Tar luglio 2017 avanzato domanda di riscatto – ai fini del trattamento di quiescenza (buonuscita e p

TAR luglio 2017 - avanzato domanda di riscatto – ai fini del trattamento di quiescenza (buonuscita e pensione), ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973

Pubblicato il 27/07/2017 N. 09011/2017 REG.PROV.COLL. N. 08240/2009 REG.RIC. logo REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8240 del 2009, proposto da: xxx xxx xxx, rappresentato e difeso dall'avvocato Tommaso Basso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Valdagno, 27; contro I.N.P.S.– ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, quale successore ex lege dell’I.N.P.D.A.P.– ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, rappresentato e difeso dall'avvocato Dario Marinuzzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cesare Beccaria, 29; per l'annullamento, previa sospensione cautelare,

- del provvedimento prot. n. 15048, del 31 agosto 2002, con il quale l’INPDAP, nel determinare il contributo dovuto per il riscatto di un periodo di studi frequentato dal ricorrente, ai fini dell'indennità di buonuscita, ha posto quale base di calcolo la data del 12 novembre 1991 anziché quella dell’originaria istanza del 5 dicembre 1989; - della delibera n. 948, del 1° febbraio 2006, con la quale il Comitato di Vigilanza per le Prestazioni Previdenziali ai Dipendenti Civili e Militari dello Stato e loro Superstiti ha rigettato il ricorso gerarchico proposto avverso la precedente determinazione; e per il risarcimento dei danni patiti.

Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’I.N.P.D.A.P.- Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell'Amministrazione Pubblica; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2017 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO 1. Il dott. xxx xxx, magistrato militare, in data 5 dicembre 1989 aveva avanzato domanda di riscatto – ai fini del trattamento di quiescenza (buonuscita e pensione), ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973 (“Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”) – del periodo di tempo corrispondente alla durata legale del corso di reclutamento da lui seguito presso la S.S.P.A.– Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (corso tenutosi dal 14 novembre 1983 al 13 agosto 1984). Con provvedimento dell’11 marzo 1991, tuttavia, il Ministero della Giustizia ha rigettato la richiesta “in quanto le norme vigenti in materia non consentono la valutazione, ai fini del trattamento di pensione e di buonuscita del periodo durante il quale il dott. xxx ha frequentato il corso di reclutamento per funzionari direttivi dello Stato presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione”.

Successivamente, a seguito della sentenza n. 257 del 1991 della Corte costituzionale (pubblicata il 12 giugno 1991) – con la quale è stata dichiarata l'illegittimità

costituzionale dell'art. 13, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973 nella parte in cui non comprende, tra i periodi di tempo riscattabili ai fini del trattamento di quiescenza, quello corrispondente alla durata dei corsi di preparazione per il reclutamento di impiegati delle Amministrazioni statali, organizzati e tenuti dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione – in data 12 novembre 1991 il dott. xxx ha nuovamente inoltrato istanza di riscatto del suddetto periodo di corso, espressamente richiamando l’istanza originaria del 1989. Con provvedimento n. 15048, del 31 agosto 2002, l’I.N.P.D.A.P., Ufficio provinciale di Roma – dopo che, in precedenza, ai soli fini pensionistici, la domanda era stata accolta con base di calcolo al 1989 –, ha bensì accolto l’istanza del dott. xxx anche ai fini della buonuscita, determinando però il contributo dovuto per il riscatto assumendo come base di calcolo la domanda presentata nel 1991, anziché quella presentata nel 1989. Avverso tale atto, nella parte per lui lesiva, il dott. xxx ha proposto ricorso gerarchico in data 19 marzo 2003: ricorso che tuttavia il Comitato di Vigilanza per le Prestazioni Previdenziali ai Dipendenti Civili e Militari dello Stato e loro Superstiti (organo dalla legge deputato alla decisione di simili ricorsi: cfr. art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 479 del 1994) ha rigettato, con deliberazione n. 948, del 1° febbraio 2006, osservando che “correttamente, la Sede INPDAP di competenza ha valutato la domanda presentata dopo la pubblicazione della Sentenza anzidetta e non quella del 12/11/89, alla quale, peraltro, era stata data risposta negativa”.

2. Il dott. xxx, allora, dopo aver invano proposto un tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato del Lavoro, ha deciso di rivolgersi agli organi giurisdizionali, presentando apposito ricorso al Tribunale civile di Roma ai sensi dell’art. 414 c.p.c. (ricorso depositato il 14 novembre 2007). Con sentenza n. 2316, del 6 febbraio 2009, tuttavia, la sez. I lav. di detto Tribunale ha declinato la propria giurisdizione, trattandosi di controversia attinente ai “rapporti di pubblico impiego non privatizzati”, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001, ed indicando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Con il ricorso in riassunzione di cui all’epigrafe, quindi, il dott. xxx ha riproposto l’azione dinnanzi a questo TAR, chiedendo l’annullamento, previa sospensione cautelare, dei descritti atti del 2002 e del 2006, nella parte in cui essi hanno disposto il calcolo del contributo per il riscatto sulla base della domanda presentata nel 1991, anziché sulla base della domanda presentata nel 1989. Questi i motivi a sostegno del gravame: a) violazione di legge, in quanto gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n.

257 del 1991 sarebbero “retroattivi”, con la conseguenza che “i rapporti giuridici in corso vanno definiti in conformità del nuovo regime giuridico risultante dalla decisione della Corte”, ai sensi dell’art. 30, comma 3, della legge n. 87 del 1953; b) eccesso di potere per disparità di trattamento, sotto il duplice profilo per cui b1) la medesima istanza di riscatto è stata accolta dal Ministero ai soli fini pensionistici riferendosi alla domanda del 1989, e per cui b2), riguardo ad un caso identico, il Ministero avrebbe già in passato determinato il contributo sulla base della retribuzione

percepita dall’interessato alla data (1984) della domanda antecedente alla sentenza della Corte costituzionale.

Il ricorrente ha altresì domandato il risarcimento dei danni patiti, “a titolo di danno emergente ed esistenziale”.

3. Si è costituito in giudizio l’I.N.P.D.A.P.– Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, in persona del Commissario straordinario pro tempore, chiedendo il rigetto del gravame ed eccependo l’“intervenuta prescrizione dei diritti invocati da Controparte, ex art. 2948 c.c.”.

Con ordinanza n. 5299 del 2009 questo TAR ha accolto la domanda cautelare.

In vista della pubblica udienza di discussione, entrambe le parti hanno svolto difese.

In particolare l’I.N.P.S.– Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, subentrato ex lege all’ormai soppresso I.N.P.D.A.P., con memoria depositata il 7 aprile 2017 ha sostenuto che il rapporto giuridico invocato da parte ricorrente, e basato sull’istanza di riscatto avanzata nel 1989, si sarebbe “esaurito” a seguito del provvedimento di rigetto dell’11 marzo 1991, non impugnato ed ormai inoppugnabile, con la conseguenza che esso non potrebbe essere più rimesso in discussione per effetto della sentenza della Corte costituzionale del 1991. Il ricorrente, dal canto suo, con breve memoria depositata il 14 aprile 2017, ha riferito che l’amministrazione non ha mai dato esecuzione all’ordinanza cautelare di questo TAR. Alla pubblica udienza del 10 maggio 2017, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Il ricorso è fondato.

Va preliminarmente rigettata l’eccezione quinquennale di prescrizione “dei diritti invocati” con il ricorso, sollevata in modo del tutto generico dall’amministrazione resistente che si è limitata a richiamare l’“art. 2948 c.c.”. Al riguardo – anche a voler ritenere che detta eccezione riguardi la computabilità, ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita, degli anni pregressi che l’amministrazione aveva escluso dal calcolo – è sufficiente rilevare che il termine quinquennale di legge non è mai compiutamente decorso nei confronti del ricorrente il quale ha avanzato la propria istanza (una prima volta) nel 1989, successivamente reiterandola poco meno di due anni dopo (12 novembre 1991), valendo poi ad interrompere il termine di prescrizione sia il successivo ricorso gerarchico intentato nel 2003 (a pochi mesi di distanza dall’adozione del provvedimento di rigetto, intervenuta il 31 agosto 2002) sia il deposito del ricorso giurisdizionale dinnanzi al Tribunale civile nel 2007 (a fronte della decisione gerarchica di rigetto intervenuta nel 2006). In ogni caso l’amministrazione resistente non ha indicato il presunto dies a quo dell’invocata

prescrizione né tantomeno ha offerto alcun elemento di prova – come sarebbe stato suo onere – in ordine al pur invocato fatto estintivo della pretesa del ricorrente, con ciò non mettendo il Collegio nella condizione di poter compiutamente apprezzare l’eccezione sollevata.

Nel merito, è fondato il primo motivo di impugnazione.

In base al combinato disposto dell'art. 136 Cost. e dell'art. 30, comma 3, della legge n.

87 del 1953, la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes ed impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che essa possa essere applicata ai rapporti in relazione ai quali la norma dichiarata incostituzionale risulti ancora rilevante: ciò, stante l'effetto retroattivo dell'annullamento, escluso solo per i c.d. rapporti esauriti (cfr., in giurisprudenza, tra le tante, TAR Campania, Napoli, sez. I, sent. n. 2898 del 2016).

Le pronunce di accoglimento del Giudice delle leggi, dichiarative di illegittimità costituzionale, eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l'illegittimità costituzionale ha per presupposto l'invalidità originaria della legge, sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale, per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell'incostituzionalità non si estendono ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo (così Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5147 del 2015). Per “rapporti esauriti”, secondo la giurisprudenza, debbono intendersi quelli nell'ambito dei quali non siano decorsi i termini di prescrizione o di decadenza per l'esercizio dei relativi diritti, ovvero per i quali vi sia una controversia in corso e non si sia formato il giudicato; nel caso di atti amministrativi, quindi, si ritengono “esauriti” quei rapporti per i quali si sia ormai concretizzata, per effetto della scadenza del termine decadenziale di impugnazione, la situazione di inoppugnabilità, salvo tuttavia il potere dell’amministrazione di agire in autotutela per rivalutare la fattispecie alla luce della sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità e per rimuovere gli effetti incostituzionali dell’atto (cfr., ad es., in tal senso, Cons.

Stato, sez. VI, dec. n. 3458 del 2006; TAR Calabra, Catanzaro, sez. II, sent. n. 1721 del 2007). In particolare, secondo la giurisprudenza, l’intervenuta inoppugnabilità del provvedimento determina l'esaurimento del rapporto solo nei confronti del privato interessato ad ottenerne l'annullamento in sede giurisdizionale, ma non nei confronti dell’amministrazione la quale, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa dell'illegittimità costituzionale, può sempre esercitare i propri poteri di autotutela non soggetti a limiti temporali di decadenza (così TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. n. 2342 del 2015).

Nel caso di specie, ad ostacolare la naturale retroattività della pronuncia di incostituzionalità, non vi era un giudicato, né poteva identificarsi alcuna situazione consolidata assimilabile, dal punto di vista sostanziale, ad un “rapporto esaurito”,

posto che la stessa amministrazione, sia pure su istanza del privato, aveva provveduto a riaprire l’intero rapporto controverso alla luce dell’intervenuta declaratoria di incostituzionalità. Giova ripercorrere i dati di fatto salienti: nel marzo del 1991, a fronte della domanda di riscatto avanzata nel 1989, l’amministrazione aveva adottato un atto di rigetto; nel giugno del 1991 è stata pubblicata la sentenza n. 257 del 1991 della Corte costituzionale (che delineava il rapporto controverso nei sensi auspicati da parte ricorrente); nel novembre del 1991 l’odierno ricorrente ha quindi presentato una nuova istanza di riscatto, sia pure relativa alla medesima fattispecie (già decisa, in senso negativo, dall’amministrazione, ma con atto violativo dei precetti costituzionali), richiamando espressamente sia la precedente istanza del 1989 sia il relativo provvedimento di rigetto del quale domandava un riesame; ed a questo punto l’amministrazione (con l’impugnato provvedimento del 2002), anziché far valere, in radice, l’ormai intervenuta inoppugnabilità del diniego, ha deciso di rivalutare la propria precedente decisione, ammettendo il riscatto domandato dal dipendente pubblico. Ciò, tuttavia, è stato fatto solo parzialmente, ammettendosi il riscatto sulla base della domanda (di autotutela) presentata nel 1991, anziché sulla base della domanda (di riscatto) presentata nel 1989, data dell’insorgenza del rapporto medesimo. E’ evidente, tuttavia, che la decisione di “riaprire” il rapporto controverso, per effetto della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale, non poteva che condurre alla conseguenza di valorizzare, ai fini del computo del contributo dovuto, la domanda di riscatto originaria (quella del 1989) con la quale era stato avviato, tra le parti, il rapporto giuridico relativo alla determinazione del contributo.

Non può, pertanto, condividersi la tesi difensiva dell’amministrazione resistente, incentrata sull’intervenuta inoppugnabilità del “provvedimento di diniego del 27 febbraio 1991 – con il quale è stata respinta l’istanza di riscatto presentata il 5 dicembre 1989”. Oggetto del presente gravame, invero, non è quel provvedimento di diniego, ma è quello successivo del 31 agosto 2002 con il quale – come si è detto – l’amministrazione ha riscontrato, accogliendola, la seconda istanza (avanzata il 12 novembre 1991) avente sostanziale natura di richiesta di intervento in autotutela.

L’accoglimento di quest’ultima richiesta, allora, proprio perché riferentesi all’istanza del 1989, non poteva che porre quest’ultima data a fondamento del calcolo contributivo.

5. Il ricorso, pertanto, è da accogliere, con assorbimento delle restanti censure. Per l’effetto l’amministrazione, nel ripronunciarsi sull’istanza del dott. xxx, dovrà determinare il contributo di riscatto, ai fini della buonuscita, per il periodo di studi corrispondente alla durata del corso di reclutamento presso la S.S.P.A. (9 mesi, dal 14 novembre 1983 al 13 agosto 1984), assumendo come base di calcolo la data di presentazione dell’originaria istanza (5 dicembre 1989).

Non può invece essere accolta la domanda di risarcimento del danno, sia perché – quanto al danno emergente – l’ottenimento del bene della vita, derivante dalla

presente pronuncia caducatoria, assume portata assorbente rispetto ad un risarcimento per equivalente, sia perché – quanto al danno esistenziale – il ricorrente non ha avanzato alcuna prova del pregiudizio asseritamente subito. Deve in proposito ricordarsi che, secondo la giurisprudenza, anche di questa Sezione, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale (biologico od esistenziale) richiede una prova specifica che dimostri i concreti cambiamenti che l'illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneggiato; d'altra parte, in mancanza di allegazioni sulla natura e sulle caratteristiche del danno biologico o di quello esistenziale, non è possibile al giudice neppure la liquidazione in forma equitativa, perché questa, per non trasmodare nell'arbitrio, necessita di parametri certi a cui ancorarsi (cfr., in tal senso, da ultimo, TAR Lazio, Roma, questa sez. III-ter, sent. n.

573 del 2017 ed ivi altri precedenti richiamati).

6. Le spese seguono la soccombenza sulla domanda caducatoria e sono da liquidarsi in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione terza-ter, definitivamente pronunciando, a) accoglie il ricorso in epigrafe, quanto alla domanda caducatoria, e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione; b) respinge la domanda risarcitoria; c) condanna l’I.N.P.S.– Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, alla refusione, in favore del ricorrente, delle spese di lite, liquidate in euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dei giorni 10 maggio e 14 luglio 2017 con l'intervento dei magistrati: Giampiero Lo Presti, Presidente Maria Grazia Vivarelli, Consigliere Antonino Masaracchia, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Antonino Masaracchia Giampiero Lo Presti