Rivista La chiave di Sophia #6 - Comunicazione etica

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N.6 Anno III | Giu - Set 2018

INTERVISTA A MASSIMO DONA

La dimensione vitale della filosofia

NUOVI ORIZZONTI

dossier

COMUNICAZIONE ETICA Nell'eterogeneità delle sue forme e dei suoi mezzi, il comunicare necessita sempre di più una riflessione etica volta al coinvolgimento, alla partecipazione, allo scambio e alla responsabilità.

Intervengono Adriano Fabris, Ugo Volli, Francesco Bellino, Paolo Crepet, Giusy Versace, Silvio Ramat e Marco Bersanelli FORME E SPAZI DI DIALOGO

Lanificio Paoletti, Legambiente, Museo della Scienza di Milano, Fondazione Štepán Zavrel, Olojin



SPECIALE Filosofia e altri linguaggi La dimensione vitale della filosofia. Intervista a Massimo Donà

74

SOMMARIO

Giu - Set 2018 - N. 6

RUBRICHE Filosofia per bambini Un ontologo in cerca di bellezza

70

Giochiamo con gli universali

di La valigia del filosofo Bioeticamente “È bene per il paziente?”

72

Uno sguardo sulla consulenza etica in ambito sanitario

di Federico Nicoli Intervista Filosofia e altri linguaggi

3

Liberi di essere

4

Appunti per un’educazione libertaria

di Alvise Gasparini Nord, Sud-Ovest, Est? L’identità che vive di alterità: una geografia umana

74

8

Rileggere le fiabe dei bambini per riflettere da adulti

di Azzurra Gianotto

di Elena Casagrande & Luca Mauceri

79

Per una filosofia del pieno e del vuoto Una stanza vuota diventa un oggetto artistico pieno

di Francesca Plesnizer

A lezione di felicità dal maestro del pessimismo

di Alessandro Tonon Selezionati per voi Libri di Sonia Cominassi Film di Rossella Farnese Libri Junior di Federica Bonisiol

6

di Riccardo Liguori Speranze archetipiche

La dimensione vitale della filosofia. Intervista a Massimo Donà

Philovintage L’arte di essere felici di Schopenhauer

Editoriale di Elisa Giraud

82

8

10


SOMMARIO

40 Suscitare segrete consonanze Dialogo sulla poesia allusiva, inclusiva e universale di Silvio Ramat & Rossella Farnese

COMUNICAZIONE ETICA Etiche delle comunicazioni

14

L’applicazione di forme e principi etici alternativi in ambito comunicativo

Parlare a due di Anna Tieppo

42

Responsabilità nella comunicazione di Massimiliano Mattiuzzo

44

di Ugo Volli

Una fabbrica come spazio comunicativo 46

“Come non sono”

Un intreccio di discipline, persone e arti per raccontare l’azienda

17

La rappresentazione della donna nei media italiani tra stereotipi di genere e visione androcentrica

di Lanificio Paoletti

di Greta Esposito

Lo sport che abbatte le barriere. Intervista a Giusy Versace di Elena Casagrande & Giorgia Favero

Persone, non utenti

20

48

È realistico parlare di marketing morale nella nostra epoca?

L’educazione maieutica tra genitori e figli 52 di Giacomo Dall’Ava

di Stefano Notturno - CEO Olojin Comunicare l’ambiente di Legambiente

22

La falsa democrazia di internet. Intervista a Paolo Crepet di La Redazione

24

Le ragioni di un’etica dell’immagine di Claudia Carbonari

28

Quando la scienza è per tutti di Maria Xanthoudaki & Matteo Villa

54

Il diritto all’immaginazione

57

L’illustrazione come spazio di libertà e dialogo di Fondazione Štěpán Zavřel

Etica e netiquette della rete di Francesco Bellino

60

Comunicazione e nuovi scenari tecnologici Il ruolo dell’etica tra giornalismo e opinione pubblica

di Adriano Fabris

30

Al di là dei bulli di Tito Sartori

33

Communication Talk Marco Bersanelli, Francesco Brancato, Quinte Parallele, Andrea Bettini

36

Di - segno in segno 62 Comunicare nel silenzio di un gesto. Disegnando spazi di Lisa De Chirico La voce del cinema d’inchiesta di Alvise Wollner

64

L’etica del linguaggio di Luca Mauceri

66


LE RESPONSABILITÀ NELLO SPAZIO COMUNICATIVO

EDITORIALE

di Elisa Giraud «Consapevole della sofferenza provocata dalle parole pronunciate con noncuranza e dall’incapacità di ascoltare gli altri, faccio voto di coltivare la parola amorevole e l’ascolto profondo al fine di recare gioia e felicità agli altri e di alleviare la loro sofferenza. Cosciente del fatto che le parole possono creare felicità o sofferenza, faccio voto di imparare a parlare con sincerità, usando parole che ispirano fiducia in sé stessi, gioia e speranza. Sono determinato a non diffondere notizie se non ho certezze e a non criticare o condannare nulla di cui non sia sicuro. Mi asterrò dal pronunciare parole che possono causare divisione o discordia o che possono portare a lacerazioni in seno alla famiglia o alla comunità». Questo è il Quarto Precetto della tradizione Buddista che consiste, in sintesi, nell’astenersi da quattro azioni: non dire la verità; esagerare, inventare qualcosa o descriverla più bella o più brutta di quanto non sia realmente; avere la lingua biforcuta; ricorrere a un linguaggio osceno, insultare o maltrattare le persone. Nella tradizione Cristiana il precetto lasciato da Gesù a riguardo di buona condotta in tema di comunicazione è lapidario: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5,37). Riflettere sull’etica della comunicazione, ma soprattutto cercare di dare un’etica alla comunicazione, è dunque attività che si fa da almeno un paio di millenni. Tuttavia la comunicazione è sempre in divenire, si evolve con l’uomo, con la società e con la tecnologia. Da alcuni anni stiamo assistendo ad un processo di imbruttimento e imbarbarimento della comunicazione verbale, scritta e fisica. Oltre un anno fa, dopo il primo evento del progetto Parole O_Stili, che riguarda in particolar modo la comunicazione scritta e quella nel mondo virtuale, scrissi «Purtroppo non esiste una bilancia per riconoscere universalmente e con certezza il peso delle parole, se non la nostra coscienza, la nostra morale, il nostro grado di umanità. Il linguaggio dei social manda un riflesso della società di oggi, fatta di chiusure, muri che si alzano, arroganza che batte la gentilezza». In questo senso si rende necessario un cambio di rotta per riportare la conversazione su binari meno disumani. L’obiettivo del dossier di ricerca di questo numero della rivista La Chiave di Sophia è simile a quello del progetto Parole O_Stili, ossia riflettere circa la possibilità o meno di una comunicazione etica, capire se e in base a quali criteri possiamo dire che il nostro agire comunicativo può essere considerato “buono”, a seconda del medium utilizzato. Ciò tenendo presente che i criteri del comunicare, con le loro implicazioni etiche, non dipendono affatto da una qualche essenza previamente fissata, ma dalla struttura stessa della comunicazione, concepita nel suo aspetto funzionale, dinamico, tale da richiedere comunque a qualcuno che lo realizzi. La comunicazione etica, oggi, è un’esigenza. «Queste ricerche – scrive Adriano Fabris nel suo libro L’etica della comunicazione – sono espressione di quell’esigenza di regolamentazione dello spazio comunicativo che emerge sempre più chiaramente nella coscienza di chi è inserito in questo stesso spazio».


4 LA CHIAVE DI SOPHIA | ALVISE GASPARINI

LIBERI DI ESSERE Appunti per un’educazione libertaria

di Alvise Gasparini

V

orrei non ci fosse il mio nome per questo articolo. Non dovremmo farci influenzare dal nome dell’autore, da un acclamato Dostoevskij o da uno sconosciuto Gasparini. Vorrei non curare questa allergia a curricula e strette di mano. Qualifiche, titoli e presentazioni degli aspetti migliori di noi quasi per avvertire il mondo del nostro imminente arrivo. L’avvento di maschere composte da lavoro, competenze, conto in banca, modo di vestire. Ingredienti diversi per la necessaria e maniacale costruzione del sé da vendere al pubblico, per mostrare al mondo che siamo noi stessi. Questo nostro personaggio dovrà essere un vincente, o almeno migliore d’altri, il buon automa da offrire ai colloqui di lavoro, alle selezioni per calpestare gli altri. Vediamo ciò tutti i giorni, critichiamo in nome di una solidarietà e di valori che probabilmente alla prima occasione buona potremmo tradire anche noi. Troppo spesso la natura umana viene definita essenzialmente egoista e utilitarista, non curandosi dell’altro da sé. Non credo a questa prospettiva ma credo all’influenza istituzionale e socio-culturale capace di spingere in questa direzione.

Se pensiamo alle basi della società in cui viviamo, se guardiamo alle nostre radici poi potate e trasposte nel vaso in cui crescere e formarci, ovvero il sistema educativo, possiamo osservare come i disagi attuali siano già intrinseci nell’assunto di partenza. Ivan Illich, pedagogista e filosofo, forte del periodo di contestazioni nei confronti dell’autoritarismo tipico tra gli anni ’60 e ’70, scrive di come lo stesso sistema educativo sia la matrice malata delle diseguaglianze di cui è permeata la società1. Da una causa ad un effetto. Da una scuola volta alla competizione, efficientemente controllata secondo l’assegnazione di premi e punizioni, fino ad arrivare alla realizzazione della concorrenza del mercato. Fin dal primo contesto sociale impariamo a conoscerci, a sapere in cosa siamo capaci o meno e tralasciando aspetti negativi ci viene data una specifica forma.

La formazione diviene iper-specializzazione che incasella e rende funzionale ogni individuo, un singolo ingranaggio diverso e complementare.


LA CHIAVE DI SOPHIA | GIU - SET 2018 5

abbandono alla dinamica della Tecnica, ovvero della predisposizione dei mezzi per raggiungere determinati fini, quali la produzione e l’efficienza razionale. Dal punto di vista formativo i dettami devono essere dati in funzione del problem solving, della risoluzione e archiviazione di problematiche calcolate. In tutto ciò è evidente la perdita della responsabilità dell’individuo, la resa ad un ente educativo padrone prima e una società autoritaria poi, fino alla quasi volontaria auto-reclusione nella gabbia d’acciaio della razionalità teorizzata da Max Weber3.

È forse il momento della seconda navigazione platonica, dell’esplorazione senza mappe, senza sovrastrutture.

La formazione diviene iper-specializzazione che incasella e rende funzionale ogni individuo, un singolo ingranaggio diverso e complementare ad altri al fine di generare quella che il sociologo Émile Durkheim chiamava solidarietà organica2. In essa non vi è altro che la concezione di una divisione del lavoro, un’etichetta che ci dà l’illusione di essere importanti. Non che sia possibile imparare tutto o saper fare tutto ma ivi si instaura la rinuncia alla conoscenza e alla curiosità solo perché il nostro curriculum, il nostro copione prevede ormai altro. Il carattere educativo emergente è quello della prescrizione per la somministrazione di quello che sarà il medicinale adeguato per diventare un buon umano, magari migliore di altri. Qui riprendiamo Ivan Illich liberandolo da accuse anti-sociali e valorizzando il punto fondamentale della sua opera di descolarizzazione, ovvero la cessione ad un ente esterno e autoritario il compito di educare e selezionare l’umanità. Il risultato è un

In un’epoca di crisi di valori e di messa in dubbio di ogni autorità e voce istituzionale dovremmo ricordarci di quanto effettivamente sia difficile costruire piuttosto che decostruire, di quanto sia necessaria una tensione filosofica al dubbio e alla criticità che abbia il coraggio d’essere anarchica – inteso secondo l’accezione di Proudhon dell’ordine senza il potere – nella misura in cui non ci si identifica con un dato sistema, con un potere a cui non si vuole sottostare aprioristicamente. È forse il momento della seconda navigazione platonica, dell’esplorazione senza mappe, senza le sovrastrutture che non sono più proprie di un’umanità che non vuol riconoscersi in una valutazione, un lavoro, un titolo. È forse il periodo per una consapevolezza volta alla de-mercificazione, alla de-valutazione e al de-potenziamento per poter – nel senso di dynamis (possibilità) – essere liberi di imparare4.

1

I. Illich, Descolarizzare la società. Una società senza scuola è possibile?, Mimesis Edizioni, Milano 2010. 2 E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Comunità, Milano 1962, p. 101. 3 Cfr. M.Weber, La scienza come professione, Bompiani, Milano 2008. 4 Cfr. L’omonimo libro di F. Codello, pedagogista e studioso di educazione libertaria.


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