Consiglio di Stato 2022-"spossessamento" di armi Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 24/05/2022) 26-07-

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Consiglio di Stato 2022-"spossessamento" di armi Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 24/05/2022) 26-07-2022, n. 6589 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5271 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno; Visti tutti gli atti della causa;


Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2022 il Cons. Carla Ciuffetti, viste le istanze di passaggio in decisione presentate dalle parti; Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. La sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso dell'odierno appellante - assistente capo della Polizia di Stato in servizio presso il Settore Amministrativo Sociale e Stranieri con mansioni di addetto inserimento dati MO.AR. (movimentazione armi) presso il Commissariato di -OMISSIS- all'epoca dei fatti diretto all'annullamento del decreto del Ministero dell'interno in data 26 marzo 2007, prot. n. (...), e della connessa deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina -OMISSIS- in data 8 febbraio 2007, concernenti l'irrogazione sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per quattro mesi in ragione della contestata appropriazione da parte del ricorrente, "in più occasioni, di armi comuni da sparo versate dai privati ai fini della distruzione ai sensi dell'art. 6, comma 3, della L. 22 maggio 1975, n. 152". 2. L'appellante deduce l'erroneità della sentenza gravata in base ai motivi di seguito in sintesi riportati. 2.1. Egli avrebbe prestato mera e occasionale collaborazione, eseguendo ordini dei superiori, in aiuto dei colleghi addetti alle procedure di verifica dei requisiti del possesso di armi, a seguito di un elevato numero di richieste di "spossessamento" di armi; a tal fine i superiori lo avrebbero informato di "una doppia possibilità e cioè avviare le armi al reparto Artiglieria per la rottamazione ovvero trasferire, previa verifica della sussistenza dei presupposti di legge, le armi a coloro che eventualmente avessero avanzato


richiesta" e le pratiche poste in essere sarebbero state vistate dal dirigente del Commissariato; cosicché l'appellante non avrebbe avuto modo di dubitare della legittimità del proprio operato nell'ambito del quale solo in un caso aveva dato ad un privato un'arma consegnata dal legittimo detentore per la rottamazione, dopo essersi assicurato della liceità di tale operazione - fino alla verifica ispettiva posta in essere dalla Questura di -OMISSIS-. Le irregolarità nelle pratiche di dismissione delle armi emerse da tale verifica riguarderebbero attività effettuate "alla luce del sole e cioè nella convinzione della legittimità della procedura sulla quale né il dirigente del Commissariato né gli ispettori responsabili del procedimento, avevano mai sollevato dubbi"; il procedimento penale a carico dell'appellante si era concluso con sentenza del giudice per le indagini preliminari di non luogo a procedere perché il fatto non costituiva reato e i procedimenti disciplinari avviati dall'Amministrazione nei confronti della dirigente, del sostituto commissario, di due ispettori, di un sovrintendente capo si erano conclusi con sanzioni più lievi di quella inflitta all'interessato. 2.2. La conformità dell'operato dell'appellante alle direttive impartite dai superiori e l'assenza della consapevolezza di porre in essere comportamenti lesivi del senso dell'onore e della morale sarebbe dimostrata dalla relazione in data 19 dicembre 2004 della dirigente del Commissariato di appartenenza, nella quale egli veniva definito come "elemento serio ed affidabile dalla provata correttezza e moralità. Seguendo le indicazioni del responsabile, anche egli,


ancor più di quest'ultimo, in assoluta e totale buona fede è stato indotto in errore incappando nella devoluzione di un'arma destinata alla rottamazione"; della legittimità di tale operato l'appellante avrebbe avuto certezza per il fatto che "la stessa dirigente vistava le pratiche" che egli poneva in essere non avendone quindi alcuna responsabilità. 2.3. Non vi sarebbe stata "certezza sulla disciplina da applicare"; sicché, "in assenza di specifica norma di legge che imponga la rottamazione delle armi (nel cui caso ci troveremmo di fronte ad una tipica attività vincolata della p.a.), la prassi seguita presso il Commissariato di -OMISSIS- appariva verosimilmente legittima"; l'unica disposizione che prevedeva che le armi consegnate dagli utenti fossero portate, senza alternativa, al reparto di Artiglieria per la rottamazione, era contenuta nella nota informativa diramata dalla Questura di -OMISSIS- in data 3 febbraio 2000, cosicché, "trattandosi di atto interno e non già di disposizione di legge, l'obbligo di osservanza consegue solo in presenza di una adeguata attività volta a portarne a conoscenza del personale il contenuto; viceversa dell'inosservanza non può essere incolpato l'ignaro dipendente. Nella odierna situazione infatti, è provato come della conoscenza di tale nota informativa presso il Commissariato di -OMISSIS- non vi fosse alcuna traccia"; quest'ultima circostanza sarebbe dimostrata dalle dichiarazioni rese al Giudice delle indagini preliminari dalla dirigente del Commissariato; 2.4. In tale contesto di mancanza di conoscenza della disciplina applicabile, la sanzione inflitta


all'appellante sostanzierebbe la violazione del principio di proporzionalità e di graduazione delle responsabilità; 2.5. il Tar si sarebbe limitato ad esaminare solo il motivo del ricorso con cui si evidenziava che l'operato dell'interessato era stato posto in essere in base a ordini dei superiori gerarchici e avrebbe respinto una censura di difetto di motivazione non proposta dal ricorrente, rigettando così il ricorso di primo grado; inoltre, il Tar avrebbe omesso di pronunciarsi sulle censure di violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta e violazione del principio di proporzionalità in relazione alle sanzioni comminate ai colleghi, responsabili di violazioni ben più gravi. 2.6. Il provvedimento impugnato illegittimamente richiamava l'art. 6, co. 3, L. n. 152 del 1975, trattandosi di disposizione riguardante la fattispecie delle armi confiscate; d'altro canto, l'operato del ricorrente troverebbe una legittimazione nelle disposizioni dell'art. 36 D.P.R. n. 359 del 1991, dell'art. 24 D.P.R. n. 551 del 1992 e dell'art. 19 D.P.R. n. 210 del 1994, che consentirebbero, rispettivamente, alla Polizia di Stato, al Corpo Forestale dello Stato e all'Amministrazione penitenziaria di disporre la rottamazione o l'alienazione delle armi obsolete, radiate o comunque dichiarate fuori uso; perciò, in mancanza di una specifica disposizione di legge, non avrebbe potuto ritenersi sussistente un divieto di cessione delle armi; sicché, "un corretto inquadramento logico-sistematico della fattispecie in esame conduce, dunque, ad affermare la possibilità,


rispetto alle armi diverse da quelle confiscate, di una scelta alternativa tra la rottamazione e l'alienazione". 3. L'Amministrazione, costituita in giudizio con atto di rito depositato in data 13 maggio 2022, ha chiesto il rigetto dell'appello. 4. La causa, chiamata all'udienza del 24 maggio 2022, è stata trattenuta in decisione. 6. Il Collegio osserva che l'impugnata deliberazione del Consiglio provinciale rilevava che l'appellante, "in qualità di addetto al Settore Armi del Commissariato di -OMISSIS-, in collaborazione con il responsabile del citato ufficio, venendo meno ai doveri connessi alla funzione, si è appropriato in più occasioni, di armi comuni da sparo versate dai privati ai fini della distruzione ai sensi dell'art. 6, comma 3, della L. 22 maggio 1975, n. 152, distraendole dalla loro destinazione ormai pubblica e cedendole di volta in volta nella disponibilità, ora di colleghi ora di soggetti privati (uno dei quali non autorizzato); tutto ciò senza avere ottenuto il preventivo consenso da parte degli ignari cedenti, venendo meno ai doveri di lealtà, probità e di rispetto delle regole propri degli appartenenti alla Polizia di Stato nell'esercizio delle funzioni, in aperto dispregio alle leggi che disciplinano la delicata materia delle armi." La stessa delibera tratteggiava un comportamento dell'appellante diretto a suscitare, nei colleghi e nei privati cessionari delle armi che avrebbero dovuto essere destinate alla rottamazione "l'errata convinzione che le pratiche seguissero una regolare istruttoria amministrativa". 6.1. Nel richiamare quanto esposto nella motivazione della deliberazione del Consiglio di disciplina, non può


ritenersi, come assume l'appellante con le censure riportate sub 2.5, che il Tar si sia pronunciato su una doglianza non formulata nel ricorso di primo grado. Tale richiamo infatti evidenzia, nell'economia della decisione del primo giudice, l'infondatezza della tesi del ricorrente di mancanza di responsabilità per aver agito nel rispetto degli ordini superiori, in quanto rileva il primo giudice - "il coinvolgimento del ricorrente era evidente in almeno due casi, in cui il verbale di consegna delle armi recava l'annotazione dello stesso". Infatti, la motivazione della deliberazione del Consiglio di disciplina sottolinea una condotta dell'interessato di appropriazione di armi consegnate per essere avviate alla distruzione - per la cessione ad altri soggetti, di cui uno non autorizzato, che sostanziava una violazione della disciplina di riferimento. Della mancanza di conoscenza della stessa disciplina, l'appellante non ha dato alcuna idonea dimostrazione come invece preteso secondo quanto riportato sub 2.3.; a tal fine non può attribuirsi rilievo alle dichiarazioni rese in proposito in sede penale dalla dirigente del Commissariato, che potrebbero, al più, rilevare per la valutazione della conoscenza della stessa disciplina da parte della dichiarante. Cosicché, deve ritenersi infondata la tesi dell'appellante circa la mancanza di un divieto di cessione delle armi consegnate alla Polizia di Stato per essere destinate alla distruzione, così come devono ritenersi infondate le censure riportate sub 2.6, che fanno leva sulle disposizioni dell'art. 24 D.P.R. n. 551 del 1992 e dell'art. 19 D.P.R. n. 210 del 1994, in quanto non concernenti la Polizia di Stato. Ad analoga


conclusione deve giungersi in merito al richiamo da parte dell'appellante delle disposizioni dell'art. 36 D.P.R. n. 359 del 1991, in quanto esse si riferiscono all'armamento in dotazione all'Amministrazione della pubblica sicurezza e al personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia, non alle armi consegnate da privati per essere destinate alla distruzione. 6.2. Le circostanze di fatto evidenziate dalla deliberazione del Consiglio di disciplina e dal Tar circa gli atti posti in essere dall'appellante depongono per l'infondatezza della censura di difetto di proporzionalità della sanzione irrogata e per l'insussistenza di elementi sintomatici dell'eccesso di potere che, denotando l'irragionevolezza degli atti censurati, potrebbero legittimare un sindacato del giudice amministrativo, altrimenti precluso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2020 n. 4145; sez. IV, 7 giugno 2017 n. 2752; sez. VI, 20 aprile 2017 n. 1858). In merito alla doglianza di omessa pronuncia da parte del Tar sulle censure di disparità di trattamento sotto il profilo sanzionatorio, va ricordato l'orientamento di questo Consiglio secondo il quale "l'omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed


incompatibile (Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2009)" (Cons. Stato, Sez. II, n. 8672/2021; id., Sez. VI, n. 8209/2021; id. Sez. II, n. 8111/2021; id., Sez. IV, n. 5711/2017; id., n. 4796/2017). Una tale "affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile" è riscontrabile nella sentenza gravata laddove si sottolinea che "l'autorità procedente risulta quindi aver dato ampiamente conto della gravità delle condotte commesse e del loro disvalore disciplinare, senza che in tale valutazione siano ravvisabili vizi di sorta" e che "la scelta della sanzione da irrogare risulta rispettosa del principio di proporzionalità". In ogni caso, dette censure concernenti l'asserita disparità di trattamento rispetto ad altri soggetti coinvolti nella vicenda sotto il profilo delle sanzioni disciplinari - devono essere considerate infondate. Esse infatti chiamano in causa l'esercizio della discrezionalità dell'autorità disciplinare nella valutazione della graduazione delle sanzioni, che è sindacabile ab externo in sede di legittimità solo ove presenti profili di abnormità. Tali profili non sono rilevabili nella fattispecie, non riscontrandosi in atti elementi idonei: né a supportare adeguatamente la tesi dell'interessato di aver agito in base a ordini o direttive impartiti dai superiori; né a chiarire le posizioni di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda; queste ultime, quindi, non risultano equiparabili, non essendo dimostrato il livello del coinvolgimento di ciascun soggetto chiamato in causa dall'appellante, al fine di poterne trarre la conclusione di una disparità di trattamento in suo danno sotto il profilo delle sanzioni disciplinari irrogate.


6.3. Infine, si deve considerare infondata la censura dell'appellante di erroneità del riferimento da parte dell'autorità disciplinare all'art. 6, co. 3, L. n. 152 del 1975, in quanto deve ritenersi che tale articolo sia richiamato dall'Autorità disciplinare sotto il profilo dell'obbligo di destinazione delle armi alla distruzione. 7. Per quanto sopra esposto, l'appello deve essere respinto e la sentenza gravata deve essere confermata, in parte con diversa motivazione, circostanza che, ad avviso del Collegio, costituisce giustificato motivo per disporre la compensazione delle spese del grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Luttazi, Presidente FF Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore


Carmelina Addesso, Consigliere Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere Stefano Filippini, Consigliere


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