Tar 2020-ricorso contro il parere contrario alla riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Peni

Tar 2020-ricorso contro il

parere contrario alla riammissione in servizio nel Corpo di

Polizia Penitenziaria

Pubblicato il 18/11/2020 N. 12108/2020 REG.PROV.COLL. N. 07236/2016 REG.RIC.

R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7236 del 2016, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato OMISSIS OMISSIS, con domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via OMISSIS, 28; contro Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; per l'annullamento del parere contrario alla riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria del sig. -OMISSIS-, emesso dal Consiglio di Amministrazione del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in

data 27 aprile 2016 (in prosecuzione della seduta del 29 febbraio 2016), e del pedissequo provvedimento di diniego alla suddetta riammissione adottato dalla Direzione

Generale

del

Personale

e

delle

Risorse

della

medesima

Amministrazione in data 19 maggio 2016 con i quali è stata respinta per la seconda volta l’istanza di riammissione nel Corpo di Polizia Penitenziaria formulata dal sig. -OMISSIS- a mezzo raccomandata A.R. del 22 maggio 2012, nonché

per

l’annullamento

di

ogni

altro

provvedimento

ostativo

all’accoglimento di detta istanza; per il riconoscimento del diritto del ricorrente alla immediata riammissione nel Corpo di Polizia Penitenziaria, nella posizione corrispondente a quella attualmente rivestita nei ruoli civili, ovvero quantomeno nella medesima posizione da lui occupata sino alla data del suo trasferimento a detti ruoli civili, con l’anzianità di servizio maturata alla data dell’effettiva riammissione nel Corpo di Polizia Penitenziaria di sua originaria provenienza; e per la condanna dell’Amministrazione convenuta alla corresponsione in favore del -OMISSIS- delle differenze retributive da questi maturate, a far corso dalla data di proposizione dell’istanza come sopra illegittimamente rigettata (22 dicembre 2009) in ragione della mancata riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria e dello speculare mantenimento nel ruolo amministrativo e nella corrispondente qualifica di “Collaboratore – posizione economica B1”.

Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 4 d.l. n. 28/2020 e art. 25 d.l. n 137/2020; Relatore nell'udienza pubblica da remoto del giorno 10 novembre 2020 il Cons.

Ines Simona Immacolata Pisano;

Vista la nota di decisione sugli scritti depositata da parte ricorrente; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe, depositato in data 22 giugno 2016, parte ricorrente ha impugnato, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, il provvedimento da ultimo emanato dalla Direzione Generale del Personale e delle Risorse della medesima Amministrazione in data 19 maggio 2016 (comunicato, unitamente al prodromico parere del CdA, il successivo 26 maggio 2016) recante rinnovato diniego all’istanza di riammissione nel Corpo di Polizia Penitenziaria formulata dal sig. -OMISSIS- a mezzo raccomandata A.R. del 22 maggio 2012/25 maggio 2012.

Premette il ricorrente, con riguardo all’antefatto del presente ricorso, che – originariamente assunto nel Corpo di Polizia Penitenziaria e successivamente transitato in servizio nei ruoli civili del DAP per motivi di accertata inidoneità fisica dovuta a sopravvenute problematiche di salute- a seguito delle cure intraprese chiedeva di esservi riammesso con un prima istanza presentata in data 17 novembre 2005, che veniva respinta con provvedimento della Direzione Generale del Personale e della Formazione, Ufficio II°, Sezione 3^ - Servizio Amministrativo Sanitario (GDAP – 0428137, prot. 13936 del 12 dicembre 2005.

A seguito della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 80 D. Lgs. n. 443/92, essendo con essa venuto meno l’unico motivo posto a fondamento del primo provvedimento di diniego del 12 dicembre 2005, l’amministrazione penitenziaria, dietro presentazione di una nuova istanza del ricorrente in data 22 dicembre 2009, comunicava alla Direzione della Casa Circondariale di Piazza Armerina di sottoporre il ricorrente agli accertamenti sanitari del caso presso la Prima Commissione Medica Ospedaliera in Palermo,

all’esito dei quali il ricorrente otteneva un giudizio di piena quanto incondizionata idoneità fisica allo svolgimento del servizio di istituto nella polizia penitenziaria.

Tuttavia, con delibera adottata dal proprio Consiglio di Amministrazione in data 15 dicembre 2010, l’Amministrazione Penitenziaria – in contrasto con quanto in precedenza manifestato circa il persistere di un concreto «(...) interesse (...) alla riammissione in servizio (...)» del medesimo lavoratore – ha espresso «(...) parere contrario alla riammissione in servizio nel Corpo di Polizia penitenziaria di -OMISSIS-, Collaboratore Area F1 dell’Amministrazione Penitenziaria».

Tale ulteriore provvedimento negativo è stato motivato dall’Amministrazione esclusivamente sulla base del seguente percorso logico: poiché il -OMISSISera stato «(...) dispensato dal servizio per infermità perché giudicato, in data 20 febbraio 2002, “permanentemente non idoneo al servizio di istituto nella Polizia Penitenziaria in modo assoluto” (...)», e poiché egli era conseguentemente transitato «(...) nella qualifica di Collaboratore Area 2 F1 dell’Amministrazione Penitenziaria (...)», una volta «(...) applicati i criteri per la riammissione in servizio stabiliti nella seduta del 10 novembre 1993, come modificati nella seduta dell’8 marzo 1995 e come modificati a seguito della sentenza n. 294 del 13 novembre 2009 della Corte Costituzionale nella seduta del 22 aprile 2010 (...)»,

non

risultava

dell’Amministrazione

sotto

«(...) il

adeguatamente profilo

della

tutelato

conservazione,

l’interesse da

parte

dell’interessato, della professionalità acquisita durante il periodo di servizio prestato, anche in ragione della specificità e della delicatezza dei compiti istituzionali assolti dal personale appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria (...)». In particolare, la motivazione dedotta dall’Amministrazione a sostegno del provvedimento di diniego faceva espressamente riferimento alle due delibere adottate dal Consiglio di Amministrazione del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, nelle altrettante

sedute tenutesi rispettivamente in data 10 novembre 1993 e 8 marzo 1995, con le quali l’Amministrazione aveva fissato taluni criteri per la riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria dei dipendenti che ne fossero in precedenza fuoriusciti per le più varie ragioni, condizionando, tra l’altro, l’accoglimento delle relative istanze ad un duplice presupposto temporale - da verificarsi con riferimento al momento della proposizione dell’istanza di riammissione - concernente, da un lato, la circostanza che il lavoratore non avesse ancora superato il quarantesimo anno di età e, dall’altro lato, la circostanza che egli non avesse lasciato il servizio nel Corpo di originaria appartenenza da più di cinque anni.

Venuto a conoscenza del fatto che il Tar Lazio –Roma con sentenza n.

6029/2011 del 7 luglio 2011, aveva, tra l’altro, annullato le delibere del Consiglio di Amministrazione del 10 novembre 1993, dell’8 marzo 1995 e del 22 aprile 2010, nella parte in cui fissavano, quale criterio condizionante la riammissione del lavoratore nel Corpo di Polizia Penitenziaria, il decorso di un termine inferiore ai cinque anni dal suo congedo, il sig. -OMISSIS- provvedeva a formulare una nuova istanza di riammissione in servizio nei ruoli di originaria appartenenza, mediante raccomandata A.R. datata 25 maggio 2012, pervenuta a destinazione il successivo 31 maggio 2012, che tuttavia veniva riscontrata solo nella seduta del 16 dicembre 2013, formulando in merito, per la terza volta, espresso parere contrario, sulla base della motivazione che “il Consiglio di Amministrazione (...) riteneva necessario, al fine di poter esaminare la richiesta di riammissione, acquisire preventivamente – così come deciso nella seduta del 18 marzo 2013 – una dettagliata relazione sullo stato matricolare, l’idoneità psicofisica al servizio, ed eventuali procedimenti disciplinari, comprensiva, altresì, del certificato dei carichi pendenti e delle informative degli organi di Polizia che consenta una concreta disamina del caso; acquisita la predetta documentazione, preso atto del contenuto del certificato del casellario

giudiziale ove si rilevano reati di vario tipo, esaminata la nota della Questura di Caltanissetta, si evidenzia un comportamento del -OMISSIS- non consono ai doveri di rettitudine e diligenza propri di un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, (...) esprime parere contrario alla riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria dell’ex Agente -OMISSIS- (...)».

Siffatto provvedimento negativo veniva comunicato al ricorrente a mezzo nota GDAP-0060923-2014 della Direzione del Personale e della Formazione datata 17 febbraio 2014, pervenuta al suo indirizzo il 24 febbraio 2014.

Avverso tale provvedimento parte ricorrente proponeva ricorso iscritto al N.R.G. n. 3938/2014 del Tar del Lazio, Sezione I^ quater, che veniva definito con la sentenza in forma abbreviata n. 6064/2014, di inammissibilità. Il ricorrente proponeva appello che veniva accolto con sentenza del Consiglio di Stato n. 4901/2015 pubblicata il successivo 1 settembre 2015 che, entrando nel merito della legittimità del nuovo provvedimento di diniego di riammissione in servizio, rilevava che: “Esso è basato unicamente sulla esistenza di precedenti penali, nonché su attestazione di polizia in ordine alla frequentazione di pregiudicati che deporrebbero “per un comportamento del -OMISSIS- non consono ai doveri di rettitudine e diligenza propri di un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria. Dall’esame degli atti e dalla difesa del -OMISSISemerge tuttavia che i due precedenti penali sono molto risalenti nel tempo, ed in particolare relativi, uno ad una condotta del 1985 (emissione di assegni a vuoto), e l’altro a condotta del 1994 (esercizio arbitrario delle proprie ragioni) che non hanno mai dato luogo ad alcun rilievo disciplinare pur essendo, al tempo della sentenza di condanna, l’appellante già appartenente alla Polizia Penitenziaria.

Quanto all’altro elemento, a prima vista dotato di maggiore pregnanza, avente ad oggetto la possibile, sua pur saltuaria, frequentazione di pregiudicati, emergente dalla relazione del Commissariato di Niscemi, il collegio ha

disposto istruttoria al fine di verificare, avuto riguardo anche alla gravità del pregiudizio che ne discende per il -OMISSIS-, le concrete circostanze oggettive e soggettive di tali saltuarie frequentazioni, onerando in proposito l’amministrazione di produrre quanto meno i rapporti di polizia sulla base dei quali la relazione è stata redatta. L’Amministrazione ha riprodotto la già nota relazione del Commissariato di Polizia di Niscemi, senza null’altro specificare o aggiungere.

A questo punto, dinanzi al carattere oggettivamente risalente dei citati precedenti penali, ed a quello estremamente vago e generico delle informative di polizia, il tenore reiettivo del provvedimento non regge. E’ pur vero che occorre riconoscere una certa discrezionalità valutativa all’amministrazione in materia, e tuttavia le valutazioni sulla condotta e sulla moralità di un dipendente, soprattutto ove generino effetti pregiudizievoli sulle sue possibilità professionali, non possono esimersi dal riferirsi ad elementi concreti e provati, nel rispetto del diritto di difesa del dipendente. L’appello è pertanto accolto.

Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, ed in accoglimento del ricorso introduttivo, gli atti impugnati sono annullati”.

Stante l’inottemperanza anche a detta sentenza, il ricorrente proponeva innanzi al competente Consiglio di Stato in funzione giurisdizionale ricorso in ottemperanza ex art. 112 e ss. D. Lgs. n. 104/2010, a mezzo atto ritualmente notificato alla controparte in data 17 novembre 2015 e depositato in cancelleria il successivo 20 novembre 2015 (R.G. n. 9582/2015).

Nelle more dell'udienza del giudizio di ottemperanza, fissato per il 23 giugno 2016, l’amministrazione emanava il provvedimento gravato con il presente ricorso.

Avverso tale provvedimento, parte ricorrente ha dedotto: VIOLAZIONE DI LEGGE ED ECCESSO DI POTERE – ASSOLUTA CARENZA

DI

VALIDE

GIUSTIFICAZIONI

SOTTESE

AL

PROVVEDIMENTO DI RIGETTO DELL’ISTANZA DI RIAMMISSIONE NEL

CORPO

DI

POLIZIA

PENITENZIARIA

FORMULATA

DAL

RICORRENTE. In estrema sintesi, argomenta il ricorrente che nell’ultimo provvedimento adottato l’amministrazione l'Amministrazione - lungi dall'aver dato corso a qualsivoglia verifica in concreto circa l'effettiva idoneità del lavoratore in questione all'espletamento dei compiti di istituto (ad esempio sottoponendolo a un test attitudinale in tal senso, ovvero disponendone l'affiancamento ad altri colleghi già in servizio durante un periodo di prova al fine di accertarne le capacità, ovvero ancora attraverso altre analoghe modalità di accertamento) abbia al contrario fissato, in maniera assolutamente illogica, apodittica ed aprioristica, quale criterio rivelatore di una pretesa inidoneità professionale dell'odierno ricorrente alla reimmissione in servizio nel Corpo di sua originaria appartenenza, il solo criterio temporale relativo all'intervenuto decorso di in lasso temporale di "molti anni" (senza nemmeno precisare quanti essi sarebbero) dalla sua fuoriuscita da detto ambito di impiego; il che sulla base dei principi affermati nella richiamata sentenza del TAR Lazio Sezione I^ quater, n.

6029/2011 integrerebbe una “(...) violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., che richiederebbe una verifica in concreto, riferita al singolo caso ed al singolo dipendente, dell’esistenza dei presupposti per considerare quest’ultimo idoneo sotto tutti i profili”.

Al contrario, la professionalità del -OMISSIS- – e, di conseguenza, il possesso da parte sua di tutti i relativi requisiti necessari a garantire un corretto reinserimento nei ruoli del Corpo di Polizia Penitenziaria – risulterebbe largamente attestata dal parere rilasciatogli dal suo diretto superiore presso l’attuale sede lavorativa (doc. n. 20 del fascicolo di parte ricorrente), il quale si è espresso in termini lusinghieri circa le capacità lavorative del ricorrente,

sottolineandone lo scrupolo, l’elevata preparazione professionale e lo spiccato senso del dovere (tutte qualità che lo rendono evidentemente un candidato perfetto per la rinnovata assunzione delle responsabilità che gli competerebbero all’esito dell’invocata riammissione).

Quanto all’esistenza di precedenti disciplinari del ricorrente, richiamati nella motivazione del diniego sulla base di quanto risultante sullo stato matricolare con riferimento all’epoca in cui il predetto prestava servizio presso il Corpo di Polizia del DAP, senza che vengano minimamente citati né il numero esatto di tali precedenti, né il tipo di addebiti cui essi dovrebbero riferirsi, né le circostanze di tempo e di luogo concernenti la commissione dei relativi comportamenti manchevoli e/o l'irrogazione delle corrispondenti sanzioni, né la tipologia e/o l'entità di queste ultime, né, infine, qualsivoglia altra indicazione di sorta utile alla effettiva valutazione circa la gravità e la consistenza, dal punto di vista della violazione dei doveri incombenti sul lavoratore, di simili precedenti, parte ricorrente ne evidenzia l’assoluta irrilevanza ai fini della motivazione del diniego.

L’amministrazione si è costituita con atto formale e nell’odierna udienza da remoto la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso non merita accoglimento.

Ed invero, l’art.60 del D.P.R. 24/04/1982, n. 335 - Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia stabilisce che “La riammissione in servizio del personale di cui al presente decreto è disciplinata dall'art. 132 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. (…)”.

Da tale norma deriva che la riammissione può essere assentita previo il rigoroso accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge, ma comunque nell'esercizio di un ampio potere discrezionale nella valutazione dell'esistenza dell'interesse pubblico all'adozione del provvedimento e non in

base alla sola domanda dell'interessato (T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 28/02/2007, n. 1899).

L'art. 132, t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, al quale fa rinvio l'art. 60, d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335 relativo al personale della Polizia di Stato, nello stabilire che l'impiegato cessato dal servizio per dimissioni “può” essere riammesso in servizio, non configura dunque, diversamente da quanto ritenuto da parte ricorrente, un diritto soggettivo a riprendere servizio, non avendo il dipendente alcuna pretesa direttamente tutelata alla riassunzione.

Ne consegue che l’istanza a tal fine avanzata dall'interessato è rimessa ad una valutazione ampiamente discrezionale dell'Amministrazione in relazione alla situazione di organico e ad ogni altra esigenza organizzativa e di servizio, con particolare riguardo all'effettiva sussistenza di un interesse pubblico ad avvalersi nuovamente della prestazione del richiedente.

Proprio perché il provvedimento di riammissione è disposto non solo nell'interesse

dell'ex

dipendente,

ma

soprattutto

nell'interesse

dell'Amministrazione, la domanda dell'interessato ben può essere respinta sulla base di una valutazione di non utilità della riammissione ed è sufficiente, al fine di determinare la non riammissione, che l’amministrazione evidenzi circostanze ostative, purché non siano illogiche o discriminatrici o palesemente abnormi.

Unico obbligo dell’amministrazione è quello di motivare adeguatamente la propria decisione eventualmente negativa, con la conseguenza che il sindacato del giudice è ristretto entro i confini della verifica di eventuali indici di eccesso di potere per travisamento di fatti ed illogicità manifesta (Cons. giust. amm.

Sicilia, 25/05/2020, n. 308).

Posto che esula dal presente giudizio la legittimità dei precedenti provvedimenti adottati dall’amministrazione, uno dei quali peraltro adottato sulla base di criteri già annullati con sentenza del Tar Lazio-Roma ed un altro la cui legittimità è già stata stigmatizzata dal Consiglio di Stato – quanto allo specifico provvedimento

di diniego del 2016 impugnato con il presente ricorso, le circostanze ostative circa l’utilità della prestazione del ricorrente, ai fini del soddisfacimento delle esigenze dell'apparato di riferimento, sono state così evidenziate nel parere contrario reso dal Consiglio di Amministrazione del Ministero del DAP, riunitosi in data 27 aprile 2016 (in prosecuzione della seduta del 29 febbraio 2016), che ha rilevato: «(...) che il signor -OMISSIS- risulta transitato nei ruoli amministrativi dell'Amministrazione penitenziaria ai sensi dell'art. 75 del D.Lgs. 443/92 con P.C.D. del 5 settembre 2002; Rilevato, in particolare, che il signor -OMISSIS- ha assunto servizio nei ruoli del personale del Comparto Ministeri in data 25 ottobre 2002; Ritenuto che il -OMISSIS-, poiché cessato dal servizio da molti anni, si considera non più in possesso della professionalità necessaria a svolgere i servizi istituzionali per effetto del processo di revisione del sistema organizzativo e gestionale che l'Amministrazione penitenziaria ha portato avanti e realizzato in ordine alle nuove modalità di vigilanza della popolazione detenuta attraverso la partecipazione attiva del Personale del Corpo di polizia penitenziaria; Visto altresì il foglio matricolare del richiedente dal quale si rilevano numerose sanzioni disciplinari irrogate nel corso degli anni di servizio svolto nel Corpo di Polizia Penitenziaria; Ritenuto che non sussistano i presupposti necessari per la riammissione in servizio richiesta; (...) esprime parere contrario alla riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria del sig. -OMISSIS- Antonino (...)».

Se tale motivazione, ove inserita nello specifico contesto fattuale di riferimento – a rigore, infatti, il provvedimento impugnato avrebbe dovuto costituire attuazione del giudicato della sentenza del Consiglio di Stato di cui alla

sentenza n. 4901/2015 pubblicata il successivo 1 settembre 2015- appare non adeguatamente motivata con riferimento all’indicazione, tra le ragioni ostative, di precedenti disciplinari non meglio indicati oltre che risalenti (così come risalenti erano i precedenti penali del ricorrenti, citati nel precedente provvedimento annullato dal Consiglio di Stato), resta il fatto che l’amministrazione motiva la non utilità della riammissione al tempo anche in relazione al lungo tempo ormai decorso – pari a circa 15 anni- dalla cessazione del ricorrente dal servizio, che per tale motivo “si considera non più in possesso della professionalità necessaria a svolgere i servizi istituzionali per effetto del processo di revisione del sistema organizzativo e gestionale che l'Amministrazione penitenziaria ha portato avanti e realizzato in ordine alle nuove modalità di vigilanza della popolazione detenuta attraverso la partecipazione attiva del Personale del Corpo di polizia penitenziaria”.

In conclusione, avuto riguardo a tale profilo della motivazione, insindacabile da parte del Collegio in quanto non palesemente illogica o irrazionale, atteso che a distanza di circa 15 anni dalla cessazione dal servizio può effettivamente ritenersi che un dipendente sia ormai privo delle necessarie competenze professionali e, dunque, possa ritenersi non più utile per quella specifica tipologia di servizio, dovendosi prescindere dalle ragioni che hanno di fatto determinato il decorso di tale lasso di tempo senza che al ricorrente fosse consentita, per le più svariate ragioni rivelatesi via via infondate, di essere riammesso in servizio, che potranno eventualmente costituire elemento di valutazione ai fini della presentazione di una domanda risarcitoria ove sussistenti profili di danno risarcibile ex art.2043 c.c.

Il ricorso deve dunque essere respinto.

Le spese di lite sono interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 come mod. dal D.lgs. n.101/2018, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio da remoto del giorno 10 novembre 2020 con l'intervento dei magistrati: Salvatore Mezzacapo, Presidente Alessandro Tomassetti, Consigliere Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE Ines Simona Immacolata Pisano

IL PRESIDENTE Salvatore Mezzacapo

IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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