L'Immaginario. Anno VII, n° 1-2-3-4

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IMMAGINARIO Periodico bimestrale dell’Associazione L’ALBA Anno VII N° 1-2-3-4 gennaio - agosto 2012 Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribunale di Pisa al n. 9/06 del 24 Maggio 2006 Offerta libera

il facilitatore sociale

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L’IMMAGINARIO

Periodico bimestrale dell’Associazione L’ALBA Anno VII n° 1-2-3-4 gennaio - agosto 2012 Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribunale di Pisa al n. 9/06 del 24 Maggio 2006

La riproduzione, anche parziale, è soggetta ad autorizzazione Tiratura prevista: 1000 copie

Edizioni: L’Alba2012 Direttore responsabile Maurizio Bandecchi Redazione Maria Velia Lorenzi Bellani - Coordinatrice Massimiliano Biagini Catia Buffoni Eva Campioni Daniela Cellai Fabiana Pacini Gabriella Puglisi Giovanna Roventini Realizzazione editoriale Progetto grafico e impaginazione: Ferdinando Romeo Fotografie: Ferdinando Romeo, Antonella Riu, Eugenio Sanna, Diana Gallo, Alessandro Accordino e Riccardo Romeo.

Stampa Tipografia Bongi s.n.c. via A. Conti n. 10 | 56027 San Miniato (PI) Italy

Sommario A scuola dai facilitatori Sociali di Diana Gallo, Eva Campioni e Fabiana Pacini

pag. 3

E quell’infame sorrise di Maria Velia Lorenzi

pag. 13

Da Kronos a Kairos di Liliana dell’Osso, Giovanni Cioni e Luciano Conti

pag. 15

La ri-scoperta di Pisa di Eugenio Sanna

pag. 18

Esprimersi Scrivendo

pag. 20

Poster di Riccardo Romeo

pag. 28

Acrostici insieme

pag. 37

CinemadaMare di Lucia Gonnelli

pag. 40

Nuvole, l’ultimo libro di Maria Velia Lorenzi pag. 43

Latte di mamma di Diana Gallo

pag. 44

Fiducia

pag. 48

Associazione L’ALBA - Circolo ARCI

L’amore del Terzo Millennio

via delle Belle Torri n. 8 | 56127 Pisa (PI) Italy phone +39 050 544211 fax +39 050 3192895 mail associazionelalba@gmail.com web www.lalbassociazione.com

di Alessandro Romagnani

pag. 51

Vacanze al Mugello

pag. 52

Comitato di gestione Associazione L’ALBA Diana Gallo Presidente Valeriana Ammannati Vice-Presidente Roberto Pardini Segretario Ferdinando Romeo Amministratore

di Raffaella Rumieri

pag. 54

I sapori di Valeriana

pag. 55

Tirocinio all’Alba

Si ringrazia per la collaborazione Aldo Bellani Cover photo Alberonuvola - Lorena Sireno 2010 La foto di retro copertina è di Riccardo Romeo

Il viaggio verso la scoperta non è la ricerca di nuovi panorami ma la capacità di guardare con occhi nuovi

Marcel Proust scrittore 1871-1922

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A scuola dai facilitatori sociali:

docenze in Italia

di Diana Gallo, Eva Campioni e Fabiana Pacini

È con grande piacere che nel tempo osserviamo realizzarsi quello che agli esordi era una scommessa: che altri territori prendessero esempio dal corso per facilitatori e utilizzassero il modello di formazione da noi testato su Pisa. È un piacere vedere i facilitatori che oltre esperti di relazione di aiuto, sono diventati anche esperti in formazione. Così Eva, Fabiana, Roberto, Vessela e tanti altri facilitatori formati, diventano esperti testimoni di un cambiamento in grado anche di offrire buoni percorsi formativi per nuovi facilitatori in formazione e anche, per volontari del servizio civile e per studenti di facoltà universitarie.

Il quattro Giugno scorso siamo stati ospitati dalla Facoltà di Psicologia di Padova e quattro dei nostri facilitatori hanno svolto una docenza rivolta agli studenti del quarto anno di psicologia clinica. Questo è stato dovuto al ricordo positivo e vivo di una ex-volontaria del servizio civile attualmente studen-

te a Padova e che ha chiesto al suo Professore la docenza.

Così in seguito ad un movimento di sensibilizzazione promosso dall’Associazione Familiarmente, in particolare nella persona della Presidente Gertrude D’Aloia, nella città di Ferrara dal 2008 ad oggi, abbiamo fatto incontri di sensibilizzazione con i nostri facilitatori formati, creando così i presupposti e stimolando il coraggio per far partire anche in quel territorio il corso per facilitatori.

Ho partecipato come Presidente a rappresentare tutto il nostro lavoro sia nelle docenze, tre appassionanti giornate che ogni volta rinnovano la bellezza del percorso formativo-trasformativo creato che funziona ovunque e che può essere esportato in ogni luogo, sia al convegno organizzato a fine corso il 22 Giugno 2012 che ci ha indicato come l’esperienza avviata, può essere imitata, per partire con una piccola esperienza pilota.

La Città del Ragazzo di Ferrara come ente di Formazione si è resa punto strategico per la realizzazione di corsi del genere al sostegno delle persone con problemi psichici.

I corsisti sono riusciti a far sopravvivere un gruppo di auto-aiuto nato e stimolato dalle mie e dalle docenze di Eva e Fabiana. Ciò che mi ha colpito è stata una semplice frase di un corsista durante la

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simulazione didattica di un GAA in aula: “Non mi sento malato”. Questa frase contiene l’essenza del percorso: iniziare a destigmatizzarsi e deistituzionalizzarsi per ricostruire una nuova identità sana è la nostra filosofia.

La dott.ssa Bivi stimatissima dai corsisti più volte ha parlato in sede convegnistica, di “cambio di giacchette” metafora per indicare il cambio di ruoli. È possibile essere pazienti ed è possibile essere operatori. Possiamo adattarci a differenti contesti cambiando il ruolo con flessibilità. La signora Giovanna Tonioli ha lavorato, invece, con le arti-terapie a percorsi di consapevolezza, tirando fuori dal gruppo questa frase indicativa: “Siamo facilitatori - se ci venite dietro - vi tireremo fuori”.

In Toscana oltre ad Empoli e Pistoia si stanno smuovendo le realtà di Grosseto e di Arezzo che richiedono corsi nel loro territorio. Questo è molto entusiasmante.

Con grande felicità stiamo assistendo ad un movimento di crescita nella consapevolezza e nei percorsi di emancipazione degli utenti.

La Rete Regionale sta portando alla costituzione di un Coordinamento Nazionale, e nelle due giornate del 20 - 21 aprile 2012 a Firenze alla Casa della Cultura, più di 100 persone con problemi di salute mentale provenienti da tutta Italia si sono uniti per

confrontarsi, parlare, scambiare il proprio parere alla pari e andare verso il coordinamento nazionale.

Il quindici e sedici di giugno a Pisa si è svolto il Convegno: “da Kronos

Ferrara di Eva Campioni

La docenza al corso a Ferrara è stata per me una delle più soddisfacenti ed emozionanti tra quelle che ho tenuto. I nuovi facilitatori in formazione si stavano confrontando con una preziosa occasione, quella, dopo anni di sofferenza, di poter essere protagonisti della propria vita e scegliere. Durante le lezioni tenute da Diana Gallo, avevano avuto modo di scoprire i gruppi d’auto-aiuto come modalità molto efficace per stare insieme, confrontare le proprie esperienze al fine di ricavarne sostegno reciproco e strategie per migliorare la propria vita. Hanno capito quanto fosse importante iniziare ad essere autonomi potenziando le proprie parti sane e sentivano la necessità di iniziare il prima possibile a fare un gruppo d’auto-aiuto.

Avevano l’entusiasmo di chi ha avuto un’illuminazione… ma, come succede normalmente in questi casi, la”luce”rischiava di accecarli e la nuova energia vitale che si era liberata avrebbe potuto deragliare e disperdersi di Lorena Sireno - Fuori luogo: INTERRELAZIONI (2004) fronte alle difficoltà del passaga Kairos: il tempo della gio dal sogno alla realtà. cura”. Queste giornate Così, dopo la lezione teorica di Fabiana, ricchissipisane di psichiatria si ma di spunti di riflessione per tutti con efficacissime sono svolte in un inte- immagini creative che andavano puntualmente a ressante connubio tra il segno, ho deciso di utilizzare un desiderio del grupmondo adulto e il mon- po dei facilitatori per farli passare all’azione: scrivedo dell’età evolutiva con re insieme una lettera alla psichiatra referente del ricerche scientifiche su progetto per chiederle sostegno nell’attivazione del scala nazionale e inter- gruppo d’auto-aiuto, progetto assolutamente innonazionale e interventi di vativo sul territorio e riguardo al quale i corsisti perelevato valore. (In que- cepivano da parte dei Servizi un atteggiamento di sto numero l’articolo de- cautela e forse anche di diffidenza. dicato).

Uno dei problemi più grandi quando si soffre di un Tutto sommato, in un disagio psichico è perdere di vista la realtà: il disaperiodo apparentemen- gio distorce la percezione in negativo, impendendo te nero e critico, resi- alla persona di vedere le sue risorse e le sue posstono e si fanno avanti sibilità, e in positivo, sopravvalutando le sue forze cambiamenti e buone senza tener conto degli eventuali ostacoli. Oppure pratiche nel nostro e in ci si può disperdere, allontanandosi dall’obiettivo altri territori. da raggiungere fino a dimenticarlo, risucchiati dai

propri vortici emotivi.

Questo rende molto difficile pianificare qualcosa e, ancora di più, riuscire ad essere convincenti e coerenti nel fare una richiesta od una proposta, con il triste risultato di confermare all’interlocutore di essere inadeguati, incapaci e quindi non degni di fiducia!

Ed è fondamentale ottenere fiducia, perché i Servizi socio-sanitari con i quali è utile e fondamentale creare un rapporto di collaborazione ed alleanza, spesso remano contro o appoggiano con diffidenza l’auto-aiuto e l’Associazionismo degli utenti proprio per timore che non possano farcela”da soli”perché malati e bisognosi di tutela. Ma

questa tendenza può cambiare ed invertirsi se si diffonde e si promuove una cultura di fiducia e di collaborazione con i servizi che iniziano a vedere maggiori risultati in un atteggiamento che promuove empowerment anziché custodialismo, paternalismo e assistenza senza dare autonomia. È importante che la responsabilità di impegnarsi ad essere efficaci venga presa dalle persone stesse che hanno un disagio e che maturino, con il tempo e l’esperienza, le strategie per sviluppare le opportune correzioni cognitive per poter ottenere più risultati. Sono due le strade fondamentali: il lavoro di gruppo e non aver timo-

re di chiedere confronto e supporto da parte dei professionisti illuminati, che potranno diventare degli alleati per raggiungere una sempre maggiore autonomia.

Ho proposto al gruppo una semplice tabella “obiettivo / risorse / ostacoli” e ho stimolato il lavoro di gruppo per mettere in comune i punti di vista, in modo che avvenisse naturalmente una compensazione vicendevole degli errori di valutazione, l’integrazione delle lacune.

Sono riusciti a chiarirsi meglio le idee su che cosa comportava iniziare un gruppo, dalle questioni più pratiche (“Chi accompagna le persone che stanno a San

Nicolò? Hanno degli orari molto rigidi e non sono automi”,”Chi è che ha le chiavi della sede dove facciamo il gruppo?”, ”Chi avverte se qualcuno manca?”) alle domande fondamentali (“perché vogliamo fare un gruppo d’auto-aiuto?

A cosa ci serve?”, ”Che risorse abbiamo per organizzare un gruppo e portarlo avanti?”, “Cosa facciamo se si presenta un problema?”). Ognuno ha messo a disposizione le sue idee e le sue competenze e sono diventati in grado di argomentare in modo chiaro e coerente la loro richiesta. È stato bellissimo vederli discutere per arrivare alla fine a scrivere un documento che

Manrico Fiorentini Body’s and sound air Coltano, Pisa 19th july 2012

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avrebbero utilizzato di lì a pochi giorni, consegnandolo alla coordinatrice. Ed ancora più emozionante ricevere da loro una telefonata, qualche settimana dopo, in cui mi hanno detto che ce l’avevano fatta, ottenendo dalla coordinatrice la possibilità di parlare tra loro, da soli, per un’ora, prima della mattinata di studio con gli operatori, per iniziare ad allenarsi all’auto-aiuto in autonomia durante il corso per facilitatori. Avevano inoltre ottenuto la collaborazione della coordinatrice nel fare loro una supervisione mensile sull’andamento del gruppo che avrebbero tenuto al termine del corso per facilitatori sociali, in autonomia, presso un’associazione cittadina che si occupa di salute mentale.

Il ranocchio sordo e la maestra mancata di Fabiana Pacini

“C’era una volta una gara di ranocchi.

L’obiettivo era arrivare in cima a una gran torre.

Si radunò molta gente per vedere e fare il tifo per loro.

Cominciò la gara.

In realtà, la gente probabilmente non credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi tipo: “Che pena !!! Non ce la faranno mai!”.

I ranocchi cominciarono a desistere, tranne uno che continuava a cercare di raggiungere la cima.

La gente continuava: “...Che pena!!! Non ce la faranno mai!”.

E i ranocchi si stavano dando per vinti tranne il solito ranocchio testardo che continuava ad insistere.

Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio che, solo e con grande sforzo, raggiunse alla fine la cima.

Gli altri volevano sapere come avesse fatto.

Uno degli altri ranocchi si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere la prova.

E scoprirono che... era sordo!

Perciò non ascoltare le persone con la pessima abitudine di essere negative... derubano le migliori speranze del tuo cuore!

Ricorda sempre il potere che hanno le parole che ascolti o leggi.

Per cui, preoccupati di essere sempre positivo!

Sii sempre sordo quando qualcuno ti dice che non puoi realizzare i tuoi sogni.”

Ogni bambina ha un sogno nel cassetto ed immagina il suo futuro tinto di rosa; anch’io non facevo eccezione e speravo in una vita di lussi ed agi come certe principesse delle fiabe.

Così fu una sorta di shock quando mi fu imposto di frequentare una scuola per diventare maestra elementare, io che volevo iscrivermi al liceo ed annegare in un mare di cultura, costretta a badare ad una classe di marmocchi urlanti, che invece di ascoltarmi magari facevano mille boccacce e sberleffi.

Ubbidì all’ordine imposto da mia madre, ma le promisi solennemente di non voler insegnare, tanto meno ai ragazzini.

Sono così passati parecchi anni e si cresce, si matura, ci si modella consapevolmente e spesso quello che a noi ci sembrava così orribile, alla fine non è poi tanto brutto e magari non si storce più il naso quando viene proposto un incarico di docenza, ma anzi accettiamo con piacere perché è bello insegnare la propria esperienza di facilitatore sociale per chi ha deciso di intraprendere la medesima professione.

Senza contare che hai davanti persone adulte, consapevoli, e che hanno accettato di frequentare il corso per migliorare la propria vita e quella degli altri; così sono partita alla volta di Ferrara, non da sola ma con la mia amica, nonché collega, Eva, perché due teste sono sempre meglio di una.

desiderosa di apprendere!? È vero che avevo insegnato a precedenti corsi di Facilitatore Sociale, ma era la prima volta che stavo così lontano da casa mia e soprattutto davanti a persone totalmente sconosciute, ma bisogna aggiungere che c’era stato con loro un incontro il mercoledì precedente a Pisa, ma vuoi il clima pessimo (c’era stato un temporale che levati con tanto di tromba d’aria annessa), vuoi la scarsità di tempo che avevamo avuto per stare assieme non ero riuscita a conoscere i miei futuri allievi più di tanto.

Perciò l’emozione era fortissima, e da lì le usuali e solite”pippe mentali”che sorgono il giorno prima prima della docenza: sarò capace, sparerò delle boiate, si annoieranno, e se mi blocco che faccio ecc; fortunatamente il percorso di consapevolezza che ho intrapreso in tutti questi anni che sono a L’Alba ha fatto sì che le mie ossessioni, o”le quattro galline rosse che razzolano di continuo nella testa”, come le ho ribattezzate io non solo cessassero di esistere, ma diventassero anche un qualche cosa su cui scherzarci sopra durante la lezione.

La metafora delle galline razzolanti è piaciuta parecchio ed ha reso veramente bene il tormento che si prova quando si è preda di un pensiero ossessivo-compulsivo.

Messa da parte l’emozione, ho iniziato a fare lezione partendo dagli appunti che avevo usato nelle precedenti docenze; potrebbe essere definite

Eugenio Sanna Tiziana Bertoncini Body’s and sound air Coltano, Pisa 19th july 2012

La “Città del ragazzo”, luogo isolato, ma ricco di fascino, ci ha offerto un’atmosfera claustrale, ricca di spiritualità, con orari e tempi scanditi in maniera precisa, che da una parte ci ha sì impedito di godere della bellissima estense, ma dall’altra ha permesso di conoscerci meglio e di organizzare in maniera coordinata e logica le le due lezioni che dovevamo tenere.

Come istruire una classe tanto accogliente quanto

un “must” le mie slides che iniziano sempre con la “parabola del ranocchio”, una favoletta semplice con una sua morale ben precisa, però: nella vita bisogna essere sempre sordi a chi dice che non si possono realizzare i sogni che ciascuno ha dentro il cuore; ed il sogno di quella classe era di diventare Facilitatori Sociali, creare un gruppo d’auto aiuto e di realizzarsi sia professionalmente, sia come persone; così regalare loro fin dagli inizi una bella inie-

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zione di autostima mi è parso un ottimo modo per rompere il ghiaccio.

Devo dire che il ranocchio sordo è rimasto simpatico a tutti.

Mi sono arricchita facendo lezione, può sembrare strano, ma gli allievi, se veramente motivati, hanno molto da insegnare al loro maestro, ed io ho ripassato l’entusiasmo ad apprendere, ho approfondito la volontà di andare avanti nonostante le difficoltà, ed ho imparato come realizzare un progetto collettivo e cioè conoscendo bene gli obiettivi, le risorse e persino le avversità che si possono incontrare se si vuole portarlo avanti, descrivendo il tutto in una lettera da presentare alla psichiatra che ha finanziato il corso.

Ho focalizzato le lezioni sulla relazione d’aiuto ed i gruppi ribadendo più volte l’importanza dell’accoglienza, dell’assenza di giudizio, del non dispensare consigli, e dell’ascolto delle emozioni , devo ammettere che tutti, o quasi, hanno saputo dare una risposta corretta del perché bisogna seguire queste regole all’interno di un GAA, prima ancora che io le spiegassi; sono rimasta piacevolmente sorpresa di un comportamento così consapevole.

Insegnare è una cosa estremamente affascinante e difficile, ma vedere una classe numerosa che segue con attenzione quello che dici, e che alza la mano disciplinatamente per fare domande di approfondimento, ti riempie di una soddisfazione che è difficile descrivere; vorrei che tutti diventassero dei bravi Facilitatori Sociali, visto che le hanno le potenzialità, mi piacerebbe che il loro sogno di aprire dei GAA nella loro città si realizzasse, poiché a Ferrara non ne sono stati ancora creati, sarebbe davvero bello che acquistassero consapevolezza e capacità di gestire il proprio disturbo ed affrontare così i momenti di crisi per uscirne fuori il prima possibile, e come il piccolo ranocchio sordo arrivare alla cima della torre incuranti di chi dice loro di lasciare perdere.

Padova di Eva Campioni Questa settimana ho avuto una grande conferma dell’efficacia del lavoro di promozione delle tematiche dell’auto-aiuto e della riabilitazione psicosociale sul territorio che stiamo svolgendo: Francesca Bellandi, una studentessa che svolse in Associazione il servizio civile nel 2005, a distanza di sette anni ha invitato i facilitatori sociali a tenere un incontro informativo e didattico presso la Facoltà di Psicologia di Padova, all’interno del corso del Professor Gian Piero Turchi, suo relatore di tesi.

Roberto, Vessi, Fabiana ed io abbiamo accolto l’invito e siamo partiti, tra ansie per il lungo viaggio in macchina, inquietudini per l’attraversamento di una zona recentemente colpita dai terremoti, emozione ed entusiasmo per una nuova sfida: cercare di comunicare efficacemente il nostro lavoro a degli studenti universitari.

Francesca aveva ritrovato il ricordo vivo della sua esperienza di servizio civile studiando il modello della psicoterapia interazionista, di cui il Prof. Gian Piero Turchi è un esponente. Secondo questo modello, cercando di semplificare il più possibile, la malattia come disturbo del pensiero e disturbo comportamentale emerge quando la persona non si adatta bene al contesto (la famiglia, il lavoro, la società, il mondo) o, per meglio dire, si adatta in modo tale da sviluppare sofferenza e conflitti interiori. Secondo l’interazionismo sono importanti in questo processo le dinamiche del linguaggio e quello che accade nella vita quotidiana e modifi-

cando questi elementi si può migliorare la situazione.

Per fare degli esempi concreti: la stigmatizzazione, per cui una persona viene etichettata come”malata di mente”prevede che ci si rapporti a lei parlando in un certo modo, come fosse un bambino, come se non potesse capire niente, ecc… ecc… e prevede anche che si cerchi di rimanere a distanza da lei, isolandola e non coinvolgendola nelle”normali”attività fino a dimenticare e farle dimenticare di poter vivere come gli altri, i cosidetti”sani”.

Ad un livello ancora più ampio la stessa categorizzazione”sano”–”malato”è fonte di malattia.

Per capire meglio: se non esistesse la categoria”malattia mentale”, con tutto ciò che si porta dietro, che cosa succederebbe? Ci sono civiltà in cui quelle che attualmente sono diagnosticate clinicamente come malattie si inserirono nel contesto sociale in un altro modo, come gli uditori di voci che in alcune tribù indiane sono considerate moltissimo come persone più vicine alla divinità, che possono guidare gli altri.

In Associazione, nel nostro impegno quotidiano di modificare l’immaginario, cerchiamo di trasformare la concezione di”malato di mente inguaribile, pericoloso, imprevedibile e incapace di intendere e di volere”a”persona che facendosi aiutare e diventando protagonista della propria cura può trovare o ri-trovare il suo posto nella società, migliorando la qualità della propria vita e raggiungenfo la guarigione, se non quella clinica sicuramente quella sociale”…cercando però di raggiungere la meta più importante, quella in cui l’unica definizione per gli

”utenti/ex-utenti/guariti/riabilitati/ inseriti”, sia Gianni, Roberta, Mario, Filippo, Elena, Giulio ecc…”, con le loro storie di vita.

In un certo senso, è quindi un lavoro in linea con la prospettiva teorica dell’interazionismo.

Allo stesso modo il fatto di aver aperto un Circolo ARCI, in pieno Centro Storico, inserendo i percorsi di riabilitazione tramite il lavoro in un luogo di socializzazione e convivialità aperto a tutta la cittadinanza, scardina le associazioni di idee”malattia mentale – manicomio – ghetto – sofferenza”, favorendo quelle di”persone con una malattia curabile – momenti benessere – speranza – coraggio – accoglienza e cura delle relazioni umane… ecc… ecc…”.

Gli studenti erano molto interessati dai nostri racconti, ci hanno ringraziato calorosamente e ci facevano domande stimolanti: l’incontro che era previsto per due ore, si è prolungato per un’altra.

Il professore, al termine dell’incontro, ha lanciato una domanda agli studenti e anche a noi: “Ho notato che durante l’esposizione usavate spessissimo il termine “persona” sottolineando il fatto che doveva essere sostituito a “malato, utente, ecc…”, ma parlate anche di “guarigione sociale”. Questa espressione implica che ci sia una”malattia sociale”… è una questione su cui riflettere... È utilissimo questo scambio tra studenti e studiosi e noi che lavoriamo giorno dopo giorno, settimana dopo settimana: serve a far sì che la routine e la fatica quotidiana non appiattisca le nostre energie, serve a ricordare dove siamo, che cosa stiamo facendo e se lo possiamo fare ancora meglio…

Padova di Fabiana Pacini “Cielo plumbeo e nuvole basse che promettono pioggia imminente.

Mi vesto lentamente, gli abiti preparati la sera prima con accurata scelta, devo essere perfetta, controllo una seconda volta fuori dalla finestra, devo prendere l’impermeabile e le scarpe di pelle.

Una seconda controllata allo specchio: il trucco, i capelli,e l’abito; devo essere perfetta, perfetta almeno per me, prendo la borsa ed esco di casa.

Il tempo sta peggiorando, i miei passi risuonano gravi nel via, respiro lentamente, l’ansia mi stringe la gola come un cappio e penso a Padova così lontana.

Non è la prima volta che affronto una docenza, ma questa volta la situazione che mi si presenta è diversa, non è un corso tra “pari”, tra persone che

hanno vissuto sulla propria pelle il dolore del disagio mentale, ci saranno studenti universitari, futuri psicologi, persone che si trovano non dentro il dolore, ma davanti, magari comodamente seduti su una poltrona.

Il viaggio è lento, troppo, l’autostrada si presenta come una carovana di tir impazziti, mentre le prime gocce di pioggia colpiscono il parabrezza della nostra auto; la salita dell’appennino è iniziata.

Mi sento in sintonia con la natura che mi circonda, le cuffiette dell’Ipod mi isolano piacevolmente dai miei compagni di viaggio, non ho voglia di parlare in questo momento, ho solo voglia di frenare la mente che corre veloce al ritmo dell’ansia che ancora non ha deciso di lasciarmi, spalanco gli occhi sul panorama ed invidio gli uccelli che possono godere della bellezza delle montagne che scorrono pesanti dal finestrino.

Piove, adesso fa sul serio, cammino lentamente, l’ombrello aperto raccoglie il dolore del cielo, mi piace sentire il rumore delle gocce che s’infrangono sulla tela; attorno a me lo squallore freddo di un autogrill tra tir ed auto parcheggiati, tante piccole persone distratte che usufruiscono del bar e della toilette ciascuno perso nei propri problemi e nelle ansie quotidiane.

La mia lentamente sta scemando, invece.

-Siete mai state a Padova?- Domanda d’obbligo quando si viaggia assieme.

Ricordo un pomeriggio torrido d’agosto mano nella mano con mio marito, una breve tappa al ritorno dalla Croazia, la piazza di Prato della Valle con le sue statue in marmo bianco, la Basilica di Sant’Antonio con tutte le bancarelle attorno, e soprattutto un caldo terrificante da spezzare il fiato che non ci aveva impedito di essere stati felici lo stesso.

-Sì, ma è stata una visita breve.- È la mia risposta.

Siamo ancora in Emilia; mi sento sfiduciata, attorno a me solo pianura e pioggia; la noia mi assale e desidero essere da tutt’altra parte, magari dove splende il sole ed il cielo è di un azzurro così intenso da lasciarmi basita, rimpiango le belle montagne della tappa precedente adesso tutto è così piatto e monotono, monotono, monotono.

Siamo vicini, forse, vediamo i primi cartelli per Padova finalmente; adesso dobbiamo stare attenti a non perderci nella città; ogni minuto è prezioso, visto che tra meno di un’ora inizia la nostra lezione e dobbiamo incontrare la ragazza che ha organizzato il tutto.

La ricerca della strada corretta mette di nuovo in moto i miei sensi, adesso sono sveglia e vigile, la mia vista cerca indizi, anche minimi, sulla via che dobbiamo imboccare.

-Bingo!- Esclamo ogni volta che abbiamo indovinato la direzione corretta.

Ed una serie di bingo ci porta vicino alla facoltà di

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psicologia, dove parcheggiamo e ci incontriamo con Francesca. È duro ricordarsi di una persona che hai conosciuto quando frequentavi l’associazione L’Alba solo due volte a settimana, ma piano piano il volto ritorna familiare e le esperienze vissute in comune riemergono dalla melma del passato.

-Ricordi di...-È la parola che più è stata detta durante quella breve pausa al bar.

Sorseggio la mia Coca Cola e nel frattempo penso a che cosa dovrò spiegare; di certo userò le mie solite slides sulla figura del facilitatore sociale, saltando la parabola del ranocchio per motivi di tempo, ed incentrandomi soprattutto su cosa fa e non fa con un breve accenno ai gruppi di auto mutuo aiuto.

Potrei anche non usare le slides, ma sono la mia coperta di Linus contro l’ansia, magari posso anche non vederle, ma sapere che sono proiettate sulla parete mi rendono sicura e spigliata.

Il terrore di fare una brutta figura è sempre presente.

Ma è tempo di andare, adesso non posso più pensare né all’ansia, né alle figuracce, posso solo concentrami ed impegnarmi nel fare del mio meglio.

La facoltà di psicologia è un ambiente moderno, noto con stupore i monitor in cui sono riportate le lezioni con

relativa aula, e ricordo che ai miei tempi tutto era affidato alla nostra memoria ed un’agenda che portavi sempre con te.

Incontriamo il professore, che dispiaciuto comunica che l’aula contiene meno studenti del solito, a causa del terremoto che recentemente ha colpito l’Emilia e che si è sentito pure nel Veneto.

Entriamo nell’aula; respiro profondamente e mi siedo.

Non sono affatto tranquilla, sotto la sedia ho come spilli acuminati, mi devo alzare e fare un giro in bagno per calmare il respiro, poi rientro.

I ragazzi sono molto attenti ed incuriositi, noto che ascoltano volentieri le nostre esperienze e questo mi piace.

I primi gruppi d’auto aiuto in clinica, la nascita dell’associazione, la creazione del circolo tappe storiche fondamentali che hanno segnato in positivo sia mia vita sia quella di coloro che mi hanno accompagnato e che ci hanno trasformato da persone sofferenti ed isolate in individui integrati nel mondo, ciascuno con le proprie difficoltà, ma perfettamente consapevoli che queste possono essere affrontate e superate con l’aiuto di quell’incredibile insieme di forze che è L’Alba.

Tocca a me; sono calma adesso, le parole dei miei amici mi hanno scaldato il cuore e sono carica di energia.

Inizio a parlare, la mia voce è pacata, e come

immaginavo, non guardo le slides, ma quello che ho dentro di me.

Le domande sono molte, buon segno.

Mi è rimasta impressa quella di un giovane uomo che ci chiedeva che cosa poteva fare uno psicologo se esisteva la figura del facilitatore sociale; personalmente ho risposto dicendo che una persona può uscire più facilmente da una situazione di disagio con l’aiuto dello psichiatra (stabilizzazione farmacologica), psicologo (comprensione di se stesso) e facilitatore sociale (socializzazione e guarigione

sociale) con la realizzazione di un progetto mirato e costruito con l’aiuto del diretto interessato.

Soddisfazione alla fine.

I ragazzi sono rimasti con noi un’ora in più del previsto; la lezione li ha davvero interessati e anche noi siamo rimasti soddisfatti dal loro intervento.

Quando siamo usciti fuori c’era il sole ad aspettarci, squarci di luce dal cielo ci hanno accompagnato durante il viaggio di ritorno quasi a dirci: bravi, siete stati veramente in gamba.

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Corso Facilitatori Ferrara

La parola ai

protagonisti

Interventi dal Convegno:”Il Facilitatore Sociale per il disagio psichico: dinamiche di rispecchiamento nella relazione d’aiuto”, tenutosi a Ferrara il 22 Giugno 2012 presso il Centro Studi Opera Don Calabria”Città del Ragazzo”a conclusione del Corso di Formazione per Facilitatori Sociali.

Sono Cristina Mantoan, infermiera del Servizio

Psichiatrico Territoriale di Ferrara. Con Angela Gallerani e la Dott.ssa Bivi ho partecipato a questa esperienza in qualità di docente del corso e di supporto ai corsisti durante il tirocinio, attraverso gli incontri settimanali di”manutenzione del gruppo”di cui ha già parlato la Dott.ssa Bivi. Quindi posso dire di avere avuto una visione a 360 ° di questa iniziativa. I corsisti in questi mesi hanno sempre di-

I partecipanti al Corso per Facilitatori Sociali di Ferrara

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mostrato interesse, sia in aula che durante il tirocinio. Si sono messi in gioco, ognuno con le proprie caratteristiche, durante le numerose simulate che abbiamo fatto. Ci hanno dato sempre un rimando positivo rispetto a ciò che stavamo facendo e questo è stato utile perchè era la prima volta anche per noi. Qui con me ci sono Sara, Max e Davide, corsisti che vi parleranno del ruolo di facilitatore, ci racconteranno delle loro aspettative, delle loro idee e di alcune esperienze avvenute durante il tirocinio.

Sara: Sono un facilitatore sociale, ho partecipato al corso che si è appena concluso. Vorrei parlarvi di un episodio accaduto durante il mio tirocinio presso il Centro Diurno di San Bartolo. Una mattina ero nella sala insieme a tutti gli ospiti ed una signora si è avvicinata dicendomi che quel giorno era triste. Mi sono seduta accanto a lei e l'ho ascoltata. Alla fine la signora mi ha stretto la mano, mi ha ringraziato di averla ascoltata e mi ha detto che si sentiva meglio. In quel momento mi sono davvero sentita un facilitatore.

Max: Buogiorno a tutti. Mi chiamo Massimiliano Nava e voglio parlarvi della mia esperienza di corsista nel progetto di formazione di facilitatore sociale. Questo corso mi è stato molto utile e vorrei parlarvi in particolare dell'esperienza portata dall' Associazione L'Alba di Pisa. I componenti dell' associazione sono stati nostri docenti durante il corso in aula, ci hanno fornito del materiale, un libro del progetto ”Nuovi spazi di vita: Silvano Arieti” con un DVD e ci hanno ospitato a Pisa per vedere dal vivo come funziona la loro associazione. In particolare nel DVD abbiamo visto raccontare vicende vissute da persone disabili psichiche o fisiche che ce l'hanno fatta a guarire, hanno aumentato le proprie abilità, si sono ripresi alcuni spazi di vita. Una delle cose che ci ha colpiti di più è stata l'esperienza di una signora dell'associazione che grazie al sostegno della stessa, ha iniziato a lavorare con soddisfazione come cuoca del ristorante e a non avere più bisogno di farmaci. Quello che vorrei portare come messaggio a nome di tutto il gruppo è che siamo tutti persone normali, che combattiamo quotidianamente con le difficoltà e puntiamo a star bene come tutte le persone umane. Dopo questo corso speriamo di essere diventati dei veri facilitatori capaci di aiutare chi è più in difficoltà di noi nel proprio percorso di cura e di vita.

Davide: Buongiorno mi chiamo Davide Barbieri. Ho fatto il corso di facilitatore sociale avendo già un'esperienza di utente esperto presso il Centro Diurno Maccacaro. Con l'esperienza di questo corso e del relativo stage, questo gruppo si è talmente affiatato che abbiamo deciso di creare un gruppo di autoaiuto. Avendo già a disposizione gli spazi del Club Integriamoci, associazione di volontariato ONLUS con sede in Viale Cavour a Ferrara, abbiamo pensato di utilizzare tali spazi per continuare a riunirci una volta finito il corso. Questo corso ci è stato molto utile e ci è piaciuto tanto, ma pensiamo di avere la possibilità di migliorare la nostra esperienza sul campo, per cui tutti quanti siamo d'accordo, se possibile, che il contributo dato dall' ASP e dall'azienda USL per le borse lavoro possa essere suddiviso tra tutte le persone che vogliono continuare questa esperienza. Adesso vorrei parlare di un episodio tra i tanti che m'è capitato durante lo stage presso il Centro Diurno “Il Convento” di San Bartolo. Un paziente che si rifiutava da tempo di collaborare all' attività di sparecchiare la tavola, nonostante le continue sollecitazioni degli operatori, è stato da me invitato a svolgere insieme tale attività. Il paziente ha accettato il mio aiuto e ultimamente abbiamo lavorato insieme alla nostra attività. Questa esperienza è stata utile a me perchè mi ha permesso di instaurare delle relazioni di amicizia.

Cristina: Vorrei ringraziare tutti coloro che, all'interno del nostro servizio, hanno affiancato i facilitatori sociali in questa prima esperienza ferrarese. Quindi, infermieri, educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica, O.s.s., coordinatori, assistenti sociali, volontari del servizio civile e medici del Centro Diurno Maccacaro e di San Bartolo, SPT di Ferrara e Portomaggiore. Vorrei ringraziare anche la Residenza “La Luna” che non è stata sede di tirocinio, ma ci ha ospitati una mattina favorendo uno scambio di esperienze molto positivo. Un grazie particolare al tutor d'aula Lorenzo Malossi, che ha contribuito a creare un clima sereno e collaborativo fra tutti i partecipanti a questa iniziativa, con la sua presenza costante in aula. Facciamo nostro il suo motto: “Che problema c'è...".

“e quell’infame sorrise” di Maria Velia Lorenzi

Che Edmondo De Amicis esagerò è evidente. Penso che si sia lasciato trasportare da un’onda enfatica, tesa ad emozionare i lettori, mentre navigava nel mare dei buoni sentimenti della sua epoca.

Così, ha lasciato aperto un pertugio insidioso, uno di quei pertugi in cui si infilano i rivisitatori, quelli che caratterizzano la nostra di epoca. C’è, ormai, una visione del libro “Cuore” che lo demolisce e, in realtà, leggendolo oggi, serve molto considerare quando quelle pagine furono scritte. Per esempio, oggi è esaltazione che fa sorridere l’enfasi del padre che accarezza il figlio con la mano che ha stretto la mano al re, come lo è l’accanimento, teso a provocare disgusto del male, in quel dire: “Franti, tu uccidi tua madre. E quell’infame sorrise”. Questo mina non poco tutto il narrato (anche se a me, che ho letto Cuore” fino a saperlo a memoria durante la mia infanzia avara di libri, senza tivvù e prodiga di malattie curabili soprattutto a letto, questi passi non mi pare abbiano procurato danni: sentivo che erano esagerazioni). Quel libro, ne sono ancora convinta, messo in mano ai bambini, può lasciar loro dentro

un po’ più di riflessione di molta altra letteratura di cartoni e no, tesa a narrare prodigi, magie e poteri inesistenti. Almeno può sviluppare in loro il senso critico. In una realtà come quella attuale, ci vuole coraggio anche a dire questo. Ma la mia nipotina mi ha fatto una domanda che non mi sarei aspettata da lei: “Nonna, tu lo sai perché siamo al mondo?” Che risponderle senza cadere nel banale, nel falso o nel retorico? Qualcosa le ho detto, facendo parlare molto anche lei. Ma la risposta è sospesa e lo sarà, naturalmente. Chi può davvero sapere perché? Una ragione, però, può abitare in questo: avere coraggio. Anche di cose che sembrano di poca importanza. Ma, per tornare al De Amicis, “quell’infame sorrise”, nello sforzo di rendere Franti, simbolo del male e veramente disgustoso, lo scrittore è inciampato nel fatto che è doveroso esser prudenti nel chiamare infame un bambino. Infame è molto più di cattivo, anche di delinquente, figuriamoci poi di discolo, insopportabile, agitato, insofferente, incosciente, indisciplinato. Franti era così cattivo, che doveva esser per forza nato cattivo e doveva morir cattivo. La cattiveria di Franti non ha, in “Cuore”, un perché. Non si domandò il De Amicis il perché di quel tristo sorriso. Spesso i bambini appaioni cattivi perché incompresi, proprio perché chiamati “cattivi”

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ed ormai rassegnati a esserlo: la bontà la considerano una ricchezza irraggiungibile per loro e quindi una nemica. E, umiliati pubblicamente, possono nascondersi dietro un sorriso beffardo, teso a mascherare un dolore che gli adulti non sanno capire.

Quel sorriso è una sfida, una difesa. Che questo descritto bambinaccio negativo, da me disprezzato per anni, può essere che ora offuschi con un velo di dubbio tutto l’eroismo e l’amore incondizionato di ”Cuore”, me lo ha fatto venire in mente un fatto di cronaca. Un bambino di quattro mesi è stato rapito dall’ospedale dove attendeva di essere affidato, di lì a poco, a una coppia. Rapito dai suoi veri genitori, due giovani non in grado di accudirlo perché tossici. E fin qui.... Ma nell’articolo si parlava di rapitori, e che questi due disgraziati fossero i genitori del piccolo si capiva solo dopo. Rapitori lo erano, ma il loro cuore non lo sapeva, perché si trattava del loro bambino. Chi non sa cosa sia esser privati di un figlio non sa nulla. Non erano due rapitori, ma due che amavano senza averne il diritto. Nell’articolo, sono i cattivi il cui cuore non va considerato. Sono fuggiti con lui, braccati. Il loro grande sbaglio l’hanno pagato. Il bimbo rapito è stato ritrovato. Penso che il programma sia che devono recuperare, dimostrare di poter tenere quel figlio, non so. E intanto? Proteggere il bambino? Certo. Ma allora non sono bambini anche quelli dei rom che, pizzicati a rubare, siccome poi, davanti ai poliziotti nessuno li riconosce come figli, sono riportati in caserma per

Progetto ALBA Terra 2012 condotto da Rita La Mura

Progetto Il Viaggio Azione Coltano Coltano, Pisa - july 2012

esser rimessi sulla strada? Pilato insegna. Dalle case di accoglienza fuggono, dice. Ma che non ci sia un modo per proteggere anche questa di infanzia? Domande. Perché mi domando, nel nostro mondo che inneggia al progresso e alla genialità degli studiosi, non si progettano programmi di recupero seguiti passo per passo, programmi che comprendano la protezione e la guida anche di genitori come quelli che si sono trasformati in rapitori, per farli vivere insieme ai figli, invece di strapparglieli? È solo una domanda che mi faccio, per carità, consapevole della difficoltà e del costo di un simile progetto. Una domanda che mi detta la consapevolezza ormai acquisita che chi precipita nei danni di un qualsiasi disagio, diventando scomodo, alla fine assume le sembianze dell’ingiusto, il non giusto da togliere di mezzo. Non è sempre stato così? È più facile, più semplice, perché il cuore viene messo a tacere. Il cuore non sbaglia, ma propone strade più impervie di quelle della ragione, mette davanti a fatica, rinunce, sacrifici. Questo mondo ben le capisce le cose. Sa di psicologia e filosofia, riabilitazione e sociologia, assistenza e recupero, ma è troppo affascinato dall’apparire ed ha sempre una gran fretta. E quando si ha una fretta cane, quando mai si sceglie la via più impervia, quando la scelta è libera?

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Da Kronos a Kairos:

il tempo ideale per la cura

di Liliana dell’Osso, Giovanni Cioni, Luciano Conti

Il 15 e 16 Giugno 2012 si è svolta, presso il Centro Congressi Golden Tulip di Pisa, la quinta edizione delle Giornate Pisane di Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica, un Convegno considerato ormai uno dei maggiori eventi psichiatrici italiani, come testimoniano sia il livello dei relatori, sia il numero dei partecipanti (oltre 500 tra psichiatri dell’età evolutiva e dell’adulto, psicologi operatori socio-sanitari con varie competenze nell’area dell’assistenza e della riabilitazione psichiatrica nelle diverse età).

Importanti autorità accademiche e istituzionali hanno salutato l’apertura del Congresso sottolineando l’importanza della continuità nella ricerca e nell’assistenza fra le due popolazioni di pazienti nell’ottica dell’individuazione precoce del disagio psichico e del suo trattamento nel momento più opportuno (Kairos) indipendentemente dall’età (Kronos) in cui si manifesta. Il Prof. Bevilacqua ha portato il saluto del Magnifico Rettore e del Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa. Il Prof: Mario Maj, Presidente della World Psychiatric Association, ha sottolineato l’attualità del tema congressuale, oggetto di approfondite discussioni nella prospettiva della revisione della classificazione diagnostica dei disturbi mentali. Il Dott. Damone, Direttore Generale della ASL pisana ha voluto

manifestare il suo apprezzamento per questa iniziativa sottolineando come lo sforzo di armonizzare l’assistenza tra i giovani e gli adulti rappresenti un significativo avanzamento nell’ottica di una più completa integrazione dell’assistenza che è il primario obbiettivo della politica sanitaria della Regione Toscana.

Il tema di quest’anno,”Da Krono a Kairos: il tempo ideale per la cura”, era particolarmente interessante poiché metteva a diretto confronto gli psichiatri ed i neuropsichiatri infantili, provenienti da diverse parti d’Italia ed anche dall’estero, sui vari

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aspetti della patologia psichiatrica nell’età evolutiva e nell’adulto. Il Convegno si proponeva, infatti, attraverso questo confronto diretto, di abbattere gli steccati che, praticamente da sempre, hanno separato la psichiatria dell’età evolutiva da quella dell’adulto, come se la vita non fosse un continuum e che, con la maggiore età, si resettasse tutto e si ripartisse da zero. È un dato di fatto che gli specialisti dei due settori si occupano, a livello di ricerca e di pratica clinica, degli stessi disturbi psichici nelle due fasce di popolazione, come se fossero entità separate e diverse e non, invece, la stessa patologia ad insorgenza in momenti cronologici diversi. E, per di più, gli psichiatri da un lato ed i neuropsichiatri dall’altro, comunicano ognuno quasi esclusivamente con altri psichiatri o, rispettivamente, altri neuropsichiatri senza condividere le esperienze gli uni con gli altri di modo che gli psichiatri rischiano di non conoscere a fondo le radici dei disturbi dei loro pazienti, i neuropsichiatri di non poter verificare nel tempo i risultati del proprio intervento (ed è ben noto, non solo in medicina, quali e quanti importanti feedback possono derivare dalla conoscenza degli effetti a medio e lungo termine delle nostre azioni). È per questo, per cercare di stabilire una comunicazione diretta ed una collaborazione tra psichiatria dell’età evolutiva e psichiatria dell’adulto, che la Prof. Liliana Dell’Osso (Direttore dell’Unità operativa di Psichiatria universitaria, Coordinatore della didattica e della ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’AOUP), in sinergia con il Prof. Giovanni Cioni (Direttore dell’Unità operativa di Neuropsichiatria infantile universitaria e Direttore scientifico dell’IRCCS Stella Maris), ha voluto tracciare, nel titolo, la linea-guida del convegno, cioè il passaggio dal tempo cronologico (Kronos) al tempo ideale (Kairos) così da sottolineare che, indipendentemente dall’età, è necessario essere pronti ad intervenire nel momento più adatto in modo da gettare le basi per un risultato terapeutico ottimale. Nell’introduzione al Convegno, la Prof. Dell’Osso ha sottolineato che, come tutti sappiamo, l’intervento terapeutico probabilmente più efficace è quello attuato tempestivamente, prima che si sviluppi a pieno la patologia e che si creino quei condizionamenti, non solo psicologici ma anche biologici e neurologici, che rischiano di alterare permanentemente lo psichismo del soggetto. Non si deve dimenticare, infatti, che nell’infanzia e nell’adolescenza il cervello è ancora in fase di organizzazione e strutturazione e che le esperienze vissute in quei momenti lasciano tracce indelebili tanto sul piano psichico quanto (soprattutto) su quello biologico modificando in maniera permanente le connessioni interneuronali e creando circuiti patologici che possono o non estinguersi o riattivarsi anche dopo anni, rafforzandosi

ogni volta che si riattivano facilitando ulteriormente il ripetersi del disturbo. Ha ricordato, poi, che ormai numerosi sono gli studi a livello internazionale che documentano come la patologia psichica possa insorgere anche nelle prime età della vita ma che spesso, per una diversa impostazione teoretica, non viene correttamente diagnosticata né trattata con i più appropriati strumenti terapeutici (psicologici e farmacologici) rischiando così di perdere il momento propizio per la cura (Kairos) con tutte le conseguenze del caso. È stato dimostrato, infatti, che l’intervento precoce sui disturbi mentali del bambino può migliorare la prognosi a lungo termine attraverso la promozione di relazioni interpersonali protettive, il rafforzamento del funzionamento scolastico e, successivamente, di quello professionale, l’arresto della progressione della malattia ed il miglioramento della salute generale a patto che l’approccio al trattamento sia più”deciso”rispetto a quello tradizionalmente impiegato nei bambini e negli adolescenti (Hazel, 2007).

Dire che la patologia mentale dell’adulto affonda le sue radici, più o meno clinicamente evidenti, nell’infanzia e nell’adolescenza, potrebbe sembrare un’affermazione banale e scontata dato che fra il bambino e l’adulto non può non esserci una continuità bio-psicologica di cui possiamo trovare traccia anche quando gravi malattie o gravi traumi provocano trasformazioni anche molto radicali dell’individuo. Purtroppo l’artificiosa separazione in base a criteri puramente cronologici fra psichiatria dell’età evolutiva e psichiatria dell’adulto, ha inevitabilmente comportato separazioni anche organizzative, strutturali, di metodologie, di linguaggio ed anche ideologiche (di cui è espressione più significativa il pressoché esclusivo approccio psicologico/psicodinamico alla patologia mentale dell’infanzia, contrapposto al prevalente approccio biologico alla patologia psichica dell’adulto), che hanno fortemente ostacolato la comunicazione tra gli operatori dei due campi e creato un’artificiosa frattura. È per questo che, spesso, l’adulto che giunge all’osservazione psichiatrica è come se non avesse un passato dato che, quasi sempre, è difficile ricostruire gli eventuali precedenti psichiatrici infantogiovanili, e non solo quelli sottosoglia ma anche quelli clinicamente manifesti, importanti (e spesso indispensabili) per poter capire a pieno l’episodio in esame, le sue possibili evoluzioni nel tempo e le comorbidità che possono accompagnarlo, e poterlo trattare in maniera più mirata e quindi potenzialmente più efficace. L’attenta e approfondita osservazione dei pazienti conferma ogni giorno di più gli stretti legami della patologia dell’infanzia, anche sottosoglia, con quella dell’adulto, anche se questa può essere anche profondamente modificata dagli effetti patoplastici dell’età e degli eventi di vita ed è

sempre più evidente il fatto che il paziente-adulto è stato molto spesso un paziente-bambino la cui patologia non è stata diagnosticata, o è stata sottovalutata, o comunque non è stata adeguatamente trattata con i diversi strumenti disponibili (psicofarmaci e psico-socioterapia). È scavando a ritroso nella vita del paziente con indagini mirate che si possono mettere in evidenza tratti, comportamenti, disturbi, che il paziente stesso e/o i familiari non prendono nella giusta considerazione di fronte a domande generiche ma che “scoprono” in conseguenza di domande mirate.

Il Convegno ha preso le mosse dai problemi della classificazione diagnostica che non di rado è il primo ostacolo alla comunicazione tra gli psichiatri dei due campi: ne sono stati sottolineati i problemi e ne sono state suggerite e auspicate possibili armonizzazioni in vista della prossima pubblicazione del DSM-5, che dovrebbe affiancare alla rigida classificazione categoriale attuale una più flessibile classificazione dimensionale che rivaluti gli aspetti sintomatologici, transnosografici, che colgono meglio gli aspetti più personali del quadro psicopatologico.

Sono stati poi passati in rassegna i disturbi d’ansia, con particolare riferimento al Disturbo OssessivoCompulsivo (DOC) ed al Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) a proposito del quale molto interesse hanno destato i risultati della ricerca sui sopravvissuti al terremoto di L’Aquila condotta dall’équipe della Prof. Dell’Osso e quella del Prof.

Rossi dell’Aquila. Sono stati esaminati i disturbi dell’umore, la comorbidità conclamata e quella cosiddetta di spettro, le condotte impulsive e lo spettro autistico, il problema delle dipendenze vecchie e nuove e lo spettro psicotico.

Nella sezione dedicata allo spettro bipolare ed alla comorbidità, particolare interesse hanno suscitato le relazioni del Prof. Santosh di Londra, che ha illustrato le caratteristiche del Disturbo Bipolare nell’infanzia, e della Prof. Ramacciotti di Pisa, che ha parlato della comorbidità tra Disturbo Bipolare e Disturbo del Comportamento Alimentare.

Si è parlato anche di condotte impulsive e del suicidio nell’adolescenza e nell’adulto e dei peculiari problemi che suscitano, nel passaggio dalla psichiatria dell’età evolutiva a quella dell’adulto, i soggetti con disturbi dello spettro autistico. Particolare interesse ha suscitato la relazione del Prof. Politi di Pavia che ha illustrato l’opera di recupero e di integrazione che, assieme alla sua équipe, ha avviato su di un gruppo di soggetti autistici di diverse età.

Ampio spazio ha avuto la trattazione dei disturbi psicotici tra infanzia ed età adulta con particolare attenzione alle forme ad esordio precoce. Nel corso della nutrita discussione, la Prof. Dell’Osso ha voluto ricordare che, nel campo delle psicosi, accesa è sempre stata la diatriba tra le diverse Scuole

universitarie sull’opportunità o meno di estendere o restringere i confini diagnostici della schizofrenia.

La Scuola pisana ha sempre sostenuto l’opportunità di ridimensionare la diagnosi di schizofrenia privilegiando un approccio multidimensionale il cui risultato è un mosaico di elementi sindromici di rilievo clinico ed anche subclinico che consente un approccio psico- e farmacoterapeutico articolato in diversi step successivi che mirano alla remissione completa della sintomatologia. Questo approccio, attraverso il controllo delle singole dimensioni sindromiche, consente, da un lato, un miglioramento del funzionamento globale e della qualità della vita e, dall’altro, di ridurre le implicazioni negative associate a questa diagnosi sia dal punto di vista terapeutico e prognostico, sia dal punto di vista dello stigma sociale ancora lontano dall’essere superato.

Ricca e interessante è stata anche la sezione dei poster dei quali i migliori 11 con primo autore di età inferiore a 35 anni, sono stati premiati. In appendice ne è riportato l’elenco.

Alla chiusura del Convegno è intervenuto il neoassessore alla Sanità della Regione Toscana, Dott. Marroni, che ha salutato i convegnisti e si è complimentato per l’elevato livello scientifico degli argomenti trattati. Ha concluso il suo intervento assicurando la massima attenzione verso le problematiche che l’assistenza psichiatrica, sia dell’età evolutiva che dell’adulto, pone tanto a livello del trattamento quanto a livello del reinserimento psicosociale.

La Prof. Dell’Osso, dopo aver ringraziato L’Assessore per il suo interessamento, ha dato ai convegnisti appuntamento all’anno prossimo per la sesta edizione delle”Giornate Pisane di Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica”.

Elenco dei Poster premiati Per la Psichiatria dell’adulto: 1.

C. DI VANNI, E. FAZIO GELATA, F. RAIMONDI, A. RIU, D. GALLO (ASSOCIAZIONE L’ALBA). C. ROSSI (AZIENDA USL PISA), A. LENZI: IPERSTIMOLAZIONE E DISABILITA’ INTELLETTIVA 2.

SOCCI C., CARMASSI C., CORSI M., PERGENTINI I., MASSIMETTI E., SCHIAVI E., DELL’OSSO L.: LUTTO COMPLICATO: UN CASO CLINICO 3.

DEL GRANDE C., LUCHI M., CORSI M., PERGENTINI I., TURRI M. MUSETTI L., CORSINI G. U., DELL’OSSO L.: TRATTAMENTO DEGLI EPISODI MANIACALI E MISTI: LITIO IN MONO-

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TERAPIA VS ASSOCIAZIONE LITIO PIU’ VALPROATO 4.

ROVALI LUCA, MAREMMANI ANGELO ICRO, RUGANI FABIO, SLVIA BRACCIARDI, DELL’OSSO LILIANA, MAREMMANI ICRO: SUBSTANCE ABUSE IN BIPOLAR HEROIN ADDICTS ACCORDING TO THE CLINICAL PRESENTATION AT TREATMENT ENTRY 5.

S. AGUSTO, P.F. CALABRO’, A.CALDERONE, F. SANTINI, S. CALUGI, U. BOGGI, M. MAURI: VALUTAZIONE PSICOPATOLOGICA E QUALITA’ DI VITA DI UN GRUPPO DI PAZIENTI CANDIDATI A TRAPIANTO DI RENEPANCREAS 6.

FELICE FRANCESCA, DI STEFANO ROSSELLA, PINI STEFANO, MAZZOTTA GIANFRANCO, OLIGERI CLAUDIA, BOVENZI FRANCESCO, BORELLI LUCIA, BERTOLI DANIELE, MICHI PAOLA, MUCCIGNAT ALESSANDRO, ABELLI MARIANNA, GESI CAMILLA, LARI LISA, CARDINI ALESSANDRA, BALBARINI ALBERTO: IMPACT OF THEPRESSUON ON CIRCULATING ENDOTHELIAL PROGENITOR CELLS: A STUDY CONDACTED IN PATIENTS WITH A CUTE CORONARY SYNDROME 7.

CECCONI L., PINI S., DI LUCA P., CALUGI S., NANNIPIERI M., GUARINO D., FERRANINI E.,: GENERAL PSYCHOPATOLOGY AND EFFECTIVE TEMPERAMENT EVALUATION IN A SAMPLE OF OBESE PATIENTS UNDERGOING BARIATRIC SURGERY Per la Neuropsichiatria Infantile: 1.

CONTI E., PANNEK K., FIORI S., BROVEDANI P., SCELFO D., ROSE S., TOSETTI M., GUZZETTA A.: APPLICATION OF HARDI DIFFUSION WEIGHTED IMAGING TO A CHILD WITH AUTISM SPECTRUM DISORDER AND COMPARISON WITH HIS UNAFFECTED IDENTICAL TWIN 2.

LENZI F., MANFREDI A., MURATORI P., POLIDORI L., RUGLIONI R., GEMO I.:“SOMETHING WORKS”: DATI DI EFFICACIA DELL’INTERVENTO MULTIMDALE NEI DISRTURBI DELLA CONDOTTA IN ETA’ EVOLUTIVA 3.

FULCERI F., CALDERONI S., NARZISI A., DOMENICI I., BROCCHINI J., BALDINI S., APICELLA F., COSENZA A., TANCREDI R., MURATORI F.: LA VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI RIPETITIVI NEI BAMBINI PRESCOLARI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO 4.

BOZZA M., TERESA L., BARGAGNA S.: DISTURBI PSICHIATRICI IN ADULTI CON SINDROME DI DOWN: DIFFICOLTA’ NELLA DIAGNOSI E NEL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

La ri-scoperta

di Pisa di Eugenio Sanna

La natura uterina della città di Pisa determinata dall’avvicendarsi dei vicoli, provoca in tutti coloro che li percorrono, un continuo senso di nascita e rinascita. La parte sacra situata nella Piazza Dei Miracoli, in cui un enorme fallo torreggia in maniera vistosa e simbolica, si accoppia sacrilego con il vuoto cavo-naturale dei vicoli la cui natura è umida, lubrificata e scivolosa proprio come quella di una vagina.

photo Riccardo Romeo

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Esprimersi

Scrivendo

a cura del laboratorio dell’Associazione l’Alba condotto da Maria Velia Lorenzi

Vorrei un’anima Vorrei un’anima Candida come la neve Ma che non ingrigisca.

Ci fu un tempo in cui Forse l’ho sognata.

Vivere con l’uragano alle spalle Fiacca.

Se il candore perde la sua luce Dove trovare riparo?

Chiudere gli occhi Per non assistere Al sangue di una colomba ferita.

Giovanna Roventini

Sperare Amore è sempre stato per me il centro della mia anima, VolterraTeatro - july 2012 lo specchio in cui essa disvela le sue belle sembianze.

La fine di un amore è un cielo senza stelle, un vuoto spazio che ti opprime, uno spazio di tenebre che non ti fanno più vedere i colori della natura.

Altrove sbocceranno le gemme, altrove sarà Primavera.

Poi solo sperare che un’alba riporti in te la luce persa, e aprendo la finestra al mattino, il sole ti inondi di una fiduciosa visione.

Giovanna Roventini

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arare

Prendo in mano la tua foto e ti guardo a lungo, io non ti ho conosciuto di persona, perché sono nata molti anni dopo la tua morte.

Rivedo in te molti tratti comuni a mia madre, cioè la tua settima figlia. Grandi occhi azzurri che esprimevano luce, una testa tonda ben fatta in una bocca sorridente. Sei ripreso fino al busto, perciò non posso vedere quello che più mi interessava: le tue mani di contadino avvezze alla fatica.

C’era però mamma che nelle storie che mi raccontava ti faceva rivivere, eri un uomo forte e avevi un pugno proibito, cioè non potevi fare a pugni, perché troppa forza era nelle tue mani. In realtà eri un uomo mitissimo, che carezzava la mucca quando partoriva e il vitellino appena nato come fosse un figlio.

Quelle mani sapevano suonare la fisarmonica ed amavi radunare intorno a te anche altri contadini, a cantare e a ballare sull’aia.

Amavi talmente la campagna e le sue piante da chiamare mia madre Oliva.

Ascoltavo le storie su di te con tanto interesse: la lotta che ogni giorno combattevi con l’aratro su una terra dura e pietrosa. Tutto il giorno dopo la pausa per mangiare sotto un albero, quella era la tua vita.

Successe poi però che la realtà doveva farsi ancora più dura e fosti richiamato alle armi a combattere sul Carso.

Ritornasti con una medaglia ma con i piedi congelati, non eri però del tutto invalido per le autorità. Ti fecero mettere degli scarponi fatti apposta e con quelli ancora lavorare, lavori poco faticosi s’intende, ma non era del tutto reciso l’ombelico tra te e la terra, terra che ha corroso il tuo stomaco dalla fatica, penso, quando esso ha cominciato a vomitare sangue.

Poi sei rimasto vedovo con sette figli, la moglie morta di tetano, perché feritasi al piede da una canna.

Mamma aveva tre anni e tu la prendevi in collo quando piangeva, diventando anche materno.

A volte, se mi trovo in un campo, mi viene fatto di prendere in mano una zolla e pensare che molte di queste tu hai tradotto in terra fertile, pronta alla semina.

Io amo questo odore che si lega alla tua storia e a quella di mamma e penso che sia da voi che ho ereditato un immenso amore per la terra.

Giovanna Roventini

Indora la terra il sole, i suoi raggi penetrano nella terra nuda pronta ad essere arata, anticamente con i buoi, ora con macchinari moderni. Tanti sacrifici i nostri nonni, bisnonni hanno fatto.

La vita era dura. Tutto la giornata al lavoro.

I racconti di mia mamma dei suoi genitori contadini mi commuovono, lei da piccina non aveva neanche le scarpe. Ma lei era sempre felice e contenta.

Ora sembra banale, si va al supermercato ed è tutto pronto, si mette nel carrello e via.

Penso ai capricci che facevo da bambina e invece mia mamma da piccola andava felice a piedi nudi per i boschi, a prendere l’acqua al pozzo, a scuola nella neve alta e oltrepassare un torrente con un tronco come ponticello.

Io invece feci una bizza tale un giorno, piccolina, per un gelato che non mi piaceva.

Con questa parola”arare”sento dentro di me una inquietudine, penso ai sacrifici dei miei genitori e io che in tutta la mia vita ho fatto poco. Ho da dissodare ancora tanto dentro me.

Daniela Cellai

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Dalla notte dei tempi l’uomo è andato sempre migliorando il suo stile di vita.

Prima cacciatore, raccoglitore sempre alla ricerca di cibo per nutrirsi e di pelli per vestirsi.

Se torniamo indietro nel tempo e guardiamo come vivevano i nostri antenati soltanto cento anni fa. vediamo una civiltà contadina molto povera, dove gli uomini e le donne facevano una vita molto dura scandita soltanto dal duro lavoro. Per arare la terra si usavano buoi o cavalli, l’uomo lavorava tutto il giorno nei campi, prima per arare, poi per seminare, togliere le erbacce, portare acqua per innaffiare. Anche i bambini aiutavano in questo, venivano mandati nei campi seminati a scacciare gli uccelli che altrimenti si sarebbero mangiati tutti i semi. Infine vi era la raccolta, la battitura del grano, ancora non esistevano le mietitrici. Stoccare il grano nei granai, per proteggerlo dalle intemperie, e dagli animali.

Facevano pagliai con la paglia raccolta la quale serviva per le bestie.

Così ogni stagione aveva i suoi lavori che impegnavano tutta la giornata.

Le donne erano occupate con i tanti figli, oltre a tutti i pesanti lavori domestici, dovevano anche andare alla fonte a prendere l’acqua alla fontana per lavare, accudivano gli animali: polli, maiali, conigli. Insomma tutti gli animali del cortile. Appena finito dovevano anche correre nei campi, per portare da mangiare agli uomini, ma non solo, anche per aiutare nel lavoro.

Forse l’inverno era la stagione dove c’erano meno lavori da fare. Così nelle lunghe sere invernali, le grandi famiglie si riunivano intorno al camino, ed era un vero momento di festa.

Gli anziani con in mano un bel bicchiere di vino, intonavano stornelli, canzoni, oppure raccontavano favole e cose accadute veramente, tradizioni. Grazie a questa tradizione orale tante cose sono arrivate fino ai nostri giorni.

Altri momenti di festa e socializzazione, erano la trebbiatura e la vendemmia. In queste occasioni esisteva un scambio di aiuto tra le varie famiglie del paese, il tutto terminava con un bel pranzo.

Ricordo ancora queste cose che ho vissuto quando ero bambina. Avevo i nonni che vivevano in un podere a Coltano. L’allegria e la gioia di quelle giornate, la bontà del cibo, sento ancora il profumo del pane sfornato al mattino, il sapore di quei salumi fatti con il maiale allevato lì, oppure i fegatelli che venivano tolti da un grande vaso di vetro ricoperti di strutto, per mantenersi, in quanto il maiale si macellava solo in inverno. Non come adesso che si trova in tutte le stagioni.

Secondo me il progresso ci ha dato molte cose, ma forse ne ha tolte altre.

I miei figli non hanno vissuto tutto ciò, però sia io che loro abbiamo raccontato come abbiamo vissuto.

Spero di poter raccontare a mia volta ai miei nipoti,ma ahimè dopo….

Patrizia

Piccione Dalla finestra guardo un piccione posato sulla balaustra del terrazzo e anche esso mi osserva. Chissà cosa sono per lui?

Poi un rumore, sbatte le ali e se ne va. Spicca il volo tra le nuvole e si unisce ad altri suoi simili e vanno per la loro strada, che io vedo dorata, una striscia colorata che smuove la mia anima, mi riempie di gioia, mi dà fiducia che anche io avrò la mia piccola felicità, ne basta una fettina, sarò così sazia.

Muro

Daniela Cellai

Sembra una fortezza il tuo cuore impenetrabile come un muro massiccio. Tante volte ci siamo sfiorati e guardati, ti ho sorriso a lungo ma niente da fare, imperterrito continui il tuo cammino nella tua solitudine di uomo. Io forse sono troppo penetrante, ma tu hai deciso di delimitare il tuo territorio.

Ci sei solo tu nel tuo mondo, il tuo ego rifugge gli altri. Chissà come passerai le veglie solitario.

Eppure penso che da quella durezza possa sbocciare un fiore. Anche se non sarò io l’artefice, mi piace pensarlo.

Daniela Cellai

23

Onda Siamo solo onde che s’infrangono sulla battigia della vita alcune sono destinate a lasciare solo una lieve scia biancastra, altre invece sono così forti e violente da spazzare via il litorale.

Ma indipendentemente da ciò onde siamo, e rimarremo brevi attimi nell’immensità del tempo.

Fabiana

Bidella “Mirella....”mi ritorni in mente”, non bella come sei perché nei miei ricordi preadolescenziali mi apparivi come una cessa mostruosa, bensì per tutta la serie di gaffe e macchiette che combinasti nei tre anni delle medie.

Roba degna del miglior cabaret di Zelig!

Da dove iniziare?

Magari dalla”magnifica”frase, che la professoressa di francese, scrisse sulla lavagna in tuo onore e che fece tradurre a noi pulcini di prima classe facendoci scompisciare dal ridere: LA BIDELLA MIRELLA CASCA NELLA PADELLA. LA CONSIERGEÉ MIREILLE TOMBE DANS LA POELE. Peccato che tu entrasti proprio in quel momento topico, e t’incazzasti come una biscia, a cui avevano appena pestato la coda, con l’insegnate, la quale non sapeva se chiederti scusa o riderti in faccia, visto che la tua tremenda ira somigliava più ad un pigolio lagnoso di un bambino corrucciato con tanto di”gne, gne, gne, cattiva lo dico alla mia mamma, che ad un sentimento di ostilità vero e proprio.

Certo che a distanza di anni e con il”senno di poi”mi sono resa conto che tu stavi dalla parte della ragione e chissà quale sofferenza hai provato nel vederti derisa, non solo da un branco di ragazzetti pestiferi, quali eravamo, ma pure da un’autorità che, almeno in teoria, doveva essere consapevole che qualche cosa in te non andava per il verso giusto, visto che ogni giorno combinavi sempre qualche cosa di strampalato.

Come quella volta che mettesti in banca i soldi delle nostre colazioni, solo perché il forno da cui ti servivi sempre aveva terminato pizzette e schiacciatine.

E noi tutti a ridere a crepapelle, mentre il preside ti cazziava, imprecando e bestemmiando in tutte le lingue e divinità del mondo, arrivando persino ad importunare i poveri Zeus ed Odino.

Certo che noi eravamo piccoli, e la nostra “idiozia” era giustificata dalla tenera età, ma il preside, gli insegnanti, e persino i tuoi colleghi dovevano essere consapevoli della sofferenza che ti circondava e cercare almeno di aiutarti, invece di sfotterti e distruggere quel briciolo di autostima che magari ti era rimasta.

Non era cattiveria, la loro, ma qualcosa di peggio, e cioè ignoranza, e l’ignoranza si sa che è la figlia bastarda dello stigma e cioè di quella convinzione barbara d’ostracizzare tutti coloro che non corrispondono ai canoni della cosiddetta “normalità”.

Lo stigma che striscia nella mente delle persone e che crea un muro spesso di convinzioni, paradossi e false verità, che fa vedere come mostri paurosi i nostri simili.

Lo stigma che si può sconfiggere solo vincendo la paura di questi mostri non usando spade od archi con frecce, ma allungando la mano e stupendoci, con infantile sorpresa, del fatto che anche loro hanno come noi cinque dita.”

Fabiana

24

La

Luna

La

Libertà

La libertà nell’ essere, nel vivere senza obblighi né doveri,senza oppressione,senza che nessuno ti indaghi e ti obblighi a fare le cose.

Ma la liberta non è quella di poter agire, di trovare la vera personalità e di poter esprimere le cose.

Non è solo che la tua personalità non venga schiacciata e fare le cose che ti piacciono senza che nessuno ti faccia del male.

La liberta è anche amare amando senza obblighi nel vero amore, facendo le cose con rispetto uno dell’ altro senza farsi del male e non farlo alle persone che veramente ami e alle quali vuoi bene.

La libertà vuol dire amore, amicizia liberata, passioni che ci fanno stare bene senza che nessuno ti faccia perdere la passione, persone che ogni giorno ti si mostrano cercando di allargare le amicizie, dare libertà alle persone che ti sono vicine anche se sbagliano, tenendole ancora vicine e volergli bene per la loro dignità e personalità dando il meglio. Anche se a volte ci sono degli sbagli, amare proprio per le varie personalità.

Massimiliano Biagini

25 La luna, in una notte molto limpida, illumina con la sua bellezza il mare con sullo sfondo i monti che si stagliano all’ orizzonte. Guarda come se volesse annusare con il suo riflesso l’ ombra del suo naso, gli odori che la terra manda verso di lei. Il bambino guarda a naso in su la luna e guarda come è tonda, è tardi ed è buio e la luce perla invece c’era e quando ci batte il naso la luna ride. In una notte molto limpida illumina il mare con i monti sullo sfondo che si stagliano all’orizzonte, guarda come se volesse annusare con il suo riflesso e l’ombra del suo naso odori della terra verso di lei.

E’ scontato rilevare che guardare con la testa all’insù il naso odora tutte le piante ma non sente l’odore della luna.

La luna è piena e il bambino la riguarda con il naso all’insù.

Massimiliano Biagini

Giorgio Fornaca

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Identità L’identità è un nome e cognome, le parole che ci distinguono, che segnano la nostra differenza dagli altri.

Io Maria Grazia, tu Carla, Michele, Francesco. Il nome è solo il primo di una lunga lista a cui si aggiunge la nostra storia, cioè il nostro passato, tutti i fatti che ci sono accaduti e che ci hanno plasmati, trasformati, ma anche arricchiti, perché in fondo c’è anche qualcosa di buono in ciò che siamo, nel risultato di tutte le molteplici e casuali evenienze che fanno di noi ciò che siamo ora, in questo momento. Siamo tanti al mondo e siamo così diversi, sembra incredibile, e così simili anche nella lingua, nell’aspetto, nelle culture, nei comportamenti. Insieme formiamo identità collettive che ci accomunano e ci distinguono ancora da altre identità collettive, altre culture, altre nazionalità.

Uno dei concetti cardine del buddismo è la mutevolezza del sé, il fatto che ognuno, ogni cosa sono privi di consistenza duratura, rinnovandosi a ogni istante. Ottimo per accettarsi e per ridare dignità a sé stessi, per aprirsi al proprio essere con tutto l’amore del mondo, perché in realtà il buddismo consiglia di abbandonare la propria identità, il proprio sé, per aprirsi agli innumerevoli sé che possiamo essere ad ogni istante. Smettere di attaccarci a noi stessi per scoprire la libertà di essere. Di essere felici, ad esempio quando siamo convinti di essere sempre infelici. Quindi la libertà di essere ma anche libertà di non essere: la libertà di non essere arrabbiati, di non essere ansiosi, di non essere depressi, avviliti, stanchi e scoprire che possiamo lasciar andare un sé negativo e che possiamo essere più sereni, più tranquilli, più accettanti verso noi stessi e verso gli altri. Farsi scivolare di dosso, come un vestito vecchio, tutte le angosce e cucirsi ogni giorno un vestito nuovo, senza raccontarci bugie, semplicemente ascoltandoci, stando a sentire ciò che il nostro corpo e la nostra mente ci raccontano ora in questo momento. È ciò che cerco di fare con i miei immutabili nome e cognome, mi ascolto e lascio andare, osservando me e il mondo che cambiamo continuamente, inesorabilmente, come le stagioni, la natura, il mare che ogni giorno cambiano luce e colori, odori e suoni, sempre diversi eppure sempre accettabili.

MG

photo Riccardo Romeo

photo Riccardo Romeo

Roccia Mi viene in mente la cima di un monte, sulle Apuane, bella, ripida, imponente, che evoca una forza, la forza di essere lì così in alto, più in alto di tutto, da millenni. Nessuno che possa spostarla, nessuno che possa scalfire la sua imponenza, la sua bellezza, la sua forza. E poi quasi per contrapposizione penso alle rocce friabili del Gargano, i luoghi dove sono nata. Sono rocce che si sgretolano, che lentamente cambiano, che il mare modella e lentamente trasforma in sassi o ciottoli o sabbia. Vi cresce di tutto, tra le fessure si radicano pini e capperi e l’elicrisio e tantissime altre piante.

Arrampicarsi è difficile, troppo facile cadere anche se non sono altissime, e di certo non si aprono su panorami imponenti. Io mi sento come loro, dura e friabile nello stesso tempo. Il mare come la vita riesce a modellarmi facendo di me ciò che vuole e tante piante che sono tante cose, l’amicizia, l’amore, i semi della mia conoscenza vi attecchiscono e crescono. E mi piace stare qui ferma a guardare la natura che cambia e sembra che non mi scalfisca e invece il mare mi sgretola, le piante si fanno spazio penetrando con le loro radici e trasformano i miei paesaggi interiori creando cunicoli pieni di vita. La pioggia e il mare fanno il lavoro più bello, perché nelle grotte da loro scavate si avvistano colori o al buio si odono suoni appena usciti dalle fiabe che allargano la mia mente e mi ricongiungono alla terra, alla luna, ai monti e ai panorami imponenti che nulla può scalfire, finché respiro e posso almeno immaginarli.

MG

Lei Mi ricordo di lei nella musica delle note di un pianoforte.

Mi ricordo di lei nelle frazioni di secondo di gioia. È intorno a noi, non occorrono soldi per averla, anche il più disgraziato può usufruirne, è nelle occasioni di chi bendato dal dolore e dalla rassegnazione oltre che la pigrizia si lascia sfuggire.

Ho imboccato la strada che mi ha suggerito lei”per raggiungermi “mi disse” segui la stradina sterrata dove intravedi l’arcobaleno”.

Pini selvatici e macchie di betulle con i colori autunnali fiancheggiano la stradina.

Dicono di lei che quando ti apre la porta si ode una canzonetta incantevole che ti rimane nei pensieri, e profumo di biscotti appena sfornati.

Dicono che ha empatia, voglia di ascoltarti e tanto

calore da offrire.

Dicono che non è bella ma non importa, perché la bellezza non sta nell’estetica ma nel fascino e la sua sensualità.

Dicono di lei che ha il naso aquilino e le scarpe rotte perché lunga è la strada che ha dovuto fare per trovare quell’angolino nascosto dove risiede la pace interiore che in fondo è in ognuno di noi.

Tutti parlano di lei: la sua pelle splende di una luce propria e le rughe del suo viso esprimono l’esperienza delle sue perle di saggezza a chi le chiede. È grassa:meglio, così quando l’abbraccerò sarà più morbida È sdentata ma il suo sorriso è tenero.

Sono arrivata in un porticciolo, accanto una barchetta con remi, sembra stabile come lo sono le persone che ti stanno vicino nei momenti più bui.

Un mare di dolore e consapevolezza che ognuno non può far a meno di attraversare per arrivare da lei:si perché i problemi occorre affrontarli e non star fermi a guardare, in fin dei conti nessuno ci verrà a salvare.

Ogni persona che è entrata dentro la sua dimora non vuole più uscire, purtroppo infatti nella vita non ci può essere sempre la sua compagnia, ma quando non c’è ci manca tanto.

Non posso crederci sono riuscita ad attraversare tutto quel mare; mi è costata tanta fatica, disperazione ma con l’aiuto di persone, farmaci ed eventi favorevoli, ce l’ho fatta.

La sua casa è contornata di fiori con ogni petalo di colore diverso.

Ecco la sua casa: è piccola e povera, perché la gioia non sta nel denaro, o perlomeno il denaro non è tutto nella vita. È semplice si sa la gioia è nelle piccole cose.

Accanto alla casa una chiesetta come a significare che la vita non vale niente se non credi in qualcosa o qualcuno.

L’ho intravista lontanissima nelle foglie che tra le macchine giocavano a ballare una leggiadra danza al ritmo della sinfonia del vento come ad indicare che lei c’è.

Salgo le scale del terrazzino in legno.

Ricordo ancora le sue parole”non importa quando, io ti aspetto!!!”

Accidenti me lo avevano detto che trovare il suo campanello non era facile, ma dov’è? dov’è il campanello della felicità?

Monica

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Dedicato a Gian Pietro Demurtas David Herbert Lawrens diceva: La Sardegna è un’altra cosa: incantevole spazio intorno e distanza da viaggiare, nulla di infinito, nulla di definitivo. È come la libertà stessa. Splendide parole, che rinchiudono dentro di esse uno dei concetti più importanti della nostra vita, appunto quello della libertà.

Ed allora il pensiero si dirige spontaneamente nel riflettere perché lui ha percepito questo legame tra la stupenda isola italiana e l’idea della libertà.

Perché la Sardegna si confonde col concetto della libertà? È fondamentale capirlo. Io l’ho capito sentendo in quel posto come può mancare il fiato davanti a dei paesaggi che ti spaccano il cuore con il loro fascino, ti fanno sentire galleggiare nell’aria, ti danno il senso dell’immensità sconfinata mentre guardi oltre l’orizzonte l’infinità del mare, chiedendoti se ti trovi veramente sul nostro pianeta.

In questo momento sto chiudendo i miei occhi, mi sto concentrando e faccio partire dal profondo del mio cuore dei ricordi lontani ma che, allo stesso tempo, non si sono mai cancellati col passare del tempo. Ricordi sparsi, senza ordine o classifica, che travolgono tuttora la mia sensibilità. La città di Cagliari, con grandi strade da attraversare, circondata dalla sua gente, passeggiate da ore e ore, a passo lento, per poter assorbire la sua magia del tutto particolare. Fuori dalla città, distesi spazi verdi, molto spesso segnati dall’antica cultura nuragica. E, la cosa più incantevole, le spiagge coperte da finissima sabbia bianca, che combaciano con l’immensità del mare puramente azzurro, quel tipo di azzurro trasparente che non avremo mai la possibilità di vedere altrove, che ti accarezza la vista e ti fa venire in mente il dubbio come mai un tale colore possa esistere, dato che non corrisponde ad alcun catalogo di colori ufficiali, essendo un tutto a sé, il quale è destinato a rimanere impresso nel nostro sguardo e, di conseguenza, nel nostro spirito.

Gli scogli sui quali puoi restare anche giornate intere, dall’alba al tramonto, in riva al mare oppure al di sopra, sulle colline, sentendo il battito del mare che li colpisce con le sue onde e ti dà un senso di pura catarsi. Ora sto aprendo gli occhi, ritorno nella realtà e sono in grado di spiegare perché si tratta di libertà. Collegandola d’istinto a quest’altro concetto fondamentale, quello di catarsi, cioè quel sentimento impetuoso di purificazione e liberazione, in genere regalato dall’effetto che ha su noi stessi la grande arte ma, per estensione, anche la passione affettiva che possiamo provare davanti a dei panorami irresistibili.

Questo strano sentimento umano che ci porta fino all’idea del dolore positivo, cioè quella maniera di

essere colpiti fino nel profondo del nostro animo da un’emozione tagliente che invece di toglierci il fiato ci regala, paradossalmente, quel senso di respiro liberatorio che ci spinge a pensare che ritroviamo dentro di noi delle doti come coraggio, forza, serenità, entusiasmo, voglia di esistere, di andare avanti sul cammino della vita, superando qualsiasi ostacolo che ci si possa mettere davanti. Dalla profondità del purissimo mare sardo possiamo cogliere un immaginario fiore bianco che mettiamo nel cuore e di colpo voliamo, abbiamo delle ali che non si potranno mai spezzare, avvertiamo la capacità della sicurezza di noi stessi e, concretamente, ci sentiamo del tutto avvolti da questo preziosissimo valore, quello di poter sconfiggere il mondo e far avverare i sogni che stiamo conservando segretamente dentro di noi.

Lawrewns aveva ragione; per parafrasare le sue parole, la Sardegna, il luogo più meraviglioso del mondo intero, non è altro che quel dono di sentirci volare fino a sfiorare il cielo, un volo che ci regala tutta l’ostinazione di cui si ha bisogno nella vita e che, alla fine, ci trasmette uno dei pregi basilari: quello di essere noi stessi, senza subire controlli o impedimenti di alcun tipo, cioè di assaporare la catarsi data dalla liberazione purificatrice del nostro animo. Motivo per cui la Sardegna, col suo incanto e con la sua armonia intrinseca, non è altro che il posto che ti fa comprendere quant’è essenziale sentirci scondizionatamente liberi. Si può fare un gioco di parole, ma che in realtà si basa sulla serietà del nostro modo di esistere: la Sardegna non è altro che la libertà, oppure la libertà non è altro che la incantevole, stupenda, indimenticabile Sardegna.

Andrea Silvia Godini

Volterra Teatro july 2012

Vetta

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Onda

Penso valga la pena far fatica per salire in cima ad una montagna non importa quanto sia alta, dato che l’energia emanata dalla natura aiuta a rimetterci in pari dentro riequilibrando anima e cuore, in quell’armoniosa solitudine riesco a ricollegarmi come una piccola parte del tutto, ma non più scollegata dal resto...mi sento anch’io un minuscolo pezzetto d’infinito, una foglia al vento di bonaccia.

Stefy

Nella vita purtroppo è necessario ricorrere a dei compromessi non si può fluttuare rincorrendo i propri sentimenti, ondulando secondo le correnti come pesciolini luccicanti. Purtroppo le circostanze si presentano come scogli e la corrente diventa minacciosa se si inseguono solo i propri sogni. Forse dei marinai esperti riescono a misurare come salvare la nave, ma anche per loro le avversità a volte li conducono in posti incerti e dubbi e spesso si sentono chiamare dai loro stessi spettri.

Ascolto

Dana

È raro riuscire ad ascoltare davvero, fare il vuoto con se stessi facendosi così tutt’uno con l’altro ci sentiamo nudi, indifesi penso che sia una sensazione paragonabile ad una barca che molla gli ormeggi...sentirsi inizialmente intimoriti dall’immensità dell’orizzonte sconfinato, ma poi lasciandosi andare nel silenzio più profondo e rarefatto ritroviamo l’infinito che abbiamo dentro un ricongiungersi ad un’energia che sembra una culla perenne, un moto perpetuo e rassicurante, una comunione totale col tutto che ci circonda.

Volterra Teatro july 2012

Stefy Viva le donne simbolo di procreazione felicità amore e dolcezza.

Ricordo del primo ed unico amore che non si scorda più Tu sei colei che amerò ovunque fortemente e insaziabilmente, mia piccola anima che mi hai strappato il cuore dal petto, unendolo al tuo.

Ora i nostri cuori battono allo stesso tempo, si abbracciano e urlano al mondo LOVE con tutto noi stessi.

Amore e fedeltà una cosa unica che Dio ha unito.

Qualunque strada percorrerai Nicoletta tu sei colei che amo di più, mi hai ridato la vita quel giorno che mi hai chiesto di chi era la mano che stringevo.

Ma certo Nicoletta era la tua mano cioè quella del mio grande amore. ……………..

A te carissima mamma sempre disponibile a darmi il tuo amore e affetto, io creatura insoddisfatta di quello che fai per me a volte mi arrabbio senza motivo.

Sono l’ultimo rimasto dei tuoi figli, quindi perché mi arrabbio invece di Volerti bene.

A te cara mamma così intelligente e casta. …………………

Uno squittio si ode al bordo del baraccone, significa che è arrivata la bella stagione.

Arriva la primavera con gli alberi in fiore, gli uccelli che suonano melodie meravigliose, i pappagalli che aspettano di deporre le uova, dove un bel pulcino nascerà e si riprodurrà alla prossima stagione dell’amore.

Buongiorno rondinella mangia e bevi ai torrenti di acqua fresca e pura per nidificare.

Davide

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Attimo In un attimo rivedo la mia vita, in un attimo vedo la luce...

In un attimo rivedo la mia storia, un dolore... È più bello risvegliarsi in un attimo senza pensieri... con la bellezza in un ‘immagine, il tramonto...

Camminare e pensare di essere nel presente , di non sfuggire alla realtà in un attimo, essere qui....

Antonio

Libertà

È duro il mese d’inverno chiuso nella casa e con la neve che ti blocca la strada....

Inibisce ogni buono proposito...

Solo l’intelletto nel suo carismatico rappresentare le cose ,ora mi affascina.

Le giornate si allungano, il tempo si oscura e la neve scende ancora.

Alessandro

Passeggiare in libertà, sentirsi pieni di vita, liberarsi della paura di restare soli...

Esprimere il proprio parere e liberarsi delle paure e delle angosce che la vita ti dà,il vuoto fa paura ma si affronta con la serenità che al di sotto c’è la salvezza, non è più schiavitù se trovi il benessere, la tranquiliità che non hai raggiunto nel corso della vita.

La gioia di essere sempre libero, di affrontare le amarezze che vedi, che senti e gridare al Mondo e affermare : “Sono LiBERO”.

Antonio

Fantasia ma non troppo!

Un giorno, camminando per boschi e radure m’imbattei, ai piedi di una quercia centenaria,in uno scrigno dissotterrato e la mia curiosità fu tanta...

Tanta al punto di chinarmi ad aprirlo!

Non appena scoperchiai l’antico contenitore, una grande aquila prese il volo e salì alta , fino ai vertici della montagna sconosciuta, per poter trovare la sua preda.

E solo allora capii il senso di tutto questo fantasticare...

L’aquila impersonava il mio animo, il mio essere interiore che come l’aquila vola, a volte molto alto nel cielo della mia anima, a ricercar colui che sono.

Sono io, sono un uomo che sempre cerca e sempre cercherà la sua dignità!

Stefano Giannessi

Sprofondo in un senso d’incertezza. Una pace sinistra m’avvolge ed un brivido mi sale nel cuore.

Vivere in questo buio mi annoia, ma ho il presentimento che andare al dì del velo è troppo pericoloso.

Vale la pace se il prezzo è la guerra? Può esserci amore senza violenza?

La bellezza è quella che è senza l’orrore? So solo che non c’è libertà senza un limite.

L’euforia di una cosa nuova non dura in eterno, né la grazia ha un valore spirituale. È il bello della vita. C’è un coinvolgimento col Tutto da parte di ogni essere o cosa esistente, animato o inanimato che sia...

Alessandro

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Il vecchio

sabot

Il campanello squillò improvvisamente nello stretto ingresso dell’appartamento.

Chiuso nella sua camera con la porta accostata, Henri udiva, dal sonno in cui era sprofondato, solamente un debole trillo.

La sera precedente aveva fatto tardi giù al pub in strada e si era coricato all’una di notte in preda agli esilaranti fumi delle cinque birre che si era scolato.

Virginie, la bionda locandiera, l’aveva riaccompagnato su in casa, al quinto piano del vecchio stabile di via del teatro, spingendolo per le spalle su per le scale.

Molte altre volte, in virtù dell’amicizia che c’era, aveva fatto quella faticosa salita per accompagnarlo nella sua abitazione ed anche quella sera, lo scaricò sopra il cigolante letto, lasciò cadere le chiavi di casa sul comodino e con le imprecazioni che il caso richiedeva, ridiscese di nuovo le scale e ritornò alla sua taverna in tempo per sbrigare le faccende della chiusura notturna.

Quando Henri si rese conto che qualcuno stava suonando il campanello fuori dalla sua porta, erano trascorsi dieci minuti.

“Arrivo, arrivo! “Esclamò destato dal profondo sonno. “Ma chi è a quest’ora?”, domandò insospettito porgendo l’orecchio alla porta.

Un sonoro colpo rimbombante gli sturò il cervello!”Sono io, Gustave! È un’ora che cerco di svegliarti …”“Ti sei dimenticato che abbiamo appuntamento su al bosco di Saint Etienne per l’alba? Dobbiamo andare a caccia perdio, Henri! A caccia, ti ricordi?”

Henri, era sempre stato puntuale agli appuntamenti con l’amico Gustave per andare a caccia, ma quella dannata Domenica notte non aveva sentito suonare la sveglia.

Perché non si era svegliato? Ed a quella domanda, mentre ritornava sui suoi passi in camera da letto per rivestirsi della mimetica, dopo aver aperto all’amico, non trovava risposta.

“Dai svelto!” incalzò Gustave. “Prendiamo una tazza di caffè e sbrighiamoci altrimenti non siamo in orario per la conta su al pianoro di Saint Etienne; non ci faranno cacciare.”

“Sì faccio presto, “rispose un po’ scocciato Henri. “Faccio presto” ripeté mentre si accingeva a calzare gli scarponi da montagna”. Ma non so spiegarmi ancora, il motivo per cui non ho udito la sveglia questa mattina.”

“Non ci pensare più, “replicò l’amico, “Avrai avuto più sonno del solito”, porgendogli il caffé fumante appena scaldato.

Tracannarono la bevanda quasi scottandosi le labbra per la fretta e scesero giù alla macchina di corsa.

Abbandonata la statale, dopo un’ora e mezza di viaggio, iniziarono ad inerpicarsi su per la salita. Giunsero sul posto convenuto che era sempre buio pesto.

“Visto? Tu e la tua maledetta fretta” sbottò Henri.” Siamo in orario perfetto, anzi in anticipo. Siamo i primi.”

Infatti, sul pianoro della già alta collina non c’era nessuno ad aspettarli.

La paura di essere in ritardo sull’appuntamento, aveva messo loro le ali ai piedi o, per meglio dire, alle ruote. Erano giunti sul luogo per la battuta di caccia un’ora prima del previsto. Scesero dall’auto e si misero subito a far legna. Era consuetudine che i primi ad arrivare, accendessero il fuoco per la colazione ed il disbrigo delle pratiche per l’assegnazione della”posta”ad ogni singolo cacciatore.

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Operazione svolta dal più anziano del gruppo, il capo della battuta.

Egli conosceva ad uno ad uno tutti i partecipanti e ad ognuno, in virtù della personale esperienza, assegnava una postazione adeguata tenendo persino conto della conformazione del territorio. Nei punti più cruciali, da cui con molta probabilità sarebbe passato l’animale scacciato dai cani e dagli uomini, disponeva i più esperti tiratori, quelli dal sangue freddo e dalla mira infallibile. Gli altri a scalare di fianco, ad una ventina di metri l’uno dall’altro a riempire gli spazi vuoti e formare così una catena umana impenetrabile.

Il cervo, o qualsiasi altro animale, spinto dalla canea infuriata verso quella barriera umana, non avrebbe avuto scampo alcuno. La loro sorte sarebbe stata segnata.

La testa del più bel maschio del branco abbattuto, sarebbe divenuta un bel trofeo, da appendere sopra il caminetto del pub del paese.

photo Riccardo Romeo

Il falò divampava di già in mezzo alla radura quando Henri, dal roccione sul dirupo, gridò: “Eccoli, stanno arrivando proprio in questo momento!”

E difatti, una serpentina di fari oscillanti nell’ancora oscurità, distanziati l’uno dall’altro, stavano salendo su per la montagna faticosamente, arrancando quasi, nell’intento di giungere al pianoro per tempo.

Una volta riuniti intorno al fuoco a scaldarsi, Henri consumò la sua colazione che sarebbe dovuta bastargli, nella peggiore delle ipotesi, per tutta la giornata, seduto accanto all’amico.

Salcicce abbrustolite e carne salata.

La bottiglia di birra non riuscì a finirla.

Gustave si mangiò mezzo pane casalingo cotto a legna, farcito con dell’insalata e carne di maiale, preparato la sera precedente. (continua) Stefano Giannessi

acrostici

insieme

ARLECCHINO Anima giocosa in mezzo alla folla Ride e salta senza mostrar pensiero Lega i colori in unico arcobaleno E giocando conquista colombina Che con i suoi modi lo fa ingelosire Carnevale non sempre è arlecchino Ha sempre in sé qualcosa di inquietante Indugia alla fine e e sorpassa la Quaresima Non curandosi della tradizione Ora del resto ogni cosa è così.

Volterra Teatro july 2012

INCONTRI VIRTUALI Ieri aveva corpo la solitudine Non c’era altro che cercare il luogo Carico di anime pronte all’incontro Occhi negli occhi capire e vedere Nel prato il gioco, nel viale il parlare Trovarsi o no, questa era la soglia Restare soli o scambiare amicizia Incontri veri per vere emozioni

Vuoto parlarsi attraverso messaggi Impalcature erette insicure Risate mute, sorrisi nascosti Tratti di un mondo che fluttua nell’aria Uomini soli illusi di amarsi Ali di cera sciolte al calore Là dove il vero innalza potente Indifferente ad una macchina schiava.

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quarta edizione

Versi per l’Anima 2012

È bandita la quarta edizione del concorso di poesia per iniziativa dell’Associazione L’ALBA dal titolo”Versi per l’anima”, in occasione delle Giornate Nazionali della Salute Mentale 2012.

Regolamento Modalità di partecipazione Possono partecipare al concorso poesie in lingua italiana. Ogni autore e autrice potrà inviare una poesia della lunghezza massima tassativa di 25 versi. Il premio è aperto anche alla prosa ed ogni partecipante potrà inviarne una della lunghezza massima tassativa di 4000 caratteri, spazi compresi. Opere di lunghezza superiore saranno escluse.

Premio speciale per componimento breve (tweet) Un premio speciale per un componimento breve (tweet) è ideato e offerto dalla famiglia Vitali e dedicato al figlio Alberto, che amava la nostra Associazione ed ha lasciato in tutti un indelebile ricordo.

Il tweet deve avere una lunghezza massima tassativa di 160 battute.

Ogni autore potrà partecipare a tutte le sezioni con una sola opera per sezione. Il tema è libero. Poesie e prose e Twett dovranno essere inedite e mai premiate o segnalate in altri concorsi.

Modalità di invio delle opere Per partecipare al concorso, gli autori possono scegliere tra 3 diverse modalità: 1. Inviare l’apposito modulo con allegate 3 copie anonime di ogni poesia e/o prosa per posta a: Associazione L’ALBA – via delle Belle Torri n.

8 – 56127 Pisa (PI) oppure per fax allo 0503192895 2. Inviare l’apposito modulo con allegate 3 copie anonime di ogni poesia e/o prosa via e-mail all’indirizzo: associazionelalba@gmail.com; le opere, in allegato alla mail, devono essere salvate in formato.rtf,.doc o.pdf 3. Compilare il FORM online che si trova nel sito dell’Associazione http://www.lalbassociazione.com Quota di partecipazione Per partecipare al concorso è richiesto il versamento, per spese di segreteria, di 10 euro per ciascuna delle sezioni a cui si intende partecipare, da effettuare sul c.c. bancario IT55I0503414022000000113705 (Cassa di Risparmio di Lucca Pisa e Livorno - Banco Popolare, Agenzia 2 Pisa, P.zza Toniolo) intestato a Associazione L’Alba o con assegno bancario non trasferibile intestato a Associazione L’Alba. Copia della ricevuta di veramento dovrà essere allegata alla scheda di partecipazione inviata per posta, posta elettronica o per fax.

quarta edizione

Versi per l’Anima 2012

Scadenza L’iscrizione termina alle ore 13:00 del 12 novembre 2012. Non saranno prese in considerazione opere che arriveranno oltre il termine di scadenza. L’organizzazione non risponde del mancato recapito delle opere.

Giuria La giuria presieduta da Maria Velia Lorenzi, scrittrice, conduttrice del Laboratorio Esprimersi scrivendo, è composta da Diana Gallo (Presidente Associazione L’ALBA), Cristiana Vettori (poetessa), Piero Floriani, p.o. di Letteratura Italiana dell’Università di Pisa, Eva Campioni segretaria della Giuria. La giuria valuterà le opere in forma anonima, e sceglierà a suo insindacabile giudizio 3 finalisti per ognuna delle due Sezioni, per un totale di 6 premi e 3 premi per la Sezione tweet. Il giudizio della giuria è insindacabile.

Premi Ai tre finalisti andranno: Sezione Poesia 1° premio: 250 euro 2° premio: opera in ceramica artistica 3° premio: opera in ceramica artistica Sezione Prosa 1° premio: 250 euro 2° premio: opera in ceramica artistica 3° premio: opera in ceramica artistica Premio Speciale per componimento breve (tweet) 1° premio 250 euro 2° premio: opera in ceramica artistica 3° premio: opera in ceramica artistica La premiazione avrà luogo il 1 dicembre 2012 alle ore 16.30 presso l’Associazione L’ALBA in via delle Belle Torri n.8 a Pisa (PI) nell’ambio delle Giornate Nazionali della Salute Mentale 2012. I tre finalisti saranno contattati dall’Associazione L’ALBA e i loro nomi saranno pubblicati sul sito www.lalbassociazione.com a partire dal 28 novembre 2012.

Non sono previste forme di ospitalità. I premiati che non potranno essere presenti, potranno far ritirare i premi da un loro rappresentante.

Diritti d’autore Gli autori, per il fatto stesso di partecipare al concorso, concedono il diritto di pubblicazione sul sito internet dell’Associazione e sulla rivista dell’associazione”L’Immaginario”, senza aver nulla a pretendere come diritto d’autore. I diritti rimangono comunque di proprietà dei rispettivi autori e autrici.

Informazioni dal lunedi al venerdi 15.00 - 17.00 Segreteria organizzativa: Davide Cecchi Telefono: 050544211 Fax: 050-3192895 E-mail:associazionelalba@gmail.com Web:www.lalbassociazione.com

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Cinema daMare 2012

di Lucia Gonnelli

Dal 22 al 28 di Agosto 2012 si è svolta la tappa toscana di “CinemadaMare”, il festival di cinema dedicato ai giovani registi. Sono numeri da record quelli della kermesse itinerante patrocinata dall’Unesco, che ad oggi registra: 190 film in concorso, 175 registi provenienti da 35 Paesi, 3800 km in 73 giornate di Festival distribuite in 9 regioni italiane.

La tappa di Stazzema ha visto non solo l’incontro tra giovani cineasti provenienti da tutto il mondo ma è e stata anche una occasione per vedere all’opera i gruppi di videomakers attivi all’interno dei progetti di riabilitazione psichiatrica a Pisa, Lucca e in Mediavalle del Serchio. Tra questi anche quelli del Laboratorio video dell’Associazione L’ALBA, condotto da Lucia Gonnelli, del laboratorio video di Carmine Parrela svolto con la salute mentale di Lucca, e video tratti dal festival”raccorti sociali”dell’ Aiart organizzato da Cosma Ognissanti. I video saranno proiettati ogni sera mezz’ora prima delle proiezioni dei corti in concorso, ogni sera tre video uno per ogni realtà. Un nutrito numero di soci de L’Alba ha preso parte attiva alla manifestazione il 22 e il 23 Agosto 2012 pernottando a Stazzema con i giovani in concorso e partecipando attivamente al concorso realizzando un corto dal titolo”in the darkness”.

Cinema dunque per raccontare storie ma anche per promuovere integrazione e per lottare contro ogni forma di discriminazione.

Nel mese di luglio Diana Gallo ha organizzato un incontro con Carmine Parrella, psicoterapeuta attivo presso l’USL di Lucca, che da anni si avvale all’interno del Dipartimento di Salute Mentale della fototerapia così come dell’utilizzo partecipativo del video, tanto da aver contribuito a creare gruppi affiatati di utenti e operatori che, spesso anche in totale autonomia, realizzano video o reportage fotografici muovendosi all’interno del vasto territorio lucchese.

In questa occasione Carmine ci ha invitati a partecipare alla decima edizione di un festival molto particolare ed in un certo senso unico: si tratta di CinemadaMare, un festival itinerante che dura cir-

ca due mesi e che favorisce l’incontro di centinaia di giovanissimi videomakers provenienti da tutto il mondo che da Nord a Sud attraversano la penisola, sostando per una settimana in città sempre diverse.

In ogni città ricevono l’accoglienza delle istituzioni locali e di tutta la comunità che si fa carico di accompagnarli alla scoperta della bellezze e della storia locali: compito di questi giovani è invece quello di lasciarsi ispirare dalla città che li ospita e di produrre un video per la cui realizzazione hanno solo una settimana di tempo, alla fine della quale tutti i corti prodotti vengono proiettati all’aperto, creando così un intenso momento di condivisione con

la comunità che li ha accolti.

Un altro aspetto molto interessante è la presenza in ogni città di registi sempre diversi, che intrattengono i giovani videomakers in workshop tematici durante i pomeriggi, ma che la sera condividono le proprie riflessioni sul cinema in piazza, all’aperto, di fronte ad un pubblico totalmente eterogeneo.

La novità di questa edizione è data dal fatto che la conclusione di CinemadaMare è prevista all’interno della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che ospiterà le proiezioni dei più interessati cortometraggi realizzati dai giovani in questi due mesi di produzione audiovisiva itinerante.

Per una serie di circostanze che hanno a che fare con il grande entusiasmo di Carmine per questo festival, una delle tappe di CinemadaMare si è svolta a Ponte Stazzemese, una piccola località alle pendici del Monte Forato. La peculiarità di questa tappa è stata data proprio dalla volontà di valorizzare le esperienze di utilizzo del mezzo audiovisivo da parte di gruppi, centri diurni e associazioni legati alla salute mentale.

Ogni sera infatti è stato dato spazio a cortometraggi realizzati da queste realtà che sono stati introdotti da Carmine che di ognuno ha raccontato la genesi, contestualizzandoli alla luce dei percorsi che ad essi hanno portato. Tutto questo di fronte ad una platea di giovanissimi e di persone del posto, sicuramente non abituate a vedere cortometraggi particolarmente”genuini”, in cui ognuno può riscoprire un pezzo di sé perchè parlano di storie vere o realistiche, in cui le persone interpretano se stesse o storie immaginate che derivano pur sempre dal proprio vissuto.

Ovviamente abbiamo accolto il duplice invito di

Carmine, sia di essere presenti durante il festival, sia di mettere a disposizione qualche video realizzato all’interno del Laboratorio Video dell’Associazione L’Alba.

Siamo stati presenti durante i primi due giorni e in occasione dell’ultima serata, martedì 28 agosto.

Durante i primi due giorni eravamo io, Diana, Ferdinando e Iside, Salima, Massi, Claudia, Michele, Carmine”Trilly”, Katia, Antonio, Federico, Chiara e Stefano.

Per fortuna al momento di partire siamo riusciti a convincere Massimiliano a venire, la cui assenza ci avrebbe impedito di condividere con lui, grande conoscitore delle Apuane, tutte le sue conoscenze di questo magnifico territorio, dalle indicazioni stradali al riconoscimento delle montagne e delle vallate.

Nel poco tempo a disposizione abbiamo avuto l’occasione di essere guidati da persone gentilissime che ci hanno mostrato le bellezze dei loro luoghi, riservandoci un’accoglienza e una disponibilità uniche. Il secondo giorno siamo stati in visita alla Miniera dell’Argento Vivo di Levigliani: le guide ci hanno accolto con estrema gentilezza dandoci la possibilità di utilizzare gli ambienti della miniera per capire se lì potevamo trovare collettivamente ispirazione per realizzare le riprese per un breve cortometraggio. Diana ha proposto di fare un pò di esercizi di canto, sfruttando l’ottima acustica data dalla cavità della miniera.

Abbiamo cercato successivamente di capire quali erano le emozioni che quel luogo ci suscitava e di tentare in base ad esse di intravedere una storia frutto della nostra immaginazione.

Massi, di cui conosciamo la passione per i minerali, ha immaginato di essere un esploratore che si addentra in una cavità della terra animato dalla Nella foto al centro il regista iraniano Moshen Makhmalbaf,regista del film”Viaggio a Kandahar”che ha condotto un workshop

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curiosità e dalla sete di avventura come il protagonista di Viaggio al centro della terra. Salima e Stefano hanno invece letto la miniera e la sua oscurità come metafora della solitudine e della depressione, che costringono le persone a isolarsi e a chiudersi.

Insieme abbiamo immaginato una storia che racchiudesse questi due punti di vista e abbiamo anche sorriso sul divergere di emozioni che ognuno di noi aveva provato pur essendo tutti nello stesso luogo.

Grazie alla concentrazione di Massimiliano e Stefano che si sono candidati a recitare, abbiamo girato velocemente la storia di un incontro tra un uomo che, con atteggiamento curioso, dall’esterno si muove alla scoperta di una grotta all’interno della quale trova in un angolo un’altra persona che gli rivela di non essere in grado di uscire all’esterno.

Insieme trovano la forza di uscire e di ammirare le bellezze della Natura, nella quale le loro identità sembrano confondersi con i colori e le meraviglie delle montagne apuane. Questo cortometraggio è a mio parere il risultato di qualcosa che abbiamo sentito insieme, ovvero sia della volontà di riflettere sulla solidarietà e sull’aiuto reciproco, sia della gioia di celebrare le bellezze di questa terra.

La parte finale del corto è valorizzata dalla voce di Diana, registrata il giorno precedente all’interno della chiesa di Pruno.

Il corto è stato proiettato nella piazza di Ponte Stazzemese adibita per tutta la settimana alle proiezioni. La piazza straripava di persone, dai giovani provenienti da ogni angolo della terra a tutte le

Josè Rossi, Carmine Parrella e Laika

Lucia Gonnelli - videomaker Associazione L’ALBA

persone dei paesi della valle che avevano saputo dell’iniziativa e che magari avevano visto durante la settimana gruppi di giovani sotto il sole, muniti di telecamere e microfoni, all’interno dei vicoli accaldati dei propri borghi. Quella sera l’aria era carica di aspettativa: da parte dei giovani di mostrare il frutto del proprio lavoro, da parte della comunità quella di vedere i propri luoghi attraverso gli occhi di un’altra generazione.

In un’unica platea, accanto le une agli altri, signore anziane con il mantellino sulle spalle sedevano in mezzo a giovani asiatici, sudamericani, inglesi...

Il nostro corto è stato proiettato insieme ai video realizzati durante la settimana dai gruppi lucchesi legati al Dipartimento di Salute Mentale.

Purtroppo siamo dovuti partire molto prima della conclusione dell’evento, ma la giornata finale si può ritenere a buon diritto la conclusione migliore di questa esperienza. Durante la giornata, infatti, oltre ad aver avuto la possibilità di visitare l’Antro del Corchia, abbiamo avuto occasione di confrontarci con tutti i gruppi che usano la fotografia e il video, iniziativa promossa da Carmine al fine di mettere in relazione le realtà toscane che usano questi strumenti al servizio del benessere mentale.

Molta voglia di conoscersi, scambiarsi idee e suggerimenti, ma soprattutto di organizzare insieme iniziative di formazione, confronto e progettazione di nuovi percorsi.

Nuvole L’ultimo libro di Maria Velia Lorenzi Il 22 giugno scorso, nella Sala del Consiglio Provinciale di Pisa, proposto da il Grandevetro e dall’Associazione L’Alba è stato presentato, il romanzo di Maria Velia Lorenzi Bellani “Nuvole”, edito dalla Titivillus. Relatori sono stati Ilario Luperini e Daniele Luti. Ha aperto la serata Roberto Pardini, vicepresidente dell’Associazione l’Alba, che ha salutato gli intervenuti e dopo aver messo in evidenza che Maria Velia conduce da oltre dieci anni il Laboratorio di arte-terapia “Esprimersi Scrivendo” e cura il periodico dell’associazione “L’Immaginario” ha dato la parola a Ilario Luperini, che ha detto di aver aderito alla presentazione del libro a scatola chiusa, perché, conoscendo Maria Velia, era certo che andava a presentare “un libro aperto, sull’onda della migliore narrativa contemporanea. Un libro che ripropone un modo di essere e di pensare, un modo costruito più sulle domande che sulle certezze, un modo di intendere e di percorrere la vita in tensione progettuale, attraverso la sperimentazione del quotidiano in chiave universale. Le storie singole, quelle finite, quelle incominciate e ridotte alla noia della routine quotidiana, quelle solo relegate nelle nebbie dei sogni, tutte insieme contribuiscono a comporre il quadro, un quadro fatto di emozioni, di pensieri, di sentimenti, di aspirazioni, di rimorsi, di favole, di continua intersezione tra quotidianità e assolutezza.”

Daniele Luti ha esordito dicendo che, siccome, le osservazioni di Luperini coincidevano perfettamente con l’intervento che aveva preparato, si è visto costretto ad improvvisare per non proporre osservazioni già fatte e ha detto che “L’elemento portante del cuore del romanzo è il tempo, cioè l’esistere nella sua durata, nel suo fluire. Il fluire dell’esistenza attraversato da Velia pacificamente, senza scatti o soprassalti lirici”. E ha concluso dicendo che “finalmente ha letto un romanzo ben scritto.”

Fra gli interventi del pubblico, significativo quello della Preside Lia Marianelli che, tra l’altro, ha mes-

so in risalto come “Nuvole” sia un libro scritto da una donna che ci offre una prospettiva inusitata quanto incisiva ed efficace, che coinvolge nella sua intensa narrazione pagina dopo pagina.

Le letture sono state di Carla Lombardi, e Roberto Pardini dopo aver ringraziato relatori e presenti, riprendendo una frase di Luperini che invitava alla lettura del romanzo, ha detto che Nuvole è un libro che dovrebbero “leggere i giovani”.

Maria Velia Lorenzi Bellani, Nuvole, Titivillus, Corazzano (Pisa), 2012, pp. 111. euro 13,00 In copertina: Romano Masoni. Bella come la luna (da Il Cantico dei Cantici). Acquaforte e ceramolle su rame.

Il libro oltre che nelle librerie si può acquistare anche al Circolo L’Alba.

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Latte

di mamma di Diana Gallo

La tua testimonianza è la mia testimonianza , in un gioco di fine tessitura e di rispecchiamenti “Latte di mamma”, lavoro prodotto dall’Associazione Le Dieci Lune con il finanziamento della Provincia di Livorno esplora un tema delicato come quello dell’allattamento e in particolare il momento più difficile di cui si tende a non parlare, quello della sua fine.

Una fitta trama di storie personali calde come caldo è il latte di mamma, si fondono in una miscela di intense riflessioni tecniche multiformi, e proprio come il latte che si adatta alle esigenze del bimbo, si leggono spunti formativo-didattici, suggestioni sociologiche, esistenziali, filosofiche, etiche, in un sapere immediato e semplice che ha il sapore dell’ antica saggezza dei corpi delle donne.

Da millenni le mamme portano in grembo i bambini, li fanno venire alla luce attraverso il parto e li attaccano ai loro seni nutrienti.

Da millenni nel solito modo secondo una secolare conoscenza psicobiologica tipica dell’essere femminile, ognuna in maniera unica e irripetibile.

E questo sapore di “Latte di mamma” è un gusto di attualità e contemporaneità con un profondo senso di sacro e di antico.

Ogni testimonianza è il racconto di una mamma, un padre, uno o più bambini, le loro famiglie, è autentica, intima e collegata alle altre storie per la tessitura emotiva: condivisione, appartenenza, gioia profonda, estasi, orgasmo, ma anche ambivalenza, sconforto, conflitto, paura, perdita, passaggi, morti e rinascite in un continuum in cui tutti sentiamo un

profondo senso di appartenenza globale alla vita.

Polina Zlotnik, Presidente dell’Associazione Le Dieci Lune, ostetrica competente e di grande spessore umano tira le fila di tutto il percorso letterario, inserisce magistralmente efficaci e profondi passaggi tecnici riuscendo a intervallare in un linguaggio popolare complessi concetti a braccetto di passaggi di grandi psicoanalisti e teorici della prima infanzia.

I passi tecnici sono scritti in corsivo mentre le testimonianze in neretto per segnalare graficamente le due voci, diretta e meditata. La particolare efficacia e l’arrivo immediato dei messaggi è dato anche dalla scelta stilistica, ogni concetto tecnico è preceduto da un racconto esperienziale, questo facilita la comprensione perché un vissuto reale anticipa la ridefinizione teorica attraverso la voce esperta di una persona che ha dedicato e dedica con passione la vita al lavoro di “levatrice”, di mamma che si interroga, come tutte le donne consapevoli, su come creare un mondo migliore. Ma la voce dell’autrice si integra alle voci del Gruppo Progetto AMP, di tutte le donne che hanno partecipato agli incontri svolti per sensibilizzare il territorio e delle donne che da anni collaborano con l’ Associazione.

Si parla di allattamento e si definisce allattamento prolungato qualcosa che probabilmente nessuno in

passato ( prima dell’era del latte artificiale) avrebbe mai pensato di dire, era normale così, era normale allattare un bambino oltre i due anni e tutte le madri lo facevano o le balie secondo le epoche storiche e le classi sociali; sicuramente ci saranno state anche allora storie diversificate, attaccamenti e separazioni più facili e scorrevoli o più difficili, conflittuali e controversi, non se ne parla molto e nessuno ha lasciato ( almeno non ne conosciamo) memoria scritta o parlata di emozioni così intense e profonde quali quelle suscitate dal periodo dell’allattamento nel rapporto tra la madre e il proprio bambino ma anche con il padre e il resto della famiglia.

In uno dei passaggi che mi hanno più risuonato si dice che la maternità è l’evento biologico più costruito socialmente , il modo in cui la donna vive la gravidanza, il parto e l’allattamento non può prescindere dal pensiero dominante.

L’ i d e o l o g i a diviene carne e si inserisce nello schema percettivo, per cui il piacere e l’appagamento che si trae dall’allattamento è collegato all’approvazione sociale così come il disgusto e la ripugnanza con cui si giudicano il contatto madre-bambino sporco e innaturale, motivo per cui la donna disconosce il proprio corpo come oggetto sensuale e che da piacere costretta in una edulcorata immagine asessuata della maternità. Questo crea una mutilazione di una parte fondamentale del proprio femminile.

Difficile trovare messaggi culturali che connettano la donna alla sua totalità che includano corpo e

sessualità.

I corpi dell’immaginario televisivo sono distanti e svilenti, non corrispondono all’integrità dell’essere donna, nel delicato periodo di gravidanza e allattamento ogni percezione psico-corporea si espande, non si può conciliare ciò che viene da dentro con quello che l’esterno restituisce. In questi passaggi si svela e manifesta in maniera palese il senso del libro: generare un cambiamento, che le donne trovino maggiore corrispondenza tra il proprio mondo interno di passione, desiderio, energia creatrice e i valori culturali e sociali che dovrebbero iniziare ad aiutarle, sostenerle e proteggerle, ritualizzando e celebrando il proprio femminile non mortificandolo e amputandolo come altresì viene fatto.

Uno dei più bei passaggi del libro, un augurio, un contributo per cui scrivere.

Si fa luce sul lato invisibile del rapporto madre-figli, il corpo, che accoglie e si espande in gravidanza e il corpo che accoglie i cuccioli nell’abbraccio dell’allattamento. Un corpo che si apre alla relazione esclusiva dell’allattamento, che la donna utilizza nel tempo come modalità di relazione regolando e modulando i propri bisogni, quelli del figlio e della famiglia. Un corpo vivo che si relaziona con altri corpi, consapevole di questa natura fondamentale, l’ esserci con tutti se stessi.

Non si fanno ricette nè prescrizioni, si dice di rispettare i tempi che ognuno si sente per terminare il processo e recidere definitivamente il cordone

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ombelicale che va avanti dalla gravidanza e collega in maniera simbiotica i corpi e le anime della diade madre-bambino; con la fine dell’allattamento si crea un altro importante passaggio verso l’autonomia, un riappropriarsi della madre del suo corpo per intero per tornare ad essere la donna creativa per tutti, non solo una mamma.

Accanto ad una sfacciataggine di pance che esplodono ad ogni età spesso senza scelte consapevoli ci sono purtroppo ancora poche informazioni sane su temi così importanti come gravidanza, parto e allattamento e tanti pregiudizi e giudizi. La donna che allatta oltre l’anno di età è spesso bersaglio di critiche da chicchessia, voci che dicono che vizia il bambino, che ne alimenta la dipendenza che non si staccherà più, molte donne ancora pensano che avere latte sia una fortuna di poche, non un processo naturale che tutte hanno in dono e che basta sapere come si fa per produrlo e averlo in seno.

Basta allattare i bambini, attaccarli, la prolattina stimolata dall’ossitocina genera un circuito continuo in cui più il bimbo succhia più latte si produce, se il bimbo smette di succhiare il latte se ne va pian pianino; le donne che dicono di non avere latte hanno spesso avuto cattivi consiglieri e non hanno o hanno diminuito il numero delle poppate facendo si che il latte non fosse più stimolato nella sua produzione.

Questo spesso non si sa. Accade che cattivi pediatri consiglino ancor oggi la doppia pesata e ossessionino le donne sull’aumento di peso del loro piccino tanto da non farle sentire sufficientemente nutrienti, per questi medici il latte di mamma non basta, occorrono le giunte; le giunte di latte artificiale diventano sempre maggiori e le poppate sempre minori fino a che si smette di allattare perché il latte non c’è più, e si dice”non avevo più latte”, senza capire che una cattiva credenza e un cattivo comportamento ha fatto sì che questo accadesse. È importante attaccare subito nella prima ora di vita il bambino al proprio seno e allattarlo a richiesta affinchè sia la relazione tra madre e figlio e non rigide prescrizioni a stabilire le regole di un rapporto che con il latte e l’accoglienza nel morbido corpo materno, fonte di ogni piacere all’inizio della vita di ogni essere, prosegue con la conoscenza e la crescita reciproche di ogni membro del nucleo familare. Probabilmente staccare un bimbo dal seno da piccolo può forse essere più semplice poiché non si rende ancora conto del processo di separazione in maniera cosciente, farlo quando è più grandicello può far andare incontro a difficoltà e conflitti, talvolta la fine è graduale e naturale senza ferite, talvolta dolorosa e frutto di una lunga contrattazione. Vada come vada ogni storia è una storia a sé che, se vissuta con consapevolezza e con la dovuta responsabilità, rappresenta una delle tante fasi di attaccamento-separazione che si dovranno affrontare nell’accompagnare i nostri figli all’età adulta.

Diffondere la possibilità dell’allattamento materno fino al primo anno di vita e consigliarlo per tutto il secondo anno di vita terminando secondo i tempi di madre e bambino è anche l’OMS a dirlo. Considerare gravidanza, parto, allattamento come un continuum di un processo naturale è informazione corretta, se una donna ha avuto le giuste informazioni è molto più difficile che dica che non ha allattato perché non aveva latte, forse dovrà prendere atto di altre questioni interne.

Certi percorsi adottati se scelti come la propria strada fanno la differenza negli adulti di domani. Se siamo consapevoli fin dal concepimento e per tutta la gravidanza, se decidiamo con coscienza come partorire e ce ne assumiamo il carico del piacere e del dolore, se siamo presenti alla relazione con i nostri figli fin dalle prime è molto difficile scegliere di non allattare. Se i condizionamenti culturali ci portano lontano dalla naturalità delle cose si fanno scelte di altro tipo. Questo non significa che una donna deve annullarsi per il proprio bambino e portarsi a fatiche estreme per allattare, significa al contrario ascoltare i propri e gli altrui bisogni in un percorso di conoscenza e crescita che prevede una ri-concertazione costante e continua della relazione.

Alle volte gravi problemi si frappongo al normale svolgersi delle cose, ma anche di fronte a difficoltà di salute proprie e del figlio tante donne motivate sono riuscite a non mollare il processo prezioso del dare latte che è un dono per tutta la vita, come evidenzia un signore in una delle testimonianze del libro che all’età di oltre settanta anni ricorda ancora il sapore del latte della mamma.

Questo ricordo è il ricordo di una relazione cui torniamo al sicuro ogni volta che da grandi ne abbiamo bisogno, è uno spazio di protezione, di bene e di sicurezza che abbiamo introiettato, quella base sicura da cui partiamo all’esplorazione del mondo.

AssociazioneLe Dicei Lune

via degli Artigiani n. 7 Pisa TEL 050 573537 www.lediecilune.it

Il libro è disponibile presso l’Associazione L’ALBA oppure direttamente all’Associazione Le Dieci Lune

Vivo voltata all'indietro.

La casa si svuota, Ma il cuore é pieno.

Mapi Cerrai

Gettare via ciò che piiu' amo, È come lasciare le persone che piu' si amano, Prima di venire, a mia volta, lasciata.

Rinunciare agli oggetti amati, Mi protegge dal dolore Che mi vengano sottratti.

Voglio ripulire la soffitta, Visto che non sò ripulire la mia mente.

Sempre ricominciare, E allora non voglio che Oggetti, ricordi, affetti ed effetti, Mi seguano.

Come periodicamente viene Distrutta la mia vita.

Getto via le cose che piu' amo, Le regalo, le svendo, le dono, Ma soprattutto le distruggo.

LA SMANIA DEL CONTROLLO

photo Riccardo Romeo

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Fiducia Quello che segue è un esercizio di scrittura svolto durante la riunione mensile di supervisione dei laboratori di arti per l’autonomia.

Al laboratorio, dopo averla detta, la conduttrice analizza nelle sue sfumature la parola scelta. Questa volta la parola era “fiducia”.

FIDUCIA: senso di affidamento e di sicurezza che viene da speranza o stima fondata su qualcuno o qualcosa.

La fiducia è basilare per intraprendere un viaggio, un percorso, una strada scelta. Per proseguire nel migliore dei modi è necessario aver fede nella giustezza di ciò che facciamo e nella verità di ciò che ci ha fatto scegliere di intraprendere quel percorso. E cos’è che ci fa avere fiducia? Le parole che ci vengono dette? L’aspetto accattivante di chi ce le dice? Un certo istinto? Capita che ci troviamo delusi o ingannati.

E allora? Con l’esperienza si impara a diffidare di chi ci offre facili, troppo facili mete e facili guadagni, si impara a sentire se la proposta può essere “pelosa”. Quello che può farci avere fiducia è ciò che non usa esche golose, ma ciò che si limita a indicare traguardi disinteressati. Ciò che umilmente ti consiglia qualcosa e viene da chi conosci e stimi. Ascoltare ad esempio chi ti chiede soldi per moltiplicarteli è sciocco, ma ascoltare chi ti dice: “Prova a seguire questo percorso e prova per migliorare la tua condizione” e il percorso non ti costa che impegno per migliorarti, fidati provando, se senti che ne vale la pena. La fiducia fa parte delle emozioni e le emozioni aiutano a scegliere. E tutto passa dalla fiducia.

A questo punto ognuno dei presenti ha scritto una parola di associazione da cui ci siamo ispirati per scrivere il nostro elaborato. Le parole sono state le seguenti.

FIDUCIA CALORE MANO PERSONE GRATITUDINE SCARPE ETERNITA’ L’ALTRO VUOTO DIFFIDENZA GRATIFICAZIONE GIOIA

Le persone presenti erano: Nada, Diana, Eugenio, Velia, Gabriella, Fabiana, Lucia, Giorgio, Enrico, Stefano.

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Eugenio: Si chiamava Reisneck ed era l’unico figlio di immigrati polacchi. Era approdato in Italia insieme ai genitori. La sua statura era media e di corporatura robusta. Sovente indossava una giacca marrone, color tabacco. Aveva pochi capelli nonostanta non fosse troppo in là con gli anni. La mattina verso le nove scendeva a far colazione in un caffè proprio davanti allo stabile in cui abitava. Era un modo come un altro per incontrare delle persone. In quella circostanza molti gli davano la mano per salutarlo e in mezzo ad un’atmosfera pregna di mani del primo mattino, usavano dirgli:”Buongiorno Reisneck, come va?”

Attraverso le varie strette di mano, si accorgeva della gente intorno a lui e decideva se era il caso di potersi fidare o meno. D’altronde parlava un italiano quasi incomprensibile e le strette di mano delle persone che incontrava al caffè l momento della colazione, costituivano per lui un modo per conoscere la gente.

Nella sua vita non aveva lussi, viveva con poco e indossava sempre gli stessi abiti. Era fedele da anni alla sua giacca, un ottimo capo comprato in Polonia molti anni fa. Sia in estate che in inverno portava le stesse scarpe, un paio di ottimi scarponi assai robusti e resistenti a tutte le intemperie. Talvolta li faceva riparare da un vecchio calzolaio che aveva ormai quasi novant’anni. Gli portava gli scarponi senza dire una parola e il brav’uomo, anche perché era molto in là con gli anni, li prendeva senza parlare, li saggiava e tastava ripetutamente per scoprire i guasti da riparare. I due erano soliti accordarsi tacitamente.

Nada: Di fronte ad una persona nuova, mi sento molto fiduciosa, aperta a tutte le possibilità positive. Non prendo in considerazione la parte negativa. È come se fossi”settata”sul positivo riguardo a quella persona ed al rapporto che nascerà con lei. Credo di avere quindi una fiducia di base nei confronti degli altri, come quei cani che scodinzolano sempre. La diffidenza sorge dopo alle volte e la vivo sempre male. Mi sento molto stupida ed infantile nell’essermi fidata. Mi dico che devo crescere, come se questo fosse un atteggiamento tipico dei bammbini. Allora faccio la persona adulta e”scafata”però mi sento molto antipatica, mentre il fatto di essere aperta agli altri mi fa sentire leggera e serena.

Lucia: FIDES/FIDUCIA NEL VUOTO DELLA DIFFIDENZA VERSO L’ALTRO È POSSIBILE GIOIRE di UNA GRAZIA SENZA TEMPO, TENDENDO LA MANO ALL’ETERNITA’.

Maria Velia: La fiducia è una madre che quando manca è cercata con paura. È l’aria che non può non esserci.

Per un bambino è come il cibo che deve essergli dato.

Per un uomo è cibo che deve cercare per affrontare la vita.

Diana: La mano nelle scarpe sente il caldo dei piedi.

Gioia per l’altro: il vuoto della eterna gratitudine diffida la gratificazione.

Fidiamoci delle persone se sono in amore ed eterna grazia.

Altrimenti guardarsi bene.

Diffidare la menzogna.

Osservare le scarpe e radicarsi a terra.

Smissilati oltre il cielo

Compagnia Papalagi Torre del Lago Puccini 05th Sept 2012 photo Eugenio Sanna

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tra terra e cielo un varco di verità: multiversi *questa verità la colleghiamo con la fede.

Enrico: Mi sento poco motivato nel raccontare qualcosa perché non sono abituato a scrivere e sinceramente non so cosa posso raccontare. Ho sempre avuto delle grosse difficoltà scolastiche e quel poco di cultura l’ho acquisita dalla vita pratica. La parola fiducia mi porta direttamente ad analizzare la parola diffidenza perché la vita mi ha reso prudente e disilluso perciò tendo a proiettarmi verso le persone con diffidenza rendendomi conto di essere però prevenuto.

Stefano: Universo.

Ho visto alti picchi di montagna dalle nevi perenni innalzarsi per universi bui e freddi e senza calar luce.

Ho avuto fiducia in me stesso da questa visione e piano piano mi sono sentito scaldare da tepori di stelle anche per galassie lontane a me non visibili ed ho percepito la volontà di qualcosa, di un Dio che mi voleva vivo a questo mondo con tutti i miei pregi e i miei difetti ed ho avuto la meraviglia nel cuore che emanava da tutto questo evento che mi orbitava intorno.

Parole, parole, parole per dire che mi sento parte ed amante di questo pianeta a me amico. L’ermetismo e le emozioni che ancora mi dà questa poesia estemporanea sono per me pressoché infinite.

Giorgio: L’altro L’altra mano può emanare calore gioia, oppure anche nuda gratitudine ma solo nella gioia profonda arde il fuoco del sentimento. La mano può essere gioiosa, calore, vuota, alle volte diffidente, ma per capire una mano com’è in quel momento bisogna guardare dietro gli occhi, dietro le pupille, dietro il colore dell’iride e allora succede che nasce la gioia e la diffidenza, può nascere un calore che brucia la mano o brucia il cuore. Le mani anche quando sono fredde bruciano così come gli occhi aprono mondi di colori-calori. Le scarpe portano piedi di donne e uomini giovani o anziani ospitano piedi di fanciulli e di fanciulle. I piedi portano i segni della bontà e della cattiveria che gli altri ci regalano.

Fabiana: Dammi la tua mano, ma non quella in cui nascondi il coltello affilato.

La vita mi ha inferto anche troppe ferite mortali, le mie vesti sanguinano e il dolore è così forte da impazzire. Soprattutto non ho bisogno di falsi sorrisi, di occhi ipocriti, e pietà le mie tasche ne sono già colme e la delusione ha raggiunto il limite.

Perciò dammi la tua mano, stringi forte le dita alle mie, fino a farmi male, fino a farmi sentire che non sono così sola come gli altri mi dicono.

Il non sentirsi amati è una triste condizione, raschia la tua carne fino a metterti a nudo l’anima, piccola nuda e indifesa e io ho bisogno di coprirla perché ha freddo.

Così dammi la tua mano, i fantasmi del passato se ne andranno via con la luce dell’alba ed io rinata a nuova vita saprò dare le mie mani a tutti coloro che ancora vagano ciechi nella sofferenza.

Gabriella: La fiducia presupposto importante per svolgere qualsiasi attività. Avere fede cioè credere in ciò che si fa e saperlo fare è una gratificazione per se stessi specie se si fa con gratitudine. Fare del bene agli altri è una dimostrazione di fiducia; oggi la fiducia è un mezzo molto importante per creare attorno a sé un alone di pace e armonia. Avere fiducia in qualcuno è come credere in quella persona; però attenzione alle persone che diffidano perché in qualche modo quando la fiducia la tradiscono è come essere discreti e riservati.

Solo conoscendo le persone si può dare a loro fiducia. Nel dare fiducia in primis a qualcuno che ti ispira si può conquistarla anche dall’ altra parte perché se vogliamo raggiungere qualcosa bisogna credere.

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L’amore

del Terzo Millennio di Alessandro Romagnani

A riprova del successo dei laboratori per l’autonomia lo spettacolo”L’amore del terzo millennio”è stato completamente ideato dalla volontà e dalle idee di Alessandro Romagnani E Valentina guidi che hanno autogestito un gruppo di arte creando e seguendo interamente una semplice regia di balletto e canto intervallata da momenti ludici con stecchetti comici. Interamente ideata e realizzata dal gruppo NSV con la supervisione di Diana Gallo per il canto e di Marco Campori per il teatro, la performance ha avuto successo e i partecipanti hanno trovato soddisfazione nel realizzarla.

L’amore del terzo millennio è stato rappresentato alla stazione Leopolda il giorno 30 giugno 2012 all’interno dell’Arci Fest e il 19 luglio 2012 a Coltano all’ interno della festa realizzata nel campeggio autogestito dagli utenti.

Hanno partecipato: cantanti, ballerini, comici.

I cantanti erano: Alessandro Romagnani, Valentina Guidi, Matteo Luschi e Marco Colella.

I ballerini erano: Dario, Valentina, Claudia e Manola. I comici erano: Luciano, Antonio, Manola.

Il presentatore era Dario Chiocchetti.

Le esibizioni dei cantanti erano: Alessandro Romagnani con perdere l’amore, (m.ranieri), alessandro romagnani e valentina guidi in duo con gli innamorati( albano e romina), alessandro romagnani con mi manchi (f.leali) e adesso tu( e.ramazzotti).

I balletti sono stati svolti da dario,valentina e il resto del gruppo.

Le musiche dei balletti erano: arianna, danze gain,

umbrella, pinocchio tra gli dei (pino scotto club dogo).

I comici erano: luciano, antonio, manola, ale (scene panariello), scena matrimonio svolta da valentina e matteo, prete luciano, babbo vale ale I vestiti li abbiamo noleggiati al priscilla.

Le canzoni di marco colella erano: quanti amori(g d alessio), il regalo piu grande (t ferro), carlo buffoni si È occupato della musica, alessandro ha portato i cd di albano di eros e di fausto leali. Un rigraziamento al circolo l’ alba per le prove dello spettacolo, alla presidentessa diana gallo per le prove di canto e ballo, a marco campori per unire teatro e canto insieme.

Ci rivediamo il prossimo anno.

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Vacanze

al Mugello

Per il quarto anno consecutivo i ragazzi di Nuovi Spazi di Vita e non solo hanno deciso di trascorrere una vacanza tutti insieme al Mugello. Come da tradizione hanno contattato Giuseppe Pratesi Presidente dell’associazione Astolfo di Borgo San Lorenzo (Fi), impegnata nell’ambito della salute mentale e responsabile del casale che ci ospita. Beppe ci ha subito informati del fatto che, da questo hanno, parte de”La casa al Giogo”è gestita dalla cooperativa sociale Ospitale delle Rifiorenze. Dunque, in aggiunta agli anni passati, abbiamo avuto anche il piacere di condividere lo spazio con altre persone in vacanza.

Come al solito ci siamo prodigati in molteplici attività intorno al rifugio: escursioni, trekking, gita al lago, gita al fiume.., ma la cosa che più ci preme evidenziare è come questa esperienza continui sempre più a stupirci ed emozionarci. Il fatto di ritrovarci nella stessa situazione, ma a distanza di un anno ci permette di notare quei cambiamenti che, vivendo il normale scorrere del tempo, non riusciremmo a cogliere. Oltre ad avere confermati e arricchiti i legami affettivi e l’attiva collaborazione circa le faccende pratiche della convivenza, riusciamo sempre più a goderci la vacanza come momento di svago, di relax, di unione e condivisione. Non sono mancati momenti di emergenza o incomprensioni per cui è stata necessario il nostro intervento..., ma eravamo in 30 e il ricordo che rimane più incisivo nelle nostre menti, è quello di aver passato dei bei giorni insieme e l’orgoglio di vedere i frutti di tutto il lavoro svolto in un anno.

Lo staff NSV: Chiara, Antonella, Elisa e Francesca.

Sono stato al Mugello si è fatto il bagno nel fiume, c’erano i pesci grandi e i pescini, i sassi, si mangiava i cocomeri, i peperoni, la carne, il riso freddo. Siamo andati in un altro lago ed era profondo, c’erano i pesci. Una notte si è sentito male Carletto.

Luca l’ha portato all’ospedale e ci ha passato tutta la notte. L’hanno dimesso il giorno dopo e stava bene. Poi si sono visti cinghiali, mucche e daini, siamo stati all’acqua park, tutti al mare con i ragaz-

zi del servizio civile, siamo stati in Coltano, c’erano gli scivoli.

Andavamo al mare e a Tirrenia. C’era l’ idromassaggio, si facevano tante passeggiate nei sentieri, tanti bagni in acqua e in tutti i posti. Poi siamo stati in San Rossore alla Sterpaia e lì abbiamo giocato e fatto il pic-nic sul prato. Ho accarezzato il cavallo.

Mi sono divertito tanto e sono stato bene con gli altri ragazzi.

Alessio Mammini

Lunedì 6 Agosto ci siamo ritrovati davanti al circolo l’Alba, abbiamo aspettato tutti e poi siamo partiti. Io ero in macchina con Luca Dini che guidava, Laura, Silvì, io e Nicoletta eravamo dietro e poi ad un certo punti ci siamo fermati all’autogrill per pranzo. Finito di pranzare io sono andato con Laura a fare un giro dentro l’autogrill io ho preso il caffé e lei ha fatto un giretto, poi siamo ripartiti per il Mugello e infine siamo arrivati. Abbiamo posto le cose nelle camere e aspettato che finissero di fare la spesa. Nel fra tempo sono arrivati Simone , Fabio, Giuliana. Poi Simone si è messo a fare le bistecche con luca al buio, poi dopo abbiamo cenato e poi ci siamo fatti gli affari nostri. La sera stessa, che in camera eravamo Luca, io, Riposati, Leandrini, Sassi, Luschi, luca si è messo a fare gli scherzi a Carlo. S. e a Matteo …. Poi siamo andati a dormire. Il mattino successivo io,Dario.c. Matteo Luschi abbiamo preparato e apparecchiato per la colazione, Simone ha scaldato il latte. Dopo la colazione abbiamo fatto alcune foto e poi siamo partiti per il fiume.Quando siamo arrivati alcuni hanno fatto il bagno ma non tutti perché nel pomeriggio era freddo,abbiamo invece fatto un sacco di foto,poi Fabio, Simone, Giuliana, sono tornati a Pisa e noi al casale.Quando si era al casale hanno staccato un attimo la corrente, Carlo.S. è rimasto insaponato poi hanno riattivato la corrente e ci siamo fatti tutti la doccia. Abbiamo preparato cena e abbiamo mangiato poi siamo andati a giocare dopo cena a biliardino.

Il giorno dopo abbiamo fatto colazione, poi abbiamo preparato il pranzo e poi siamo andati a riposarci, nel pomeriggio abbiamo fatto un giro in paese, poi la sera stessa siamo stati a cena dal Pratesi dove abbiamo mangiato pasta alla pomarola, insalata, cocomero, macedonia, gelato poi abbiamo salutato con un canto il Pratesi. Il giorno dopo siamo andati a fare il bagno dove aveva detto il Pratesi, li ci siamo stati Painted by Diana Gallo Iside Romeo tutto il giorno poi ad una certa ora siamo saliti e tutti ci siamo presi qualcosa, siamo partiti per tornare al casale e invece siamo ritornati indietro a prendere il portafoglio di Fausto e infine siamo andati a prendergli le sigarette e siamo tornati al casale per fare la doccia, abbiamo cenato e dopo cena è tornato Matteo tutto graffiato. Io l’ho preso con me e lo portato a farsi la doccia e poi siamo andati a fare gli scherzi a Carlo. S., poi Carlo me lo ha fatto a me. Io nel fra tempo sono stato male e mi hanno portato di sera tardi all’ospedale, mi hanno visitato e io sono stato a dormire lì. La mattina ci hanno dato un caffè schifoso e con me tutta la notte a farmi compagnia c’era Luca ed è stato bravo poi sono venute Elisa e Franci a prenderci. Abbiamo preso al casale il caffè poi io e Luca ci siamo riposati e poi abbiamo fatto prima di pranzo le valigie, poi i ragazzi erano ancora ad abbracciarmi, Alessia ha pianto di più, poi abbiamo pranzato, ci siamo riposati, gli altri sono andati con le macchine e i furgoni via ed io sono andato via con il treno per il discorso che mi sono sentito male. Siamo partiti e quando siamo arrivati siamo andati al circolo L’Alba. Gli altri erano già andati via e infine anche quelli che erano in treno son tornati via Laura, Antonio, Claudia, io, Elisa ….. l’emozione è stata bella.

Carlo Buffoni

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Tirocinio

a L’Alba

di Raffaella Rumieri

Il mio tirocinio presso l’Alba è iniziato nel Novembre del 2011 ed è stato diviso tra i gruppi di auto-aiuto in clinica psichiatrica con Vessela Panova, la musicoterapia ed il laboratorio onirico con Eugenio Sanna, il laboratorio di scrittura e di redazione con Maria Velia, danza butoh con Manrico, il laboratorio di autonomia con Francesca, il laboratorio di yoga con Stefano.

Un percorso scandito da diverse e molteplici tappe che mi ha offerto un’idea più ampia e variegata di ciò che succedeva in un’Associazione come l’Alba, dandomi anche l’opportunità di lavorare con i ragazzi dei Nuovi Spazi di vita, e non solo.

Quando ho visto per la prima volta l’Associazione sono rimasta stupita, tanto da chiedere conferma a Diana Gallo se davvero tutti coloro che lavoravano all’interno dell’Alba fossero ex utenti e lei, non solo mi ha confermato che fosse proprio così ma, ha riferito di essere contenta per la mia osservazione, perché era la conferma del buon lavoro svolto.

Si, ci sono riusciti davvero! Perché quel luogo, così accogliente e sempre pieno di persone, riesce perfettamente ad esser un punto di ritrovo per chiunque, a prescindere dal loro stato di salute.

Il percorso presso questa struttura è stato per me un toccasana, avevo bisogno dopo l’esperienza in clinica psichiatrica (il primo anno di tirocinio è completamente strutturato lì) di essere spronata, di vedere davvero cosa in cosa consistesse la riabilitazione psichiatrica, ma soprattutto avevo bisogno di contatti umani con operatori, facilitatori e utenti. Avevo bisogno, inoltre, di capire se quella fosse davvero la strada giusta per me. Per questo devo ringraziare non solo coloro che mi hanno dato l’opportunità di intraprendere questa avventura, ma anche ogni singola persona che ho incontrato durante il mio cammino. Ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa che mi accompagnerà per il resto del mio percorso.

Nei gruppi di auto aiuto ho imparato quanto sia importante avere alla base delle relazioni un rapporto di parità, quanto possa essere produttivo, in un giusto contesto, il semplice parlare dei propri problemi. Ho sperimentato sulla mia pelle come vengano a crearsi al loro interno rapporti di semplici e puri affetti cha vanno al di là dell’intrattenimento. Ed è proprio in questo contesto che inizialmente mi sentivo a disagio.

Ero entrata, da persona non malata e con poca esperienza, in un gruppo già ben avviato e i dubbi su cosa fosse giusto dire, sul come comportarsi e gli atteggiamenti da tenere, almeno all’inizio, non mi hanno permesso di godere pienamente della situazione.

Con il tempo poi le cose sono venute da sé, inaspettatamente mi sentivo parte di loro, sentivo di essere accettata ed apprezzata. Ed è così, essendo completamente me stessa, che si sono venuti a creare rapporti che mi hanno permesso di ampliare le mie vedute e finalmente sentirmi adatta. Nei gruppi di auto aiuto ho capito quanto anch’io fossi fragile, quanto le mie paure fossero vicine a quelle di ognuno di loro.

Per questo mi sento di ringraziare particolarmente Vessi e Roberto che, durante il mio percorso, mi hanno accompagnato con cura e mi hanno fatto capire quanto, anche io”persona non malata”, fossi vulnerabile e, con i loro modi gentili, mi hanno sempre spronato a fare meglio attraverso anche i loro stupendi sorrisi.

Il tirocinio presso l’Alba mi è servito anche a creare rapporti empatici con le persone più disparate senza la minima ombra di pregiudizio.Tra i laboratori sperimentati, i gruppi di auto aiuto sono stati sicuramente quelli che mi hanno colpito di più, ma non dimenticherei la saggezza e la profondità di Eugenio Sanna che con la sua dote di leggere al di là delle apparenze mi ha sempre colpito, la capacità di Stefano di far rilassare anche le persone più agitate, la forza di Maria Velia di far esprimere anche le persone più riservate, la forza di Manrico di metterci sempre alla prova e infine la grinta con cui Francesca portava avanti l’esperienza di Silvano Arieti.

Ringrazio ancora una volta tutti per l’opportunità concessami che mi ha trasformato interiormente, rendendomi una persona migliore che continuerà ancora a frequentare l’Alba, ma questa volta con meno”ansia da prestazione”. Un saluto ed un arrivederci a presto!

I sapori

di Valeriana di Valeriana Ammannati

Involtini alla pizzaiola Ingredienti per 4 persone

Farfalle al salmone con pomodorini e rucola

Ingredienti per 4 persone 320 gr di farfalle di semola di grano duro 300 gr di salmone fresco 300 gr di pomodorini freschi un mazzetto di rucola olio sale e pepe

8 fettine sottili di carne di manzo 8 fette di pancetta tesa 8 fette di pecorino fresco 300 gr di pomodorini freschi 20 gr di origano 50 gr di capperi 30 gr. di olive nere denocciolate uno spicchio d’aglio prezzemolo olio sale e pepe

Stendere le fettine di carne di manzo, ricoprirle con Tagliare i pomodorini a metĂ , spezzettare la rucola la pancetta, il pecorino, il prezzemolo tritato e avvolgerle chiudendole con uno stuzzicadenti. e condire con olio, sale e pepe.

Tagliare il salmone a pezzetti e farli rosolare in pa- Tritare l’aglio, soffriggerlo e aggiungere i pomododella, aggingere i pomodorini e la rucola, la pasta rini freschi tagliati a metà , i capperi, prezzemolo tritato, origano sale e pepe. cotta e saltare Adagiare gli involtini e far cuocere per 15/20 minuti.

Aggiungere le olive nere denocciolate e insaporire con altro origano.

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ASSOCIAZIONE

lalbassociazione.com