Corte Appello 2020 -opposizione ex art. 204-bis C.d.S. davanti al Giudice di Pace di Gavoi avverso i

Corte Appello 2020 -opposizione ex art. 204-bis C.d.S. davanti al Giudice di Pace di Gavoi avverso i verbali di accertamento redatti dalla Polizia Stradale Contenzioso e processo tributario Corte d'Appello Cagliari Sez. I, Sent., 30-06-2020

PROVA IN GENERE IN MATERIA CIVILE Onere della prova SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONE Accertamento, opposizione e contestazione Fatto - Diritto P.Q.M. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI I SEZIONE CIVILE Composta dai magistrati: Dott.ssa Maria Mura - Presidente relatrice Dott.ssa Donatella Aru - Consigliere Dott.ssa Emanuela Cugusi - Consigliere Ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. 764 del Ruolo Generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2018, promossa da: MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, presso i cui uffici, nella via Dante n. 23 è legalmente domiciliato -APPELLANTEcontro

x rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce alla comparsa di costituzione -APPELLANTIPUBBLICO MINISTERO, All'udienza del 24 gennaio 2020 la causa è stata tenuta a decisione sulle seguenti Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con comparsa in riassunzione davanti al Tribunale di Cagliari, notificata in data 5 maggio 2011, F.S. espose di aver proposto opposizione ex art. 204-bis C.d.S. davanti al Giudice di Pace di Gavoi avverso i verbali di accertamento n. (...) e n. (...) redatti dalla Polizia Stradale di Nuoro in data 1.11.2011, con i quali gli erano state contestate le violazioni, rispettivamente, degli artt. 192, sesto comma e 141, settimo comma C.d.S. e di avere in quella sede proposto querela di falso in relazione al primo verbale citato.

All'esito della proposizione della querela di falso, il Giudice di Pace sospese il giudizio, rimettendone la trattazione al Tribunale di Nuoro il quale, a sua volta, accogliendo l'eccezione sollevata dal Ministero, dichiarò la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Cagliari.

Il querelante chiese che venisse dichiarata la falsità del verbale nella parte in cui accertava che "il conducente del veicolo indicato non si fermava all'invito dell'agente addetto a servizio di polizia Stradale in uniforme e munito di apposito segnale distintivo".

A sostegno della querela dedusse che, la notte del 1 novembre 2008, alla guida della sua auto (una Peugeot 306 di colore grigio), aveva fatto ritorno nella propria abitazione in G., nella via D., dopo aver percorso un breve tratto della via R. ed essere transitato nella P.M.; dopo aver parcheggiato l'auto, spento il motore e i fari, mentre si accingeva a scendere dal veicolo, era stato raggiunto da una vettura di colore scuro dalla quale scendevano due individui che, pur non essendo in divisa, si presentavano come Agenti di Polizia e gli contestavano di non essersi fermato ad un posto di blocco sito nella P.M. e di averli quasi investiti; il S. aveva contestato gli addebiti e riferito agli Agenti di non essersi accorto della loro presenza; di seguito, si era recato insieme agli agenti nella P.M. dove aveva notato che il posto di blocco si trovava al lato opposto della piazza rispetto a quello che aveva percorso per recarsi a casa; aveva inoltre riferito di essersi rifiutato di sottoporsi all'alcoltest, in ragione del comportamento ostile manifestato dagli agenti nei suoi confronti; al S. era poi stata contestata la violazione dell'art. 651 c.p. per essersi rifiutato di fornire le proprie generalità, addebito del pari non veritiero.

A sostegno delle sue prospettazioni, il querelante, produsse un CD delle immagini video che riproducevano gli accadimenti descritti dalla Polizia Stradale, riprese dal sistema di videosorveglianza disposto dal Comune di Gavoi, esistente nella P.M..

Si costituì il Ministero dell'Interno per contestare la fondatezza della domanda e confermare la veridicità delle attestazioni dei Pubblici Ufficiali; all'uopo, dedusse che il giorno 1 novembre 2008, alle ore 5.00 circa, la pattuglia della Polizia di Stato composta dagli Agenti Di Donato Antonio e C.G., mentre effettuava, unitamente ad una pattuglia del Commissariato di zona, un posto di controllo nella piazza M. del C. abitato di G., aveva notato un veicolo proveniente da Via R. a velocità non adeguata al tratto di strada; l'agente C. aveva allora intimato l'alt con apposito segnale distintivo ma il veicolo, omettendo di fermarsi, aveva proseguito la marcia immettendosi in via D.; gli operatori del

Commissariato avevano quindi seguito il veicolo che si era frattanto fermato in corrispondenza del civico n. 46 della via D., abitazione del S., ove quest'ultimo veniva identificato.

Il Ministero produsse annotazione di servizio del 1.1.2008 e nota a firma del comandante del Distaccamento, relative ai fatti di causa e chiese l'ammissione della prova per testi sulle circostanze esposte.

La causa venne istruita mediante prove documentali, riproduzioni video e prove testimoniali; poi rimessa al Collegio per la decisione.

Con sentenza n. 2171/2018 il Tribunale di Cagliari accertò e dichiarò la falsità del verbale di accertamento n. (...) nella parte in cui attestava che il conducente non si era fermato all'alt dell'addetto al servizio di polizia stradale in uniforme, munito di apposito segnale distintivo.

Invero, descrivendo in motivazione le immagini del video fornito dal Comune di Gavoi, rilevò che queste riprendevano la rotonda di P.M. ed evidenziavano come l'auto, proveniente dalla Via R., avesse imboccato la rotonda alla prima uscita verso la Via D., senza incontrare alcun posto di blocco stradale della polizia e senza che gli venisse intimato di fermarsi.

A questo fine, premesso che dalle immagini non poteva evincersi il numero di targa, ma che la circostanza per cui l'auto di cui ai video fosse quella del S. poteva ritenersi pacifica perché mai contestata dal Ministero, rilevò che dal filmato emergeva che il blocco stradale si trovava nella parte opposta della rotonda rispetto al tratto stradale percorso dal S., il quale aveva imboccato la rotonda e preso la prima uscita senza avere alcun contatto con la Polizia stradale; che dalle immagini emergeva con chiarezza che nessuno degli agenti gli aveva intimato di fermarsi: entrambi, infatti, tenevano la paletta rivolta verso il basso e attraversavano la piazza (dalla parte opposta a quella in cui transitava l'auto del S.), aumentando l'andatura solo dopo aver visto transitare l'auto; uno dei due si sarebbe allora diretto verso l'auto di servizio (raggiunto da un'altra persona fino a quel momento non inquadrata).

Pertanto, il giudice di prime cure ritenne false le dichiarazioni degli agenti verbalizzanti sia perché non era mai stato intimato al S. di fermarsi, sia perché il blocco non si trovava nel tratto di strada nel quale questi era transitato, con la conseguenza che non poteva essergli ascritto di non essersi fermato all'alt. Ordinò, pertanto, la cancellazione del relativo verbale, con annotazione nello stesso del dispositivo della sentenza dichiarativa della falsità e privativa di qualsiasi effetto giuridico.

Il Tribunale, inoltre, diede atto della testimonianza rese dai testi D., P. (confermative della mendacità del verbale impugnato) e quella dall'agente C.; in particolare, con riferimento a quest'ultimo, ritenne la falsità delle dichiarazioni rese, chiaramente smentite dai video.

Ribadì, poi, la decisione assunta in sede istruttoria di non escutere il teste D.D., la cui audizione era stata ritenuta "sovrabbondante" e non ammessa anche alla luce della mancata presentazione del teste in occasione dell'udienza del 25.2.2015 e del 7.5.2015.

Per altro verso, rilevò che il Ministero aveva resistito in giudizio in violazione dei doveri di diligenza, prudenza e perizia, avuto riguardo alle immagini video, che chiarivano fin dal principio la non sussistenza delle violazioni contestate; condannò quindi il Ministero, ai

sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., a rifondere 7.000,00 Euro a titolo di responsabilità aggravata, oltre che le spese processuali.

Avverso la sentenza del tribunale di Cagliari ha proposto appello il Ministero, lamentando, con il primo motivo, l'erronea valutazione delle risultanze istruttorie, la violazione dell'art.

2697 c.c. nonché l'illogicità della motivazione.

Infatti, deduce che la decisione è incentrata sull'affermazione della incontrovertibile valenza probatoria del video prodotto ma in realtà, dalle immagini, non può escludersi con certezza che l'alt sia stato intimato; invero, ai fotogrammi 5 e 6 dell'undicesimo secondo del video, si noterebbe che l'Agente di polizia in uniforme, sulla sinistra nell'immagine, raggiunto il centro della piazza, "brandisce con la mano sinistra, verso l'alto, un oggetto" e successivamente, al fotogramma 2 del quindicesimo secondo, lo abbassa. L'oggetto, a dire dell'Amministrazione, produce un riflesso bianco e tondo che ben potrebbe essere il catarifrangente della paletta in dotazione.

Ancora, deduce che ai fotogrammi dei secondi 25, 26, 27 e 28 si nota il distintivo di segnalazione manuale trattenuto con la mano sinistra dallo stesso agente operante; sarebbe, quindi, verosimile che l'immagine video abbia ripreso l'agente sulla sinistra all'atto di intimare l'alt con la paletta in dotazione negli istanti che immediatamente precedevano la comparsa sulla rotatoria dell'auto del S..

Peraltro, soggiunge che il video non riprende integralmente il "teatro delle operazioni" e, in particolare, non inquadrerebbe per intero l'auto di servizio né la posizione di tutti gli operatori: è quindi plausibile che l'autore che ha intimato l'alt fosse al di fuori del campo riprodotto dal video; a riprova, lo stesso C., sentito come teste, confermò di aver intimato l'alt ma dichiarò di non riconoscersi nelle immagini-video.

D'altro canto, il giudice avrebbe ritenuto che la dichiarazione del C. sulla propria posizione a breve distanza dall'auto di servizio confermasse la mendacità delle accuse mosse al S. in quanto l'agente, da quella posizione, non avrebbe potuto intimare l'alt al conducente che transitava dal lato opposto della Piazza; a tal proposito l'appellante, precisando che il teste aveva riferito solo di trovarsi davanti all'auto di servizio, senza fornire alcuna indicazione sulla distanza, deduce che il C., dalla posizione di prossimità al veicolo di servizio, dopo aver notato il veicolo del S. sopraggiungere ad alta velocità, si sarebbe rapidamente spostato in direzione dell'auto di quest'ultimo, intimando l'alt mentre si avvicinava all'auto da una posizione non riprodotta dalle immagini video, verso la Via R., compatibile con quella indicata nello schizzo allegato al verbale della prova testimoniale. Per altro, essendo trascorsi sette anni dall'accaduto, non potrebbe neppure pretendersi un preciso ricordo sui dettagli dell'operazione.

Ancora, deduce che l'alt sarebbe stato intimato non solo dal C. ma anche dall'Ispettore Giraudo che faceva parte della pattuglia del Commissariato di Gavoi; il giudice ha ritenuto tale testimonianza superflua, in quanto la circostanza attestata dal teste non era riprodotta nelle immagini video.

Infine, soggiunge che la circostanza, valorizzata dal primo giudice, per cui l'autoveicolo di servizio si trovava dalla parte opposta della Piazza non è, a dire del Ministero, rilevante; sia per le limitate dimensioni della piazza e quindi per la limitata distanza fra l'auto del S. e la pattuglia, sia perché l'alt è stato intimato da una posizione non coincidente con quella dell'auto di servizio. Sotto altro aspetto, l'oggetto della querela di falso è limitato alle

circostanze obiettive riportate nel verbale e non rileva, a tal fine, la posizione del posto di blocco.

Con il secondo motivo di appello, l'appellante lamenta l'ingiustizia e l'illogicità della statuizione ex art. 96, terzo comma, c.p.c.; invero, la decisione sarebbe contraddittoria nella parte in cui lo condanna per la violazione dei doveri di diligenza, prudenza e perizia avuto riguardo alle immagini-video che, fin dal principio, rendevano evidente la circostanza della mancata intimazione dell'alt, laddove il giudice, in sede istruttoria, avendo ritenuto di dare ingresso alle prove testimoniali, avrebbe invece implicitamente negato la incontrovertibile valenza probatoria del video, tanto da rendere necessaria una più approfondita istruttoria; d'altro canto, l'espletamento delle prove testimoniali, ha causato un prolungamento dei tempi processuali che è stato posto (ingiustamente) a carico del Ministero, avendo commisurato la responsabilità ex art. 96, terzo comma, c.p.c. ai criteri previsti per la stima del danno da violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

Tanto precisato, l'appellante sostiene che le risultanze dell'istruttoria non consentano di ritenere raggiunta la prova del falso, con conseguente riforma della decisione di primo grado.

Con il terzo motivo, si duole della decisione relativa alla mancata escussione del teste D.D., la quale non può essere motivata facendo riferimento alla sua mancata comparizione in udienza, ben potendo il giudice ordinarne l'accompagnamento coattivo.

Si costituisce l'appellato per contestare il fondamento fattuale e giuridico dell'impugnazione.

In primo luogo, sostiene la correttezza e la completezza argomentativa della decisione di primo grado, laddove ha evidenziato come dalle immagini video emerga in modo inoppugnabile come il blocco stradale si trovasse esattamente dalla parte opposta della rotonda e quindi in una posizione non visibile al S. così come l'inconfutabile circostanza per cui nessuno degli agenti avesse intimato l'alt.

Peraltro, tali (già evidenti) risultanze, sono state confermate anche in sede testimoniale in cui è stata confermata la reale dinamica dei fatti e la falsità del contenuto del verbale impugnato: il teste D., della cui credibilità non vi è ragione di dubitare in quanto non interessato ai fatti di causa, aveva riferito "escludo che sia stato intimato l'alt al S.. Non ho visto una scena del genere"; il teste P., dal canto suo, aveva dichiarato "escludo che abbiano fatto il blocco perché erano dall'altra parte della piazza, dove c'è la fontanella".

Ancora, lo stesso C. aveva rilasciato delle dichiarazioni ritenute inattendibili, affermando "si è vero, non solo io, l'alt è stato intimato anche dall'ispettore Capo Giraudo dell'altra pattuglia" "l'alt venne intimato con l'utilizzo della c.d. Paletta, ovvero il DSM (dispositivo manuale di segnalazione)". Inoltre, a dire dell'appellato, il C., nella riproduzione grafica dei luoghi, aveva indicato in modo del tutto errato la posizione di entrambe le auto della polizia rispetto alla rotonda, ponendole sostanzialmente l'una di fronte all'altra, col che il S. sarebbe passato tra i due posti di controllo situati in via R., prima della rotonda, e non si sarebbe fermato al duplice segnale di alt intimato; tale ricostruzione è stata palesemente smentita dalle immagini video da cui emerge, tra l'altro, l'ulteriore falsa circostanza per cui il S. guidava ad alta velocità.

Quanto alla condanna ex art. 96, terzo comma, c.p.c., l'appellato deduce la correttezza della decisione, laddove ha sancito la responsabilità del Ministero per aver resistito temerariamente in giudizio; infatti, sottolinea che la decisione del giudice di procedere all'escussione della prova testimoniale era semplicemente volta a verificare la corrispondenza delle immagini versate in atti alle circostanze spaziotemporali esposte dall'attore, in un'ottica prudenziale.

In ultimo, si oppone alle istanze istruttorie formulate dal Ministero, essendo le stesse inammissibili perché non reiterate in sede di precisazione delle conclusioni e quindi, rinunciate.

Il primo motivo di appello è infondato.

Preliminarmente è opportuno ricordare che il procedimento per querela di falso, per costante indirizzo giurisprudenziale, è finalizzato a privare "un atto pubblico (od una scrittura privata riconosciuta) della sua intrinseca idoneità a 'far fede', a servire, cioè, come prova di atti o di rapporti, mirando così, attraverso la relativa declaratoria, a conseguire il risultato di provocare la completa rimozione del valore del documento, eliminandone, oltre all'efficacia sua propria, qualsiasi ulteriore effetto attribuitogli, sotto altro aspetto, dalla legge, e del tutto a prescindere dalla concreta individuazione dell'autore della falsificazione" (cfr., ex multis, Cass. n. 8362/2000; Cass. n. 18323/2007).

Nel caso di specie, il verbale di accertamento che, come noto, si sostanzia in un atto pubblico, è volto a contestare l'infrazione dell'omesso arresto in corrispondenza del segnale intimato dagli agenti (ex. art. 192 C.d.S.) del veicolo del S.; la ricostruzione ivi contenuta è stata sconfessata dalla sentenza impugnata, la quale, alla stregua delle immagini contenute nel compact disc, riproducenti l'accaduto, ha condiviso la tesi difensiva dell'attore ed accertato la falsità delle attestazioni verbalizzate dagli agenti.

Il Ministero, a fondamento della propria impugnazione, ha dedotto che i fotogrammi 5 e 6 dell'undicesimo secondo del video designerebbero l'agente di polizia in uniforme, sulla sinistra nell'immagine, che "brandisce con la mano sinistra, verso l'alto, un oggetto" che, come riprodotto al fotogramma 2 del quindicesimo secondo, viene poi abbassato; tale oggetto, a dire dell'Amministrazione, produce un riflesso bianco e tondo che ben potrebbe essere il catarifrangente della paletta in dotazione; in ogni caso, ha soggiunto che il video non riprenderebbe integralmente il "teatro delle operazioni" e, in particolare, non inquadrerebbe per intero l'auto di servizio né la posizione di tutti gli operatori. Ancora, che il C., dalla posizione di prossimità al veicolo di servizio, dopo aver notato il veicolo del S. sopraggiungere ad alta velocità, si sarebbe rapidamente spostato in direzione dell'auto di quest'ultimo, intimando l'alt mentre si avvicinava all'auto da una posizione non riprodotta dalle immagini video Tuttavia, ritiene il Collegio che la ricostruzione della situazione di luoghi e delle azioni poste in essere dai presenti, sia nel senso delineato nella sentenza del tribunale: invero, la visione del supporto informatico consente di ricostruire la vicenda nei seguenti termini: il veicolo del S., proveniente dalla via R., imboccava la prima uscita della rotonda verso la via D., senza incontrare alcun blocco stradale; gli agenti, tanto quelli in divisa, quanto quelli in borghese, si trovano dalla parte opposta della rotatoria (rispetto al tratto di strada in cui transitava l'auto dell'attuale appellato e, quindi, in una posizione a lui non visibile) e nessuno di questi aveva intimato l'alt con l'ausilio dell'apposito dispositivo; gli agenti, infatti, nell'attraversare la piazza, tenevano la paletta sempre rivolta verso il basso ( tale immagine è molto chiara nel video).

Il riflesso bianco, sul quale si sofferma la difesa dell'appellante per sostenere che potrebbe rappresentare il catarifrangente del dispositivo di segnalazione manuale, in primo luogo, è riferibile all'azione posta in essere da un'altra persona, che proveniva dal lato opposto rispetto a quella di due agenti (per intendersi, sulla sinistra della rotatoria) ma, soprattutto, compare in un momento in cui il veicolo stava imboccando la via D., essendo già transitato per la via R.. Pertanto, se pure per mera ipotesi, dovesse presumersi che il riflesso di luce sia riferibile al cartarifrangente della paletta sollevata dall'operatore, in ogni caso, tale azione sarebbe intervenuta non tempestivamente, ovvero non in tempo utile ad intimare l'alt al conducente del veicolo, che, effettuando la manovra di svolta verso destra, era già fuori dal campo di azione (eventuale) dell'operatore in questione.

Insomma, le immagini del video non attestano affatto quanto vorrebbe sostenere l'appellante: nessun segnale di alt risulta esser stato intimato in modo efficace al conducente dell'auto.

Deve evidenziarsi ulteriormente che l'inquadratura riproduce tutta la panoramica dell'accaduto: le due auto (e gli agenti), poste tra la sesta e la settima uscita provenendo dalla via R. e la prima uscita della rotonda imboccata dal veicolo del S.; non si comprende, quindi, ove si potesse trovare l'agente che ha intimato l'alt, considerato che, qualora si fosse trovato in una posizione diversa da quelle riprese dalla telecamera, sarebbe stato in ogni caso non visibile al conducente, a cui, quindi, non potrebbe contestarsi la violazione verbalizzata; né si comprende in quale punto possa essere transitato l'agente C., all'atto di raggiungere l'auto del S., in quanto, considerata la prospettiva, sarebbe sicuramente stato ripreso dalle immagini-video.

Altresì infondata è la dedotta irrilevanza della circostanza per cui l'autoveicolo di servizio si trovava dalla parte opposta della piazza, in ragione delle limitate dimensioni della stessa e quindi per la limitata distanza fra l'auto del S. e la pattuglia; infatti l'alt deve, in ogni caso, essere intimato in condizioni di sicurezza (buona visibilità, disponibilità di spazio al di fuori della carreggiata, congruo anticipo), perché solo l'osservanza di queste precauzioni tutela l'incolumità del conducente il cui sguardo, come di dovere, è rivolto nella direzione antistante.

In ultimo, dalle immagini non emerge che il veicolo transitasse a forte velocità.

Quanto, infine, alla escussione del teste D.D., richiesta anche in questo grado del giudizio, essa del tutto condivisibilmente è stata ritenuta superflua, alla stregua della rappresentazioni dei fatti riprodotta nel video.

Il secondo motivo di doglianza è, invece, fondato.

Come noto, "la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta - con finalità deflattive del contenzioso - alla repressione dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente" (Cass. civ. n. 27623/2017) e si traduce in una vera e propria pena pecuniaria.

Orbene, non pare che il Ministero abbia, con il suo comportamento, integrato l'abuso dello strumento processuale né che abbia, con lo stesso, determinato un allungamento dei tempi processuali.

A ben vedere, nel giudizio svolto in primo grado, nonostante la incontrovertibilità della prova video, posta poi a fondamento della decisione, si è ritenuto opportuno svolgere una più approfondita istruttoria, mediante l'escussione dei testimoni alcuni dei quali hanno confermato la rappresentazione dei fatti come riprodotta nel video. L'ammissione dei mezzi istruttori è stata ritenuta utile dal primo giudice per raggiungere un convincimento certo circa la falsità dell'atto che, evidentemente, non era apparsa ictu oculi dalla prova documentale; detto approfondimento ha necessariamente determinato un prolungamento dei tempi processuali, necessario per il giusto svolgimento della fase istruttoria; tempi che non possono essere posti a carico dell'attuale appellante per avere questi esercitato il suo diritto di difesa. Né la circostanza di aver in ogni caso insistito per il rigetto della domanda, anche dopo l'assunzione delle testimonianze e l'acquisizione delle immagini/video, integra, a parere del Collegio, una responsabilità aggravata, dato che un agente verbalizzante aveva confermato la veridicità di quanto attestato nel verbale.

L'appello deve, quindi, accogliersi per quanto di ragione.

Quanto all'assetto delle spese processuali, occorre in primo luogo sottolineare che la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., o la sua riforma in appello, come nel caso de quo, non incidono sulla determinazione della soccombenza né sulla compensazione delle spese, perché tale condanna ha una natura di carattere meramente accessorio; "invero, poiché le questioni su tale capo, da qualificarsi meramente accessorio, non incidono sulla determinazione della soccombenza nemmeno ai fini di temperarla o di qualificarla parziale o reciproca (in termini: Cass. ord. 12/04/2017, n. 9532), la complessiva motivazione della qui gravata sentenza in ordine alla conferma della statuizione delle spese di primo grado ed alla pronuncia di condanna alle spese in danno dell'appellante, benchè vittorioso almeno sul capo della condanna ex art. 96 c.p.c., deve essere letta ed interpretata in attenta combinazione delle proposizioni su cui essa si articola; in primo luogo, nessuno si è formalmente doluto della scissione della condanna per gradi in luogo di una condanna unitaria in base alla considerazione dell'esito complessivo della lite (Cass. 14/12/2000, n.

15787; Cass. 29/09/2011, n. 19880; Cass. ord. 13/03/2013, n. 6369), riliquidazione invero doverosa in caso di riforma, anche solo parziale, della sentenza di primo grado (Cass.

23/03/2001, n. 4229); ne consegue che tale articolazione motivazionale va letta quale valutazione di adeguatezza della complessiva condanna che risultava dalla combinazione del sia pure improprio mantenimento di quella di primo grado e dell'altrettanto impropria separata liquidazione di quelle di secondo; presupposto di tale complessiva condanna come risultante dalla combinazione delle dette due proposizioni è appunto la complessiva - o sostanziale - soccombenza dello stesso appellante (ed odierno ricorrente): e questo è un presupposto chiaramente esplicitato nella gravata sentenza - stando al tenore letterale delle espressioni adoperate, che insistono sulla sostanziale soccombenza in primo e in secondo grado - e soprattutto agevolmente ed immediatamente riscontrabile come effettivamente sussistente, per l'evidenza del rigetto dell'appello avverso la reiezione della domanda principale e per il visto carattere accessorio della questione relativa al capo di condanna ex art. 96 c.p.c.; in definitiva, così interpretata la sentenza di appello, essa si sottrae alle critiche mossele con il primo motivo, in quanto le spese di lite non sono state poste a carico di chi non potesse qualificarsi complessivamente o sostanzialmente soccombente in relazione all'esito appunto complessivo della controversia, in applicazione del seguente principio di diritto: "in tema di liquidazione delle spese di lite in esito ad appello con esito vittorioso non sul merito della pretesa, di cui è stato confermato il rigetto,

ma solo sull'accessorio capo di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c., è legittima la liquidazione delle spese di lite, quand'anche impropriamente separata per i due gradi di giudizio, se intesa come riferita alla soccombenza complessiva o sostanziale dell'appellante, attesa la preponderanza di quella sulla pretesa principale" (Cass. n. 5466 del 28/02/2020) Le spese seguono, quindi, la soccombenza dell'appellante. Esse sono liquidate secondo quanto stabilito dal D.M. n. 44 del 2014 e successive modifiche, in relazione allo scaglione valore indeterminabile, (26000/52.000) applicando i parametri al minimo, stante la non difficoltà delle questioni trattate ed escludendo la fase istruttoria, non espletata.

P.Q.M. La Corte d'Appello definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione: 1) rigetta l'appello proposto dal Ministero dell'Interno avverso la sentenza n. 2171/2018, pronunciata il 25.7.2018 dal Tribunale di Cagliari; 2) condanna l'appellante al rimborso, in favore dell'appellato, delle spese di questo grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 6615,00 oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Cagliari, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile della Corte d'Appello il 29 giugno 2020.

Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2020.

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