Tar 2019: modem libero. Le società telefoniche non possono imporre un proprio modem. Tar Lazio 1200-

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Tar 2019: modem libero. Le società telefoniche non possono imporre un proprio modem. Tar Lazio 1200-1201-2020

Pubblicato il 28/01/2020 N. 01200/2020 REG.PROV.COLL. N. 12197/2018 REG.RIC.

R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12197 del 2018, proposto da Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Simone Cadeddu, Arturo Leone, Federico Marini Balestra, Alfredo Cincotti, Carlo Edoardo Cazzato e Antonio Catricala', con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti Fastweb S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata


e difesa dagli avvocati Andrea Guarino, Elenia Cerchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia presso lo studio Andrea Guarino in Roma,

via

Giulio

Caccini,

1;

Associazione Italiana Internet Provider -Aiip, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Valli, Marco Costantino Macchia e Giulia Toraldo Serra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia presso lo studio Andrea Valli in Roma, via del Governo

Vecchio

20;

Movimento Difesa del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Luongo e Salvatore Fulvio Sarzana Di Sant'Ippolito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia presso lo studio del secondo in Roma, via Velletri, 10; Assoprovider, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Salvatore Fulvio Sarzana Di Sant'Ippolito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia presso lo studio del medesimo in Roma, via Velletri, 10; e con l'intervento di ad

opponendum:

Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati Aires, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difeso dagli avvocati Rino Caiazzo e Enrico Di Tomaso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia presso lo studio del primo in Roma, via Ludovisi 35; Associazione dei Fabbricanti di Terminali di Telecomunicazione (Vtke), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Valli e Marco Costantino Macchia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via del Governo Vecchio 20;


per l'annullamento - della Delibera n. 348/18/CONS, pubblicata in data 2.8.2018, non notificata, recante "Misure attuative per la corretta applicazione dell'articolo 3, commi 1, 2, 3, del Regolamento (UE) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l'accesso a un'internet aperta, con specifico riferimento alla libertà di scelta delle apparecchiature terminali"; - della Nota del Segretario Generale dell'AGCom in data 18.10.2018, ricevuta da Telecom il giorno seguente via PEC, recante "Delibera n. 348/18/CONS – Riscontro a Vs nota prot. n. 123915"; nonché - di ogni atto presupposto, consequenziale e connesso, ancorché non conosciuto; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Roma e di Fastweb S.p.A. e di Associazione Italiana Internet Provider -Aiip e di Movimento Difesa del Cittadino e di Assoprovider; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2019 il dott. Vincenzo Blanda e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con la Delibera n. 348/18/CONS l’AGCom ha disciplinato le condizioni di fornitura e uso degli apparati terminali (come modem, router, access gateway, ecc.; di seguito "modem") distribuiti, congiuntamente al servizio di accesso internet (c.d. "fornitura integrata" o "abbinata"), dagli operatori di comunicazioni elettroniche agli utenti per consentire loro di fruire anche di eventuali servizi aggiuntivi, in attuazione del Regolamento UE n. 2015/2120


("Regolamento UE") il quale, per salvaguardare l'accesso degli utenti ad un'internet aperta, ha tra l'altro attribuito agli utenti il "diritto […] di utilizzare terminali di loro scelta" (cfr. art. 3). L'AGCom, per tutelare questo diritto nel caso di fornitura integrata di servizi e modem, ha stabilito che "al momento della sottoscrizione dell'offerta integrata, l'utente [deve poter] sceglie[re] quale modem/router utilizzare per accedere ad Internet: quello proposto (ma non imposto) dall'operatore oppure un apparato procurato autonomamente sul mercato" (All. A alla Delibera, §V.26). Avverso la delibera in epigrafe ha quindi proposto ricorso l’interessata deducendo i seguenti motivi: 1) Violazione/falsa applicazione di legge (Regolamento UE; CCE; codice civile; art. 41 Cost.; art. 21 septies, Legge n. 241/1990); carenza assoluta di potere; eccesso di potere per difetto di motivazione, istruttoria e contraddittorio; violazione di precedente delibera della stessa amministrazione (Delibera n. 453/03/CONS). L'art. 4, comma 1, lett. c), della Delibera impone a Telecom, "mediante aggiornamento software", di rimuovere eventuali "blocchi operatori" presenti nel terminale venduto all'utente, in modo che questi possa usarlo per fruire dei "servizi di accesso ad internet offerti da altri operatori". Ai sensi del successivo art. 5, comma 2, della Delibera, Telecom e gli altri gestori devono adeguare "le condizioni contrattuali" a questa disposizione, "entro 90 giorni dalla sua pubblicazione". Tali norme sarebbero illegittime in quanto il Regolamento UE non autorizzerebbe l'AGCom a intervenire per rimediare alle scelte dell'utente, nelle ipotesi in cui questi abbia scelto un determinato terminale e poi abbia cambiato idea.


Il Regolamento UE attribuirebbe all'utente – "al momento della sottoscrizione dell'offerta integrata" – il diritto di scegliere tra il modem del gestore (che può legittimamente prevedere limitazioni tecniche o blocchi di uso) e uno reperito autonomamente. Ne conseguirebbe che qualora l'utente abbia consapevolmente accettato la fornitura di un modem con determinate "restrizioni" di uso, egli non avrebbe il diritto di chiedere a Telecom, dopo aver cessato il rapporto di abbonamento, di intervenire tecnicamente per rimuovere quelle "restrizioni" prima accettate. L'art. 4, comma 1, lett. c), della Delibera invece imporrebbe a Telecom di trasformare "l'apparato [fornito] dal gestore" in un apparato capace di funzionare anche sulle reti dei concorrenti. La disposizione non sarebbe stata prevista nello schema di provvedimento sottoposto a consultazione pubblica (Delibera n. 35/18/CONS, All. B, §§35-49 e domande D8-D16), per cui Telecom non avrebbe potuto dedurre su di essa. La Delibera non indicherebbe le ragioni della introduzione di tali disposizioni dopo la consultazione pubblica; 2) Violazione/falsa applicazione di legge (Regolamento UE; CCE; Legge n. 40/2017; codice civile; art. 41 Cost.; art. 21-septies, Legge n. 241/1990); carenza assoluta di potere; eccesso di potere per difetto di motivazione, istruttoria e contraddittorio. L'art. 4, comma 3, lett. b), della Delibera, impone a Telecom – dopo aver correttamente informato gli utenti sulle caratteristiche "tecniche" dell'apparato da essa fornito (peraltro a titolo gratuito) – di non chiedere loro "oneri aggiuntivi per la mancata restituzione" dello stesso, qualora essi decidano di recedere senza averlo utilizzato "stabilmente". Il Regolamento UE disciplinerebbe la fase precedente alla conclusione del rapporto di utenza sino "al momento della sottoscrizione dell'offerta integrata",


impedendo che il gestore imponga agli utenti l'uso di un determinato apparato, e garantendo agli stessi di aderire a un'offerta che consenta di usare un proprio terminale. Il regolamento non impedirebbe al gestore (e, quindi, all'utente di accettare) di formulare un'offerta abbinata di servizi e terminali (questi ultimi con eventuali legittime "restrizioni"), purché l'utente possa scegliere consapevolmente. Il Regolamento UE non disciplina i successivi profili, anche economici, del rapporto di abbonamento. Per cui non stabilisce gli oneri addebitabili dai gestori in fase di recesso, che sono disciplinati dalle fonti nazionali (Legge n. 40/2007, c.d. Bersani, come da ultimo modificata dall'art. 1, comma 41, Legge n. 124/2017, c.d. Concorrenza). La norma sarebbe illogica perché riconosce che, in caso di recesso anticipato, l'utente è tenuto alla "restituzione" del modem, senza che Telecom possa tutelarsi in caso di mancato rispetto di tale obbligo. Nel caso in cui Telecom abbia ceduto il modem in comodato non potrebbe chiedere la restituzione di un bene proprio usato gratuitamente da un terzo. In tale ipotesi, quindi, l’AGCom consentirebbe all’utente di violare l'art. 1803 cc, secondo cui elemento essenziale del contratto di comodato è proprio "l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta" (art. 1809 cc). Né si potrebbe sostenere che Telecom aveva fornito gratuitamente il modem, sul presupposto che l'utente lo avrebbe remunerato in costanza di abbonamento mediante il versamento dei canoni mensili per la fruizione dei servizi, in quanto la Delibera e la Nota interpretativa non precisano un periodo minimo di permanenza nell'abbonamento. 3) Violazione/falsa applicazione di legge (Regolamento UE; CCE; codice civile; art. 41 Cost.; art. 21septies, Legge n. 241/1990); carenza assoluta di potere; eccesso di potere per difetto di motivazione, istruttoria e


contraddittorio. III.1. L'art. 5, comma 1, Delibera, inciderebbe in modo retroattivo sui "contratti in essere" di Telecom che prevedono la fornitura del "terminale a titolo oneroso" agli utenti, stabilendo che la ricorrente debba proporre ai vecchi utenti "la variazione senza oneri della propria offerta in una equivalente […] che preveda la fornitura […] a titolo gratuito"; (ii) in alternativa, qualora non intenda proporre una simile "variazione", essa debba consentire loro di recedere dal contratto di accesso a internet e da quello di fornitura del modem, "senza oneri diversi dalla mera restituzione del terminale". Il Regolamento UE non autorizza l'AGCom a intervenire sui contratti di abbonamento "in essere", consentendo all'AgCom solo di vigilare sul "diritto di scelta" degli utenti in fase di "sottoscrizione" del rapporto di abbonamento. La Delibera lascia a Telecom due alternative: (i) proporre all'utente il modem "a titolo gratuito"; oppure (ii) consentirgli il recesso, senza "oneri diversi dalla mera restituzione del terminale". In tal modo la Delibera prevede l’obbligo per Telecom di consentire agli utenti la scelta potestativa tra lo sciogliere il previgente rapporto di noleggio o modificare il contratto di vendita per sostituirlo con un altro diverso negozio che preveda la gratuità del modem; in alternativa, essa impone a Telecom di comunicare a tutti i clienti la possibilità di "recedere" dal contratto senza oneri salvo quelli per la sua "mera restituzione". In entrambi i casi, l'AGCom ordina a Telecom di intervenire sui contratti in essere, impedendo all’operatore di ottenere il corrispettivo di un negozio già perfezionato; con la differenza che, nel secondo caso, il gestore otterrebbe almeno la restituzione del prodotto. In assenza di una norma espressa nel Regolamento UE o nella legge, che attribuisca e disciplini la facoltà di intervenire retroattivamente su rapporti


negoziali, l'AGCom non avrebbe il potere di ordinare in via amministrativa a Telecom di intervenire sui contratti stipulati fra operatori e clienti. La delibera violerebbe quindi l’art. 41 Cost., introducendo una vera e propria potestà ablatoria personale. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni si è costituita in giudizio per resistere al ricorso. Associazione Italiana

Retailer Elettrodomestici

Specializzati Aires e

l’Associazione dei Fabbricanti di Terminali di Telecomunicazione (Vtke) hanno depositato un atto di intervento ad opponendum. Con ordinanza n. 6962 del 16.11.2018, questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare. Telecom Italia ha proposto appello cautelare avverso la predetta ordinanza, limitando la richiesta di sospensiva alle prescrizioni di cui agli art. 4, comma 1, lettera b), 4, comma 3, letta b) e 5, comma 1, della Delibera, che impone agli operatori di modificare i contratti già conclusi alla data di entrata in vigore del Regolamento, al fine di adeguarli alle norme imperative sopravvenute in tema di “libertà dei terminali”. Il Consiglio di Stato con ordinanza n. 6210/2018 del 20 dicembre 2018, ha accolto l’istanza di sospensione avanzata da TIM “nei sensi di cui in motivazione” e disposto la sollecita fissazione dell’udienza di merito, ai sensi dell’art. 55, comma 10, CPA. Con istanza del 25 settembre 2019, TIM ha chiesto il rinvio dell’udienza pubblica già fissata per il 23 ottobre 2019 e, in subordine, la cancellazione del ricorso dal ruolo, richiamando la interlocuzione intercorsa con il Presidente dell’Autorità in cui ha manifestato l’intenzione di procedere all’esecuzione dell’art. 5, comma 1, della delibera 348/18/CONS. L’AGCom si è opposta alla richiesta di rinvio dell’udienza evidenziando


l’esigenza che il G.A. si pronunci quanto prima sul merito del ricorso, tenuto conto della sospensione dell’efficacia dell’art. 5, comma 1, della delibera nel frattempo disposta dal Giudice di appello. All’udienza del 23 ottobre 2019, la causa è stata ampiamente discussa tra le parti, la difesa di Telecom, con il consenso delle parti presenti, ha depositato i seguenti documenti: copia di una nota indirizzata da TIM all’AGCom ad oggetto “delibera 348/18/Cons – Riscontro a comunicazione sull’efficacia dell’art. 5, comma 1” e copia di una nota indirizzata dall’AGCom a Telecom del 5.8.2019 prot. N. 0347811 in risposta alla predetta comunicazione. La causa, quindi, è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. In via preliminare, anche sulla base di quanto emerso dalla discussione tra le parti nel corso della pubblica udienza, occorre disattendere la richiesta di rinvio della trattazione del ricorso tenuto conto che con ordinanza n. 6210/2018 del 20 dicembre 2018 il Consiglio di Stato, nell’accogliere l’istanza di sospensione degli atti impugnati avanzata da TIM, ha sospeso l’efficacia dell’art. 5, comma 1, della delibera e disposto la sollecita fissazione dell’udienza di merito, ai sensi dell’art. 55, comma 10, CPA. Invero, come evidenziato dalla parti resistenti, la sospensione della efficacia della delibera disposta in sede cautelare dal Consiglio di Stato incide sugli utenti/consumatori finali, anche in virtù della natura transitoria della disciplina introdotta, per cui l’ulteriore trascorrere del tempo potrebbe vanificare progressivamente le finalità per cui l’art. 5, comma 1, della delibera 348/18/CONS era stato introdotto (delibera con la quale l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha dettato alcune regole per garantire agli utenti dei servizi di comunicazioni elettroniche la libertà di scelta dei terminali utilizzati per la fruizione dell’accesso ad Internet).


2. Venendo all’esame del merito del ricorso, con la predetta delibera l'AGCom ha inteso dare attuazione al Regolamento UE n. 2015/2120 (c.d. Regolamento Net Neutrality) che, per salvaguardare il libero accesso degli utenti ad internet, all’art. 3, comma 1, ha stabilito che “Gli utenti finali hanno il diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi, e utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta, indipendentemente dalla sede dell’utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall’origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio, tramite il servizio di accesso a Internet”. L’art. 3, comma, 2, del citato regolamento ha chiarito che “Gli accordi tra i fornitori di servizi di accesso a Internet e gli utenti finali sulle condizioni e sulle caratteristiche commerciali e tecniche dei servizi di accesso a Internet quali prezzo, volumi di dati o velocità, e le pratiche commerciali adottate dai fornitori di servizi di accesso a Internet non limitano l’esercizio dei diritti degli utenti finali di cui al paragrafo 1”. Il regolamento stabilisce, quindi, in relazione al servizio di accesso a Internet, il diritto degli utenti finali di utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta (comma 1) e di stipulare accordi con tali fornitori di servizi di accesso a Internet che non limitino l’esercizio di tale diritto (comma 2), in linea con quanto osservato nel considerando n. 5 secondo cui “L'esercizio di questi diritti speciali o esclusivi relativi alle apparecchiature terminali è tale da sfavorire in pratica le apparecchiature provenienti da altri Stati membri, in particolare impedendo agli utenti di scegliere liberamente le apparecchiature di cui hanno bisogno in funzione del prezzo e della qualità, a prescindere dalla loro provenienza. L'esercizio di questi diritti è quindi incompatibile con l'articolo 31 del trattato in tutti gli Stati membri”.


3. Con il primo motivo la ricorrente contesta l’art. 4, comma 1, lett. c), della Delibera che impone a Telecom, “mediante aggiornamento software”, di rimuovere eventuali "blocchi operatori" presenti nel terminale venduto all’utente, in modo che questi possa usarlo per fruire dei “servizi di accesso ad Internet offerti da altri operatori”, in quanto tale disposizione avrebbe introdotto un onere eccessivamente gravoso sull’operatore, in quanto richiederebbe complessi interventi su processi e sistemi aziendali e la necessità di coinvolgere nelle attività di progettazione tecnica anche i produttori dei modem. Non senza considerare che l’AGCom sarebbe intervenuta su tali aspetti senza averne il potere, i quanto il Regolamento UE non autorizzerebbe l'Autorità ad intervenire su tali peculiari aspetti. 3.1. Il motivo deve essere dichiarato in ammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Invero, con una nota inviata all’AGCom nelle more del giudizio (in cui Telecom manifesta all’Autorità “la volontà di porre in essere le seguenti azioni per dare attuazione all'art. 5, comma 1, delta delibera n. 348/18/CONS”) depositata all’udienza pubblica, Telecom ha rappresentato che, con per i Clienti in customer base con modem TIM acquistato in vendita abbinata e pagamento rateale in corso, la medesima società “oltre ad aver introdotto la piena libertà di scelta del terminale, TIM ha anche completato l'adeguamento dei contratti in customer base a quanto disposto dall'art. 4 comma 1 lettera c della delibera n. 348/18/CONS, rimuovendo i vincoli all'utilizzo dell'apparato sulle reti di altri operatori (c.d. sblocco del modem)”. Telecom, quindi (dopo aver precisato che per i clienti in questione, il contratto di vendita si era perfezionato con la consegna del bene al cliente e che il pagamento rateale riguardava solo la modalità di corresponsione del corrispettivo pattuito, per cui la proprietà del bene si era trasferita al cliente


all'atto del perfezionamento del contratto, di modo che TIM non avrebbe alcun titolo per chiedere la restituzione del bene al cliente, se non formulando allo stesso una contestuale proposta di riacquisto del modem) ha dato atto di aver provveduto a rimuovere i vincoli esistenti sugli apparati forniti ai clienti, che erano stati acquistati con pagamento rateale, superando in via di fatto le difficoltà di ordine tecnico e commerciale con le quali aveva argomentato il primo motivo. 3.2. Tale condotta può, quindi, essere considerata quale forma di acquiescenza ai contenuti della delibera contestata con il primo mezzo. In ogni caso non può nemmeno condividersi la censura di Telecom secondo cui “Qualora l'utente abbia consapevolmente accettato la fornitura di un modem con determinate "restrizioni" di uso, esso non ha poi il diritto di chiedere a Telecom, dopo aver cessato il rapporto di abbonamento, di intervenire tecnicamente per rimuovere quelle "restrizioni" da lui liberamente accettate”. La norma impugnata, infatti, costituisce chiara ed immediata applicazione del principio generale espresso dall’art. 3, comma 1, del regolamento UE n. 2015/2120 che attribuisce all’utente finale il diritto di “accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi, e utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta…”. Qualora si accedesse alla tesi di Telecom l’utente finale non potrebbe esercitare una scelta “libera”, bensì vincolata e limitata dalla condotta della società ricorrente, laddove questa non rendesse disponibile una alternativa all’utilizzo di un terminale di libera scelta dell’utente rispetto a quello dalla medesima fornito, sul quale sono state poste delle limitazioni funzionali ovvero dei blocchi operativi rispondenti a scelte commerciali dell’operatore. 3.3. Per tale ragione la norma in contestazione appare coerente con le norme e


la ratio del citato Regolamento UE, immediatamente efficace nel nostro ordinamento dalla data della sua entrata in vigore (14 giugno 2014, sebbene la maggior parte delle disposizioni sia stata posticipata al 30 aprile 2016, cfr. art. 10, comma 2), attesa la sua natura di fonte del diritto sovranazionale ad applicazione diretta. 4. Con il secondo motivo Telecom contesta l'art. 4, comma 3, lett. b), della Delibera, nella parte in cui imporrebbe – dopo aver correttamente informato gli utenti sulle caratteristiche “tecniche” dell'apparato da essa fornito (peraltro a titolo gratuito) – di non chiedere loro “oneri aggiuntivi per la mancata restituzione” dello stesso, qualora essi decidano di recedere senza averlo utilizzato “stabilmente”. La tese della ricorrente merita di essere condivisa. La disposizione contestata prevede infatti, in caso di recesso anticipato, che l'utente restituisca il modem ricevuto a titolo gratuito dalla azienda fornitrice, senza che Telecom possa tutelarsi in caso di mancato rispetto di tale obbligo. Il citato art. 4, comma 3, lett. b), in particolare, stabilisce che: “In caso di fornitura del terminale a titolo gratuito i fornitori di servizi di accesso ad Internet: (…) lett. b) Specificano ogni altra informazione utile a distinguere le condizioni contrattuali relative ai servizi di accesso ad Internet rispetto all’uso del terminale e i servizi correlati, e non impongono oneri aggiuntivi per la mancata restituzione dell’apparecchiatura terminale inutilizzata in caso di recesso da parte dell’utente finale”. In tal modo la delibera prescrive a Telecom di rinunciare ad un apparato fornito gratuitamente all'utente, consentendo a quest’ultimo di violare l'art. 1803 cod. civ., secondo cui elemento essenziale del contratto di comodato è “l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta” (art. 1809 cod. civ.), come messo in evidenza da Telecom.


4.1. La norma della delibera finisce quindi per imporre alla società ricorrente una condotta che incide gravemente sull’equilibrio del rapporto contrattuale stipulato con i consumatori, in quanto la delibera e la nota interpretativa non solo non precisano un periodo minimo di permanenza nell'abbonamento (in giorni, mesi o decorso di una certa percentuale del periodo contrattuale di abbonamento), ma consentono all’utente di trattenere il terminale fornito gratuitamente da Telecom in virtù di una propria scelta, sebbene egli lo avesse originariamente richiesto e accettato a determinate “condizioni tecniche” e “di collegamento tra la fornitura del servizio di accesso e del terminale”. 4.2. Si tratta di obbligo che non solo non trova immediata e diretta corrispondenza nelle norme del regolamento UE n. 2015/2120, ma risulta eccessivo e sproporzionato rispetto alle finalità previste dal medesimo regolamento e dettate dall’art, 3, comma 1. 5. Con il terzo motivo Telecom contesta l’art. 5, comma 1, della delibera, il quale inciderebbe retroattivamente sui “contratti in essere” di Telecom che prevedono la fornitura del “terminale a titolo oneroso” agli utenti, stabilendo che la società debba proporre ai vecchi utenti “la variazione senza oneri della propria offerta in una equivalente […] che preveda la fornitura […] a titolo gratuito” del terminale; o in alternativa, debba consentire agli utenti di recedere dal contratto di accesso a internet e da quello di fornitura del modem “senza oneri diversi dalla mera restituzione del terminale”. In tal modo la delibera imporrebbe alla ricorrente di rinunciare alle somme ancora dovute dai clienti esistenti, che hanno sottoscritto contratti negli ultimi anni e che usano il modem, sia a seguito di un contratto di vendita a rate, che tramite un contratto di noleggio. La tesi non merita adesione. Al riguardo è utile richiamare l’articolo 5, comma 1 della delibera il quale


dispone che “I fornitori di servizi di accesso ad Internet, entro 120 giorni dalla pubblicazione del presente atto, limitatamente ai contratti in essere che prevedono l’utilizzo obbligatorio del terminale a titolo oneroso per l’utente finale: a. Propongono all’utente la variazione senza oneri della propria offerta in una equivalente offerta commerciale che preveda la fornitura dell’apparecchiatura terminale a titolo gratuito o che non ne vincoli l’utilizzo attraverso l’imputazione di costi del bene o dei servizi correlati al terminale nella fatturazione; b. In alternativa, consentono all’utente finale di recedere dal contratto senza oneri diversi dalla mera restituzione del terminale, dandone adeguata informativa”. Si tratta di disposizioni transitorie destinate ad operare con riferimento a contratti di durata, destinati quindi ad avere effetti prolungati nel tempo, volte ad evitare che gli utenti continuino a soggiacere a condizioni commerciali sotto forma di pagamenti di vendita o canoni di noleggio di apparati imposti, che non sono in linea con i principi generali dettati dall’art. 3, comma 1, del regolamento UE n. 2015/2120. Le ipotesi alternative previste dalla delibera (proporre all’utente il passaggio senza costi ad un’offerta con terminale gratuito o non obbligatorio ovvero consentire il recesso senza penali) non determinano (a differenza di quanto osservato in precedenza in relazione all’art. 4, comma 3, lett. b) effetti economici eccessivi a carico del gestore, il quale non è costretto a rinunciare alle somme dovute dai clienti. 5.1. La norma in esame, che prescinde dallo specifico tipo di contratto (vendita abbinata, noleggio, etc.) con cui è stato fornito il terminale, mira solo ad eliminare i costi relativi al terminale, che la disciplina eurounitaria impone di


eliminare. Per tali ragioni, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, la delibera non ha una efficacia retroattiva: essa infatti si applica pro futuro decorsi 120 gg. dalla pubblicazione della delibera n. 348/18/CONS come prorogata dalla delibera n. 476/18/CONS (termine originariamente fissato al 30 dicembre 2018). 5.2. In altri termini la delibera individua le misure attuative del Regolamento UE approvato del 25 novembre 2015 con disposizioni che non incidono retroattivamente sulla parte di contratto che ha già prodotto effetti, ma mirano a introdurre misure correttive delle condotte dell’operatore di riferimento non conformi all’articolo 3 del Regolamento, al fine di evitare che le pratiche commerciali in contrasto con il Regolamento, continuino a limitare la libertà di scelta degli utenti. A tal fine, la previsione della possibilità di concedere il recesso senza costi per gli utenti come alternativa possibile rispetto alla possibilità per gli operatori di offrire all’utente il passaggio ad un’offerta equivalente che non preveda il modem obbligatorio o che lo preveda gratuitamente, costituisce, quindi, misura congrua e proporzionata rispetto alle finalità della delibera di porre fine a condotte contrattuali non in linea con la disciplina sopranazionale, tesa ad introdurre un regime speciale di protezione del consumatore nell’ambito dei contratti per adesione, che possa valere anche su quelli preesistenti all’intervento regolatorio. 5.3. In senso contrario non vale quanto sostenuto da Telecom secondo cui l’Autorità non avrebbe il potere di ordinare in via amministrativa a Telecom di intervenire sui contratti stipulati liberamente fra operatori e clienti, in assenza di una norma espressa nel Regolamento UE o nella legge, che attribuisca e disciplini la facoltà di intervenire retroattivamente su rapporti negoziali. Come già osservato da questo Tribunale (cfr. sentenza n. 3261 del 22.3.2018) il


potere di intervento in materia dell’AGCom trova fondamento nelle norme contenute nella legge istitutiva delle Autorità per i servizi di pubblica utilità, competenti per energia elettrica, gas e le telecomunicazioni (cfr. legge 14 novembre 1995, n. 481) nonché nella legge istitutiva dell’AGCom (cfr. legge 31 luglio 1997, n. 249). La legge n. 481/1995, in linea generale, infatti, attribuisce all’Autorità il compito di promuovere la tutela degli interessi di utenti e consumatori tenuto conto della normativa europea in materia, e, in particolare, l’art. 2, comma 12, lett. h) della medesima legge affida all’AGCom il potere di emanare “le direttive concernenti la produzione e l'erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all'utente, sentiti i soggetti esercenti il servizio e i rappresentanti degli utenti e dei consumatori, eventualmente differenziandoli per settore e tipo di prestazione; tali determinazioni producono gli effetti di cui al comma 37”. Ed ancora la successiva lett. l) stabilisce che l’Autorità “pubblicizza e diffonde la conoscenza delle condizioni di svolgimento dei servizi al fine di garantire la massima trasparenza, la concorrenzialità dell'offerta e la possibilità di migliori scelte da parte degli utenti intermedi o finali”. La legge 249/1997 all’art. 1, comma 6, n. 2 prevede che la Commissione per i servizi ed i prodotti dell’ACGom “emana direttive concernenti i livelli generali di qualità dei servizi e per l’adozione, da parte di ciascun gestore, di una carta del servizio recante l’indicazione di standard minimi per ogni comparto di attività”. Si tratta, infatti, di norme dai tratti generali, che impongono un intervento attuativo dell’Autorità, che in sede applicativa dovrà individuare gli strumenti


operativi più adeguati al raggiungimento degli scopi individuati dalle disposizioni sopra richiamate, che a loro volta costituiscono applicazione di regole e principi di derivazione eurounitaria. 5.4. In proposito è, altresì, utile osservare che in contesti - come quello delle telecomunicazioni - caratterizzati da una estrema specializzazione e da una rapida evoluzione tecnologica, che determinano una rapida obsolescenza delle misure regolatorie, è quanto mai evidente l’esigenza di un intervento rapido ed efficace dell’Autorità, al fine di adeguare il contenuto delle regole all’evoluzione del mercato nel rispetto dei limiti e degli obiettivi prefissati dalla legge, secondo quanto previsto dal citato l’art. 2, comma 12, lett. h) della l. 481/1995. In tal senso, del resto, si è già espresso il Giudice di appello osservando che “nel caso degli atti di regolazione delle Autorità amministrative di settore... la legge, tuttavia, normalmente non indica nei dettagli il relativo contenuto, né descrive in modo prescrittivo le condizioni e i limiti di esercizio della relativa attività. La parziale deroga del principio di legalità in senso sostanziale... si giustifica, nel caso delle Autorità indipendenti, in ragione dell’esigenza di assicurare il perseguimento di fini che la stessa legge predetermina: il particolare tecnicismo del settore impone, infatti, di assegnare alle autorità il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche dell’evoluzione del sistema” (cfr. sentenza, sez. VI, 24 maggio 2016, n. 2182). Anche la Corte di Cassazione si è espressa sul carattere dei provvedimenti regolatori attuativi della legge n. 481/1995, riconoscendo che “il potere normativo secondario (o, secondo una possibile qualificazione alternativa, di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) dell'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas ai sensi dell'art. 2, comma 2, lett. h), si può


concretare anche nella previsione di prescrizioni che, attraverso l'integrazione del regolamento di servizio, di cui allo stesso art. 2, comma 37, possono in via riflessa integrare, ai sensi dell'art. 1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali pendenti anche in senso derogatorio di norme di legge, ma alla duplice condizione che queste ultime siano meramente dispositive e, dunque, derogabili dalle stesse parti, e che la deroga venga comunque fatta dall'Autorità a tutela dell'interesse dell'utente o consumatore, restando, invece, esclusa - salvo che una previsione speciale di legge o di una fonte comunitaria ad efficacia diretta - non la consenta - la deroga a norme di legge di contenuto imperativo e la deroga a norme di legge dispositive a sfavore dell'utente e consumatore” (cfr. Corte di Cassazione, sez. III, 30 agosto 2011, n. 17786; e in senso conforme cfr. anche Cass. sez. VI, 31 ottobre 2014, n. 23184 e sez. III, 31 agosto 2015, n. 17301). La medesima Corte di Cassazione ha, altresì, osservato che il potere normativo delle Autorità “si può concretare anche nella previsione di prescrizioni specifiche, che non lascino al destinatario margini di scelta sul “quando” e sul “quomodo”, le quali possono in via riflessa integrare, ai sensi dell'art. 1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali pendenti” (cfr. Cassazione civile, sez. VI 13 luglio 2012, n. 11992). 6. Chiarito quanto sopra, risulta del tutto inconferente rispetto alla vicenda in esame il richiamo alla decisione di questo Tribunale n. 12421/2016, con la quale è stato accolto il ricorso avverso la delibera 519/15/Cons di approvazione del Regolamento recante disposizioni a tutela degli utenti in materia di contratti relativi alla fornitura di servizi di comunicazioni elettroniche. Le sentenza in argomento ha, invero, annullato l’art. 6 dell’avversato regolamento secondo il quale gli operatori di telefonia avrebbero potuto


modificare “le condizioni contrattuali solo nelle ipotesi e nei limiti previsti dalla legge o dal contratto medesimo”. La decisione ha, quindi, inteso stigmatizzare la richiamata norma regolamentare nella parte in cui essa limitava la modifica delle “condizioni contrattuali” alle sole “ipotesi e nei limiti previsti dalla legge o dal contratto medesimo”, in quanto dal contesto normativo nazionale e comunitario non era possibile evincere alcuna attribuzione all’Autorità del potere di limitare o condizionare la capacità negoziale delle aziende. Ciò premesso, è evidente che la sentenza in questione ha inteso escludere l’esistenza di un potere di limitazione o condizionamento della facoltà degli operatori di telefonia mobile di modificare il “contenuto del contratto stipulato con i consumatori”. Quanto affermato nelle predette decisioni non può, quindi, essere riferito alla vicenda in esame in cui l’esercizio del potere regolatorio concesso all’Autorità materia, attiene alla mera individuazione di disposizioni atte a soddisfare le garanzie individuate dal regolamento UE n. 2015/2120, al fine di assicurare agli utenti dei servizi di comunicazioni elettroniche la libertà di scelta dei terminali utilizzati per la fruizione dell’accesso ad Internet, e non scalfisce in alcun modo l’autonomia negoziale degli operatori, che invece risultava incisa da una previsione espressa in termini generali, contenuta nel sopra richiamato art. 6 del regolamento (oggetto della decisione n. 12421/2016). 7. Né è possibile convenire con l’interessata secondo cui le disposizioni della delibera gravata determinerebbero una modifica autoritativa del contratto tra le parti, in assenza di espressa previsione normativa. A tal riguardo, nel richiamare quanto già osservato poc’anzi in ordine al potere di intervento attribuito all’AGCom, si osserva, con specifico riferimento al potere di eterointegrazione negoziale, che il Consiglio di Stato ha già osservato


come l’art. 2, commi 12 e 37, della l. 481/1995 “…attribuiscono all’Autorità poteri ampi di etero-integrazione, suppletiva e cogente, dei contratti, sopra indicati, per il perseguimento delle specifiche finalità individuate. Si tratta di un potere che, essendo attribuito da una norma imperativa, diventa esso stesso, insieme a tale norma, parametro di validità del contratto. Perciò il contenuto dei contratti viene integrato, secondo lo schema dell’art. 1374 Cod. civ., dall’esercizio del potere dell’Autorità ovvero – qualora detti contratti contengano clausole difformi da quanto previsto dalla determinazione dell’Autorità stessa – tali clausole vanno, ai sensi del primo comma dell’art. 1418 Cod. civ., ritenute nulle per contrarietà a norma imperativa”. Tutto ciò dopo aver osservato, nel passaggio immediatamente precedente, che – in rapporto al potere regolatorio di un’autorità amministrativa indipendente – lo stesso principio di legalità possa avere carattere meno intenso, in ragione dell’esigenza di assicurare, in contesti caratterizzati da un elevato tecnicismo, un intervento celere ed efficace. La predeterminazione rigorosa dell’esercizio delle funzioni amministrative, infatti, comporterebbe un pregiudizio alla finalità pubblica per la quale il potere è attribuito. La dequotazione del principio di legalità in senso sostanziale – giustificata dalla valorizzazione degli scopi pubblici da perseguire in particolari settori, come quelli demandati alle autorità amministrative indipendenti – impone, tuttavia, il rafforzamento del principio di legalità in senso procedimentale: quest’ultimo si concretizza, tra l’altro, nella previsione di rafforzate forme di partecipazione degli operatori del settore, nell'ambito del procedimento di formazione degli atti regolamentari… (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 maggio 2016, n. 2182) In conclusione il ricorso deve essere accolto nei limiti di cui in motivazione con conseguente annullamento dell'art. 4, comma 3, lett. b), della Delibera, nella parte in cui impone – dopo aver imposto l’obbligo di informare gli utenti


sulle caratteristiche “tecniche” dell'apparato da essa fornito – di non chiedere loro “oneri aggiuntivi per la mancata restituzione” dello stesso, qualora essi decidano di recedere senza averlo utilizzato. Quanto alle spese di giudizio sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti attesa la reciproca soccombenza sulle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte qua l'art. 4, comma 3, lett. b), della delibera n. 348/18/CONS, pubblicata il 2.8.2018. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 23 ottobre 2019 e del 6 novembre 2019 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele, Presidente Vincenzo Blanda, Consigliere, Estensore Claudio Vallorani, Primo Referendario L'ESTENSOREIL PRESIDENTEVincenzo BlandaGiuseppe Daniele

IL SEGRETARIO

Pubblicato il 28/01/2020 N. 01201/2020 REG.PROV.COLL. N. 12921/2018 REG.RIC.


R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12921 del 2018, integrato da motivi aggiunti,

proposto

da

Wind Tre S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Beniamino Caravita Di Toritto, Sara Fiorucci, Roberto Santi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Beniamino Caravita Di Toritto in Roma, via di Porta Pinciana n. 6, come da procura in atti; contro Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti D-Link

Mediterraneo

S.r.l.

non

costituito

in

giudizio;

Assoprovider in persona del legale rappresentante pro tempore, Movimento Difesa del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Salvatore Fulvio Sarzana Di Sant'Ippolito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, come da procure in atti;


e con l'intervento di ad

opponendum:

Associazione dei Fabbricanti di Terminali di Telecomunicazione (Vtke), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Valli, Marco Costantino Macchia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Valli in Roma, via del Governo Vecchio 20; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: della Delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 348/18/CONS recante “Misure attuative per la corretta applicazione dell'articolo 3, commi 1, 2, 3, del Regolamento (UE) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l'accesso a un'internet aperta, con specifico riferimento alla libertà di scelta delle apparecchiature terminali” del 18 luglio 2018, e disponibile sul sito internet dell'Autorità a partire da giovedì 2 agosto 2018; della nota del Segretario Generale dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni del 18 ottobre 2018 recante “Delibera n. 348/18/Cons – Riscontro a Vs nota prot. 130389”; della delibera del 27 settembre 2018 del Consiglio dell'Agcom, non conosciuta, con cui lo stesso ha ritenuto che non sussistono elementi oggettivi di natura tecnica che possano giustificare la previsione di una eccezione alla libertà di scelta e di utilizzo del terminale ai sensi dell'art. 3, comma 5, della delibera n. 348/18/CONS. Nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da WIND TRE S.P.A. il 29\1\2019: dell'atto recante “Risposte alle richieste chiarimenti in merito alla delibera n. 348/18/CONS” pubblicato sul sito dell'Agcom in data 16.11.2018, nonché


degli atti già impugnati con ricorso introduttivo. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Assoprovider e di Movimento Difesa del Cittadino e di Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2019 il consigliere Achille Sinatra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. – Con ricorso notificato il 30 ottobre 2018 e depositato il successivo 13 di novembre, Wind Tre s.p.a., operatore di telefonia fissa e mobile, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, l’art. 5 della Delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 348/18/CONS recante “Misure attuative per la corretta applicazione dell’articolo 3, commi 1, 2, 3, del Regolamento (UE) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’internet aperta, con specifico riferimento alla libertà di scelta delle apparecchiature terminali” del 18 luglio 2018, nonché la nota del Segretario Generale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni del 18 ottobre 2018 recante “Delibera n. 348/18/Cons – Riscontro a Vs nota prot. 130389”; - della delibera del 27 settembre 2018 del Consiglio dell’Agcom, non conosciuta, con cui lo stesso ha ritenuto che non sussistono elementi oggettivi di natura tecnica che possano giustificare la previsione di una eccezione alla libertà di scelta e di utilizzo del terminale ai sensi dell’art. 3, comma 5, della delibera n. 348/18/CONS. 2. – La ricorrente premette che con il su richiamato regolamento comunitario è stato affermato il principio di libera scelta delle apparecchiature terminali per l’accesso ad internet (modem), con il correlato diritto degli utenti di stipulare


accordi con i fornitori di servizi di accesso a Internet che non limitino l’esercizio di tale diritto; a ciò corrisponde il divieto per i fornitori di servizi di accesso a Internet di effettuare discriminazioni di traffico in base alle applicazioni, ai servizi utilizzati o forniti, o alle apparecchiature terminali utilizzate. 3. – In attuazione di tale normativa comunitaria, l’art. 1 della delibera impugnata in parte qua afferma che “Il presente provvedimento disciplina modalità e condizioni di fornitura delle apparecchiature terminali per l’accesso ad una rete pubblica di comunicazione elettronica o di accesso ad Internet al fine di garantire agli utenti finali il diritto di scegliere liberamente il proprio terminale.” Per il secondo comma, “Gli utenti finali hanno il diritto di utilizzare apparecchiature terminali di accesso ad Internet di loro scelta. Gli accordi tra i fornitori di servizi di accesso a Internet e gli utenti finali sulle condizioni e sulle caratteristiche commerciali e tecniche dei servizi di accesso a Internet quali prezzo, volumi di dati o velocità, e le pratiche commerciali adottate dai fornitori di servizi di accesso a Internet, non limitano l’esercizio dei diritti degli utenti finali di utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta”. Il terzo comma prevede, quindi, il divieto per gli operatori di reti pubbliche di comunicazioni e per i fornitori di servizi di comunicazione di rifiutare l’attivazione della connessione alla Rete, ovvero di discriminare la qualità dei singoli servizi inclusi nell’offerta qualora l’utente finale utilizzi una apparecchiatura terminale di propria scelta che soddisfi i requisiti di base previsti dalla normativa europea e nazionale. 4. – La ricorrente evidenzia che, tuttavia, l’art. 3 comma quinto della delibera gravata consente alcune eccezioni ai principi su richiamati, in quanto prevede la possibilità di: a) eventuali restrizioni, opportunamente motivate ed


approvate dall’Autorità, imposte all’utilizzo delle apparecchiature terminali fornite, anche con riferimento all’effettivo impiego di apparecchiature terminali scelte autonomamente dall’utente; b) informazioni sulle procedure poste in essere e le operazioni di misura e gestione dei dati di consumo attraverso il collegamento all’apparecchiatura terminale; c)

i

servizi

accessori

di

installazione,

collaudo

e

manutenzione

dell’apparecchiatura terminale, in maniera separata rispetto al servizio di attivazione e fornitura del collegamento. 5. – Prosegue la società affermando che la delibera gravata conterrebbe una previsione transitoria dal contenuto dissonante rispetto al regolamento comunitario che essa si propone di attuare, ossia l’art. 5, il quale dispone che la disciplina introdotta con il detto regolamento e con lo stesso provvedimento impugnato sia applicabile anche ai contratti conclusi prima dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) n. 2015/2120. In particolare, la norma in questione prevede che i fornitori di servizi di accesso ad Internet, entro 120 giorni dalla pubblicazione della delibera, limitatamente ai contratti in essere che prevedono l’utilizzo obbligatorio del terminale a titolo oneroso per l’utente finale, debbano proporre all’utente la variazione senza oneri della propria offerta in una equivalente offerta commerciale che preveda la fornitura dell’apparecchiatura terminale a titolo gratuito o che non ne vincoli l’utilizzo attraverso l’imputazione di costi del bene o dei servizi correlati al terminale nella fatturazione, ovvero, in alternativa, a consentire all’utente finale di recedere dal contratto senza oneri diversi dalla mera restituzione del terminale. 6. – Wind prosegue evidenziando che, sotto il profilo della tecnologia di cui essa dispone, sussisterebbero i presupposti per incorrere in una delle eccezioni


ai principi affermati dalla delibera e dal regolamento comunitario previste dall’art. 3 della delibera medesima, e ciò con particolare riferimento alle offerte cd. “in fibra fino a casa cliente” (FTTH), rispetto alle quali essa, con istanza del 17 settembre 2018 (oltre che nella precedente fase di consultazione pubblica preliminare alla delibera gravata) aveva comunicato all’Autorità che non sarebbe stato possibile garantire il servizio senza la contestuale fornitura del modem da parte della stessa, ed aveva quindi chiesto di essere autorizzata a commercializzare, per tale esclusivo ambito, offerte prive della possibilità di scelta del modem da parte del cliente finale. 7. – A tale istanza ha fatto seguito il diniego contenuto nella nota del Segretario Generale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni del 18 ottobre 2018, ad oggetto “Delibera n. 348/18/Cons – Riscontro a Vs nota prot. 130389”; - della delibera del 27 settembre 2018 del Consiglio dell’Agcom, non conosciuta, con cui lo stesso ha ritenuto che non sussistono elementi oggettivi di natura tecnica che possano giustificare la previsione di una eccezione alla libertà di scelta e di utilizzo del terminale ai sensi dell’art. 3, comma 5, della delibera n. 348/18/CONS. 8. - Tanto premesso, Wind Tre s.p.a., nel ricorso introduttivo, articola tre motivi di censura, due dei quali rivolti all’annullamento della appena citata nota di diniego a firma del Segretario Generale dell’Agcom, mentre il terzo è volto all’annullamento dell’art. 5 della delibera in epigrafe, che realizzerebbe l’applicazione retroattiva delle nuove norme introdotte in osservanza al regolamento comunitario 2017\2120: 1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 4 e 5, della delibera Agcom n. 348/18/Cons. Violazione e falsa applicazione del Regolamento (UE) n. 2015/2120. Violazione e falsa applicazione del considerato n. 3 della direttiva 2008/63/CE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4, comma 3,


lettera f) e 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e carenza di motivazione. Eccesso di potere per irragionevolezza. Se Agcom non si fosse –in tesi- astenuta dal condurre adeguata istruttoria sull’istanza della ricorrente (la quale recava, in allegato, l’analitica descrizione dei motivi tecnici per cui Wind Tre dovrebbe fruire della richiesta eccezione ai principi di cui al regolamento 2015\2120 in campo FTTH, ribaditi nel motivo), avrebbe

certamente

convenuto

con

la

ricorrente

sull’applicabilità

dell’eccezione di cui all’art. 3 quinto comma al caso di specie; invece, a dire della ricorrente, la nota segretariale non reca le ragioni del diniego, in quanto la detta istruttoria non sarebbe stata condotta dall’Autorità. 2) Violazione e falsa applicazione della delibera Agcom n. 348/18/Cons. Violazione e falsa applicazione del Regolamento (UE) n. 2015/2120. Violazione e falsa applicazione del considerato n. 3 della direttiva 2008/63/CE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4, comma 3, lettera f) e 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e carenza di motivazione. Eccesso di potere per irragionevolezza. Il diniego opposto dal Segretario generale dell’Autorità alla richiesta di eccezione al principio di libera scelta del terminale da parte dell’utenza comporterebbe che quest’ultima potrebbe non riuscire ad usufruire del servizio FTTH nel caso in cui scegliesse un apparecchio non tecnicamente compatibile, così che ne uscirebbe vanificata la finalità anche del considerato n. 3 della direttiva 2008/63/CE, secondo cui “la rapida moltiplicazione dei vari tipi di apparecchiature terminali e la molteplice utilizzazione dei medesimi richiedono che gli utenti possano effettuare una libera scelta tra i medesimi per beneficiare integralmente dei progressi tecnologici nel settore”. 3) Violazione falsa applicazione del Regolamento UE n. 2015/2120.


Violazione falsa applicazione dell'art. 11, comma 1, delle Preleggi. Eccesso di potere per indeterminatezza, difetto di istruttoria ed illogicità manifesta. Violazione del principio del tempus regit actum. Violazione falsa applicazione degli artt. 3 e 41 Cost. Con il terzo motivo la ricorrente censura la asserita retroattività della deliberazione dell’Agcom gravata, affermando che l’art. 5, pur definito impropriamente “disposizioni transitorie”, prevedrebbe che la nuova disciplina si applichi anche a contratti già in essere all’entrata in vigore della stessa, rimanendo esclusi dalla disposizione i contratti di vendita degli apparati; sussisterebbe quindi assoluta indeterminatezza e violazione del principio di irretroattività delle leggi là dove l’Agcom porrebbe un generico riferimento a “tutti” i contratti di utilizzo a titolo oneroso, senza individuare il naturale limite temporale che distingua tra contratti sottoscritti prima e dopo l’entrata in vigore del Regolamento UE n. 2015/2120; inoltre, risulterebbe violato il principio di affidamento, affermato anche dalla Corte Costituzionale in quanto le impugnate disposizioni “al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica “. 9. – Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 15 gennaio 2019 e depositato il successivo giorno 29, Wind Tre s.p.a. ha impugnato, inoltre, l’atto con cui Agcom ha fornito “Risposte alle richieste chiarimenti in merito alla delibera n. 348/18/CONS”, nella parte in cui esso afferma che l’art. 5, già impugnato con il terzo motivo del ricorso introduttivo, “si applica ai contratti in essere che prevedono l’utilizzo obbligatorio del terminale a titolo oneroso, prescindendo dalla modalità di fornitura del terminale (ad esempio vendita abbinata o noleggio)”.


La ricorrente afferma, sul punto, che, con un atto interpretativo successivo alla delibera impugnata con il ricorso introduttivo, l’Agcom avrebbe tentato di estendere l’ambito applicativo dell’art. 5, includendo i contratti di vendita degli apparati tra quelli per cui vi sarebbe un obbligo di modifica delle condizioni contrattuali. Con un unico motivo aggiunto, quindi, la società afferma sussistere “Violazione e falsa applicazione artt. 1470 e ss. c.c. Violazione e falsa applicazione del Regolamento UE n. 2015/2120. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, delle Preleggi. Eccesso di potere per indeterminatezza, difetto di istruttoria ed illogicità manifesta. Violazione del principio del tempus regis actum. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 41 Cost.”, in quanto l’art. 5 citato si dovrebbe applicare ai soli contratti aventi causa di noleggio dei terminali, e non a quelli aventi causa tipica di vendita. 10. – Si sono costituite in resistenza l’Agcom nonché Assoprovider e l’Associazione Movimento per la difesa del cittadino, mentre ha spiegato intervento ad opponendum l’ Associazione dei fabbricanti di terminali di telecomunicazione. 11. – Le parti hanno scambiato le memorie di cui all’art. 73 c.p.a., nelle quali, in particolare, Agcom ha affermato che i primi due motivi del ricorso introduttivo sarebbero “superati” dall’intervenuto adeguamento tecnologico di Wind Tre s.p.a. alla regolazione, ed ha chiesto, in generale, il rigetto dell’avversa impugnazione. 12. – In occasione della pubblica udienza del 23 ottobre 2019 il ricorso è passato in decisione. DIRITTO 1. – Il ricorso introduttivo non può trovare accoglimento. 1.1. – In via preliminare i motivi primo e secondo del ricorso devono essere


dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse. La stessa Wind Tre, nella propria memoria di replica, correttamente afferma quanto di seguito riportato: “Occorre,

in primo luogo, evidenziare, in relazione ai primi due motivi di

ricorso come l’Agcom abbia chiaramente riconosciuto come si sia resa “disponibile ad approfondire il tema delle eventuali “limitazioni tecniche” che avrebbero potuto pregiudicare la corretta implementazione della delibera n. 348/18/Cons” (pag. 9 della memoria). In particolare, con la pubblicazione, in data 2 luglio 2019, delle “Risposte alle ulteriori richieste di chiarimenti in merito alla delibera n. 348/18/CONS pervenute dagli operatori successivamente alla comunicazione del 16 novembre 2018” è stato sostanzialmente riconosciuto quanto contestato dall’odierna ricorrente in merito all’impossibilità, per la sola tecnologia FTTH, di garantire la piena funzionalità all’insieme dei servizi offerti, nel caso in cui gli utenti avessero scelto terminali non compatibili. Proprio per tal ragione l’Autorità con gli ultimi chiarimenti e nella memoria da ultimo depositata ha riconosciuto come Wind Tre “potrà continuare a fornire l’adattatore SFP considerate le condizioni di scenario tecnologico e di mercato attuale” (pag. 10 della memoria Agcom).” Il riferimento della ricorrente alla memoria difensiva di Agcom è del tutto pertinente, in quanto riguarda il passo che di seguito si riproduce: “Con specifico riferimento alla posizione dell’odierna ricorrente, il chiarimento in esame va interpretato in tal senso: - il modulo SFP (vale a dire l’apparato che fornisce le funzionalità di interlavoro con la rete di WindTre), svolgendo le medesime funzioni della ONT, può essere a questa equiparato; - essendo il modulo SFP pluggable, ossia estraibile dall’apparato in cui viene installato, non lo si reputa integrato con il modem/router. In pratica, nelle offerte in


tecnologia FTTH la ricorrente potrà continuare a fornire l’adattatore SFP considerate le condizioni di scenario tecnologico e di mercato attuale.” 1.2. – Peraltro, l’improcedibilità dei primi due motivi discende anche dalle precedenti considerazioni formulate nella memoria dell’Agcom, per cui: “WindTre si è adeguata, seppur in ritardo rispetto ai termini previsti dalla delibera n. 348/18/Cons, alle prescrizioni ivi contenute. In conseguenza di tale adeguamento Wind consente agli utenti di scegliere liberamente il terminale nella fruizione dei servizi di connettività offerti dall’odierna ricorrente.” 1.3. – Il terzo motivo del ricorso introduttivo riguarda la asserita retroattività della deliberazione dell’Agcom gravata, determinata dall’art. 5 della medesima, che, in tesi, estenderebbe illegittimamente la portata dell’atto anche ai contratti stipulati prima della entrata in vigore del regolamento comunitario che la delibera si propone di attuare. Il motivo è infondato. La norma regolatoria in questione, rubricata “Disposizioni transitorie”, recita, infatti, che “I fornitori di servizi di accesso ad Internet, entro 120 giorni dalla pubblicazione del presente atto, limitatamente ai contratti in essere che prevedono l’utilizzo obbligatorio del terminale a titolo oneroso per l’utente finale: a. Propongono all’utente la variazione senza oneri della propria offerta in una equivalente offerta commerciale che preveda la fornitura dell’apparecchiatura terminale a titolo gratuito o che non ne vincoli l’utilizzo attraverso l’imputazione di costi dell’apparecchiatura terminale a titolo gratuito o che non ne vincoli l’utilizzo attraverso l’imputazione di costi del bene o dei servizi correlati al terminale nella fatturazione; b. In alternativa, consentono all’utente finale di recedere dal contratto senza oneri diversi dalla mera restituzione del terminale, dandone adeguata


informativa. 2. I fornitori di servizi di accesso ad Internet adeguano le condizioni contrattuali, le indicazioni commerciali e le informazioni da fornire agli utenti finali di cui al presente provvedimento entro 90 giorni dalla sua pubblicazione. 3. I fornitori di servizi di accesso ad Internet danno adeguata evidenza all’Autorità delle modalità di offerta, di informazione e comunicazione al mercato e ai propri clienti delle condizioni di adeguamento alle misure previste dal presente provvedimento 30 giorni prima delle scadenze di cui ai commi 1 e 2. 4. L’Autorità vigila sul rispetto delle condizioni previste dal presente provvedimento, stabilite ai sensi degli artt. 70 e 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche e dell’art. 3 del Regolamento UE n. 2015/2120.” Il tenore della disposizione in questione non consente di evidenziare reali profili di retroattività della portata applicativa del Regolamento n. 2120\2015. Ciò, innanzitutto, perchè, sotto il profilo strettamente letterale, la norma transitoria non fa riferimento alcuno alla sua possibile retroazione a data anteriore a quella di entrata in vigore del suddetto Regolamento. In effetti, la disposizione non impone la revisione delle condizioni contrattuali le cui prestazioni siano già state eseguite; tanto meno delle condizioni che siano state eseguite prima dell’entrata in vigore del citato Regolamento comunitario. Ma, posto che i rapporti negoziali in questione possono essere qualificati come contratti di somministrazione di servizi, e che, in ogni caso, si tratta di contratti di durata, rimarrebbe all’interprete la necessità di indagare se, almeno in via interpretativa, le condizioni in questione possano essere applicate solo alle prestazioni (dei contratti stipulati dopo l’entrata in vigore del Regolamento) ancora da eseguire oppure anche a quelle che, nei medesimi contratti, siano già


state eseguite. In altri termini, si tratterebbe di verificare se l’entrata in vigore della delibera abbia comportato, o non, la nullità parziale sopravvenuta delle clausole difformi e la sostituzione automatica delle stesse ai sensi dell'art. 1419, 2° comma, c.c., come accade in tutti i casi in cui una norma sopravvenuta renda parzialmente illecito un contratto che, prima di essa, non lo era. Tuttavia, tale indagine, alla luce delle difese dell’Autorità, risulta superflua, in quanto la stessa memoria di costituzione dell’Amministrazione afferma, in relazione al ridetto art. 5, che “La disposizione in esame non ha dunque efficacia retroattiva (n.d.r., il riferimento a 120 gg. dalla pubblicazione della delibera n. 348/18/CONS come prorogata dalla delibera n. 476/18/CONS, ossia dal 30 dicembre 2018), in quanto non incide su quanto già accaduto in violazione del Regolamento UE (imposizione di modem a titolo oneroso) ma mira ad impedire per i contratti stipulati di durata ancora in corso di esecuzione che le pratiche commerciali adottate dalla ricorrente, finora in contrasto con il Regolamento, continuino a limitare la libertà di scelta degli utenti.” Tale impostazione, che coinvolge unicamente le prestazioni non ancora eseguite, è coerente con una interpretazione logica dell’art. 5, che, in definitiva, appresta all’utente soltanto una alternativa esperibile in futuro, ossia la scelta tra il recesso con restituzione del terminale e la fruizione della variazione delle clausole negoziali già in essere, senza oneri, in una equivalente offerta commerciale che preveda la fornitura dell’apparecchiatura terminale a titolo gratuito o che non ne vincoli l’utilizzo: e ciò mediante l’applicazione di clausole che il fornitore di servizi, ai sensi del comma secondo, deve offrire entro 90 giorni dall’entrata in vigore della delibera impugnata. Resta, ovviamente aperto –proprio perché non disciplinato dalla delibera


impugnata- il problema dell’eventuale riequilibrio del sinallagma contrattuale alla luce (non della delibera, ma) del Regolamento comunitario del 2015 per quei rapporti che, dopo l’entrata in vigore di quest’ultimo, abbiano comportato oneri posti in violazione di esso e della ivi contemplata libertà di scelta, che, per la durata residua dei medesimi contratti, non possano dirsi riequilibrati dall’applicazione delle disposizioni regolatorie: ma si tratta di materia che non è oggetto del presente giudizio di impugnazione davanti al Giudice Amministrativo. In definitiva, il terzo motivo del ricorso introduttivo va respinto. 2. – E’ invece inammissibile l’unico motivo di cui si compone il ricorso per motivi aggiunti, rivolto contro i chiarimenti pubblicati il 16 novembre 2018 sul sito istituzionale dell’Agcom (“Risposte alle richieste chiarimenti in merito alla delibera n. 348/18/CONS”). Tali “chiarimenti”, infatti, non hanno, né possono avere, portata innovativa dell’ordinamento, neppure nei limiti in cui tanto possa avere un atto di regolazione dell’Agcom, del quale non hanno né la forma né la sostanza; e, pertanto, non possono ritenersi immediatamente lesivi degli interessi degli operatori. Ciò, anche volendo considerare quanto afferma –ma in materia di gare d’appalto- recente giurisprudenza circa la possibile lesività dei chiarimenti successivi alla legge di gara, che si ritiene sussistere ove essi abbiano portata correttiva di quest’ultima (Consiglio di Stato sez. V, 11/06/2019, n.3914). Infatti, la specificazione dei chiarimenti secondo la quale la disciplina di derivazione comunitaria si applica anche ai contratti che prevedono il trasferimento di proprietà del terminale non risulta affatto innovativa rispetto alla lata dizione di cui al punto a dell’art. 5 comma I, per cui gli operatori devono proporre agli utenti una offerta “che non ne (del modem) vincoli


l’utilizzo attraverso l’imputazione di costi del bene”; dizione, quest’ultima, che può ricomprendere anche i costi relativi al pagamento del prezzo di vendita della proprietà dell’apparecchiatura. 3. – In conclusione, il ricorso introduttivo è in parte improcedibile ed in parte infondato; il ricorso per motivi aggiunti è inammissibile. 4. – Le spese, attesa la assoluta novità della materia controversa, possono essere compensate per intero fra tutte le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), in parte dichiara improcedibile e per il resto respinge il ricorso introduttivo; dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti. Spese compensate tra tutte le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2019 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele, Presidente Achille Sinatra, Consigliere, Estensore Claudio Vallorani, Primo Referendario L'ESTENSOREIL PRESIDENTEAchille SinatraGiuseppe Daniele

IL SEGRETARIO


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