi visitati, da menzionare l’escursione ai metri 3600 del lago Karakul, nella favolosa catena del Karakorum, percorrendo circa 200 chilometri - che non finivano più - della “Karakoram highway”, disastrata, tra una continuità di cantieri per la

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manutenzione e ricostruzione. È la strada asfaltata più alta del mondo, lunga 1200 chilometri dalla cinese Kashgar alla pachistana Havelian. «Nel nostro viaggio abbiamo fatto pochi incontri e certamente nessun italiano o europeo. Ci siamo organizzati con un bagaglio a strati. Tessuti tecnici, che asciugano rapidamente e, ogni sera, il bucato era d’obbligo. Il 30 settembre da Pechino avevamo un aereo verso l’Italia attorno alla mezzanotte. Mi sentivo un ragazzino: avevo compiuto un’impresa da


diciottenne. Ho percepito la ricchezza e il valore di un viaggio. L’energia che si conquista dalla conoscenza di persone diverse, che fa stare bene quando si torna alla normalità». L’ansia di partenza è solo un ricordo. Oggi c’è la gratificazione e la sicurezza di aver vinto una sfida. «Ho imparato una cosa: anche se sei in capo al mondo e non sai la lingua del paese in cui ti trovi, c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarti». Lo stesso pensiero che avrà guidato Marco Polo nel 1200,

trent’anni trascorsi in Asia sulla via del commercio che univa la Cina a Roma. «Nessun riferimento a questa presenza in Asia - scrivono negli appunti i viaggiatori italiani del 2014 - si ritrova negli archivi cinesi. Eppure Marco Polo, anche se incorso in qualche esagerazione, non ha mentito nella dettatura dei suoi ricordi a Rustichello, né è pensabile che Rustichello ci abbia messo del suo. E allora? A ritrovare Marco Polo noi ci abbiamo provato, è stata un’esperienza che non si dimenticherà».

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© Max Haim

VOGLIA DI VOLARE


di Serena Brivio

Passione, coraggio e sfide di Antonella Chiarin la campionessa italiana di paracadutismo acrobatico. «I mio grande sogno è conquistare il titolo mondiale e finalmente impugnare Excalibur»

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© Silvia Carloncini

E

legante, fisico slanciato, taglio di capelli curatissimo, Antonella Chiarin non ha certo l’aspetto di una persona amante degli sport estremi. Anzi, sembrerebbe fare tutt’altro nel tempo libero. Solo lo sguardo rivela una personalità forte, poco prodiga alle emozioni, in grado di superare le paure. Coraggio, tenacia e fermezza sono le doti che le hanno permesso di diventare campionessa italiana di paracadutismo. “In realtà mi considero una persona normale con una passione sfrenata per uno sport inconsueto - dice subito - Una passione che ha comportato delle scelte di vita diverse dal matrimonio, avere figli, tempo da dedicare ai viaggi”. Classe 1966 (però dimostra meno della sua età) Antonella è cresciuta a Piazza S. Stefano, piccola frazione di Cernobbio. Attualmente vive in Val d’Intelvi e lavora in Svizzera come estetista. Il fatto di essere l’unica femmina, nata dopo tre fratelli maschi, l’ha spronata a sfoderare forza e grinta. “Ho dovuto imparare subito a lottare per farmi rispettare e valere” racconta. Fin da ragazzina fa sport sul serio: sci d’acqua, snowboard, pesistica, fitness. «Mi piaceva anche andare in moto- confida la nostra Wonder Woman - ancora adesso il mio mezzo preferito per raggiungere un posto nel minor tempo possibile». Quando è nata la passione per il paracadutismo? Avevo 21 anni e lavoravo a Villa d’Este. Tra i miei compiti c’era anche quello di ritirare i giornali in portineria. Un giorno, sfogliando “La Provincia” l’occhio mi cadde l’occhio su un articolo che parlava dei corsi ANPd’I e decisi di iscrivermi. Il primo salto? Da sola o con un istruttore? A Vergiate, con lancio vincolato. In pratica, il paracadute si apre automaticamente come negli aerei militari, ha pre-

sente il film Con Air? Adrenalina alle stelle, un’emozione unica, straordinaria. È stata una lunga gavetta? Dopo alcuni lanci a Vergiate, mi sono spostata a Casale Monferrato, dove ho iniziato i salti ad “alta quota”. Poi sono passata al Free Style, quindi al Lavoro Relativo, una disciplina in cui le squadre, da 4, 8 o più elementi compongono figure in caduta libera. La tecnica si integra con l’estetica, bisogna imparare a muoversi in un’altra dimensione e coordinare i movimenti in perfetta sintonia con gli altri. Dopo anni di addestramento, è iniziata la sua carriera agonistica. Sono entrata in una squadra di 8 elementi che ha partecipato


© Emmanuel Fauvel © Silvia Carloncini

al mondiale nel 1995. Poi abbiamo creato un team a 4 (i Dram inside) campione d’Italia per la prima volta nel 1997. Come fa a vincere la paura? Il potere seduttivo di “volare” è più forte. E poi il cervello è concentrato su quello che si deve fare, conosciamo bene i parametri di rischio, bisogna fare molta attenzione ai vari passaggi, alle figure da eseguire. L’esperienza inoltre ti aiuta a padroneggiare momenti imprevisti e situazioni di stress. Quanto conta l’affiatamento con i compagni? È fondamentale per sentirsi sicuri e raggiungere certi risultati. Come vi allenate? Si pianifica un budget e ci autofinanziamo. Purtroppo questo sport è poco pubblicizzato e quindi non possiamo contare

La passione per il volo Antonella Chiarin con il griuppo dei paracadutisti acrobatici.

sugli sponsor. La cifra viene per la metà destinata agli allenamenti indoor, nella galleria del vento verticale dove si provano e riprovano i movimenti e le tecniche soprattutto nel periodo invernale. Da poco a Torino è stato aperto un simulatore comodo da raggiungere. Prima dovevamo andare all’estero: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna. L’altra

Voglia di volare | Mag Febbraio 2015 | 53


54 | Mag Febbraio 2015 | Voglia di volare Titolo articolo

© Emmanuel Fauvel

Dal cielo alla terra «Cerco di essere molto prudente, anche se l’aggettivo sembra improprio per questo tipo di sport»


© Max Haim

metà del budget serve a finanziare i lanci dall’aereo per sperimentare combinazioni diverse di figure e soprattutto prepararci alle gare. Si è mai trovata faccia a faccia con la morte? È capitato a persone che mi erano molto care, per pura fatalità. Un paio di volte sono stata costretta ad aprire il paracadute d’emergenza, ma me la sono cavata senza danni. Se applichi le procedure da manuale, riesci ad atterrare in sicurezza. Si è lasciata andare a qualche colpo di testa? Onestamente no, cerco di essere molto prudente, anche se l’aggettivo sembra improprio per questo tipo di sport. In un momento di difficoltà cosa salva la pelle? Seguire le procedure e non l’istinto. Reagire con lucidità senza farsi prendere dal panico. Molti sportivi hanno un portafortuna o un rituale scaramantico. Qual è il suo? Nelle competizioni non indosso mai niente di nuovo, nemmeno un paio di guanti. Che sensazioni ha provato quando ha visto Felix Baumgartner, 43enne paracadutista austriaco, lanciarsi da 39mila metri? Brivido su brivido. Però lo farei subito anch’io. Ci sono sfide che mettono a rischio la vita: ne vale la pena? Non siamo assolutamente degli spericolati. Al contrario, credo che la nostra categoria sia tra le più disciplinate. Il

«Non siamo degli spericolati. Il paracadutismo acrobatico è una scuola di vita, sviluppa auto controllo e grande rispetto per gli altri» paracadutismo acrobatico è una scuola di vita, sviluppa auto controllo e grande rispetto per gli altri. Lei ha vinto molti campionati, la medaglia che sogna di aggiungere al suo palmares? Conquistare il titolo mondiale e finalmente impugnare Excalibur, la spada che viene messa in palio come premio al vincitore. La gara che non ha mai dimenticato? I campionati italiani del ‘99 a Pratoni del Vivaro vicino a Roma: sfida molto combattuta con la squadra di casa che siamo riusciti a battere. Sembrava un obiettivo irraggiungibile. Da donna a donna, in chiusura d’intervista mi confida qualche piccola vanità? Borse e bijoux, tanti e diversi fra loro.

Voglia di volare | Mag Febbraio 2015 | 55


di Ricky Monti

IL SOGNO OLIMPICO La passione di Annabella Stropparo nella sfida di Atlanta. La borraccia passata alla collega di squadra e le quattro ore al giorno pedalando sulle strade del lago

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A

nnabella Stropparo, originaria di Marostica, da ragazza passava le sue giornate lavorando come macellaia nella bottega del padre e nei pomeriggi liberi rincorrendo un pallone nella squadra CF Marostica. Una vita normale ma tutto cambia quando l’allenatore della sua squadra di calcio la convince a pedalare per rinforzare le ginocchia e dopo quasi


quattro anni si ritrova alle Olimpiadi di Atlanta in squadra con Paola Pezzo. D al C alcio alla M T B La prima gara di Annabella risale al 1991 a Bassano del Grappa, valida per il campionato provinciale, dove arriva prima staccando notevolmente gli avversari e gli “addetti ai lavori” incominciano ad osservarla.

«Enrico Polo, allora direttore sportivo dell’Amore & Vita Fanini - racconta Annabella Stopparo - mi coinvolse nel ciclocross e durante quell’inverno iniziai ad allenarmi e a correre ma subito mi suggerì di passare alla specialità Mountain bike. Mi costruirono una bicicletta su misura, ottenevo i primi risultati e quindi abbandonai definitivamente il calcio. Lavoravo 8-10 ore al

giorno prima nella macelleria di famiglia poi in una cooperativa, quindi potevo andare in bicicletta solo due pomeriggi la settimana. Iniziai a partecipare alle gare regionali e a quelle nazionali che non erano distanti da Marostica per consentirmi di partire di domenica». Il nome di Annabella iniziò ad essere sulla bocca di tutti nel ciclismo, una ragazza con talento arrivata da una

Il sogno olimpico| Mag Febbraio 2015 | 57



Sfidando ogni avversità Annabella Stropparo durante alcune gare su terreni particolarmente insidiosi e difficili.

bottega di paese, fino a Edoardo Gregori, che a quei tempi era CT della Nazionale. Ma Annabella era sempre troppo presa con il lavoro «Il mio problema era di poter continuare nel mio lavoro e con la bicicletta. Nel frattempo al negozio di biciclette di Enrico e Riccardo Polo arrivarono le Cannondale e quindi mi trovarono una Cannondale e con qualche sacrificio cercavo di partecipare alle gare partendo anche il sabato pomeriggio per partecipare a gare più lontane per farmi vedere il più possibile. Mi alzavo anche alle quattro di mattina per andare in macelleria, preparare tutta la carne per poter essere libera a mezzogiorno ma i risultati importanti cominciarono ad arrivare» Alla fine dell’anno successivo nella vita di Annabella arriva il primo vero salto di qualità per la sua carriera, viene

convocata dal team Volvo-Cannondale, uno dei team più importanti in quel periodo. Entra nel team per un insieme di coincidenze, come lo era stato per il suo inizio carriera, come dichiara Annabella «C’era stata una gara di Coppa del mondo a Roma, correvo con una Cannodale color polish ma ero parte della SuperP come squadra, prima di partire avevo la forcella completamente scarica, non ammortizzava più, e con chi mi seguiva dissi “andiamo al loro stand per chiedere supporto” ma la risposta fu che non avevano tempo per me. Con la forcella in quella condizione arrivai comunque terza. Come giunsi all’arrivo la mia bicicletta sparì, la Cannondale mi riparò la bici e la settimana dopo mi chiamarono per firmare il contratto». Ormai Annabella era diventata atleta internazionale ma sempre legata al

suo lavoro a Marostica, dove però ha dovuto abbandonare. «I risultati importanti arrivarono -prosegue - c’era la possibilità di andare alle Olimpiadi e quindi dovevo scegliere. La mia fortuna fu che il datore di lavoro era un appassionato di ciclismo e quindi chiesi un’aspettativa di 6 mesi per provare se riuscivo a far bene per partecipare alle olimpiadi del 1996. A quei tempi non c’era un vero e proprio ranking ma venivi convocato e successivamente venivi selezionato. Paola Pezzo era sicura mentre eravamo in lotta io e Maria Paola Turcutto. Finalmente arrivò la decisione del CT: partecipo alle Olimpiade di Atlanta con Paola Pezzo». Con il team Volvo-Cannondale erano tutti professionisti con un palmares con indifferente, da Cadel Evans (AUS), Tinker Juarez (USA), Anna Caroline

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Chausson (FRA), Missi Giove (USA) e la lingua per Annabella è stato un ostacolo ma nel team aveva un maestro di inglese. «I ritiri erano sempre in California, Messico, Patagonia. Quando arrivai in squadra, gli americani in particolare avevano la loro dieta, ma pian pianino cucinando buona pasta, verdure, salmone, gli sconvolsi la dieta. Alla fine dieta mediterranea per tutti. Prima Tinker mangiava solo fagioli con salsa chili e Missi Giove patatine fritte e Coca cola». L E O limpiadi Finalmente il 96 è l’anno dove Annabella con compagna di squadra Paola Pezzo portano il tricolore alle Olimpiadi di Atlanta. Il suo primo impatto con l’organizzazione non è stato dei migliori «All’inizio rimasi sorpresa, tutto era

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spoglio, senza sponsor, i rulli sotto tendoni bianchi anonimi, non potevi fare nulla, avevi un pass ma ti serviva a ben poco perché eri scortata per ogni spostamento». Quando Annabella mi descrive la sua gara non nasconde l’emozione, perchè poteva finire diversamente. «La gara era tiratissima, circa trenta ragazze, due per Nazione. Alla partenza solitamente ero velocissima, quel giorno partii malissimo, il gruppo continuava a spostarsi sulla destra tant’è che caddi. Ultima. Mi rialzai e piano piano raggiunsi il gruppetto di testa e Paola che a sua volta cadde e perse la borraccia, si rialzò e mi raggiunse, a quel punto le passai la mia borraccia che le consentì di ripartire mentre a quel punto io dovetti rimanere a controllare il resto del gruppo come da ordini di scuderia. Ovviamente non potendo andare a

riprendere Paola cercai di controllare finché avevo risorse. Dopo qualche giro anch’io crollai. Il resto è storia». Non possiamo certo dire che se Paola Pezzo non avesse ricevuto la borraccia da Annabella non avrebbe vinto la medaglia d’oro ma Annabella tornò a casa con un po’ di amarezza, non solo per il podio mancato ma perchè Pezzo non la ringraziò mai. Alle Olimpiadi di Sidney del 2000 cambiarono i regolamenti nel ciclismo dove era fondamentale il punteggio delle gare e Annabella era la favorita. Ma per mancanza di fondi nella Nazionale decisero di portare una sola atleta, Paola Pezzo, ormai di “diritto” dall’oro della precedente Olimpiade. Nelle Olimpiadi di Atene successe la stessa vicenda, e Annabella decise di abbandonare la Nazionale. «Non ho mai capito se fu solo per quello


o fu un discorso politico di rivalità commerciale tra la Cannondale e la Gary Fisher entrambe americane e molto potenti. In seguito alle Olimpiadi del 2004 ad Atene si ripeté la stessa cosa e da allora abbandonai la Nazionale». Como E IL SOSPETTO DOPING Como è diventata la sua seconda casa dal 2000 per poi stabilirsi definitivamente nel 2008 a San Fermo, e proprio lo stesso anno che viene sospesa per sospetto doping. Annabella mi confida con parole rotte dalla emozione. «ll mio nome finì in un’inchiesta partita da Trento dove erano coinvolti una settantina di persone tra ciclisti e medici di tutta Italia. Ero già ferma per la gravidanza e nascita di Vittoria quando mi è arrivata tra capo e collo la sospensione, convinta che comunque tutto si chiarisse invece non fu così,

la giustizia sportiva andò molto più veloce di quella penale. Purtroppo la maggior parte della gente pensa che io sia stata fermata per chissà quale positività, invece sono stata sanzionata per sospetto d’uso sulla base di testimonianza e calunnie di una persona che voleva solo il mio male senza alcuna prova. Ho pagato comunque un prezzo molto alto, perché atleta di spicco, con annesse cattiverie e ingiustizie. In questi anni ho cercato per quanto possibile di dimenticare e di fare ciò che comunque era già nei miei programmi di vita, dedicarmi alla mia famiglia e a praticare il mio amato sport in modo amatoriale». L’infinita passione e amore di Annabella per la bici lo dimostra anche il sogno

che mi confida «Vorrei fondare una scuola di MTB per bambini partendo dall’asilo insegnando ad andare in bicicletta ed educazione stradale. Parlerò con il Comune di San Fermo perchè è un progetto complesso, al di là delle risorse economiche ci sono diversi vincoli che ne rallentano la realizzazione». Oggi, a 46 anni, Annabella passa ancora 4 ore di bicicletta al giorno sulle strade del nostro Lago.

Riconoscimenti In alto: l’incontro di Annabella con il Papa Giovanni Paolo II A sinistra: le medaglie e i trofei conservati nella propria casa. Il sogno olimpico| Mag Febbraio 2015 | 61


LUCA NON CEDE La sfida di Luca Vanoli, 33 anni che vive su una sedia a rotelle da quando ne aveva undici. La sua squadra è lo Sharks-Monza, prima in classifica nel campionato nazionale: gioca fuori provincia perché a Como non ci sono squadre di hockey per disabili. «Il mio futuro è fatto ancora oggi di vita vera. A maggio voglio vincere il campionato. Non sarà solo una vittoria in campo»

«A

lex guarda il cielo». Il mitico dottor Costa, il medico che ha inventato la clinica mobile del Motomondiale ha scelto quella frase per titolare il suo nuovo libro. Forse per dire a se stesso, «più che al mondo intero, che l’ottimismo esiste, che la speranza non è solo un sentimento che affonda nel passato, ma si proietta

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prepotentemente nel futuro. O forse perché Alessandro ha il coraggio di guardare in alto, verso il celeste e questo lo vorremmo fare tutti e in particolare lo vorrei fare anch’io, ma non ci riesco». Così, se Alessandro guarda il cielo e piove - racconta nel libro -, le gocce di pioggia sono tinte d’azzurro.


di Simone Casiraghi

Alessandro è l’altro mitico personaggio, quel Zanardi che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere ancora più di quando era “solo” un campione automobilistico. E che poi, per quello sport, un incidente in gara gli ha portato via entrambe le gambe. Zanardi è comunque ritornato a vincere, in famiglia, nella vita e nello sport. La nostra storia guarda a Zanardi con rispetto, prendendo molto dell’esempio e della forza che ha saputo dimostrare nel tornare alla vita. Ma la nostra storia ci insegna qualcosa di più. Qualcosa di più vicino a noi. E ci rivela lati sconosciuti, con cui facciamo i conti forse per la prima volta. Lo facciamo con un protagonista meno famoso di Zanardi, un giovane comasco particolare. Anche lui è testardo, pieno di forza interiore, un ragazzo caparbio che non vuole mollare, disposto a tutto pur di non farsi prosciugare un solo goccio della sua vitalità. E anche lui è uno sportivo, è l’unico comasco convocato nella nazionale di hockey, in azzurro da due anni ha appena giocato i mondiali a Monaco, ora si sta preparando per gli europei dell’anno prossimo. La sua squadra è lo SharksMonza, è prima in classifica nel campionato nazionale: gioca fuori provincia perché a Como non ci sono squadre di hockey per disabili, il weelchair hockey. In Italia ci sono in tutto 31 società con 29 squadre, 200 dirigenti. Anche questo è un dato significativo. E se lui guarda il cielo, lo fa solo per recuperare ancora di più nuova forza, per alimentare quell’ottimismo che ha già dentro. E da quel gioco trae nuova “scossa” perché «voglio vivere giorno dopo giorno, mettere un tassello dopo l’altro, ma a tutti i costi», per vivere «il mio futuro fatto ancora oggi di vita vera, fatto della mia famiglia, amici e sport». Oggi ha 33 anni, appena compiuti. Luca vive su una sedia a rotelle da undici anni, colpito da una malattia neurodegene-

rativa da quando ne aveva dodici. Luca Vanoli abita ad Alzate Brianza con il padre Lele, 62 anni, e la mamma Daniela di 59. Vuole raccontare la sua storia dall’inizio. Mettendo bando al pietismo, il suo linguaggio si fa deciso, si piega alla quotidianità, pur lasciando trasparire un mondo carico di dubbi, di rinunce e di felicità, di consapevolezza del valore delle cose. E per questo lo usa anche per sfogare un sentimento triste, che lui per primo - ammette - ha scoperto dopo: di come la disabilità sia un mondo ancora troppo lontano da noi e da chi è sempre stato intorno a te, dal comune sentire, e tu vieni visto quasi come un extraterrestre. Scopri così la tanta ignoranza, scopri la distanza dalle istituzioni, da chi ti dovrebbe aiutare. Ti rendi conto che non è la disabilità la più grande barriera, ma molto di più lo sono il pregiudizio, l’ipocrisia, il convenzionalismo. E come, per paradosso, scopri che anche dentro la malattia ci sia discriminazione, ci siano malati di serie A e malati di serie B. Luca riflette. Poi lo dice senza remore, lucido e fermo. Ma con molta tristezza: «La malattia non si prende mai una pausa, non si va in vacanza senza di lei, non ci sono uscite di sicurezza. È un mostro che avvolge e travolge tutta la famiglia. E senza una famiglia alle spalle – insiste Luca anche con il tono della voce -, una famiglia che ti aiuta, ti sostiene, che possa indebitarsi per pagare le tue cure, le visite, le attrezzature o anche solo per comprarti quella carrozzina per giocare a hockey e restare agganciato alla vita, bhè allora se non hai tutto questo non hai nessuna via di scampo. Ti ritrovi solo, quasi abbandonato a te stesso. La mia sentenza è dura: se sei disabile devi essere anche ricco. Se sei povero non puoi permetterti di essere anche un disabile, perché è un lusso essere disabili». La malattia ha dato a Luca la prima sberla in mezzo a un

SFIdare sempre Luca Vanoli con la squadra Sharks-Monza e durante una partita di campionato.

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campo di calcio, un ginocchio ha ceduto all’improvviso, Luca si è ritrovato per terra. La visita dall’ortopedico ha sentenziato senza scampo che si trattava di distrofia muscolare. «Non era possibile, io che ero nato per competere, che avevo praticato in quei miei primi anni ogni tipo di sport, dal calcio, allo sci al nuoto e tutti con agonismo, non potevo scoprire a 14 anni di non essere più in quel mondo. I dieci anni dai 14 ai 24 sono stati durissimi per me. Oltre a dover accettare ogni giorno la mia malattia, dovevo anche accettare che mi venisse portato via il mio mondo preferito, lo sport». Ma Luca non cede, non vuole rinunciare a nulla, insiste a restare dentro i suoi campi di gioco. «Gli amici mi hanno sempre aiutato, non mi hanno mai fatto pesare i miei limiti. Finché ho potuto ho giocato con loro a pallone, giocavo da fermo in un punto del campo, e loro mi passavano la palla là, dov’ero. Non ho mai smesso nemmeno di fare passeggiate, andavo in moto fin all’attacco dei sentieri e poi mi mettevo a camminare. Insomma, mi davo una mano a fare una vita normale. Finché ho potuto». Siamo a casa sua, Luca beve un caffè e si aiuta con entrambe le mani per poter bere dalla tazzina. Sullo sfondo il camino manda qualche fiamma appena, sul suo tavolo il computer è acceso. Riprende senza esitazione. «Poi a 24 anni sono rimasto sulla carrozzina, non riuscivo più a restare in piedi. È stato un giorno fra i più difficili. Ho passato momenti di forte sconforto,

certo. E, se posso dire, anche di incazzatura. Ma è durato due giorni, non mi sono lasciato prendere dal sopravvento del dolore. Poi mi sono detto: ti è capitato? Adesso allora o muori o vivi. Ho risposto: io vivo, io non sono finito». Luca riparte spinto da questa nuova estrema energia. Di solito in queste situazioni è la famiglia per prima che crolla, che rifiuta la malattia e quindi “emargina” anche il figlio, spesso in un istituto. Lo stesso accade agli amici. «Famiglia e amici invece per me ci sono sempre stati, alleati forti al mio fianco. E in questo tipo di vicende sono due aspetti determinanti, decisivi per guardar al futuro». Poi Luca, durante una visita al polo specialistico della Nostra famiglia di Bosisio Parini incontra un ragazzo, giocava a hockey per disabili, quel weelchair hockey fino ad allora sconosciuto anche a Luca, ma che da quel momento gli ridà un’altra prospettiva, anche di vita. «Nel 2007 sono entrato nella squadra degli Sharks di Monza, nata nel 1992, dodici giocatori. In sei mesi ho giocato una volta sola, ma ho fatto sei gol. Mi è piaciuto moltissimo, è coinvolgente, c’è molto di quell’agonismo, di quella grinta che ho sempre avuto dentro anch’io. E poi - confessa Luca - ha creato fra noi un legame molto positivo, trasmette sensazioni fortissime e uniche. Fra noi ci si protegge e ci si aiuta. La squadra per me oggi è la mia seconda famiglia». E la prima famiglia, quella di mamma Daniela e papà Lele, è

«Fra noi ci si protegge e aiuta, la squadra per me oggi è la mia seconda famiglia e la nostra nazionale è tutta basata sul volontariato»

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passione e determinazione. La sedia a rotelle non è un ostacolo alla voglia di sport e di vittoria.

sempre lì accanto. Pronta a sostenerlo in questa nuova sfida, sportiva e di vita. «Già, a un limite se ne aggiunge un altro: l’hockey per disabili è l’unico sport a cui si possono avvicinare i disabili colpiti da malattie neurodegenerative. Gli altri tipi di disabilità possono invece praticare qualsiasi disciplina. In più il weelchair, in particolare, ma in genere tutto lo sport per disabili resta ancora oggi un mondo sconosciuto, che nessuno segue. Basta guardare i media, le tv: le notizie sulle nostre partite quando ci sono, finiscono in tre-quattro righe fra le brevi, e in televisione qualche secondo viene trasmesso a notte fonda. L’anno scorso, per esempio, abbiamo giocato un Mondiale, ma di noi, la squadra azzurra, non si è mai parlato in nessuna delle numerosissime rubriche sportive che danno». E Luca fa il confronto con il resto del mondo, per evidenziare questa distonia. Un’attenzione che manca, a cominciare dalla

indietro in fatto di cultura della disabilità. Nello sport, e nella scuola: quando c’è da risparmiare si taglia sempre sui più deboli, le prime risorse da cancellare solo quelle destinate agli insegnanti di sostegno per i disabili. E così molti ragazzi non vanno più a scuola, o ci vanno fra mille difficoltà». E nuovamente torniamo alla famiglia, chiamate a sopportare costi e sacrifici per consentire a «a un giovane disabile di vivere dignitosamente o di fare un po’ di sport. Restiamo solo alla vita di tutti i giorni: l’Asl ti passa una carrozzina che pesa quasi 25 kg, pesantissima, larga, non ti puoi spostare. L’alternativa è un modello più leggero ma che ti devi pagare e costa 6mila euro. Ti rimborsano 1.200 euro ma gli altri 4.800 euro, li metti tu, per una famiglia sono più di tre mensilità. Questo intendo quando dico che oggi la disabilità è un lusso che in pochissimi si possono permettere». Luca si arrabbia quando sottolinea questi

Federazione. «La nostra nazionale è praticamente tutta basata sul volontariato: le trasferte, i ritiri, l’abbigliamento, perfino la carrozzina sportiva che costa 16mila euro e ha bisogno di almeno mille euro ogni anno per la batteria, ce la dobbiamo pagare noi, le nostre famiglie. In Olanda, per fare un altro esempio, ogni giocatore della nazionale è un professionista, è stipendiato. Hanno uno staff di 35 persone solo come dirigenti. L’Italia in tutto dispone di 2 allenatori, un tecnico, un meccanico e 10 giocatori in tutto, ciascuno con una sola maglietta. Non voglio infierire ma credo di poter sostenere a ragione che in Italia siamo ancora molto

paradossi. In un angolo della casa spunta la sua carrozzina da hockey. Si sente nelle sue parole che lo sport diventa metafora della sua battaglia. «È una valvola di sfogo, in quel campo, insieme ai miei compagni tiriamo fuori tutto quanto abbiamo dentro. Giocare ci dà la carica per andare avanti, per fare meglio. Vivo giorno dopo giorno. Ho imparato a non guardare troppo in là, a mettere un tassello dopo l’altro al mio futuro, alla mia famiglia. Ma un obiettivo quest’anno me lo sono dato, eccome: a maggio voglio vincere il campionato. Non sarà solo una vittoria in campo».

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DA CINQUANT’ANNI

CAMMINIAMO CON LORO di Laura D’Incalci

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«D

a 50 anni ogni persona con disabilità è nostro figlio»: suona così il senso di un impegno avviato a Como mezzo secolo fa dall’Anffas, associazione già attiva a livello nazionale, che ha aggregato famiglie toccate da una problematica comune, che avevano cioè figli all’epoca definiti “fanciulli minorati psichici”. «Oggi sarebbe impensabile utilizzare quella definizione sostituita qualche anno dopo dall’espressione “fanciulli e adulti subnormali”», spiega Regina Zoni in prima linea nel recuperare e rilanciare una mission che al di là delle terminologie utilizzate, da un decennio all’altro ha mantenuto saldo l’intento di accogliere e sostenere vite fragili, che necessitano particolari cure e tutele. E non è solo uno slogan quell’espressione, ora che è lei stessa a raccontare una storia personale che ha ampliato l’orizzonte del suo impegno: «Per sentire ogni persona con disabilità come un proprio figlio, occorre aver attraversato un’avventura come la nostra» ammette ricordando la vicenda di sua figlia Caterina, affetta da una anomalia congenita che alla nascita nessuno avrebbe sospettato. «Era una bambina bellissima, terza dopo

due maschi» dice lasciando immaginare la gioia e le normali aspettative che per diversi anni rimasero sospese ad un futuro incerto. «Dagli esami non risultava nulla di patologico, eppure… ci siamo abituati gradualmente alla sua disabilità che nel tempo si è rivelata grave» prosegue Regina cercando di lasciare sullo sfondo un passato che non le sembra utile ricostruire nei dettagli. Ripercorre velocemente, nei tratti essenziali, quella vita di sua figlia stroncata improvvisamente a 27 anni nel 2011, che aveva conquistato uno spazio privilegiato e speciale all’interno della famiglia. «Caterina ci ha cambiato la vita, ci ha trasmesso la vera dimensione dell’amore dato e ricevuto» ammette evidenziando qualche tratto particolare nella storia della “bambina che a tre mesi già faceva fisioterapia, che ha iniziato a star seduta a 7 anni e a gattonare a 9…non ha mai camminato né parlato, era gravemente compromessa nelle facoltà cognitive, ma era molto espressiva» racconta ponendo in luce i suoi grandi occhi curiosi, spalancati su tutto, la vivacità incontenibile e l’affetto che sapeva esprimere. «Non sapeva parlare, ma il bacio lo dava

Regina Zoni: «L’impegno dell’associazione Anffas punta proprio a garantire un’accoglienza di tipo familiare, capace di rivolgere alle persone con disabilità una attenzione assidua, un punto di riferimento stabile in un contesto coinvolgente, ricco di affetto e non soltanto di cure o prestazioni di tipo sanitario» Da cinquant’anni camminiamo con loro | Mag Febbraio 2015 | 67


se glielo chiedevi» aggiunge lasciando intendere un’intesa profonda, una comunicazione fatta di piccoli impercettibili segni che solo attraverso una vicinanza e un allenamento quotidiano possono essere colti, compresi. Un’acquisizione che Regina Zoni ha vissuto come madre, con una particolare sensibilità educativa maturata anche nel lavoro di insegnante

«Io qui mi trovo benissimo. Per me questa è la mia casa e mi piace darmi da fare per tenere le cose in ordine» di scuola elementare e che ha messo a tema di uno studio più approfondito decidendo di laurearsi con una tesi “sulla qualità della vita nella disabilità adulta”. «In questa ricerca parlo anche di lei, di Caterina che era felice… Sono sicura che lo era» avverte trasformando una certezza vissuta in esperienza da condividere e potenziare. «Essenziale nella vita di queste persone così fragili è la dimensione affettiva» spiega passando al plurale ora che la sua esperienza si è tradotta in risorsa da

mettere a frutto per tanti altri, per altre famiglie, per un mondo vasto che ancora deve imparare a decifrare il linguaggio di chi comunica solo attraverso piccoli segni senza voce, fatti di sguardi, a volte di smorfie o gesti impacciati, di suoni disarticolati. «Il nostro impegno punta proprio a garantire un’accoglienza di tipo familiare, capace di rivolgere alle persone con disabilità una attenzione assidua, un punto di riferimento stabile in un contesto quotidiano coinvolgente, ricco di affetto e non soltanto di cure e prestazioni di tipo sanitario» suggerisce la stessa Zoni delineando uno degli intenti che da sempre qualificano l’attività dell’Anffas che attualmente sta per “Associazione nazionale di famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale” e che già negli anni ’60 progettava luoghi di incontro e attività come i centri socio-educativi o le prime strutture per l’ospitalità di persone dimenticate e a volte persino segregate. «Per i disabili fino a 16 anni non mancano centri di riferimento» puntualizza citando ad esempio gli istituti de La Nostra Famiglia o Villa Santa Maria a Tavernerio. Con il passare degli anni però si pongono problematiche sempre più impegnative: «Genitori e fratelli di persone con gravi problemi vivono con assillo l’idea che un giorno potrebbero non essere più in grado di offrire cure e assistenza a soggetti che vanno accompagnati e accuditi in tutto» nota Alberto Gatto, fratello di Carla, 66 anni, segnata da un ritardo mentale lieve che pure non

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le consente una piena autonomia. «Ho scoperto solo di recente che i miei genitori furono fra i soci fondatori dell’Anffas, di fatto il legame con l’associazione si è rafforzato quando è diventato evidente che Carla non poteva vivere da sola e ha trovato un ambito adatto a lei nella Comunità-Alloggio di San Fermo della Battaglia, gestita in proprio dall’Anffas», precisa, interrotto immediatamente da Carla che al primo impatto non evidenzia particolari anomalie. «Mi trovo benissimo, per me questa è la mia casa e mi piace darmi da fare per tenere le cose in ordine», dice elencando le tante attività che riempiono le sue giornate sia fra le pareti della residenza che in tanti ambiti dove le è possibile respirare lo stesso clima di attenzione e condivisione della sua vita che solo di tanto in tanto evidenzia un’improvvisa defaillance, deraglia dal binario di atteggiamenti convenzionali e esprime qualche guizzo di fantasiosa ingenuità. «Nella casa di San Fermo sono ospitati i casi meno gravi, per i quali la patologia non impedisce una routine quasi normale, scandita da gesti e iniziative spesso condivise, affrontate con senso di collaborazione» spiega Rita Motta, coordinatrice della struttura, sottolineando che è fondamentale il clima di vera casa, di una famiglia, dove ognuno trova un suo spazio vitale e legami significativi. Una dimensione che nella struttura Il Glicine di via Brambilla a Como, con 7 ospiti segnati da grave disabilità, gestita da Anffas in convenzione con il comune, appare subito come una sfida più difficile


e sempre aperta su ogni storia, su ogni volto, ogni sguardo. È la sfida vinta ogni volta che una smorfia, un grido, un sorriso, un gesto imprevedibile, diventano occasione per comunicare, comprendere, creare la trama di una quotidianità. La piccola Cristina, 51 anni e i segni evidenti di un’anomalia congenita, si lascia imboccare, ma è felice quando dimostra di bere da sola dal bicchiere; mentre Paoletta che si alza di scatto dal divano e sembra voler rincorrere qualcuno, è raggiunta dall’educatrice che la intrattiene con un gioco. Nello stesso soggiorno Giovanna, immobile su una carrozzina, sembra estranea a quel che accade attorno, ma si rianima quando sente cantare una canzoncina che conosce bene. «Le è sempre piaciuta la musica, fino a qualche anno fa correva e cantava» racconta la coordinatrice della “casa”, Alessandra Locatelli, descrivendo il rapido regresso neurologico di Giovanna, 45 anni e un viso da bambina. «Spesso le patologie accelerano processi degenerativi…queste persone segnate da insufficienza mentale o altre gravi disfunzioni intellettive sono per sempre bambini, ma troppo presto anziani” nota ancora indicando la complessità nell’accudimento di soggetti che spesso presentano un quadro clinico serio, ma allo stesso tempo richiedono soprattutto un ambiente ricco di relazioni, di sollecitazioni emotive e di un approccio amorevole. Una sintesi testimoniata dagli operatori - costantemente supportati e formati dalla pedagogista

Condivisione «Essenziale nella vita di queste persone così fragili è la dimensione affettiva».

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Gabriella Alberti responsabile delle due strutture- pronti a condividere ogni contingenza di una vita che scorre rasentando i confini estremi di un limite a volte drammatico, eppure sempre sostenuto da una compagnia vigile, carica di affetto, in grado di rivelare un senso. Giorgio, 65 anni, allettato, sofferente per le piaghe da decubito, ripete per ore lo stesso vocalizzo e sembra sereno nell’esprimere così il suo contatto con il mondo. “Sua mamma, 88 anni, gli ha regalato uno speciale materasso ad aria alternata non badando a spese pur di alleviare il suo dolore” racconta Alessandra indicando il segreto di storie che si reggono sull’unica abilità possibile, quella di ricevere amore e di donarlo. Un messaggio che sta all’origine di un’esperienza associativa dell’Anffas che, decollata a Como mezzo secolo

fa con la presidente Anna Vaghi, si dimostrò lungimirante ingaggiando le prime battaglie per difendere e sostenere con concrete iniziative il valore di ogni vita segnata da disabilità e che oggi sembra chiamata a rinnovare intenti e progetti. «È convinto e particolarmente attuale il nostro impegno nel contrastare “la cultura dello scarto” denunciata da papa Francesco» suggerisce Maria Giovanna Bertola, sorella di Luciano affetto da un ritardo mentale fin dalla nascita, prospettando una mobilitazione anche sul fronte del riconoscimento e della tutela di diritti, in difesa cioè di un welfare dalla parte delle famiglie e della loro possibilità di accogliere e sostenere esistenze fragili. In quest’ottica, fra i vari servizi offerti, è stato attivato uno sportello “SAI?” che già nell’acronimo Servizio Accoglienza Informazione

definisce l’intento di vicinanza e accompagnamento per famiglie toccate dalle problematiche della disabilità che cercano punti di riferimento per trovare concrete soluzioni e superare così la solitudine e il disorientamento. Fra le iniziative messe a punto di recente, spicca una proposta mirata a prevenire o affrontare il disagio dei fratelli sani che prevede momenti di consulenza e laboratori ludici per i bambini o gruppi di auto-mutuo-aiuto che coinvolgono figli e genitori. «Abbiamo ultimamente acquisito una più lucida consapevolezza delle difficoltà dei siblings (come vengono comunemente definiti i fratelli e le sorelle di bambini con disabilità ndr) che non sempre manifestano segnali di disagio eclatanti, anzi in molti casi si mostrano particolarmente bravi e molto responsabili per colmare un’esigenza di gratificazione dei genitori e non creare ulteriori problemi» spiega ancora Maria Giovanna Bertola mettendo in evidenza dinamiche complesse e esperienze a volte segnate da qualche frustrazione, vergogna, paura di non occupare uno spazio adeguato nel cuore dei genitori inevitabilmente assorbiti dal figlio più fragile, che esige particolari attenzioni e cure. «È importante non trascurare questi aspetti che possono lasciare un segno, produrre un disagio che può affiorare anche a distanza di anni» aggiunge, delineando strategie d’affronto sempre più puntuali e articolate per accompagnare -in linea con un compito associativo che intende oggi arricchire le sue potenzialità- un cammino lungo il quale nessuno si ritrovi solo e impotente nell’affrontare le sfide del limite e della fragilità.

ANFFAS Associazione Famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale Presidente Domenico Sinicropi Sede Via G. Sirtori, 5 - Como tel + fax 031.266148 La sede è aperta il lunedì e il venerdì dalle ore 9 alle ore 11 segreteria@anffascomo.it www.anffascomo.it

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di Arianna Augustoni

QUI DA TUTTO IL MONDO Storie, attività e impegno dell’International Club Como. Oltre cento donne di trenta nazionalità diverse vivono in città. La presidente Tiina Hiekkaranta: «Adoro Como e sono certa che ci rimarrò per sempre. Sono spesso in Finlandia e seguo mio marito nei suoi viaggi, ma poi torno sempre qui».

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Qui da tutto il mondo | Mag Febbraio 2015 | 73


P

ensano in francese, tedesco, finlandese, arabo, russo, si confrontano in italiano, ma parlano, tra di loro, in inglese. Sono le 125 militanti dell’International Club Como e provengono da trenta paesi. Si sentono tutte sorelle, amiche e, tra di loro, c’è una grande confidenza: è il gruppo di donne straniere che, per diverse ragioni, vivono sul lago di Como e si incontrano per un coffee time, un lunch o, ancora, per organizzare gite, scambi culturali in lingua, corsi di teatro, visite e trasferte, oltre a svolgere, ognuna a modo loro, attività di volontariato nelle Associazioni comasche. Tra di loro la campionessa ungherese di wind surf, ma anche la novantenne giornalista americana che ha firmato i primi articoli sul gruppo comasco e la tata poco più che ventenne che ha lasciato Londra per il capoluogo lariano. Per loro l’amicizia è tutto, sono sorelle, oltre che amiche, si aiutano e, quando qualcosa non va, il “gruppo” c’è. Ognuna ha una propria storia da raccontare, tutte amano il lago e la provincia di Como e, tutte, quando devono lasciare il territorio perché il destino le porta altrove, ne soffrono. Una delle fondatrici ancora attiva nell’International Club di Como è Jean Bernarda, abita ad Argegno e ricorda ancora come il club si è formato. «All’inizio eravamo delle mamme giovani con le esigenze e i bisogni di tante, - spiega - vivevamo lontane dal nostro paese d’origine e i mariti erano spesso via per lavoro, dovevamo affrontare la quotidianità e sbrigare i problemi. Noi ci trovavamo nella taverna dell’hotel Della Torre a Cernobbio e

parlavamo, ci confrontavamo e i nostri piccoli giocavano. Ci vedevamo sulle piste da sci, ma anche in casa per un compleanno, facevamo squadra. Io ricordo ancora che 45 anni fa ad Argegno nessuno parlava inglese, io scozzese e poco più che trentenne faticavo a socializzare. Il club è stato un modo per trovare amiche, amiche che ancora oggi vedo». E, se questo fu l’inizio, oggi le 125 socie si ritrovano abitualmente per i loro appuntamenti mensili e, anche le più giovani, si ritagliano lo spazio per non mancare ad un appuntamento. Donne quindi impegnate, ma legate da una grande passione che è il loro Club. «Nella vita facciamo di tutto, - spiega Kim Meroni - siamo mamme, nonne, manager e casalinghe. Il nostro denominatore comune è la voglia di raccontarci le esperienze e farlo nella nostra sede o nei diversi salotti, viviamo qui e ci divertiamo tutte insieme». Kim Meroni è un’altra socia storica: 32 anni di attività. È irlandese, sposata e con due figlie. Vive a Colverde, ha lavorato per anni nel tessile e ha conosciuto suo marito in Italia. Ricorda anche le difficoltà riscontrate a farsi accettare a Como, lei che lavorava in un settore dalle ampie vedute, poche persone attente alle sue esigenze, poche che decidevano di condividere obiettivi e scelte. Per caso l’incontro con qualche straniera che l’ha poi traghettata nel Club. Presidente nell’anno 2009/2010, ora è sempre molto attiva su più fronti. «Ricordo ancora - racconta - che i primi anni era dura, non conoscevo nessuno e, solo parlando con alcune persone, ho

«Nella vita facciamo di tutto. Siamo mamme, nonne, manager ma quello che ci unisce è il condividere esperienze e momenti di vita comune»

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saputo dell’esistenza del Club. Mi sono avvicinata per caso, ma con la consapevolezza che avrei potuto avviare nuovi rapporti e sicuramente stringere amicizie. Io definirei il Club come un circuito di donne con interessi condivisi, per me lo è stato e sono felice di esserci entrata». Jeanne Hoopes, vice presidente del Club, è un esempio palese di amante dell’Italia e di Como, in particolare. Da un anno e mezzo vive in città, conosce ogni angolo, guarda ogni

bellezza andando al di là dei problemi e dei disservizi. «È una città magnifica - spiega Jeanne Hoopes - è stata una grande esperienza quella di arrivare a Como e di avere conosciuto queste magnifiche donne. È davvero un modo internazionale per comprendere la grandezza di questo territorio. Como è meravigliosa e ricca di storia». A chiacchierare con maggiore disinvoltura è Tiina Hiekkaranta, presidente dell’International Club di Como, una delle socie

Un club di vita Nella pagina accato: Kim Meroni, Jean Bernarda e Jeanne Hoopes. In questa pagina: la presidente Tiina Hiekkaranta e la vice presidente a Jeanne Hoopes. giorno, con ammirazione il lago, le montagne, i monumenti e non nasconde che rimpiangerà questa magnifica location quando dovrà rientrare in America. Si inebria parlando di Como e afferma che ogni giorno scopre qualcosa di nuovo, ama fotografare e, in casa, ha un book da vera professionista con migliaia di immagini. La sua storia fa sorridere e riflettere infatti abita nel centro storico e ha imparato a vivere la città in bicicletta. Ogni giorno le stesse strade, le stesse persone e gli stessi mendicanti, ogni giorno, infatti rientrando incontrava persone in difficoltà che chiedevano qualche spicciolo per sopravvivere. Una moneta oggi, una moneta domani, ha deciso di rendersi utile in altro modo tanto che ha chiesto di potersi mettere a disposizione per servire alla mensa dei poveri della Casa Vincenziana. Lei, che parla poco l’italiano, ha pensato di impegnare il proprio tempo offrendo un servizio continuo a delle persone bisognose. Quando le chiedo cosa pensa di Como, risponde, senza esitazione: “Wonderful”, lei che, da un anno e mezzo gira in bicicletta ha imparato ad apprezzare il capoluogo per la sua

più attive e impegnate nel far conoscere il gruppo. Lei è in Italia da anni, una laurea in pedagogia e un passato da insegnante all’Università di Tampere in Finlandia, il suo paese di origine. Parla otto lingue e ormai da Como non se ne andrà mai più. «Sono arrivata a Como perché nei miei continui spostamenti con mio marito - commenta - ho conosciuto tutto il nord, ho apprezzato Verona, ma adoro Como. Ora abito a Carimate e sono certa che ci rimarrò per sempre. Sono spesso in Finlandia e seguo mio marito nei suoi viaggi, ma poi torno qui». Lei, come presidente, nel club segue la comunicazione, si occupa del calendario, degli appuntamenti, promuove i mercoledì allo Yacht Club (sede del Club) e le attività culturali, oltre ai viaggi e alle attività benefiche con i progetti di solidarietà. Prima di salutare Tiina una domanda è d’obbligo: Quanto c’è ancora di Finlandia in lei. «La sauna. È sacra per noi un finlandese può lasciare tutto, ma non il locale dove poter farsi una sauna a fine giornata. Noi in casa a Carimate ne abbiamo una. È un plus».

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NON ESISTONO RAGAZZI CATTIVI Storie di disagio e di riscatto a margine del convegno regionale con La Cometa e i Padri Somaschi

Non esistono cattivi ragazzi | Mag Febbraio 2015 | 77


S

i è riappropriata della propria vita, ha voluto ritrovare la giusta dimensione della realtà ed è tornata a sorridere. Ha riconquistato il coraggio di guardarsi allo specchio. Quella di Gaia è una storia a lieto fine, la storia di una ragazza ferita come capita a tante della sua età per debolezza, fragilità, voglia di bruciare le tappe della vita. Gaia, oggi 18 anni, ha decisamente un passato importante, fatto di azioni al limite che, per sentirsi grande, ha respinto ogni regola, ripudiando perfino il rispetto di se stessa e i valori della famiglia. «Vivevo a Milano con mio padre, non avevo regole, orari. Lui aveva paura di me, temeva di correggermi. Temeva di rimproverarmi perché aveva paura della mia reazione, che me ne potessi andare e lasciarlo da solo. Non frequentavo persone “normali” e il mio motto era uno solo: vivere lo sballo prima di tutto. Non vedevo mai mia madre e uno dei pochi incontri avuti è stato disastroso. Il giorno del suo compleanno mi sono presentata completamente sotto l’effetto di alcool e droga alla festa che aveva organizzato a casa sua. Un disastro. E poi i rapporti sentimentali: stavo con un ragazzo a cui mi ero molto legata, pensavo fosse

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l’unica persona ad accettarmi e a volermi bene. Non era così, e con lui ho toccato davvero il fondo». Una situazione complicata e difficile da gestire, ma che, grazie agli educatori di Cometa e agli stessi ragazzi con cui Gaia è cresciuta e ha stretto amicizia e solidarietà, ha trovato quella svolta determinante per il suo futuro. «I miei genitori sono intervenuti, hanno preso la situazione di petto e mi hanno iscritta in Cometa - racconta Gaia -, non sapevo cosa avrei trovato, pensavo fosse una scuola come tutte le altre, dove sarei stata il numero 20 del registro. Non fu così. Ho conosciuto una realtà fatta di giovani come me, senza pregiudizi e con qualche disagio. Mi sono affidata a loro, non avevo nulla da perdere se non la voglia di riappropriarmi della mia vita. Un’esperienza fortissima che mi ha permesso di rimettere insieme i pezzetti del mio cuore». Di giovani difficili si parla molto, ma si fa poco e si ascoltano sempre meno. Sui giornali si legge di tutto, ci si scandalizza, ci si stupisce, ma poi il più delle volte si rimane inermi, senza pensare che sono segnali da non sottovalutare perché sono un chiaro indicatore di una profonda fragilità derivante dall’ambiente in cui il ragazzo vive.


Il convegno La consigliera regionale Daniela Maroni nel corso del convegno regionale “Non esistono cattivi ragazzi”.

Il disagio giovanile continua quindi a essere uno dei temi più frequenti che mette in luce aspetti contrapposti: la difficoltà a costruirsi un’identità stabile e una condizione contrassegnata dalla mancanza di un orientamento per il futuro. Cosa fare? Come muoversi? Cosa temere? Un fenomeno che non è passato inosservato al Consigliere segretario Daniela Maroni che, alcune settimane fa ha presentato in Regione Lombardia l’universo dei giovani sottolineando che “non esistono ragazzi cattivi”. Al convegno hanno preso parte i referenti della Comunità di accoglienza di Como, La Cometa e i vertici della Comunità dei Padri Somaschi di Como e di Lecco, oltre a Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e fondatore dell’Associazione Kayros. «I segni di questo malessere partono dalle emozioni e sembrano crescere soprattutto tra i giovani il cui bisogno di guide attendibili e di contenimento rimane senza una risposta. - commenta Daniela Maroni - Una piaga sociale che miete vittime ogni giorno e che ogni giorno fatica a dare una risposta perché ogni giovane ha una sua storia e ogni storia ha un suo motivo. Non bisogna generalizzare, ma è necessario ascoltare, comprendere e condividere il disagio».

I giovani non sono quindi né vittime di un sistema né persone da condannare, ognuno ha seguito una propria strada e tutti hanno cercato il proprio riscatto per dire: «Ce l’ho fatta». Antonio ha diciotto anni ed è uno degli studenti della Cometa di Como, frequenta il quinto anno del corso di manutentore di immobili: «Sono stato adottato all’età di sette anni da una famiglia che è subito diventata la mia famiglia. Ero piccolissimo quando mi hanno dato in adozione, mi sono subito sentito un figlio e non come “uno dei ragazzi da seguire”. Dopo otto anni, per vari motivi, sono stato spostato in una comunità; lì sono crollato, ero costantemente arrabbiato, ero irrequieto. Mi sono addossato tutte le colpe di quello che era successo alla mia famiglia d’origine e a quella d’adozione. Proprio durante questo periodo mi è capitato di essere sospeso, perché non riuscivo a stare in classe. Uscendo ho trovato Antonella, una dei tutor, mi aspettavo che mi rimproverasse per quello che avevo fatto, invece mi ha guardato e mi ha detto: “Si muore per resuscitare”. Questa frase mi ha sconvolto perché mi ero sempre sentito “la vittima della situazione” e mi piaceva per certi versi. Lei non mi ha ripreso, come invece io speravo per essere considerato ancora una “vittima”. Ho iniziato quindi

«Sono stato adottato a 7 anni da una famiglia che è subito diventata la mia famiglia. Mi sono sentito un figlio, non uno dei ragazzi da seguire»

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a prendere sul serio la scuola, non tanto per me, ma per chi mi aveva aiutato, lo facevo per ringraziare il professore e dimostrare di essermi meritato la fiducia. Ho iniziato così ad avere rispetto verso la scuola e a capire che a me, in fondo, importava solo di avere buoni risultati». Storie di ordinaria quotidianità che per molti ragazzi sono impossibili, eppure esistono e ci sono vicine più di quanto si possa immaginare. La storia di Collins, poi, ha davvero dell’incredibile. È una di quelle storie che segna nel profondo. Lui vive a Como, nella Comunità educativa Annunciata. Ormai è la sua casa, lì è cresciuto, ha i suoi affetti e i suoi fratelli acquisiti. Prima lo hanno seguito nel suo percorso scolastico e formativo, ora ha un lavoro e una sua vita. «Avevo poco più di dieci anni - spiega -, un giorno, tornando da scuola i miei genitori mi hanno messo davanti ad una dura realtà: torniamo in Africa. Io non volevo, ero stanco di girare come una trottola, da una città all’altra, da una casa all’altra. Non volevo, a Como avevo trovato i miei amici, i miei luoghi, la mia felicità, avevo tutto e mi piaceva. I miei non dissero nulla, l’indomani andai a scuola e, quando rientrai in casa non c’era più nessuno, mi avevano abbandonato. Il panico, il dramma, ma poi mi sono rivolto all’assistente sociale che mi ha trovato una sistemazione, ero piccolo, troppo piccolo per poter vivere da solo. Sono entrato in Comunità e ho fatto il mio percorso. Sono cresciuto con fatica, magari senza quelle attenzioni che i genitori dovrebbero o potrebbero dare, ma con una famiglia allargata che mi ha dimostrato di volermi bene e di amarmi per quello che ero capace di fare. Ora di anni ne ho diciotto, ho un lavoro e ho sicuramente apprezzato la vita con i suoi ma e i suoi perché». È fatto di questi ragazzi, dei loro pezzi di vita il mondo del disagio. Sono queste le difficoltà di quei giovani che pensano di essere gli ultimi, ma che in realtà oggi sono i vincitori di una sfida più grande di loro. Una sfida che, per loro, è iniziata quando erano solo all’inizio.

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LA COMO

CHE SAPEVA RIDERE di Rosaria Marchesi

Viaggio nelle riviste di umorismo e satira comasche. Da “Il Grillo” e “Il Baradello”, a “La Domenica dell’Avvisatore” e “El Giavan”. Da “La Pila” a “La Cassetta del Mattino” fino alla “Rana del Domm”

I

l primo fu “Il Baradello”. Sì, certo, il nome rimanda a uno dei simboli di Como, ma la storia che state per leggere non parla di castelli e torri medioevali. No, questo è un piccolo tour cartaceo tra testate umoristiche o satiriche comasche, tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Chi scrive e “guida” il tour ha iniziato ad interessarsi ad esse negli anni Novanta e alcune erano state oggetto di articoli usciti sulla rivista “Broletto” (altro simbolo cittadino) purtroppo anch’essa consegnata alla storia. Poi nel corso del tempo, continuando a studiare vecchie testate, le informazioni si erano moltiplicate e accumulate, in attesa poter vedere la luce. Ed ecco che è arrivata l’occasione propizia. Per il Natale 2014 la Famiglia Comasca ha dato alle stampe il volume “L’occhio beffardo” La Rana e i giornali umoristici comaschi, curato da Alberto Longatti che firma il saggio relativo a La Rana, ovvero un giornale satirico- umoristico, fondato e diretto da Piero Collina ed uscito tra l’estate del 1945 e il 1946. Guardare indietro era ovvio. Gli appunti sono giunti alla ribalta nel capitolo “Come ridevano gli altri”. Vediamo cosa c’era da ridere e se si può ridere ancora. Rieccoci dunque a “Il Baradello” foglietto umoristico illustrato, che nacque il 9 luglio 1878 e fu stampato fino al 1884. Aveva un formato piccolo e disegni su due pagine, punzecchiava a livello comasco e nazionale.

In realtà, però, la sua vita come periodico satirico durò poco, alla fine divenne un organo politico. Per trovare un giornale umoristico, con caratteristiche vicine alle testate odierne (anche se ormai i giornali umoristici hanno fatto il loro tempo e la satira viaggia in tv e sul web) dobbiamo aspettare il 1891 quando arrivò in edicola “Il Grillo” e ci restò fino al 1894. Al suo uscire ne era responsabile un sacerdote, Giansevero Uberti. Quindi ci collochiamo in ambito cattolico. Esso “Trilla il 10, il 20 e il 30 di ogni mese”, era stampato dallo stabilimento Tipo- Litografico Romeo Longatti, con sede presso l’Orfanotrofio maschile, al n° 4 di via Tommaso Grossi. Un numero costava 10 centesimi. La testata disegnatissima mostrava un grillo, non parlante come quello di Pinocchio, ma “scrivente” con una penna d’oca, un grosso calamaio, una luna e una specie di frusta con quattro personaggi infilzati. Un modello che ebbe successo perché fu ripreso anche da altre pubblicazioni comasche. Il nostro foglietto, che al suo presentarsi voleva dare un’ottima immagine di sé, in realtà ebbe una serie di polemiche, soprattutto con “Il Lavoratore Comasco” (organo socialista), ma anche con “La Provincia di Como” , anzi al nascere di questa (26 marzo 1892) i colleghi pensarono bene di prendere in giro il direttore fondatore del primo quotidiano comasco stampato di notte. Così pubblicarono spassose vignette con protagonista Luigi Massuero(1857- 1918).

Dopo il drammatico periodo della Grande Guerra, ci volle del tempo per tornare ad aver voglia di punzecchiare e a Como la “Zanzara” ci provò

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Gli anni di vita del “Grillo” coincidono con quelli dei progetti, problemi e poi, finalmente!, costruzione della funicolare. Ma il caro “Grillo” non credeva che ci si sarebbe riusciti e pubblicò una serie di vignette con sistemi alternativi per raggiungere Brunate. Quelle vignette sono ancora per noi comprensibili e godibili, mentre, quando questi giornali d’antan prendono in giro personaggi di allora per noi spesso è impossibile identificarli. A volte, però, la cosa è facile, come riconoscere il giornalista Angelo Scolari in una caricatura. Per i più curiosi lo Scolari ad un certo punto firmò due numeri di un periodico dell’epoca “Armonie Lariane” (1894) con uno pseudonimo: Carolina Goles. Ma non si tratta del nostro primo direttore donna! Le rane, a Como, evidentemente hanno successo…editoriale. Infatti prima di quella pubblicata da Collina, il papà della Famiglia Comasca, in città era apparsa in soli due numeri “La Rana del Domm”. Il primo uscì nel maggio del 1908,

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con una testata che ricordava molto da vicino quella del defunto “Grillo”. Il programma era presto detto “Nuovo e di questi tempi inusitato: VERITÀ e SINCERITÀ”, poi se la prendeva un po’ con tutti, con il sindaco dell’epoca, con la politica nazionale e con una freddura anche con il quotidiano cattolico “L’Ordine”. Ci furono altri numeri? Nella raccolta della nostra Biblioteca Comunale (ed è solo grazie a questa che oggi possiamo studiare i vecchi giornali e non solo) ce ne sono solo due. Il secondo, però, ad un primo sguardo parrebbe proprio un altro giornale. Si intitola “La Cassetta del Mattino” e porta la fantomatica data 5 dicembre 1959. Esattamente cinquanta anni dopo la sua uscita. Nella quarta pagina si ribalta tutto e si torna alla già nota “Rana del Domm”. Ma perché mai, inventarsi un’altra testata, sobria, simile a quella di un quotidiano? È ben lì che si cela la gigantesca burla. Con quasi un mese di anticipo i nostri simpaticoni avevano a loro modo realizzato uno scoop. In


Como e la satira Pagine dei giornali satirici comaschi tratti dal volume “L’occhio beffardo” curato da Albertro Longatti.

città correva voce della nascita di un nuovo quotidiano, uscito col suo primo numero nel Natale del 1909. Loro lo avevano scimmiottato, il nome vero fu infatti “Gazzetta del Mattino”. Se si entra nel mondo dei “GM” (giornali morti) della biblioteca c’è da perdersi! Molti sono anche i pregevolmente illustrati, valga per tutti “Novocomum” (1901). Ma noi vogliamo giocare in casa ed eccoci allora a “La Pila” vissuta tra la fine del 1903 e il 1904. Tutta una caricatura, tutta da ridere e strettamente legata a “La Provincia”, infatti questa (forse di proprietà della Tipografia Cooperativa

Comense) viaggiava in tandem col nostro quotidiano ed era nata dall’estro di due suoi redattori, destinati a brillanti carriere. Erano Pio Bertolasi, che poi divenne redattore capo a “La Libertà’” e Serafino Biondi (1869- 1936) che, addirittura, divenne direttore de “La Provincia di Como”. “La Pila” brillava nel prendere in giro gli avversari politici. Se la prendeva alla grande, con socialisti e clericali, ma scherzava anche con il direttore Massuero, che ebbe l’onore di comparire su una prima pagina “di lotta” di personaggi politici comaschi l’un contro l’altro armati! “La Pila” inventò concorsi e giochi a premi, gare sportive, ma la sua luce durò poco. Si tornò a giocare con l’umorismo con alcune pagine della “Provincia Illustrata”, ma anche questa uscì per poco. Tra il 1912 e il 1914 vissero due testate legate a doppio filo “La Domenica dell’Avvisatore” e “El Giavan”, che a detta dei redattori erano “madre e figlio”, solo che il figlio era ben più pungente della mamma. Anche lì vignette e strofette satiriche a go go. Dopo il drammatico periodo della Grande Guerra ci volle del tempo per tornare ad aver voglia di punzecchiare. Eccoci dunque alla fine del mini tour con l’azzurra “Zanzara” (le sue pagine avevano questo colore) periodico satirico- umoristico- sportivo a cura del Como Football Club, vissuta tra il 1921 e il 1925. Su di essa vennero ospitate anche caricature dell’architetto Giuseppe Terragni, il grande esponente del Razionalismo. Lì si ride, ma si può leggere anche la storia. C’è, infatti, il racconto di come i fascisti si impadronirono di Como nel 1922. Altro che rivoluzione in allegria! Si vide poi come andò a finire.

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di Mario Chiodetti foto Carlo Pozzoni, Mario Chiodetti

Storia e tradizione del Carnevale di Schignano. Così nascono le sculture dei Belli e dei Brutti. Così un paese ritrova la propria identità

DIETRO

LE MASCHERE

C’È UN POPOLO


S

i partiva con il primo alito di primavera, come rondini in rotta contraria, quando le feste erano già terminate da un pezzo e la morsa dell’inverno si allentava quasi all’improvviso, mutando il colore del cielo. In paese, per San Giuseppe, non c’erano quasi più uomini in giro, andati in Francia, in Germania o in Svizzera, qualcuno in America, come Giuseppe Peduzzi, che lasciò le sue speranze di benessere a bordo del Titanic. Il tempo non passava mai, novembre, dicembre, gennaio, giorni uguali e gelidi, ma almeno c’erano gli uomini in casa, di ritorno dalle fatiche stagionali, pronti ad altri facchinaggi, il tagliar legna, accudire le bestie, macellare il maiale, unica vera ricchezza in famiglia. Visi scavati e sorrisi sdentati, nelle vecchie fotografie seppiate degli emigranti di ritorno, cappelli di carta, da muratore, e gilet grigio piombo senza cravatta, qualche volta un mandolino a tenere compagnia. A Schignano le donne lavoravano i campi, concimavano e seminavano, patate e granturco, portavano le bestie agli alpeggi e raccoglievano il fieno, poi le noci e le castagne, ogni mese aveva un suo rito preciso e immutabile, e il maiale andava ingrassato a dovere, guai a trascurarlo, pena la fame. Ma nel buio delle stalle, nelle interminabili sere di gennaio, una fiammella di gioia incominciava a scoppiettare, i giovani sorridevano e gli anziani ammiccavano, gonfi di ricordi. C’era aria di carnevale, l’unica vera festa del paese, una catarsi, un pugno dato con forza alla miseria e al tedio, una girandola

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di colori sull’uniforme dell’inverno, la voglia di gridare e di bere, di corteggiare le ragazze e fare un po’ i matti, fino a quando, all’imbrunire, la campana di San Giovanni avrebbe annunciato la Quaresima. Si viveva quasi con la febbre, aspettando febbraio, quando i preparativi per la festa impegnavano l’intero paese, con le donne a tagliare e cucire il complicato costume del Bel, quello tutto da inventare del Brut, e poi i cappelli, gli orpelli, mentre gli uomini perdevano la testa, impegnati soltanto a divertirsi dopo mesi di viaggi e fatiche che presto sarebbero ricominciati. «Podet mea scapàa del Carnevaal de Schignan/ tütt el paees el g’ha veert la porta/ e ogni porta l’ha g’ha deent quajvoen», dal Carnevale non si scappa, le parole di Van De Sfroos sono la fotografia di una realtà fantastica e unica, un teatro all’aperto in cui rappresentare l’eterna lotta tra il bene e il male, la ricchezza e la povertà, il bello e il brutto. La vita, insomma, che anche in maschera mostra ogni suo più minuscolo dettaglio, le imperfezioni ma anche le gioie, il calore della famiglia e il sorriso dei bimbi, le ingiustizie sociali e la musica dei ricordi, tutto insieme in una gran baraonda di suoni e colori, di risate e lacrime. «Ogni maschera rappresenta il popolo, nelle sue diverse sfaccettature, i suoi costumi quotidiani, le virtù, i difetti e le debolezze, la salute e le condizioni sociali. L’allegoria del carnevale», spiega Pompeo Peduzzi, «contempla e completa


il nostro ieri, oggi e domani». Ha sette frazioni Schignano, ognuna con una sua fisionomia e un carattere, e insieme hanno sempre concorso a fare del carnevale il centro d’attrazione della valle, l’avvenimento per cui vale la pena faticare, ed è gemellato dal 1988 con Saint’Amè, una cittadina dei Vosgi, a testimonianza delle antiche “incursioni” dei muratori comaschi in Francia, tant’è che là si contano tuttora alcune famiglie dal cognome Peduzzi, il più comune nel paese. Dalla frazione di Perla provenivano un tempo i due Sapeur, le maschere più arcaiche del carnevale, che stranamente somigliano a quelle zoomorfe del Capodanno di Urnäsch, nel Canton Appenzello, dove gli Schöne e i Wüeschte - i Belli e i Brutti - sono ricoperti di pelli di animali, muschio e rami d’abete e si aggirano per il paese entrando nelle osterie a bere e a chiedere un’offerta in denaro e suonano i campanelli delle case per augurare buon anno al canto dello jodel. Insieme alla Sigurtà, la sicurezza, i due Sapeur sorvegliano l’andamento della festa, abbigliati con alti copricapi, che ricordano quelli dei soldati di Napoleone, pelli di pecora e ornati da lunghi mustacchi e barbe a punta.

La radice del carnevale di Schignano è però la maschera, il cui termine, come scrivono Stefania Pedrazzani e Pierluigi Gatti nel bel libro “Il Carnevale degli schignanesi” pubblicato nel 2012 a cura dell’associazione culturale “Maschera” e del comune, ha origine dal latino medievale “màsca”, strega, oppure dall’arabo “mascarà”, che significa satira, scherzo. L’uno e l’altro, insomma, perché le maschere del Bel e del Brut, del Carlisepp e dei Sapeur conservano il mistero della loro origine, e danno a chi le indossa una sconfinata libertà di espressione, come insegna la commedia dell’arte, in cui la maschera ha un ruolo fondamentale nella caratterizzazione dei personaggi. I mascherai di Schignano sanno di custodire una tradizione secolare, di cultura e artigianato, sono riuniti nell’associazione “La Maschera” (l’acronimo significa Mascherai artisti schignanesi estimatori ricercatori associati) e cinque di loro fanno parte anche del Consorzio mascherai alpini, un gruppo internazionale, fondato a Tarcento in provincia di Udine nel 2002, che ogni anno organizza un simposio (quest’anno sarà a Schignano dal 24 al 26 luglio) cui partecipano artigiani italiani, austriaci, sloveni e ungheresi. «La maschera va animata, fatta vivere, io interpreto il Brut

«Ogni maschera rappresenta il popolo nelle sue sfaccettature, i suoi costumi quotidiani, le virtù, i difetti e le debolezze, è l’allegoria del carnevale»

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Un paese in maschera Il Carnevale di Schignano è rappresentazione teatrale delle tradizioni del paese, ma anche arte antica nella scultura delle diverse maschere.

da quattordici anni, quella di preferire un personaggio è una scelta che si fa da bambini, o si è belli o si è brutti», dice Giovanni Padovese, restauratore e scultore. Il Brut ha parecchi cultori, perché qui chiunque può scegliere il personaggio che preferisce, prendere la maschera conservata da generazioni in famiglia, oppure chiederla a un mascheraio, e abbigliarsi come meglio crede. È un fatto istintivo. Il carnevale è democratico, e la figura del povero vestito di stracci e pelli di coniglio, che arranca al suono dei campanacci affascina più del Bel, il Mascarun tronfio e arricchito, coperto d’oro, con sontuosi copricapi, guarnito di “bronze”, le campanelle lucide originarie di Aarau, in Svizzera, simbolo dell’arroganza che dà il potere e il denaro, ventruto e gonfio, esagerato. Trascina, tirandola per la corda che le cinge la vita, la Ciocia, sua moglie, la donna serva, senza maschera e impersonata sempre da un uomo e unico personaggio ad avere facoltà di parola - o meglio di invettiva - contro la dabbenaggine del marito e le sue angherie.

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Il personaggio centrale è però il Carlisepp, il fantoccio che rappresenta il Male ma anche il Carnevale stesso, e alla fine del corteo tenterà di fuggire per la “strécia di Mariun”, un vicoletto ai lati della piazza, cercando di non essere bruciato sulla pira. È un’usanza recente, risalente alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quella di permettere al Carlisepp la sua fuga disperata, tramutato d’improvviso da pupazzo a vivente: in tempi più antichi subito non aveva scampo, bruciava e basta. Davanti alla vetrina dell’associazione “La Maschera”, nel centro del paese, Pierelso Lanfranconi scolpisce le fattezze di un Brut con sapienti colpi di scalpello. «Ho incominciato a far maschere negli anni ’70, poi ho ripreso dopo la pensione. Ne ho confezionate una sessantina, il piacere per me è che qualcuno le indossi a Carnevale, le renda vive. Il legno usato più spesso è il noce, il piede o “pedàgnn”, lo si lavora bene e ha splendide venature, ma ci sono maschere in tiglio, ontano nero e una delle più vecchie e belle è in legno d’acero».


Anticamente le maschere portavano il soprannome della famiglia d’origine, così abbiamo la maschera del “Tinell”, il Santino Peduzzi, o quella del Bel del “Martineta”, di metà Ottocento, appartenuta a Carlo Peduzzi, come peraltro attesta il marchio a fuoco al suo interno. Il presidente dell’associazione è Battista Peduzzi, muratore in pensione, quasi 40 anni di lavoro in Svizzera, nel Malcantone, e oggi tra i promotori più accesi del Carnevale. «La tradizione dei mascherai spesso è trasmessa di padre in figlio, io imparai a scolpire il legno da mio nonno, falegname. Il carnevale è teatro, le donne confezionano i costumi e gli uomini recitano. Un tempo, per vestire un Bel si impiegavano almeno tre ore, oggi gli abiti sono già fatti e li si indossa in pochi minuti. Allora c’era grande fermento, si gareggiava a chi usciva per primo in strada il mattino presto, già vestito e pronto a sfilare, i Belli indossavano l’oro di famiglia, i Brutti soltanto le catenelle dei vitelli. Naturalmente la “fughèta”, la piccola banda del paese, accompagnava l’intera festa al suono di musichette di origine svizzera e alla fine intonava la marcia funebre per il povero Carlisepp». In salotto, Peduzzi ha un’intera rastrelliera ricoperta dalle sue maschere: «Mi piace di più scolpire il Brut, è libero, la sua maschera può esprimersi in mille modi, non ha la rigida prosopopea del Bell, che è sempre sbarbato e lucido. Per fare una maschera occorrono almeno 40 ore di lavoro, e una non è mai uguale all’altra. Il carnevale ha ritrovato la sua natura da qualche tempo, dopo un periodo di flessione negli anni Sessanta, quando il lavoro c’era anche da noi e perdere tempo dietro alle maschere non era considerato saggio», racconta Peduzzi. «In tempi di magra, come oggi del resto, la festa prende sempre più quota e lo scorso anno sono arrivate da noi più di duemila persone, parecchie dalla Svizzera e dal Trentino. I giovani del paese ci tengono e sono molto attivi, attenti alle tradizioni e vogliono imparare il dialetto per conoscere le antiche filastrocche del paese, spesso legate al carnevale». A Schignano il senso di comunità è ancora vivo, e il carnevale lega insieme uomini e donne, giovani e anziani, perché anche oggi da queste parti l’inverno è lungo e il tempo scorre lento, come quando gli emigranti uscivano al buio per andare lontano, oltre i monti. Ma la poesia cova sempre sotto la cenere, nella buona e nella cattiva sorte, nel rinnovellare quella parte magica e arcana che appartiene alla storia dell’uomo. E i versi di Pierluigi Gatti ricapitolano la bellezza dell’attesa, la notte prima della festa: «Tra i guanciali infreddoliti/ anch’io trepido/ attendo gli amici con le lanterne/ che facciano impazzire ai fianchi/ campane di bronzo./ Nulla ho pagato/ per essere felice».

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A WINTER’S TALE Nel progetto di Mattia Vacca va in scena l’anima più antica di un paese Dopo avere realizzato reportage in diversi paesi del Mondo, il fotoreporter Mattia Vacca negli ultimi anni è tornato ad interessarsi all’ Italia, ed è qui che, alla fine del 2011, ha iniziato il suo progetto: “A Winter’s Tale”. «Per più di tre anni ho realizzato un progetto documentario sul carnevale di Schignano sulle montagne del Lago di Como - afferma - mi è stato concesso uno straordinario accesso all’ intimità di una comunità notoriamente chiusa e ho vissuto situazioni normalmente precluse agli stranieri. Sono interessato ad un’ Italia “arcaica” che in alcuni luoghi resiste, a tradizioni importanti che vengono tramandate e portate avanti con orgoglio e passione dai giovani». «Il Carnevale di Schignano - commenta Emanuela Mirabelli - ha una portata molto più ampia di un semplice carnevale ed è la chiave di accesso ad una comunità molto coesa e solitaria, che dà vita e vive il carnevale come la sua espres-

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sione più antica e significativa. Più che una festa popolare è una vera e propria opera teatrale spontanea, anarchica, selvaggia, senza regole né leggi scritte, che sopravvive solamente grazie agli abitanti che la animano e agli artigiani che scolpiscono le maschere in legno». «Non si arriva a Schignano senza ascoltare un suggerimento del cuore - commenta Maurizio Pratelli, - perché qui occorre dimostrare di avere capito di quali sentimenti si nutre la sua fiera comunità. Così compatta e fedele alle proprie radici che ha saputo portare intatta fino a oggi una tradizione secolare come quella del suo Carnevale» A WINTER’S TALE di Mattia Vacca è stato realizzato in doppia lingua italiano ed inglese, curato da Emanuela Mirabelli, Photoeditor di Marie Claire, una delle photoeditor più apprezzate d’Italia. Gli autori dei testi sono Maurizio Pratelli, Emanuela Mirabelli e Luca Galli.


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di Emilio Magni

“Mai mètt el didin sott a la cova” Quando i ragazzi, con i nonni e gli insegnanti, scoprono i segreti della fattoria Ormai è diventato quasi un vezzo comune, in particolare tra la gente baciata da quella ordinaria cultura che viene quasi sempre dall’assidua frequentazione della poltrona posta davanti alla televisione, affermare con sdegno che ormai i bambini non sanno più niente del mondo animale, nemmeno di quello vegetale e sono più esperti di dinosauri (grazie ai cartoni animati) che di bovini e suini. In questo mondo dal sapere assai epidermico circola pure una leggenda metropolitana secondo la quale a un bambino delle elementari, al quale hanno chiesto con che cosa la mucca fa il latte, lui candidamente ha risposto: “Con le corna”. Forse tutto ciò è eccessivo. Però è pure vero che i bambini conoscono poco gli animali. Pertanto le insegnanti della scuola materna frequentata da mia nipotina hanno avuto davvero una bella idea di portare le scolaresche in una fattoria per mostrare ai bambini gli animali molto da vicino: buoi, mucche, cavalli, pecore, galline e altri. L’iniziativa è stata salutata con favore dai genitori e soprattutto dai nonni i quali si rendono conto che in questi tempi, così complicati e distratti, è difficile per un bambino conoscere a fondo gli animali. Ed è stato così che ad accompagnare gli scolaretti alla fattoria assieme alle insegnanti c’erano anche alcuni nonni. Grazie a queste vetuste presenze, i bambini, non solo hanno potuto conoscere abbastanza da vicino le bestie, ma hanno pure imparato i loro nomi in dialetto. Hanno saputo che un tempo il vitello si chiamava “büscin”, il maiale “ul purcèll”, il bue “l’era ul bó”, la gallina “la gaìna”, la pecora la “bérina”, il tacchino “ul pòll”. La “pitta” era la chioccia che covava le uova dalle quale poi uscivano “i purisétt”, i pulcini. Un nonno, ormai molto in là negli anni e che di dialetto ne sapeva più di tutti, ha spiegato che l’asino

in dialetto, non era come si dice adesso “l’asan”, o “el sumar”, era “ul boricch”: termine che purtroppo è scomparso dalla circolazione. La più singolare e curiosa di queste spontanee lezioni di dialetto rurale e zootecnico tenute nella fattoria è venuta da una nonna la quale nel momento in cui, con tutte le circospezioni del caso, era mostrata ai bambini una chioccia intenta a covare, ha detto di esserle tornato in mente un detto che ormai non si dice più. Qual è dunque questo modo di dire così caratteristico’? E’ “Mai mètt el didin sott a la cova”. Ovvero mai infilare un dito sotto la chioccia che sta covando. Che significato ha? Semplicissimo. Vuol dire “non rompere le uova nel paniere” (uno dei modi di dire più comuni) e in senso più generale: “non rompere un accordo”, o “non rovinare tutto”. La chioccia infatti, se disturbata, o addirittura spaventata, può abbandonare lì nel cestino le uova e andarsene per i fatti suoi. Avviene così che la covata va perduta. “Mai mett el didin sott a la cova” è anche un modo di dire usato da poeti e scrittore milanesi dell’Ottocento e del Novecento. Lo usa per esempio Camillo Cima, detto “Pinzo”, scrittore in dialetto milanese del Novecento, il quale era di origini ticinesi. Lo usa nella sua “Storia de Milan, dal princippi fin al dì d’incoeu”, un’opera che è una vera miniera di detti che sono ormai purtroppo scomparsi. Per il Cima, il modo di dire dei “didin sott a la cova”, per il Cima significa “sollecitare, stuzzicare qualcuno per farlo parlare”, ma anche “adulare, lusingare, lusingare”. Il Cima racconta che a stuzzicare qualcuno per farlo parlare furono, talvolta a Milano, i francesi, per sollevare la popolazione contro la dominazione austriaca.

Le parole che non tornano| Mag Febbraio 2015 | 95



di Paola Mascolo

Grafologa.Membro della Société Française de Graphologie, iscritta Associazione Grafologica Italiana e Associazione Grafologi Professionisti. Perito grafologo, consulente tecnico del Tribunale di Como e rieducatrice della scrittura.

IVANA SPAGNA CANTA LA VITA Possiede una disciplina ferrea e trova nel mondo artistico un rifugio. Creativa, ha buona immaginazione e grande attività di pensiero

Ivana Spagna,

58 anni, cantante

Ivana Spagna con la sua scrittura trasmette molto di sé confermando, anche attraverso lo scorrere della penna sul foglio, la sua forte propensione artistica. Affascinata dal mondo della cultura e delle cose belle, tanto da volerne attingere sempre. Una vocazione verso tutto quanto è immateriale e di valore che la porta spesso a distanziarsi dalla materialità perdendo un po’ di quella grande capacità pragmatica che ha nel suo bagaglio. Spagna trova nel mondo artistico un rifugio, un posto in cui accudire il suo animo sensibile e sempre fragile. Desiderosa di comunicare e di fare partecipi gli altri della sue scoperte, intraprendente e con uno spirito d’iniziativa che non si esaurisce, Ivana Spagna ha un’apertura alla vita che le dà quella carica e marcia in più che servono ad andare avanti a modo suo, ma la stessa apertura alle cose belle e la vocazione ad assaporare con intensità quel che la vita le porta sono per lei anche il punto di rottura, quello con cui confrontarsi e sentirsi spesso stranamente insoddisfatta. Una tensione interiore che viene sapientemente gestita nei confronti di chi la circonda, ma verso se stessa Ivana non ha mezzi termini e non addolcisce mai la

pillola, talvolta tanto da farsi un po’ mettere in crisi da sensi di colpa o dalla difficoltà di accettarsi. Lei è il suo più severo giudice. In lei c’è una tensione che fa emergere punti divergenti, dal materiale allo spirituale, dall’essere molto puntigliosa, precisa e puntuale, all’essere nel contempo curiosa di tutto e un po’ sbarazzina, dall’aver un marcato amor proprio al trascurarsi. Ivana conosce perfettamente i suoi limiti, anzi, talvolta se ne attribuisce alcuni che non ha. Possiede una disciplina ferrea, è capace di concentrarsi sui dettagli ed anche questo aspetto, se visto al suo estremo, la porta verso un mare aperto dove si perde l’obiettività e ci si sente sopraffatti da onde che sembrano troppo alte, perché le si guarda troppo da vicino. Creativa, ha buona immaginazione e grande attività di pensiero. Valuta il mondo in base ai valori del cuore, prediligendoli su quelli della ragione. E’ sempre alla ricerca di qualcosa che va oltre la quotidianità e la banalità, quasi se dovesse per forza andare nel profondo, non restare in superficie, forse per sentirsi al sicuro, protetta, lontana dal pericolo di perdere contatto con quello per cui crede valga la pena battersi e continuare a sperare. È molto cordiale, gentile, ha tatto e capacità di coinvolgere gli altri, ma nella sua indole è molto individualista. Ha lavorato tanto su se stessa per non sentirsi su un’isola deserta tutta sua. Una delle cose che più la spaventano è la solitudine, non quella che ogni tanto cerca per poter riflettere e stare in pace con se stessa, ma quella data dalla lontananza degli altri. Per Ivana è fondamentale sentirsi insieme a qualcuno, condividere un progetto o un’iniziativa, sentirsi forte perché non sola. Quando si sente apprezzata e ben voluta non ha più timori e anche il giudizio verso se stessa diventa meno tagliente.

Tutto in un tratto| Mag Febbraio 2015 | 97


di Laura D’Incalci

Una nuova sfida per Marituba L’impegno degli amici di Padre Aristide Pirovano per ampliare l’ospedale missionario in Brasile

La tradizionale serata natalizia dell’Associazione Amici di monsignor Aristide Pirovano, presso il Ristorante Riposo di Cesana Brianza, ha coniugato il messaggio di comunione del Natale con la proposta di sostegno finanzia98 | Mag Febbraio 2015 | Titolo articolo

rio al progetto di ampliamento del reparto chirurgico dell’ospedale di Marituba in Brasile. Il nuovo progetto, già avviato dall’associazione creata in ricordo di padre Aristide, missionario del Pime che proprio a Marituba

fondò un’imponente opera sanitaria per accogliere i lebbrosi in totale stato di abbandono, è stato presentato, dopo una breve introduzione di padre Raffaele Finardi, da fratel Gedovar Nazzari che fu “braccio destro” di monsignor Pi-


rovano nella sua impresa, e da alcuni “Amici” che di recente avevano visitato la missione brasiliana. Fra loro la presidente Enrica Sangiorgio col marito Franco e il presidente onorario dottor Luigi Farina, accompagnato dalla moglie Franca e dal figlio Carlo. Con una carrellata di immagini e il racconto di toccanti testimonianze, è stato delineato l’impegno di ampliamento del reparto chirurgico che comporterà una spesa di circa 200 mila euro.

Eventi | Mag Febbraio 2015 | 99



Doppio premio a “Un Lario da record” Al docufilm realizzato da Donatella Cervi sul lago di Como il “Regione Lombardia Award” e lo “Sport Award Bergamo” “Un Lario da record”: perfino il titolo del film di Donatella Cervi legittimava l’attesa, nel contesto di Sport Movies & TV 2014, edizione numero 32 del concorso mondiale della televisione e del cinema sportivo, le cui 14 “tappe”, organizzate dalla Fédération Internationale Cinéma Télévision Sportifs, FICTS, cui aderiscono 113 nazioni, sotto il patrocinio del Comitato internazionale olimpico si svolgono nei 5 continenti per concludersi a Milano. E infatti la nomination guadagnata da “Un Lario da record” nella sezione Documentary individual sport (una delle tre storie che lo compongono documenta l’impresa di Danilo Bernasconi, primato assoluto di immersione, 50 ore e 7 minuti, portato a termine nelle acque lariane) non è rimasta senza seguito: al film è stato assegnato il Regione Lombardia Award, riconoscimento che travalica l’aspetto sportivo comprendendolo nella speciale dimensione lacustre, cioè subacquea - riprese di Lorenzo Venturini - ma anche di terra - testi di Giuseppe Guin - e di cielo, con le canzoni di Simone Tomassini. E a “Un Lario da Record” è stato assegnato un altro premio, nell’ambito della prima edizione dello Sport Award Bergamo International Ficst Festival. La cerimonia di consegna avverrà il 23 febbraio a Bergamo.

Eventi | Mag Febbraio 2015 | 101



Engel & Völkers Lago di Como Festeggia i dieci anni di attività Oltre 150 persone alla festa per i dieci anni di Engel & Völkers Lago di Como, agenzia immobiliare leader del mercato e specialista nella vendita di immobili e residenze di prestigio sul Lago di Como, Lecco e Lago di Lugano. Tra i presenti, negli uffici di Cernobbio, nomi noti del territorio, avvocati, commercialisti, imprenditori e anche clienti internazionali. Nel corso della serata i vertici dell’immobiliare hanno sottolineato e ricordato 10 anni di successi pur in presenza di una crisi internazionale. «Nella nostra squadra che da dieci anni opera sul territorio - hanno sottolineato - ci sono dieci agenti in grado di rapportarsi con la clientela in dieci lingue diverse, una garanzia per affrontare anche i prossimi anni, con la sicurezza di nuovi successi»

Titolo articolo Eventi ||Mag Mag Febbraio Febbraio2015 2015 | 103



Foto Stefano M. Bartesaghi

Alla Fiera di Sant’Antonio Festa ad Erba con le confraternite brianzole. Folclore e tradizione attorno al “falò del purcel” Alla fine anche il sole ha fatto visita alle migliaia di persone che si sono riversate tra le bancarelle di Erba Alta per il tradizionale appuntamento con la Fiera di Sant’Antonio. E giusto per restare in tema, non è mancato neppure il dibattito seguito all’esito “falò del purcel” che ha visto l’animale in cartapesta cadere all’indietro e bruciare tra le lingue di fuoco. Insomma, questo 2015 andrà bene o male a Erba? Dipende da come cade il maiale nel falò. Ma è questo il punto. Ognuno sembra ricordarsela a modo suo e allora… quel che sarà, sarà. Della tradizione resta l’appuntamento con la messa delle Confraternite che ha mobilitato oltre cento confratelli provenienti da un po’ tutta la Brianza mentre il programma del Comitato organizzatore ha proposto anche il concerto dei campanari di Bergamo e quello dell’Accademia Europea di musica. «È andata benissimo - ha commentato soddisfatto Enrico Gafforelli a capo del comitato che da cinquant’anni organizza l’appuntamento - e anche la pioggia ha voluto rispettare il nostro sforzo».

Eventi | Mag Febbraio 2015 | 105



Metti una sera a cena Serata conviviale con i volontari e gli ospiti della Piccola casa Federico Ozanam

Dagli antipasti con raffinati vol au vent al salmone al classico panettone servito con creme, un ricco menù ha alimentato il calore della festa natalizia fra le pareti della Piccola Casa Ozanam che ospita una trentina di senzatetto. A organizzare la cena, seguita alla tradizionale messa di Natale presieduta dal vescovo Diego Coletti nella cappella della stessa struttura di via Cosenz, hanno provveduto La Stecca di Como rappresentata dalla Rosa delle Rose dell’associazione Silvia Baratelli, le Classi ’55 ‘56 ’58 ’60 insieme ai volontari di Siticibo-Banco Alimentare della Lombardia, sostenuti da diversi sponsor fra i quali il ristorante Il Grillo e la pasticceria Luisita. «La partecipazione di tanti amici e benefattori alla serata ha reso concreto il senso di solidarietà che sostiene l’opera nella normaTitolo articolo Eventi | Mag Febbraio 2015 | 107



le quotidianità» ha commentato il presidente dell’Ozanam Enrico Fossati ringraziando per il coinvolgimento di numerose associazioni ed enti - fra gli altri i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, gli Alpini, il vicesindaco del Comune di Como Silvia Magni e l’assessore Bruno Magatti - espressione di sostegno ai progetti di riabilitazione e inserimento sociale degli ospiti della struttura. A fare gli onori di casa l’anima storica dell’Ozanam, Angelo Palma, che ha ricordato la storia della preziosa istituzione comasca, ma ne ha anche tracciato gli ambiziosi progetti futuri dell’ente, legati alla necessita di adeguarsi ai cambiamenti sociali e alle nuove povertà che segnano la nostra società.

Eventi | Mag Febbraio 2015 | 109



di Serena Brivio

La felpa fa tendenza Sarà il clou della stagione uno dei capi più facili e portabili

Si è diffusa come un’epidemia con l’avvento dello sport chic: la felpa un tempo divisa da tempo libero è diventata un passe-partout, da infilare al posto del pullover anche sotto la giacca più classica. Adatta quindi per fare jogging piuttosto che presenziare a una riunione di lavoro. «Sempre più urban - spiega Marco Cas-

sina, titolare della boutique PeterCi di Como - Diciamo subito che è uno dei capi più facili e portabili. Non emargina nessuna taglia, come tanti altri outfit che esigono un fisico da modello». Dimenticati gli echi street, appare sempre più ricercata, ricca di dettagli e tocchi glamour. Fa la parte del leone sia tinta unita che fantasia: a rombi, quadri, scacchi, con fantasiose stampe. In tessuti morbidi e avvolgenti che spaziano dal jersey al cachemire, al velluto. «Le varianti più ricche- spiega il consulente moda - presentano colli e inserti in pelliccia vera o finta. Quello che è indispensabile è il cappuccio che nel look di quest’anno fuoriesce da un blazer piuttosto che dal tradizionale completo. Grande libertà quindi negli abbinamenti, da declinare secondo il proprio stile, quel che dimostrano ogni giorno star e celebrities sulle più patinate riviste di moda». I colori giusti sono quelli ispirati alla natura: grigio, rosso scuro, viola, verde inglese, e naturalmente nero.Sì perché ormai si può andare felpati persino agli special event.

Idee s(fashion) | Mag Febbraio 2015 | 111


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di Luca Meneghel

La Street art di Mr. Savethewall Un modo per lanciare messaggi forti, provocatori, di critica o di denuncia Internet e i social network sono ormai un mezzo di comunicazione fondamentale per gli artisti contemporanei, forse ancora di più del tradizionale circuito delle gallerie. La tesi vale in particolare per gli esponenti della Street Art: basti pensare al celebre e misterioso Banksy, l’artista di Bristol che pubblica ogni opera in tempo reale sulla rete prima che venga fatta rimuovere dai muri delle città. Internet riveste la stessa importanza anche per il comasco Mr. Savethewall, al secolo Pierpaolo Perretta, che nel giro di pochi mesi - dopo aver abbandonato una sicura carriera da manager - si è ritagliato uno spazio importante nel panorama dell’arte contemporanea. Mr. Savethewall, oltre che un artista intelligente, è un sito (http://www. savethewall.it/) pieno di colori e di sorprese, un account su Twitter per esprimere opinioni e uno su Instagram per mostrare al pubblico le opere, senza contare ovviamente Facebook - che resta il canale privilegiato per mantenere i contatti con più di tremila appassionati - e YouTube. Il visitatore del sito viene colpito immediatamente da un primo piano dell’artista. Per entrare nel suo mondo basta scorrere il dito sul mouse: Mr. Savethewall si definisce uno «street artist unconventional» impegnato a realizzare «i propri lavori con stencil su cartone che attacca in modo non permanente sui muri con nastro adesivo personalizzato». Un modo per lanciare «messaggi forti, spesso provocatori, di critica o di denuncia della contemporaneità, fornendo così una visione personale della società spaziando dal mondo della cultura alla

pubblicità, dalla politica alla religione». Non manca la sezione notizie, per seguire l’artista nei suoi progetti in continua evoluzione tra una fiera a Bologna e una conferenza sull’arte contemporanea. E poi ovviamente c’è la galleria delle opere suddivise tra quelle conservate nelle gallerie, quelle appartenenti a collezioni private, quelle nate come quadri e quelle che rientrano nel gruppo delle installazioni. Insomma, un vero e proprio museo virtuale sempre aggiornato con le ultime creazioni. Completano il quadro una ricca rassegna stampa e una sezione in cui

iscriversi per ricevere la newsletter di Mr. Savethewall, con le novità e gli appuntamenti dal mondo dell’artista comasco. Da ogni pagina del sito è possibile raggiungere Perretta sui principali social network. E qui il discorso si fa ancora più interessante. Su Twitter (@mrsavethewall) l’artista comunica con il mondo, presentando la propria opera e rispondendo personalmente a tutti. Su Facebook la pagina “Mr. Save The Wall” è un cantiere aperto: immagini, opere d’arte proprie e altrui, articoli di pubblico interesse, opinioni personali; insomma, una piazza virtuale dedicata all’arte contemporanea. Molto divertenti sono poi i video caricati da Perretta su YouTube (il canale dell’artista è “STW SAVETHEWALL”): tra gli ultimi video pubblicati, un tutorial per

imparare a disegnare Topolino (per la gioia della figlia e di tanti aspiranti fumettisti). Da segnalare è anche l’account di Istagram “savethewall”: il social network delle fotografie è utilizzato dall’artista comasco per pubblicare in tempo reale le proprie creazioni, lasciandosi spesso ispirare dall’attualità. Non sono mancati, a poche ore dagli attentati che hanno colpito la redazione del giornale satirico francese “Charlie Hebdo”, vignette di solidarietà alle vittime e a favore della libertà di espressione.

SEGNALAZIONI

FABRIZIO MUSA www.fabriziomusa.com Il sito ufficiale di un altro celebre artista comasco, autore di opere che campeggiano sui muri della città ASSESSORATO ALLA CULTURA www.cultura.comune.como.it Il sito dell’assessorato alla cultura del Comune di Como, con tutti gli appuntamenti in programma tra mostre e concerti. FAR - FONDAZIONE ANTONIO RATTI www.fondazioneratti.org ll sito della fondazione artistica comasca.

Hai un sito dedicato a Como, al Lario e al territorio circostante? Vuoi segnalare un blog ai lettori del MAG? Scrivi una mail all’indirizzo navigazionilariane@yahoo.it

Navigazioni Lariane | Mag Febbraio 2015 | 113



Il Cavallo Californiano Il libro di Mino Spadacini e Anna Scolari Il primo libro in Italia che svela i segreti su come usare e addestrare il cavallo con l’uso dell’Hackamore e dello Spade Bit (antica, magica e raffinata arte californiana di origini spagnole). Mino Spadacini, nato a Como da famiglia milanese nel 1944, mette nero su bianco tutti gli insegnamenti da lui ricevuti nel suo periodo californiano a diretto contatto con gli ultimi Vaqueros e con i loro segreti tramandati di padre in figlio! Il libro, con i testi raccolti dalla comasca Anna Scolari, conta anche più di 120 disegni (tutti assolutamente dell’autore e corredati di firma), che descrivono insieme al testo le varie fasi da seguire per far diventare un cavallo un vero Bridle Horse! Tantissime tavole tecniche ed esplicative che toccano argomenti come dare forma a un Bosal, fino a come realizzare i nodi del Mecate (corda di crini) e fra le varie descrizioni anche come è fatto un Santa Barbara Spade Bit (morso classico dei Vaqueros ca-

liforniani). Verba volant, scripta manent (le parole volano, gli scritti rimangono)! Ecco perché Mino Spadacini ha voluto mettere per iscritto tutto quello che il suo maestro George Rose (uno degli ultimi Vaqueros) gli aveva insegnato negli anni ’70 durante il suo trascorso californiano passato a diretto contatto con lui e con il mondo del California Style. Sarebbe stato un peccato che tutti questi preziosi segreti fossero “volant”: spariti nel tempo.

Mino Spadacini “Il cavallo californiano” Fabbrica dei sogni editore 15 euro

FINESTRE DI CITTÀ L’acquaforte di Terragni riprodotta in copertina, con Porta Torre e le sue finestre aperte alla città, è l’emblematica materializzazione dell’intento editoriale che anima quest’opera. Finestre come sguardi, orientati in più direzioni, volti a scorgere, analizzare e cercare risposte ai problemi di una comunità. Di questi acuti sguardi dell’autore, l’avvocato Luigi Fagetti, il volume raccoglie e presenta una summa, costituita da scritti, lettere aperte e articoli di giornale. Il piano dell’opera è diviso infatti in tre sezioni principali: “Finestre di storia e di vita” (in cui si rincorrono temi quali Como, l’avvocatura, il giornalismo, il calcio, i maestri, il club di servizio); “Finestre di cronaca e di attualità” (in cui dell’eterogenea produzione giornalistica di Fagetti è presentata un’ampia scelta, distribuita su un arco temporale quasi ventennale); “Le Finestre originali” (una riscoperta di gustosissimi “esperimenti” giovanili, a metà strada tra scrittura creativa e reportage urbano, apparsi su “L’Ordine” a metà degli anni ‘50). Luigi Fagetti “Finestre di città” Nodo Libri 14 euro

Scaffale | Mag Febbraio 2015 | 115



di Bernardino Marinoni

Frontaliers Due Nella dogana più frequentata del cinema “local” entra in scena la compagnia dei Legnanesi “Frontaliers 2”, e Bizzarone sempre. La dogana più frequentata del cinema “local”: con il secondo mediometraggio della coppia Paolo GuglielmoniFlavio Sala - alias Loris J. Bernasconi, guardia di frontiera, e Roberto Bussenghi, frontaliere, in diuturna schermaglia - vi vede transitare - ospiti speciali - i primattori della compagnia dei Legnanesi. Una convergenza mediatica, si potrebbe dire, tra Canton Ticino e Lombardia, che amplifica l’operazione di successo di “Frontaliers” (più precisamente “Frontaliers al cimena: qui si parla itagliano”: deliberate le sgrammaticature, perché film e DVD s’inseriscono in un progetto ticinese di salvaguardia e valorizzazione dell’italiano “lingua di frontiera”). L’apparizione dei Legnanesi è quasi una saldatura tra diversamente consolidate forme di intrattenimento popolare che il confine non può (più) separare. Nello sketch che li riguarda, i Legnanesi figurano naturalmente parenti del frontaliere che arriva tutte le mattine a Bizzarone, come da jingle della serie (che all’occasione diventa addirittura una sinfonia eseguita dall’Orchestra della Svizzera italiana, quella vera, nella buffa contaminazione di realtà e fantasia del film), provenendo da Usmate Carate. Paese immaginario, ma non troppo, perché tra le battute del nuovo film - e nel DVD cui il mediometraggio ha fatto da traino - c’è una citazione toponomastica precisa, quella di Uggiate Trevano. Per chi ricorda, ad esempio, che la moglie del Bussenghi sarebbe

di Lurate Caccivio, a parte la ricerca di toponimi composti perseguita con una certa perversione, la geografia di “Frontaliers” sul versante comasco è di simpatica esattezza quando vuole definire l’area sulla quale si proietta. La dogana di (Brusata)-Bizzarone, del resto, è proprio quella che conosciamo, per quanto “Frontaliers” ne faccia il punto che due mondi e due mentalità, pur a stretto contatto quotidiano, non riescono a doppiare. Questa volta sono i marosi della lingua ad abbattersi sulla coppia, più transnazionale perfino di Aldo, Giovanni e Giacomo ai tempi televisivi del signor Rezzonico, del gendarme Huber e dello stilista Gervasoni, di cui Guglielmoni e Sala sono interpreti irresistibili

nell’incarnazione di due maschere del nostro tempo, ormai popolarissime. Dietro l’ironia degli svarioni del titolo, il bersaglio è l’italiano “regionale” che in più di un caso sembra offrirsi alla spassosa berlina cui lo espone il film, non diversamente della sapida satira che “Frontaliers 2” riserva alla corrente anglofonia. La colonna di auto in dogana si trasforma in una classe scolastica a cielo aperto, nel manifesto intento di castigare, ridendo, il malcostume di un’italofonia sempre meno corretta. Basti dire che la campagna di “Frontaliers” in difesa della lingua italiana fa comparire in dogana, a Bizzarone dunque, perfino il fantasma sconfortato di Dante, invisibile se non agli occhi del Bussenghi. Ma ci sono anche personaggi che il pubblico di “Frontaliers” ben conosce, ritrovando quindi nella canonica ambientazione doganale un piccolo mondo transfrontaliero, sebbene ridotto a sketch. Ma con la carica che la coppia di interpreti protagonisti è lungi dall’esaurire: l’ameno, infinito duello tra guardia di confine e frontaliere a questo punto potrebbe transitare in vera e propria fiction, come è stato auspicato dall’altra parte del confine, lasciando più ampio respiro alla fantasia comica della coppia. Imprescindibile il valico di Bizzarone: «Per forza - hanno dichiarato in un’intervista Paolo Guglielmoni e Flavio Sala - al cuore non si comanda».

Grande schermo | Mag Novembre 2014 | 117



di Marinella Meroni

I mini cani da borsetta In Italia è scoppiata la mania dei cani di piccola taglia, anzi piccolissima. Una “moda”nata negli Usa e lanciata dalle star hollywoodiane da Paris Hilton a Scarlett Johansson, Britney Spears,Mickey Rourke, Madonna etc. Sono i cani toy sfoggiati dentro le borsette, meglio se griffate, come status symbol. Si tratta di creature miniaturizzate, grandi come una tazza di tè e spesso con gravi difetti genetici. Le razze in voga pronte ad essere imborsettate sono: chihuahua, yorkshire, shih-tzu, maltesi e volpini di Pomerania. I toy sono venduti di solito su internet o in qualche negozio (spesso arrivano dall’est) facendo credere che sono razze nuove e pregiate, vendute a caro prezzo. Chiariamo subito le razze toy non esistono! Lo dichiara FCI (Fédération Cynologique Internazionale) ente che gestisce gli standard di tutte le razze e non riconosce alcuna razza toy, salvo quella del barboncino. Oggi le sole misure e pesi ammessi per ogni razza riconosciuta è indicata negli standard morfologici di FCI e ENCI (ente nazionale cinofilia italiana) che specifica per i Chihuahua un peso fra 1.5/3 Kg; Yorkshire terrier un peso di kg. 3,1; Carlino tra 6,3/8,1 kg; Shih-tzu una altezza al garrese di cm 52 nei maschi e 46 nelle femmine; Maltese il peso tra 3/4 Kg. e l’altezza al garrese di cm.25 nei maschi e 23. nelle femmine; Volpino di Pomerania altezza cm 20 al garrese. Un cane venduto falsamente come razza “Chihuahua Toy”, è in realtà un Chihuahua fuori standard e poco pregiato. Un allevatore serio non alleverà mai toy, perché si tratta in qualche modo di uno scempio della razza, di una forzatura portata all’estremo da chi non ha a cuore il bene dei cani, la loro salute e la loro razza, ma volta solo a far quattrini. I mini cani anche se fuori standard o malati, possono essere venduti con il Pedigree, atto che attesta la purezza della razza e non indicando mai “toy”, in Italia rilasciato da ENCI a seguito di denuncia di nascita di cuccioli che abbiano entrambi i genitori e nonni appartenenti alla stessa razza e a loro volta con Pedigree. Ad es. se un cucciolo è venduto come “Yorkshire Teacup”(razza inesistente) è invece indicato nel Pedigree (sempre che l’abbia e sia regolare) come razza Yorkshire Terrier. Poi spesso sono dati certificati falsi o promesse di invio di pedigree a pratiche pronte, che di fatto non verrà mai spedito. Come non bastasse sono anche vendute per nuove ed esclusive razze di incroci tipo YorkshireChihuahua Toy con tanto di pedigree (falso). ENCI non rilascia certificati per cani nati da incroci considerati meticci. Ma il più grave aspetto è che la forzatura genetica per ottenere cani sempre più miniaturizzati causa loro gravi malattie: nanismo, rachitismo, problemi neurologici, convulsioni ,crisi ipoglicemiche, epilessia,malattie cardiache, infiammazioni croniche agli occhi,cifosi,etc. Patologie che obbligano a cure continue con ingenti esborsi, e purtroppo la loro vita dura circa 5anni in meno rispetto a quella dei cani normali. Molti vogliono queste minicreature, convinti anche che non necessitano di correre, giocare con altri cani e di stimolazione mentale, negandogli di sviluppare un normale comportamento canino, rendendoli frustrati e stressati. I cani hanno esigenze e dignità che vanno rispettate prime fra tutte, quella di camminare sulle proprie zampe. Informatevi bene sulla razza e non fidatevi di chi tenta di rifilarvi un Toy. Questo commercio deve fermarsi. Volete un cane, andate al canile, lì non troverete pregiati Pedigree ma creature che vi daranno una riconoscenza e amore infinito!



di Tiziano Testori e Francesca Bianchi

Anche gli impianti dentali si possono ammalare Gli impianti endo-ossei sono una soluzione terapeutica straordinaria che negli ultimi decenni ha permesso di riabilitare milioni di pazienti nel mondo, con percentuali di successo molto elevate, superiori al 90%. Tuttavia anche gli impianti che sostituiscono le radici dei denti persi possono ammalarsi; la patologia che fa ammalare il tessuto di supporto a livello dei denti è chiamata parodontite (anche chiamata, con termine poco scientifico, piorrea), mentre a livello degli impianti prende il nome di peri-implantite. Il termine peri-implantite indica un processo infiammatorio irreversibile che colpisce i tessuti molli (gengiva) ed i tessuti duri (osso) attorno ad un impianto endoosseo, determinandone la progressiva distruzione. L’infiammazione esordisce come “mucosite perimplantare”, che colpisce solo la gengiva e che se curata tempestivamente va incontro alla completa remissione. Questo processo normalmente si instaura in assenza di sintomi, ed è causato da una serie di fattori che sono ad oggi oggetto di studi scientifici. In alcuni Pazienti la perdita ossea può avvenire piuttosto precocemente dopo il posizionamento dei denti artificiali supportati da impianti, mentre per altri la malattia si può sviluppare molti anni dopo. La peri-implantite è una patologia complessa in cui numerosi fattori sono coinvolti: fattori legati al paziente, condizione locale dei tessuti che circondano l’impianto, il tipo di impianti utilizzati.

Il trattamento delle peri-implantiti è efficace nelle fasi più precoci di insorgenza della malattia, ma diventa molto complesso, e talvolta inefficace, se la patologia non è stata diagnosticata tempestivamente. Le principali armi che abbiamo per contrastarla sono rappresentate da un attento e personalizzato programma di mantenimento parodontale unito a due fattori: diagnosi precoce ed oculata scelta del sistema implantare utilizzato. Alla luce delle più recenti evidenze scientifiche, il vostro Implantologo vi consiglierà l’utilizzo dei sistemi implantari che ai trial clinici risultano meno soggetti a questo tipo di complicanze. Inoltre è fondamentale che il Paziente si sottoponga a controlli clinici e radiografici periodici, e a sedute di igiene professionale la cui frequenza deve essere concordata con l’Implantologo e con l’Igienista Dentale. Recenti linee guida della Società Italiana di Osteointegrazione sottolineano come queste sedute debbano avere luogo ogni 3-4 mesi nel primo anno e successivamente con una cadenza stabilita a discrezione dei professionisti in base alla risposta individuale del Paziente. La migliore garanzia per il successo a medio-lungo termine delle riabilitazioni implantari risiede proprio nella costanza nelle corrette manovre di igiene domiciliare secondo le istruzioni specifiche impartite dall’Igienista e nei controlli regolari che permettano eventualmente di intercettare in fasi precoci l’insorgenza della perimplantite.

Prof. Tiziano Testori www.tizianotestori.eu Docente al Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Università degli Studi di Milano

Dott.ssa Francesca Bianchi

Laureata in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Docente presso il Corso di Alta Formazione in Implantologia Orale IRCSS Istituto Ortopedico Galeazzi - Università degli Studi di Milano

Il bello della salute | Mag Febbraio 2015 | 121



di Eugenio Gandolfi

Academia Skin Care Prendetevi cura delle mani Academia Day Clinic è una clinica diurna dotata di supporti tecnologici d’avanguardia, dove specialisti altamente qualificati sono a vostra disposizione per consigliarvi e guidarvi nella scelta dei migliori trattamenti estetici per risolvere ogni tipo di problema. Contro gli inestetismi e le macchie, la pelle secca e le vene in evidenza delle mani Academia Day Clinic ha la soluzione perfetta per dare loro nuova vitalità, per contrastare e ritardare la comparsa di segni e rugosità garantendo mani perfette e sempre giovani. Spesso trascurate e costantemente esposte ad agenti chimici come detersivi e saponi o soggette a sbalzi di temperature e smog, le mani, sono la parte del corpo che più di ogni altra subisce il processo di invecchiamento cutaneo. Academia Skin Care è un servizio esclusivo di Academia Day Clinic pensato per tutte le donne che vogliono ridare tono e vitalità alle proprie mani. La Skin Care Specialist Filina Di Stefano è a completa disposizione di tutti i clienti. Nel corso del primo incontro il paziente viene sottoposto ad un attento check-up che permetterà alla specialista di capire in che modo sta invecchiando la pelle, i punti deboli e la tecnica d’intervento. Academia Day Clinic utilizza sempre tecniche moderne e sicure per contrastare l’invecchiamento cutaneo delle mani e ridare forma alla pelle, la Skin Care Specialist a seconda del caso specifico potrà proporre la migliore tipologia di intervento alla quale farà seguito una visita medica con lo specialista più indicato. • Spectra®, Laser Q-Switched Il laser Q-Switched prodotto da Lutronic® è rapido e preciso e permette di intervenire efficacemente contro efelidi, cheratosi, alcune tipologie di iper-pigmentazione e in caso di nei benigni. Non è necessaria alcuna anestesia e l’intervento è di tipo ambulatoriale. • Solari®, Luce Pulsata La luce pulsata è un’ innovativa apparecchiatura di Lutronic® e permette di risolve-

re in poche sedute la maggior parte dei problemi cutanei tra cui couperose, inestetismi vascolari, può essere anche utilizzata per l’epilazione e il ringiovanimento della pelle. Il trattamento si svolge in ambulatorio e senza anestesia.

Ottenuto in laboratorio è utilizzato come principio attivo per rivitalizzare e stimolare i tessuti oppure come vero e proprio gel riempitivo (filler). Il trattamento, svolto in ambulatorio, è “mini-invasivo”, sicuro e garantisce la naturalezza del risultato. • Trapianto di Tessuto Adiposo ovvero Lipostruttura La lipostruttura consiste nel prelevare il grasso eccedente in altre parti del corpo ad esempio girovita, braccia, cosce e trasferirlo nelle zone che stanno perdendo elasticità e tono per rassodarle e “riempirle”. Prima del trapianto, il grasso viene depurato in modo che attecchisca più facilmente e si possa inserire naturalmente nel nuovo ciclo biologico. Il grasso inserito nello spessore dei tessuti con minuscole gocce, non verrà riassorbito oltre a rilasciare nel tessuto cellule staminali ridarà volume e tonicità alla pelle delle vostre mani. L’intervento viene eseguito in anestesia locale.

• Filler e Biostimolazione con Acido Ialuronico L’acido ialuronico è un tipo di zucchero presente nel nostro organismo ed è fondamentale per la pelle perché è presente nei tessuti connettivi. Questa sostanza nei primi anni di vita viene prodotta in quantità maggiore ma in età adulta progressivamente si riduce. Le sue proprietà sono innumerevoli, è in grado di assorbire acqua allo stato liquido o gassoso e quindi regola l’idratazione dei tessuti contribuendo a creare una barriera contro virus e batteri, possiede altresì proprietà antiossidanti e contrasta i radicali liberi che causano l’invecchiamento cellulare.

Filina Di Stefano

Skin Care Specialist filina.distefano@academiadayclinic.ch

Da Academia Day Clinic ogni paziente è seguito con molta cura in tutte le fasi del trattamento. Tutto lo staff è a vostra completa disposizione per rendere la vostra esperienza piacevole e serena. Visitate il sito www.academiadayclinic. ch scrivete per ricevere informazioni più dettagliate e scoprire come presso questa struttura la scienza incontri la bellezza.

Academia Day Clinic

Il luogo in cui la scienza protegge, cura e ricrea la vostra bellezza, con e senza bisturi e con risultati sempre naturali è a Chiasso, nel Quartiere Arcadia, in via Livio 20, tel: +41(0)91 682 62 62. Numero riservato alla clientela italiana, tel: 031 30 30 03. E da oggi, con il nuovo sito, anche su Internet all’indirizzo www.academiadayclinic.ch Il bello dellaarticolo salute ||Mag Titolo Mag Febbraio Febbraio2015 2015 | 123



di Franco Brenna

Expo 2015 e stili di vita per un anno in salute Mi ispiro ad un pezzo di Carlotta Clerici apparso sul Corriere della Sera in uno dei primi giorni del nuovo anno per trasmette a tutti gli amanti delle pagine del “Bello della Salute” un ben augurale invito ad assumere nel corso del 2015, anno di EXPO, condotte di vita migliori per: 1) stare meglio 2) mangiare più sano 3) conoscere - leggere sapere - di più 4) spendere meno

che invitino ad un’attenta, lenta e meditata masticazione, diminuire drasticamente il consumo di super alcolici, di grassi animali, di dolci e di sostanze delle quali non si conoscano i primari livelli qualitativi quali i “cibi schifezza” anche conosciuti come cibi sottocosto. In questo modo diminuiremo il rischio di malattia cardio

L’articolo di riferimento, con i punti sopra elencati, era dedicato a proponimenti indirizzati, soprattutto, alle piacevolezze della vita. Voglio tuttavia “fare miei” questi quattro punti traslandoli nel mondo della Salute, sensibilizzato dal fatto che i problemi oncologici (tumori!), che sempre maggiormente colpiscono il genere umano, stanno sempre più affilando le loro lame mettendo in atto meccanismi di attacco a volte subdoli dimostrandosi, insieme alle malattie del sistema circolatorio (Infarti e ictus), spesso inesorabili. STARE MEGLIO sta a significare assumere stili di vita più consoni, più sobri quali l’eliminazione del fumo compulsivo di sigarette, provvedere ad impostare un programma di Attività Fisica meglio di tipo aerobico come camminare speditamente, andare in bicicletta, remare, nuotare, fare ginnastica a corpo libero e/o con semplici attrezzi costruito su almeno tre appuntamenti settimanali con sessioni che devono durare non meno di 40’. In questo modo i vostri polmoni vi sorrideranno e il vostro cervello libererà endorfine facendovi sentire più contenti e liberi. Sarete più brillanti e ottimisti.

vascolare, diabete e malattie degenerative del sistema nervoso centrale e periferico quali le varie forme di Demenza Senile, Morbo di Alzhaimer e molte altre correlate. SAPERE DI PIù vuole suggerire di affidarsi maggiormente a coloro che possono meglio informarvi, consigliarvi e che più di ogni altra persona conoscono il vostro corpo e la vostra mente: i vostri Medici di fiducia. Non abusate di Internet e non fate, attraverso esso, i medici di voi stessi. Valutate attentamente tutte le informazio-

ni – sovente mendaci – che pervengono dalla rete evitando falsi imbonitori e ciarlatani 2.0 che vi promettono miracoli sottocosto che neppure la Beata Vergine del Soccorso riuscirebbe, impegnandosi molto, ad esaudire. Abbiate invece fiducia del Medico che vi sa ascoltare, che a voi si interessa, che con voi vive e conosce come e dove affrontare i vostri problemi: dalla rughetta intorno alle labbra fino al cancro e che soprattutto sa insegnarvi la Prevenzione dei malanni, la vera Medicina del Futuro. SPENDERE MENO vuole suggerire di attenersi con rigore e regolarità a tutto quello sopra menzionato senza per forza sentirsi talebani od ortodossi del proprio benessere. Solo agire con rigore e regolarità. Per entrare nel mio campo di pertinenza che come bene sapete sono le Sacre Zanne, significa che prima di ogni aspetto funzionale, clinico od estetico, è fondamentale mantenere, a casa propria, una condotta responsabile costruita sulla Prevenzione Primaria che vuol dire alimentazione appropriata, detersione dei denti e degli spazi interdentali almeno due volte al giorno, sulla Prevenzione Secondaria attuata attraverso i controlli biannuali dal vostro Dentista di Fiducia (meglio se vi conosce davvero da tanto tempo rispetto ad “uno di passaggio”...) e infine sulla Prevenzione Terziaria costruita sull’immediata e tempestiva terapia, anche dei piccoli problemi, prima che i danni diventino enormi. Avremo in questo modo, semplice ed economico, saputo essere più sani, più belli e più risparmiosi con noi stessi.

MANGIARE MEGLIO sta a significare assumere almeno quattro o cinque porzioni di frutta al giorno, preferire cibi che mettano bene in funzione le Sacre Zanne e

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di Alessandra Uboldi ARIETE 21 marzo - 20 aprile Sarete felici per nuovi rapporti di amicizia soprattutto tra gennaio e marzo mentre tra maggio e luglio potreste fare un viaggio sempre rimandato da tanto tempo. Settembre e ottobre sono mesi più impegnativi per l’opposizione di Mercurio. Urano nel vostro segno vi spinge ad attività sportive di ogni tipo: dalle corse campestri alle scalate anche da febbraio per culminare nell’estate dove esploderà la vostra carica vitale. Avrete novità nell’ambito familiare con innovazioni e ristrutturazioni sotto l’impulso di Saturno ma fate attenzione alle discussioni riguardanti l’amministrazione di famiglia.

LEONE 23 LUGLIO - 23 AGOSTO I desideri sessuali saranno vigorosi e per tutto l’anno farete la felicità di chi vi sta vicino perché vi si leggerà l’amore con appagamento sentimentale. Ispirerete fiducia e sicurezza e gli amici vi saranno ancora più vicini approvando la vostra generosità e ammirando la convivialità. Fate attenzione a chi vi critica e lasciate perdere gli invidiosi. Occuperete il tempo libero con letture interessanti, buona musica. In famiglia risolverete molti problemi sospesi anche se Saturno influirà negativamente. Sul lavoro nulla sarà precluso con colpi di fortuna che Urano favorirà per cui si raggiungeranno vette insperate.

TORO 21 APRILE - 20 MAGGIO Evitate di essere troppo disponibili con nuovi conoscenti perché Mercurio è in quadratura in Acquario per cui meglio evitare pettegolezzi e chiacchiere. Godrete del tempo libero con molta gioia (Saturno ha abbandonato la sua influenza negativa) che avrà ancora qualche strascico nell’ambito familiare per cui sarà bene limitare le discussioni che saranno inerenti il denaro per contrarietà sulla gestione domestica. Buono lo stato di salute che manterrete con una sana alimentazione mentre nel lavoro tra gennaio e marzo vi sentirete oppressi e insofferenti verso l’ambiente di lavoro ma riuscirete a mantenere buoni rapporti con i colleghi.

VERGINE 24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE Qualche viaggetto sarà utile a staccare dalla routine e dalle tensioni che in famiglia saranno notevoli perché Saturno vi lascerà spazio da metà giugno a metà settembre ed allora potrete chiarire i punti divergenti. Il lavoro è sempre impegnativo e costante ma anche se con fatica i risultati saranno verso l’alto ed anche chi lavora al vostro fianco si accorgerà di quanto importante sia la vostra presenza. A voi non bisogna insegnare il risparmio perché siete risparmiosi all’eccesso e l’azzardo non fa parte del vostro Dna e preferite la formichina alla cicala.

GEMELLI 21 MAGGIO - 21 GIUGNO L’anno sarà all’insegna dei viaggi (gennaio, marzo, agosto) sempre con amici con scelte diverse e intelligenti come quelli enogastronomici, culturali, naturali. Buone prospettive nell’ambito familiare dove potrebbero esserci rinnovamenti e iniziative che coinvolgeranno tutti i componenti ma dovrete fare bene i conti perché da agosto Giove è conflittuale e potreste dover fronteggiare spese impreviste. Fate attenzione ai vostri disturbi di insonnia, tensione , tremiti perché fanno parte della vostra tipologia ma non esagerate nel volervi impegnare con sport estremi che non vi si confanno. Protetti da Mercurio avrete l’appoggio di Giove fino ad agosto. CANCRO 22 GIUGNO - 22 LUGLIO Ottimi i rapporti con gli amici che gradiranno la vostra compagnia scoprendovi colloquianti, piacevoli, scherzosi e tra i quali potreste scoprire un nuovo amore. Il tempo libero sarà dedicato all’approfondimento culturale ed a organizzare viaggi con ottime compagnie. Non vi sentirete al top della forma con qualche disturbo reumatico perciò curate l’alimentazione e affidatevi a metodi naturali. Non facilissimo il lavoro anche se gratificante perché al vostro servizio avrete Nettuno che vi regalerà facilità di intuizione ma guardatevi da certi colleghi invidiosi. Da settembre possibilità di affari interessanti.

BILANCIA 23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE Sceglierete tra i numerosi amici ed eliminerete quelli meno vicini a voi tenendo presente la profondità dei sentimenti che vi legano. Il vostro tempo libero sarà ricco di amici, ritrovi, giochi di società, pedalate, visite in campagna. Dovrete gestire gli impegni familiari con calma evitando tensioni. Avete una marcia in più sul lavoro per realizzare ciò che desiderate, cambiare se scontenti, nuove assunzioni per chi è in ricerca di impiego. Nell’ambiente di lavoro avete l’appoggio dei colleghi e dei collaboratori che è totale perché ammirano in voi la simpatia e la professionalità. Mercurio vi suggerirà investimenti in controtendenza che si riveleranno soddisfacenti. SCORPIONE 23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE Periodo meno positivo tra metà aprile e maggio per l’opposizione di Mercurio mentre durante tutto l’anno avrete solo da scegliere tra musica, scienze, archeologia, filosofia per garantirvi il relax. Non rilevante lo stato fisico con alternanza : negatività ad aprile, buono a luglio. Negativo ad agostosettembre per ritrovare la piena forma a dicembre. La vostra ambizione sarà appagata e con astuzia saprete imporre la vostra visione a collaboratori rendendo ottimi i risultati e aumentando così il carisma che avete nell’ambiente lavorativo. Con l’uscita dal vostro segno di Saturno, riuscirete a realizzare gli introiti che ora arriveranno.

SAGITTARIO 23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE Per godere di una libertà che tanto desiderate dovrete aspettare l’estate quando organizzerete un viaggio a due tanto bello quanto utile al vostro menage. Saturno vi obbligherà ad essere molto razionali. Il vostro stato di salute sarà più sfolgorante in marzo- agosto e dicembre ma problematico nei mesi in cui Giove non vi aiuta. Ricche possibilità nel campo lavorativo specie se il vostro ambito è rivolto verso paesi stranieri fino ad agosto quando Giove sarà nel segno della Vergine e potreste avere difficoltà finanziarie. Buono e collaborativo il rapporto coi colleghi con l’eccezione tra maggio e luglio per la posizione negativa di Mercurio. CAPRICORNO 22 DICEMBRE - 20 GENNAIO Socievoli e vogliosi di compagnia amerete molto circondarvi di personei. Per staccare dalla routine: vi dedicherete alla lettura e non cercherete cose insolite come un tempo ma passeggiate in montagna, brevi viaggi in zone d’arte. Nei rapporti familiari vi saranno cambiamenti non sempre graditi che potrete chiarire ad agosto con il passaggio di Mercurio. Ottimo il lavoro con l’ausilio di Nettuno che lo arricchisce di fantasia perciò diverrà facile avere guadagni insperati e riscontri notevoli. Non vi sono problemi di soldi perché la vostra parsimonia è proverbiale. ACQUARIO 21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO Ora che Saturno vi ha lasciati liberi vi scatenerete in viaggi con mete proibitive e sport estremi ma vi basterà una bella corsa in bicicletta o un tapis-roulant in mancanza del tempo fisico o astronomico. Forti costituzionalmente non curate troppo la salute vi preoccupate di stare il più possibile all’aperto e muovervi. Sul lavoro la vostra figura avrà più autorevolezza ed è il momento di giocare le carte per affermare i vostri valori. Rapporti franchi con collaboratori e colleghi. Dopo un periodo in cui le finanze hanno risentito di negatività, ora vi saranno i benefici effetti di Marte - Giove - Mercurio. PESCI 20 FEBBRAIO - 20 MARZO Periodo vitale e molto intenso anche se funestato da passaggi negativi fino all’autunno. Tenete alla lontana i pessimisti cronici specie tra maggio e luglio. Amate molto essere meditativi e i vostri amori estivi saranno la musica, il mare, le discipline esoteriche. La vita familiare non sarà un letto di rose perché troppo ingarbugliata. La salute avrà qualche intoppo ma non in estate quando Giove, Marte e Venere vi daranno vitalità e bellezza. Buono e senza scossoni il lavoro soprattutto se siete dipendenti. I colleghi vi ammireranno per competenza e carisma ed a luglio e novembre, Mercurio vi darà anche la comunicativa. Fate attenzione se volete avere ottime occasioni di risparmio e guadagni importanti specie in primavera.

Oroscopo | Mag Febbraio 2015 | 127



di Federico Roncoroni

Macedonia di saggezza, 1 Il politico è un acrobata: si mantiene in equilibrio dicendo l’opposto di quel che fa. Maurice Barrès

I miti sono importanti: i giovani hanno bisogno di t-shirt in cui credere. Laura Pellegrini

A volte la cosa migliore è non scegliere: così si perdono di vista le sponde sicure e ci si lascia trasportare dalla corrente. Luciana Loureiro

Le mogli dei politici fanno tutte beneficienza: hanno il senso di colpa per quello che rubano i loro mariti. Roberto Benigni

Spesso succede che, se non rischi nulla, rischi ancora di più. Erica Jong

Il dramma della nostra epoca è che gli stupidi si sono messi a pensare. Jean Cocteau

La reputazione e il credito dipendono soltanto dai quattrini che hai. Decimo Giunio Giovenale

Se nei singoli la demenza è rara, è una regola dei gruppi, delle compagnie, dei partiti e delle epoche. Friedrich Nietzsche

L’intellettuale è un uomo che ha trovato qualcosa di più importante delle donne. Edgar Wallace Una gran parte di quello che i medici sanno viene insegnato loro dagli ammalati. Marcel Proust Gli uomini sono tanto sciocchi che, dando un nome nuovo a una cosa vecchia, credono di aver pensato una cosa nuova. Sigmund Freud

L’arte di essere saggi è l’arte di capire a che cosa si può passare sopra. William James Quando tutti pensano nella stessa maniera, allora nessuno pensa veramente. Walter Lippmann Chi russa si addormenta per primo. Arthur Bloch

Quando i nostri idoli cadono dagli altari, i lividi ce li facciamo noi. Ida Omoboni e Paolo Poli

Aforismi | Mag Febbraio 2015 | 129


di Francesco Angelini

A COMO È GIÀ TOTOSINDACO Mancano più di due anni all’elezione del nuovo sindaco. Eppure in città cominciano a circolare alcuni nomi Mancano più di due anni all’elezione del nuovo sindaco di Como. Un’eternità specie in un quadro politico quantomai tellurico e magmatico dove può cambiare tutto (partiti, alleanze e strategie) nel giro di pochi mesi. Eppure in città è già partito il totosindaco 2017 con nomi e ipotesi più che sussurrate. Nel centrosinistra, ad esempio, qualcuno discute sull’ipotesi di un Lucini bis. Sulla sua eventuale ricandidatura, l’attuale sindaco è sfingeo. Ma si sa che il secondo mandato non si nega a nessuno. A meno che… A meno che il quadro non stabilissimo del Pd, azionista di maggioranza del centrosinistra che governa palazzo Cernezzi, e della stessa coalizione non sortiscano altri esiti. Da tempo si dice, per esempio, che la poltrona di primo cittadino non dispiaccia, se non altro per ragioni dinastiche, a Lorenzo Spallino, attuale assessore all’Urbanistica del Comune di Como. E forse un altro componente della Giunta, non sempre in sintonia con il resto della squadra, non ha ancora riposto nel cassetto il sogno di diventare il “Pisapia lariano” e spostare a sinistra l’asse di governo della città. Un outsider potrebbe essere Salvatore Amura, presidente dell’Accademia Galli e fresco di tessera Dem nonché provvisto di grande visibilità in città. Se ci saranno ancora la primarie per incoronare il candidato potremmo vederne delle belle, specie se verrà reiterato il criterio, alla Carlo V, di promuovere “todos Caballeros” cioè assessori, gli sfidanti sconfitti. Già candidato sindaco fin da ora è Alessandro Rapinese della lista civica Adesso per Como che praticamente vive in perenne campagna elettorale. E magari ci riproverà Mario Molteni con la sua Como per Como che si è dimesso dal Consiglio comunale per far posto a Roberta Marzorati, un’altra papabile, dipende da come si muoverà ora nell’aula di palazzo Cernezzi. A destra la situazione è ancora più confusa e legata agli sviluppi della parabola berlusconiana. Più certezze le può fornire la Lega Nord di Salvini, in ascesa anche dalle nostre parti. A Como città, però, il movimento fondato da Umberto Bossi ha bisogno di rinnovare il proprio personale politico e magari potrebbe puntare sull’asse con i Fratelli d’Italia per un candidato sindaco comune. Magari sarà una questione di famiglia Butti tra lo zio, l’ex senatore Alessio e il nipote, l’attuale consigliere comunale Marco. Nell’alveo di Forza Italia la più avanti a oggi è la garbata e attiva Anna Veronelli. Uno dei nomi a cui il centrodestra ha sempre guardato è quello di Maurizio Traglio, il quale però sembra orientato a seguire l’ex ministro comasco Corrado Passera nella sua scommessa politica.

130 | Mag Febbraio 2015 | Last Minute




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