Qualenergia 1 2015

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febbraio / marzo 2015

Anno xIII Numero 1 euro 6,00

BIMestRale DI LEGAMbiEntE

Poste ItalIane s.p.a. sped. abb. postale 70% Cn/an

2015 Anno dEL cLiMA L’emergenza climatica non può attendere

contributi di: Ugo Bardi Michele Governatori Francesco Starace

intErViStE A: Davide Tabarelli Cardinale Peter Turkson

FocuS AccuMuLi ELEttrici: TECNOLOGIA STRATEGICA PER IL SUCCESSO DELLE RINNOVABILI E DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE


insieme costruiamo bellezza

www.legambiente.it

2015

Siamo al lavoro per costruire un futuro fatto di bellezza, ambiente e coesione sociale. Valorizzando e facendo conoscere le tante esperienze positive che già caratterizzano il nostro presente e, contemporaneamente, dando vita a campagne, iniziative, progetti partecipati che dimostrino nel concreto che il nostro Paese può e deve puntare sulla qualità dell’ambiente, sulla cura del territorio, su un’economia a basso impatto ambientale e ad alto valore sociale. L’impegno quotidiano dei nostri circoli territoriali ha bisogno del sostegno di tutti: puoi iscriverti a Legambiente, donarci il tuo 5x1000, diventare un nostro volontario. Scopri come su www.legambiente.it. Insieme possiamo farcela, unisciti a Legambiente!


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4 sommario febbraio / marzo 2015

Anno XIII Numero 1 euro 6,00

febbraio/marzo 2015

posTE ITaLIaNE s.p.a. sped. abb. postale 70% CN/aN

rubriche

argomenti

BImEsTraLE dI LEGAMBIENTE

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2015 ANNO DEL CLIMA

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editoriale

a cura di Sergio Ferraris testo di Francesco Starace

Valanga rinnovabile di Gianni Silvestrini

L’emergenza climatica non può attendere

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26 analisi

di Ugo Bardi INTERVISTE A: Davide Tabarelli Cardinale Peter Turkson

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FOCUS ACCUMULI ELETTRICI: TECNOLOGIA STRATEGICA PER IL SUCCESSO DELLE RINNOVABILI E DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE

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fisco

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In movimento di Anna Donati

35 eolico

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Il crollo del vento

Il punto del Cigno a cura di Legambiente

di Luciano Pirazzi e Davide Astiaso Garcia

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Sostenibilità possibile di Gianfranco Bologna

L’imposta non è verde di Michele Governatori

Foto Corbis

Mattioli & Scalia di Gianni Mattioli e Massimo Scalia

Il petrolio sull’orlo del picco

CONTRIBUTI DI: Ugo Bardi Michele Governatori Francesco Starace

Immagini d’energia

conversazioni

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di Francesca Tilli

21

Controcorrente 2.0 di Agostino Re Rebaudengo

Riflessi su nero petrolio

Lifestyle di Karl-Ludwig Schibel

47 fede

L’energia del Creato

23 Un mondo diverso

di Sergio Ferraris

di Guido Viale

52 scenari

24 QualEnergia.it

2 gradi

a cura di Sergio Ferraris

di Gianni Silvestrini

113 Ecoteca a cura di Sergio Ferraris

55 inserto

assoRinnovabili NEWS

114 Comunicare l’energia di Sergio Ferraris

61 fonti

Il dovere d’essere sostenibili di Gianpietro Venturi e Alessandro Zatta

65 prospettive

84 mercato

Cambiare o morire

Una riforma ineludibile

di Gianmatteo Manghi e Tullio Zannoni

70 mobilità

109 associazioni

Città in movimento

è promossa da

di G.B. Zorzoli

Le potenzialità del vento

di Lorenzo Bertuccio

di Sergio Ferraris

75 information technology

110 aziende

Lavoro e smart city

Una valle d'energia

di Marina Penna e Bruna Felici

di Sergio Ferraris

79 GPP

La gerenza è a pagina 112

L’acquisto è verde (forse) di Libero Capozzo e Stefano Iorio

89 focus

ACCUMULI ELETTRICI

90 scenari

L’accumulo ai blocchi di partenza di Sergio Ferraris

95 storage

La batteria è servita di Marco Pigni

98 accumulo

Il fascino discreto della batteria di Massimo Gallanti

103 esperienze

La batteria tra luci e ombre di Alex Sorokin

febbraio/marzo 2015

106 strategie

Accumulo ovunque di Christian Noce, Juan Carlos Ballestreros, Irene Fastelli, Luigi Lanuzza e Marco Gazzino


Editoriale

febbraio/marzo 2015

Valanga rinnovabile di Gianni Silvestrini

Le rinnovabili elettriche sono inarrestabili e anche per le termiche e l’efficienza le prospettive sono buone. Grandi attese sul clima

Il 2015 sarà un anno molto importante. Potrebbe infatti segnare l’inizio del declino dei combustibili fossili a seguito degli accordi di Parigi. Un appuntamento, che viene preceduto da segnali molto interessanti. A iniziare dalle fonti rinnovabili. Nel 2014 l’elettricità verde ha soddisfatto il 26% della domanda in Germania, il 37% in Italia, il 43% in Spagna e il 62% in Portogallo. Una quota destinata peraltro ad aumentare. In Europa, lo scorso anno, sono stati infatti “green” ben quattro quinti della nuova potenza elettrica installata. E finalmente si sono mossi anche gli Usa: sono 31.000 i nuovi posti di lavoro attivati grazie alla realizzazione di 6,5 GW fotovoltaici; un trend in forte crescita, visto che quest’anno e il prossimo vedranno incrementi di 8,5 e 12 GW. Gli investimenti globali nel fotovoltaico del 2014 sono aumentati del 25% sull’anno precedente e questo malgrado il calo dei prezzi delle tecnologie e la riduzione degli incentivi in molti Paesi. In Italia, 70 milioni di moduli hanno soddisfatto lo scorso anno il 7,5% della domanda elettrica, record mondiale. E le previsioni per i prossimi anni sono di una forte crescita grazie alla competitività della tecnologia. Lo dimostra il contratto appena firmato a Dubai per una centrale solare da 200 MW che fornirà per 25 anni elettricità “al più basso prezzo al mondo” per impianti fotovoltaici, 4,9 c€/kWh. Anche l’evoluzione dell’eolico è rapidissima. In soli dieci anni, in Danimarca il contributo del vento è passato dal 19% al 39% della domanda elettrica. E in un numero crescente di Paesi l’eolico si impone senza bisogno di incentivi. Non vanno poi sottovalutate le implicazioni sociali delle rinnovabili. Nel mondo industrializzato il reddito di molti agricoltori viene integrato dalle entrate garantite da impianti a biogas, fotovoltaici, eolici, favorendo così il loro radicamento sul territorio. Nella conservatrice Baviera sono attive 237 cooperative energetiche, mentre 2.300 impianti a biogas, e larga parte dei 10 GW fotovoltaici, sono gestiti dagli agricoltori. Buone notizie anche dalla Cina, dove si registrano dati clamorosi. Lo scorso anno i consumi di carbone sono infatti calati del 2%. Una riduzione correlata alla nuova potenza elettrica installata, per il 60% attribuita alle rinnovabili, con le centrali a carbone relegate a poco più di un quarto dell’incremento. L’ondata verde si è infatti spostata nei Paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo, dove in molti casi risulta più economico e rapido installare sole e vento piuttosto che ricorrere ai fossili. Tutta la scena internazionale, dunque, è in rapido cambiamento: giorno dopo giorno si evidenzia l’ampiezza della transizione energetica in atto. Quest’anno la potenza eolica cumulativa supererà per la prima volata quella atomica (420 GW contro 385 GW). E, in termini di elettricità prodotta, solare ed eolico sorpasseranno all’inizio del prossimo decennio il nucleare. Dunque, possiamo dire che sul fronte elettrico la valanga è partita e non potrà più essere fermata. I cambiamenti delle strategie di grandi gruppi come Enel ed E.on sottolineano l’irreversibilità della trasformazione. In molti Paesi nel 2050, fra 35 anni, le rinnovabili garantiranno tra il 70% e il 100% della domanda elettrica.

Rinnovabili termiche si fanno strada Sarà invece più lenta la diffusione delle rinnovabili termiche, ma anche in questo comparto si stanno affermando tecnologie sempre più efficienti nelle biomasse, nel solare, nella geotermia e nelle pompe di calore. Ed è pensabile che nei prossimi anni il solare possa contribuire a soddisfare anche parte della domanda di calore a media temperatura, sia nei processi industriali che nel solar cooling. In alcune aree si avvieranno,

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6 Editoriale come già avviene nell’Europa centro-settentrionale, progetti solari con accumuli termici stagionali. Peraltro, il contributo percentuale delle rinnovabili termiche è destinato ad accrescersi in funzione della forte riduzione della domanda prevista nel settore civile.

Il salto di qualità nella riqualificazione edilizia E qui veniamo alla prossima rivoluzione. Quella che è destinata a trasformare profondamente il comparto dell’edilizia, con una drastica riduzione dei consumi a metà secolo e un forte contributo delle rinnovabili. Per raggiungere gli obbiettivi di decarbonizzazione europei al 2050 (-80%) occorre un deciso cambio di marcia nelle politiche di riqualificazione del parco edilizio esistente. Questo significa agire su due livelli: l’aumento della quota di superficie annualmente efficientata e il passaggio dalla pratica oggi prevalente di interventi su singoli appartamenti alla riqualificazione spinta che consenta di ridurre i consumi fossili del 70-90%. In pratica, occorrerà decuplicare nel giro di 15-20 anni i risparmi di energia ottenuti annualmente in questo comparto. Cioè prevedere un incremento annuo del 15% delle riduzioni dei consumi. Sappiamo che non esistono difficoltà tecnologiche nel conseguire questi risultati. Quello che serve è l’avvio di un rilancio coraggioso delle politiche di efficienza, la predisposizione di un’adeguata strumentazione finanziaria e la creazione di una filiera industriale in grado di intervenire in maniera integrata e seguendo approcci innovativi. La ridefinizione della politica doveva avvenire con l’elaborazione della Roadmap 2020-2050 prevista dall’art. 4 della Direttiva Efficienza. Un documento da predisporre entro il 30 aprile 2014, ma che in Italia ancora non è stato messo in consultazione. Va peraltro detto che, analizzando i documenti degli altri Paesi, non si notano programmi chiaramente strutturati in coerenza con le ambizioni climatiche. Anche se alcuni programmi denotano un aumento dell’attenzione sul tema. Come la Francia, che intende riqualificare mezzo milione di appartamenti l’anno: ma non parla di riqualificazione spinta. L’Olanda fa in qualche modo eccezione e si propone di azzerare i consumi fossili di oltre centomila appartamenti al 2020, seguendo un approccio molto innovativo. Dall’analisi di questi piani traspare dunque una certa delusione che è arrivata ai livelli più alti, tanto che il nuovo Commissario all’energia e al clima Miguel Arias Cañete ha accennato alla possibilità di rivedere, tra le altre, proprio la Direttiva Efficienza. Indubbiamente, la riduzione incisiva dei consumi del parco edilizio presenta una maggiore complessità rispetto alla crescita della produzione di elettricità verde. Vediamo dunque di approfondire alcuni degli aspetti che vanno affrontati per avviare un programma di successo, a iniziare dai capitali necessari per un’operazione di questo tipo.

La finanza innovativa Esistono esperienze interessanti sia in Europa che negli Usa di soluzioni finanziarie che, grazie all’attivazione di risorse private, consentono di avviare le riqualificazioni senza bisogno di anticipare capitali propri. Jasper van den Munckhof, il coordinatore del programma olandese di successo già citato, non ha dubbi: «Noi diciamo ai costruttori che i loro reali competitori sono le aziende energetiche. Sono i soldi che loro ricavano dalle bollette che dobbiamo utilizzare. In Olanda parliamo di 13 miliardi € all’anno. Se si utilizzassero per attivare un mutuo trentennale avremmo 225 miliardi € da investire. Quindi 30-40.000 € per azzerare i consumi di un appartamento». Il gruppo olandese, che ha svolto in questi anni un ruolo di coordinamento tra banche, assicurazioni, aziende costruttrici e associazioni delle case popolari, è riuscito ad attivare un meccanismo di finanziamento virtuoso senza bisogno di incentivi pubblici e senza anticipazione di capitali da parte dei proprietari. Questa è una strada che andrebbe esplorata anche nel nostro Paese, insieme ad altre opportunità. Uno strumento che si pofebbraio/marzo 2015


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trebbe valutare riguarda i titoli di efficienza energetica (attualmente in fase di revisione). L’art. 8 del Decreto 28 dicembre 2012, pensato soprattutto per gli interventi industriali, prevede un particolare trattamento per i “grandi progetti”. Con opportune modifiche si potrebbe estendere questo articolo agli interventi di riqualificazione spinta, caratterizzati da una riduzione dei consumi almeno del 60% e con una soglia minima del numero di appartamenti coinvolti. Ci sono poi i fondi europei della programmazione 2014-2020 (4 + 4 miliardi) che andrebbero spesi prevalentemente in questa direzione. Pur essendo ancora in mezzo alla crisi, anzi proprio per questo, la possibilità di attivare intelligentemente risorse pubbliche in questo settore dovrebbe avere la priorità, visti i notevoli ritorni che possono derivarne. Un suggerimento questo per il Green Act che il Governo Renzi intende predisporre. Le esperienze più interessanti evidenziano infatti i grandi vantaggi che possono derivare da una seria politica di efficientamento. Prendiamo il caso della Germania. Gli incentivi erogati per la riqualificazione di 10 milioni di appartamenti hanno attivato un volume di investimenti privati dieci volte superiore. Inoltre, è stato calcolato un vantaggio netto per lo Stato pari a 4 volte l’ammontare delle risorse messe a disposizione. Come si può vedere, esistono molti percorsi per affrontare con creatività ed efficacia l’aspetto finanziario delle riqualificazione.

Industrializziamo la riqualificazione L’altro elemento su cui riflettere riguarda la riorganizzazione e la qualificazione dell’offerta. Come la produzione dell’auto è passata dall’assemblaggio della singola vettura alle linee di montaggio, così va immaginato un salto di qualità nella ristrutturazione degli edifici. L’applicazione dei principi della digitalizzazione, modularità e standardizzazione può garantire ottimi risultati, ma prevede significativi cambiamenti organizzativi. Tornando all’esempio olandese citato, esso ha avuto successo grazie all’industrializzazione del processo di riqualificazione. L’impiego di elementi prefabbricati facilmente installabili consente di eseguire i lavori in edifici di 2-3 piani in soli dieci giorni. Un migliaio le ristrutturazioni che sono in corso, nell’ambito di un ampio programma governativo di riqualificazione spinta di 111.000 appartamenti in case popolari di diverse dimensioni. L’affinamento di queste modalità di intervento ha consentito in tre anni di ridurre del 40% i costi e di passare da un dimezzamento dei consumi al concetto di “net zero energy” ottenuto con un taglio del 70% della domanda di climatizzazione e coprendo la quota restante con le rinnovabili. Questa nuova impostazione sta rapidamente diffondendosi. In Francia è stato lanciato un bando volto a creare consorzi impegnati nell’industrializzazione della riqualificazione energetica degli edifici. E nell’ambito dei bandi Horizon 2020, sono diversi i progetti presentati che sposano questa filosofia. Una trasformazione che si dovrà accompagnare all’uso di soluzioni informatiche per monitorare e gestire i flussi energetici, garantendo le prestazioni spinte previste.

Parigi, o cara… Mancano nove mesi alla Cop 21 sulla quale si concentrano le speranze di un accordo in grado di avviare un percorso che consenta di evitare conseguenze catastrofiche. Un obbiettivo difficile ma non impossibile. Come è descritto nel libro “2 °C” negli ultimi anni si è creato un contesto favorevole. Dal punto di vista politico, l’attivismo di Obama sta dando i primi risultati. Cresce la pressione dal basso, testimoniata anche dalla grande marcia di settembre a New York. Si stanno imponendo alcune “disruptive technologies” in grado di accelerare il processo di decarbonizzazione. Insomma, siamo alla vigilia di grandi cambiamenti che dopo il settore energetico coinvolgeranno il comparto edilizio, quello dei trasporti e quello della manifattura. 

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8 Immagini d’energia

a cura di Sergio Ferraris

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La Bankside Power Station di Londra, ex centrale a nafta oggi sede della Tate Modern Foto cortesia Tate Modern

L’energia che evolve Nei passati 100 anni, i sistemi di produzione dell’energia elettrica si sono evoluti a seguito di mutamenti caratterizzati, sempre, dallo stesso schema: un’evoluzione tecnologica che rende più competitiva una nuova modalità di produzione, un periodo di “inerzia/resistenza/incomprensione al cambiamento” seguìto, quindi, da una veloce (secondo tempistiche sempre più accelerate) diffusione di nuove tecnologie che si affiancano a quelle esistenti e che le sostituiscono man mano che queste ultime diventano obsolete. Negli scorsi anni abbiamo assistito all’ultima di queste, cicliche, evoluzioni. Il calo dei consumi elettrici e il boom delle rinnovabili hanno comportato una radicale trasformazione del settore elettrico, a vantaggio del nuovo modello di generazione distribuita. A fare le spese di questo cambio di paradigma è la generazione convenzionale, destinata a svolgere sempre più un ruolo di riserva. A essere maggiormente penalizzati sono gli impianti termoelettrici più vecchi e meno efficienti. Per quanto riguarda Enel, gli impianti che in Italia hanno queste caratteristiche di obsolescenza sono 23, per una potenza complessiva pari a 13 GW. Non intendiamo, però, perdere il patrimonio industriale a essi collegato. Semplificando, questi impianti possono essere suddivisi in tre gruppi. Il primo è quello delle centrali che potrebbero continuare a produrre energia elettrica se riconvertite a un’altra tecnologia, come le biomasse. Il secondo è quello di centrali - come Genova, Bari e Livorno - non più pensabili come siti di generazione elettrica, perché inglobati nel tessuto urbano. Queste centrali potrebbero essere riprogettate per essere destinate ad altri scopi, industriali e non. Si pensi, per esempio, alla Bankside Power Station di Londra, ex centrale a nafta conosciuta oggi come Tate Modern. L’ultimo gruppo comprende siti non all’interno di città, ma che non hanno comunque molte probabilità di continuare a produrre energia elettrica. Per questi, coinvolgendo attivamente comunità e istituzioni locali, faremo partire “concorsi di idee”, per valutare altri modi per creare valore. La riconversione di queste centrali, in cui attualmente sono impiegate circa 700 persone, non avrà alcun impatto negativo a livello occupazionale. Avvieremo un vero confronto con tutti, consapevoli non solo dei vincoli ma anche delle opportunità che derivano da questo nuovo contesto. Francesco Starace Amministratore Delegato Enel

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10 Mattioli &Scalia

Clima di rottura di Gianni Mattioli e Massimo Scalia

In Italia l’indifferenza della politica verso il clima, l’ecologia e i beni comuni è sconcertante

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QualEnergia ha accompagnato in questi anni l’evoluzione che avveniva nel mondo scientifico a proposito di cambiamenti climatici, passando dalla correlazione semplice tra aumento della concentrazione della CO2 in atmosfera e aumento della temperatura al suolo del Pianeta all’interpretazione, ben più preoccupante, alla luce della teoria della stabilità. Siamo entrati nella prospettiva davvero minacciosa dell’Abrupt Climate Change, secondo la terminologia introdotta dalla National Academy of Sciences USA: per ogni sistema dinamico - e tale è per esempio il sistema clima - la variazione di uno dei parametri che regolano il sistema (nel nostro caso la concentrazione di CO2) può superare un valore critico, soglia al di là della quale in modo repentino si rompe la stabilità del suo comportamento, per esempio dei fenomeni altamente periodici che lo caratterizzano (come le stagioni o la circolazione delle correnti marine o dei venti). È ora possibile il cambiamento climatico improvviso. Il sistema troverà, nelle mutate condizioni, una sua nuova stabilità, ma non è affatto detto che essa si concili con il nostro ben vivere e, in ogni caso, la transizione potrà essere drammatica. Bisogna dunque fare ogni sforzo per ripristinare le condizioni che caratterizzavano la stabilità precedente, riportando il valore della concentrazione di CO2 al di sotto della soglia limite. Abbiamo riassunto la situazione, davvero grave, che ormai muove, nello scenario internazionale, azioni più significative di quanto non sia avvenuto nel passato. Nel novembre 2014 per esempio, nonostante il convergere dell’attenzione degli operatori sul crollo del prezzo del petrolio, USA e Cina firmano un accordo di grande rilevanza sulla riduzione delle emissioni di CO2 E si può dire che la crescente maturità delle fonti rinnovabili (FER) e delle tecnologie di efficienza energetica possono fare del settore energetico un vero motore di sviluppo economico e di occupazione. Per la IEA, entro il 2040 le FER diventeranno la prima fonte al mondo per la produzione di energia elettrica. Ma è la situazione italiana che qui vogliamo sottolineare. Si può riassumere in un fatto. Nel 2014 in tutto il mondo gli investimenti in energie rinnovabili - informa il Rapporto annuale di Bloomberg New Energy Finance - sono aumentati del 16% rispetto all’anno precedente: +32% Cina, +8% USA, +26% Francia. Ma in Italia tali investimenti sono crollati del 60%. È questo il problema: cercare di comprendere le ragioni di questo scenario italiano nel quale la questione dell’ambiente, dell’energia non interessa, se non marginalmente, le scuole di economia, non interessa il decisore politico. Anche se negli ultimi decenni essa ha acquisito maggior impatto nell’opinione pubblica, questa più diffusa attenzione non appare aver superato la soglia che determina un’interesse vero della politica. Si dirà che nel pieno di una crisi economica, che aggredisce il lavoro e i redditi soprattutto dei ceti sociali più deboli, non è certo il tempo per rivolgersi a tematiche - l’ambiente, la sostenibilità - che possono trovare attenzione nel tempo delle vacche grasse. Ma è davvero così? Altre posizioni leggiamo nelle scuole economiche soprattutto europee e americane. Si parte dal fatto che uno dei fattori più importanti alla base della crisi dell’impianto economico e produttivo sta nella crisi della domanda, causata innanzi tutto dalle diseguaglianze sociali (nel Pianeta) e nell’aumento enorme di produttività, dovuto all’innovazione tecnologica, certo non compensato da riduzioni dell’orario di lavoro. In questa situazione la conversione ecologica della produzione apre prospettive importanti di risanamento dell’economia e del lavoro. Son più di vent’annni da quando nel Libro Bianco della UE (1993) Jacques


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Delors valutava che il rilancio dell’economia (e dell’occupazione) non sarebbe venuto dai settori produttivi tradizionali - materiali e immateriali - ma da un nuovo settore ove si produce e si vende una nuova merce che si chiama qualità della vita. Qualche esempio? Si stima (Kyoto Club) che il mercato dell’efficienza energetica rappresenti un volume di affari tra il 2 e il 4% del PIL nazionale con importanti ricadute sul costo dell’energia. Supera il milione di posti di lavoro la previsione di quello che potrebbe venire dallo sviluppo stabile del settore delle FER. E prospettive importanti di investimenti e di lavoro si presentano nella riqualificazione urbana delle città invece che nuove case, nella mobilità sostenibile invece che aumento di automobili o di autostrade, nel risanamento idrogeologico e antisismico, nelle produzioni agricole con riduzione del consumo di acqua e di chimica, nei settori in cui investimenti pubblici possono aprire la strada a investimenti privati. E alla razionalità economica di queste scelte si aggiunge oggi lo schiaffo della crisi ecologica, dell’abrupt climate change. Ma tutto ciò non fa parte del dibattito italiano. Poco tempo fa, in un importante convegno della Sinistra - la Conferenza Human Factor promossa da SEL - aperto a esponenti politici di primo piano, nessuno della ventina di interventi conclusivi ha ritenuto importante o utile parlare di conversione ecologica, di questione dei cambiamenti climatici al suo pubblico di sostenitori. Dunque le questioni dell’ambiente, del bene comune non sono in Italia all’ordine del giorno della politica. E qual è la causa? Non sta a noi qui dare risposte approfondite, ma ci si dovrà pur dedicare a capire di più questo perché. Il perché che ci fa diversi dai Paesi europei che ci circondano, più attenti al bene comune, ai doveri verso la collettività; in Italia, invece, il chierico o laico che sia resta immutabile nel bozzolo del suo “particulare” nel quale l’ha ipostatizzato l’amaro sarcasmo di Guicciardini. Forse perché siamo arrivati più tardi all’indipendenza nazionale: fatta linda e brillante casa propria, chi se ne importa di fuori, dove sento il calpestio dello stivale dell’invasore? E perché i Paesi del Centro-Nord, quelli della Riforma, sono educati ai doveri sui Beni Comuni? Forse perché nelle Chiese cattoliche nessuno dice che è peccato mancare ai doveri verso i Beni Comuni? O forse perché il clima è più mite e non costringe ad alleanze con gli altri per fronteggiare il disagio? È una riflessione che si dovrà fare, magari invitando la recalcitrante politica a misurarsi con scenari di vero cambiamento. Insomma, il dominio globale di una finanza scellerata non è una buona scusa per ammainare la bandiera, per non vedere quanto male facciano i nostri vizi storici, quel cinismo verso contenuti “altri”, eretti a sistema di governo. 

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Sostenibilità possibile

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I confini del Pianeta di Gianfranco Bologna

Per quattro problemi ecologici su nove si è superato il livello di guardia

Alla metà di gennaio 2015 sulla prestigiosa rivista scientifica Science è stato pubblicato un paper di grande interesse, definito il testo dei Planetary Boundaries 2.0. Questo lavoro ha precisato, ampliato e aggiornato la ricerca che ha introdotto il concetto di Planetary Boundaries nel dibattito mondiale sulla sostenibilità globale nel 2009. In quell’anno l’altra grande rivista scientifica, Nature, aveva pubblicato il primo lavoro sui “confini planetari” che l’intervento umano non dovrebbe oltrepassare, pena effetti a cascata incontrollabili e potenzialmente molto pericolosi per le società umane. Lo studio ha presentato le evidenze per indicare i “confini planetari” di nove grandi problemi mondiali: il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo, l’utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell’utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l’inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici. La ricerca scientifica ci ha dimostrato che questi nove sistemi e processi regolano la stabilità e la resilienza del Sistema Terra, con le straordinarie interrelazioni esistenti tra suolo, oceano, atmosfera, acqua e vita che insieme provvedono a costruire le condizioni dalle quali dipendono tutte le nostre società. Per tre di questi, e cioè il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il ciclo dell’azoto, la ricerca sottolineava il sorpasso del confine indicato. Il lavoro ora pubblicato su Science, dal titolo “Planetary Boundaries: Guiding human development on a changing planet”, fa presente che dei nove confini planetari già individuati dal lavoro del 2009 sono ora quattro quelli che hanno sorpassato il confine indicato. Si tratta del cambiamento climatico, della perdita di integrità della biosfera (definito nel lavoro del 2009 come perdita di biodiversità), del cambiamento di utilizzo del suolo e dell’alterazione dei cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo. In particolare gli studiosi sottolineano la gravità del sorpasso dei livelli di cambiamento climatico e di perdita dell’integrità della biosfera indicandoli come il “cuore” dei confini planetari; alterarli significativamente può voler dire spostare l’intero Sistema Terra in un nuovo stato. Oltrepassare un confine vuol dire, in pratica, incrementare il rischio che le attività umane stesse possano spingere il Sistema Terra in uno stato molto meno ospitale per la civiltà umana, annichilendo gli sforzi per ridurre la povertà e conducendo a un deterioramento del benessere umano in molte parti del mondo, compresi i Paesi ricchi. Nella nuova analisi, che si basa su di un’ingente massa di ricerche e pubblicazioni che sono state prodotte sin dal lavoro di Nature, si è confermato il set originale dei confini planetari proposti aggiornandoli con nuove analisi e quantificazioni, e per due dei nove si sono modificate le terminologie, per cui “perdita di biodiversità” si è trasformato in “cambiamenti nell’integrità della biosfera”, enfatizzando l’impatto umano sulle funzioni della biosfera, mentre “inquinamento chimico” è diventato “introduzione di nuove entità” legate a diverse nuove tecnologie che riguardano, per esempio, gli inquinanti organici, i materiali radioattivi, i nano materiali e le microplastiche. Dobbiamo tutti augurarci che questo ulteriore puntuale lavoro da parte della ricerca mondiale sulla sostenibilità globale aiuti a far prendere le migliori decisioni per giungere a un set efficace e monitorabile di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che saranno approvati dall’Assemblea generale ONU del prossimo settembre, nonché a un accordo globale significativo sul clima previsto per la COP 21 di Parigi nel dicembre prossimo. 

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In movimento

febbraio/marzo 2015

Donne: mind the gap! di Anna Donati

La mobilità per essere sostenibile deve includere anche l’identità di genere

Nelle politiche europee, da diversi anni, ha trovato spazio una riflessione sulla mobilità delle donne, per capire come si muovono, quali siano le loro esigenze, come queste siano coerenti con l’obiettivo della parità di genere e quali siano le risposte praticabili. Nel 2014 è stata pubblicata, nell’ambito del progetto CIVITAS, la ricerca dal titolo “Gender equality and mobility: mind the gap!” a cui hanno collaborato Silvia Maffii, Patrizia Malgieri e Caterina Di Bartolo di TRT Territorio Milano. Gli obiettivi del progetto europeo sono tre: acquisire dati e indagini, sviluppare servizi di trasporto specifici aderenti alle esigenze delle donne, pianificare e progettare reti e infrastrutture sicure e confortevoli (www.civitas.eu). Dalla ricerca è emersa chiaramente una scarsa conoscenza del fenomeno e ovviamente che gli spostamenti delle donne sono strettamente connessi al loro ruolo personale nel lavoro, nel sociale e nella famiglia. Comportamenti analoghi e trasversali sono stati riscontrati in Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna: si spostano meno per lavoro e più per la gestione e la cura della famiglia. Il risultato è che fanno più spostamenti ogni giorno ma per distanze più brevi, accompagnano di più figli, anziani e disabili in automobile, guidano in modo più sicuro e spesso fuori dagli orari di punta. Nell’Unione Europea, come dato medio, le donne rispetto ai maschi usano meno l’auto (46% contro 58%) e di più il trasporto pubblico (23% contro 18%), vanno di più a piedi (19% contro 10%) e in bicicletta (9% contro 8%). Anche in Italia i dati Isfort 2011 confermano queste tendenze: ogni giorno l’auto viene usata dal 60% di donne contro il 72% di uomini, il 16,5% delle donne usa il trasporto pubblico contro il 12,7 degli uomini, le donne che vanno a piedi o in bicicletta sono il 22,9% mentre gli uomini il 14,6%. Sicurezza personale, confort e accessibilità sono elementi rilevanti nel vissuto delle donne per gli spostamenti. Indagini significative sul tema sono state realizzate a Berlino, a Vienna, nel Regno Unito e in Svezia. Nel 2000 il Dipartimento nazionale dei Trasporti del Regno Unito ha avviato la prima indagine su “genere e trasporto pubblico”, che nel 2006 è diventato “Gender Equality Scheme Action Plan 2007-2010”, destinato a tutte le autorità pubbliche. Nell’ambito delle statistiche sui trasporti vi sono sempre approfondimenti su dati di genere. Nel 2002 il Ministro dei Trasporti svedese ha ritenuto che la parità di genere nei servizi fosse uno dei principali obiettivi del trasporto pubblico. La città di Malmö ha istituito un gruppo di ascolto con le donne per orientare le scelte sui servizi di trasporto pubblici. Anche a Berlino sono state adottate politiche di genere nel Piano dei Trasporti pubblici 2005-2009, puntando su accessibilità, confort e sicurezza personale, ritenuta un requisito fondamentale per l’uso del trasporto pubblico da parte delle donne. A Vienna la “gender mainstreaming” è diventata un pezzo importante del Piano Strategico della città, con azioni ben precise anche nel campo della mobilità e del ridisegno dello spazio stradale. Tra gli esempi citati in sede europea vi è la città di Bolzano, per le politiche di conciliazione degli orari, per l’istituzione del Taxi Rosa e dei Parcheggi Rosa, dedicati alle donne e disseminati nella città. Ma esperienze analoghe si sono diffuse anche in altre città italiane, a Roma, Milano, Napoli, Siena, Firenze, Cremona, Parma, nella Regione Liguria, come è emerso da un convegno organizzato da Federmobilità del 2012. Siamo solo agli inizi ma almeno si è cominciato. 

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Il punto del Cigno

febbraio/marzo 2015

Quando il sussidio è fossile a cura di Legambiente testo di Katiuscia Eroe

Sono 17,5 i miliardi di euro pubblici spesi in Italia nel solo 2014 a sostegno di fonti climalteranti tra sussidi ed esenzioni al trasporto, sussidi diretti alle centrali da fonti fossili, sconti ed esenzioni per le

imprese energivore, finanziamenti per strade e autostrade, sussidi alle trivellazioni, di cui nessuno, all’interno del dibattito politico italiano, fa parola, Piano di Strategia Energetica Nazionale 2013 compreso. Questo è quanto emerge dal nuovo dossier di Legambiente Stop ai sussidi alle fonti fossili che, oltre a presentare un’analisi di voci e costi, evidenzia fonti e normative, a dimostrazione di quanto i conti di Legambiente siano veri e concreti e di quanto questi incidono nelle politiche di sviluppo del nostro Paese. Il problema dei sussidi alle fonti fossili non è un problema tutto italiano, la IEA (International Energy Agency) nel suo ultimo Rapporto ha messo in evidenza come nel 2013 alle fonti fossili (sussidi al consumo) siano andati circa 550 miliardi di dollari (erano 544 nel 2012, 523 nel 2011 e 412 nel 2010) attraverso ben 250 differenti meccanismi per finanziare direttamente o indirettamente le fonti inquinanti e dannose per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Sono 1.900 i miliardi di dollari in aiuto a queste fonti (2011) se consideriamo anche le esternalità negative, così come stimato dal Fondo Monetario Internazionale. Non vi è dubbio che la combustione delle fonti fossili sia la principale causa delle emissioni di gas climalteranti, cancellare tutti i sussidi e fermare tutti gli investimenti a queste fonti è uno dei passi fondamentali alla lotta contro i cambiamenti climatici. Secondo Fatih Birol, il capo economista della IEA, la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili potrebbe garantire metà degli obiettivi di riduzione dei gas serra necessaria a contenere l’aumento di temperatura globale di 2 °C: un taglio di 750 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 (5,8%) al 2020. Ed è questa la richiesta che Legambiente porta avanti attraverso la sua campagna Stop ai sussidi alle Fonti Fossili, ovvero quella di eliminare in Italia tali Il quadro dei sussidi alle fonti fossili in Italia sussidi, ed essere esempio in Europa e nel Mondo di lotta concreta ai Voci Sussidi cambiamenti climatici. Per questa Autotrasporto 1.582 milioni in esoneri delle accise, 250 in sussidi per il settore, nel 2014 ragione Legambiente il 14 febbraio Trasporto aereo, marittimo, altro 4 miliardi di euro nel 2014 in esoneri dalle accise ha aderito al Global Divestment Day Centrali da fonti fossili (Cip6) 2.099 milioni nel 2013, tra il 2001 e il 2013 42.310 milioni di euro insieme a tantissime associazioni Centrale a carbone nel Sulcis quando pronta beneficerà di 63 milioni di euro l’anno per 20 anni da tutto il Mondo e ai principali Centrali nelle isole minori 80 milioni di euro nel 2013, 630 nel periodo 2000-2013 network ambientalisti per chiedere Esenzioni imprese energivore 1.660 milioni nel 2014, 8.090 tra il 2000 e il 2013 a gran voce e dal basso lo stop agli Rigassificatore di Livorno stima di 70-90 milioni di euro all’anno investimenti pubblici e privati nelle RIU impianti da fonti fossili secondo Fulvio Conti - ex AD Enel - pari a 2 miliardi di euro l’anno fonti fossili, in favore di un sistema Strade e autostrade 4.150 milioni nel 2014 energetico più efficiente, fatto di Trivellazioni 1.900 milioni nel 2013 da royalties inferiori ad altri Paesi generazione distribuita, smart e super grid, di sistemi produttivi più efficienti. Decidere di cancellare tutti i sussidi e di fermare gli investimenti verso le fonti inquinanti è una straordinaria occasione per fare della lotta ai cambiamenti climatici e della green economy la strada maestra per uscire dalla crisi economica ed energetica, ma anche per far giocare all’Europa un ruolo da protagonista nell’impegno contro i cambiamenti climatici. 

Ufficio energia e clima, Legambiente

Al via la battaglia globale per lo stop dei sussidi alle fonti fossili che in Italia contano per 17,5 i miliardi l’anno

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febbraio/marzo 2015

Il burocrate senza energia Fare impresa in Italia è una missione molto complessa.

di Agostino Re Rebaudengo Presidente di assoRinnovabili

La burocrazia italiana frena il futuro dell’energia, mettendo in difficoltà le imprese

Una missione, nel vero senso della parola, perché, se si osserva il gravoso e intricato contesto normativo nel quale si deve muovere l’imprenditore, è immediato rendersi conto di come sia necessaria “una profonda vocazione”! E purtroppo questo vale più che mai nel settore italiano dell’energia rinnovabile, dove da sempre gli operatori - italiani ed esteri - sono costretti a fare i conti con una burocrazia incomprensibilmente lenta, macchinosa e oltremodo costosa. Un vero e proprio paradosso per il nostro Paese e, ancor di più, se si considera la valenza altamente strategica dell’energia rinnovabile per la collettività, oltre allo sviluppo industriale, occupazionale e fiscale. Ci sono diversi indicatori che possono testimoniare tale situazione. Secondo il World Economic Forum, in primo luogo, l’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi in cui è più facile fare affari, per via dell’elevata pressione fiscale: la cosiddetta total tax rate sulle imprese sfiora il 70%, ponendo il nostro sistema produttivo tra i più tassati del mondo. Ad aggravare ulteriormente il problema si aggiungono il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione verso le imprese e, soprattutto, la lentezza burocratica che si traduce in alti oneri. L’OCSE - Organizzazione Cooperazione e Sviluppo Economico - stima che gli extra costi della burocrazia in Italia superino i 30 miliardi di euro l’anno. Un fattore che, secondo dati EPIA-PV Legal, pesa sui costi di progetto fino a 5-6 volte di più rispetto alla Germania. In Europa, solo la Bulgaria è “messa peggio” di noi. Studi, effettuati anche dalla Commissione Europea, dimostrano come l’incidenza dei costi della burocrazia nello sviluppo dei progetti sia in Italia nettamente maggiore della media UE. Come si può vedere anche alla sezione “Decreti: di quanto è in ritardo il Governo?” sul sito assorinnovabili.it, molti, forse troppi, risultano i provvedimenti attuativi e regolatori che ancora mancano all’appello, nonostante sia decorso da tempo il termine entro il quale i Soggetti Decisori avrebbero dovuto emanarli per rendere concreti e realizzabili decreti e leggi. Lo scenario purtroppo non migliora se si osservano le tempistiche di pagamento dalle pubbliche amministrazioni alle imprese: gli arretrati sono decine di miliardi. Ciò ha ripercussioni dannose sulle aziende, costrette a chiedere alle banche anticipi con costi stimabili in sei miliardi di euro l’anno. Un esborso quattro volte superiore rispetto a quello delle imprese francesi e sette volte maggiore di quello per gli imprenditori tedeschi, a cui lo Stato salda i propri debiti, in media, entro 27 giorni. Appare drammaticamente evidente che con queste criticità la crescita economica e la capacità di attrarre investimenti dall’estero stentano a decollare nel nostro Paese, inibendo lo sviluppo tecnologico e progettuale anche in un settore delicato quanto strategico come quello dell’energia rinnovabile. La riduzione progressiva della nostra dipendenza dalle fonti fossili, così come la creazione di un ambiente più sano e vivibile per le nostre e le prossime generazioni, dipendono da quanto velocemente sapremo promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il relativo utilizzo. 

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febbraio/marzo 2015

Clima d’attesa di Karl-Ludwig Schibel

La prossima Enciclica del Papa su ambiente e cambiamenti climatici potrebbe non essere sufficiente per centrare l’obiettivo a Parigi

Con la 21° Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite a Parigi, il 2015 sarà a livello internazionale un anno decisivo per affrontare la sfida più drammatica della comunità globale - i cambiamenti climatici. L’effetto serra è in atto, le conseguenze già oggi sono devastanti e potrebbero mettere a rischio il futuro della specie umana su questo Pianeta. Purtroppo chi lavora nel campo della protezione del clima ha letto troppo spesso negli ultimi due decenni un’affermazione di questo tipo. Cambia l’anno, potrebbe essere stato il 1997 e la 3° Conferenza della Parti a Kyoto, il 2005 e la 11° COP a Montreal o il 2009 e la 15° Conferenza a Copenhagen, ognuna considerata al tempo l’ultima chance per l’umanità di vincere la lotta contro i cambiamenti climatici. Adesso è il turno della 21° COP a Parigi dove si dovrebbe raggiungere un accordo internazionale fra tutti i quasi 190 Paesi che fanno parte del processo internazionale. In questa situazione arriva la clamorosa notizia che Papa Francesco vuole rafforzare nel 2015 il proprio impegno per la protezione del clima e sta lavorando a un’Enciclica sul cambiamento climatico. Per quanto la presa di posizione del Papa sia una prospettiva entusiasmante, c’è da temere che rafforzerà un pericolo che accompagna il processo internazionale della salvaguardia del clima fin dalla sua partenza a Rio de Janeiro nel 1992: la fissazione sui grandi uomini e donne che in qualche modo dovrebbero guidare il processo di riduzione delle emissioni dei gas serra. Ban Ki-moon e John Kerry, Al Gore e Sting, Bono e la Paltrow, Brad Pitt e DiCaprio e adesso il Papa – tutti contro i cambiamenti climatici. Vero è che c’è una differenza tra una star del film o del rock e il leader di oltre un miliardo di cattolici. Però la speranza in una soluzione dall’alto che in un solo colpo mette tutto a posto è una chimera che affligge anche attivisti di lunga esperienza e ampia visione. Per esempio Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia e acuta osservatrice del processo internazionale, scrive sul suo blog in vista della conferenza di Parigi: «La contraddizione tra la portata del problema e l’insufficienza delle azioni per affrontarlo va risolta nei prossimi mesi, senza aspettare la fase finale. Occorre puntare a un accordo al massimo comun denominatore, scegliendo le opzioni con più visione. L’accordo deve essere basato sulle indicazioni della comunità scientifica e non sulle furbizie tra gli Stati e tra i diversi blocchi». Commuove la fede - figlia della migliore tradizione illuministica - nel potere delle “indicazioni della comunità scientifica” di guidare un processo di trasformazione epocale quale l’uscita dall’era del fossile a favore dell’era solare. È ben comprensibile - di fronte a una minaccia di tale portata, come sono i cambiamenti climatici - di cercare la fuga in avanti nelle braccia di qualche autorità superiore come la religione o la scienza nella speranza che l’autorevolezza di chi alza la voce - un premio Nobel, un Papa, un Presidente - aprirà miracolosamente la strada d’uscita dall’era fossile. I grandi di questa terra non ci salveranno dai cambiamenti climatici. Gli unici che possono fare una differenza sono le cittadine e i cittadini, le organizzazioni non-governative, i sindacati, le chiese. Le chiese non intese come struttura gerarchica dove la verità pronunciata da uno mette in riga 1,2 miliardi di credenti. La partita si giocherà con l’uso che ne faranno i 5.000 vescovi che riceveranno l’enciclica, con i 400.000 sacerdoti che saranno chiamati a divulgarla tra i credenti, ma soprattutto nelle congregazioni che la riceveranno e che saranno chiamate a farla vivere nella propria vita e nel proprio lavoro. Una speranza nel tramonto dell’era fossile altrettanto ingenua di quella nel Papa e nelle “indicazioni della comunità scientifica”? È l’unica. 

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Un mondo diverso

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Conversione in tre passi di Guido Viale

Il cambio di paradigma dello scenario energetico passa anche dalla diminuzione del prezzo del greggio

La caduta del prezzo del petrolio potrebbe essere una manna per l’economia: meno esborsi, minori costi; invece viene visto sempre più come una iattura; perché va ad aggiungersi, aggravandola, alla deflazione innescata dall’austerity imposta dall’Unione Europea; ma soprattutto perché rischia di far esplodere la bolla degli investimenti già effettuati, o in corso, nell’estrazione di shale gas e shale oil (fracking) e di quelli sotto la calotta artica, che con quel prezzo sono divenuti antieconomici. Viceversa, sembra una disgrazia per i fautori della conversione energetica verso le rinnovabili, perché allontana quelle grid-parity che sono condizione di un loro autonomo sviluppo. Ma può – e deve – invece incentivarne un’accelerazione, perché, come oggi è sceso verticalmente in meno di sei mesi, domani il prezzo del petrolio potrebbe risalire altrettanto rapidamente. Nel campo dei fossili la turbolenza del mercato sarà sempre maggiore, mentre i costi connessi alle rinnovabili e all’efficienza energetica sono invece molto più stabili: qui i singoli investimenti sono di minore entità e più distribuiti nel tempo e nello spazio e il costo delle fonti principali (sole e vento) resterà sempre pari a zero. Ma che cosa comporta la conversione energetica? Tre cose che vanno di pari passo. Innanzitutto un programma di lungo termine, che non riguarda solo gli investimenti pubblici, ma anche quelli privati di imprese e famiglie. Bisogna rendere evidente, a tutti i livelli, che la transizione conviene anche in termini economici, oltre a essere irrinunciabile dal punto di vista ambientale, pena la devastazione della vita su tutto il Pianeta. In questo campo molto è stato fatto da varie agenzie per stimare l’entità di investimenti e ritorni in termini macroeconomici; poco o niente per facilitare la traduzione di quelle stime nelle possibili applicazioni in tutti gli ambiti della produzione e della vita quotidiana. Poi, la partecipazione: la conversione ecologica in campo energetico, come in tutti gli altri ambiti vitali per gli equilibri ambientali (agricoltura, alimentazione, mobilità, edilizia, gestione del territorio, gestione delle risorse e dei rifiuti), non può essere gestita dall’”alto” o da un “centro”. Deve essere un processo articolato a livello locale per tener conto delle differenze sia nella disponibilità di risorse (esposizione al sole, venti, biomasse, salti d’acqua, moto ondoso, risorse geotermiche, ecc.), sia nei carichi a cui il territorio è sottoposto per la sua conformazione e le caratteristiche del tessuto produttivo. Più si scende nei dettagli, e più una buona programmazione integrata degli interventi, che combini una valutazione dei carichi indispensabili con le opportunità offerte da un mix delle diverse fonti energetiche, dipende dalla collaborazione di chi in quel territorio vive o lavora. Altrimenti si procede con interventi standard che disperdono risorse e rispondono poco alle esigenze da soddisfare. Infine occorre integrare quei “saperi sociali” di cui ogni individuo è naturalmente detentore per il fatto di vivere e lavorare in un contesto dato (ma che possono emergere e venir valorizzati solo attraverso una larga partecipazione) con i saperi tecnici necessari a valorizzare l’innovazione tecnologica. Per questo va promossa (integrando formazione specialistica e attività pratica) una grande leva di tecnici, capaci di combinare in un lavoro congiunto analisi dei contesti e progettazione degli interventi, integrando in team unitari competenze in campo edilizio, impiantistico, economico, urbanistico e anche sociale (indispensabili, queste, per promuovere un effettivo coinvolgimento della popolazione). Un compito al tempo stesso tecnico e politico. 

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24 qualenergia.it In questa pagina trovate una selezione, con un breve abstract, effettuata tra le notizie pubblicate recentemente dal nostro portale QualEnergia.it a cura di Sergio Ferraris

Solare termico e gassificazione delle biomasse: accoppiata vincente? La gassificazione delle biomasse potrebbe trovare nel solare termico un valido alleato: se il calore del processo viene dal sole, il gas ottenuto da biomasse, come gli scarti agricoli o la legna, può competere senza incentivi con il gas naturale. Lo mostra un nuovo studio della University of Minnesota in cui si indaga la sostenibilità economica della produzione di gas da biomasse, arrivando alla conclusione che abbinare gassificazione e solare economicamente è un'idea molto interessante. La gassificazione delle biomasse è il processo termochimico con il quale un combustibile solido quale legno, scarti agricoli o rifiuti viene convertito in un gas, detto syngas. http://tinyurl.com/n6uu39h

SEU con 3 MW FV per tagliare la bolletta di una grande fabbrica La ricetta del nuovo modo di fare fotovoltaico in Italia con i Sistemi Efficienti di Utenza (SEU) è ormai nota e la si sta già iniziando a mettere in pratica con successo. Uno degli esempi più interessanti è quanto si è fatto allo stabilimento produttivo de L’Oreal a Settimo Torinese. Lì un impianto fotovoltaico da 3 MW, realizzato da Enersol con la partnership di SMA Italia, insieme a una centrale a biomasse e a un impianto di teleriscaldamento, permette al polo industriale di essere totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico. Grazie al progetto, realizzato anche con la collaborazione del Comune di Settimo Torinese, alla multinazionale francese sarà garantito un risparmio annuo dell'8-12%. http://tinyurl.com/p39lx2q

Mercato elettrico europeo, l'allarme di Eurelectric Il sistema elettrico europeo in questi anni ha cambiato volto, soprattutto per febbraio/marzo 2015

Nuova potenza elettrica nella UE nel 2014: l'80% è da fonti rinnovabili La crisi economica e il taglio degli incentivi pesano sul tasso di crescita, ma non fermano la tendenza: la nuova energia installata in Europa è sostanzialmente quella da rinnovabili. È infatti costituita dalle fonti pulite per il 79% la nuova potenza elettrica installata nell'Unione Europea nel 2014. In particolare va specificato che si è aggiunta molta più nuova capacità da fotovoltaico che da carbone e gas messi assieme. E queste due fonti fossili insieme fanno solo la metà della potenza eolica connessa alla rete lo scorso anno. http://tinyurl.com/nuzaloo

la crescita delle energie rinnovabili non programmabili e per il calo della domanda. Ma il mercato non è adeguato a gestire la transizione: gli investimenti necessari in tecnologie low-carbon e in potenza flessibile non si ripagano per via dei prezzi troppo bassi dell'elettricità all'ingrosso. Bisogna intervenire, in un'ottica di neutralità tecnologica, magari garantendo che la CO2 abbia un prezzo adeguato e che la flessibilità venga remunerata. Nel messaggio che arriva dall'ultimo report di Eurelectric, la lobby europea dei produttori elettrici “convenzionali”, riecheggiano diverse constatazioni che abbiamo sentito anche nell'ambito del dibattito italiano. http://tinyurl.com/ns5lgxp

Il solare FV con la scheda prepagata per fornire energia off-grid Non ci stanchiamo mai di magnificare le potenzialità del fotovoltaico. Va detto che è la tecnologia energetica che meglio delle altre e con minori controindicazioni riesce a fornire energia elettrica proprio dove serve e, se associata a sistemi di accumulo, anche quando serve. In molti contesti come le installazioni off-grid e le micro-reti rurali, come ricorda l'ultimo report IRENA sugli accumuli, il fotovoltaico non incentivato abbinato a batterie è già più conveniente rispetto ad alternative come i generatori diesel o ad allacci a una rete elettrica spesso troppo distante e poco efficiente. http://tinyurl.com/n5zrxdw



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Il petrolio sull’orlo del picco di Ugo Bardi*

esisteva, o quasi. Se ne producevano piccole quantità da quei rari luoghi dove sgorgava spontaneamente dalla roccia. Lo si usava come un intruglio medicinale e nessuno si poteva immaginare che sarebbe diventato la risorsa economica sovrana. Eppure, il petrolio aveva una caratteristica rara e importante: era un liquido che poteva bruciare. E c’era bisogno di un liquido combustibile in un’epoca in cui l’illuminazione era tutta basata su lampade a olio. Nell’800 per le lampade si usava principalmente olio di balena: chiaro, bruciava bene, e non costava molto – perlomeno finché le balene rimanevano abbondanti negli oceani. Tuttavia, la grande Il collasso dei prezzi del petrolio degli ultimi espansione economica dell’800 spingeva la mesi ha fatto ritornare in voga i sostenitori società verso consumi sempre maggiori di dell’abbondanza. Si ride sulle preoccupazioni tutte le risorse. Questo era male per le balene, dei “picchisti” e si spargono lodi sull’umana talmente cacciate a quell’epoca che vennero intelligenza, capace di strizzare un altro po’ sterminate fin quasi all’ultimo esemplare. di prezioso liquido nero dalle viscere del Verso la metà dell’800 il prezzo Pianeta. Ma questo momento dell’olio di balena era schizzato di entusiasmo ci dice soltanto verso l’alto e la produzione era in quanto poco sappiamo del crollo. A quel punto, non c’era altro petrolio. E quanto poco siamo in da fare che mettersi a bruciare grado di valutare quello che sta quella roba nera che all’epoca si succedendo oggi e che sta per Immagine di Ugo Bardi chiamava “olio di roccia”. Il primo succedere nel prossimo futuro. pozzo petrolifero della storia fu scavato in Non possiamo capire la situazione in cui ci Pennsylvania nel 1858. Era l’inizio di una nuova troviamo se ci basiamo sulle tendenze di soli era. La caratteristica di liquido combustibile pochi mesi; dobbiamo andare più a fondo, a basso costo ha reso il petrolio unico nella dobbiamo rileggere tutta la storia del petrolio storia umana. Semplicemente, non c’è mai stato che dura ormai da oltre un secolo e mezzo. niente a disposizione che bruciasse così bene, Se lo facciamo, ci possiamo rendere conto di che fosse così facilmente trasportabile e che come le oscillazioni dei prezzi degli ultimi tempi costasse così poco. E così se ne sono trovate non sono niente di speciale: sono parte di una sempre nuove applicazioni. Con la sparizione tendenza. Siamo già entrati da un pezzo in una delle vecchie lampade a olio si cominciò a nuova era di petrolio costoso e scarso; via via usarlo per i motori a combustione interna e fu la che il tempo passa, ce ne accorgeremo sempre rivoluzione. Il petrolio non era più soltanto una di più: è finito il tempo delle vacche grasse. risorsa economica, ma una risorsa strategica, L’era del petrolio è cominciata in tempi remoti: come lo è ancora oggi. Basta ricordare, fra i la prima metà dell’800; quando il petrolio non

Per il petrolio è finito il tempo delle vacche grasse. Il declino è solo una questione di tempo

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tanti episodi, come la battaglia di Stalingrado, forse la più cruenta di tutta la seconda guerra mondiale, fu combattuta per il controllo dei pozzi petroliferi del Caucaso, che rifornivano le armate sovietiche. Se i tedeschi fossero riusciti a occupare stabilmente quella regione, forse la guerra avrebbe avuto una conclusione molto diversa. Fra guerre ed espansioni economiche, la produzione mondiale di petrolio è sempre aumentata nel corso della sua storia secolare e oggi siamo a un livello mai raggiunto prima. Ma, a furia di tirar fuori petrolio da sottoterra, non si rischia di finirlo? L’idea della “fine del petrolio” è rimasta ad aleggiare sull’industria petrolifera per tutta la sua esistenza. Sempre negata, sempre rimandata a qualche secolo futuro, eppure sempre a ripresentarsi. Già nel 700, l’accademico russo Lomonosov aveva capito qual era l’origine del liquido nerastro chiamato “olio di roccia”: la lenta decomposizione di organismi viventi in tempi remoti. E questo voleva dire che il petrolio esisteva in quantità finite. Prima o poi, sarebbe dovuto finire. Ma quando, esattamente?

Petrolio infinito Di fine del petrolio si cominciò a parlare soltanto fra le due guerre mondiali, quando il grande sforzo bellico precedente aveva reso chiaro a tutti come era fondamentale per tutti i contendenti controllare i giacimenti mondiali. Era l’inizio di un dibattito fra ottimisti e pessimisti che dura ancora oggi. Da una parte, quelli che dicevano che il petrolio era una risorsa finita e che, prima o poi, sarebbe dovuta finire. Fra questi, c’erano fisici e geologi e, in particolare, il geologo americano Marion King Hubbert che propose nel 1956 il suo modello del “picco del petrolio” che è ancora oggi ben noto. Dall’altra parte, c’erano quelli che glorificavano l’ingegno umano per sostenere che avremmo sempre trovato il modo di tirar fuori petrolio in qualche modo. Questo secondo schieramento era formato principalmente da economisti, fra questi si ricorda Julian Simon che sostenne in un suo libro che le risorse minerali (incluso il petrolio) sarebbero potute durare per «sei miliardi di anni». Simon, come altri economisti, si basava molto sull’andamento dei prezzi. Notando che – fino a epoche

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Le due fasi della storia del petrolio

Fonte: Wikipedia

abbastanza recenti - il prezzo diminuiva, veniva naturale saltare alla conclusione che le risorse erano abbondantissime e che il problema dell’esaurimento non si poneva e non si sarebbe posto per molto tempo. Ma se il prezzo del petrolio è un parametro importante, non è certamente il solo. E non dobbiamo dargli troppa importanza: il mercato del petrolio reagisce ai costi di produzione e all’andamento dell’economia in generale, ma non “vede” le tendenze a lungo termine. Un altro parametro che ha spesso sviato le analisi della situazione è stato la stima delle “riserve”, ovvero delle quantità di petrolio estraibile. Purtroppo, anche qui ci troviamo di fronte a un parametro che facilmente ci manda fuori strada. Queste stime sono spesso fatte da geologi che sono molto bravi a fare il loro mestiere, ma il concetto di “riserva” non è soltanto geologico. Perché un certo giacimento venga classificato come “estraibile” non basta che esista da qualche parte. Bisogna che la sua estrazione sia economicamente conveniente. E questo dipende dalla situazione del mercato, soggetta a oscillazioni imprevedibili. Allora, dobbiamo guardare la storia del febbraio/marzo 2015

petrolio più in profondità, non dando eccessiva importanza alle fluttuazioni momentanee che si leggono sui giornali. Per cominciare, vediamo i dati storici sulla produzione in figura 1 (nota: questi dati si riferiscono al solo “petrolio greggio”, ovvero a liquidi petroliferi estratti come tali; non includono liquidi combustibili estratti da altre sorgenti, come le sabbie bituminose). Vedete come la storia del petrolio si divide in due fasi: una fase di crescita esponenziale al 7% all’anno che dura fino al 1972, circa, al tempo della prima grande crisi petrolifera. Segue poi una fase di crescita irregolare, che continua fino a oggi. Nella figura 2 diamo ora un’occhiata ai prezzi. Anche qui ci sono due fasi ben chiare: la fase prima del 1972, con prezzi bassi e stabili, che corrisponde alla fase di crescita esponenziale della produzione. E la fase dopo il 1972, con prezzi fortemente oscillanti, in corrispondenza con il rallentamento della crescita produttiva. Visto in questa prospettiva, il crollo dei prezzi della fine del 2014 non è niente di speciale. Fa parte di questa fase storica. A questo punto, possiamo cercare di interpretare quello che è successo e quello che sta succedendo. Lo possiamo fare se ci rendiamo conto che la chiave di volta di tutta la faccenda è il fatto che i barili non sono tutti uguali. Il loro costo varia a seconda del tipo di giacimenti da cui si estraggono. Il barile costa di più se il giacimento è più profondo, se il petrolio che contiene è più sporco, più acido, più denso. Ovviamente, si estrae prima il petrolio meno costoso, ma i giacimenti si esauriscono e quelli che si esauriscono prima sono quelli a buon mercato. Sparito quel petrolio “facile” che si cominciava a estrarre nell’800, quello che rimane è petrolio sempre più costoso e “difficile”. L’esempio tipico è quel petrolio di scisto - “shale oil” - di cui si parla tanto come un miracolo tecnologico negli ultimi tempi. Certo, ci vuole una tecnologia sofisticata per estrarre il petrolio di scisto, ma questo non evita che la tecnologia di estrazione sia costosa. Allora, via via che il ciclo di estrazione del


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petrolio prosegue, bisogna estrarre petrolio sempre più costoso. E per avere un profitto dalla sua vendita, bisogna metterlo sul mercato a un prezzo più alto. Ma c’è un limite a quello che i consumatori possono pagare. Come fa il mercato a capire quando il prezzo diventa troppo alto? Lo fa quando i prezzi raggiungono livelli tali che la domanda collassa: a quel punto, se il petrolio perde mercato, i prezzi collassano anche loro. Sono esattamente le oscillazioni dei prezzi che si sono viste a partire dal 1972: è il mercato che continuamente sonda i consumatori, per vedere cosa possono permettersi di pagare, e i produttori, per vedere a che prezzi possono permettersi di produrre. Il risultato sono oscillazioni fra crisi di domanda e crisi di offerta. Il collasso dei prezzi della fine del 2014 è stato soltanto una di queste oscillazioni, una che forzerà l’industria a ridurre gli investimenti su nuove risorse: nessuno vuol rischiare di spendere soldi in una risorsa che poi non potrà vendere. Questo rallenterà la crescita della produzione ed è probabile che la vedremo scendere nel prossimo futuro. È soltanto una continuazione di una tendenza che era iniziata nel 1972. Questo è esattamente il meccanismo che produce il famoso “picco del petrolio” che Hubbert, ai suoi tempi, aveva stimato per il giro del secolo, all’incirca. Non aveva fatto una cattiva previsione, considerando che faceva una stima di qualcosa che si sarebbe dovuta verificare 50 anni nel futuro. Strizzando il limone petrolifero, siamo riusciti a ritardare il declino della produzione di una decina di anni, circa. Forse lo

possiamo ritardare ancora un po’, ma la tendenza è inevitabile. A questo punto, possiamo riassumere i termini di questa lunga storia del petrolio. Siamo arrivati a un punto in cui abbiamo estratto e bruciato la parte “facile” di quello che avevamo a disposizione. Quello che ci resta è ancora abbondante, ma è petrolio “difficile”, ovvero costoso. Ma, pur con tutta la tecnologia che abbiamo, dobbiamo rassegnarci a pagare caro il petrolio che estraiamo, e ancora più caro quello che estrarremo. E non ci potremo più permettere di estrarne le quantità che estraiamo oggi. Sembra proprio che il tempo delle vacche grasse, del petrolio abbondante e a buon mercato, sia finito. Le vacche sono adesso parecchio magroline e le si vede deperire a vista d’occhio. D’ora in poi dobbiamo cominciare a pensare all’era del dopopetrolio.  * Dipartimento di Scienze della Terra - Università di Firenze

figura 2

L’andamento storico del prezzi del petrolio

Fonte: Macrotrends

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fisco

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L’imposta non è verde di Michele Governatori*

L’attuale assetto fiscale in Italia favorisce i consumi di fonti fossili e produce incentivi dannosi all’ambiente e all’efficienza

L’Italia tassa i redditi (quelli noti al fisco, s’intende) più della media UE. Questo vuol dire che un cittadino o un’azienda onesti hanno meno interesse ad aver successo economico in Italia che altrove. E infatti, in un contesto europeo integrato, è sempre più verosimile che un giovane professionista o imprenditore, sicuri del proprio potenziale, decidano di andarsene. Così com’è sempre più probabile che una persona di reddito medio-alto decida di andare a vivere fuori dal Lazio per non pagare l’addizionale record d’Italia (è un punto secco

in più nel 2015: i residenti l’avranno notato con lo stipendio di gennaio). Ma qual è l’alternativa a un’aspra tassazione dei redditi? Già nel 2011 la Banca d’Italia (con un documento a firma del poi sottosegretario Vieri Ceriani, reperibile sul sito della Banca) consigliava al Governo di rivedere la tassazione spostandone una parte ulteriore dai redditi ai consumi, e lo stesso faceva sempre nel 2011 la BCE in una delle sue richieste nella famosa lettera al Governo Berlusconi. Anche tassare i consumi, naturalmente, ha le sue controindicazioni. In particolare, è distorsivo tra le categorie di beni assoggettate a diverse aliquote d’imposta. Ma l’effetto finale torna positivo se le distorsioni indotte dall’imposta al consumo ne bilanciano altre già esistenti, per esempio perché correggono esternalità ambientali. Per questo, se ben bilanciate, le imposte “ambientali” sui consumi possono essere un’ottima soluzione per introdurre segnali virtuosi in modo non troppo dirigista e nello stesso tempo permettere di alleggerire

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32 fisco quindi un’imposta assai poco ambientale, che anzi si trasforma in uno dei sussidi dannosi all’ambiente secondo la classificazione dell’OCSE, e che l’OCSE stessa con la sua Environmental Performance Review del 2013 ha raccomandato al Governo italiano di eliminare. La necessità di una revisione in chiave ecologica della fiscalità, del resto, è anche nella legge italiana. La prevede la delega fiscale del marzo 2014 all’articolo 15. Peccato che la norma subordini la revisione all’approvazione della nuova direttiva UE sulla tassazione dei prodotti energetici, che la tabella 1 neonata Commissione di Schultz ha messo fuori dall’agenda. Così Italia - Sconti alle accise sui prodotti energetici per settore l’obbligatorietà della riforma italiana è bloccata, a meno che non passi Stime 2014 Stime 2014 una proposta di modifica alla delega Sconto in milioni di € Di cui a fonti fossili fiscale come quella di Legambiente Settore (Stime a inizio 2014 - Ragioneria Generale dello Stato) (Stime dell’autore su dati Ragioneria) e Radicali Italiani nell’iniziativa Trasporti 3.943,30 3.757,70 #menoinquinomenopago, già Agricoltura 1.016,50 975,80 presentata alla Camera con prima Manifattura 71,50 71,50 firma dell’on. Oreste Pastorelli e Altro 828,40 586,60 firme aggiuntive di una quindicina di deputati. Totale 5.859,70 5.391,60 Il legame tra sistema fiscale e sussidi, in particolare legati all’energia, è il peso sui redditi. Con il risultato di dare più evidente, se è vero che uno sconto d’imposta potere d’acquisto a chi abbia voglia di mutare i genera un vantaggio competitivo quanto un propri comportamenti. sussidio. La riforma ecologica del fisco quindi deve avvenire insieme a una revisione di tutti Imposte ambientali i sussidi, in modo che l’effetto complessivo Appartengono alla definizione di imposte sia di internalizzare i costi esterni oltre che di ambientali, per esempio, le accise su prodotti perseguire la trasparenza fiscale. E non solo: energetici il cui consumo provoca effetti negativi bisogna mettere mano anche al sistema della all’ecosistema. Peccato che, in Italia e non parafiscalità delle bollette, dove si annidano solo, esse vengano applicate in molti casi con sussidi ai grandi consumatori e a quelli più modalità controproducenti dal punto di vista intensivi che sono più l’esito stratificato di singoli ecologico. Il caso più clamoroso è quello delle interventi di aiuto, e conseguenti reazioni, che accise sui combustibili che vedono forti sconti di una visione lineare. Un caso emblematico proprio per i consumatori più intensivi: quelli della guerra nei sussidi dell’energia è stata la per i quali il prezzo è più critico per attivare prevedibile reazione di settori energy intensive investimenti in efficienza nei consumi. Una non manifatturieri a una delle norme di sconto persona comune che fa un pieno da 50 litri di politico sul prezzo che avvantaggiava solo i loro gasolio paga per la stessa quantità oltre 10 Euro omologhi manifatturieri. più di un TIR, per esempio. Cioè sussidia i tubi Il governo Renzi ha iniziato a metter mano di scappamento più grossi. L’accisa diventa febbraio/marzo 2015


febbraio/marzo 2015

al sistema dei trasferimenti tra categorie di consumatori delle bollette, ma non ancora nel modo più coerente e radicale, che è quello di far pagare il costo totale dell’energia (esternalità e oneri di sistema diretti inclusi) senza alcun sussidio incrociato. Coerente anche con il primo punto della Strategia Energetica Nazionale che reca l’obiettivo dell’efficienza energetica. Riflettiamoci: come si fa a consumare in modo efficiente una risorsa di cui si paga un prezzo politico diverso dal costo pieno?

I sussidi alle fonti fossili Come hanno scritto Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro il 21 gennaio sull’Huffington Post, gran parte dei sussidi da eliminare nell’energia sono quelli alle fonti fossili che, una volta tolti, possono comportare possibilità di alleggerimento anche di quelli alle fonti rinnovabili. Saravalle e Stagnaro, come già la Banca Mondiale nel suo ultimo Global Economic Prospects e il Fondo Monetario Internazionale con dichiarazioni di Olivier Blanchard, affermano che il prezzo eccezionalmente basso del petrolio è un’occasione d’oro per procedere alla revisione dei sussidi dell’energia, perché la riduzione dei prezzi dei prodotti energetici fossili rende assorbibile un taglio degli aiuti al loro consumo. Più complessa, a parere di chi scrive, è l’interazione lato offerta dei sussidi all’energia con il petrolio a buon mercato. Il quale rende l’offerta più competitiva solo quando l’input del processo di trasformazione ha un prezzo legato a quello del petrolio. In questo senso, un recentissimo parere dell’agenzia statunitense per l’informazione sull’energia afferma che le fonti elettriche rinnovabili non dovrebbero veder danneggiata la loro competitività dal calo del greggio, in quanto competono con produttori i cui costi perlopiù non vi sono legati. Più nel dettaglio, un articolo di Marianna Antenucci e del sottoscritto, in uscita nel prossimo numero di Critical Issues in Environmental Taxation, indaga usando dati empirici del mercato italiano come nel sistema della generazione elettrica una carbon tax avvantaggerebbe alcune categorie di fonti rinnovabili (quelle che percepiscono un incentivo indipendente dal prezzo di mercato

dell’elettricità) e si chiede che tipo di incentivi alle rinnovabili si adatta automaticamente alle fluttuazioni del prezzo delle emissioni CO2 o all’intensità di una carbon tax, elemento quest’ultimo che è ragionevole aspettarsi venga reintrodotto una volta messa in campo la riforma del fisco cui accennavamo. Maggiori informazioni sull’articolo sono sul blog Derrickenergia di cui riportiamo il link tra i riferimenti. In ogni caso, lato domanda e lato offerta, per fare affermazioni conclusive in termini distributivi occorre valutare la competitività dei mercati per capire quali parti della filiera si tengono effettivamente l’effetto del minor sussidio e del minor prezzo del petrolio. È però certamente condivisibile l’affermazione generale di Saravalle e Stagnaro circa il fatto che la riduzione di un sussidio a una determinata categoria crea di norma spazio per un “disarmo” multilaterale, per un effetto di de-escalation simmetrico a quello descritto sopra. E dunque: dobbiamo essere ottimisti riguardo a una possibile riforma da parte del Governo? Una nota positiva è l’annuncio di Renzi di un “Green Act”. Quanto più sarà pervasivo l’intervento, toccando le regole della parafiscalità e della fiscalità legate all’energia e all’ambiente, tanto più potrà dare effetti positivi in termini di efficienza dei mercati e correttezza della concorrenza, eliminazione degli incentivi dannosi all’ambiente, naturale incentivo all’efficienza energetica. Si ringraziano Marianna Antenucci ed Edoardo Zanchini.  *Lavora nell’energia. Cura Derrick, una rubrica sul tema di Radio Radicale, e un blog dal titolo Derrickenergia.

LINK >

Eia.org

>

worldbank.org/content/dam/Worldbank/GEP/GEP2015a/pdfs/GEP2015a_

>

huffingtonpost.it/carlo-stagnaro/smantelliamo-sussidi-distorsioni-

>

radicali.it/menoinquinomenopago

>

rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Bilancio_

chapter4_report_oil.pdf mercato-energia_b_6513272.html

di_previsione/Bilancio_finanziario/2014/DisegnodiBilancio/ AllegatoaldisegnodiBilancio/01-Allegato_tecnico-Entrata.pdf >

derrickenergia.blogspot.ch/2014/10/conferenza-globale-dellatassazione_14.html

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eolico

febbraio/marzo 2015

Il crollo del vento di Luciano Pirazzi*, Davide Astiaso Garcia**

Gli effetti della normativa vigente sullo stato dell’eolico in Italia sono negativi

Ogni volta che si ritiene necessario migliorare e rendere maggiormente adeguato all’evoluzione della tecnologia e del mercato il sistema normativo e incentivante relativo alle fonti rinnovabili, introducendo cambiamenti radicali, si determina una contrazione degli investimenti della durata variabile, ma mediamente - sino all’ultimo provvedimento legislativo, almeno per quanto riguarda l’eolico - di circa un paio d’anni. In linea di massima, la motivazione di tale rallentamento nella diffusione dell’eolico è ascrivibile alla necessità da parte dei potenziali investitori e degli istituti di credito di

comprendere appieno il disposto legislativo, la sua portata e i margini di rischio. Ora, invece, con la normativa attuale - e precisamente con il Decreto Legislativo del 3 marzo 2011 e del susseguente decreto attuativo del 6 luglio 2012 - la situazione è drasticamente peggiorata sia per le previsioni sulla durata degli effetti negativi, sinora registrati e, soprattutto, per l’entità degli stessi, nettamente superiore alle ipotesi più pessimistiche. Infatti, ancora una volta sono i numeri, nella loro incontestabilità, a dimostrare il fallimento delle misure introdotte che, secondo l’intenzione del legislatore, avrebbero dovuto razionalizzare l’intero sistema delle rinnovabili e, allo stesso tempo, ridurre notevolmente i costi. Ma se per i costi si potrebbe per il momento soprassedere, è l’efficacia del provvedimento che lascia molto a desiderare, con le aste e i registri che, nonostante il limite di potenza annuale imposto in entrambi i sistemi, hanno avuto per ora un esito negativo, come si evince dalla mancata realizzazione della maggior parte degli impianti

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36 eolico figura 1

Status impianti ammessi aste 2012 -2013 - Dati di sintesi % MW Aste 2012

ammessi in graduatoria. Difatti, come riportato nei grafici e tabelle, il 46% della potenza dei vincitori e aggiudicatari dell’incentivo dell’asta 2012 non è ancora in costruzione, per cui dei 442 MW ammessi solo 217 MW sono in esercizio; per l’asta 2013, dei 465 MW ammessi solo 113 MW sono in costruzione, o in esercizio. Aggregando i dati si può dire che su 907 MW aggiudicati, per il 61%, ovvero 555 MW, non si è nemmeno iniziata la costruzione. La situazione per l’anno 2014 non è più serena. I MW contendibili sono stati 356 e i risultati mostrano un progressivo innalzamento dei livelli di sconto che renderà presumibilmente irrealizzabile gran parte degli impianti in graduatoria. Questo quadro negativo conferma purtroppo quanto dichiarato dall’ANEV nelle sedi istituzionali, con un forte richiamo all’illegalità di taluni provvedimenti, come la retroattività di alcune misure che, oltre a colpire pesantemente molti investitori che hanno creduto precedentemente nell’opportunità di entrare nel settore, riduce drasticamente l’arrivo di nuove figure imprenditoriali pronte a investire immediatamente, ma con ben altre condizioni al contorno. Inoltre, in aggiunta a quanto sopra esposto, si deve ricordare il mancato snellimento delle procedure autorizzative, con i tempi necessari all’ottenimento del permesso a costruire mediamente ancora troppo lunghi. In tale contesto, se non saranno formulate nuove strategie per il rilancio delle rinnovabili febbraio/marzo 2015

% MW Aste 2013

- con misure appropriate sul versante incentivazione e su quello altrettanto importante di snellimento e certezza dei tempi delle procedure amministrative - si assisterà a un progressivo ridimensionamento dell’economia verde, proprio quando finalmente si era avuto un deciso balzo in avanti che aveva portato l’eolico italiano per diversi anni alla sesta posizione a livello mondiale, mentre per il momento in Europa si è registrato il sorpasso del Regno Unito e molto presto si assisterà anche a quello della Francia. In definitiva, i grafici e le tabelle illustrano molto chiaramente il contraccolpo subìto dal settore, con la tendenza al ridimensionamento dei progetti in questo periodo negativo che si spera possa essere superato con maggiore attenzione e consapevolezza da parte dei decisori politici nazionali, regionali e locali.

Vento in discesa Come sopra accennato, i numeri danno una percezione chiara del collasso subìto dal settore: si è infatti passati dai 1.240 MW del 2012 ai 445 MW del 2013, mentre nel 2014 sono stati realizzati e connessi alla rete solo 107 MW, valore che ci riporta ai tempi in cui l’eolico in Italia aveva appena iniziato ad affermarsi come una solida realtà! Nel 2014 sono state installate solo quattro centrali eoliche della potenza intorno a 20 MW, tre delle quali in Puglia, che rafforza il suo primato in ambito nazionale, e l’altra in Basilicata. Altre due centrali della


febbraio/marzo 2015

potenza di 6 e 12 MW sono state realizzate attraverso il sistema delle aste, rispettivamente in Toscana e Campania. Tutte queste nuove installazioni sono state effettuate con macchine di grande taglia con potenze oscillanti da due a tre MW e diametri del rotore da 90 a 117 m. Gli altri impianti realizzati nell’anno sono stati di potenza nettamente inferiore e soprattutto si è trattato di macchine singole di potenza compresa tra 200 e 800 kW. Anche nel 2014 Vestas ha confermato la sua preminenza in ambito nazionale con una percentuale del 56%, mentre a livello cumulativo si attesta intorno al 40%, seguita da Gamesa con poco meno del 20 % e da Enercon vicina al 13%. In tale quadro disastroso un aspetto positivo è la presenza di un’industria del settore che ha adottato tutte le strategie possibili per contenere al minimo la riduzione del personale, o in qualche caso addirittura incrementarlo, come alla Vestas Italia di Taranto dove, grazie agli ordini pervenuti da altre nazioni, le attività di produzione delle pale continuano a ritmo serrato. Ovviamente, non è pensabile che tale situazione favorevole si possa protrarre all’infinito. Infatti, senza la presenza di un forte

mercato nazionale - requisito necessario perché tale realtà produttiva e le varie attività industriali e commerciali delle altre aziende operanti nel settore possano mantenere e riprendere vigore - le possibilità di una piena ripresa del settore saranno irrimediabilmente compromesse.

Status del minieolico Diverso è l’andamento del minieolico dove, a differenza di quanto è successo nell’eolico maggiore, i cambiamenti sono stati decisamente di portata minore, lasciando sostanzialmente spazio alla diffusione della tecnologia distribuita con macchine di taglia non superiore a 200 kW. Il limite di 60 kW - che a livello nazionale corrisponde al valore da non superare per poter accedere alla procedura semplificata per l’ottenimento dell’autorizzazione a installare l’aerogeneratore, a prescindere dalla dimensione e dalla tipologia, per esempio asse verticale o orizzontale - ha determinato da parte di molti costruttori, soprattutto nazionali, la scelta di realizzare prodotti di tale taglia, introducendo nel mercato nuovi modelli di caratteristiche e costi diversi, in grado di soddisfare la richiesta dei potenziali acquirenti.

figura 2

Numero di unità e potenza media aerogeneratori (kW) al 31-12-2014

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38 eolico Quindi, in questo segmento di mercato, si sono evidenziati tre limiti: due di natura economica e uno di natura procedurale, al di sopra dei quali, soprattutto per i valori di 60 e 200 kW, gli aspetti normativi ed economici diventano molto rilevanti. Infatti, mentre dell’aspetto autorizzativo si è detto in precedenza, quello economico consiste nei limiti di 20 e 200 kW, entro i quali si hanno diversi valori della tariffa incentivante, rispettivamente di 291 e 268 €/ MWh, per un periodo di venti anni. Conseguentemente a tale presupposto, allo scopo di rendere maggiormente competitive le piccole macchine assecondando le richieste di mercato, la tendenza a realizzare o migliorare in particolare i prodotti da 20, 60 e 200 kW è assolutamente comprensibile. Infatti, nell’ultimo periodo sono state installate, soprattutto in Puglia e Basilicata, numerose macchine di questa taglia, in particolare della potenza di 60 kW che, anche nel medio termine, sembrano avere le maggiori possibilità di diffusione in termini di numero di unità. Comunque anche per le potenze 60 e 200 kW le prospettive sono interessanti e diverse iniziative in tale ambito si sono registrate soprattutto nelle Regioni dove il limite di potenza per accedere figura 3

Quota di mercato di produttori di turbine eoliche (fine 2012) Siemens 1,5% Leitwind 1,3% Ecotecnia 2,2% GE Wind 4,0%

all’istruttoria semplificata è stato elevato a 200 kW e a 1 MW. Analizzando i dati relativi agli impianti accettati a registro nel 2013, quindi nella fascia 60 kW – 5 MW, si nota la netta preponderanza, sia in termini numerici che di potenza, di quelli da 200 kW, in particolare in Basilicata e poi, a notevole distanza, in Sardegna, Calabria e Campania. Prendendo invece in considerazione i dati del Bollettino semestrale del GSE del secondo semestre 2013, la crescita maggiore nel periodo, di poco inferiore a 4 MW, si è determinata nella fascia sino a 60 kW, mentre in quella sino a 250 kW l’incremento è stato molto contenuto, di poco superiore a 1.300 kW, a fronte di una potenza a registro di quasi 60 MW. A livello di potenza cumulata la Puglia è nettamente in prima posizione. Infatti, a fronte di una potenza complessiva del minieolico in Italia alla fine del 2013 di 28 MW, la potenza pugliese era superiore a 10 MW, mentre in Basilicata, Campania, Sardegna e Calabria le potenze erano rispettivamente poco più di 6 MW, poco meno di 4 MW e, per le ultime due, meno di 2 MW.

L’offshore Nordex 7,2%

Vestas Italia 39,0%

Repower 9,4% Enercon 12,9% Gamesa 20,4%

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L’Italia, per ora - nonostante la sua posizione geografica privilegiata nel Mediterraneo e un buon numero di progetti presentati, alcuni dei quali in seguito modificati per migliorare la loro accettabilità - al contrario di molti Paesi europei non ha ancora alcuna installazione offshore. Inoltre, tale assenza - anche in ragione dei costi elevati, oltre naturalmente alle note difficoltà e lungaggini procedurali, nonché in seguito all’opposizione riscontrata a livello regionale e locale - si potrebbe protrarre per tempi piuttosto lunghi. In ogni caso anche in questo ambito si stanno perdendo opportunità interessanti in quanto


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gli investimenti proposti sono di notevole portata, con il coinvolgimento di un buon numero di maestranze locali. Inoltre, tenendo presente che nella tecnologia offshore i costi delle macchine sono all’incirca gli stessi delle opere infrastrutturali del tipo collegamento alla rete elettrica, assemblaggio dei componenti, trasporto marittimo e realizzazione delle fondazioni, si comprende come l’entità dei lavori da effettuare sia di notevole rilievo in settori dove l’Italia ha maturato una grande capacità realizzativa. Un altro aspetto potenzialmente a favore di un possibile sviluppo industriale del settore è rappresentato dalla presenza di numerosi porti in grado di essere utilizzati, nel caso di una diffusione significativa dell’eolico offshore nel Mediterraneo, per un eventuale stoccaggio dei componenti e per la produzione di parte degli stessi in aree adiacenti. Per quanto riguarda le attività di ricerca in ambito nazionale è bene ricordare le iniziative portate avanti sinora da ENEA e RSE, anche

in ambito europeo, che hanno evidenziato le potenzialità del mare che circonda la Penisola, i vincoli di natura ambientale e la suddivisione del potenziale sfruttabile in funzione della profondità del mare. Con le fondazioni convenzionali sinora adottate si opera all’incirca sino a 40 m di profondità, mentre con il ricorso alle piattaforme galleggianti o altri sistemi, tuttora oggetto di studi di fattibilità e sperimentazione, si possono raggiunger profondità dell’ordine di centinaia di metri e oltre. Questa seconda modalità applicativa dell’eolico offshore riveste particolare interesse per l’Italia dove, analogamente ad altri Paesi come il Giappone e la Norvegia, le aree marine in cui si riscontrano le maggiori ventosità sono generalmente caratterizzate da una profondità elevata.  *Segretario Scientifico ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento) **Segretario Generale ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento)

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conversazioni

febbraio/marzo 2015

Riflessi su nero petrolio di Francesca Tilli

Il prezzo del petrolio, i suoi andamenti e le sue dinamiche. Davide Tabarelli dialoga con Francesca Tilli

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Un crollo del prezzo del barile difficile da prevedere, le prove di forza tra Paesi produttori, i nuovi concorrenti come i biocarburanti e lo shale oil. Sulla Borsa di New York le quotazioni si sono dimezzate in 5 mesi, scendendo a 48 dollari per barile, il livello più basso dall’inizio del 2009. Il mondo dell’energia viene investito da questo improvviso ritorno a condizioni di abbondanza della fonte di energia più importante, cancellando anni di preoccupazioni circa la scarsità e il bisogno di trovare soluzioni

diverse. Le fonti alternative, quelle pulite, sono minacciate nella loro straordinaria crescita dell’ultimo decennio, proprio mentre gli incentivi sono stati tagliati. Ma cosa è successo su questo mercato ed è davvero tutto così negativo ciò che deriva da questa instabilità? Affrontiamo la questione dei prezzi del petrolio nel quadro economico attuale parlando con Davide Tabarelli, fondatore e presidente di Nomisma Energia. Difficile non pensarci quando il suono delle scarpe rimbalza dall’asfalto, nella costante consapevolezza del cambiamento del nostro paesaggio. Le pennellate piene di vita della centrale di Montalto di Castro, l’umiltà e la forza dell’autore di questo dipinto. Paolo Picozza ci ha abbandonato al nostro destino di convivenza con questo ospite necessario e generalmente sgradito dalla coscienza sociale, il petrolio. Sarà per il suo alto potere

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42 conversazioni calorifico, ma il dibattito che lo circonda è sempre intenso e non cade mai nell’oblio, sia quando i prezzi del greggio vanno alle stelle sia quando, come negli ultimi due mesi, i prezzi crollano, lasciando stupiti investitori, industria e finanza. Chiediamo quindi a Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, se questo crollo, che da un lato entusiasma i consumatori, ma dall’altro preoccupa Wall Street, fosse in qualche modo prevedibile.

«Vede, chi fa le previsioni, come io faccio da trent’anni, sa che prima o poi si avverano, il problema è quando. Al di là della battuta, da quando il prezzo è salito sopra i 50 dollari, siamo sempre stati ribassisti, ma per 6 anni non ci abbiamo preso. Anche negli ultimi mesi eravamo fra gli analisti con le previsioni più basse, ma da 110 davamo uno scenario a 98 dollari. Dare previsioni a 60 era impossibile. Magari potevamo anche ricordare che solo 15 anni fa, nel 1998, il prezzo era stato inferiore ai 10 dollari, oppure che nel 1932 erano addirittura negativi, perché i produttori pagavano chi potesse portare via dai loro pozzi il petrolio che non riuscivano a vendere. L’unica certezza del prezzo del petrolio è l’instabilità».

figura 1

Previsioni del prezzo del petrolio Brent (dollari per barile)

Tabarelli, lei che vende previsioni del prezzo del petrolio (fate rapporti di previsione mensile di tutti i prezzi dell’energia e siete fra gli analisti più importanti in Italia), può spiegarci sulla base di quali considerazioni queste vengono fatte?

«La figura 1 fa vedere che per i prezzi del petrolio è impossibile prevedere con accuratezza le future dinamiche. Nell’agosto 2013, come nei precedenti quattro anni, siamo sempre stati ribassisti, con cali attesi di circa 10-15 dollari nei successivi due-tre anni. Mai avremmo previsto una caduta di oltre 50 dollari. Ma allora noi eravamo i più ribassisti e la quasi totalità degli analisti dava previsioni al rialzo di 20 dollari. Abbiamo indovinato il trend ma, come per tutte le commodity, le oscillazioni possono essere violente e queste sono del tutto imprevedibili. Poi, circa cosa usiamo per fare le previsioni, è molto semplice: il passato. Dalle valutazioni più soggettive, quasi umorali, fino ai modelli econometrici più sofisticati, è sempre il passato che detta le idee o i legami fra le variabili. Noi facciamo lo stesso, ma con un accorgimento, usiamo il passato dell’industria, quello di lungo termine, che va oltre i 50 anni, e non quello della finanza, che ha al massimo un orizzonte o una memoria di 5-10 anni». Tali previsioni, quindi, hanno un carattere induttivo, ovvero si parte da uno studio di una ripetizione di eventi passati e tale costruzione teorica viene applicata al futuro; ma la semplice ripetizione giustifica l’applicazione di una “legge” da eventi particolari all’universale (o, come in questo caso, dal passato al futuro)?

«Certo che la giustifica, non abbiamo alternativa a questa applicazione di una legge. La complessità di un sistema economico come quello che ruota intorno al petrolio, dove politica e finanza si mescolano con le decisioni di miliardi di consumatori finali, impone di credere in qualcosa, consapevoli tutti dell’impossibilità delle previsioni». Il fatto che non abbiamo alternative per fare queste previsioni giustifica un atteggiamento così dogmatico? Come entrano le teorie della probabilità nelle vostre previsioni?

«Fare previsioni sul futuro è una delle attività febbraio/marzo 2015


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che qualifica l’esistenza dell’uomo, cercare di razionalizzare il proprio futuro, il proprio destino. Nel petrolio e nella finanza le cose non sono molto diverse e, se di dogma vuole parlare, allora è quello della razionalità. È un dolcificante, quello delle probabilità, dell’amarezza circa l’impossibilità di prevedere. Anche noi facciamo sempre tre casi, con quello centrale che ha più probabilità di verificarsi, ma lo diamo al 40% su un 100% che poche volte ci prende».

che hanno trascinato tutti gli operatori al rialzo. Tuttavia, devo riconoscere che loro hanno i migliori centri studi, impiegano i migliori analisti, e li pagano molto bene. Non si sono inventati il trend rialzista, vi erano molti fattori che giustificavano prezzi più alti, dalla domanda cinese, alle crisi politiche in Medio Oriente. Ma, a giudicare dai prezzi attuali, tutto è stato eccessivo».

Non ritiene possibile che le previsioni influenzino in qualche modo l’andamento dei prezzi del petrolio?

Quanta influenza hanno avuto le energie rinnovabili o la rivoluzione energetica americana (il fracking) nel determinare un eccesso di offerta di petrolio rispetto alla domanda?

«Certo. Nella teoria economica esistono le profezie che si auto avverano (self-fulfilling prophecies) e che fanno riferimento a comportamenti speculativi tipici di alcuni mercati dove le aspettative di pochi incidono su quelle del resto del mercato. Negli ultimi anni, fino allo scorso ottobre 2014, i prezzi alti erano giustificati da previsioni rialziste delle grandi Banche d’affari americane, previsioni

«Quanto sta accadendo negli Stati Uniti è qualcosa di epocale, una corsa all’oro, questa volta nero. La produzione di petrolio in quattro anni è salita di 3 milioni barili giorno, pari alla produzione di un Paese come l’Iraq. Peraltro è un’offerta che impiegherà tempo per rallentare o calare, come magari vorrebbero i Paesi arabi. Per le rinnovabili, il discorso è più complesso, in quanto servono prima di tutto per fare

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44 conversazioni elettricità e il petrolio nell’elettricità non c’è da tempo. I suoi derivati sono ormai interamente usati per il trasporto, dove non conoscono rivali. Le nuove rinnovabili, eolico e fotovoltaico, sostituiscono centrali elettriche a gas o a carbone, non benzina. Un discorso a parte meritano i biocarburanti, ottenuti da prodotti vegetali, dalla parte più nobile della pianta, il frutto o il seme, da cui si fanno zuccheri o oli. A livello globale la produzione di biocarburanti ha raggiunto 2,2 milioni barili giorno, quasi la produzione del Venezuela. Contano parecchio queste rinnovabili, il problema è che sono

alimenti e, come diceva Fidel Castro, finché sulla Terra c’è un solo uomo che muore di fame, allora è sbagliato mettere cibo nei serbatoi delle nostre automobili». Molti si chiedono poi se le rinnovabili verranno colpite dal crollo del prezzo del petrolio.

«Certo non fa bene, ma, come dicevo, il distacco fra settore del trasporto, dove dominano i derivati del petrolio, e la produzione elettrica, dove ci sono le rinnovabili, è largo. Vero è che la caduta del petrolio trascina anche i prezzi del gas e a seguire i prezzi dell’elettricità. La soglia della famigerata grid parity un po’ si abbassa. E poi anche i prezzi del carbone, la fonte più febbraio/marzo 2015

importante nella produzione mondiale di elettricità, sono scesi negli ultimi mesi, circa 10 dollari per tonnellata in meno sotto i 60 dollari». Non pensa che il rifiuto dell’Arabia Saudita di ridurre la produzione di petrolio sia una prova di forza rispetto ad altri Paesi Opec? E se così fosse, per quanto tempo si può pensare che la stessa possa permetterselo in termini economici? Secondo il New York Times per i sauditi ridurre adesso la produzione di petrolio per aumentare i prezzi sarebbe come incentivare i competitors come, per esempio, le compagnie negli Stati Uniti che stanno estraendo petrolio tramite fracking, e che sono le uniche responsabili dell’aumento dell’offerta. Siamo quindi di fronte a una sorta di guerra del petrolio, o meglio, del market share del petrolio? È evidente che a 50 dollari al barile il fracking non è più conveniente.

«In realtà queste sono tante domande. Sì, l’Arabia Saudita vuole dominare, non tanto far vedere che è forte. Lo è e non ha bisogno di dimostrarlo. Il tema dominante, fra i molti che giocano un ruolo, è quello dello scontro con l’Iran, la Persia, il Paese musulmano non arabo, sciita, non sunnita come i sauditi, con uno stato teocratico che dal 1979 minaccia di esportare la rivoluzione islamica nell’area. Questa è la vera causa del crollo: l’Arabia Saudita non vuole fare spazio a un eventuale ritorno dell’Iran sul mercato con la fine delle sanzioni. In termini economici, se lo può permettere benissimo; è uno dei Paesi più ricchi dell’area e ha riserve per 100 anni, durata che impone alti ritmi di produzione. Sì, sono d’accordo con il New York Times che i sauditi non hanno tutta questa convenienza a tenere alti i prezzi riducendo la produzione. Avessero potuto, e vi fosse stato un mercato più efficiente, i prezzi li avrebbero tenuti volentieri sotto i 60 dollari invece di farli salire a 148, come nel luglio del 2008. Non credo che i sauditi ce


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l’abbiamo tanto con il fracking. Sul fatto che sotto i 50 dollari possa arrestarsi la produzione USA non ne sarei molto sicuro. Hanno sorpreso il mondo facendo negli ultimi 5 anni cose prima impensabili, credo che potrebbero continuare a stupire con la loro capacità di innovazione». Il calo del prezzo del petrolio dovuto all’eccesso dell’offerta dimostra che il mercato libero auspicato e preconizzato da Adam Smith funziona?

«Sì, è proprio così. È il mercato libero che trionfa, perché è l’offerta che sta aumentando finalmente su stimolo di prezzi che per 5 anni sono rimasti a livelli straordinariamente alti, oltre i 100 dollari, e che hanno attivato, come avviene nei mercati efficienti, la ricerca di nuove tecnologie con nuova offerta per ricondurre a maggiore equilibrio il mercato. I prezzi del greggio erano esplosi a partire dalla metà degli anni 2000 perché arrivava inaspettata la fortissima domanda cinese. L’offerta non è riuscita ad adeguarsi con altrettanta velocità e allora i prezzi hanno continuato a salire, favoriti anche dalla finanza. Oggi, finalmente, sentiamo gli effetti di modifiche strutturali dell’industria già avviate decenni fa. La rivoluzione americana si basa sulla fratturazione che impiega due tecnologie distinte. La prima è quella della perforazione orizzontale, partita nei primi anni 80 per i giacimenti convenzionali. La seconda è la produzione assistita, tecnologia attraverso la quale viene iniettato un fluido, acqua, vapore, CO2, nel giacimento da cui si estrae il petrolio per mantenerne alta la pressione. Questa tecnica si usava già negli anni 40, ma è solo negli ultimi decenni che è stata migliorata. Poi alcune compagnie americane di piccole dimensioni hanno messo insieme le due tecnologie per fratturare e lavare le rocce dove sono disperse enormi quantità di gas e petrolio che da sole non possono uscire. È stato un processo lungo, tipico di questa industria, un adeguamento dell’offerta che ha impiegato decenni, ma che conferma che il mercato, il dio mercato, sotto certi aspetti funziona». Cosa cambierà in Europa e in Italia per i consumatori finali in termini di tariffe, bollette, costi della benzina? E per quanto

tempo, visti gli oneri derivanti dalle tasse che paghiamo su questi beni?

«È una manna dal cielo. Come il popolo nel deserto, anche i consumatori in Europa, e in particolare in Italia, sono affamati di buone notizie e di soldi per poter spendere e per far ripartire la domanda interna. È vero che le tasse attutiscono il calo. Ma 30 centesimi per litro in meno, su base annua, significano circa 12 miliardi € che hanno già cominciato a fluire nelle loro tasche da un paio di mesi. Questo è uno strumento efficace per sostenere l’economia, una sorta di detassazione auspicata da tutti». Sembra ci sia sconcerto generale rispetto al fatto che, come ha puntualizzato anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia, non si assiste a una tale crescita del fabbisogno di energia; ma tutte le politiche energetiche non sono basate sul contenimento dei consumi e sul risparmio energetico (non oso neanche avventurarmi sul concetto di decrescita felice…)? Questa costante preoccupazione del futuro, in presenza anche di elementi precedentemente auspicati come positivi, non ritiene sia un atteggiamento un po’ contraddittorio?

«Ha ragione, percepisco anche io questo fastidioso disagio difronte al rallentamento della domanda, come se molti fossero spaventati dal fatto che le cose non vanno poi così male. È che, per molto tempo, hanno cavalcato gli alti prezzi come segno di scarsità di risorse, per disegnare scenari apocalittici su cui indicare sapienti politiche di intervento. Molti sono delusi di fronte a quanto sta accadendo, ma stiano tranquilli: prima o poi il prezzo tornerà a salire e potranno di nuovo esprimere con la loro razionalità tutto il loro pessimismo. Per il momento, però, trionfa l’ottimismo, speriamo che duri». Ritorno al passato e all’asfalto che sto calpestando; questi interrogativi, nella consapevolezza che il petrolio è in tutti gli oggetti del nostro vivere quotidiano, hanno acceso luci e ombre dentro me, come nei dipinti di Caravaggio. Chissà come sarebbero le sue tele senza le zone d’ombra dipinte con il bitume? Anche qui, petrolio. 

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MESSAGGIO PUBBLICITARIO

RECOIL: recuperare l’olio vegetale usato in cucina e trasformarlo in energia Dal biodiesel all’ energia elettrica e termica: l’olio vegetale

LIFE10 ENV/IT/000341

usato in cucina è una grande risorsa energetica ed economica. Raccolto in modo differenziato e dopo opportuni processi di trattamenti e rigenerazione, infatti, può essere riciclato e tornare a nuova vita sotto forma di materie prime per uso industriale o energia alternativa. E invece troppo spesso finisce nei lavandini o disperso nel suolo o nei corsi d’acqua, provocando gravi danni ambientali. Colpa della mancanza di informazione (non tutti conoscono il livello inquinante di

questo rifiuto e i vantaggi economici e ambientali del suo recupero) ma anche di un sistema di raccolta domestica ancora carente, lasciata all’iniziativa dei singoli comuni.

Per favorire un cambiamento nella gestione degli oli vegetali esausti nonché nel comportamento dei consumatori, nasce Life LIFE10 ENV/IT/000341 “RECOIL (RECovered waste cooking OIL for combined heat and power production)”, progetto cofinanziato dalla Commissione europea nell’ambito del programma LIFE+ e guidato da AzzeroCO2 con il Conoe, Legambiente, Kyoto Club e Cid Software. Attraverso un’innovativa collaborazione tra enti pubblici e soggetti privati, RECOIL si propone di incrementare il quantitativo di olio vegetale esausto di origine domestica raccolto in modo differenziato per essere inviato a recupero. Il progetto, avviato nel 2011, ha realizzato un sistema ottimizzato per la raccolta porta a porta dell’olio vegetale esausto al fine di limitare i danni derivanti dalla sua dispersione nell’ambiente e finalizzato

alla produzione energetica. In due comuni pilota, Castell’Azzara (Gr) e Ariano Irpino (AV), è stato pianificato un sistema di raccolta porta a porta dell’olio usato e un sistema informativo innovativo di monitoraggio e tracciabilità dell’intera filiera di raccolta che ha consentito di seguire costantemente l’andamento della stessa e valutarne i risultati. Nelle due località sono stati raccolti complessivamente 2.122 litri di olio vegetale usato, evitando così di immettere in atmosfera circa 125 kg di Co2 equivalente. In particolare, il monitoraggio della raccolta domiciliare porta a porta nei due comuni pilota ha rilevato che i 1.500 cittadini di Castell’Azzara (Grosseto) hanno raccolto 910 litri di olio vegetale esausto, con una media annua a persona pari a mezzo litro di olio vegetale esausto raccolto, e che i 5.000 abitanti di Ariano Irpino (Avellino) hanno raccolto 1.212 litri di olio vegetale esausto, con una media annua di 0,24 litri.

“Grazie a progetti come questo – commenta Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente – si contribuisce a ridurre gli sversamenti degli oli nelle fognature e, al tempo stesso, si recupera una risorsa utile alla produzione di energia rinnovabile. Per questo motivo è fondamentale l’impegno di un’attività di informazione e sensibilizzazione che coinvolga direttamente i cittadini e le pubbliche amministrazioni nella gestione sostenibile dei rifiuti e, per questo, vogliamo continuare a promuovere iniziative come questa affinché si diffonda la pratica della raccolta porta a porta dell’olio vegetale usato. Il nostro auspicio – conclude Ciafani - è che sempre più comuni italiani adottino questo percorso”.


fede

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L’energia del Creato di Sergio Ferraris

Ambiente, energia, pace e giustizia sociale fanno parte di uno stesso scenario che coinvolge tutto il creato.

Da tempo la Chiesa cattolica guarda con attenzione all’ambiente, ma le tematiche energetiche sono, per ora, rimaste sotto traccia. Alla vigilia della nuova Enciclica sull’ambiente voluta da Papa Francesco abbiamo intervistato il Cardinale Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che è stato incaricato dal Santo Padre di

coordinarne i lavori. Per la Chiesa l’energia non è marginale e deve essere incardinata in uno scenario più complessivo. Da cosa nasce l’esigenza della Chiesa di occuparsi di energia?

«L’interesse della Chiesa per l’energia non c’è perché la Chiesa sia esperta in tali argomenti, ma piuttosto perché, compiendo la vocazione dell’amore che Cristo ha lasciato alla Chiesa, essa si interessa alla «intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano» (Gaudium et spes, 2). Proprio durante il Concilio Vaticano II, i Padri Conciliari, volendo comprendere la presenza e la funzione della Chiesa nel mondo, ossia il teatro della storia umana che reca tutti «i

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48 fede segni degli sforzi dell’uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie» (GS, 2), decisero di dare un’espressione eloquente della solidarietà e dell’affetto rispettoso per la famiglia umana entrando in dialogo con essa riguardo tutti i suoi problemi (cf. GS, 3). Papa Benedetto XVI ha risposto a questo appello approfondendo il dialogo fra fede e ragione, un dialogo che si applica facilmente fra la Dottrina sociale della Chiesa e l’energia. Un dialogo di grande attualità, vissuto molto spesso nel Pontificio Consiglio.

In questi ultimi anni, pervengono al Pontificio Consiglio numerosi input concernenti le risorse energetiche o più generalmente l’energia nel quadro complesso dello sviluppo. Da parte di missionari preoccupati per l’inquinamento nel suolo di villaggi o campi dei loro Paesi di missione; alcuni di questi Paesi li ho visitati recentemente, come la Nigeria e il Sud Sudan. Da parte di dirigenti di multinazionali del petrolio o del settore minerario confrontate a determinate sfide sociali, economiche, politiche o ecologiche. Da parte di Conferenze episcopali testimoni di soprusi e violenze, di casi di violazioni di diritti, del conflitto con la politica di energia nucleare, del degrado ambientale o ancora del cattivo uso che certi Stati fanno delle loro risorse naturali o delle loro royalties. Da parte di associazioni, cattoliche e non, nazionali e a dimensione febbraio/marzo 2015

internazionale, che studiano l’impatto delle politiche commerciali concernenti l’energia sull’agricoltura, la natura, la finanza, sul tenore di vita dei più poveri. Da parte di università, gruppi di riflessione e centri di ricerca vari che studiano una determinata questione connessa all’energia o che si preparano a un qualche evento. Da parte di Governi e organizzazioni internazionali che dialogano con la Santa Sede, per esempio in vista della Conferenza di Rio+20 del 2012, di EXPO 2015, della COP XXI oppure della definizione dei prossimi obiettivi di sviluppo sostenibile. Da parte di singoli esperti in svariati settori. Insomma, una serie di “coincidenze”, se vogliamo chiamarle così: numerosi attori che dialogano col Pontificio Consiglio per condividere preoccupazioni, proporre progetti, chiedere consigli, cercare un orientamento da parte della Chiesa. La convinzione che l’energia e la sua gestione avranno importanti ripercussioni per tutti è d’attualità. In questo spirito, si è avvertita la pertinenza di offrire un contributo alla riflessione collettiva, cioè dare un’espressione eloquente della solidarietà da parte della Chiesa per la famiglia umana riguardante un tema cruciale: l’energia». Giustizia, pace e sviluppo sono concetti che, quando parliamo d’energia, sono spesso in contrapposizione nei fatti. Qual è secondo la Chiesa la soluzione per fare sì che non siano più in conflitto?

«Cambiare la visione dominante e adottare valide definizioni per ciascun concetto. Non ci si può preoccupare di uno sviluppo meramente economico, che consideri solo tassi di produzione e consumo: sarebbe un’ingiustizia riguardo a come viene impostata la società, a come viene percepita la persona umana. Non si può nemmeno cercare una pace che sia il soddisfacimento dell’immensa


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domanda di energia di una minoranza maggiormente progredita tecnologicamente ed economicamente, convincendo o forzando il resto dell’umanità a vivere in condizioni di povertà e scarsità energetica: questa non è pace. La vera pace è indivisibile. A questo punto, è utile considerare che Paolo VI ridefinì la pace in termini di sviluppo. Lo sviluppo, disse, è il nuovo nome della Pace (cf. Populorum Progressio,76). Papa Benedetto XVI ha identificato il vero sviluppo come essendo alla volta “integrale” e “umano”. La questione dell’energia per lo sviluppo integrale umano implica dunque una riflessione sulle forme di energia, il loro sviluppo, il loro accesso e la loro disponibilità, il loro costo e la loro sostenibilità. Allorché si definisce la relazione fra energia, giustizia, pace e sviluppo, è importante non limitarsi a quella definizione finanziaria di 2 dollari al giorno. È più accurato definire lo sviluppo integrale umano in termini di accesso all’educazione, alle cure mediche, ai mezzi di comunicazione, all’alloggio e al lavoro, all’energia. Ciò corrisponde ai diritti delle persone; ne costituisce un’esistenza dignitosa. La giustizia di un qualsiasi sistema di governance è dunque determinata dalla misura in cui tali elementi - incluso l’accesso all’energia - sono resi disponibili o meno alla popolazione». Circa i cambiamenti climatici, come pensa che si possa coniugare il contenimento delle emissioni con le legittime aspirazioni dei Paesi in via di sviluppo?

«La Chiesa indica punti di riferimento etici, esorta all’attenzione verso i più poveri e svantaggiati e incoraggia i comportamenti responsabili e solidali dal livello individuale a quello della comunità internazionale. I delicati negoziati sui cambiamenti climatici da anni sono incentrati su montaggi finanziari, architetture istituzionali, meccanismi di monitoraggio, trasferimento di tecnologie; e il mio auspicio (che non limito alla discussione sui cambiamenti climatici) è che governanti e negoziatori agiscano meno nell’ottica dell’interesse nazionale e più nell’interesse dell’intera famiglia umana che necessita di un pianeta vivibile gestito equamente. La resistenza di determinati Stati ad adottare impegni vincolanti (in termini

di emissioni per esempio) è motivata dai loro programmi di sviluppo nazionali. Almeno uno dei cosiddetti BRICS persiste nell’uso dei gas CFC nella refrigerazione. Un secondo da sempre respinge qualsiasi controllo delle proprie emissioni. Orbene, ai Paesi in via di sviluppo non viene chiesto di partire da zero, non devono reinventare la ruota. Si può fare in modo che il controllo delle emissioni non sia un freno ai programmi di sviluppo di tali nazioni».

La riflessione Energia, Giustizia e Pace del Pontificio

Oggi si assiste a una contrapposizione sempre più netta tra fonti fossili e fonti rinnovabili. Qual è la vostra posizione?

Consiglio della

«Bisogna tenere presente lo slogan “produzione e consumi sostenibili”. In questo spirito, le fonti di energia rinnovabile sono preferibili, rappresentano una direzione in cui far convergere la ricerca. Difatti, la tecnologia propone risposte ai problemi intrinseci delle fonti alternative a quelle fossili. Riguardo alla contrapposizione di cui parla: mi pare, piuttosto, che molti attori (famiglie, imprese, Governi) stiano puntando verso mix diversificati di energie. La “nostra posizione” è quella di favorire lo sviluppo di energie che siano per quanto possibile le più adatte al contesto locale: al livello e tipo di organizzazione politicoeconomica, alle possibilità di manutenzione, ai bisogni, alle capacità di investire e di amministrare, alla struttura della società. Bisogna evitare chiusure ideologiche e apriorismi. E anche ricordare che le rinnovabili non sono sotto il controllo umano: non abbiamo creato il sole, non provochiamo né il moto delle onde né il vento,… Quindi, nei confronti delle fonti rinnovabili come di quelle fossili, serve una dose di umiltà, oltre che sobrietà».

disponibile in

All’interno del processo di globalizzazione, che ha profonde implicazioni su ambiente, risorse ed energia, si nota un “affaticamento” della politica di fronte alle ragioni della finanza. Come pensa la Chiesa che si possa affrontare il problema, che porta anche a una grande differenza nella distribuzione della ricchezza?

«La sfida di riportare l’economia e soprattutto la finanza al servizio della persona umana è fondamentale. Occorre coraggio e determinazione per una rapida risoluzione dei

Giustizia e della Pace, ora quattro lingue

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50 fede problemi che lei accenna, specialmente riguardo al fatto che le ineguaglianze nella distribuzione della ricchezza così come quelle di opportunità offerte a ciascun nascituro aumentano nei singoli Paesi come a livello internazionale. Non è questo il posto, però, di sviluppare il contributo della Chiesa a queste riflessioni. L’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium offre numerose piste di riflessione, così come la nota Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale pubblicata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (2011). Il Pontificio Consiglio ha anche realizzato nel luglio 2014 un seminario sul Bene Comune Globale e l’Economia Inclusiva, il Final statement e il Discussion paper elaborati in quell’occasione offrono anch’essi molti validi spunti. Tutti questi documenti sono rinvenibili in Internet». Papa Francesco in che maniera, secondo lei, proseguirà il lavoro fatto dai suoi due predecessori in materia d’ambiente? E soprattutto pensa che coniugherà ancora in maniera maggiore ambiente e tematiche sociali?

«Si parla molto di una prossima Enciclica alla quale, come Sua Santità ha avuto la bontà di spiegare in occasione del suo volo di rientro dalla Corea, ho partecipato assieme ai miei collaboratori. L’intento del Santo Padre è di interessarsi all’ecologia naturale e a quella umana. In questo, Papa Francesco si colloca nel lungo solco d’insegnamenti dei suoi predecessori. Nel 1972 la Conferenza di Stoccolma si interessò allo sviluppo, all’inquinamento, all’esaurimento delle risorse e alla povertà, e incaricò il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente di seguire questi temi. Prima che l’ONU si radunasse in occasione dell’importante vertice di Rio de Janeiro nel 1992, Giovanni Paolo II propose al mondo il primo esaustivo e denso contributo di un Papa sull’ambiente: il suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, dal titolo Pace con Dio creatore. Pace con tutto il creato. Scriveva: «non si otterrà il giusto equilibrio ecologico, se non saranno affrontate direttamente le forme strutturali di povertà esistenti nel mondo». Numerose Conferenze episcopali febbraio/marzo 2015

approfondirono la questione. Quella canadese, per esempio, scrisse nel 2003 che l’armonia ecologica non può esistere in un mondo dalle strutture sociali ingiuste, e che le estreme iniquità sociali del nostro mondo non potranno condurre a una sostenibilità ecologica. Nel 2004, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha pubblicato il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, il cui decimo capitolo è interamente dedicato alla tutela dell’ambiente. Il punto di partenza è che il grido della terra e quello dei poveri è uno solo. Segue il famoso insegnamento di Benedetto XVI contenuto nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010: «il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona». Questa breve escursione mostra cosa precede la preparazione dell’Enciclica di Papa Francesco sull’ecologia naturale e su quella umana, Enciclica radicata negli insegnamenti dei suoi predecessori. Un assaggio ci è stato dato in occasione del recente incontro al Parlamento Europeo, dove Papa Francesco ha esortato ripetutamente a occuparsi dell’ambiente, a essere “custodi” della natura. Ha esortato anche la Chiesa su questa strada, e ha collegato la tematica ambientale a quella della schiavitù e delle migrazioni, alla cultura dello scarto e del diritto al cibo tuttora spesso non applicato. Occorre, dunque, adoperarsi in materia di ambiente a 360 gradi. Senza dimenticare che, oltre all’ecologia ambientale, esiste anche un’ecologia umana. Le due preoccupazioni vanno di pari passo. Dobbiamo, sì, chiederci: “quale pianeta lasceremo ai nostri bambini?” ma anche: “quali bambini lasceremo al pianeta?”». Pensa che i cambiamenti dei comportamenti siano necessari per preservare gli equilibri ambientali? Se sì, qual è la strategia adatta a ciò?

«Rispondendo a questa domanda occorre tenere a mente quanto già detto nella risposta precedente, e rimembrarsi lo slogan “produzione e consumi sostenibili”. È impossibile e inefficace limitare la riflessione agli equilibri ambientali. L’uomo è un essere relazionale. Si relaziona con Dio, con se stesso,


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con gli altri, con la natura. In ciascuna di queste relazioni è fondamentale mantenere un equilibrio. O, se è il caso, fare di tutto per ritrovarlo. Se questo equilibrio è spezzato, non si esita a deteriorare cinicamente la natura o a schiavizzare il proprio prossimo. Cambiare comportamento diventa allora fondamentale, e in questo possiamo riprendere l’appello di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI a una “conversione ecologica”. Tale è la strategia da adottare. In oltre, non possiamo evitare la questione dell’educazione. Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2012, insisteva proprio sul bisogno di educare i giovani: «dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali e internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti». Educando i giovani si punta sui genitori, professori, scienziati, diplomatici, imprenditori e governanti di domani». Pensa che un coinvolgimento attivo delle varie religioni possa esercitare un peso nel raggiungimento di un accordo mondiale sul clima?

«L’espressione “varie religioni” va considerata con prudenza, al fine di non fare di tutta l’erba un fascio. I tre grandi monoteismi indubbiamente riconoscono alla natura una particolare importanza, così come molte religioni e credenze locali, talvolta animiste. Indubbiamente, alcune religioni hanno un peso determinante in quanto possono ridestare nella persona umana, nella sua intimità, la sua vocazione originaria. Aiutano ad accorgersi che, intorno a noi, la natura ci parla instancabilmente del progetto di un Dio creatore e amante. Le persone che – specialmente grazie alla loro

religiosità – vivono con questa consapevolezza si sentono responsabili della natura, responsabili di vivere in armonia con l’ambiente. Possono, quindi, dedurne quanto sia importante che i loro rappresentanti e governanti, a loro volta, si adoperino per preservare la natura. In definitiva, pare coerente ritenere che una nazione veramente permeata di religione, dagli elettori ai governanti, contribuisca in modo molto positivo al raggiungimento di un accordo mondiale sul clima oppure a trattati

sull’acqua o sull’inquinamento. Un simile coinvolgimento attivo delle religioni, “dalla base”, a lungo termine, è un grande contributo che si può offrire alla comunità internazionale, affinché quest’ultima possa trovare il respiro e la motivazione sufficiente per adottare le misure e creare le istituzioni opportune. In altri contesti, vengono in mente gli sforzi collaborativi dei gruppi religiosi affinché i valori umani vengano riconosciuti “dall’alto”. C’è chi ha invocato una ONU delle religioni; gli organizzatori del World Economic Forum, poi, hanno auspicato un World Ethics Forum. Un’azione interreligiosa relativa alla sensibilizzazione riguardo ai cambiamenti climatici è attualmente contemplata da varie entità, fra le quali la World Conference of Religions for Peace e la Columbia University di New York». 

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52 scenari

2 gradi di Gianni Silvestrini

Sono necessarie innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia

IL LIBRO 2 °C Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia di Gianni Silvestrini Edizioni Ambiente. 2 °C racconta le trasformazioni tecnologiche e sociali che possono portarci fuori dalle crisi che ancora stiamo vivendo

L’incremento delle temperature da non superare per evitare catastrofici impatti climatici, 2 °C, che è anche il titolo di questo libro, sarà uno dei più importanti stimoli e condizionamenti dello sviluppo dell’umanità dei prossimi decenni. Spalancherà opportunità e definirà vincoli destinati a modificare profondamente i principali comparti della nostra economia. Si tratta di una sfida ambiziosissima. Gli attuali sforzi per decarbonizzare l’economia globale dovranno essere moltiplicati per cinque. A quella climatica si aggiungono altre emergenze ambientali e la necessità di fornire cibo, case, servizi, lavoro entro il 2030 a quelle 170.000 persone che ogni giorno andranno a vivere in città. Un impegno da far tremare i polsi, visto che si dovranno realizzare infrastrutture, fornire energia, alimenti e creare lavoro per una popolazione pari agli abitanti di Milano. Ogni settimana. Eppure ce la si può fare. E si può, contemporaneamente, vincere la sfida del clima. Stanno infatti affermandosi, con una rapidità e un’efficacia eccezionali, soluzioni in grado di affrontare le crisi e di fornire risposte totalmente innovative. Senza dimenticare che la crescente sensibilità ambientale e il rafforzamento delle esperienze di progettualità e di conflitto locale saranno determinanti nell’indurre le istituzioni a cogliere i segnali preoccupati della comunità scientifica,

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definendo obiettivi, normative e forme di incentivazione che passano per la sharing economy e l’economica informale. Si sono lette analisi che sottolineano la gravità della crisi del Pianeta in tono fatalistico. Sul versante opposto, alcuni contributi affidano alle novità tecnologiche un effetto taumaturgico. La chiave di lettura di “2 °C” passa attraverso l’analisi delle risposte tecnologiche che saranno progressivamente disponibili, accompagnata dallo studio delle forze in gioco, da quelle che resistono al cambiamento a quelle che mettono in discussione equilibri ormai precari. Nel libro si analizzano alcuni dei cambiamenti che già sconvolgono interi settori produttivi e si individuano soluzioni destinate a convergere sinergicamente nel delineare risposte radicali. Vengono intercettati i segnali che emergono nei più diversi contesti: dall’irresistibile avanzata del solare alle bio-raffinerie del futuro; dalla realizzazione di edifici a energia zero all’esplosione di nuove forme di mobilità sostenibile. Il tutto contestualizzato nell’attuale orizzonte energetico in rapida evoluzione. Cosa succede nel mondo del petrolio quando, a fronte di una produzione convenzionale stazionaria e di una domanda debole, si inserisce l’esplosione dello shale oil? E il “fracking” cambierà il mondo dell’energia o si dimostrerà una “bolla” destinata a scoppiare, anche in relazione al crollo del prezzo del petrolio? In che modo rinnovabili ed efficienza energetica stanno rimettendo in discussione il modello dei combustibili fossili, consolidatosi nel corso degli ultimi due secoli? Come stanno cambiando le strategie delle aziende elettriche messe in discussione dall’emergere di milioni di produttori


febbraio/marzo 2015

QualEnergia + 2 °C = informazione + convenienza

e dal progressivo superamento della produzione centralizzata? Il libro cerca di delineare lo scenario energetico in rapido movimento nei Paesi industrializzati, ma non dimentica quella fetta di umanità, oltre un miliardo di persone non collegate alle reti, che potrà avere accesso all’elettricità in tempi ragionevoli grazie al solare, cosa impensabile solo pochi anni fa.

Cambiamento totale Altri settori, quelli dell’auto, dell’edilizia e dell’industria, sono investiti dal vento del cambiamento: nuove forme organizzative e gestionali assieme a un’innovazione spinta fanno intravvedere profondi mutamenti. La rivoluzione digitale ha favorito la rapidissima evoluzione di alcune tecnologie che manifestano una tale capacità di trasformazione da essersi guadagnate il nome di “Disruptive technologies”: nel libro ne sono analizzate una decina, spaziando dall’energia alla mobilità, dall’industria all’edilizia. La stampa 3D riuscirà a incidere sulle strutture produttive tradizionali? Il successo del car sharing e le prospettive dell’auto senza guidatore incideranno sulle strategie delle multinazionali dell’auto? Il decollo dei veicoli elettrici verrà guidato da un outsider o dalle multinazionali del settore? L’industria dell’illuminazione saprà gestire la rivoluzione dei Led? Si può affrontare la sfida di costruire edifici che consumano dieci volte meno di quelli esistenti e moltiplicare per dieci i risparmi annui della riqualificazione, passando alla “deep renovation” di interi edifici e quartieri? Come gestire la piccola e la grande scala nella corsa delle tecnologie verso scenari 100% rinnovabili? Nell’evoluzione verso le smart

Una formula che unisce autorevolezza dei contenuti e risparmio per i lettori. La rivista bimestrale di Legambiente, da questo numero anche in versione pdf per i lettori che preferiscono consultarla da pc, tablet e smartphone. Il libro 2 °C, nato con l’ambizione di raccontare le trasformazioni tecnologiche e sociali che possono portarci fuori dalla crisi ecologica ed economica. Gianni Silvestrini, direttore scientifico della rivista e autore del volume, Edizioni Ambiente e l’Editoriale La Nuova Ecologia sono lieti di offrire un’opportunità interessante ai lettori vecchi e nuovi di QualEnergia: comprare insieme libro e abbonamento annuale alla rivista, in versione cartacea e/o elettronica, a prezzi fortemente scontati rispetto all’acquisto separato. Tutte le informazioni nella pubblicità alla pagina seguente e sui siti www.lanuovaecologia.it (sezione Abbona-

menti), www.edizioniambiente.it, www.qualenergia.it

cities prevarrà il controllo dal basso o un dominio tecnologico? Sono alcune delle domande a cui il libro cerca di rispondere, sottolineando anche la complessità di approcci innovativi che, se non ben governati, rischiano di generare contraccolpi negativi. Ai cambiamenti tecnologici si affiancano modalità alternative nel fornire servizi e nel soddisfare bisogni. Ed è lo stesso modello lineare di un’economia usa e getta a essere rimesso in discussione a favore di schemi circolari basati sulla valorizzazione del riuso, della riprogettazione, del riciclo. Ma per agevolare l’uscita dalla crisi che “morde” molti Paesi e vincere la sfida climatica occorre un ruolo “attivo” delle istituzioni in grado di avviare politiche fiscali innovative e di incidere sia a livello sociale che ambientale. La crescente diseguaglianza sociale va affrontata utilizzando anche soluzioni “eretiche” come una tassa sui capitali, esattamene come la progressiva riduzione della capacità di riproduzione del capitale naturale deve essere combattuta con strumenti di fiscalità ecologica in grado di contrastare l’aggressione al Pianeta. A cominciare da una soluzione altrettanto “utopistica”, qual è l’introduzione nei Paesi industrializzati e in transizione di un’incisiva carbon tax, fiscalmente neutra. 

53


QualEnergia+2 °C nuove ricette contro la febbre del Pianeta giugno / luglio 2014

BIMESTRALE Anno XII Numero 3 euro 5,00 febbraio / marzo 2015 Anno XIIIDI LEGAMBIENTE Numero 1 euro 6,00

BIMESTRALE DI LEGAMBIENTE

POSTE ITALIANE S.p.A. Sped. Abb. postale 70% CN/AN

POSTE ITALIANE S.p.A. Sped. Abb. postale 70% CN/AN

2015 CLIMA DEL CLIMA UE e UsaANNO aprono La Cina risponde? L’emergenza climatica non può attendere

INTERVISTA A Catia Bastioli, Novamont Gianfilippo Mancini, Enel CONTRIBUTI DI: S. Bozzetto, P. Gattoni, M. Pazzaglia, F. Sibilla F. Ferrante

CONTRIBUTI DI: Ugo Bardi Michele Governatori Francesco Starace

INTERVISTE A: Davide Tabarelli Cardinale Peter Turkson

FOCUS BIOECONOMIA: PROSPETTIVE FOCUS ACCUMULI ELETTRICI: TECNOLOGIA STRATEGICA PER STRAORDINARIE PER IL RAFFORZAMENTO IL SUCCESSO DELLE RINNOVABILI E DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE DELLA CIRCOLARITÀ DEI PROCESSI ECONOMICI

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I

NEWS SOMMARIO

I

NORMATIVA Spalma incentivi “volontario”: nuova penalizzazione

II

NORMATIVA Assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale

III IV

MEDITERRANEO Tesori fotovoltaici di Roberto Vigotti

per le rinnovabili di Francesco Pozzi di Alessandro Totaro

NOTIZIE DAGLI ASSOCIATI

NORMATIVA

SpALMA INCENTIVI “VOLONTARIO”: NuOVA pENALIZZAZIONE pER LE RINNOVAbILI Incentivi: le ultime novità colpiscono in maniera pesante le rinnovabili di Francesco pozzi / Settore idroelettrico assoRinnovabili – f.pozzi@assorinnovabili.it

opo il ben noto spalma incentivi obbligatorio introdotto per il fotovoltaico, il Ministero dello Sviluppo Economico ha messo a punto anche il cosiddetto spalma incentivi volontario (DM 6 novembre 2014), un sistema volto a «contenere l’onere annuo sui prezzi e sulle tariffe elettriche degli incentivi alle energie rinnovabili e massimizzare l’apporto produttivo nel medio-lungo termine dagli esistenti impianti». I produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal FV - titolari di impianti che beneficiano di incentivi sotto la forma di certificati verdi, tariffe onnicomprensive oppure tariffe premio - possono, in misura alternativa, aderire a un sistema che prevede il mantenimento dell’attuale incentivo, rimodulato, però, su un periodo più lungo (7 anni), oppure non aderire alla “spalmatura”, rinunciando così per 10 anni, a partire dal termine del periodo di incentivazione, ad accedere a possibili sistemi di sostegno futuri per

D

interventi di qualunque tipo (potenziamenti, integrali ricostruzioni, rifacimenti) realizzati sullo stesso sito. Data tale impostazione, il concetto di “volontarietà” appare quantomeno discutibile, poiché i produttori sono sottoposti a un aut aut che potrebbe avere impatti molto importanti sul prosieguo della produzione. Risulta inoltre sorprendente considerare il Ritiro Dedicato (con o senza Prezzi Minimi Garantiti) come un sistema incentivante, dato che l’obiettivo di tale strumento è piuttosto quello di “semplificare” la vendita dell’energia per gli operatori. Gli effetti economici dello spalma incentivi saranno molto pesanti in termini di riduzione delle entrate annue, in particolare per i produttori del settore bioenergie i quali, diversamente da eolico e idroelettrico, devono acquistare la materia prima e, in caso di adesione, non avrebbero una marginalità sufficiente per continuare l’attività. Se per le bioenergie le adesioni saranno probabilmente nulle, non si può

certo dire che tra i produttori del settore eolico e idroelettrico lo strumento stia ricevendo interesse. Sebbene entrambe le fonti non debbano pagare il combustibile, le riduzioni delle entrate annue restano comunque molto elevate e rendono difficile aderire alla rimodulazione. In termini di riduzione dell’incentivo si notano due situazioni estreme: • impianti a certificati verdi il cui periodo di incentivazione scadrà a breve (1-3 anni), riduzioni annue comprese tra il 70 e l’85%; • impianti che godono di tariffa onnicomprensiva con periodo di incentivazione residuo ancora lungo (tra 10 e 13 anni), riduzioni annue comprese tra il 22 e il 27%. La riduzione delle entrate annue è fortemente dipendente (tramite il parametro S dell’allegato al decreto) dalla lunghezza del periodo residuo di incentivazione: maggiore è il periodo residuo, minore è la riduzione annua. In generale gli impianti a CV vedono riduzioni percentuali maggiori di quelli a TO, oltre che per la differente formula di calcolo del nuovo incentivo, anche perché il loro periodo residuo di incentivazione è tipicamente inferiore (in molti casi 12 anni, in altri 15) di quello degli impianti a TO (15 anni). assoRinnovabili ritiene che all’interno del DM 6 novembre 2014 ci siano forti elementi di illegittimità e ha perciò scelto di ricorrere al TAR, come già fatto per lo spalma incentivi FV, contro una norma che di volontario ha ben poco e che rischia di dare un ulteriore duro colpo a un settore strategico per lo sviluppo del nostro Paese.


II

NORMATIVA

ASSOGGETTAbILITà A VALuTAZIONE DI IMpATTO AMbIENTALE La Valutazione di Impatto Ambientale per l’eolico di bassa potenza rischia di frenare tutto il settore di Alessandro Totaro / Settore eolico assoRinnovabili – a.totaro@assorinnovabili.it

art. 15 del Decreto Legge n. 91/2014, convertito in Legge n.116/2014, ha introdotto alcune disposizioni in materia di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), finalizzate al superamento delle censure formulate dalla Commissione europea, per la non conformità del nostro ordinamento rispetto alla Direttiva 2011/92/UE. L’approvazione di tale articolo ha generato, tuttavia, incertezze normative in relazione ai criteri e alle condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità per i progetti di cui all’Allegato IV del D.lgs. 152/2006. In attesa dell’approvazione di un Decreto ministeriale di indirizzo, qualunque impianto eolico, a prescindere dalla potenza di esercizio, potrebbe essere, infatti, assoggettato a screening, secondo un approccio “caso per caso”. Tale metodo contrasta con quanto previsto dalla previgente normativa, ovvero la non assoggettabilità degli impianti eolici al di sotto di 1 MW di potenza se realizzati in aree non sottoposte a vincoli e la sua piena esclusione per impianti al di sotto dei 60 kW di potenza. La bozza di Decreto consta a oggi di 4 articoli e di un allegato tecnico. In sintesi, il testo conferma le soglie dimensionali già previste nel precedente D.lgs. n. 152/2006, con l’aggiunta, tuttavia, di ulteriori criteri specifici incidenti sulle stesse soglie. Si è ritenuto, infatti, che la potenza degli impianti non fosse di per sé un criterio sufficiente per escludere determinati progetti dalla valutazione di screening. Oltre al criterio dimensionale occorre valutare altri

L’

lidità di questi progetti, infatti, nell’ipotesi in cui non sia stata fatta una valutazione caso per caso, come previsto, rischia di essere inficiata. Tra i vari progetti, per di più, non è difficile immaginare che ve ne siano alcuni già realizzati. La bozza di Decreto lascia, infine, invariate alcune perplessità di carattere interpretativo sia per quanto riguarda le ipotesi di cumulo con altri impianti, che per la mancata definizione del concetto di capacità di carico dell’ambiente naturale. Entrambi i criteri, come detto, comportano la riduzione delle soglie dimensionali ma la loro determinazione – in attesa di un intervento normativo regioImmagine assoRinnovabili per gentile concessione di Acciona nale – non sembra essere univoparco eolico Eco Grove uSA ca. Le Regioni, infatti, laddove elementi, quali per esempio il cumulo lo ritengano necessario, definiscono i con altri progetti, il rischio incidenti e criteri di cumulo dei progetti, riducono la capacità di carico dell’ambiente. In ulteriormente le soglie dimensionali e presenza di tali elementi è prevista stabiliscono criteri e condizioni per efuna riduzione percentuale del 50% delfettuare direttamente la procedura di le soglie presenti nell’Allegato IV. Da VIA nelle situazioni ambientali merisottolineare, inoltre, l’aspetto a oggi tevoli di maggior tutela. Il Ministero maggiormente preoccupante: l’art. 4.2 dell’Ambiente, dal canto suo, si riserva prevede l’applicazione delle linee guila possibilità di definire una diversa rida anche ai procedimenti in corso alla duzione percentuale delle soglie al fine data di entrata in vigore del Decreto. di garantire livelli di tutela ambientali Ciò ha ovvie ripercussioni su tutti quei più restrittivi rispetto a quelli stabiliti progetti in attesa del perfezionamento dalle norme comunitarie e nazionali, del titolo abilitativo e soprattutto nei eleva le stesse del 30% ed esclude deconfronti di quelli - specie se semplifiterminati progetti - per i quali non vi è cati - che si sono già perfezionati dopo un impatto significativo - dalla verifica l’approvazione della L.116/2014. La vadi assoggettabilità.


III

MEDITERRANEO

TESORI FOTOVOLTAICI L’Egitto sarà il prossimo protagonista delle energie rinnovabili nel Mar Mediterraneo

di Roberto Vigotti / Segretario generale RES4MED – info@res4med.org

e per la crescita delle rinnovabili nell’area del Mediterraneo il 2014 è stato l’anno del Marocco, il 2015 sarà decisamente l’anno dell’Egitto. Non a caso RES4MED organizzerà una giornata dedicata alle opportunità di crescita in Egitto durante la quale le eccellenze della filiera italiana delle rinnovabili avranno l’occasione di avviare un dialogo con i più rilevanti stakeholder egiziani istituzionali e finanziari. L’Egitto si appresta a lanciare uno dei programmi di sviluppo delle rinnovabili più ambiziosi tra i Paesi del Medio Oriente e Nord Africa, nell’ottica di ottenere al 2020 il 20% della produzione di elettricità da energie rinnovabili, di cui il 12% attraverso l’energia eolica. L’Egitto gode di un enorme potenziale di risorse energetiche rinnovabili, grazie a un irraggiamento solare annuo di 2.600 kWh/m2 e a un potenziale di energia eolica paragonabile a quello dei migliori siti presenti sulla costa atlantica del Regno Unito, in particolare nella zona del canale di Suez dove la velocità media del vento a 10 m/s è tra le più alte al mondo. Il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sisi ha annunciato l’obiettivo di installare 4.300 MW di capacità rinnovabile tra il 2015 e il 2017, di cui 2.300 MW di capacità solare e 2.000 MW di capacità eolica. Per raggiungere gli ambiziosi target il Governo ha avviato la riforma del mercato elettrico che consentirà l’ingresso di nuovi operatori e ha previsto meccanismi di Feed-in Tariff (FIT) volti a incoraggiare gli investimenti.

S

Feed-in Tariff per i progetti fotovoltaici (durata 25 anni) Taglia impianti

Strumento finanziario

Valuta

FIT

Residenziale (<10 kW)

Prestiti agevolati (4%) dal Ministero della Finanza

EGP

0,848

<200 kW

Prestiti agevolati (4%) dal Ministero della Finanza

EGP

0,901

200 – 500 kW

Prestiti agevolati (8%) dal Ministero della Finanza

EGP

0,973

500 kW – 20 MW 20 MW – 50 MW

Finanziamenti esteri Finanziamenti esteri

USD USD

0,136 0,1434

Feed-in Tariff per i progetti eolici (durata 20 anni) Ore di funzionamento 2.500 2.600 2.700 2.800 2.900 3.000 3.100 3.200 3.300 3.400 3.500 3.600 3.700 3.800 4.000

Fase 1 (5anni)

US$/kWh 0,1148 0,1148 0,1148 0,1148 0,1148 0,1148 0,0957 0,0957 0,0957 0,0957 0,0957 0,0957 0,0957 0,0957 0,0957

EGP/kWh 0,8208 0,8208 0,8208 0,8208 0,8208 0,8208 0,684 0,684 0,684 0,684 0,684 0,684 0,684 0,684 0,684

Fase 2 (15 anni)

US$/kWh 0,1148 0,1056 0,0971 0,0893 0,0819 0,0751 0,0893 0,0833 0,0776 0,0723 0,0673 0,0626 0,0581 0,0539 0,0460

EGP/kWh 0,8208 0,7553 0,6946 0,6383 0,5858 0,5368 0,6382 0,5953 0,5549 0,5170 0,4812 0,4473 0,4154 0,3851 0,3290

L’accesso al credito, come afferma il Ministro delle Finanze egiziano, è l’ultimo dei problemi per le imprese del settore energetico che decidono di investire nel Paese, grazie all’erogazione di prestiti agevolati con tassi di interesse del 4% per i progetti fino a 200 kW, e dell’8% per progetti tra 200 e 500 kW. Per la promozione delle energie rinnovabili il Governo egiziano ha istituito il “Fund for Development of Power Generation from Renewable Energy” che promuove progetti pilota e copre il gap tra i costi delle rinnovabili e i prezzi di mercato. La generazione distribuita viene sostenuta anche attraverso politiche di net-metering. L’Italia è in cima ai Paesi che investono nel settore delle energie rinnovabili in Egitto con un importo totale che supera 9 milioni di euro. Anche dal punto di vista regolatorio l’Egitto ha favorito lo sviluppo delle rinnovabili attraverso la creazione della New and Renewable Energy Authority (NREA), un’Agenzia nata sotto l’egida del Ministero dell’Elettricità e dell’Energia con l’obiettivo di rappresentare il punto di riferimento nazionale per la diffusione delle rinnovabili.


IV

assoRinnovabili, Via Pergolesi, 27 - 20124, T +39 02 6692673 | Sede di Roma: Via Ticino, 14 - 00198, T +39 06 8552293 e-mail: info@assorinnovabili.it; segreteria@assorinnovabili.it| www.assorinnovabili.it Seguici anche su: twitter.com/assoRinnovabili | linkedin.com/company/assorinnovabili | facebook.com/assoRinnovabili| youtube.com/user/assoRinnovabiliIta

IL VENTO SOFFIA Su MATERA A dicembre 2014, dopo sei mesi di cantiere, il nuovo parco eolico di Matera realizzato da Asja ha finalmente immesso in rete i suoi primi kWh di energia pulita. Composto da 6 aerogeneratori Vestas V117 da 3 MW ciascuno, installati per la prima volta in Italia, questo impianto produrrà quasi 45.000 MWh/anno, sufficienti a fornire energia a 27.000 persone. Approfondisci su www.asja.biz.

IL bOND è MINI E GREEN

A2A RICARICA REpOwER A2A e Repower hanno concluso un accordo per rendere accessibili ai clienti Repower che hanno scelto il prodotto Verde Dentro le infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici. Un’intesa che nasce nell’interesse della mobilità elettrica, grazie alla comune volontà di sostenere attivamente questo nuovo settore, rilanciandolo con nuovi servizi. L’infrastruttura pubblica di ricarica per auto elettriche realizzata a Brescia e Milano, con un totale di 50 colonnine per 100 punti di ricarica, è ormai a regime e, già da luglio 2013, permette la ricarica veloce fino a 22 kW in trifase, consentendo alle auto di ultima generazione di ricaricarsi all’80% in circa 50 minuti. In parallelo, proseguono le installazioni di punti di ricarica privati per società di car-sharing e possessori di veicoli elettrici a beneficio della qualità dell’aria delle città. Per informazioni: www.a2a.eu oppure www.repower.com/it.

Green Advisory, boutique finanziaria specializzata in Energia e Infrastrutture con operations in Italia, Spagna e UK, annuncia il successo dell’emissione, in qualità di Sponsor e Financial Advisor, avvenuta in data 16 Maggio 2014, del primo Mini “Green” Bond quotato in Borsa Italiana sul segmento ExtraMOT PRO (“Green Bond 1, 5% 2014-2019” - ISIN n° IT0005020711). Green Advisory sta attualmente assistendo numerose PMI nella strutturazione di operazioni di emissione di Minibond e l’ammissione alla negoziazione degli stessi sul segmento ExtraMOT PRO. Green Advisory è, inoltre, Partner Equity Markets e Partner della piattaforma ELITE di Borsa Italiana, collaborando con quest’ultima nel sostenere lo sviluppo del sistema imprenditoriale italiano, in particolare per energia rinnovabile, efficientamento energetico ed ecologia. Per informazioni: www.greenadvisory.it.

TELERISCALDAMENTO COGENERATIVO A bIOMASSA SEM (Società Elettrica in Morbegno) è una società cooperativa fondata nel 1897, attiva nella produzione e nella distribuzione di energia elettrica e calore. La società produce energia elettrica attraverso lo sfruttamento di otto impianti idroelettrici situati in Valtellina/Alto Lario della potenza installata di 11 MW. SEM gestisce dal 2007 anche una centrale di cogenerazione alimentata con gas naturale al servizio della locale rete di teleriscaldamento, con una potenza installata pari a 14,2 MW elettrici e 30 MW termici e uno sviluppo di teleriscaldamento superiore a 30 km. Al momento è in fase di realizzazione una nuova centrale di cogenerazione a biomassa al servizio del teleriscaldamento esistente con una potenza nominale di 990 kW elettrici e 4.800 kW termici. La nuova centrale entrerà in esercizio a fine 2015 e sarà equipaggiata con un modulo ORC Turboden 10 CHP split. Maggiori informazioni su www.turboden.it.


SPECIALE GEOTERMIA Il futuro a emissioni zero è gia qui Roma, martedì 31 marzo 2015 ore 9.30-13.30 SALA CRISTALLO HOTEL NAZIONALE - PIAZZA MONTE CITORIO

Introduzioni Francesco Ferrante Vicepresidente Kyoto Club Fabio Roggiolani Coordinamento Free - GIGA Le rinnovabili e la sfida contro i cambiamenti climatici Gianni Silvestrini Direttore scientifico Kyoto Club Rinnovabili e territorio Edoardo Zanchini Vicepresidente Legambiente Innovazione e geotermia Diego Righini ITW LKW Tavola Rotonda Gerardo Greco Agorà - Rai intervista: Ignazio Abrignani Forza Italia Annalisa Corrado Green Italia Chiara Braga Partito Democratico Loredana De Petris SEL* Gianni Girotto M5S

Conclusioni Ermete Realacci Presidente Commissione Ambiente Camera dei Deputati Franco Terlizzese Direttore generale Ministero Sviluppo Economico Francesco Scoppola Direttore generale Ministero Beni Culturali* Gian Luca Galletti Ministro dell’Ambiente* * in attesa di conferma

Con il contributo di

Segreteria organizzativa

www.legambiente.it • www.lanuovaecologia.it • www.kyotoclub.org Tel: +39 06 83772129 - segreteria@italia-green.com pagina QE forum.indd 1

20-02-2015 18:13:56



fonti

febbraio/marzo 2015

Il dovere d’essere sostenibili di Gianpietro Venturi1,2*, Alessandro Zatta2,3

Le bioenergie cresceranno e dovranno farlo non entrando in competizione con cibo e altre attività

L’inconcludente e ormai noioso dibattito fra sostenitori e avversari delle bioenergie è in gran parte inasprito da motivazioni ideologiche, spesso basate su informazioni tecnicoscientifiche corrette, ma usate anche in modo erroneo. In particolare, si generalizzano dati riferibili solo a specifiche situazioni e, ancor più frequentemente, si enfatizzano aspetti positivi e negativi delle bioenergie senza alcun figura 1

Terreni potenzialmente utilizzabili per produrre bioenergie in Italia

Fonte: http://dati-censimentoagricoltura.istat.it

riferimento alle loro dimensioni e perciò all’entità degli effetti ambientali, economici e sociali. Ne derivano stimoli e indicazioni errate, o almeno non corrette, sia per l’opinione pubblica, sia per i decisori politici, con le ovvie conseguenze. Va anche evidenziato che “bioenergie” è un termine molto generico che comprende una vastissima serie di combinazioni fra fonti energetiche, modalità della loro trasformazione e loro destinazioni d’uso. Non ha quindi senso attribuire pregi o difetti in modo generico alle bioenergie senza considerarne la specifica tipologia e sopprattutto luoghi, tempi e modalità di produzione e d’impiego. Di seguito qualche numero per inquadrare le dimensioni delle bioenergie nel mondo, nella UE e in Italia.

Bioenergia nel mondo Il consumo energetico mondiale supera 13.000 Mtoe (IEA, 2013). La UE con 1.680 Mtoe vi concorre per quasi il 13% e l’Italia (163 Mtoe) per l’1,3%. Nelle tre macroaree il contributo delle rinnovabili varia tra l’11 e il 15%. Va specificato che nelle statistiche le energie rinnovabili comprendono tutte le fonti che non siano le tradizionali petrolio, carbone e gas; quindi oltre alle biomasse anche nucleare, geotermico, solare, eolico, idroelettrico, ecc. Nell’ultimo quarantennio il consumo mondiale di energie è più che raddoppiato (Tab. 1), con significative modifiche delle fonti. Il consumo di quelle tradizionali, in particolare petrolio, pur restando sopra l’80% è diminuito a favore delle rinnovabili (IEA, 2014). Le bioenergie hanno raddoppiato il proprio apporto, che è quintuplicato in termini percentuali. I consumi attuali rispecchiano le stime del 2007 di Rosillo-Calle che, per il 2040, prevedevano un consumo globale di energia cresciuto fino a 17.690 Mtoe, con apporto crescente delle biomasse fino a oltre il 16% del totale. Si stima che nel 2035 il consumo energetico (quasi 15.000

61


62 fonti

Mtoe, con incremento di oltre il 13% rispetto all’attuale) sarà imputabile in gran parte a Paesi in forte crescita economica quali Cina, Brasile e India oltre che agli USA. La Cina da sola produrrà più energie da fonti rinnovabili di UE, USA e Giappone messi assieme! Le fonti fossili tuttavia continueranno a contribuire per oltre il 75% al consumo globale. Le motivazioni per lo sviluppo di bioenergie, e in particolare biocarburanti, sono ritenute diverse a seconda degli areali. Nella UE prevale l’aspetto ambientale (direttiva del 2009 per la strategia energetica, vincolante per il 2020) e in tabella 1

Evoluzione del consumo energetico mondiale nell’ultimo quarantennio (Mtoe e %) suddiviso per fonti di materia prima Mtoe Fonte

(%)

1971

2011

Δ (%)

1971

2011

Biocarburanti/rifiuti Carbone

648 1.503

1.311 3.777

103 151

11 25

10 29

Petrolio

2.810

4.131

47

46

32

977

2.793

186

16

21

55

669

1.116

1

5

116

433

273

2

3

6.109

13.113

115

100

100

Gas Nucleare Altro TOTALE

Fonte: IEA - International Energy Agency 2014 febbraio/marzo 2015

minor misura sicurezza energetica e protezione del mercato. Ancora meno vengono considerati gli interessi dell’agricoltura. Questi ultimi sono invece la motivazione largamente prevalente in Cina, India e anche negli USA, dove vengono però molto valutate anche sicurezza energetica e protezione del mercato. In Brasile le bioenergie rivestono interesse soprattutto come risorsa economica per le esportazioni, ora soprattutto di etanolo, ma in tempi brevi anche di biodiesel. È opportuno ricordare che le sopra citate motivazioni di interesse potrebbero cambiare per l’evolversi di molte situazioni a livello globale e/o locale. Per esempio la UE in un futuro prossimo sembrerebbe dare minor importanza agli aspetti ambientali e maggiore alla sicurezza energetica, che invece verrebbe meno considerata negli USA per la prevista maggiore disponibilità di fonti fossili non convenzionali di origine interna che si va prospettando negli ultimi tempi.

Bioenergie nella UE Nella UE il consumo energetico non è praticamente cambiato nell’ultimo ventennio (Tab. 2), mentre si sono avute significative variazioni delle percentuali di apporto delle diverse fonti (Eurostat, 2014). Calate quelle tradizionali, dall’83 al 70%, sono cresciute


63

febbraio/marzo 2015

soprattutto le rinnovabili. Gli impegni assunti per il 2020 dalla UE-27 dovrebbero incrementare l’apporto di bioenergie, in particolare dei biocarburanti. Per adempiere a tale impegno (10% di biocarburanti), con i livelli attuali delle produzioni areiche sarebbero necessari 10-12 milioni di ettari, pari circa al 6% dei 180 milioni di ettari di SAU. I Paesi membri si diversificano notevolmente sia per la superficie disponibile, sia per colture potenziali, come risulta dallo studio di Zegada et al. (2010). È tuttavia molto probabile che decisioni economiche, e soprattutto politiche, prendano il sopravvento sugli aspetti tecnici e di conseguenza la produzione di bioenergia dovrà essere valutata in un quadro più ampio a livello globale. Per esempio, per i biocarburanti è prevedibile che, per raggiungere nel 2020 gli obbiettivi vincolanti di miscelazione, la UE dovrà importare rilevanti quantitativi sia di bioetanolo, probabilmente dal Brasile (canna da zucchero), sia di biodiesel (palma), probabilmente da Malesia e da altri Paesi del Sud-Est asiatico (De Castro, 2012).

Bioenergie in Italia Nell’ultimo quindicennio il consumo energetico italiano è rimasto quasi costante, ma anche in Italia sono cambiate le fonti: meno petrolio, più gas e carbone e, soprattutto, rinnovabili (Tab. 3). Sono infatti queste ultime che in meno di quindici anni hanno più che raddoppiato (da 7 a 15%) il loro apporto percentuale (Min. Sviluppo Economico, 2014). Nell’ambito delle rinnovabili, le bioenergie hanno però un ruolo modesto; in particolare biomasse (2,6 Mtoe) e biodiesel (1,3 Mtoe) complessivamente concorrono per meno di 4 Mtoe al consumo energetico nazionale. Nel prossimo futuro, dopo notevoli cambiamenti a cavallo dei due secoli, la domanda di prodotti petroliferi si prevede rimanga pressochè costante (Unione Petrolifera, 2008). Dovrebbe però essere incrementato l’apporto delle rinnovabili. Rallentato il boom economico del fotovoltaico, per anni forse troppo favorito, e avversato da più parti lo sviluppo dell’eolico, le bioenergie sembrerebbero avere condizioni tecniche per potersi sviluppare. Ma saranno solo considerazioni politiche che decideranno il loro futuro.

tabella 2

Evoluzione del consumo energetico nella UE nell’ultimo ventennio (Mtoe e %) suddiviso per fonti di materia prima Mtoe Fonte Carbone Petrolio

(%)

1990

2012

Δ (%)

1990

2012

455 630

294 569

-35 -10

27 38

17 34

Gas

298

393

32

18

23

Nucleare

205

228

11

12

14

71

184

159

4

11

4

14

264

0

1

1.664

1.681

1

100

100

Energie Rinnovabili Altro TOTALE Fonte: EUROSTAT, 2014

tabella 3

Evoluzione del consumo energetico italiano (Mtoe e %) suddiviso per fonti di materia prima Mtoe

(%)

1997

2012

Δ (%)

1997

2012

Carbone/torba Petrolio

12 95

17 62

43 -34

7 54

9 35

Gas

48

61

28

27

35

Nucleare Energie Rinnovabili Altro TOTALE

0

0

-----

-----

-----

11

27

131

7

15

9 174

9 176

11 1

5 100

5 100

Fonte: Min. Sviluppo Economico, 2014

Le colture da bioenergia attuali (cosiddette di 1a generazione) per adempiere nel 2020 gli impegni assunti (10% di biocarburanti) dovrebbero occupare circa 800.000 ettari pari al 6% degli arativi. In effetti, oltre alla modesta superficie già destinata a colture energetiche, nel Paese esistono molti terreni arabili a riposo e superfici agricole non utilizzate (Fig. 1), con notevoli differenze fra le Regioni. Ancora più marcate sono le differenze entro queste colture, con forte variabilità per la molteplicità di combinazioni con le situazioni pedoclimatiche che possono determinare il livello delle produzioni areiche. Ne risulta l’ampia forcella fra le produzioni rilevate sperimentalmente in Italia per specie coltivabili per bioenergie (Tab. 4). Anche considerando il livello produttivo in funzione della distribuzione geografica delle


64 fonti tabella 4

entità diminuiranno gradualmente pur con variazioni fra un Paese e l’altro. Le Livelli produttivi e bilanci energetici di specie coltivabili seconde saranno in continua crescita per bioenergie nonostante le opposizioni, soprattutto dei Biomassa Consumo idrico movimenti ecologici. Fra le utilizzazioni possibili, di grande interesse rimarrà Sostanza Sostanza tal quale Etc Specie Secca (mm) -1 -1 quella per biocarburanti. Nei prossimi Secca (%) (t ha ) (L kg ) ( t ha-1) dieci anni si prevede un aumento globale Da carboidrati di 60 miliardi di litri della produzione di Mais 8-13 85 7-11 350-550 320-500 bioetanolo e di 25 miliardi per quella del Frumento 3,5-7 87 3-6 750-1.000 300-550 biodiesel (De Castro, 2012). In tal modo Sorgo da granella 6-9 86 5-8 350-500 220-450 nel 2020 il 13% della produzione di mais, il Barbabietola 50-80 26 12-14 350-650 600-750 30% della canna da zucchero e il 15% degli Da olio oli vegetali sarebbero destinati a produrre biocarburante. I circa 20 milioni di ettari Colza 2,2-3,5 90 2-3 600-800 140-210 attualmente coltivati per biocarburanti Girasole 2,7-4,4 90 2,5-4 500-800 165-270 salirebbero così a oltre 35. Ovviamente, Soia anche se le superfici occupate rimarranno Lignocellulosiche modeste, si aggraveranno la concorrenza Sorghi F e Z 75-120 20 15-25 130-170 220-370 fra food e non-food e il grado di contrasto Mais 40-60 25 10-15 250-350 300-450 fra sostenitori dell’una e dell’altra Canapa 16-48 30 5-15 400-600 250-750 destinazione. Kenaf 30-45 30 10-15 350-550 450-670 D’altra parte le “società economicamente Canna Comune 30-150 25-60 15-35 100-200 220-870 evolute e in evoluzione” hanno necessità sia di cibo e acqua, sia di energia. La Miscanto 15-100 30-60 10-30 110-230 170-500 soluzione è quella ben nota: produrre di Switchgrass 15-70 30-70 10-20 150-250 200-400 più in modo sostenibile. Ciò presuppone Cardo 7-20 70 5-15 150-300 110-340 conoscenze sia generali, sia di aspetti Pioppo 15-30 65 10-20 180-350 270-550 particolari e decisioni riferite a situazioni Salice 15-22 65 10-15 220-350 290-430 specifiche. Nel caso delle bioenergie Robinia 12-20 65 8-12 200-350 220-330 vanno considerati alcuni aspetti Eucalipto 7-22 65 5-15 200-350 140-420 generali quali clima, terreno, tipologia, Fonte: Venturi, 2009 organizzazione e dimensione delle aziende, logistica dell’areale, mercati, concorrenza alimentare, possibili destinazioni colture attuali a destinazione alimentare, risulta energetiche, acquirenti o utilizzatori delle la grande variabilità (Venturi & Venturi, 2005) fra bioenergie e loro dimensioni, I-LUC, ecc.; altri ed entro le specie, sempre da confrontare per il di tipo tecnico, quali colture da bioenergia bioetanolo con la canna da zucchero brasiliana, tecnicamente possibili, produzione areica che in media produce 6.000 l ha-1 e per il prevista, rapporto e differenza fra output e biodiesel con la palma di vari Paesi del Sud-Est input, disponibilità di meccanizzazione e di asiatico che mediamente supera 5.000 l ha-1. manodopera, bilancio economico, bilancio energetico, bilancio CO2, ecc.; infine direttive Il futuro prossimo. politiche a livello globale, UE, nazionale, È opportuno distinguere fra bioenergie regionale, locale e pressioni e influenza dei “tradizionali” (biomasse legnose usate movimenti ecologisti.  per riscaldamento e cottura sopratutto 1 nei Paesi con economia di transizione) e Coordinatore Progetto BIOSEA - MIPAAF 2 bioenergie “industriali” (biomasse sottoposte Dipartimento di Scienze Agrarie, Università di Bologna 3 a trasformazione di vario tipo prima della Comitato Scientifico Associazione Chimica Verde bionet destinazione d’uso finale). Le prime come *Corresponding Author: gianpietro.venturi@unibo.it febbraio/marzo 2015


prospettive

febbraio/marzo 2015

Cambiare o morire

di Gianmatteo Manghi*, Tullio Zannoni**

Le utility dovranno affrontare presto cambiamenti profondi, passando dal modello monopolistico a quello commerciale

Il settore energia ha attraversato vari cambiamenti: dai primi anni di grandi battaglie tecnologiche e commerciali successivi alla prima Esposizione Internazionale dell’Elettricità di Parigi (1881) in poi, è passato attraverso varie fasi. Da un insieme di sistemi industriali isolati si è passati a costruire reti elettriche nazionali con impianti capaci di generare energia su più larga scala, e oggi a reti sempre più ampie e interconnesse; da modelli di business che

dovevano tener conto di grossi costi della costruzione di impianti per generare energia alla valutazione dell’incremento dei costi per ricostruire e integrare nuove reti che inoltre devono “accogliere” energia “diffusa” prodotta da fonti rinnovabili. Le utility hanno avuto congiunture economiche positive fino alla fine degli anni 90, quando finì l’età dell’oro, con l’emanazione della Direttiva 96/02/EC2 (http:// tinyurl.com/pn8bytl) che riguardava regole comuni per il mercato interno dell’elettricità e poi con la sigla del Protocollo di Kyoto, a partire dal 2005. La Direttiva mirava a introdurre un sistema più basato sul mercato attraverso l’unbundling della catena del valore; il Protocollo ha avviato la corsa a creare un sistema elettrico basato su fonti rinnovabili, che però, almeno per quanto riguarda le utility nazionali e locali, non si è trasformato nell’occasione di passare a un sistema energetico

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66 prospettive decentralizzato, basato su fonti rinnovabili. I grandi player si trovano di fronte a un cambio di paradigma, e le conseguenze di questa transizione saranno importanti. Pensiamo alla recente acquisizione di NEST da parte di Google, e all’acquisizione di Entelios da parte di EnerNOC. Con NEST, Google si è procurata un’importante componente big data che va al di là del business di vendere termostati a uso residenziale e ha mosso un nuovo passo verso l’ingresso nel mercato dell’elettricità a uso residenziale, perché NEST offre già servizi di gestione dell’energia domestica a utility presenti in sette Stati americani, servendo circa 20 milioni di clienti. Questo è il valore che si nasconde in NEST e che molti player del settore dovranno tenere in considerazione.

Opportunità per la trasformazione Il passaggio a un’economia europea a basse emissioni di carbonio entro il 2050 (-80÷95% di gas serra rispetto al 1990, come fissato nella Comunicazione COM(2011) 112 della Commissione Europea) è un obiettivo tecnicamente ed economicamente fattibile, a patto che avvenga una quasi totale decarbonizzazione dei processi di generazione elettrica. Il processo di transizione verso questo traguardo costituisce, allo stesso tempo, un’opportunità per accrescere la competitività e la sicurezza energetica a livello europeo. È quanto afferma la Commissione Europea nella sua recente Comunicazione Energy Roadmap 2050 (COM(2011) 885/2, dove mostra possibili scenari di evoluzione del sistema energetico per il raggiungimento della sostenibilità nel lungo termine. Ogni scenario identifica una diversa combinazione degli elementi chiave per la decarbonizzazione (efficienza energetica, fonti rinnovabili, nucleare, cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica) ma è comune a tutti il fatto che il costo complessivo della trasformazione del sistema energetico non supererà quello dello scenario di continuazione delle politiche correnti, risultando in alcuni casi persino inferiore. Gli investimenti saranno, infatti, ampiamente ripagati in termini di crescita economica, occupazione, certezza degli approvvigionamenti energetici e minori costi dei combustibili. Oggi, grazie alla necessita di febbraio/marzo 2015

rendere le reti elettriche sempre più intelligenti “Smart Grid”, sta arrivando una nuova trasformazione, dove le tecnologie ICT e altre tecnologie abilitanti che sono oggi in una fase di “early adoption” guidano la trasformazione. Il modello sostanzialmente monopolistico di oggi cede e potenzialmente la gran parte delle aree di business potrebbero passare a un modello di mercato commerciale. Abbiamo sviluppato quindi cinque ipotesi relative alla nuova ondata di transizione, e tratteggeremo cinque opportunità di business a esse corrispondenti, ognuna potenzialmente rivoluzionaria.

La convergenza dei modelli di business Le utility di oggi si occupano di una sola infrastruttura alla volta: le centrali, le reti di trasporto e distribuzione, ecc. È un modello che non funziona più bene in uno scenario in cui entrano in gioco fonti energetiche distribuite; ed è un modello in cui il rapporto fra costi e profittabilità non è preso in considerazione. Il futuro delle utility è legato alla convergenza, che può consentire di creare infrastrutture e modelli di business multi servizio. Per fare un esempio pensiamo all’illuminazione pubblica: è gestita di solito dalle utility elettriche, che la trattano come una rete di distribuzione con un alto numero di nodi che consumano energia (le lampadine) senza sperare di ricavarne profitti. In realtà si tratta di una rete sottoutilizzata: connette una serie di luoghi (i lampioni) in cui si potrebbero attivare vantaggiosamente altri servizi, dalla videosorveglianza alla realizzazione di stazioni di ricarica per veicoli elettrici a bordo strada, all’installazione di antenne per il Wi-Fi pubblico. Una utility che facesse questo, passerebbe da essere un mero fornitore di infrastruttura per l’illuminazione a operatore di una piattaforma Smart City, con vantaggi per il proprio business.

L’era post-unbundling Tradizionalmente, le utility hanno gestito in modo eccellente business concentrati su un solo elemento della catena del valore; negli ultimi dieci anni, con il concetto di scorporo si è incentivato questo atteggiamento, portato a estremi in Paesi quali la Germania, in cui sul contatore dell’utente finale si concentra


febbraio/marzo 2015

un numero crescente di posizioni, operatori, servizi. Ma si tratta di un trend valido anche per gli altri elementi della catena del valore. In realtà è ora di ripensare completamente i meccanismi legislativi e il concetto di scorporo, che poteva avere valore negli anni 90 quando fu sviluppato per creare competitività in un mercato gestito in modo monopolistico. Oggi, in un mondo in cui si privatizza perfino la gestione di strade o un tunnel a pedaggio, si potrebbe agire in questo senso anche nel settore della distribuzione, per esempio lasciando la gestione complessiva del sistema a un’entità separata dai soggetti che operano le sue parti. Tanto più che l’argomento del monopolio naturale non regge più. Già oggi nella rete di distribuzione i privati possiedono la maggior parte degli impianti per la generazione distribuita di energia, il che rende più sfumati i “confini” tra i vari elementi della catena del valore; e sempre più clienti si occupano direttamente della loro fornitura elettrica, relegando i DSO al ruolo di fornitori di un sistema elettrico secondario. Per le utility quindi è il momento di orientarsi al mercato in modo nuovo: soluzioni off grid per le zone isolate, differenziazione nell’offerta di servizio sul territorio, decentralizzazione, sono alcune ipotesi che vediamo emergere.

Abbandonare la Commodity Zone Oggi le utility devono abbandonare la Commodity Zone. Come in passato - per esempio in Germania offrirono in leasing alle famiglie, che non potevano permetterseli, elettrodomestici che consumassero meno energia - oggi potrebbero cercare strade nuove per le loro strategie rivolte in particolare al segmento industriale e commerciale, in cui il costo dell’energia in termini assoluti, ma anche di costi esterni quali le emissioni di CO2, è un fattore sempre più critico. Oggi i clienti industriali chiedono alle utility di aiutarli a mitigare l’effetto dei costi energetici: si apre allora uno spazio per strategie di fornitura e modelli di consumo ad hoc e, andando oltre, per sviluppare ulteriormente nuovi schemi di DR (Demand Response). Se finora le utility si sono per lo più limitate a praticare il load shedding (staccare dalla rete grandi utenti di energia quando necessario in condizione di emergenza), lo scopo della DR è cercare di evitare il raggiungimento di questi picchi spostando dinamicamente la domanda di energia non strettamente necessaria in altre fasce orarie (shifting) o riducendone l’intensità (shedding), premiando i clienti che aiutano la rete con incentivi economici.

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68 prospettive Con il Demand Response si mitiga l’effetto dei picchi di costo massimizzando allo stesso tempo la flessibilità operativa dei clienti. Questo richiede conoscenza approfondita di come essi operano e consumano. Questo è possibile per esempio in Italia, grazie alla capillarità dell’installazione del contatore elettronico su cui si possono profilare i consumi dell’utente finale: e le utility più coraggiose potrebbero andare oltre, offrendo anche soluzioni per ottimizzare l’infrastruttura di apparecchiature ad alto consumo energetico che i clienti utilizzano in casa. In alcuni Stati dell’Europa c’è un’idea di provare alternative di Demand Response. In alcuni progetti i consumatori venivano avvisati in anticipo su giorni critici e potevano decidere come reagire. In altri le risposte erano preimpostate attraverso dispositivi intelligenti (termostati, controlli per le luci) all’interno delle case. La tendenza attuale è di fornire vari metodi di interazione, grazie anche alla diffusione di nuove reti dati all’interno delle abitazioni (Home Area Network).

Smart “Over the top” Un’altra ipotesi per il futuro delle utility è la loro trasformazione in una sorta di player OTT (Over the top). Nel settore TLC oggi grandi operatori OTT operano e gestiscono enormi reti su cui transitano dati, voce e servizi: i loro modelli di business si basano sulle reti a elevata performance, ma non sono necessariamente legati alla loro gestione. In maniera simile, anche le utility potrebbero pensare a una separazione logica fra gestione dell’infrastruttura fisica e gestione delle funzionalità operative di un sistema elettrico smart, ottimizzando anche le rispettive competenze. È diverso occuparsi di cavi e trasformatori e di come mantenere l’equilibrio energetico su una Smart Grid, e se per gestire la rete fisica occorre prossimità geografica e molto personale sul campo, per la Smart Grid si richiede di sviluppare un modello dati intelligente e di gestire l’infrastruttura “virtuale”. Il primo compito può essere ben svolto per esempio dalle utility locali; mentre la componente di intelligenza della rete può essere responsabilità di pochi operatori febbraio/marzo 2015

focalizzati sull’infrastruttura logica, che si configurassero come OTT.

Il digitale nelle Operations C’è un ottimo motivo per spingere la digitalizzazione delle utility: l’invecchiamento della forza lavoro. EDF ha analizzato la sua forza lavoro nel 2010 scoprendo che ne avrebbe perso per pensionamento circa la metà. Personale dalle cui elevate competenze ed esperienza le utility di fatto dipendono. La digitalizzazione consente di catturare queste risorse e usarle per il futuro, renderle accessibili ai nuovi assunti, usarle per supportare le squadre che operano sul campo. Per farlo, è necessario creare un sistema integrato e olistico, che abbatta i silo informativi fra le varie aree e consenta un accesso trasparente alle reti aziendali. Nel digitale inoltre risiedono nuovi vantaggi legati alla sicurezza (fisica e logica) degli asset, alla manutenzione (dal tracking all’analisi predittiva) e alla realizzazione di piattaforme di accesso alla conoscenza per supportare l’azione dei team sul campo.

Agenti di cambiamento È evidente che i nuovi scenari stanno spingendo le utility fuori dalla loro comfort zone. Nuovi set di competenze ed esperienze si rendono necessari, trasformando l’”identikit” tipico dei dipendenti delle utility (tipicamente legati al lavoro in una sola o poche aziende di settore per tutta la vita); si devono eliminare le “rendite di posizione” e tematiche politiche che oggi ancora influenzano la gestione del settore. Crediamo che questo settore debba aprirsi e procurarsi in modo aggressivo talenti da altri settori. Perché non cercare persone dalle aziende dei beni di largo consumo, per promuovere innovazione a livello retail; qualcuno dal settore service provider o ICT per gestire i complessi programmi Smart Grid. Questo settore ha vissuto sul mantra della stabilità, promuovendo un’abitudine a continuare sempre sulla stessa strada piuttosto che la volontà di cambiamento. Crediamo che il settore utility saprà gestire la trasformazione solo se si aprirà a nuovi modi di fare business e a nuove competenze necessarie per migliorare.  *Direttore Commerciale Enterprise e PA, Cisco Italia **Solution Architecht, Cisco Services



70 mobilità

Città in movimento di Lorenzo Bertuccio*

La sostenibilità nel settore del trasporto è in aumento, ma c’è ancora molto da fare

Da qualche settimana si è concluso l’ottavo rapporto “Mobilità sostenibile in Italia: indagine sulle principali 50 città”, elaborato ogni anno da Euromobility con il Patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Il Rapporto, che fotografa la situazione in Italia relativa all’anno 2013, tiene conto delle innovazioni introdotte (car sharing, bike sharing, mobility manager), della presenza di auto di nuova generazione o alimentate a combustibili a più basso impatto (gpl, metano, ibride, elettriche), dell’offerta e dell’uso del trasporto pubblico, delle corsie ciclabili, delle zone a traffico limitato e di quelle pedonali. Ma anche dei dati sui parcheggi di scambio e a pagamento, di quelli sulla sicurezza, nonché delle iniziative di promozione e comunicazione a favore della mobilità sostenibile. Le 50 città monitorate sono tutti i capoluoghi di Regione, i due capoluoghi delle Province autonome e le città con una popolazione superiore ai 100.000 abitanti. Questo ottavo Rapporto segnala la progressiva positiva riduzione del tasso di motorizzazione, complice anche la perdurante crisi economica, il continuo aumento dei veicoli a basso impatto (metano, gpl, ma anche a trazione ibrida ed elettrica), che complessivamente raggiungono l’8% del parco nazionale circolante. Emerge, però, che occorre spingere di più sul pedale dei servizi innovativi: se il bike sharing vede crescere sia il numero di utenti (di circa il febbraio/marzo 2015

37%) sia il numero di biciclette (+27% circa), di contro, a un incremento del numero di iscritti al car sharing tradizionale (+7,8%) non corrisponde un’analoga crescita delle automobili a disposizione dei cittadini, che invece diminuiscono del 4,5%. Dopo 8 anni si evidenzia sempre più la frattura tra nord e sud Italia, con le città più virtuose tutte al nord e una fotografia triste e impietosa del nostro stivale, risultato anche della riduzione dei servizi di trasporto pubblico: per colpa della crisi, infatti, quasi ovunque in Italia si è registrato un taglio ai servizi di trasporto pubblico offerti ai cittadini.

La flessione Diminuisce di quasi tre punti percentuali l’indice di motorizzazione, l’indicatore che misura la consistenza della flotta veicolare in rapporto alla popolazione residente: si riduce a 58,4 auto ogni 100 abitanti, contro le 61,6 dello scorso anno, comunque sempre molto più elevato in confronto alla media europea di circa 48. Le città con il maggior indice di motorizzazione sono L’Aquila e Potenza, la prima con 75,3 e la seconda con 71,9 auto ogni 100 abitanti, seguite da Perugia (69,5) e Campobasso (69,0). Le città dove circola il minor numero di auto per abitante sono Venezia (41,7), Genova (45,9) e Bologna (50,6). Come nel 2012, a Bolzano e Trento si registra un notevole incremento del numero di auto, dovuto alla forte concentrazione di società di noleggio che continuano a stabilire la sede legale in questi Comuni per usufruire di una minore tassazione, analogamente a quanto accade ormai da anni ad Aosta. Migliorano, seppur lentamente, gli standard emissivi dei veicoli. Le auto Euro IV rappresentano la percentuale maggiore in circolazione (34,2% dell’intero parco), mentre i veicoli Euro V sono pari al 18,2%. Escludendo i Comuni di Aosta, Trento e Bolzano, dove la sola percentuale di veicoli Euro V è superiore al 50%; (per le ragioni poc’anzi ricordate),


febbraio/marzo 2015

i Comuni di Reggio Emilia, Prato, Bologna, Firenze e Brescia mostrano le percentuali più alte (superiori al 20%). Cresce, rispetto allo scorso anno, il numero di automobili di standard Euro VI, la cui percentuale si attesta all’1,5% sul totale delle 50 città, mentre le città del sud, con in testa Napoli e Catania, continuano a registrare la maggior percentuale di auto più inquinanti.

Basso impatto in aumento

limite di 40). Seguono in entrambe le classifiche Salerno e Napoli. A Catanzaro e Sassari non si è registrato alcun superamento, mentre a Foggia se ne sono registrati soltanto due. Ed è ancora Sassari a registrare la media annuale più bassa, 18,0 µg/m3, seguita da L’Aquila e Potenza (19,0 e 19,7 µg/m3 rispettivamente).

I servizi in sharing Sono sedici le città dell’osservatorio nelle quali è presente un servizio di bike sharing, il servizio di biciclette condivise. A Milano, Brescia e Torino continua l’impegno delle amministrazioni per la bicicletta e per il potenziamento del servizio:

Passa dal 7,5% dell’anno 2012 all’8% del 2013 il numero di auto a basso impatto, cioè a gpl, metano, ibride o elettriche. Si confermano Ravenna, Ferrara e Bologna, figura 1 con una media prossima o superiore al 19%, le città Motorizzazione (veicoli-abitanti) con il numero più elevato di auto a basso impatto, in particolare a gas. Ultime nella classifica sono Trieste, Udine e Sassari. Per la prima volta la banca dati ACI riporta esplicitamente i veicoli elettrici/ibridi che costituiscono nel 2013 lo 0,14% del parco: Milano raggiunge lo 0,42% dell’intero parco auto, seguono Bologna e Monza, rispettivamente con lo 0,34% e lo 0,24%. Taranto, invece, è il fanalino di coda con appena lo 0,02% del parco circolante. Sebbene molti valori Fonte: Rapporto Euromobility registrati siano ancora lontani da quelli previsti dalla normativa, continua un miglioramento Milano aggiunge nel 2013 altre 432 biciclette della qualità dell’aria in quasi tutte le città, ma alle 2.800 già disponibili nel 2012, a Brescia sono solo dieci quelle che rispettano tutti i limiti l’incremento è del 37%, a Torino del 17%. Forlì imposti (due in più rispetto all’anno precedente): conta già circa 40 biciclette e 224 utenti, mentre Aosta, Bari, Campobasso, Catanzaro, Foggia, Padova, altra new entry, fornisce già 200 Forlì, L’Aquila, Potenza, Sassari e Taranto. biciclette e ha soddisfatto oltre 1.700 utenti in Torino si conferma la città sia con il maggior soli 6 mesi di servizio del 2013. Gli utenti sono numero di superamenti di PM10 (126 rispetto complessivamente aumentati di circa il 37% e le ai 35 consentiti, addirittura in crescita rispetto biciclette in circolazione di circa il 27%. Gli utenti ai 118 dell’anno precedente), sia con la più della bicicletta in sharing sono, quindi, sempre elevata media annuale (48 µg/m3 rispetto al di più, ma non sempre gli amministratori

71


72 mobilità riescono a soddisfare la loro voglia di pedalare. Nell’agosto 2013 nasceva a Milano il car-sharing cosiddetto one-way o free floating i cui numeri erano però ancora incerti e di difficile confronto con il car-sharing convenzionale, quello cioè in cui l’utente preleva e riconsegna la vettura nel medesimo parcheggio. Ed è quindi a tali servizi che l’indagine di Euromobility è stata dedicata, confermando che al car-sharing continuano a credere più gli utenti degli amministratori: anche nel 2013, così come nel 2012, nonostante il numero di auto in flotta diminuisca (-4,5% nel 2013 rispetto al 2012), il numero complessivo degli utenti del car sharing continua ad aumentare (+7,8%). I maggiori incrementi di utenti si registrano a Padova (dove il numero di iscritti passa dagli 88 del 2012 ai 132 del 2013), Palermo (da 529 a 735) e Roma (da 2.507 a 3.220). Solo Genova perde iscritti, da 2.476 a 2.275. Milano mantiene la pole position per numero di utenti (che passano da 7.171 a 7.374), seguita da Venezia con 4.002 e Roma con 3.220. Sempre a Milano il primato di auto in sharing (122), seguita da Torino e Roma (117). Venezia continua a figura 2

Mobility manager

Non Presente Ancona

Cagliari

Catanzaro

L’Aquila

Campobasso Livorno

Pescara

Piacenza

Potenza

Prato

R. Calabria

Rimini

Salerno

Sassari

Siracusa

Taranto

Terni

Trento

Fonte: Rapporto Euromobility

febbraio/marzo 2015

confermarsi la città sia con il maggior numero di automobili disponibili rispetto alla popolazione (1,66 auto/10.000 ab), sia con il maggior numero di utenti rispetto alla popolazione (151 auto/10.000 ab). Sono solo 32 le città in cui è presente il mobility manager di Area, qualcuno negli anni si è addirittura perso per strada, complice nella maggior parte dei casi la scarsità di risorse disponibili. Nove delle 18 città in cui il mobility manager di Area è assente sono al Sud (Cagliari, Campobasso, Catanzaro, Potenza, Reggio Calabria, Salerno, Sassari, Siracusa e Taranto), sei nel centro Italia (Ancona, L’Aquila, Livorno, Pescara, Prato, Terni) e tre al Nord del Paese (Piacenza, Rimini e Trento).

Cala il trasporto pubblico

Rispetto all’anno precedente, in ben 37 città su 50 si è registrata una riduzione dell’offerta di trasporto pubblico. Riduzioni addirittura a due cifre percentuali si sono registrate nelle città di Forlì, Latina, Messina e Salerno. Nota positiva, invece, per la città di Novara che ha incrementato di molto l’offerta di trasporto pubblico (+18,5%). Un servizio di trasporto pubblico poco efficiente si riflette sul basso utilizzo dei servizi da parte dei cittadini. A Latina, in media, un cittadino utilizza l’autobus soltanto sette volte in un anno, a Siracusa nove Uffici d’Area comunale volte, a Potenza undici. La Aosta Bari Bologna Bolzano maggiore offerta di trasporto Brescia Catania Ferrara Firenze pubblico locale (posti*Km/ab) Foggia Forlì Genova Latina si registra a Milano, Cagliari, Messina Milano Novara Padova Roma e Bergamo, che scalza Palermo Parma Perugia R. Emilia Torino dalla quarta posizione, Ravenna Roma Torino Trieste mentre il maggior numero Udine Venezia Verona Vicenza di passeggeri per abitante viaggiano, come lo scorso anno, a Milano, Venezia, Roma Uffici d’Area provinciale e Trieste. Bergamo Modena Passa da 5,4 dell’anno 2012 Monza Napoli a 4,8 del 2013 il numero di incidenti ogni 1.000 abitanti nelle 50 città. In lievissima flessione anche l’indice di mortalità, cioè il numero di


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tabella 1

decessi ogni 100 incidenti, che passa dal valore di 0,97 dell’anno 2012 al valore di 0,95 del 2013. Forlì, con 9,89 incidenti ogni 1.000 abitanti, si conferma la città con la maggiore incidentalità, seguita da Rimini (8) e Genova (7,2) I valori più bassi, invece, a Catanzaro (1,6), Napoli (2,1) e Campobasso (2,4). L’indice di mortalità più elevato (numero di morti ogni 100 incidenti) si è registrato nella città di Foggia (3,1), seguita da Catanzaro e Latina (2,7). Le città in cui si registrano i valori più bassi, invece, sono Aosta (0), Novara (0,2) e Milano (0,3).

La sosta Venezia si riconferma saldamente prima in classifica per dotazione di parcheggi di scambio (155 posti ogni 1.000 autovetture circolanti), staccando di gran lunga Piacenza (73) seguita da Bergamo (57). Firenze scalza Bologna dal vertice della classifica per dotazione di parcheggi a pagamento (150,5 ogni 1.000 autovetture circolanti contro i 150,0 di Bologna). Le città con il minor numero di parcheggi a pagamento sono Sassari, Bolzano, Siracusa, Monza, Catanzaro, Trieste, Perugia e Terni con meno di 20 stalli/1.000 autovetture. A L’Aquila non sono presenti parcheggi a pagamento. Se si eccettua Venezia che offre quasi 5 mq di area pedonale per abitante, solo il Comune di Firenze offre quasi un mq (0,98) di area pedonale ad abitante, seguito da Cagliari (0,96). Per il resto delle città italiane, lo spazio destinato ai soli pedoni è sempre inferiore a 0,8 mq/ ab, fatta eccezione per Parma che ne registra 0,82. Aumenta di oltre il 20% l’estensione delle aree pedonali nelle città di Catania, Genova, Napoli, Palermo e Sassari. Le città con la minore estensione di area pedonale per abitante sono Catanzaro, Novara e Bergamo. Quelle, invece, con la maggiore estensione delle ZTL sono Terni (48,34 mq/ab) e Bergamo (44,17). Le ZTL meno estese sono, infine, quelle di Catania con appena 0,34 mq/ab e Bari (1,04). È possibile effettuare analisi personalizzate e confrontare tutti gli indicatori utilizzando l’innovativa sezione Open Data del sito dell’Osservatorio (uni.euromobility.org). *Direttore Scientifico Euromobility

Popolazione residente, densità abitativa, tasso motorizzazione - anno 2013 Città Ancona Aosta Bari Bergamo Bologna Bolzano Brescia Cagliari Campobasso Catania Catanzaro Ferrara Firenze Foggia Forlì Genova L’Aquila Latina Livorno Messina Milano Modena Monza Napoli Novara Padova Palermo Parma Perugia Pescara Piacenza Potenza Prato R. Calabria R. Emilia Ravenna Rimini Roma Salerno Sassari Siracusa Taranto Terni Torino Trento Trieste Udine Venezia Verona Vicenza

Popolazione 101.742 34.901 322.751 118.717 384.202 105.713 193.599 154.019 49.392 315.576 91.028 133.423 377.207 153.143 118.359 596.958 70.967 125.375 160.512 241.997 1.324.169 184.525 123.151 989.111 104.736 209.678 678.492 187.938 166.030 121.325 102.404 67.403 191.268 184.937 172.525 158.784 146.856 2.863.322 133.885 127.715 122.304 203.257 112.227 902.137 117.285 204.849 99.528 264.534 259.966 113.655

Densità abitativa (popolazione per km2) 815,0 1.631,5 2.749,4 2.956,3 2.727,6 2.021,6 2.143,1 1.811,7 880,2 1.725,4 807,5 329,3 3.686,6 300,7 518,7 2.484,3 149,7 451,6 1.536,0 1.132,1 7.288,8 1.007,3 3.722,0 8.310,2 1.016,4 2.254,0 4.224,9 721,2 369,4 3.530,7 866,1 384,2 1.964,7 773,7 748,0 242,9 1.082,2 2.224,2 2.236,9 233,5 588,6 813,5 528,3 6.938,9 742,9 2.407,0 1.740,9 636,1 1.306,9 1.410,6

Fonte: Elaborazioni Euromobility su dati ACI e ISTAT

Tasso motorizzazione autovetture (veicoli/100 abitanti) 59,8 195,8 54,6 58,4 50,6 122,7 59,9 66,1 69,0 67,1 63,8 62,0 51,3 54,4 61,9 45,9 75,3 67,7 53,0 58,7 53,0 62,6 61,9 53,8 58,8 58,1 56,3 58,9 69,5 59,5 60,2 71,9 59,5 60,4 66,7 64,9 58,6 63,3 57,2 63,2 65,3 53,2 64,0 61,6 130,7 51,7 64,0 41,7 60,3 59,2

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Tecnologie, nuovi strumenti e competenze per affrontare i mercati dell’energia solare e delle rinnovabili Si terrà dall’8 al 10 aprile, nella nuova location del MiCo-Fiera Milano Congressi, l’edizione 2015 di SolarexpoThe Innovation Cloud, la piattaforma espositiva e convegnistica che abbraccia tutte le tecnologie energetiche per gli edifici, le reti e le città intelligenti. L’esposizione racchiuderà diverse tecnologie, ospitando aziende italiane e straniere dei vari settori. Tra queste segnaliamo l’austriaca IDM (pompe di calore elettriche), Cloros (ESCo ed efficienza energetica), Sunerg (solare e mini eolico), Sonepar Italia (domotica e illuminotecnica), PM Service (energie rinnovabili e risparmio energetico), la tedesca Andritz Atro (mini idro), Accu Italia e la francese SAFT (batterie e sistemi di accumulo). Per il solare, da sempre cuore della manifestazione, molti i volti storici: ABB, Fronius, Renesola, Jinko Solar, FuturaSun, SunEdison, Tecno-Lario, MegaCell, Tonello Energie, Enerpoint, German PV, Angelantoni Cleantech e altri ancora. Parallelamente all’esposizione fieristica, l’edizione 2015 di Solarexpo-The Innovation Cloud offrirà un intenso calendario di eventi convegnistici, seminariali e di formazione professionale articolati in sei percorsi tematici: • fotovoltaico e rinnovabili elettriche

• tecnologie abilitanti della generazione distribuita: energy storage e reti intelligenti • smart technologies ed efficienza energetica negli edifici e nell’industria • mobilità elettrica e ibrida • green finance • emerging markets Una particolare attenzione sarà dedicata al mercato italiano del fotovoltaico in grid parity e alle opportunità per installatori e distributori e, ovviamente, alla convenienza economica a realizzare impianti fotovoltaici per le famiglie, grazie alla detrazione fiscale del 50%, e per le PMI con potenziali elevate quote di autoconsumo di elettricità solare, alla luce dello schema dei Sistemi Efficienti di Utenza (SEU). Per questa parte del mercato si affronteranno anche i temi più specifici della contrattualistica. Un’attenta analisi verrà poi dedicata all’operation, maintenance e performance (O&M&P) del parco degli impianti fotovoltaici esistenti. Sempre nell’ambito del settore FV, si affronteranno questioni come il recupero e riciclo dei moduli a fine vita. Uno spazio importante sarà dedicato agli strumenti di market & business intelligence per poter entrare e sviluppare la propria attività nei mercati emergenti.

Solarexpo-The Innovation Cloud 2015 sarà dunque un’occasione da non mancare per conoscere operatori e novità del settore, ma anche un momento fondamentale di aggiornamento professionale per tutti coloro che si occupano delle tecnologie energetiche del presente e del futuro.

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INFORMAZIONE PUBBLIREDAZIONALE

Nel calendario degli appuntamenti convegnistici spazio anche alla combinazione impiantistica solare-pompa di calore per la climatizzazione integrale e il comfort in edifici low-energy. E poi ancora a minieolico, all’illuminazione urbana e industriale a Led e all’integrazione dei veicoli elettrici e ibridi negli smart building. Alla mobilità elettrica verrà dedicata un’area specifica del padiglione espositivo ma anche un’area esterna adibita per il test drive di alcuni dei veicoli elettrici presenti.

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information technology

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Lavoro e smart city di Marina Penna, Bruna Felici*

Le nuove tecnologie consentono un approccio innovativo alle dinamiche del lavoro che trasformerà le città

L’attuale grado di sviluppo delle ICT permette di ripensare i modelli organizzativi del lavoro per renderli meno dipendenti dalla localizzazione del lavoratore in sedi prestabilite. La conseguente possibilità di riorganizzare la logistica degli spostamenti casa-lavoro prelude alla trasformazione degli assetti urbani, soprattutto quelli caratterizzati da elevato pendolarismo e dalla contrapposizione tra quartieri congestionati, dove si concentrano le attività lavorative, e quartieri dormitorio, spesso privi di servizi e di identità. Ancora più significativa è la possibilità di incidere sulla “risorsa” tempo, che nella nostra società ha acquisito un valore economico crescente ed è misura di qualità della vita; risorsa scarsa a valore unico, non moltiplicabile e non

replicabile. Si apre, dunque, la possibilità di impostare politiche integrate capaci di contribuire allo sviluppo delle smart cities incidendo significativamente sulla domanda di mobilità, sul welfare, sulla parità di genere, sull’inclusione sociale e la lotta alla criminalità. Politiche “smart” a tutti gli effetti, dato che possono essere realizzate attraverso processi che riducono, invece che aumentare, i costi a carico dei lavoratori, dei datori di lavoro e della collettività. Ma, parafrasando Virgilio, «… c’è un guardiano assiso all’ingresso, un terribile fantasma che veglia sulla soglia», assai poco smart e difficile da scalzare. È la resistenza al cambiamento che si annida nelle regole e nella mentalità comune, l’attaccamento pregiudiziale a sistemi organizzativi che guardano al rispetto dei processi formali più che al raggiungimento di risultati. In termini economici questo si è finora tradotto in progressiva perdita di competitività nei confronti di chi sa assimilare l’innovazione. L’attività lavorativa è un elemento cardine della vita della comunità urbana e dell’organizzazione della città perché incide, in modo significativo, sulla qualità della vita delle persone e delle famiglie, sull’economia delle città, sulla domanda di mobilità, sui consumi, sulle relazioni sociali, sullo sviluppo urbano. Nel concetto di smart working convergono molteplici visioni attinenti le sfere personale, aziendale, istituzionale e collettiva: l’approccio “smart” consiste nel tenere in considerazione e valorizzare in un sistema organico le complesse interconnessioni attraverso le quali queste visioni si esplicano all’interno della comunità. Lo smart working può essere, quindi, inteso come uno strumento di politica partecipata attraverso cui sviluppare la capacità di intervenire in

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76 information technology modo consapevole, sfruttando le potenzialità delle tecnologie della comunicazione per “connettere” gli interessi concorrenti in un quadro complessivo di mutuo scambio e di mutuo apprendimento. Il processo che qui si immagina è inverso a quello seguito dalle attuali logiche di governance “per competenze” che richiedono di “spacchettare” individui, gruppi, istituzioni in una somma di ruoli concorrenti e procedono poi a sfrondare ogni singola pila di pacchetti da tutto quello che è ritenuto secondario rispetto al “core business” affidato a ogni singola “competenza”. L’approccio per competenza, nell’affrontare individui, gruppi, aziende e istituzioni si basa sulla sola informazione che deriva dal ruolo che ciascuna entità svolge in relazione alla competenza di interesse, perdendo così l’informazione che deriverebbe dal considerarlo un elemento unitario che riassume in sé molteplici ruoli, funzionalmente connesso ad altri individui, gruppi, aziende e istituzioni attraverso una fitta rete di relazioni. Nella sfera delle politiche del lavoro, un individuo è quindi alternativamente visto come imprenditore, lavoratore, consumatore di beni o servizi, genitore, figlio, fornitore o dispensatore o fruitore di cultura, di assistenza parentale o sociale e così via e, alternativamente, esaltato o additato, aiutato od ostacolato in funzione della sua relazione del momento con la specifica “competenza” su cui ci si concentra. L’impossibilità di organizzare, condividere e gestire in tempi brevi grandi moli di informazioni, che ha reso fino a ora accettabile la limitatezza di un tale approccio, viene meno alla luce delle nuove possibilità che gli ambienti cloud e la “big data analysis” hanno aperto. Le politiche possono aprirsi a più efficaci approcci integrati, avvalendosi delle tecnologie e ottimizzando l’impiego delle risorse. Trascurare il funzionamento delle interconnessioni non equivale, infatti, a eliminarle, ma affida al caso il meccanismo di “moltiplicazione degli effetti” che esse generano a valle di un intervento di “governance”. Non è infrequente il caso in cui le conseguenze che derivano dall’incontrollata moltiplicazione degli effetti che procede da un’azione, messa in campo con lo scopo di rispondere a una circoscritta istanza, abbiano febbraio/marzo 2015

prodotto il risultato di peggiorare la situazione complessiva di un più ampio bacino di soggetti interessati. Ricercare, attraverso nuove organizzazioni del lavoro, la conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro è uno dei modi per mettere a frutto le “interconnessioni” permettendo a esse di moltiplicare “in positivo” l’effetto di ogni azione in settori che riguardano tutti gli aspetti della comunità urbana e che si potenziano vicendevolmente in una prospettiva di “decarbonizzazione” dell’economia, equità sociale e di genere, di miglioramento della qualità della vita e aumento della produttività. Allo smart working si associa la possibilità di svolgere il proprio lavoro in modo indipendente da una sede fisica prestabilita, di qui la necessità di un’organizzazione che operi coinvolgendo il lavoratore nella pianificazione delle attività, accordandogli una maggiore autonomia organizzativa e decisionale, e sostituendo il controllo della presenza in ufficio con la valutazione dei prodotti del suo lavoro. È evidente però che, se le modifiche organizzative richieste da una buona impostazione del lavoro a distanza possono favorire il miglioramento dell’organizzazione complessiva delle attività lavorative, non è né automatico, né scontato che ciò avvenga. Allo stato attuale non mancano alcune preoccupanti derive verso un utilizzo miope delle moderne tecnologie. Quando manca la capacità di traguardare l’evoluzione che la tecnologia abilita, prevale la tendenza a concentrare gli sforzi per mantenere inalterati i modelli organizzativi del lavoro. Si preferisce così ridurre le tecniche di comunicazione in artificiosi congegni di controllo a distanza. Si propongono così dispositivi capaci di tradurre la frequenza di spostamento del mouse di un computer in una curva di attività del lavoratore o di spiare, per lo stesso fine, il battito delle ciglia e la frequenza della respirazione, eloquenti esempi di umilianti quanto efficaci inibitori di produttività. È chiaro che la capacità di organizzare e governare le informazioni per creare “l’effetto domino” voluto deve essere costruita e che le scelte tecniche e i comportamenti tecnici si traducono in scelte e comportamenti sociali e politici.


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figura 1

figura 2

Contributo ICT alla crescita della produttività (1995-2007)

Contributo ICT alla crescita del PIL (1995-2007)

Prospettive di sviluppo Un progetto sviluppato dall’Ufficio Studi dell’ENEA sta indagando il contesto di mutamenti economici, tecnologici, sociali, culturali e giuridici associati ai modelli di organizzazione del lavoro che le ICT rendono progressivamente meno dipendenti dalla localizzazione del lavoratore in sedi prestabilite. La conseguente possibilità di riorganizzare la logistica degli spostamenti casa-lavoro prelude, infatti, alla trasformazione degli assetti urbani, soprattutto quelli caratterizzati da elevato pendolarismo e dalla contrapposizione tra quartieri congestionati, dove si concentrano le attività lavorative, e quartieri dormitorio, spesso privi di servizi e di identità. Lo scopo è quello di sviluppare strumenti per permettere di impostare politiche integrate capaci di contribuire allo sviluppo delle smart cities incidendo significativamente sulla domanda di mobilità, sui consumi, sul welfare, sulla parità di genere e sull’inclusione sociale. Si può apprezzare il valore di tali strumenti se si considera quanto fragili e inadeguati siano gli attuali modelli di organizzazione urbana, soprattutto se osservati nella prospettiva dei

“megatrend” attesi dal rapido incremento stimato per la popolazione mondiale. Tra tutti, il cosiddetto “Great Urban Shift”, che configura, a partire dal 2025, quasi la metà della popolazione mondiale residente in città con oltre 1 milione di abitanti e la crescita, da 23 del 2011 a 37, delle città con più di 10 milioni di abitanti (World Economic Forum, Report 2013). Alcuni risultati preliminari del progetto, orientati a esaminare le prassi e i modelli organizzativi del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni italiane, non sono incoraggianti. Il telelavoro si è diffuso con lentezza e difficoltà nella PA. Nelle più comuni prassi adottate, si è in genere posta scarsa attenzione a ottimizzare l’uso delle risorse e a organizzare il lavoro in funzione dei risultati. La preoccupazione più evidente che ha ispirato la maggior parte dei processi è stata la ricerca del rispetto di processi formali, quasi sempre avulsi da logiche produttive. In breve, molte amministrazioni hanno rinunciato alla dimensione strategica della progettazione del telelavoro trasformandolo spesso in un elemento di complicazione della vita organizzativa. Le artificiose costruzioni che ne

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78 information technology figura 3

Contributo ICT alla crescita del PIL (1995-2007)

sono seguite, unite alla scarsa consapevolezza delle possibilità offerte dalle ICT, hanno operato una tale distorsione dell’immagine del telelavoro che, in Italia, esso viene comunemente considerato come una forma di lavoro “inferiore”, riservata ad attività poco qualificate e a persone afflitte da qualche disagio.

Perdere il treno dell’innovazione Le regolamentazioni e le prassi evidenziate per il telelavoro non sono che un aspetto del più generale ostracismo che incontrano, in Italia, tutti quei processi di innovazione, compresa l’Agenda Digitale, in cui gli investimenti in ICT sono in grado di generare valore solo se vengono affiancati da azioni complementari, volte a consolidare il “capitale organizzativo”, ovvero organizzazione, formazione, revisione dei processi e management. Il ruolo assunto dalle tecnologie della comunicazione nel determinare l’efficienza di un sistema Paese e il contributo che esse forniscono allo sviluppo di un’economia fanno sì che la capacità maturata in quest’ambito sia diventata uno dei parametri in base ai quali si misura la competitività delle economie. In molti Paesi le PA stanno svolgendo un ruolo attivo nella crescita e nell’innovazione febbraio/marzo 2015

delle economie nazionali, sia tramite specifiche politiche pubbliche, sia tramite il complesso di attività che riguarda acquisti, pratiche e forniture di servizi attraverso i quali viene svolta una fondamentale funzione di indirizzo e di traino, nei confronti di cittadini e imprese, verso l’adozione di tecnologie digitali e l’affermazione di modelli organizzativi che valorizzano il capitale umano. La PA italiana mostra, invece, una chiara difficoltà a svolgere un tale ruolo e appare spesso del tutto incapace di assimilare i processi innovativi. È significativo che, nel Networked Readiness Index, su 144 Paesi censiti l’Italia si collochi al 99° posto per politiche e regolamentazioni e al 112° per utilizzo di ICT da parte della PA. Malgrado le risorse che ciascuna amministrazione investe annualmente in tecnologia digitale, malgrado la presenza, all’interno di quasi tutte le amministrazioni, di uffici specificamente preposti alle tecnologie digitali, le azioni sono relegate spesso a un ambito superficiale, costituito più di annunci, documenti, indirizzi e azioni dimostrative che non arrivano a permeare le strutture amministrative e non si traducono in azioni e innovazioni concrete e permanenti. Questa immobilità strutturale, assolutamente inadeguata a un contesto di economia digitale in continua evoluzione che muta attraverso processi rapidi e discontinui, si è finora tradotta in progressiva perdita di competitività nei confronti di chi si è organizzato per assimilare l’innovazione. I recenti studi dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano e di Confindustria Digitale, oggetto del Rapporto 2014 “Fattore ICT: l’innovazione digitale per la crescita, la produttività, l’occupazione e la sostenibilità ambientale” (da cui sono tratte le figure), dimostrano che in Italia stiamo scontando questa arretratezza culturale in termini di scarsa crescita della produttività e del PIL (Fig. 1 e 2). La rilevanza della dimensione culturale nei processi di innovazione trova conferma nello stesso report, che mostra come, nel nostro Paese, l’effetto frenante del “capitale umano” sulla diffusione delle ICT sia di gran lunga più significativo di quelli determinati dalla rigidità dei mercati e dal costo delle tecnologie (Fig. 3).  *ENEA - Unità Centrale Studi e Strategie


GPP

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L’acquisto è verde (forse) di Liborio Capozzo, Stefano Iorio*

LA PENETRAZIONE DEGLI ACQUISTI PUBBLICI VERDI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE È COMPLESSA, MA NECESSARIA

Lo sviluppo smisurato del mercato dei prodotti e dei servizi che ha caratterizzato la terza rivoluzione industriale ha determinato, nel corso degli anni, la nascita della consapevolezza che tale sviluppo avrebbe dovuto contemperare l’esigenza di mantenere intatto -o, quantomeno, ridurre al minimo - l’impatto sull’ambiente. Sicché, a partire dalla fine del secolo scorso si sono sviluppate le politiche ambientali volte a garantire che la crescita non portasse

all’ineluttabile distruzione del suolo e delle risorse naturali sempre più scarse. Invero, la consapevolezza di una crescita ecosostenibile ha portato anche in Italia qualche risultato. Per fare un esempio, nel corso del 2013 -e in particolare il 16 giugno, per la prima volta e per un paio di ore, tra le ore 14 e le 15 - l’energia elettrica erogata è stata interamente coperta con fonti rinnovabili, a costo e inquinamento zero. Ma questo è solo un primo passo. Sul tema dell’impatto ambientale è intervenuta anche la Commissione Europea attraverso la definizione dei cosiddetti “Acquisti pubblici verdi” o, utilizzando il linguaggio anglosassone, Green Public Procurement il cui acronimo GPP è divenuto ormai noto anche al nostro legislatore. Il GPP rappresenta l’approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando

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80 GPP la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita. Così appare evidente che tale strumento di politica ambientale su base volontaria intende favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale attraverso la leva della domanda pubblica, ovvero attraverso gli acquisti effettuati dalle PA. Ma, se questo è l’obiettivo principe del GPP, una prima domanda sorge spontanea: com’è possibile integrare questo aspetto con le norme che “obbligano” le pubbliche amministrazioni a fare ricorso al Mercato elettronico della PA, alle convenzioni Consip e alla pletora di norme che disciplinano la spending review, ovvero la riduzione della spesa pubblica? Invero, è noto che non sempre i prodotti a basso impatto ambientale hanno un costo contenuto che mal si sposa con i criteri imposti in tema di contenimento della spesa pubblica. Il mercato elettronico della PA, per esempio, consente la scelta di prodotti a basso impatto ambientale ma è necessario sensibilizzare i funzionari pubblici nella definizione dei capitolati di acquisto o nella pianificazione degli ordini al fine di intercettare il desiderio di riduzione della spesa con una politica rivolta alla tutela dell’ambiente.

Vantaggi sostenibili Sul punto già la Corte di giustizia della Comunità Europea, nella nota sentenza del 17 settembre 2002 nel procedimento C-513/99 (Concordia Bus Finland Oy Ab vs Helsingin kaupunki), aveva ribadito che «… è ammissibile tener conto di considerazioni ecologiche per identificare l’offerta più vantaggiosa sotto il profilo economico globale, nella misura in cui l’ente che organizza l’appalto tragga esso stesso un diretto beneficio dalle caratteristiche ecologiche inerenti il prodotto». Talché, nel caso di specie, per il Comune di Helsinki, che è responsabile della tutela dell’ambiente sul proprio territorio, ne sarebbero derivate economie dirette, in particolare nel settore medico-sociale, che rappresentava circa il 50% del suo bilancio complessivo. Di conseguenza, febbraio/marzo 2015

i fattori che avrebbero contribuito, anche in percentuale modesta, a migliorare lo stato di salute generale della popolazione avrebbero consentito di ridurre i costi rapidamente e in notevole misura. Pertanto, conclude la Corte «...l’amministrazione aggiudicatrice può prendere in considerazione criteri ecologici … purché tali criteri siano collegati all’oggetto dell’appalto, non conferiscano all’amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, siano espressamente menzionati nel capitolato d’appalto o nel bando di gara e rispettino tutti i principi fondamentali del diritto comunitario, in particolare il principio di non discriminazione». Sul punto è appena il caso di ricordare che il decreto legislativo n. 163/2006, relativo al codice dei contratti pubblici, all’art. 2 contempla la possibilità di subordinare il principio di economicità a criteri ispirati da esigenze sociali, dalla tutela dell’ambiente e della salute e dalla promozione dello sviluppo sostenibile. Ma anche in questo caso sarebbe interessante approfondire l’argomento rispetto alle norme sulla spending review.

Spesa vs. ecologia Ma c’è di più. Gli enti pubblici sono chiamati a effettuare un’analisi dei fabbisogni al fine di razionalizzare i consumi, identificare le funzioni competenti per l’applicazione di una politica di GPP nonché definire un programma interno per le azioni di ambito GPP. Tuttavia, il legislatore italiano se da un lato spinge per la riduzione della spesa pubblica, dall’altro con decreto interministeriale adottato nel 2008 ha varato il “Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione”, detto anche PAN GPP. Tale strumento ha l’obiettivo di massimizzare la diffusione del GPP presso gli enti pubblici in modo da farne dispiegare in pieno le potenzialità in termini di miglioramento ambientale, economico e industriale. In particolare il piano ha l’obiettivo di indirizzare le pubbliche amministrazioni verso una razionalizzazione dei consumi e degli acquisiti fornendo “considerazioni ambientali” propriamente dette collegate alle diverse fasi della procedura di gara. Ovvero,


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in accoglimento della già richiamata sentenza della Corte, trasferire nei capitolati d’appalto le caratteristiche ambientali utili a classificare come “verde” la fornitura o l’affidamento cui si riferiscono e i relativi mezzi di prova per verificare la conformità delle offerte pervenute ai requisiti ambientali richiesti. Entrando nel dettaglio, la revisione 2013 del PAN GPP ribadisce il principio che un miglior uso degli appalti pubblici a sostegno di obiettivi politici e sociali dell’Unione Europea debba essere auspicato non soltanto per prevenire gli effetti di emergenze ambientali su scala globale e locale, ma anche per motivi macro economici, ancor più strategici, in considerazione della crisi economico - finanziaria che stiamo vivendo. Per ciò che attiene l’aspetto ecosostenibile si definiscono “prodotti ambientalmente migliori” quelli che, in chiave prospettica, possano essere caratterizzati da un impiego più efficiente delle risorse e dell’energia lungo tutto il loro ciclo di vita, più facilmente riutilizzabili nei cicli di produzione e, ove riciclati, in grado di valorizzare il ciclo dei rifiuti. Un altro aspetto focale del PAN GPP è l’introduzione di novità incisive sugli obbiettivi prefissati, tra cui il più rilevante era quello di raggiungere, entro il 2014, un livello di appalti verdi, conformi quindi ai CAM vigenti, non inferiore al 50% rispetto al totale degli appalti stipulati per ciascuna categoria di affidamenti e forniture; tale percentuale era riferita sia al numero che al valore. Pertanto al fine di raggiungere tale obbiettivo i CAM, ove disponibili e laddove tecnicamente possibile, devono essere acquisiti da Consip e dalle Centrali di Committenza Regionali, nonché si rende necessario che almeno il 50% delle stazioni appaltanti adottino procedure di acquisto conformi agli stessi. Allo stato attuale le categorie merceologiche, per

le quali sono stati individuati i criteri ambientali minimi in vigore, sono pressoché tutte quelle previste dalla Legge N° 296 del 27 dicembre 2006 (Legge finanziaria 2007) sebbene il PAN revisionato al 2013 ne auspichi un ampliamento al fine di tenersi in linea con i criteri attuali di GPP previsti dall’Unione Europea; pertanto ne è conseguito che il Ministero dell’Ambiente ha segnalato i criteri in via di definizione quale

successivo step per l’armonizzazione con le politiche comunitarie (Criteri in vigore: 1. Apparecchiature elettroniche per ufficio 2. Arredi per ufficio 3. Aspetti sociali negli appalti pubblici 4. Carta 5. Cartucce per stampanti 6. Illuminazione pubblica 7. Pulizia e prodotti per l’igiene 8. Rifiuti urbani 9. Ristorazione collettiva e derrate alimentari 10. Serramenti esterni 11. Servizi energetici per gli edifici (illuminazione, climatizzazione) 12. Tessili 13. Veicoli 14. Verde pubblico; Criteri in via di definizione: 1. Costruzione e manutenzione delle strade 2. Arredo urbano; 3. Servizio di illuminazione pubblica; 4. Edilizia; 5. Ausili per incontinenza; 6. Servizio di pulizia negli ambienti ospedalieri). Non va trascurata però la parte che riguarda

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82 GPP i criteri di sostenibilità sociale degli appalti per i quali il PAN GPP, in linea con le fondanti politiche europee, si pone di fissare l’obbiettivo di realizzare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Sebbene si rimandi alla futura definizione di nuovi CAM, si intendono per appalti socialmente sostenibili quelli che tengano conto delle condizione di lavoro, delle eventuali situazioni di violazione dei diritti umani, del fenomeno del dumping nonché dell’eventuale violazione dei diritti dei lavoratori che possano interessare beni o servizi acquisiti dalle procedure della PA. Si tratta, in pratica, di volere rendere sensibili le amministrazioni al pari del singolo individuo che voglia acquistare un prodotto ora a chilometro zero, ovvero che non sia prodotto da un Paese che sfrutta il lavoro minorile o che danneggi altri Paesi con politiche di concorrenza sleale e via dicendo. Uno strumento normativo a supporto è la “Guida per l’integrazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici” finalizzata a garantire un lavoro dignitoso nelle catene di fornitura della PA. Si tenga presente, inoltre, che già nel sistema Ecolabel sono state prese in considerazione, per le etichette Tipo I, le condizioni di lavoro lungo le catene di approvvigionamento. Tutto ciò alla fine si traduce in un’integrazione, nei bandi di gara, di aspetti sociali e del concetto di sostenibilità. Ovvero crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della PA sugli effetti perversi che il mancato rispetto di regole e controlli sulle condizioni sociali e ambientali con cui si svolgono le attività produttive provoca sia sulla qualità della vita, sia sulla dignità delle persone nonché sul mercato.

Legislazione debole Vero è che la maggioranza degli interventi normativi e regolamentari, volti al recepimento delle politiche verdi comunitarie, spesso si traduce in un insieme di “raccomandazioni”, “auspici” e pre-visioni future di provvedimenti di recepimento; viene a mancare, come spesso accade con il legislatore italiano, l’aspetto tassativo e prescrittivo dell’intervento normativo, depotenziandone inevitabilmente l’efficacia. In conclusione, bisognerebbe capire come la nostra pubblica amministrazione sarà febbraio/marzo 2015

in grado di recepire in pieno quanto sopra riportato. Per il prossimo futuro, infatti, è prevista una nuova rivoluzione normativa in merito ai contratti pubblici e alle procedure di appalto e concessione. Il 26 febbraio 2014 sono state emanate le tre nuove Direttive in materia di contrati pubblici: la Direttiva 2014/23/UE, sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, che abroga la Direttiva 2004/17/ CE, la Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, che abroga la Direttiva 2004/18/CE e, infine, la Direttiva 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. L’obiettivo principale perseguito dal legislatore europeo nell’adozione delle nuove Direttive in materia di contratti pubblici consiste nel rendere la disciplina dei contratti più funzionale al perseguimento della Strategia Europa 2020 e ciò in base al presupposto per cui gli appalti pubblici svolgono un ruolo fondamentale nell’ambito di tale strategia e costituiscono uno degli strumenti, basati sul mercato, necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, garantendo contemporaneamente l’uso più efficiente dei finanziamenti pubblici. Con tale finalità, l’intera disciplina dei contratti pubblici è stata riscritta e rivista in modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento degli obiettivi condivisi a valenza sociale, nonché chiarendo alcuni concetti e nozioni di base per assicurare una migliore certezza del diritto e incorporare alcuni aspetti della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione in materia. Il termine di recepimento è fissato al 18 aprile 2016. Non vi è dubbio che le linee guida sul GPP e i relativi piani (PAN) devono, in qualche modo, condividere il già esiguo spazio di manovra all’interno del più ampio panorama di revisione della spesa pubblica. Ma così come accaduto il 16 giugno 2013 con le fonti rinnovabili, vi è spazio per far coesistere diversi aspetti, non ultimi quelli della revisione della spesa pubblica e la eco sostenibilità.  *Consiglio Nazionale delle Ricerche



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Una riforma ineludibile di G.B. Zorzoli

Dopo quindici anni, ai meccanismi di funzionamento del mercato elettrico occorre una profonda revisione

La liberalizzazione del mercato elettrico è stata concepita non tenendo adeguatamente conto di tutte le sue specificità rispetto ad altri prodotti o servizi. I sistemi elettrici sono infatti caratterizzati da alta intensità di capitale, redditività differita, lunghi tempi di vita degli investimenti, grande rigidità delle soluzioni adottate e, finora, dalla non economicità dell’immagazzinamento dell’energia prodotta. Il parametro dominante per gli investimenti nei sistemi elettrici è dunque il lungo termine, mentre per determinare il prezzo di vendita all’ingrosso dell’energia elettrica, che è l’indicatore principe sulla disponibilità o scarsità di una merce, si è privilegiata la contrattazione a breve. Risultato: in Gran Bretagna, cioè nel Paese che ha introdotto la liberalizzazione con dieci anni di anticipo, si è arrivati prossimi al collasso, con un parco centrali vecchio e investimenti insufficienti a far fronte alla prevedibile, futura domanda. La riforma recentemente introdotta per evitare inconvenienti maggiori rappresenta un sostanziale ritorno ai prezzi amministrati. Il caso britannico, sia perché si trattava della liberalizzazione sperimentata più a lungo in Europa, sia per il peso più ridotto di altre variabili, come l’incidenza delle rinnovabili febbraio/marzo 2015

elettriche sulla produzione, è quindi ideale per mettere in evidenza alcuni limiti della contrattazione a breve. Oggi è peraltro possibile riformare il mercato elettrico, sia introducendo la contrattazione bilaterale di lungo periodo, senza in alcun modo marginalizzare il mercato a pronti (MGP), sia con soluzioni organizzative che risolvano i problemi posti dalla penetrazione delle rinnovabili (FER) elettriche. Questa è stata particolarmente rapida in Germania e in Italia, ma era altrettanto prevedibile. Per onorare gli impegni assunti nel 1997 dall’Italia nel quadro del Protocollo di Kyoto, già nel 1998 e nel 1999 due delibere CIPE fissavano per il 2010 l’obiettivo di 76 TWh prodotti da FER elettriche. Ebbene, il consuntivo 2010 (Fig. 1) mette in evidenza che la generazione da FER nel 2010 è stata superiore solo dell’1% agli obiettivi fissati più di dieci anni prima, che erano limitati al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, mentre nel frattempo si sono aggiunti quelli al 2020 previsti dal Pacchetto clima/energia. Purtroppo, a valle delle decisioni assunte nel 1998 e nel 1999: • a livello governativo ha prevalso il convincimento che non si sarebbe raggiunto il quorum di ratifiche del Protocollo di Kyoto da parte degli Stati firmatari, necessario per la sua entrata in vigore; di conseguenza, quando, nel febbraio 2005, la ratifica della Russia ha fatto superare il quorum, si sono dovute tardivamente approntare alcune misure a favore delle rinnovabili, ma in modo affrettato, disordinato, spesso contradditorio, senza una vera politica (anche industriale) di settore; • in troppi hanno condiviso la leggenda metropolitana, secondo la quale in realtà le nuove FER non erano in grado di produrre quantità significative di elettricità, per cui


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molti decisori politici ed economici rimasero sorpresi dal loro effetto, ovviamente aggravato dal calo della domanda di energia, indubbiamente un’importante concausa della situazione attuale che, tuttavia, se pur in modo attenuato, si sarebbe comunque verificata. Le FER elettriche non sono pertanto cresciute eccessivamente, semmai male e in alcuni casi in modo troppo oneroso. Siamo comunque ancora lontani dall’obiettivo 2020 fissato dalla SEN, come mette in evidenza il documento del Coordinamento FREE, presentato il 26 gennaio 2015 al convegno “Per un nuovo assetto del mercato elettrico” (disponibile in www.freeenergia.it).

La programmabilità Su questo tema le considerazioni svolte il 15 ottobre 2014 dall’Amministratore Delegato di Enel nel corso dell’audizione presso la X Commissione del Senato hanno introdotto due novità di non poco conto. Secondo l’ing. Starace, la crescente digitalizzazione delle reti italiane possedute da Enel, che la pone all’avanguardia a livello internazionale, ha, fra l’altro, reso possibile assorbire in modo non traumatico la veloce penetrazione delle rinnovabili, soprattutto del fotovoltaico. I flussi di energia provenienti da questi impianti, che sono essenzialmente allacciati alla media e bassa tensione delle reti di distribuzione, vengono quindi gestiti in modo tale da non creare

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86 mercato particolari problemi al sistema elettrico; le cosiddette non programmabili lo sono sempre meno, perché i sistemi previsionali anche nel caso più complesso (l’eolico) hanno progressivamente ridotto l’errore medio, portandolo praticamente in linea con l’errore previsionale della domanda elettrica. Un rapporto tedesco (“Electricity Storage in the German Energy Transition” dell’istituto di ricerca Agora) arriva ad analoghe conclusioni: l’introduzione di accumuli elettrochimici sarà necessario solo quando la generazione elettrica fornita da fonti rinnovabili supererà il 60%, purché le reti elettriche siano tecnologicamente adeguate e meglio interconnesse, si attui un’efficace flessibilizzazione della domanda e i mercati elettrici europei siano effettivamente integrati. Conclusioni dello stesso tenore sono presenti anche in un rapporto americano (“Renewable Electricity Futures Study” del National Renewable Energy Laboratory). A ogni modo un ulteriore contributo alla programmabilità può venire dall’aggregazione delle produzioni FER esistenti in ambiti territoriali omogenei. L’aggregatore (consorzio fra operatori nell’ambito territoriale, utility, trader) avrebbe il compito di gestire l’insieme degli impianti, partecipando al mercato elettrico su mandato e per conto dei singoli figura 1

Andamento della produzione delle FER elettriche (2000-2010)

Fonte: GSE, Rapporto statistico 2010 – Impianti a fonti rinnovabili

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operatori e, successivamente, governarne la produzione in modo da soddisfare gli impegni contrattuali. Fra le funzioni dell’aggregatore quasi automaticamente rientrerebbe anche la gestione attiva della domanda. In simili aggregazioni, come dimostrato da studi in materia, per la legge dei grandi numeri l’effetto della stocasticità di alcune fonti rinnovabili sulla generazione elettrica diminuirebbe al crescere del numero di impianti integrati e della loro distribuzione territoriale, fino a rendere le caratteristiche della produzione non dissimili (in termini di qualità e quantità) da quelle della produzione tradizionale. L’aggiunta di backup (oggi cicli combinati, domani accumuli) renderebbe ancora più prevedibile l’offerta, con il vantaggio di rimunerare la capacità dei cicli combinati sulla base del loro contributo effettivo alla flessibilità del sistema, e le consentirebbe di partecipare a pieno titolo sia al mercato del giorno prima, che a quello infragiornaliero e ai servizi di dispacciamento. Questa soluzione, da tempo sollecitata dal Coordinamento FREE, rientra ora fra quelle previste dal Decreto Legislativo 102/2014 di recepimento della Direttiva europea sull’efficienza energetica, mentre la relativa delibera dell’AEEGSI è prevista nel corso del 2015. Per promuovere con efficacia quanto previsto dal DL 102, sarebbe sufficiente, come è logico, calcolare gli eventuali oneri di sbilanciamento per l’aggregato e non per il singolo impianto che, se non si aggregasse, risulterebbe penalizzato. Poiché con la normativa attuale Terna non può però dispacciare insieme impianti allacciati in punti diversi della rete di trasmissione, rendendo impraticabile l’integrazione di una parte degli impianti eolici, che sono connessi direttamente in alta tensione, va modificato l’odierno modus operandi, rendendolo analogo a quello in essere nel Regno Unito, tenendo conto delle differenze esistenti (per esempio in UK non esistono le zone). La gestione aggregata di impianti contenenti FER non programmabili sarà enormemente facilitata dall’utilizzo esteso di accumuli elettrochimici, i quali, anche se il loro


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contributo energetico è limitato rispetto agli impianti tradizionali, in compenso hanno una risposta pressoché istantanea, che rende il servizio di regolazione primaria da loro erogato particolarmente interessante. Recenti delibere dell’AEEGSI (del 20.11.2014 n. 574/2014/R/EEL e del 18.12.2014 n. 642/2014/R/EEL) contengono stimoli importanti alla diffusione di queste soluzioni che, come mette in evidenza il citato documento presentato al convegno del 26 gennaio, potrebbe diventare economicamente accettabile in tempi più brevi di quanto si pensi.

I contratti a lungo termine Ogni qual volta vi siano associati in misura significativa impianti di generazione a costo marginale non nullo (bioenergie, cicli combinati), le ipotesi di aggregazione per ambiti omogenei possono aiutare a superare due problemi posti oggi dalla presenza crescente di FER a costo marginale pressoché nullo: il peak shaving e le fasce orarie, per ora limitate, in cui l’elettricità viene offerta a costo zero. I problemi sono però destinati a riproporsi, se nel pacchetto saranno presenti esclusivamente o in misura preponderante soltanto impianti FER a costo marginale nullo: eventualità destinata a manifestarsi in misura crescente in futuro (maggiore penetrazione FER per realizzare gli obiettivi al 2030), ma possono trovare soluzione adottando contratti di compravendita a lungo termine (da due fino a una decina d’anni), i quali obbligano a offerte che, nel prezzo, includano tutte le voci del costo di produzione. Sulla carta le attuali normative consentono di stipulare contratti bilaterali di qualsiasi durata, ma di fatto questi hanno scadenze ravvicinate, in quanto alcune delibere dell’Autorità per l’energia (delibere AEEG 123/03 e 144/07) autorizzano il compratore a disdire senza alcuna penalità questo tipo di contratto con preavvisi molto brevi, grazie a un’interpretazione estensiva delle indicazioni del Regolamento europeo sulla concorrenza del 2003. Si trattava però di precauzioni giustificate nella fase iniziale di apertura dei mercati, quando erano ancora presenti elevati livelli di concentrazione, mentre oggi in Italia la situazione è radicalmente diversa, con il problema opposto, di sovraccapacità produttiva.

È quindi opportuno sostituire la norma attuale con una che ovviamente contempli le consuete garanzie commerciali applicate ai contratti di lunga durata. Oltre a evitare le distorsioni dei prezzi, provocate dalla presenza sul MGP di offerte a costo marginale praticamente nullo, il contratto a lungo termine consentirebbe a produttori e consumatori di tenere conto nelle loro decisioni di un più ampio ventaglio di fattori. Questi contratti offrono infatti il vantaggio di ridurre l’imprevedibilità dei ritorni economici (che scoraggia gli investimenti), di orientare in modo più corretto investimenti per loro natura ad alta intensità di capitale e con ritorni molto differiti nel tempo, di favorirne la bancabilità, di proteggere produttori e consumatori dalla volatilità dei mercati. Per promuovere i contratti di lungo termine occorre però superare la comprensibile diffidenza di venditori e compratori a impegnarsi a prezzi fissi per un periodo prolungato (salvo adeguamenti, come la variazione del costo della vita). Almeno in una prima fase andrebbero quindi identificati strumenti per promuovere sul lato domanda controparti credibili delle utility, dei grandi trader, degli aggregatori di impianti FER. A titolo esemplificativo, si indicano qui i consorzi di acquisto e le Energy Community, cioè comunità di utenze (private, pubbliche, o miste) localizzate in una determinata area di riferimento: Germania e Danimarca offrono già oggi molteplici e importanti esperienze di Energy Community. Un ruolo altrettanto importante sul lato dell’offerta potrebbe essere svolto dalle utility, se offrissero contratti che prevedono opportune revisioni al verificarsi di determinati eventi. Un ulteriore contributo nella medesima direzione potrebbe venire se nel mercato del giorno prima, oltre a offrire l’energia per ogni singola ora del giorno successivo, fosse possibile formulare offerte anche per fasce orarie più lunghe (se del caso accompagnate da profili di potenza), opzione che ridurrebbe la probabilità di compravendite dell’energia a prezzo nullo o prossimo allo zero. Le tutto sommato fattibili modifiche da apportare ai criteri e alle norme che attualmente governano il mercato elettrico, per adeguarlo in modo non traumatico al mutato contesto in cui opera, meritano quindi di essere esaminate con attenzione. 

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focus

Accumuli elettrici Le tecnologie per l’accumulo di energia sono strategiche per la diffusione su larga scala delle rinnovabili e della mobilità elettrica. Il notevole sforzo di ricerca in atto fa ritenere possibile una drastica riduzione dei prezzi nel medio periodo

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90 scenari

L’accumulo ai blocchi di partenza di Sergio Ferraris

Sono buone le prospettive per i sistemi d’accumulo, ma le criticità sono ancora molte

Accumulo: la tecnologia che potrebbe cambiare, per sempre, lo scenario dell’energia. Per capire al meglio ciò che si sta definendo in materia è in primo luogo necessario descriverne utilizzi e differenze. Le funzionalità delle diverse applicazioni, infatti, si distinguono in due macrocategorie: quella delle prestazioni in potenza e quella delle prestazioni in energia. La prima è relativa allo scambio di potenze elevate nell’arco di tempi brevi e con tempi di risposta altrettanto brevi, mentre la seconda riguarda i sistemi in grado di restituire una potenza costante per alcune ore. I sistemi in potenza si dividono a loro volta in due categorie, quelli per i servizi di rete che assicurano funzionalità quali risorse per risolvere le congestioni, l’inerzia sintetica, la regolazione primaria di frequenza, la regolazione secondaria e terziaria, il bilanciamento e la regolazione di tensione, mentre la categoria appartenente alla “power quality” assicura la qualità della tensione e la continuità del servizio. Più complessa la composizione delle categorie relative ai sistemi in energia che consentono una gestione time shift, l’integrazione con le fonti rinnovabili e la sicurezza del sistema elettrico. Si tratta di tipologie che danno vantaggi sia all’utenza sia alla rete, vantaggi che in quest’ultimo caso andrebbero riconosciuti, magari con incentivi mirati, ma si tratta di un discorso che non appartiene all’aspetto tecnologico. Il time shift consente l’arbitraggio del prezzo energia, l’aumento della quota di autoconsumo, la riduzione della potenza impegnata e la flessibilizzazione della curva di carico. Si tratta di funzionalità interessanti sotto al profilo dell’evoluzione del sistema elettrico, poiché permettono una maggiore libertà energetica, consentendo una riduzione dei prezzi unita a una maggiore stabilità. Ma è nel rapporto con le fonti rinnovabili che l’accumulo si esprime al meglio ed è su questo campo, assieme a quello relativo alla mobilità sostenibile, che puntano le aziende. La sua integrazione con le rinnovabili, infatti, consente la risoluzione delle congestioni di rete, una regolarità del profilo d’immissione in rete - il noto sbilanciamento che è uno dei principali problemi delle fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico, e che suscita non poche polemiche - e la regolazione del profilo di scambio dell’interfaccia alta/media tensione. Da non sottovalutare, infine, la sicurezza del sistema elettrico che i sistemi in energia consentono. febbraio/marzo 2015


FOCUS accumuli elettrici

Tecnologie diverse Sul fronte delle tecnologie specifiche dei sistemi d’accumulo abbiamo i sistemi elettrochimici, quelli meccanici, quelli elettrici, quelli chimici e quelli termici. Ai fini elettrici le più interessanti sono le prime tre, ma bisogna considerare il fatto che è sulle tecnologie elettrochimiche che si stanno concentrando gli sforzi sia delle industrie, sia dei ricercatori, per due motivi. Il primo è legato alle economie di scala già presenti, visto che molte batterie sono già utilizzate negli usi più disparati, mentre il secondo è quello legato alla possibilità di definizione degli obiettivi di ricerca poiché si tratta di apparati sui quali c’è già stata ampia sperimentazione. Si tratta di batterie a elettrolita acquoso, ad alta temperatura, al litio e a circolazione di elettrolita. In alcuni casi queste tecnologie sono già mature per altri utilizzi come quelli legati all’automotive (avviamento), alla logistica interna ad attività come quelle manifatturiere. Una delle caratteristiche più importanti in generale delle batterie è la durata legata ai cicli di carica/scarica, fattore che determina la vita delle batterie stesse in relazione all’utilizzo. Si va dagli 800 cicli delle batterie al piombo (elettrolita acquoso) ai 10mila delle batterie redox a circolazione di elettrolita al vanadio, passando per i 5mila di quelle al litio. Bisogna considerare, inoltre, che la ricerca sui cicli di vita in futuro sarà influenzata dal mercato. Considerando un utilizzo per l’accumulo domestico e un ciclo di scarica e carica quotidiano si va dai circa due anni di durata degli accumulatori al piombo ai 13,6 (teorici) di quelli al litio. Se si dovessero sviluppare forme di mobilità elettrica diffuse assisteremo a uno sviluppo, per esempio nel caso del litio, che punterà più alla diminuzione dei prezzi e all’aumento della capacità, rispetto all’incremento del numero dei cicli di carica/scarica, poiché già ora abbiamo una durata che è equivalente al periodo di vita del mezzo. Per il momento, visto che gli utilizzi e i relativi mercati sono ancora agli arbori, è difficile capire quale strada sarà scelta e quale abbandonata.

Filiera nostrana La filiera industriale dello storage parla anche italiano e il nostro Paese in questo campo se la batte alla pari con l’estero anche se si tratta di una posizione che potrebbe essere compromessa dall’inerzia dei decisori e dalle resistenze dello scenario elettrico. Per com-

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92 scenari prendere al meglio la filiera e capire come si evolverà in relazione al mercato è necessario conoscere quali siano le componenti dei sistemi di storage elettrochimico. In primo luogo abbiamo il dispositivo di storage vero e proprio, ossia la batteria, al quale seguono: il sistema di gestione dello storage stesso, i dispositivi di elettronica di potenza e quelli elettromeccanici per la connessione. Lo scenario competitivo nei vari settori dello storage vede l’Italia con quattro soggetti industriali attivi nel segmento batterie, su 18 complessivi dei quali sei tedeschi, mentre per quanto riguarda gli inverteristi che offrono sistemi di storage il Bel Paese ha sette soggetti su 11 ai quali bisogna aggiungere ABB (ex Power One) che ha la produzione nel nostro Paese. È di parità, infine, la situazione per quanto riguarda i principali attori del fotovoltaico che offrono sistemi di storage: quattro per l’Italia e altrettanti per la Germania. Da questa descrizione deriva la non marginalità delle aziende italiane che sono competitive sia sul fronte delle prestazioni, sia su quello dei prezzi, nonostante tutti i noti svantaggi del nostro sistema Paese. La lunga tradizione delle nostre industrie in tutti i segmenti dello storage - accumulo elettrochimico ed elettronica di potenza in primis, ma anche componentistica elettrica, senza dimenticare un aspetto spesso sottovalutato come quello dello smaltimento e del riciclo sia degli accumulatori, sia dei sistemi a fine vita - sono tutti elementi che rafforzano le imprese italiane nel settore e se a ciò si aggiunge il fatto che molte di queste ormai possiedono un alto grado d’internazionalizzazione, si potrebbe concludere che l’Italia ha ottime carte da giocare. Ma bisogna considerare anche gli aspetti sfavorevoli. Si tratta di aziende “leggere” in grado di spostare produzioni, e prodotti, con grande facilità, in zone dove le condizioni industriali sono più favorevoli e dove i costi sono minori, mentre sul fronte della ricerca, sempre le stesse aziende sono in grado di attingere ai patrimoni brevettuali e intellettuali a livello globale. È chiaro quindi che devono crearsi le condizioni adatte al mantenimento e allo sviluppo della filiera dello storage, in primo luogo in Italia, attraverso politiche e azioni mirate. Una moderata politica incentivante in stile tedesco è di sicuro importante, ma lo è ancora di più un adeguamento normativo teso a valorizzare il cosiddetto “zoccolo duro” del mercato interno rappresentato, come vedremo nel capitolo dedicato al mercato, dal gestore della rete e dai distributori. Successivamente andrà affrontato il discorso delle utenze partendo da quelle industriali, fino ad arrivare al prosumer, ma per fare ciò serviranno atti di vera politica industriale, ed energetica, senza i quali la filiera dello storage italiana difficilmente potrà rispettare gli obiettivi che emergono da una ricerca del Politecnico di Milano, primo tra tutti quello dei possibili 20mila nuovi posti di lavoro al 2020.

Mercato cercasi La questione che si stanno ponendo molti operatori affacciandosi a questa tecnologia è se le dimensioni di questo mercato saranno in grado di supportare gli investimenti in ricerca e sviluppo necessari per raggiungere le performance. Prima di tutto bisogna considerare il fatto che le tecnologie per l’accumulo d’energia elettrica di una certa potenza possiedono una buona affinità con altri segmenti che necessitano dello storage d’elettricità, anche se le esigenze sono diverse. Le reti elettriche e le fonti rinnovabili, per esempio, necessitano di grandi potenzialità d’accumulo e di durata dei sistemi, mentre nella mobilità sostenibile è essenziale la densità energetica in rapporto al peso/volume, così come nell’elettronica di consumo dove però la durata, visto il breve ciclo di vita dei device, non è così essenziale. Il futuro mercato dei sistemi d’accumulo, secondo un’analisi del Politecnico di Milano, si divide fra quello relativo alle fonti rinnovabili, a quello che attiene alla rete di trasmissione, alla rete di distribuzione, alle micro grid e al prosumer - inteso in questo caso come produttore/consumatore. febbraio/marzo 2015


FOCUS accumuli elettrici

Il primo scenario sulle fonti rinnovabili non piccole prevede l’utilizzo dello storage in due casi, il primo per l’arbitraggio, ossia per ridurre o annullare gli oneri di sbilanciamento, mentre il secondo prevede che oltre all’arbitraggio il sistema fornisca anche servizi di rete, quali quelli di regolazione primaria, secondaria e terziaria e di tensione. Nel primo caso, prendendo come riferimento la produzione di un impianto eolico da 10 MWe in Sicilia, un sistema di accumulo può rendere possibile un extraprezzo di 20 euro a MWh sfruttando il differenziale di prezzo, ai quali bisogna aggiungere circa 3,9 euro a MWh di oneri di sbilanciamento risparmiati, mentre il secondo scenario, se ci fosse l’obbligo di mettere a disposizione una banda dell’1,5% per la regolazione primaria grazie all’accumulo, annullerebbe un onere di circa 70mila euro l’anno. Per quanto riguarda l’utilizzo da parte del gestore della rete dei sistemi d’accumulo, lo scenario che ne considera l’utilizzo in potenza potrebbe prevedere benefici, per un sistema di storage da 4 MW, per 500mila euro l’anno, mentre l’utilizzo in energia sempre del medesimo sistema potrebbe portare i benefici, se utilizzati per esempio a compensare la mancata produzione eolica, a 650mila euro l’anno. E se si adotta l’implementazione del sistema in potenza allora i benefici grosso modo si sommano. Vantaggi anche per i distributori che con l’installazione di sistemi di storage utilizzati per le applicazioni di “power quality” possono mitigare i disturbi sulla rete. L’installazione di un sistema d’accumulo da 100 kWe su una cabina secondaria può portare benefici per 2.700 euro l’anno, mentre l’implementazione delle funzioni di “power quality” consentirebbe, in un quadro normativo che preveda premialità specifiche, altri 5.000 euro l’anno. Sul fronte delle micro grid la possibilità di regolazione e di poter avere una maggiore prevedibilità, unita alle caratteristiche citate nei precedenti esempi, consente valorizzazioni importanti. Una micro grid che abbia carichi passivi per 2.700 kW e un impianto fotovoltaico da 1 MW potrebbe aumentare l’autoconsumo del 15% con benefici, al prezzo attuale dell’energia, di 15mila euro l’anno, ai quali dobbiamo aggiungere 60mila euro per la “power quality” e altri 10mila nel caso i sistemi a fonti rinnovabili fossero abilitati alla fornitura di servizi di regolazione. Per i piccoli impianti dei prosumer l’accoppiamento fotovoltaico-accumulo aumenta l’autoconsumo di circa, nel caso di un impianto fotovoltaico da 3 kW, il 30-45% con benefici economici di circa 175 euro l’anno ai quali si devono aggiungere 10 euro per quanto riguarda gli oneri di sbilanciamento. Queste le potenzialità del mercato che devono essere analizzate in base all’Internal Rate of Return (IRR) prendendo il livello di soglia che è dell’8% per tutti a parte per le micro grid (6%) e per i prosumer (4%). E siamo ancora distanti da questa soglia. Per i sistemi a fonti rinnovabili non piccole, l’IRR è compreso tra -23,5% e -14% nello scenario più favorevole, per i gestori di rete si arriva, sempre nello scenario migliore, a +4% che però è ancora distante dalla soglia dell’8% ed è legato a un utilizzo massiccio dell’accumulo che a oggi non è pensabile. Panorama diverso per la distribuzione la cui redditività arriva al di sopra della soglia, tra il 12% e il 16% ma solo in presenza di novità normative. Micro grid e prosumer sono, invece, sempre e comunque al di sotto della soglia. Questa la realtà e le proiezioni, ma resta chiaro che le evoluzioni dello scenario elettrico potrebbero mutare la situazione. Gli elementi da considerare, infatti, sono: il calo dei costi dei sistemi d’accumulo legato anche a quello delle rinnovabili, fotovoltaico in primis, che sono dati da un ulteriore 40% per entrambi nei prossimi anni; un’evoluzione del quadro normativo teso a migliorare la qualità della fornitura elettrica anche attraverso una maggiore attenzione alla rete e ai suoi sprechi, cosa che Terna sta dimostrando di fare da alcuni anni, ma che necessita di una maggiore attenzione da parte del legislatore. Lo sviluppo reale, e senza ostacoli e barriere, dei Sistemi efficienti d’utenza consentirà la creazione di distretti energetici autonomi e la diffusione di micro grid in grado di approvvigionarsi da diverse fonti, e questo potrebbe tradursi in un mercato da circa un miliardo di euro l’anno. 

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storage

FOCUS accumuli elettrici

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La batteria è servita di Marco Pigni*

Le soluzioni per l’accumulo di energia tramite batteria sono realtà oggi finalmente praticabili per differenti impieghi

Siamo all’inizio di un nuovo anno, il 2015, ed è quindi lecito e utile interrogarsi sulla situazione del comparto delle battery energy storage solution e sulle sue prospettive per il prossimo futuro. Dal punto di vista del completamento del quadro normativo e regolatorio, in Italia l’anno nuovo si apre finalmente con molte notizie positive. Tra la fine di novembre e la fine dell’anno appena trascorso infatti l’AEEGSI (Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico) ha pubblicato due importanti delibere (n. 574/2014/R/eel e n. 642/2014/R/eel) che per la prima volta nel nostro Paese stabiliscono le modalità di collegamento alla rete elettrica in media e bassa tensione, le caratteristiche prestazionali e gli ambiti di applicazione dei sistemi di accumulo elettrochimici, anche abbinati a impianti di generazione da fonti rinnovabili (fotovoltaico in primis). Con la pubblicazione di tali delibere, che saranno completate entro pochi mesi da ulteriori passaggi regolamentari di dettaglio sia per il primo regime applicativo transitorio che per quello definitivo, si creano finalmente le condizioni concrete ed effettive, unitamente alla pubblicazione avvenuta il 21 dicembre 2014 delle ultime varianti delle norme tecniche CEI 0-21 e CEI 0-16, per consentire all’industria, agli utenti e agli operatori dei servizi energetici di programmare i propri progetti e investimenti in presenza di regole certe. La definizione di un quadro legislativo, regolatorio e normativo chiaro è infatti la condizione di partenza per rilanciare anche nel nostro Paese la generazione distribuita sostenibile in autoproduzione, sia per gli ambiti residenziali e commerciali, che per quelli industriali. Tra le varie applicazioni dei sistemi di accumulo per abilitare questo nuovo paradigma energetico, una delle più promettenti riguarda lo sviluppo degli impianti orientati a massimizzare l’autoconsumo dell’energia autoprodotta da impianti a fonte rinnovabile (per esempio fotovoltaici) in regime di SEU (Sistema Efficiente di Utenza). Questa particolare configurazione impiantistica prevede l’esenzione parziale dal pagamento di oneri generali di sistema e quella totale degli oneri di rete sull’energia consumata e non scambiata con la rete. Secondo alcuni studi recenti, nella seconda metà del 2013 e nel primo semestre del 2014 sono stati installati in Italia circa 700 MWp di impianti fotovoltaici senza ricorre agli incentivi diretti da conto energia e quindi in potenziale regime di autoconsumo prevalente. Si apre dunque una prospettiva interessante per i sistemi di storage a batteria che consentono di non sprecare l’energia autoprodotta dall’impianto fotovoltaico (mediamente l’autoconsumo naturale copre solamente il 30-40% dell’energia prodotta).

L’accumulo di casa Un’altra opportunità per i sistemi fotovoltaici con batteria per l’accumulo dell’energia autoprodotta riguarda gli impianti residenziali di piccola taglia che possono accedere alle detrazioni fiscali per la ristrutturazione degli edifici privati (il provvedimento infatti è stato recentemente prorogato dal Governo senza modifiche per tutto il 2015). Nonostante si

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attenda la conferma esplicita dall’Agenzia delle Entrate, appare logico che anche le batterie per l’accumulo di energia da fotovoltaico domestico abbiano diritto alla detrazione fiscale del 50% sia come componente dell’impianto fotovoltaico (alla stessa stregua dei moduli e degli inverter), sia come intervento di ammodernamento dell’impianto elettrico dell’edificio in ristrutturazione nel suo complesso. Le previsioni della società di consulenza IHS Solar Solutions sul fotovoltaico abbinato all’accumulo parlano di un mercato mondiale che si decuplicherà nei prossimi 4 anni e l’Italia è uno dei Paesi in cui questa tecnologia è destinata ad affermarsi più velocemente, cominciando dalle taglie commerciali e in maniera minore dal comparto residenziale. Molto importante sarà il segmento degli adeguamenti tecnologici degli impianti fotovoltaici esistenti in un’ottica di accoppiamento con gli energy storage, il cosiddetto retrofit: a parte gli impianti più datati e di taglia inferiore ai 20 kW in scambio sul posto, realizzati nell’ambito del primo conto energia (2006), tutti quelli installati negli anni successivi, con i successivi conti energia, possono essere ‘potenziati’ abbinandovi sistemi di accumulo con batteria. Tornando alle prime due delibere dell’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico sulla connessione e l’esercizio dei sistemi di accumulo elettrochimici in media e bassa tensione, esse, unite alle connesse ultime varianti delle norme CEI 0-16 e CEI 0-21, ci forniscono un segnale importante, perché per la prima volta nel nostro Paese mettono tutta la filiera produttiva della green e white economy nelle condizioni di operare in tale ambito non più solo in modo sperimentale (progetti pilota Power Intensive ed Energy Intensive di Terna e progetti POI smart grid dei DSO) ma secondo regole di mercato precise, chiare e definitive. Tutto questo consente finalmente di pianificare per esempio gli investimenti per installare un impianto fotovoltaico con accumulo, massimizzandone il valore.

Mercato da riformare In questa fase, è altrettanto importante continuare a lavorare alla riforma del mercato del dispacciamento dell’energia avviata dall’AEEGSI negli ultimi due anni, con l’obiettivo di abilitare il maggior numero di soluzioni, comprese quelle basate sullo storage elettrochifebbraio/marzo 2015


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mico, a fornire servizi di flessibilità finalizzati all’incremento della sicurezza e dell’efficienza del sistema elettrico nazionale, minimizzando gli oneri di bilanciamento del sistema sostenuti dal nostro TSO (Terna). Infine, ragionando a livello utility scale, la riforma del mercato elettrico - ormai da più parti invocata con sempre maggior urgenza per risolvere i noti problemi di overcapacity e di integrazione delle rinnovabili nella rete elettrica, sia per quanto riguarda i mercati dell’energia (mercato del giorno prima, mercati intraday) che per quanto riguarda i mercati dei servizi ancillari - potrebbe giovarsi notevolmente del contributo di tecnologie innovative quali i battery energy storage, sia in abbinamento ad altri generatori (in special modo alimentati da FER non programmabili, ma non solo) sia in autonomia, secondo il modello dell’operatore indipendente dei servizi di flessibilità, in grado di erogare in modo efficace ed efficiente servizi strategici per il nostro sistema elettrico quali per esempio la regolazione primaria, secondaria e terziaria della frequenza, la regolazione della tensione, ecc. Tutto ciò gioverebbe non solo all’industria elettrica, elettronica ed elettrotecnica nazionale, che presenta realtà imprenditoriali di prim’ordine nel comparto delle energy storage system (in grado di competere ad armi pari con la fortissima concorrenza americana e asiatica), ma all’intero equilibrio del mercato elettrico nazionale e in ultima analisi a tutto il Paese, che sta attraversando uno stato di crisi economica prolungata senza precedenti negli ultimi 80 anni. Se il quadro normativo–regolatorio è in progressiva ma convincente fase di evoluzione e definizione, molto resta ancora da fare soprattutto a livello di ricerca & sviluppo per incrementare ulteriormente le prestazioni (e ridurre i costi finali) degli energy storage system sia in ambito centralizzato di applicazioni a sostegno delle reti di trasmissione e distribuzione, che in ambito di microgrid o reti isolate (si pensi in primis alla generazione ambientalmente più sostenibile e sicura nelle piccole isole, da noi meglio definite come isole minori). Anche in questo ambito il nostro Paese presenta eccellenze e best practice di valenza assoluta, che a partire da quest’anno e per i prossimi tre anni potranno fornire utilissime indicazioni pratiche e applicative a tutto il settore.

L’isola laboratorio Tilos, piccola isola greca del Dodecaneso diventerà presto un laboratorio “a cielo aperto” dove sperimentare progetti innovativi legati all’applicazione di tecnologie di accumulo grazie alle quali rendere più efficiente la produzione e l’utilizzo dell’energia da fonti rinnovabili. Tutto ciò grazie a un progetto di ricerca finanziato nell’ambito del programma europeo di R&D Horizon 2020, che sarà sviluppato per l’Italia da FIAMM Energy Storage Solutions, società del Gruppo FIAMM specializzata nella fornitura di soluzioni elettriche per l’accumulo di energia. L’azienda vicentina sarà in partnership con altre 14 società in consorzio, tra cui Younicos, SMA, CEA-Ines, oltre a Istituti di ricerca e Università di vari Paesi UE. Il progetto prevede la fornitura di due sistemi di accumulo (Spring 164 da 1,2 MWh di capacità ciascuno - tecnologia sodio/cloruro di nickel) oltre allo studio e alla progettazione di un sistema in grado di gestire efficacemente e bilanciare in maniera efficiente l’energia prodotta in maniera distribuita e in assetto di microgrid da impianti fotovoltaici, eolici e genset realizzati sull’isola in un’ottica di incremento della sostenibilità ambientale di quel luogo. Primo classificato (ex equo con un’altra proposta) su 84 proposte presentate a livello europeo (4 in totale i progetti finanziati), il progetto di ricerca “Tilos” rappresenta un’altra importante conferma del ruolo strategico dell’energy storage solution nell’evoluzione della concezione della rete elettrica del futuro, dove il paradigma di ‘rete intelligente’ si integra con una sempre maggior sicurezza, efficienza, flessibilità e sostenibilità del sistema nel suo insieme, portando vantaggi per gli utenti finali e per tutti gli attori della filiera della generazione elettrica sostenibile.  *Regulatory Affairs Advisor - FIAMM Energy Storage Solutions

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Il fascino discreto della batteria di Massimo Gallanti*

Gli accumuli possono essere utili per i servizi al sistema elettrico, ma è necessario fare attente valutazioni tecnico-economiche

In un sistema elettrico caratterizzato da una sempre più rilevante produzione di energia da impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili (FRNP), i sistemi di accumulo si propongono come una tecnologia strategica per garantire i servizi necessari alla sicurezza del sistema elettrico, senza dover ricorrere alla limitazione della produzione delle fonti rinnovabili. Già da alcuni anni RSE è impegnato nella valutazione delle prestazioni dei sistemi di accumulo elettrochimici (SdA) e del loro ruolo nel futuro sistema elettrico; la monografia “L’accumulo di energia elettrica” [1] riporta una sintesi dei primi risultati raggiunti. Oltre ad attività di prova in laboratorio su batterie di differenti tecnologie con l’obiettivo di misurare le loro prestazioni in diverse condizioni operative, RSE esegue valutazioni tecnico-economiche sull’impiego dei SdA per la fornitura di servizi di rete. A tal fine è stato messo a punto un ambiente di simulazione tramite il quale viene valutato il comportamento di un modello del SdA rispetto a dati storici rilevati dalla rete elettrica (es. valori di frequenza, sbilanciamento di sistema, prezzi sul mercato del bilanciamento), ricavandone indicazioni sulle prestazioni tecnico-economiche. Di seguito si ripotano i risultati di alcune simulazioni effettuate sul modello del SdA, relativamente ai principali servizi che esso è in grado di offrire al sistema. Analoghe valutazioni sono state effettuate per applicazioni del SdA per esigenze dell’utilizzatore e i risultati sono riportati in [2] (es. incremento dell’autoconsumo) e in [3] (risoluzione degli sbilanciamenti della produzione da fonti rinnovabili).

Regolazione primaria Il servizio di regolazione primaria oggi è fornito dalle unità di produzione convenzionali di grosse dimensioni (>10 MVA), che riservano alla regolazione primaria l’1,5% della loro potenza nominale (10% nelle isole). Si tratta di un servizio obbligatorio remunerato in base all’energia di regolazione effettivamente fornita, secondo quanto previsto dalla delibera 231/2013/R/EEL. La progressiva diminuzione delle unità di produzione convenzionali in febbraio/marzo 2015


FOCUS accumuli elettrici

servizio per far posto a quelle FRNP, che hanno priorità di dispacciamento, riduce la potenza regolante che deve essere garantita al sistema elettrico, con ripercussioni sulla sicurezza. Assumendo di mantenere l’esenzione dalla fornitura della regolazione primaria per le unità FRNP (riservare una banda di potenza vorrebbe dire non sfruttare appieno la fonte rinnovabile, con conseguente riduzione dell’energia prodotta), si può ipotizzare che la corrispondente banda di regolazione sia fornita da SdA completamente dedicati a tale scopo. Tale ipotesi è stata valutata da RSE simulando l’erogazione del servizio da parte di una batteria, con riferimento a una sequenza di alcune settimane del valore della frequenza della rete acquisita con apposita strumentazione presso i laboratori di RSE. Il risultato della simulazione, descritto in dettaglio in [1], dimostra che, con l’attuale schema di remunerazione del servizio di regolazione primaria, i profitti realizzati dalla batteria sono ben lontani dal coprire i suoi costi di investimento. Pertanto, qualora il contributo dei SdA alla regolazione primaria fosse ritenuto necessario per la sicurezza del sistema in quanto la generazione convenzionale non è più sufficiente, andrebbe individuato per questi un differente schema di remunerazione rispetto a quello oggi in vigore per gli impianti di generazione. Per esempio, si potrebbe adottare una remunerazione basata sulla capacità, come già oggi avviene in Germania con prezzi che si aggirano sui 4.000 €/MW/ settimana per tutti i generatori.

Inerzia di sistema Fra le criticità di esercizio del sistema elettrico associate alla crescente penetrazione della generazione FRNP è importante considerare la riduzione dell’inerzia del sistema, una grandezza legata alla massa dei rotori (turbina-alternatore) delle macchine rotanti collegate alla rete. Infatti, i transitori di frequenza del sistema elettrico a seguito di guasti sono contrastati nei primi istanti dopo il guasto (fino a 500 millisecondi dall’insorgenza del guasto) dall’inerzia delle macchine rotanti. La rapidità e l’entità della risposta del sistema elettrico negli istanti immediatamente successivi a un disturbo sono cruciali per garantire la stabilità e per la continuità del servizio: un valore troppo basso dell’inerzia di sistema potrebbe non essere in grado di far fronte a una contingenza del sistema e provocare l’intervento dei piani di difesa automatici del sistema elettrico, con conseguente disalimentazione di una parte del carico. Quando la generazione FRNP copre una quota rilevante del carico, oltre alla scarsità di capacità di regolazione (margine di riserva di potenza) precedentemente esaminata, può verificarsi nel sistema anche un deficit di inerzia. Infatti i generatori FRNP di solito non sono in grado di fornire risposta inerziale, perché non dispongono di un volano energetico (è questo il caso del fotovoltaico) o, quando lo possiedono (come nel caso dell’eolico), le tipologie di macchine elettriche con cui sono realizzati non offrono questa caratteristica. Le criticità sono particolarmente evidenti in sistemi elettrici isolati o debolmente interconnessi (per esempio, quello irlandese), ma si presentano ormai anche in sistemi interconnessi di grandi dimensioni. I SdA forniscono una risposta in potenza molto più rapida rispetto ai sistemi convenzionali. Questa caratteristica può essere sfruttata, con l’ausilio di opportune logiche di controllo, per incrementare i margini di regolazione e/o i parametri della risposta inerziale del sistema, sopperendo in tal modo alla riduzione di inerzia dovuta a un minor numero di unità convenzionali in servizio. Il contributo all’inerzia da parte di una batteria di 20 MW è stato simulato da RSE su modelli del sistema elettrico di Sicilia e Sardegna, valutando quantitativamente il supporto che la batteria è in grado di fornire alla stabilità della frequenza in occasione di gravi disservizi di rete che avvengono in presenza di grandi quantità di generazione FRNP in esercizio. Occorre tuttavia osservare che a oggi il mercato elettrico non prevede un riconoscimento economico di tale servizio, che si ritiene già fornito dalle unità convenzionali in esercizio.

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100 accumulo Qualora fosse necessario che tale servizio fosse reso anche dai SdA, per sopperire alla carenza di generatori “rotanti”, andrebbe prevista un’esplicita e adeguata remunerazione del servizio stesso, per sostenere i costi dei SdA.

Servizio di bilanciamento a scendere per unità FRNP Per incrementare la flessibilità del sistema elettrico si potrebbe intervenire sul quadro regolatorio, imponendo che anche le unità FRNP debbano contribuire alla fornitura di servizi ancillari indispensabili alla sicurezza di esercizio del sistema. In particolare tali unità, al pari degli impianti convenzionali, potrebbero essere soggette all’obbligo di fornitura del servizio di “bilanciamento a scendere”, offrendo tutto il margine a scendere disponibile (dal punto di lavoro corrente fino a zero) quando sono in produzione. In questo mutato contesto regolatorio, potrebbe risultare conveniente accoppiare l’unità FRNP con un SdA che, in caso l’unità di produzione sul Mercato di Bilanciamento (MB) sia di chiamata a scendere, eviti il taglio della produzione, accumulando l’energia corrispondente alla richiesta di riduzione, per poi rivenderla (decurtata in funzione del rendimento del sistema di accumulo stesso) sul Mercato del Giorno Prima (MGP) nelle ore in cui il prezzo è prevedibilmente più elevato. Ai ricavi dalla vendita dell’energia accumulata si aggiungono i corrispondenti incentivi (es. Certificati Verdi, feed-in premium) nel caso l’energia transitata per il SdA mantenga la qualifica di “rinnovabile” nel quadro regolatorio ipotizzato. Per valutare la convenienza del SdA in questa situazione è stato simulato il comportamento della coppia impianto FRNP/sistema di accumulo su MB e su MGP su un periodo di un anno, facendo riferimento alle offerte a scendere accettate su MB e sui prezzi zonali su MGP in tale periodo. La simulazione ha lo scopo di determinare i ricavi conseguibili dalla vendita su MGP dell’energia precedentemente accumulata dal SdA. In particolare, se in un determinato quarto d’ora, nella zona di mercato dove si ipotizza sia localizzato l’impianto, ci sono offerte a scendere accettate a prezzo zero, si assume che in quell’istante l’impianto abbia ricevuto un ordine di dispacciamento a scendere pari alla potenza da esso generata, o inferiore, se la quantità complessivamente accettata su MB fosse stata inferiore. L’energia accumulata fino alle ore 9:15 di ciascun giorno viene offerta in vendita su MGP nelle ore di prezzo più elevato del giorno successivo, mentre l’energia accumulata nelle ore seguenti viene offerta il giorno successivo per la vendita nelle ore di prezzo più elevato di due giorni dopo. La simulazione è stata condotta su un intero anno solare per un impianto eolico da alcuni MW, per il quale sono disponibili i dati di produzione, accoppiato con SdA di diverse tecnologie (litio e NaS) e configurazioni (da 1 a 4 MW, con capacità da 1 a 7 ore), collocato sulle zone con maggior produzione eolica. I risultati della simulazione evidenziano che per nessuna delle configurazioni considerate i ricavi conseguibili rendono l’investimento stesso economicamente sostenibile. Il relativamente basso numero di cicli equivalenti effettuato dai SdA, dell’ordine del centinaio, evidenzia il sottoutilizzo dei SdA in questa applicazione.

Risoluzione delle congestioni La connessione di una grande quantità di impianti eolici in zone circoscritte della rete di trasmissione può determinare congestioni di rete, se questa non è adeguatamente dimensionata per assorbire la potenza generata dagli impianti in condizioni di vento favorevoli. In queste situazioni il gestore di rete è costretto a limitare la produzione di una parte dei parchi eolici, riportando i flussi di potenza entro valori compatibili con i limiti di trasporto della rete, ma rinunciando a utilizzare tutta la fonte rinnovabile disponibile. Il ricorso a SdA nell’area interessata dalla congestione, che immagazzinano la produzione in eccesso per poi reimmetterla in rete quando questa è in grado di riceverla, permette di evitare la riduzione della produzione eolica, in attesa che la rete venga adeguatamente potenziata. Tale soluzione è oggetto di sperimentazione da parte di Terna in tre progetti febbraio/marzo 2015


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pilota (ciascuno costituito da SdA di 12 MW per 80 MWh) in fase di sviluppo nell’area tra Puglia e Campania che, per la loro natura sperimentale, beneficiano di sovra remunerazione da parte dell’Aeegsi. La procedura di selezione dei progetti pilota ha previsto anche una valutazione costi/ benefici basata su una procedura semplificata definita dall’Aeegsi su dati forniti da Terna. Tale valutazione ha portato a stabilire un rapporto beneficio/costo nettamente inferiore a 1, nelle condizioni anemometriche di congestione delle linee interessate e di prezzo dell’energia al momento in cui le analisi sono state condotte [5]. Tale risultato conferma l’opportunità che, prima di avviare piani di sviluppo su larga scala per sistemi di accumulo “energy intensive” associati alla rete (i cui costi finiscono in bolletta), è importante condurre sperimentazioni su scala limitata, ma in condizioni reali di esercizio per valutare i parametri di performance della tecnologia, mentre i costi possono abbassarsi nell’arco di qualche anno per i miglioramenti tecnologici delle batterie.

Per il mercato di bilanciamento

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Per saperne di più [1] L’accumulo di energia elettrica. RSEview. Dicembre 2011 [2] R. Urban et al. Le opportunità dell’accumulo nel quinto conto energia. L’Energia Elettrica, n° 3, maggio-giugno 2013 [3] S. Ale ssandr ini, M. B enini. Previsione della produzione eolica e gestione degli sbilanciamenti con sistemi di accumulo. L’Energia Elettrica, n° 4, luglio-agosto 2013 [4] M. Benini et. al. Il servizio di regolazione primaria tramite batteria: valutazioni tecnico-economiche. L’Energia Elettrica, n° 5, settembreottobre 2014 [5] Delibera Aeegsi 66/2013/R/eel del 21 febbraio 2013. Allegato A

Un SdA può contribuire alla flessibilità del sistema elettrico partecipando come unità indipendente al mercato del bilanciamento, con opportune offerte a salire (erogazione di energia) e a scendere (assorbimento di energia). Per valutare l’operatività e il risultato economico di un SdA dedicato a tale servizio, in RSE si è proceduto a simulare il comportamento di un SdA di diverse taglie e tecnologie con riferimento alle offerte accettate sul MB nell’anno compreso tra Maggio 2013 e Aprile 2014. Per ciascun quarto d’ora di tale periodo è stato definito un prezzo di offerta a salire (PUP) e un prezzo di offerta a scendere (PDN) per l’energia gestita dal SdA. Le offerte presentate dal SdA vengono quindi confrontate con quelle accettate in MB e quando risultano più convenienti vengono selezionate, con conseguente movimentazione di energia da parte del SdA. In caso di offerta accettata a salire, il SdA ne ottiene un ricavo, valorizzando al prezzo offerto PUP l’energia immessa in rete per quel quarto d’ora, con il limite della quantità di energia accettata e della quantità disponibile accumulata in precedenza. In caso di offerta accettata a scendere, il SdA sostiene un costo, valorizzando al prezzo offerto PDN l’energia prelevata dalla rete per quel quarto d’ora, con il limite della quantità di energia accettata e della quantità accumulabile in funzione dello stato di carica corrente. I risultati delle simulazioni evidenziano che il ritorno economico per il SdA è maggiore nelle zone CentroSud e Sicilia. Tuttavia anche in queste zone i margini ottenibili dal SdA non consentono di recuperare tutti i costi di investimento (ai valori attuali) entro la vita tecnica della batteria. Le simulazioni effettuate dimostrano che, stante il corrente quadro regolatorio, i costi della tecnologia e i prezzi dell’energia scambiata sui mercati dei servizi, i SdA ancora non si sostengono con gli attuali meccanismi di mercato. Tuttavia la situazione è in evoluzione, sia in termini di esigenze del sistema elettrico, nel quale i servizi oggi resi dagli impianti convenzionali potrebbero non essere più sufficienti a garantire la sicurezza del sistema rendendo quindi indispensabile il ricorso ai SdA, sia sul fronte tecnologico, dove la maturazione delle soluzioni esistenti e lo sviluppo di nuove tecnologie di accumulo potrebbe portare a una decisa riduzione dei costi. La valutazione tecnico-economica dei sistemi di accumulo continuerà quindi a essere oggetto delle attività svolte da RSE nell’ambito della ricerca di sistema, con l’obiettivo di fornire alle istituzioni (es. Aeegsi, MiSE) e agli operatori un quadro oggettivo e del contributo dei SdA al sistema elettrico e delle relative ricadute economiche.  *RSE

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esperienze

FOCUS accumuli elettrici

febbraio/marzo 2015

La batteria tra luci e ombre di Alex Sorokin*

Le prime esperienze tedesche in materia di accumuli evidenziano sia criticità sia punti favorevoli

Sono trascorsi quasi due anni dall’avvio, nel maggio 2013, del programma tedesco di incentivazione delle batterie abbinate a sistemi solari fotovoltaici. Un tempo sufficiente per fare un primo bilancio su come sono andate le cose e quali sono le prospettive. In Germania, per accedere all’incentivo per le batterie, occorre presentare la domanda presso la propria Banca di fiducia, indirizzandola però alla KfW (Kreditanstalt fuer Wiederaufbau), Ente di Credito per la Ricostruzione Nazionale nato nel 1948 per la gestione dei fondi del piano Marshall. Da quel momento in poi la KfW ha sempre giocato un ruolo fondamentale e di grande successo nello sviluppo economico del Paese, compreso il periodo dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione delle due Germanie, quando la KfW è stata chiamata a gestire i fondi per lo sviluppo della ex Germania dell’est. Nel caso del programma per le batterie, la KfW finanzia l’investimento per l’installazione di batterie stazionarie abbinate a impianti solari fotovoltaici, in modo da consentire la produzione di energia elettrica solare e a basso impatto ambientale per l’autoconsumo e per l’immissione nella rete elettrica pubblica. Scopo dell’incentivo è quello di stimolare lo sviluppo della tecnologia e del mercato per sistemi a batteria, in modo da agevolare l’integrazione in rete dell’energia prodotta da sistemi solari fotovoltaici di piccola e media taglia. In particolare l’incentivo è costituito di due componenti distinti anche nel tempo: • finanziamento agevolato a basso interesse erogato dalla KfW (max. 600 Euro/kWp); • contributo al rimborso del finanziamento (a fondo perduto) del 30% a carico del Bundesministerium für Wirtschaft und Energie (BMWi = Ministero Federale per l’Economia ed Energia). Possono accedere a questo incentivo anche gli impianti fotovoltaici già esistenti, ma soltanto se andati in servizio dopo il 31-12-2012. Per beneficiare dell’incentivo maggiorato concesso a favore dei retrofit (max. 660 Euro/kWp) occorre che dalla data della messa in servizio dell’impianto solare FV siano trascorsi almeno 6 mesi prima dell’avvio del sistema

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104 esperienze figura 1

Per ridurre l’impatto di sbilanciamento sulla rete occorre gestire le batterie in modo diverso dal metodo tradizionale che esaspera il problema

Fonte: BSW figura 2

Gestione batterie «smart» prescritta dal programma di incentivazione KfW

a batteria. Inoltre, per accedere all’incentivo, l’impianto solare FV e il sistema a batteria devono soddisfare alcuni requisiti tecnici ovvero: • la potenza del generatore solare FV deve essere inferiore a 30 kWp; • per ogni impianto solare FV un solo sistema a batteria può beneficiare dell’incentivo; • il sistema a batteria deve restare operativo per almeno 5 anni; • la potenza immessa in rete deve essere limitata al 60% della potenza nominale del generatore solare FV; • l’inverter per l’immissione in rete deve essere dotato di interfaccia per la telegestione dell’impianto da parte del gestore di rete (dispacciatore) in funzione delle condizioni di esercizio della rete elettrica (deficit o eccedenze di potenza). L’idea all’origine di questo programma è di stimolare lo sviluppo del mercato per gli impianti con batteria, allo scopo di attenuare gli effetti di sbilanciamento provocati dagli impianti solari sulla rete elettrica attraverso la riduzione sia del picco di produzione solare a mezzogiorno, che di quello serale nella domanda di energia elettrica da parte dei consumatori. Tramite le batterie le famiglie e i proprietari di impianti solari possono di giorno accumulare energia solare prodotta dal loro impianto riducendo in questo modo l’immissione (l’export) di potenza solare in rete, mentre la sera, invece di consumare (importare) tutta l’energia elettrica dalla rete, aggravando il già pesante picco serale, potranno autoconsumare la propria energia solare immagazzinata nella batteria.

Scambio sul posto vs autoconsumo? Fonte: BSW

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Com’è noto, la Germania è stata la prima nazione a introdurre (a partire dal 1991) l’incentivo per le rinnovabili di tipo FIT (“Feed-in-Tariff ”, tariffa incentivante omnicomprensiva). Nell’ambito delle varie revisioni per l’affinamento del meccanismo, nel 2009 il legislatore tedesco aveva poi introdotto una tariffa-premio per stimolare l’autoconsumo diretto dell’energia solare prodotta. Nell’ultima revisione del meccanismo (2012), questo premio è stato eliminato in quanto, con l’arrivo della grid-parity, era diventato superfluo. Invece il “net-metering” (scambio sul posto), ovvero la compensazione economica fra consumo e produzione non contemporanei, non è mai stato attuato in Germania. La scelta di incentivare l’autoconsumo diretto (contemporaneo), e non lo scambio sul posto (differito nel tempo), evita di trasferire sulla rete il compito di assorbire l’energia solare prodotta in un determinato momento (di giorno), per poi restituirla successivamente in un momento diverso (la sera). Pertanto il nuovo programma incentivante a favore delle batterie non premia il “netmetering” (scambio sul posto differito nel tempo), bensì mira a spingere gli autoproduttori verso un comportamento virtuoso e utile per la rete, ovvero l’autoconsumo diretto e contemporaneo fra produzione e consumo. È compito delle batterie massimizzare l’autocon-


FOCUS accumuli elettrici

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sumo, immagazzinando e spostando nel tempo le eccedenze di energia solare prodotta, dalle ore intorno al mezzogiorno verso le ore serali di massimo consumo quando ogni contributo diventa particolarmente utile e prezioso. Da notare che il finanziamento KfW può essere ottenuto per l’intero sistema combinato (impianto solare FV + sistema a batteria), mentre il contributo pubblico al rimborso (del 30% a fondo perduto) viene concesso soltanto in relazione all’ammontare dell’investimento per il solo sistema a batteria. Possono accedere a questi incentivi i cittadini privati, professionisti, agricoltori, imprese e organizzazioni senza fini di lucro. Sono invece esclusi dall’incentivazione i Comuni e le autorità locali, il Governo federale e i Governi dei Laender (regionali), i fabbricanti di apparecchiature o componenti oggetto dell’incentivazione e le aziende e imprese in difficoltà economiche / liquidazione. Nel 2013 la KfW dichiarava di aver erogato incentivi per un totale di euro 72,5 miliardi. Oltre ai normali finanziamenti a favore delle piccole e medie imprese (PMI), tabella 1 la KfW ha impegnato fondi a favore della tutela dell’ambiente e per la lotta contro il cambiamento climatico per un totale di Euro 27,8 miliardi, pari a circa Prezzi medi (in €/kWh) dei il 38% del volume totale erogato. In relazione al programma di incentivazione sistemi di accumulo dei sistemi a batteria, nel suo report annuale 2013 la KfW dichiarava di aver Con batterie al Piombo per ogni kWh di finanziato 2.730 impianti con sistemi di accumulo (a batteria) per un totale capacità nominale di accumulo di Euro 45 milioni (mediamente 16.500 Euro per impianto) e di aver erogato batteria al Piombo 5 kWh 1.671 Euro 9 milioni di contributo pubblico (al rimborso) dei finanziamenti. Invece batteria al Piombo 10 kWh 1.556 a metà anno 2014 il BSW (Bundesverband Solarwirtschaft e.V. – Associazione federale delle imprese del solare) segnalava vendite per un numero doppio batteria al Piombo 30 kWh 1.423 di impianti, segno che solo la metà degli impianti realizzati usufruivano del Con batterie al Litio per ogni kWh di capacità sistema di incentivazione della KfW. Pertanto le criticità del programma veninominale di accumulo vano così individuate: batteria al Litio 5 kWh 2.297 • soltanto gli installatori ben informati riuscivano a convincere i loro clienti batteria al Litio 10 kWh 2.110 a usufruire del finanziamento della KfW; batteria al Litio 30 kWh 1.910 • l’entità della limitazione di potenza (60%) e soprattutto la durata di 20 anni scoraggiano potenziali investitori; • elevata complessità delle procedure e della domanda da presentare alla KfW; • in generale il contributo pubblico non è sufficiente per rendere conveniente l’investimento nel sistema a batteria; • le Banche di fiducia dei clienti spesso diventano collo di bottiglia nel procedimento di domanda per il programma; • atteggiamenti di attesa da parte di potenziali investitori a fronte di incertezze politiche. Gli elementi positivi sono così riassumibili: non si sono verificati ostacoli insormontabili presso gli installatori (per es. dichiarazione di idoneità e certificazione di formazione professionale delle aziende) e gli investitori interessati e con adeguate disponibilità economiche non mancano. I dati più recenti pubblicati dal BSW evidenziano un marcato calo nei prezzi dei sistemi di accumulo (a batteria) per circa un quarto (in 6 mesi). Inoltre, anche se il mercato al momento rimane ancora modesto, le vendite sono comunque in aumento. Ancora più importante, nel terzo trimestre 2014 le domande approvate dalla KfW per l’accesso al 30% di contributo pubblico per i sistemi a batteria sono aumentate del 32% rispetto al secondo trimestre dello stesso anno. Se questa tendenza continuerà, allora il mercato, che inizialmente aveva mostrato poca dinamicità, potrà essere considerato in fase di decollo. A fine anno 2014 il BSW quantificava i tetti solari residenziali con sistema di accumulo (a batteria) venduti in poco più di 15.000 unità. Se confrontati con gli oltre 800.000 sistemi di piccola taglia inferiore a 25 kilowatt presenti in Germania, gli impianti con batteria ammontano a meno del 2% del totale.  *InterEnergy.it

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106 strategie

Accumulo ovunque di Christian Noce, Juan Carlos Ballestreros, Irene Fastelli, Luigi Lanuzza, Marco Gazzino*

Enel è attiva sui sistemi di accumulo energetico con progetti diversificati e diffusi in Italia e nel mondo

Dal 2009 al 2014 sono stati installati in Europa oltre 150 GW d’impianti eolici e solari, di cui circa 26 GW solo in Italia, che è anche fra le nazioni con la maggiore potenza di generazione installata sulla rete di distribuzione. Al 2013, la rete gestita da Enel (circa l’85% della distribuzione nazionale) ha accolto oltre 540.000 connessioni, corrispondenti a oltre 25 GW di potenza di generazione complessiva connessa alla rete di distribuzione. Questi numeri confermano che le rinnovabili non sono un fenomeno isolato e circoscritto, ma una realtà consolidata e ancora in rapida espansione. Per favorire l’ulteriore penetrazione delle rinnovabili e garantire allo stesso tempo la stabilità del sistema elettrico è necessario fare sinergia su tutte le soluzioni tecnologiche disponibili. La non programmabilità della produzione da rinnovabili è un problema sempre meno sentito. Codici di calcolo consentono già oggi di prevedere la produzione del giorno successivo con errori di previsione medi in linea agli errori di previsione della domanda elettrica. Enel è attiva ormai da molti anni in questo settore, ma affinché le rinnovabili siano completamente programmabili, l’accumulo elettrico o elettrochimico (es. supercapacitori e batterie su scale industriali) rappresenta la nuova frontiera. In un futuro molto vicino gli impianti rinnovabili potranno fornire servizi di rete per il dispacciamento, se messi nelle condizioni tecniche e di mercato per farlo. Analogamente, le tecnologie di accumulo potrebbero abilitare numerosi nuovi servizi sulla rete di distribuzione, a beneficio dei clienti. Su queste tecnologie, i ricercatori Enel sono stati fra i primi ad avviare attività di caratterizzazione delle diverse soluzioni. Le attività sperimentali iniziano nel 2010 all’interno dell’Area sperimentale Enel di Livorno, dove fino a oggi sono state caratterizzate 13 diverse tecnologie e mappate le principali famiglie tecnologiche disponibili. Sulla base dei risultati di questa prima mappatura, sono stati avviati diversi progetti di scala industriale, su cui Enel è impegnata con oltre 21 MW di sistemi di accumulo già installati o in corso di realizzazione, suddivisi su tre linee di attività: lo stoccaggio energetico nelle isole e in applicazioni “off-grid”; l’integrazione dei sistemi di accumulo con gli impianti rinnovabili; sistemi di accumulo centralizzati integrati con la rete di distribuzione.

I progetti di accumulo energetico L’integrazione dei sistemi di accumulo nel sistema elettrico è chiave per il funzionamento febbraio/marzo 2015


FOCUS accumuli elettrici

di reti isolate, quali per esempio isole o aree continentali non connesse alla rete elettrica nazionale. Su questo fronte, Enel è impegnata con tre importanti progetti: a Ventotene (Italia), nelle isole Canarie (Spagna) e a Ollague (Cile). A Ventotene, la recente diffusione degli impianti fotovoltaici e la già ampia variabilità stagionale della domanda di energia hanno richiesto d’intervenire per garantire la stabilità della fornitura elettrica. In alternativa a un nuovo generatore diesel, Enel ha deciso d’istallare un sistema di accumulo (300 kW, 600 kWh, batteria agli ioni di litio). L’attività di realizzazione ha richiesto la progettazione di una complessa architettura di gestione del sistema di accumulo accoppiato con i motori Diesel e dei relativi sistemi di controllo. Questa soluzione, ottimizzando l’esercizio dei diesel esistenti, consente sia di favorire la penetrazione del fotovoltaico, sia di ridurre le emissioni atmosferiche e il consumo di combustibile, con un risparmio annuo fino al 20%. Sempre nelle isole, Enel è impegnata col progetto STORE - Storage Technologies of Reliable Energy, sviluppato nelle isole Canarie, dove la profondità dei fondali marini ostacola la connessione alla rete nazionale. Enel ha già installato e sta esercendo tre diversi impianti di accumulo: • nell’isola di Gran Canaria è stato installato un sistema di batterie al litio (1 MW/3 MWh), con l’obiettivo di fornire riserva secondaria e svolgere funzioni di controllo di tensione; • nell’isola di La Gomera è stato installato un accumulo inerziale (i cosiddetti “flywheel”), da 0,5 MW/18 MWs. La rapida erogazione di potenza di questi sistemi permette di fare regolazione di frequenza e fornire riserva primaria alla rete locale; • nell’isola di La Palma è stato installato un banco di ultracapacitori (4 MW/20 MWs), per fornire regolazione di frequenza alla rete locale. Enel ha anche impiegato l’accumulo energetico per favorire la rapida elettrificazione di aree remote, difficilmente raggiungibili dalla rete elettrica: è questo il caso di Ollague, un paese di frontiera del Cile del Nord, a oltre 3.600 metri di quota, non connesso alla rete cilena. Qui Enel ha realizzato un impianto rinnovabile ibrido, che fornisce energia rinnovabile ai 200 abitanti di Ollague, per 24 ore al giorno e senza interruzioni. La soluzione ibrida sviluppata da Enel integra più fonti rinnovabili fra loro, in modo da ridurre l’intermittenza nella produzione. L’intermittenza residua viene poi assorbita integralmente dal sistema di accumulo (250 kW/520 kWh). L’impianto rinnovabile è dotato di 30 kW di potenza eolica e 200 kW di pannelli solari fotovoltaici, provenienti dalla fabbrica 3Sun di Catania di Enel Green Power, la più grande fabbrica italiana di fotovoltaico. A questi si aggiungono due sistemi solari a concentrazione, in grado di generare 2 kW di elettricità e 3 kW termici, con cui Enel fornisce acqua calda alla scuola locale. Nel progetto a Ollague innovazione e sostenibilità si sposano perfettamente. In particolare, la comunità locale è coinvolta nella gestione dell’impianto e la manutenzione è eseguita da due donne del paese, addestrate dal Barefoot College, con cui Enel collabora da anni.

L’integrazione con gli impianti rinnovabili Sul fronte degli impianti rinnovabili, Enel Green Power ha avviato in Italia il progetto “Active RES into the grid”, che prevede l’installazione di tre sistemi di accumulo elettrochimico da integrare con due impianti eolici e con un impianto fotovoltaico già connessi alla rete di media tensione. Gli impianti sono:

Servizio parchi Eolici:

• Accumulo da 4 MW/1 MWh; • Accumulo da 2 MW/2 MWh (Potenza Pietragalla).

Servizio parchi Solari:

• Accumulo 1 MW/2 MWh (Catania). Con queste installazioni si punta a favorire l’integrazione delle rinnovabili nella rete, riducendo l’intermittenza nella produzione degli impianti rinnovabili e il loro impatto

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108 strategie negativo sulla rete elettrica, massimizzando l’utilizzo delle connessioni esistenti. Oltre a ciò, gli accumuli consentono di massimizzare la produzione annua degli impianti rinnovabili, evitando di doverli spegnere quando la produzione eccede la capacità della connessione di rete, come accade in alcuni siti nelle ore di massima disponibilità della risorsa rinnovabile.

Sistemi di accumulo centralizzati Enel ha avviato una serie di esperienze pilota finalizzate a confrontare diverse tecnologie di accumulo, valutandone costi, benefici e affidabilità tecnica in reali condizioni operative. Questi progetti si snodano a tutti i livelli della rete di distribuzione:

Accumulo in Cabina Primaria:

• Chiaravalle: 2 MVA/2 MWh (Calabria); • Dirillo: 2 MVA/1 MWh (Sicilia); • Campi Salentina: 2 MVA/1 MWh (Puglia).

Accumulo lungo linea media tensione:

• Progetto Isernia: 1 MVA/0,5 MWh; • Progetto Grid4EU: 1 MVA/1 MWh.

Accumulo lungo linea bassa tensione:

• Progetto “Storage LV grid”: due impianti da 32 kVA/32 kWh (Teramo e L’Aquila). I tre progetti in cabina primaria sono sviluppati in convenzione col Ministero dello Sviluppo Economico, nell’ambito del Piano Operativo Interregionale (POI) e puntano a ridurre i transiti di energia fra rete di distribuzione e trasmissione in contesti ad alta penetrazione di rinnovabili. Nel progetto Isernia, Enel ha realizzato la prima installazione italiana di accumulo energetico sulla rete di distribuzione, integrandola con una “smart grid” che include una stazione di ricarica per veicoli elettrici, 50 kW di fotovoltaico e funzioni di “home energy management” abilitati dai sistemi Smart Info sviluppati da Enel, con cui i clienti finali sono in grado di monitorare i loro consumi in tempo reale. Il progetto “Grid4EU - Innovation for Energy Networks” intende dimostrare soluzioni avanzate Smart Grid su larga scala. Finanziato dalla Comunità Europea, coinvolge 27 partner con progetti in 12 Paesi comunitari. Il progetto italiano impiega l’accumulo per la regolazione di tensione e l’aumento della “hosting capacity” in cabina secondaria. Le installazioni in bassa tensione puntano, infine, a valutare l’utilizzo degli accumuli per la regolazione di tensione e per abilitare servizi al cliente finale (es. “demand response”).

Futuri sviluppi Sulla base dei risultati delle esperienze pilota sarà possibile valutarne l’estensione ad altri siti. Solo in Italia, per esempio, almenxo altre sette isole hanno requisiti paragonabili a quelli del progetto di Ventotene. Il Piano di Sviluppo di Enel Distribuzione ha già identificato 44 siti di rete candidabili all’istallazione di accumuli. Sul fronte tecnologico, invece, Enel è impegnata a valutare il reimpiego delle batterie per auto in applicazioni di rete o accoppiate con piccole utenze. Questa frontiera ha un grande potenziale, in quanto le batterie dimesse perché non più utilizzabili per la trazione, conservano ancora circa l’80% della loro capacità e possono essere reimpiegate in applicazioni di taglia industriale. Una prima installazione è stata fatta nel progetto GreenEmotion e i primi risultati emergeranno nel corso del corrente anno. Infine, Enel ha già avviato lo studio di metodologie per la valutazione dello stato di salute delle batterie ed è impegnata in attività di ricerca per lo sviluppo di strumenti di telediagnostica dei sistemi di accumulo. Queste conoscenze saranno fondamentali nello scenario di evoluzione futura del sistema elettrico, in cui i sistemi di accumulo potrebbero avere un ruolo di crescente importanza.  *Gruppo Enel

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associazioni

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Le potenzialità del vento Come si può uscire da questa situazione?

di Sergio Ferraris

L’eolico è in caduta libera, ma l’Italia ha eccellenze tecnologiche nel campo che si possono difendere con politiche a costo zero

«Secondo noi bisogna mantenere il meccanismo delle aste, ma dare meno tempo per la realizzazione e imporre una fidejussione che faccia da penale in caso di abbandono. Così si selezionano alla base i progetti e si consente un vero scorrimento delle gratulatorie, cosa che oggi è prevista, ma non avviene». Sul piano autorizzativo qual è la situazione?

Il settore eolico è in crisi a causa della pessima gestione delle normative, ma ci sono buone possibilità di ripresa se solo si abbattessero le barriere legislative, con una tenuta degli addetti e una diminuzione degli incentivi. Abbiamo parlato di ciò con Simone Togni, presidente di Anev, l’associazione di settore. Eolico: qual è la situazione?

«Lo dicono i numeri. Nel 2014, anno del record negativo, sono stati installati 107 MWe, un crollo del 76% rispetto al 2013. Il dato però arriva a un -92%, se prendiamo come riferimento la media annua delle installazioni tra il 2008 e il 2012. E in questo quadro tiene l’occupazione perchè l’Italia è un Paese esportatore di turbine eoliche, ma non si sa per quanto ancora, se continuerà a mancare il mercato interno. Ciò che è veramente preoccupante è la fuga degli investitori che stanno guardando ad altri Paesi». Se andiamo nel dettaglio cosa non va?

«A parte quelle che sono le criticità del Paese “classiche”, ossia burocrazia e lentezza della giustizia, ciò che ha fermato lo sviluppo dell’eolico è stato il meccanismo delle aste e non, come si crede, la riduzione degli incentivi che non è centrale come questione. Le aste hanno consentito agli sviluppatori di fare offerte molto basse, ma che in realtà non permettono la realizzazione degli impianti, producendo una massa di progetti che non sono rivendibili in quanto non attuabili. Questi progetti hanno un tempo di “realizzazione” incredibilmente lungo, 52 mesi, prima dell’esclusione. Ecco quindi che ci si trova con una massa di impianti “di carta”, ed esistenti solo sulla carta, che spesso bloccano progetti validi».

«Abbiamo 1.500 MWe di impianti già autorizzati e 2.500 in attesa, ma molte delle autorizzazioni sono datate e non più realizzabili a causa della diminuzione degli incentivi, fatto che mette fuori mercato i siti meno ventosi. I tempi autorizzativi stanno migliorando, ma sono ancora eccessivi: siamo a circa tre anni». Come Anev che soluzioni proponete?

«Una nuova fase per l’eolico: quella delle sostituzioni. Oggi molte turbine, spesso posizionate in ottimi siti ventosi, sono a fine vita od obsolete e la loro sostituzione, senza rifare l’iter autorizzativo, è possibile solo con macchine identiche, oppure in riduzione della singola pala. È un freno all’innovazione. Chiediamo che sia possibile fare il retrofit dei campi eolici, mantenendone la potenza complessiva, diminuendo l’affollamento delle macchine - 1 turbina da 3 MWe ne sostituisce 6 da 500 kWe, N.d.R. - e adeguando gli incentivi ai livelli odierni». Cosa produrrebbe tutto ciò?

«Avremmo una diminuzione della numerosità delle pale, aumentando la produzione di energia rinnovabile, con una riduzione dell’impatto paesaggistico. E a questi vantaggi bisogna aggiungere quelli per il sistema Paese. Il primo è avere un mercato interno per le turbine d’ultima generazione, cosa che consentirebbe di mantenere l’occupazione e impedire la fuga all’estero delle eccellenze produttive, mentre il secondo è la diminuzione degli incentivi poiché si sostituirebbero quelli vecchi e alti, con quelli recenti e bassi delle aste. Con il retrofit di 500 MW si risparmierebbero 130 milioni di euro l’anno di incentivi: 1,3 miliardi al 2025. In Germania funziona e c’è un incentivo di 5 c/€ per kWh sulla produzione aggiuntiva che noi non chiediamo». 

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110 aziende

Una valle d’energia di Sergio Ferraris

L’idroelettrico e le rinnovabili possono produrre nuovi modelli energetici, come sta succedendo in Valle d’Aosta

La Regione Valle d’Aosta dal 2001 possiede i principali impianti di produzione idroelettrica nella Valle, nonché la distribuzione elettrica attraverso il Gruppo CVA, e ha realizzato un modello che mette assieme la gestione energetica con l’attenzione per il territorio. Abbiamo parlato di questa realtà con Paolo Giachino, Direttore Generale di CVA s.p.a. Ci può descrivere la vostra realtà?

«Il Gruppo CVA è un Gruppo verticalmente integrato, poiché copre l’intera catena dell’energia occupandosi di produzione, distribuzione e vendita. Il parco impianti idroelettrico sul territorio valdostano di proprietà della capogruppo, CVA s.p.a., è costituito da 32 centrali, per una potenza installata complessiva di 933 MW e una produzione di quasi 3 TWh all’anno. La società Deval è il distributore competente territorialmente, mentre CVA Trading ha il duplice compito di venditore su mercato libero in tutta Italia, ed esercente la maggior tutela solo in Valle d’Aosta. Il Gruppo CVA ha un rapporto molto stretto con il territorio sul quale opera, non solo in termini di integrazione con il tessuto sociale, ma soprattutto in termini di rispetto ambientale; per esempio, per poter utilizzare al meglio la risorsa idrica nel pieno rispetto dell’ecosistema fluviale, in accordo con gli enti regionali si è stabilito di avviare una procedura sperimentale che personalizzi il quantitativo di Deflusso Minimo Vitale per ciascuna opera di presa degli impianti di CVA; questo affinché siano rispettate le peculiarità dei torrenti sui quali tali opere insistono, ed evitare così una gestione delle febbraio/marzo 2015

acque generalizzata che non tenga conto delle specificità ambientali che ciascun alveo presenta, ovviamente verificando non solo l’impatto ecologico, ma anche quello paesaggistico». Come siete arrivati alla realtà di oggi?

«La nostra storia comincia nel 2001, con l’acquisto da Enel degli impianti idroelettrici oggi in nostro possesso; in seguito abbiamo affermato la nostra posizione sul mercato elettrico, e nel 2011 il Gruppo CVA ha acquisito anche la parte di distribuzione e quella di vendita in maggior tutela». Quali miglioramenti potete avere sul fronte idroelettrico?

«Attualmente abbiamo intenzione di lavorare sul rifacimento di alcuni nostri impianti, allo scopo di prolungarne l’esistenza e migliorarne i rendimenti, utilizzando sempre l’acqua nel pieno rispetto dell’ambiente». Vi siete espansi anche al di fuori della Valle, con impianti a fonti rinnovabili, continuerete così?

«Al momento abbiamo 64 MW di eolico e 12 MW di fotovoltaico; è nostra intenzione continuare a crescere in tal senso, in particolare nell’eolico». L’idroelettrico da qualche tempo sembra sotto tiro da parte del Governo. Cosa pensa di ciò? Che riflessi hanno queste politiche sulla vostra attività?

«Se guardiamo la produzione totale da fonti rinnovabili nel 2013 e nel 2014, l’idroelettrico rappresenta pur sempre circa il 57%. Molta di questa produzione arriva dagli impianti idroelettrici che hanno fatto la storia dell’elettrificazione di questo Paese: sono un patrimonio importante anche in termini di rispetto degli impegni verso l’ambiente. Purtroppo talvolta si dà per scontato che questi impianti che esistono da tempo ci saranno per sempre; non è così. Bisogna creare quelle condizioni che consentano il loro mantenimento nel tempo, per esempio attraverso i rifacimenti. Altro tema è quello dei canoni e sopra-canoni: oggi troppo facilmente si cerca di fare “cassa” su questi impianti». Quali progetti avete per il futuro?

«Mantenere una solida ancorché piccola posizione sul mercato elettrico nazionale».


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Mario Salomone Al verde! La sfida dell’economia ecologica COLLANA: Città della scienza ISBN: 9788843072910 Pagine 160 Prezzo€ 12,00 Carrocci Editore

febbraio/marzo 2015

Al verde! Al verde! Non è un’esclamazione circa la crisi economica, anche se un collegamento c’è, ma il titolo di un recente, agile ed esplicativo volume di Mario Salomone, docente di Sociologia dell’ambiente e del territorio e di Educazione ambientale presso l’Università degli Studi di Bergamo, nel quale l’autore fa un’operazione rara per il mondo ambientalista: mettere in relazione l’ecologia e l’economia. E non si tratta di cosa semplice visto che, mette in luce chiaramente Salomone, si tratta di una dialettica complessa che ha visto le due discipline spesso, e ancora oggi, contrapposte. Negli ultimi decenni, però, l’ecologia ha saputo anche “trasformarsi” in economia dando un valore alle risorse naturali al di là dei loro costi d’estrazione, cosa che è essenziale nel determinare e definire un’economia ecologica. E in questo senso il capitolo che l’autore dedica alla questione è particolarmente efficace, poiché vi si trovano specifiche essenziali per dare un valore a questioni come l’impollinazione o la bellezza. E non si tratta di calcolo meramente economico in senso classico. L’autore, infatti, specifica che: «calcolare il “valore” (economico) della natura, purché non serva a metterla sul mercato (il valore della natura è di per sé infinito e non è scambiabile con i manufatti umani) aiuta insomma a ricordare che gli esseri umani non possono vivere senza di essa e che l’economia è un sottosistema non autonomo, che deve essere inserito, oltre che nel quadro della società umana, anche nel sistema Terra, con il quale deve diventare compatibile». Si tratta di un approccio che fuga qualsiasi dubbio e che serve tra le altre cose a smentire quella che è una vulgata classica degli economisti di fronte alla questione. Ossia il definire

zero il valore delle risorse naturali quali aria, acqua ed ecosistemi, in quanto non quantificabili, approccio congeniale alla loro spoliazione indiscriminata. Nella seconda parte del volume Salomone passa in rassegna i problemi e le possibili soluzioni, mettendo bene in luce quali siano le barriere per il raggiungimento di “obiettivi verdi” nelle nostre dinamiche sociali, senza nascondersi dietro alle difficoltà. Come nel caso delle ecotasse. «La tassazione di tecnologie nocive, inquinanti, energivore, apre però la questione dell’incidenza redistributiva di tali misure, perchè le tasse sui consumi in proporzione gravano maggiormente sui redditi più bassi. - afferma Salomone, che poco più in là aggiunge - Coniugare l’efficienza ambientale ed economica della tassazione con l’equità è però possibile se, contestualmente, si correggono i meccanismi di mercato e si adottano misure di compensazione a favore delle fasce più povere». E qui troviamo quindi una delle questioni decisive che hanno animato il dibattito anche e specialmente a sinistra e che ha tuttora un punto apicale nella vicenda dell’Ilva: il complicato rapporto tra questioni sociali e quelle ambientali. E su ciò l’autore mette a disposizione del lettore un vero e proprio arsenale di attrezzi sia per la comprensione dei problemi, sia per le possibili soluzioni, passando in rassegna tutte quelle analisi che devono portare al “cambio di paradigma” che sia le sfide sociali, sia quelle ambientali ci impongono già ora. E la transazione, afferma l’autore citando Lester Brown, è alla portata delle possibilità sia tecnologiche, sia finanziarie odierne. Parliamo di 190 miliardi di dollari l’anno per imprimere una svolta verso l’economia verde. 

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114 Comunicare l’energia

C’è orso e orso di Sergio Ferraris

I cambiamenti climatici non sono nelle agende dei media italiani, ma qualche responsabilità da parte dei lettori c’è

Se qualcuno vuole “misurare” la sensibilità dei media italiani ai cambiamenti climatici questo è l’anno giusto. Il 2015, infatti, sarà l’anno della Cop 21 di Parigi, da molti giudicato l’appuntamento cruciale per non fare “bollire” il Pianeta, oltre i 2 °C al 2100. E se il buon giorno si vede dal mattino, non è un buon giorno. La Cop 20 di Lima del novembre scorso, infatti, è stata disertata dai media italiani e coperta solo in maniera parziale tramite corrispondenti italiani e agenzie. Ovviamente le notizie che sono arrivate in Italia sono state parziali e frammentarie, nonostante durante l’appuntamento si sia rischiato un nulla di fatto che avrebbe minato le fondamenta di qualsiasi accordo a Parigi. Le motivazioni per l’assenza di questa copertura, nonostante fosse presente il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, sono state le più varie. Si è andati dal «tanto non è decisiva», al «costa troppo», passando per il «c’è poco interesse da parte dei lettori». Tutte motivazioni stonate se si pensa che l’informazione italiana era presente con due freelance, categoria che notoriamente si paga le spese da sé. Però, forse, i cambiamenti climatici interessano poco solo a livello internazionale? Non sembra. È di pochi giorni fa, infatti, il comunicato stampa dell’Italian Climate Network circa il fatto che il climatologo Stefano Casarini elaborando i dati dell’Ipcc si è accorto del fatto che i cambiamenti climatici nel Bel Paese corrono più veloci che nel resto del mondo. Se negli ultimi trent’anni, infatti, la temperatura delle terre emerse a livello globale si è alzata di 0,46 °C, in Italia nello stesso periodo abbiamo registrato un +1,45 °C. Il riscaldamento globale per l’Italia, quindi, è una volta e mezzo quella delle terre emerse e il doppio di tutto il Pianeta. La notizia c’è, e pure grande visto che nel nostro Paese una discreta fetta di Pil è rappresentata da economie “meteoropatiche” come l’agricoltura di qualità e il turismo, per non parlare della vulnerabilità idrogeologica e quindi degli eventi estremi del nostro territorio. E anche in questo caso i grandi assenti sul fronte dell’informazione sono stati i media mainstream, mentre la questione è stata ripresa da una dozzina di siti, ovviamente specializzati. Mettiamo sotto accusa solo i media quindi? Non proprio, anche i lettori hanno la loro responsabilità. Qualche giorno fa, infatti, l’Italian Climate Network, in partnership con una vera azienda URSA operante nel settore dell’efficienza energetica, ha realizzato una “bufala” sugli orsi polari. La notizia era il lancio di una finta campagna contro un’altrettanto finta azienda svedese che realizza isolanti naturali per la bioedilizia scuoiando gli orsi polari. L’intenzione dell’esperimento era quella di dimostrare che la sensibilità degli internauti verso gli orsi polari - categoria a rischio a causa dei cambiamenti climatici - cambia a seconda di quale è la causa del pericolo. E l’esperimento ha centrato, in negativo, l’obiettivo. La risposta del cosiddetto “popolo della rete” - 680mila utenti dei social network, in 24 Paesi, hanno ricevuto circa 21mila messaggi, mentre sono state raccolte oltre 4.500 firme per chiudere la finta azienda svedese - è stata di gran lunga maggiore rispetto agli stessi contenuti (veri) nei quali si rappresenta il pericolo d’estinzione degli orsi polari a causa dei cambiamenti climatici. Insomma qualcosa di vero circa il fatto che ai lettori interessino meno i cambiamenti climatici, rispetto altre tematiche ambientali, sembra esserci ma non deve essere un alibi. I media, infatti, possono indirizzare l’opinione pubblica. 

febbraio/marzo 2015


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