Consiglio di Stato 2022- "Rideterminazione del canone degli alloggi di servizio militari occupati da

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Consiglio di Stato 2022- "Rideterminazione del canone degli alloggi di servizio militari occupati da utenti senza titolo" Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 07/12/2021) 07-03-2022, n. 1640 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5163 del 2015, proposto dal 1 Mar. Lgt.S.P., rappresentato e difeso dagli avv.ti x contro Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, ex lege rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per l'annullamento e/o la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, Sezione Prima Bis, n. 11528/14 del 18 novembre 2014, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, R.G. n. 9487/2013 proposto per l'annullamento del provvedimento del Comando Militare della Capitale, di estremi sconosciuti, recante rideterminazione del canone dell'alloggio di servizio xxxx per il periodo 19 novembre 2011 - 31 maggio 2013, nonché del verbale dell'Ispettorato delle Infrastrutture del 5 luglio 2013, avente ad oggetto la determinazione dei valori per la definizione del canone definitivo, e del decreto del Ministero della difesa del 16 marzo 2011, pubblicato nella G.U. n. 122 del 27 maggio 2011. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Vista la memoria della difesa erariale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 dicembre 2021 il Cons. Pietro De Berardinis e dato atto che nessuno è comparso per le parti; Svolgimento del processo


Con l'appello in epigrafe il sig. S.P. ha impugnato la sentenza del T.A.R. Lazio - Roma, Sez. I-bis, n. 11528/14 del 18 novembre 2014, chiedendone la riforma. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dal predetto sig. P. per ottenere l'annullamento: a) del provvedimento del Comando Militare della Capitale di rideterminazione del canone di occupazione dell'alloggio xxxx per il periodo 19 novembre 2011 - 31 maggio 2013; b) del verbale di determinazione dei valori per la definizione del canone definitivo, redatto dall'Ispettorato delle Infrastrutture; c) del presupposto decreto del Ministero della Difesa del 16 maggio 2011, rubricato "Rideterminazione del canone degli alloggi di servizio militari occupati da utenti senza titolo", pubblicato nella G.U. n. 122 del 27 maggio 2011. In punto di fatto, l'appellante, Primo Maresciallo Lgt. dell'Esercito, espone di aver risieduto sino al febbraio 2015 in un alloggio di servizio del Ministero della Difesa sito in R., alla via E., originariamente assegnatogli con regolare provvedimento di concessione. Dopo la perdita del titolo - che sostiene avvenuta nel 2013 - egli ha mantenuto la conduzione dell'alloggio, corrispondendo inizialmente come canone di occupazione il cd. equo canone maggiorato (per un importo mensile di € 243,84). In data 6 giugno 2013 l'esponente riceveva la nota del Raggruppamento Logistico Centrale - Ufficio Amministrazione - Sez. Gestione Finanziaria prot. n. (...) del precedente 20 maggio, con cui gli veniva comunicata l'intenzione della P.A. di applicargli il nuovo canone mensile per l'occupazione dell'alloggio, come rideterminato ai sensi del citato decreto del Ministero della Difesa del 16 marzo 2011 (per un importo pari ad € 849,35), con contestuale richiesta di pagamento degli arretrati relativi alla differenza tra il canone versato e quello rideterminato per il periodo dal 19 novembre 2011 al 31 maggio 2013, quantificati in € 11.455,10. L'interessato veniva così a conoscenza dell'intervenuta rideterminazione del canone di occupazione dell'alloggio da lui goduto. In data 27 luglio 2013 egli riceveva, poi, la nota del Comando Militare della Capitale - SM Ufficio Affari Generali prot. n. (...) del precedente 5 luglio, con la quale gli veniva comunicata un'ulteriore rideterminazione del suddetto canone, portato ad € 1.100,75. Avverso entrambi tali atti il militare ha proposto ricorso al T.A.R. Lazio - Roma, successivamente integrato da motivi aggiunti, con i quali il ricorrente ha impugnato gli atti presupposti ed ha articolato ulteriormente le doglianze relative al provvedimento di determinazione del canone. Con la sentenza appellata, tuttavia, l'adito Tribunale ha respinto sia il ricorso originario, sia i motivi aggiunti, attesa la loro complessiva infondatezza. Nell'appello il militare lamenta l'erroneità della sentenza di primo grado, deducendo a supporto del gravame i seguenti motivi: I) violazione degli artt. 286, comma 4, e 306, comma 2, del D.Lgs. n. 66 del 2010, violazione dell'art. 2 del D.M. del 14 marzo 2012, recante il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo della Difesa per gli anni 2010 e 2011, violazione dell'art. 2, comma 5, del D.M. 16 marzo 2011, violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi generali, difetto di istruttoria e di motivazione, eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifeste, violazione dei principi generali in materia di buon andamento dell'azione amministrativa, in quanto il T.A.R. avrebbe errato a non accogliere il primo motivo di ricorso, con il quale si


era dedotto che il ricorrente rientrasse tra le categorie protette di cui all'art. 2 del decreto del 23 giugno 2010, emanato ai sensi dell'art. 306, comma 2, del D.Lgs. n. 66 del 2010; II) violazione dell'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con L. n. 122 del 2010, contenuto oggi nel comma 3-bis dell'art. 286 del D.Lgs. n. 66 del 2010, violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi generali, difetto di motivazione, eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifeste, esercizio del potere per fini diversi e violazione dei principi generali in materia di buon andamento dell'azione amministrativa, in quanto la sentenza appellata avrebbe del pari errato nel respingere il terzo motivo del ricorso, attraverso cui si era censurata la scelta del D.M. 16 marzo 2011 di calcolare la superficie degli alloggi al lordo di mura interne, perimetrali e in comunione; III) violazione dell'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con L. n. 122 del 2010, violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi generali, eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifeste, esercizio del potere per fini diversi, contraddittorietà tra più atti, disparità di trattamento, violazione dei principi generali in materia di buon andamento dell'azione amministrativa, perché sarebbe stato fondato e da accogliere il quarto motivo del ricorso, con cui si era contestata la legittimità del D.M. 16 marzo 2011 in quanto, nella valorizzazione dei coefficienti correttivi "k", non avrebbe consentito di individuare correttamente il valore di mercato dell'alloggio; IV) violazione dell'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con L. n. 122 del 2010, violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi generali, violazione e falsa applicazione del decreto del Ministero della Difesa del 16 marzo 2011, difetto dei presupposti legali, difetto di motivazione, nonché eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifeste, contraddittorietà e difetto di istruttoria, violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell'azione amministrativa, poiché sarebbe stato altresì fondato e da accogliere l'ottavo motivo del ricorso, a mezzo del quale si era contestata la scelta del Comando Generale della Capitale di utilizzare, per il calcolo del canone di occupazione, le quotazioni OMIrelative ad "abitazioni civili", corrispondenti alla categoria catastale A., nonostante l'alloggio non risultasse accatastato e, in ogni caso, non potesse considerarsi tale, ma, al più, abitazione di tipo economico; V) violazione dell'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con L. n. 122 del 2010, violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi generali, violazione e falsa applicazione del decreto del Ministero della Difesa del 16 marzo 2011, difetto dei presupposti legali, incompetenza, eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà e difetto di istruttoria, nonché contraddittorietà tra più atti, poiché il T.A.R. avrebbe erroneamente respinto la censura, dedotta con il secondo motivo di ricorso, di violazione dell'art. 7 della L. n. 241 del 1990 e dell'art. 3, comma 1, del D.M. 16 marzo 2011, per avere la P.A. omesso di notificare la comunicazione di avvio del procedimento in relazione sia al provvedimento provvisorio, sia a quello definitivo di rideterminazione del canone: VI) violazione dell'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con L. n. 122 del 2010, violazione e falsa applicazione del decreto del Ministero della Difesa del 16 marzo 2011, violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi generali, eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, esercizio del potere per fini diversi, contraddittorietà tra più atti, disparità di trattamento, violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell'azione amministrativa, giacché la sentenza di prime cure avrebbe errato, altresì, nel respingere la doglianza - formulata con il quinto motivo, poi integrato dai motivi aggiunti con cui si sono contestati i valori attribuiti dai tecnici ministeriali al coefficiente correttivo "k1" relativo allo stato conservativo e manutentivo dell'alloggio;


VII) violazione dell'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con L. n. 122 del 2010, violazione e falsa applicazione del decreto del Ministero della Difesa del 16 marzo 2011, violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi generali, difetto di istruttoria ed eccesso di potere, perché avrebbe dovuto essere accolta la censura - dedotta con il secondo motivo aggiunto - tramite la quale si era rilevato il vizio istruttorio in cui sarebbe incorsa la P.A. con il considerare, per il calcolo della superficie dell'alloggio, la presenza di una cantina che, in realtà, non esisterebbe. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, depositando successivamente una memoria con cui ha replicato ai motivi dell'appello e concluso per la sua reiezione. All'udienza pubblica del 7 dicembre 2021, preso atto che nessuno è comparso per le parti, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione. Motivi della decisione Viene in decisione l'appello presentato dal sig. S.P. contro la sentenza del T.A.R. Lazio Roma che ha respinto il ricorso da lui proposto avverso i provvedimenti con i quali il Ministero della Difesa ha rideterminato il canone a suo carico per l'occupazione dell'alloggio ubicato in R., alla via E., già concessogli quale alloggio di servizio per le mansioni svolte dall'appellante fino al 2003 (custode del Museo Storico della Fanteria). L'appello è infondato. È anzitutto infondato il primo motivo di gravame, a mezzo del quale l'appellante lamenta il mancato accoglimento della doglianza - dedotta con il primo motivo del ricorso innanzi al T.A.R. - avente ad oggetto la sua appartenenza alle categorie protette previste dall'art. 2 del decreto del 23 giugno 2010, emanato ai sensi dell'art. 306, comma 2, del D.Lgs. n. 66 del 2010: ciò, in ragione del reddito complessivo lordo del nucleo familiare del militare, inferiore alla soglia fissata dal D.M. 11 giugno 2012 ("Piano annuale di gestione del patrimonio abitativo della Difesa") e della mancanza di proprietà di altri immobili su tutto il territorio nazionale. Il ricorrente aveva, pertanto, lamentato che, trovandosi egli nelle condizioni di cui all'art. 306, comma 2, D.Lgs. n. 66 del 2010 cit., la P.A. avrebbe dovuto applicargli, ai sensi dell'art. 286, comma 4, del D.Lgs. n. 66 del 2010, un canone pari a quello risultante dalla normativa sul cd. equo canone senza maggiorazioni. Si osserva in contrario che il militare ha invocato l'applicazione di una disciplina, la quale, però, non è applicabile al tipo di alloggio dallo stesso occupato, essendo questo un alloggio di servizio gratuito per consegnatari e custodi (ASGC), mentre la protezione da lui invocata è relativa agli utenti di alloggi A. (alloggi di servizio di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari). Invero, la pretesa del sig. P. di essere esentato dalla normativa sull'adeguamento del canone di occupazione dell'alloggio si basa sull'esclusione sancita dall'art. 2, comma 5, del D.M. 16 marzo 2011 ("Rideterminazione del canone degli alloggi di servizio militari occupati da utenti senza titolo"), a tenor del quale "sono esclusi dalla procedura di rideterminazione del canone, di cui al comma 4, gli utenti senza titolo che, al 31 dicembre 2010, rientrano nelle categorie previste dall'art. 2 del decreto 23 giugno 2010, emanato ai sensi dell'art. 306, comma 2, del D.Lgs. n. 66 del 2010": senonché - ha condivisibilmente precisato il T.A.R. - nella fattispecie in esame ci si trova dinanzi non ad un alloggio di servizio (A.), ma ad un alloggio di servizio gratuito per consegnatari e custodi (ASGC), laddove invece l'art. 2 del D.M. 23 giugno 2010 (recante il "Piano di gestione del


patrimonio abitativo in dotazione al Ministero della difesa nel 2009") menziona gli "utenti di alloggi A. non aventi più titolo alla concessione" per i quali il reddito annuo lordo complessivo dei componenti il nucleo familiare conviventi non superi € 40.167,64 (somma aumentata di € 1259,59 per ogni familiare a carico oltre il terzo) e a condizione che né l'utente, né i familiari conviventi siano proprietari di altro alloggio abitabile sul territorio nazionale. Il ricorrente ha contestato la riconduzione dell'alloggio da lui occupato alla categoria (...), sia in quanto lo stesso, pur originariamente concesso come ASGC, sarebbe stato poi tramutato dalla stessa Amministrazione in A. (tanto che già dal 1994 veniva applicato un canone di concessione e, quindi, l'alloggio non era gratuito); sia perché, se l'alloggio fosse ASGC, non si comprenderebbe la ragione per cui egli ne avrebbe perso il titolo concessorio, né quella per cui egli ha presentato nel 2011 e poi nel 2012 due istanze di concessione di alloggio A.. Il T.A.R. ha respinto le argomentazioni del ricorrente, ritenendo che la qualificazione dell'alloggio de quo come A. non fosse stata dimostrata né dalle congetture circa il mutamento di classificazione dell'alloggio che sarebbe intervenuto nel 1994 (non evincendosi dalla scheda di ricalcolo del canone prodotta in giudizio la natura e la destinazione dell'alloggio stesso), né dalla presentazione delle due istanze di assegnazione di alloggi A. (alloggi di servizio connessi con l'incarico). Queste, infatti, al contrario di quanto affermato dal ricorrente, rinvengono la propria ragione nel loro stesso contenuto, lì dove si fa menzione del "trasferimento ad altra zona per ravvicinamento all'istituto frequentato dalla figlia". Nel gravame l'appellante ribatte: a) che il T.A.R. si sarebbe riferito all'atto concessorio originario, il quale classificava l'alloggio come ASGC, senza considerare che in un secondo momento la P.A. avrebbe provveduto a riclassificarlo in A., come dimostrerebbe la scheda di ricalcolo del canone, da cui emergerebbe l'imposizione di un canone, cioè un dato incompatibile con la qualifica dell'alloggio come ASGC; b) che se l'alloggio fosse stato davvero un ASGC e, quindi, gratuito, egli non avrebbe avuto interesse all'assegnazione di un altro alloggio per il quale fosse tenuto a corrispondere un canone, neppure per avvicinarsi alla scuola della figlia. Si tratta, però, di argomentazioni che non convincono, poiché l'atto di concessione dell'alloggio del 20 luglio 1992, versato in atti, parla esplicitamente della concessione di un alloggio ASGC (il n. 309) ubicato presso il Museo Storico della Fanteria, in Roma, piazza S. Croce in Gerusalemme. Il quadro appare quindi chiaro: essendo stato conferito al Mar. (all'epoca Serg. Magg.) S.P. l'incarico di consegnatario dei materiali e custode del predetto Museo Storico, gli veniva altresì attribuito in concessione gratuita l'alloggio di servizio adiacente al Museo: non si rinvengono agli atti del giudizio atti posteriori al succitato atto concessorio, da cui si evinca che l'alloggio ha assunto la qualificazione di A., per la qual cosa - eccepisce la difesa erariale - si richiede una specifica procedura, di cui non vi è alcuna traccia in atti. Quanto al prospetto di calcolo del canone mensile di concessione, esso trova una spiegazione nel fatto che il militare è cessato dall'incarico di consegnatario e custode in conseguenza del suo trasferimento presso la Scuola Fanteria di Cesano (Roma), ma nonostante ciò non ha rilasciato l'alloggio e anzi ha continuato ad occuparlo, il che


giustificava indubbiamente l'applicazione, nelle more del rilascio, di un canone per l'occupazione sine titulo. Donde, in conclusione, l'infondatezza del motivo. Con il secondo motivo di appello il militare ha contestato la sentenza impugnata per non avere questa accolto la censura - da lui proposta con il terzo motivo di ricorso - di illegittimità della scelta operata dall'art. 2, comma 1, del D.M. 16 marzo 2011, di calcolare la superficie dell'alloggio al lordo delle mura interne, perimetrali e in comunione, ai fini della determinazione del canone: la previgente normativa - lamenta l'appellante richiamava per il calcolo del canone di occupazione la disciplina sul cd. equo canone, la quale si riferisce (per il calcolo del canone di locazione) alla superficie netta o calpestabile (cd. superficie convenzionale). Tale scelta sarebbe particolarmente gravosa nei casi - come quello ora in esame - in cui gli immobili siano di antica costruzione e, quindi, provvisti di mura interne e perimetrali più spesse: per l'alloggio occupato dall'appellante, l'incremento derivante dall'utilizzo del criterio della superficie lorda, come desumibile dalla documentazione in atti, sarebbe di circa 11 mq. (da mq. 125,40 a mq. 136,65) e si tradurrebbe in un incremento del canone mensile pari ad € 126,72. L'illegittimità di detta opzione emergerebbe per più profili: - anzitutto, essa sarebbe contraddittoria e illogica se raffrontata con quanto avviene nel mercato delle locazioni (dove il canone si determina convenzionalmente sulla base della superficie netta); - inoltre, violerebbe, la delega di cui all'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010, riprodotta all'art. 286, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 66 del 2010, sia perché, utilizzando per il calcolo la superficie catastale, impedirebbe l'individuazione del canone di mercato, in contrasto con la delega, la quale impone che il canone sia determinato in base ai prezzi di mercato, sia soprattutto perché la delega non avrebbe previsto che si potessero individuare modalità nuove e diverse da quelle sino ad allora utilizzate per il calcolo della superficie (che si basavano, come detto, sulla superficie calpestabile); - infine, essa creerebbe un'ingiustificata difformità di calcolo di superficie fra gli stessi alloggi della Difesa, a seconda che siano occupati da personale con titolo o meno. Per di più, lamenta l'appellante, la scelta operata dal D.M. 16 marzo 2011 sarebbe quella di adottare, come base per la determinazione dei canoni di occupazione, i valori dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI): ma tali valori sono tratti dal mercato delle locazioni private, dove, come visto, si utilizza convenzionalmente la superficie netta. Infatti, le istruzioni dettate nell'apposito "Manuale" dall'OMI - comportanti la standardizzazione delle procedure di rilevazione dei dati, cioè l'utilizzo sempre delle stesse regole al fine di ottenere dati certi e confrontabili - avrebbero previsto che per la rilevazione dei dati delle locazioni debba calcolarsi la superficie utile, mentre per il calcolo dei valori delle compravendite debba considerarsi quella commerciale o catastale: se, quindi, la P.A. ha deciso di utilizzare i valori OMI, pur avendo la delega ammesso una simile possibilità solo in mancanza dei prezzi di mercato, in coerenza con tale decisione avrebbe dovuto applicare detti valori a una superficie degli alloggi calcolata anch'essa secondo le metodologie dell'OMI.


Non sarebbe corretto - lamenta infine l'appellante - il riferimento del T.A.R. alla funzione svolta dal canone per l'occupazione di alloggi sine titulo, che sarebbe compensativa e dissuasiva rispetto alla sottrazione del bene alla sua funzione istituzionale, con conseguente possibilità di un aumento dello stesso canone in ragione di elementi quali la durata dell'occupazione illecita e la possibilità di reperire un alloggio sul libero mercato: ma in realtà la delega legislativa non avrebbe finalità compensative o dissuasive e intenderebbe solo ricondurre i canoni, prima fissati in base all'equo canone, a un criterio di corrispettività. Né potrebbe ritenersi - come fa il T.A.R. - che il prezzo di mercato sia il punto di partenza per la rideterminazione del canone, giacché in tal modo si darebbe alla P.A. un arbitrario potere di individuare un canone anche molto superiore a quello di mercato. Le doglianze dell'appellante ora riportate non convincono, in quanto esse muovono da un assunto del tutto non condivisibile: quello dell'assimilazione della fattispecie del canone per l'occupazione sine titulo di alloggi della P.A. alla situazione dei conduttori di alloggi in regolare rapporto privatistico di locazione. Ed invero, l'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010 (conv. con L. n. 122 del 2010) - sulla cui base è stato emanato il D.M. 16 marzo 2011 - così recita(va): "Con decreto del Ministero della difesa, adottato d'intesa con l'Agenzia del demanio, sentito il Consiglio centrale della rappresentanza militare, si provvede alla rideterminazione, a decorrere dal 1º gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della difesa, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'Amministrazione, anche se in regime di proroga, sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione.Le maggiorazioni del canone derivanti dalla rideterminazione prevista dal presente comma affluiscono ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate per le esigenze del Ministero della difesa". La disposizione è ora riprodotta nell'art. 286, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 66 del 2010 (inserito dall'art. 2 del D.Lgs. n. 20 del 2012), con l'unica modifica che la rideterminazione del canone decorre dalla data di notifica del provvedimento contenente la rideterminazione stessa. A sua volta, l'art. 2, comma 1, del D.M. 16 marzo 2011 - la disposizione censurata dall'appellante - così recita: "Il canone mensile di locazione di cui all'art. 1 (id est: il canone degli alloggi di servizio delle Forze Armate occupati da utenti senza titolo) è determinato dal prodotto del prezzo di mercato, che viene desunto dal calcolo della media aritmetica dei canoni unitari di locazione forniti dall'Agenzia del territorio - Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), per un "coefficiente correttivo globale" calcolato in funzione delle caratteristiche estrinseche e intrinseche dell'alloggio e della superficie convenzionale calcolata ai sensi dell'art. 3, comma 1, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, per il "coefficiente correttivo" calcolato in funzione del reddito del nucleo familiare dell'occupante e del periodo di occupazione dell'alloggio senza titolo". Così riportata la normativa di riferimento, osserva il Collegio che nessun richiamo il Legislatore del 2010 ha fatto alla normativa privatistica sulle locazioni degli immobili, né


alla normativa di maggior favore a tutela del conduttore contenuta nella legislazione sul cd. equo canone (la L. n. 392 del 1978 e la L. n. 431 del 1998): ciò ben si spiega, in quanto come giustamente sottolinea la sentenza di prime cure - si tratta di normative che non possono trovare applicazione ai fini dell'individuazione del canone di occupazione di alloggi sine titulo, sia perché rispondono ad una ratio del tutto diversa, sia perché disciplinano un rapporto totalmente differente per finalità, soggetti e natura dei beni da quello per cui è causa. È per queste ragioni, dunque, e non per mera dimenticanza, che il Legislatore del 2010 non ha rinviato neppure agli accordi di categoria previsti dalla L. n. 431 del 998 (vanamente invocati dall'appellante), ma ha demandato a un decreto ministeriale di dettare la relativa disciplina attuativa. In tale prospettiva, è corretta anche l'ulteriore affermazione del T.A.R., secondo cui il decreto gravato risulta immune dai vizi dedotti di illogicità e contraddittorietà, nonché dalla disparità di trattamento degli occupanti sine titulo rispetto ai legittimi assegnatari degli immobili di servizio: ché, al contrario, l'assimilazione delle due ipotesi tra loro opposte costituendo nell'un caso l'occupazione un illecito e nell'altro no - avrebbe, essa sì, destato perplessità. La profonda diversità di ratio - si ribadisce - rende totalmente erronei i richiami alla disciplina sulle locazioni e al cd. equo canone, dovendo perciò ritenersi che, al contrario di quanto ritiene il militare, il Legislatore sia intervenuto proprio per introdurre una cesura rispetto alle previgenti normativa e prassi, che a tale disciplina si richiamava. Come giustamente rilevato dalla difesa erariale, il canone per l'occupazione abusiva di alloggi della Difesa risponde sia a una finalità sociale che ad una "risarcitoria": la prima consiste nel recupero degli alloggi demaniali destinati ex lege al servizio delle Forze Armate, la seconda è volta a far sì che, nelle more del rilascio, gli occupanti abusivi (che per anni hanno goduto peraltro di un ingiustificato regime agevolativo) paghino, come ogni altro cittadino, un canone calcolato sulla base dei prezzi di mercato, che possa almeno servire a incamerare risorse per ripristinare o costruire altri alloggi per le esigenze dell'Esercito (come emerge dall'ultimo periodo del comma 21-quater). Mente nel caso degli utenti muniti di un regolare titolo, il canone demaniale è un'entrata patrimoniale (quale corrispettivo per la concessione di beni demaniali che, per le esigenze abitative di singoli, sono sottratti alla pubblica fruizione, grazie al titolo concessorio), nei casi come quello in esame (in cui vien meno il titolo per l'occupazione del bene e l'utente si trova in condizione di occupazione abusiva, senza alcun interesse giuridicamente tutelabile), cessa il rapporto privatistico e torna preponderante il profilo pubblicistico: ciò sta a dire che non vi è un rapporto sinallagmatico, ma il canone dovuto divenuta una prestazione imposta dalla legge. Dunque, non è vero quanto sostiene l'appellante, secondo cui il Legislatore del 2010 avrebbe inteso adeguare il canone per l'occupazione sine titulo di alloggi della Difesa a un criterio di corrispettività, poiché tale canone non è la controprestazione del godimento di un bene ottenuto in concessione e non trova fondamento in un rapporto bilaterale derivante dalla concessione, ma ha natura pubblicistico-tributaria (per ristorare la P.A. dall'altrui uso del bene demaniale e dalla sua sottrazione alle finalità cui è destinato): il presupposto del pagamento qui si rinviene nella legge, senza mediazione dell'atto concessorio, e il contenuto dell'obbligazione pecuniaria viene determinato dalla P.A. con un calcolo matematico, senza margini di discrezionalità, in base a criteri oggettivi


prestabiliti a livello normativo, di tal ché è infondata la censura dell'appellante volta a lamentare l'arbitrarietà del potere della P.A. nella determinazione del canone. Piuttosto, ad essere arbitraria è la pretesa dell'appellante a che vengano seguite le modalità di calcolo del canone di locazione basate sulla superficie netta, perché in questo modo sono standardizzate le procedure attinenti a situazioni tra loro assolutamente diverse e, inoltre, si estendono a una fattispecie illecita le metodologie di rilevazione proprie delle fattispecie lecite. Sgombrato, perciò, il campo dall'equivoca assimilazione alle locazioni (e alle occupazioni in forza di regolare titolo concessorio), risulta legittimo il riferimento alla superficie al lordo delle mura interne, perimetrali e in comunioni, trattandosi di criterio previsto dall'art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 138 del 1998, a cui, come si è visto poc'anzi, fa richiamo l'art. 2, comma 1, del D.M. 16 marzo 2011. A sua volta, infatti, l'art. 3, comma 1, cit. rimanda all'allegato C) del D.P.R. n. 138 del 1998, il cui punto 1 stabilisce che "nella determinazione della superficie catastale delle unità immobiliari a destinazione ordinaria, i muri interni e quelli perimetrali esterni vengono computati per intero fino ad uno spessore massimo di 50 cm, mentre i muri in comunione nella misura del 50 per cento fino ad uno spessore massimo di 25 cm". Sul punto - e ad ulteriore confutazione della pretesa dell'appellante ad una "standardizzazione" delle metodologie da seguire per la rilevazione dei dati da utilizzare nel calcolo dei canoni di occupazione rispetto alle metodologie per il calcolo dei canoni locatizi - la difesa erariale ha richiamato la nota dell'Agenzia delle Entrate - Dir. Centrale Osservatorio del Mercato Immobiliare e Servizi Estimativi, n. 2013/32640 del 10 settembre 2013, dove si precisa che le quotazioni OMI non fanno riferimento mai alla superficie utile ma alla superficie totale determinata in base ai criteri definiti nel suindicato allegato C) del D.P.R. n. 138 del 1998. Da ultimo, appare pretestuoso anche il ripetuto richiamo dell'appellante ai "prezzi di mercato", quale criterio da cui la P.A. si sarebbe arbitrariamente discostata nel determinare il canone di occupazione dell'alloggio: ciò, anche a prescindere dalle considerazioni della difesa erariale sul pregio della zona dov'è ubicato l'immobile e sui valori di mercato degli immobili posti in detta zona, tenuto conto del fatto che il militare non ha fornito alcuna prova in ordine alla circostanza che il canone richiestogli sarebbe superiore (e di gran lunga) rispetto ai predetti "prezzi di mercato". Ne segue, in conclusione, la complessiva infondatezza anche del motivo ora analizzato. Venendo al terzo motivo dell'appello, con esso la sentenza impugnata viene censurata per non avere essa accolto il quarto motivo del ricorso di primo grado. Con detto motivo il ricorrente aveva formulato la doglianza di illegittimità del D.M. 16 marzo 2011, lì dove questo, nella valorizzazione dei coefficienti correttivi "k", non consentirebbe di individuare in modo corretto il valore di mercato dell'alloggio. In particolare, il ricorrente aveva contestato - e torna a contestare nell'atto di appello - le prescrizioni dettate dall'allegato A) al decreto ministeriale, che reca i criteri per la rideterminazione dei canoni, facendo uso, al punto 2, dei coefficienti correttivi "k". Tali coefficienti, infatti, sarebbero prestabiliti in modo tale da impedire di considerare l'effettivo e reale stato dell'immobile e di farlo considerare sempre in uno stato conservativo e manutentivo migliore del reale: così, ad es., la qualificazione dei pavimenti come in stato


"scadente" solo qualora si riscontrino condizioni tali da rendere necessaria la sostituzione di oltre il 30% delle relative superfici comporterebbe che non sussisterebbe lo stato "scadente" ove un quarto del pavimento sia divelto e con mattonelle rotte. Analogamente, poiché gli infissi interni sono considerati "scadenti" se integralmente da sostituire in misura superiore alla metà della dotazione, ne seguirebbe che non integra tale condizione l'ipotesi in cui siano del tutto distrutti, ad es., due infissi su un totale di quattro. Che gli elementi di valutazione dello stato conservativo e manutentivo dell'alloggio siano prefissati erroneamente in modo da svantaggiare gli occupanti, lo si evincerebbe dal raffronto con le ben diverse regole dettate dal D.M. 9 ottobre 1978, n. 284, di attuazione dell'art. 21 della L. n. 392 del 1978 (sullo stato di conservazione e manutenzione degli immobili urbani in regime di locazione). L'immobile in cui è ubicato l'alloggio de quo verserebbe in pessime condizioni, siccome mai oggetto di interventi manutentivi da parte del Comando e, quindi, non avrebbe alcuna delle caratteristiche per l'attribuzione del coefficiente "k1" effettuata dalla P.A., la quale ha assegnato a tale coefficiente il valore di 0,85, cioè il valore che la tabella di cui al punto 2.a del citato Allegato A) prevede per gli alloggi "medi" di oltre 41 anni il cui stato di conservazione sia "mediocre": ma il valore in questione rifletterebbe una stima di molto superiore al reale. In realtà - lamenta l'appellante - da un lato la tabella di cui al punto 2.a sarebbe complessivamente errata (pur riportando valori progressivamente decrescenti), perché la riduzione del coefficiente "k1" tra abitazioni civili e alloggi popolari in pessimo stato conservativo e manutentivo dovrebbe essere assai marcata e pari almeno al 50%. D'altro lato, all'alloggio in discorso avrebbe dovuto attribuirsi, per il coefficiente correttivo "k1", il valore di 0,65, corrispondente, per alloggi "popolari", a uno stato conservativo "pessimo". Anche da questo punto di vista il decreto ministeriale avrebbe violato la delega legislativa, poiché il Legislatore non avrebbe previsto che il regolamento attuativo potesse introdurre, per il calcolo dello stato manutentivo e conservativo degli alloggi, modalità nuove e diverse da quelle utilizzate sino ad ora, posto che, secondo la previgente disciplina, il calcolo si sarebbe sempre basato sulla disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978 ed al citato D.M. 9 ottobre 1978, n. 284. Quest'ultimo regolamento, in specie, conterrebbe quei "parametri alternativi" di cui il T.A.R. avrebbe censurato la mancata allegazione da parte del ricorrente e che, invece, erano stati offerti proprio per consentire al Tribunale di cogliere l'irragionevolezza del sistema di valutazione contenuto nel D.M. 16 marzo 2011. Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato. In dettaglio, le doglianze sono inammissibili, come eccepito dalla difesa erariale, nella parte in cui con esse il sig. P. pretende di sindacare il merito delle scelte amministrative della P.A. e analogo sindacato pretende che sia effettuato dall'adito giudice amministrativo. È evidente, infatti, che l'apprezzamento circa il numero di infissi inutilizzabili o la percentuale della superficie di pavimento guasta da considerare al fine di poter qualificare un immobile come in stato "scadente", invece che "buono" o "mediocre", è frutto di una valutazione ampiamente discrezionale della P.A., sulla quale il sindacato giurisdizionale del G.A. è limitato ai vizi dell'irragionevolezza, manifesta illogicità ed incongruità, arbitrarietà, contraddittorietà, travisamento dei fatti, macroscopici difetti di istruttoria, senza possibilità di impingere nel merito dei criteri stabiliti dalla P.A. stessa (cfr., ex multis, C.d.S.,


Sez. V, 4 gennaio 2021, n. 53; Sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379; Sez. III, 29 marzo 2019, n. 2091; id., 22 giugno 2018, n. 3859). Ma, come giustamente rilevato dalla sentenza appellata, il ricorrente non ha fornito alcun parametro, sulla base del quale l'adito G.A. potesse effettuare il suindicato riscontro estrinseco di ragionevolezza e assenza di vizi logici: per le ragioni esposte a confutazione del motivo precedente, infatti, il suddetto parametro non può essere costituito dalla normativa in materia di locazione di immobili e di cd. equo canone e, quindi, né della L. n. 392 del 1978, né dal regolamento attuativo dell'art. 21 di detta legge (il D.M. n. 784 del 1978). Non vi è, dunque, alcuna predeterminazione dei criteri a svantaggio degli occupanti sine titulo, non potendosi assumere a parametro di riferimento le regole stabilite a tutela dei conduttori di alloggi in regime di cd. equo canone: per questo verso si rimanda a quanto già detto più sopra. Per le stesse ragioni, è poi del tutto inammissibile la pretesa dell'appellante di stabilire (o che questo giudice stabilisca) quale sia la riduzione "corretta" del valore del coefficiente "k1" nel passaggio dalle abitazioni civili agli alloggi popolari in pessimo stato conservativo e manutentivo: se, cioè, quella "giusta" sia una riduzione del predetto coefficiente pari al 50%. Una doglianza di tal tipo, infatti, non meno della precedente comporta un'ingerenza in scelte che la P.A. effettua con amplissimi margini di discrezionalità, le quali sono sottratte al sindacato giurisdizionale salve le ipotesi-limite di controllo estrinseco sopra ricordate. Ancora, palesemente inammissibili sono le censure dell'appellante - basate, come eccepisce la difesa erariale, su opinabili valutazioni soggettive - lì dove egli pretende che all'alloggio per cui è causa sia assegnato, per il coefficiente correttivo "k1", il valore di 0,65, anziché quello di 0,85. Da ultimo, è infondata la doglianza di violazione della "delega" legislativa, atteso che come già per il precedente motivo - neanche sotto il profilo ora in esame si rinviene nell'art. 6, comma 21-quater, del D.L. n. 78 del 2010 alcuna ratio di assimilare la disciplina sui canoni di occupazione di alloggi della Difesa sine titulo a quella prevista per i canoni locatizi dalla normativa privatistica sulle locazioni e della legge sul cd. equo canone ed anzi le due fattispecie sono del tutto diverse. Con il quarto motivo di gravame l'appellante si duole della reiezione, da parte del giudice di prime cure, dell'ottavo motivo del ricorso, a mezzo del quale egli aveva contestato la scelta del Comando Militare della Capitale, di utilizzare, per il calcolo del canone di occupazione, le quotazioni dell'OMI relative alle "abitazioni civili", corrispondenti alla categoria catastale A., trattandosi di scelta priva di motivazione e assunta dalla P.A. sebbene l'alloggio non fosse accatastato e comunque non potesse considerarsi abitazione civile, ma al più di tipo economico. Né le ragioni di siffatta scelta si potrebbero desumere dalla documentazione tecnica dell'8 Reparto Infrastrutture (ottenuta a seguito di accesso agli atti e sulla cui base sono stati presentati nel giudizio di primo grado motivi aggiunti), ma solo dalla "relazione esplicativa" dell'8 Reparto, la quale, però, denoterebbe l'illegittimità dell'attività di rideterminazione del canone.


Dalla relazione esplicativa, infatti, emergerebbe come la P.A. abbia violato la disciplina stabilita dal D.M. 16 marzo 2011, al punto 1 dell'Allegato A), per quanto riguarda la valutazione della "tipologia di riferimento", cioè della categoria catastale attribuita o attribuibile all'immobile. La P.A., cioè, non avrebbe effettuato alcuna valutazione su quale potesse essere la categoria catastale dell'alloggio, al fine di scegliere correttamente le quotazioni OMI da utilizzare per il calcolo del canone, ma avrebbe solo utilizzato le quotazioni presenti nella zona di riferimento e, fra queste, quella più favorevole al dipendente. Tale modus agendi sarebbe illegittimo e avrebbe conseguenze paradossali, ad es. quella di far utilizzare, per un alloggio accatastato - o da considerare - come A3 o A4, le più alte quotazioni della "abitazioni civili", qualora queste fossero le uniche rilevate e pubblicate nella specifica zona di riferimento. Nel caso di specie, pertanto, la P.A. avrebbe utilizzato le più alte quotazioni riferite ad "abitazioni civili" per un alloggio non accatastato che, in ogni caso, non avrebbe potuto essere ascritto, per le sue caratteristiche generali costruttive e distributive e per la qualità delle finiture e dei materiali impiegati, alla categoria catastale A2. Sul punto - lamenta l'appellante - il T.A.R. sarebbe incorso in un errore, ritenendo che l'espressione "tipologia residenziale di riferimento" si riferisse non alle categorie catastali A2, A3, A4 e A7, ma fosse utilizzata per individuare le distinte caratteristiche dimensionali, distributive ed organizzative degli immobili a seconda della zona urbanistica dove sono stati realizzati: in contrario, però, sarebbe sufficiente ricorrere al glossario contenuto al punto 1.a dell'allegato A) al D.M. 16 marzo 2011, da cui emergerebbe che la tipologia residenziale di riferimento altro non è che la categoria catastale. Di tal ché - conclude l'appellante - individuata la categoria catastale (A2, A3, A4), dovranno applicarsi le relative quotazioni e, se per quella data zona non siano state pubblicate le quotazioni corrispondenti alla categoria di riferimento, dovranno applicarsi quelle delle "zone contigue". Il ragionamento svolto nella sentenza appellata porterebbe, invece, all'illogica conclusione - che si è già visto derivare dall'operato della P.A. - per la quale, ove nella zona di riferimento l'Agenzia del Territorio avesse pubblicato solo le quotazioni relative alle "abitazioni civili", queste dovrebbero utilizzarsi anche per un'abitazione accatastata o accatastabile come A3 o A4, cioè di tipo economico o popolare. La doglianza è infondata, dovendosi condividere in toto le considerazioni di segno opposto espresse in proposito dalla sentenza appellata. Ha in particolare osservato il primo giudice che la P.A. ha operato applicando, una volta ricevute le quotazioni immobiliari della zona in cui è ubicato l'alloggio da valutare, quelle relative alla categoria ivi prevalente (abitazioni civili), anziché quelle più basse (abitazioni economiche) "sulla base delle corrispondenti caratteristiche dell'appartamento in questione". Orbene, tale operato avrebbe dovuto essere contestato dal ricorrente dimostrando la presenza, nell'alloggio in esame, delle caratteristiche tipiche dell'edilizia popolare, anziché di quelle compatibili con una classificazione di tipo "medio" che hanno indotto la P.A. a qualificare l'immobile come alloggio di abitazione civile. Per assolvere a tale onere probatorio, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare errori di fatto commessi dagli organi tecnici della P.A. nelle misurazioni o errori palesi di apprezzamento a mezzo di una perizia giurata di parte: ma ciò non è avvenuto, essendosi egli limitato a depositare il 22 maggio 2014 una relazione tecnica di uno studio associato (lo studio "ArchitettonicaMente") che non ha natura di perizia giurata e non avendo fornito la prova


dell'esistenza di elementi oggettivi idonei a far qualificare l'alloggio in questione come di tipo economico o popolare. In altre parole, il ricorrente non è riuscito ad andare al di là di indimostrate contestazioni, non idonee, come tali, a superare gli accertamenti tecnici effettuati da personale amministrativo (quello dell'8 Reparto Infrastrutture) specializzato e in possesso di specifiche competenze tecniche. Sul punto vanno valorizzate le repliche della difesa erariale (fatte proprie dal T.A.R.) alla doglianza del ricorso di primo grado, con cui si era censurata la (pretesa) mancata qualificazione professionale dei tecnici preposti alle rilevazioni tecniche all'interno degli immobili, che nella relazione sono stati qualificati unicamente con riguardo al grado da essi rivestito. Si tratta, invero, di una prassi comune, per ovvie ragioni, all'interno dell'Amministrazione militare, la quale però - nota giustamente la difesa erariale - non può ritenersi in alcun modo sintomatica di mancanza di competenza e professionalità, visto che gli incaricati sono professionisti dell'Arma del Genio in possesso del diploma di Geometri e impiegati in qualità di assistenti tecnici effettivi presso l'8 Reparto Infrastrutture di Roma: questo, dal canto suo, è l'organo tecnico che si occupa di lavori di manutenzione e delle nuove realizzazioni di infrastrutture militari. Inoltre, per stessa affermazione del sig. P. l'immobile in esame non è accatastato (e quindi non è formalizzata la sua appartenenza a una categoria catastale deteriore rispetto alla A.): ma in difetto di accatastamento dell'immobile, appare irrilevante il ragionamento dell'appellante sull'equivalenza tra le nozioni di tipologia residenziale di riferimento e di categoria catastale. Va da ultimo osservato che, ai fini della classificazione dell'immobile quale abitazione civile, anziché quale alloggio economico o popolare, non ha alcun valore lo stato di conservazione e di manutenzione dell'immobile, che, come già si è visto e come si dirà ancora più oltre, rileva invece ai diversi fini del calcolo del valore da assegnare al coefficiente correttivo "k1". Infondato è, ancora, il quinto motivo d'appello, a mezzo del quale il militare ha contestato la reiezione del secondo motivo del ricorso innanzi al T.A.R., mediante cui i provvedimenti di rideterminazione del canone erano stati censurati per avere la P.A. omesso di comunicargli l'avvio del procedimento di rideterminazione. A confutazione della doglianza, infatti, è sufficiente richiamare la regola di non annullabilità di cui all'art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, della L. n. 241 del 1990, che, com'è noto, diversamente da quella contenuta nel primo periodo del comma 2, riguarda anche l'attività discrezionale della P.A.: detta regola sancisce, infatti, che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" e si deve ritenere che nel caso de quo tale dimostrazione sia stata fornita dall'Amministrazione, in specie tramite i documenti e le memorie da essa depositati. Venendo alla disamina del sesto motivo dell'appello, con lo stesso viene censurata la reiezione, da parte della sentenza appellata, del quinto motivo del ricorso di primo grado, poi integrato con i motivi aggiunti, a mezzo del quale erano stati contestati i valori attribuiti dai tecnici dell'Amministrazione all'ora visto coefficiente correttivo "k1", relativo allo stato conservativo e manutentivo dell'alloggio di cui si discute.


In particolare, l'appellante lamenta come, in esito al sopralluogo, i predetti tecnici abbiano giudicato in stato "scadente" i pavimenti, l'impianto elettrico e l'impianto termico dell'alloggio e, su tali basi, abbiano qualificato come "mediocre" lo stato conservativo dello stesso. Obietta che, però, avrebbero dovuto essere giudicati in stato "scadente" anche gli infissi interni e quelli esterni (in quanto dotazioni che non terrebbero gli agenti atmosferici), le pareti e i soffitti (da rifare per oltre il 30% di superficie) e l'impianto idrico sanitario (vetusto e totalmente da rifare). Inoltre, mancherebbe del tutto per gli infissi interni la valutazione dei tecnici che hanno effettuato il sopralluogo, cosicché non si capirebbe su quali basi il tecnico che ha redatto la scheda di attribuzione dei coefficienti abbia ritenuto i suddetti infissi in stato non scadente. Ove perciò - insiste l'appellante - per tutti i sette elementi da lui elencati fosse stato accertato lo stato "scadente" in cui verserebbero, ai sensi dell'allegato A) al D.M. 16 marzo 2011 l'alloggio avrebbe dovuto essere considerato in uno stato manutentivo e conservativo "pessimo", invece di "mediocre", con attribuzione di un più basso coefficiente "k1" (0,65 anziché 0,85) e con conseguente riduzione del canone applicato. Né varrebbero, in proposito, le contrarie argomentazioni del T.A.R., basate sul carattere non giurato della perizia di parte depositata, poiché tale carattere non avrebbe esentato il primo giudice dal dover valutare gli elementi forniti (in specie quelli fotografici), i quali avrebbero rappresentato visivamente lo stato dei luoghi e, quindi, l'erroneità delle valutazioni dei tecnici militari. A confutazione della doglianza, tuttavia, il Collegio da un lato ritiene sufficiente tornare a sottolineare l'impossibilità di sostituire con le proprie valutazioni (o con le opinabili valutazioni dell'appellante) i giudizi formulati dai tecnici incaricati dall'Amministrazione, espressione della discrezionalità (qui tecnica) di cui gode la stessa, e che possono essere sindacati in sede giurisdizionale solo nelle ipotesi di evidente illogicità, manifesta incongruenza od inattendibilità, palesi travisamenti in fatto (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez. III, 12 ottobre 2021, n. 6851), di nessuna delle quali vi è prova nella fattispecie ora in esame (v. subito infra). In secondo luogo, il Collegio richiama quanto già osservato con riferimento al precedente motivo sul carattere non giurato della perizia depositata in primo grado dalla parte. Va aggiunto, sul punto, che anche a voler tenere conto delle fotografie allegate alla perizia, le stesse, pur documentando il cattivo stato in cui versano talune finiture dell'alloggio, non supportano per nulla i corollari che l'appellante pretende di ricavarne e cioè che l'immobile si trovi in una condizione "pessima": del resto, l'alloggio è stato giudicato dalla P.A. in uno stato conservativo e manutentivo "mediocre", dunque non ha certo ricevuto una valutazione positiva, il che fa sì che debba escludersi la sussistenza di quei vizi logici, di travisamento di fatto, ecc., in presenza dei quali è ammesso il sindacato sulle valutazioni tecnico-discrezionali dell'Amministrazione. Da ultimo, si evidenzia che per ciascuno degli elementi analizzati (pavimenti; pareti e soffitti; infissi interni; infissi esterni; impianto elettrico; impianto idrico-sanitario; impianto termico) la relazione esplicativa dell'8 Reparto Infrastrutture reca un giudizio specifico e puntuale, a comprova del grado di accuratezza con cui gli incaricati del Reparto hanno effettuato le rilevazioni tecniche. Solo la prima delle schede tecniche dell'alloggio redatte dai tecnici non contiene alcuna indicazione in ordine allo stato di conservazione degli infissi interni, non essendo stata


barrata alcuna delle caselle relative allo stato "scadente" ("sì" o "no"): nella seconda, invece, è stata barrata per gli infissi interni la casella "no", ad indicare uno stato non scadente. In ogni caso, la motivazione di detto giudizio si rinviene - come appena visto nella relazione esplicativa e dunque l'appellante non può lamentarsi del presunto carattere immotivato del giudizio stesso. Per tutto quanto detto, è dunque infondato anche il sesto motivo d'appello. Infine, con il settimo motivo l'appellante contesta la sentenza di prime cure per aver questa disatteso la censura, dedotta in primo grado con i motivi aggiunti, di difetto di istruttoria, da ravvisare nel fatto che l'Amministrazione, per il calcolo della superficie dell'alloggio, ha considerato la presenza di una cantina di mt. 10,40 x 4,90, la quale, però, in realtà non esisterebbe. Infatti, sia l'atto di concessione, sia il vecchio prospetto per il calcolo del canone concessorio mensile, menzionerebbero il solo alloggio, senza far cenno ad alcuna pertinenza. L'errore di cui l'appellante si duole avrebbe comportato il calcolo di una superficie ben più grande - essendo la cantina indicata in complessivi mq. 57,24 -, con un considerevole e ingiusto aumento del canone. Al riguardo, però, il T.A.R. ha obiettato - in modo convincente e condivisibile - che le affermazioni del ricorrente sono smentite dalla planimetria dell'alloggio depositata dall'Amministrazione, la quale fa fede fino a querela di falso e da cui si evince che l'appartamento in questione è dotato di cantina pertinenziale. La circostanza che essa non sia menzionata nell'atto di concessione rende l'atto stesso incompleto, ma non rileva ai fini della corresponsione del canone di occupazione sine titulo. Quanto al vecchio prospetto di calcolo, esso si limita a indicare la superficie complessiva dell'alloggio ai fini del calcolo del canone dovuto. Il motivo è, perciò, infondato. In conclusione, l'appello è nel suo complesso infondato (nonché parzialmente inammissibile quanto al terzo motivo) e deve, quindi, essere respinto. Le spese del giudizio d'appello seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Seconda (II^), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante a rifondere al Ministero della Difesa le spese del presente grado d'appello del giudizio, che liquida in via forfettaria in complessivi € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2021, con l'intervento dei magistrati: Ermanno de Francisco, Presidente


Giovanni Sabbato, Consigliere Cecilia Altavista, Consigliere Francesco Guarracino, Consigliere Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore



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