Consiglio di Stato 2019: “irrogazione della sanzione disciplinare di sospensione dall'impiego per me

Consiglio di Stato 2019: “irrogazione

della sanzione disciplinare di sospensione dall'impiego per mesi quattro con detrazione di anzianità di servizio.”

Numero 01034/2019 e data 03/04/2019 Spedizione

R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

Consiglio di Stato Sezione Prima Adunanza di Sezione del 20 marzo 2019 NUMERO AFFARE 00640/2018

OGGETTO: Ministero della difesa – Direzione generale per il personale militare.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto dal signor xxx xxx (sottufficiale della Marina Militare), nato a xxx di xxx il x, residente in x contro il Ministero della Difesa, per l’annullamento dei decreti prot. M-D GMIL REG2017 0003502 del 3 gennaio 2017, notificatogli il 9 gennaio 2017, e prot. M-D GMIL REG2017 0110239 del 12 febbraio 2017, notificatogli il 27 aprile 2017, di irrogazione della sanzione disciplinare di sospensione dall'impiego per mesi quattro con detrazione di anzianità di servizio.

LA SEZIONE

Vista la relazione n. 594155 del 31 ottobre 2017 con la quale il Ministero della difesa ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto; visto il ricorso dell’8 maggio 2017; esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Saverio Capolupo; Premesso: Il sottufficiale, fuori da servizio, in data 6 giugno 2007 all’interno di un centro commerciale

molestava,

in

un

primo

momento

una

minorenne

e,

successivamente, costringeva altra minorenne a subire presunti atti sessuali.

Il data 16 luglio 2007 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Taranto emetteva nei confronti dell’istante un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

L’Amministrazione sospendeva precauzionalmente dall’impiego a titolo obbligatorio l’interessato dal 18 luglio 2007.

A decorrere dal 6 agosto 2009 l’Amministrazione revocava la sospensione precauzionale obbligatoria sostituendola con quella facoltativa.

Con decreto n. 431/III-7/2010 del 4 ottobre 2010 anche la sospensione facoltativa veniva revocata e il secondo capo xxx veniva riammesso in servizio a decorrere dal 28 ottobre 2010.

Il Tribunale di Taranto, con sentenza n.226/2010 del 10 febbraio 2010, condannava il ricorrente alla pena, sospesa, di mesi quattro di arresto in ordine al reato di “molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.).

Detta sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello di Lecce ed il successivo ricorso in Cassazione veniva dichiarato inammissibile.

In data 12 luglio 2016 il Comandante logistico disponeva l’apertura di un’inchiesta formale nei confronti del sottufficiale contestando il seguente addebito: “per aver molestato una minorenne riprendendola con il telefonino

con annessa telecamera sotto la gonna, direzionata dal basso verso l’alto, all’interno di un centro commerciale”.

Il Secondo capo xxx presentava una memoria difensiva il 12 settembre 2016.

A conclusione dell’inchiesta formale l’Ufficiale inquirente concludeva nel senso di ritenere fondati gli addebiti.

In data 10 ottobre 2016 il Comandante logistico della Marina Militare proponeva la sospensione disciplinare dall’impiego per mesi due.

In data 9 gennaio 2017 veniva notificato all’interessato il provvedimento censurato.

Con l’odierno gravame il ricorrente impugna i provvedimenti, deducendone la illegittimità, per i seguenti motivi: 1. violazione dell’art. 1393 del codice dell’ordinamento militare approvato con d. lgs 15 marzo 2010, n. 66.

2. violazione dell’art. 1370, comma 1, del codice dell’ordinamento militare approvato con d. lgs 15 marzo 2010, n. 66. Eccesso di potere per carenza istruttoria e motivazionale.

Il Ministero riferente ritiene il ricorso infondato.

Considerato: 1.Con il primo motivo il ricorrente, dopo aver richiamato le modifiche apportate nel tempo all’art. 1393 C.O.M., ritiene che l’applicazione del principio tempus regit actum e della regola pregiudiziale penale “resterà inviso nel prosieguo del medesimo procedimento e assumeranno il ruolo di regole dirimenti”. In sostanza, sostiene che non sia stato avviato nessun procedimento disciplinare dal 6 giugno 2007 al 22 agosto 2016 e che il procedimento avviato il 23 agosto 2016 sia “del tutto intempestivo poiché decorsi 361 giorni dalla novella legislativa che ha mutuato il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare a fronte dei 60 giorni così come disposti dall’art.

1392, comma 2, del C.O.M.”.

Il termine per avviare la procedura disciplinare coinciderebbe, pertanto, con l’imputazione del reato, quindi “nella fattispecie il dies a quo da considerare ai fini dell’avvio del procedimento disciplinare è senza dubbio il giorno 28 agosto 2015 (vigenza della legge n. 124/2015)”.

2. L’art. 1393 C.O.M. è stato sostituito dall'art. 15, comma 1, L. 7 agosto 2015, n. 124, in vigore dal 28 agosto 2015, e, successivamente dall'art. 4, comma 1, lett. t), D.Lgs. 26 aprile 2016, n. 91, a decorrere dal 15 giugno 2016.

Il vigente art. 1393, comma 1, dispone che “ Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l'autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall'impiego di cui all'articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare”.

3. Si premette che per i fatti penalmente rilevanti e commessi prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla legge n. 124/2015 al decreto legislativo n. 66/2010, il regime connotato dalla pregiudiziale penale trova

applicazione esclusivamente nei casi in cui la notizia sia stata acquisita da parte del titolare dell’azione disciplinare prima del 28 agosto 2015 (data di entrata in vigore delle cennate modifiche).

Ne consegue che le competenti autorità disciplinari, in tal caso, ordinano l’inchiesta formale ai sensi dell’art. 1378 C.O.M. senza attendere la conclusione del procedimento penale nel rispetto dei termini di cui al successivo art. 1392, comma 2.

Poiché nel caso di specie l’Amministrazione ha avuto conoscenza dei reati ascritti al ricorrente già nel 2007, la censura risulta priva di pregio.

2. Con il secondo motivo il Secondo capo xxx sostiene che per i procedimenti disciplinari di stato trovi applicazione l’art. 1032, comma 1, (Decorrenza del termine iniziale per i procedimenti d'ufficio) del d. P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246).

Detta norma prevede che “1. Per i procedimenti d'ufficio, il termine iniziale decorre dalla data in cui l'unità organizzativa competente adotta l'atto propulsivo e, per gli atti vincolati, dalla data in cui abbia avuto conoscenza del fatto o della situazione da cui sorge l'obbligo di provvedere o abbia accertato la sussistenza dei presupposti di legge per la loro emanazione”.

Il richiamo operato dal ricorrente non è pertinente in quanto il procedimento disciplinare

di

stato

è

regolamentato

espressamente

dal

codice

dell’ordinamento militare. In particolare, l’art. 1392, comma 1 e 2, del d. lgs n. 66/2010 dispone che “Il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale, salvo il caso in cui l'amministrazione abbia già proceduto disciplinarmente ai sensi dell'articolo 1393, comma 1, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto

penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione.

Il procedimento disciplinare di stato a seguito di infrazione disciplinare deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, espletati dall'autorità competente, nei termini previsti dagli articoli 1040, comma 1, lettera d), numero 19 e 1041, comma 1, lettera s), numero 6 del regolamento”.

In merito, la Sezione osserva che l’Amministrazione ha avuto conoscenza della sentenza della Corte di cassazione, che ha reso inoppugnabile la sentenza della Corte di appello, in data 4 giugno 2016.

Il procedimento disciplinare è stato avviato il 23 agosto 2016 nel pieno rispetto del termine perentorio di 90 giorni fissato dall’art. 1392, comma 1, C.O.M. Per completezza si evidenzia il rispetto anche del termine massimo di 270 giorni per la conclusione del procedimento in quanto il provvedimento di sospensione disciplinare è stato emesso in data 3 gennaio 2017.

Anche tale censura è, pertanto, priva di pregio.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la mancanza di un’istruttoria sui fatti

volta

a

vagliare

la

sua

condotta

disciplinare.

In

particolare,

l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere ad una meditata valutazione dei fatti e dare contezza delle ragioni per le quali, inizialmente, aveva ritenuto di non dover assumere alcun provvedimento disciplinare di sospensione cautelare e non abbia ritenuto di assumere alcun provvedimento disciplinare.

Relativamente alla peculiare efficacia che la sentenza penale può esplicare nel giudizio disciplinare, è noto che, per effetto dell’art. 653 c.p.p., comma 1- bis (aggiunto dall'art. 1, L. 27 marzo 2001, n. 97) “La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del

fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.”

Pertanto, i fatti compiutamente accertati nella sede penale (nel caso specifico la molestia alla persona) vanno assunti nel procedimento disciplinare senza che sugli stessi l'amministrazione possa procedere a nuovi e separati accertamenti, trattandosi di dati irremovibili, in relazione ai quali la pubblica amministrazione può procedere soltanto all'autonoma e discrezionale valutazione della loro rilevanza sotto il profilo disciplinare.

Nessun dubbio, quindi, che i fatti penalmente rilevanti in sede disciplinare costituiscano oggetto di autonoma valutazione; è altrettanto indubbio, però, che debbano necessariamente costituire l’oggetto della valutazione, sia pure nella sola ottica disciplinare.

L’autonomia dei procedimenti, pertanto, non esclude che il fatto penalmente rilevante venga valutato con riferimento ad altri valori che, nel caso specifico, attengono al giuramento di fedeltà dell’osservanza delle leggi dello Stato e della Costituzione, ai doveri derivanti dallo status di militare, al disdoro all’Arma di appartenenza, alle conseguenze della condanna sia nei rapporti con i colleghi sia con riferimento al corretto svolgimento dei compiti d’istituto.

In ogni caso, per costante giurisprudenza amministrativa "la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente

comprensive

di

diverse

ipotesi

e,

pertanto,

spetta

all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza

disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità" (Con. Stato, Sez. IV, 26/ febbraio 2019, n. 1344 sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858; conf. id., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791; sez. VI 16 aprile 2015 n. 1968; sez. III 20 marzo 2015 n. 1537).

E’ del tutto pretestuosa, poi, l’asserita mancata valutazione di alcune circostanze in quanto la lettura degli atti del procedimento disciplinare evidenzia che l’amministrazione ha svolto una compiuta ed articolata istruttoria, previa acquisizione della maggior parte degli atti sui quali si sono basati i pronunciamenti giudiziali, procedendo ad un’autonoma valutazione della loro valenza probatoria in ordine agli addebiti contestati ed alla responsabilità del ricorrente, e dando puntualmente conto, con un diffuso e congruo apparato motivazionale, delle ragioni su cui poggia la gravata determinazione.

Il Collegio intende peraltro rimarcare che la misura disciplinare adottata con i provvedimenti impugnati appare appena adeguata al fatto commesso, attesa la gravità del comportamento e le circostanze di tempo e di luogo in cui è stato posto in essere nonché lo status di militare dell’istante.

4. Per quanto concerne, infine, la carenza di motivazione, si richiama il costante orientamento di questo Consiglio di Stato secondo cui l’atto ispettivo dell’Ufficiale inquirente assolve ad una funzione istruttoria che non né vincolante né per l’Autorità che ha disposto l’inchiesta né per quella competente a definire il procedimento.

Dalla lettura del contenuto dell’atto impugnato emerge chiaramente che, sia pure in forma sintetica in relazione anche alla conoscenza di tutti gli atti del provvedimento da parte dell’incolpato, sono indicate le circostanze di fatto, i relativi richiami normativi ed indicati i motivi che hanno determinato l’Amministrazione.

Il ricorrente, pertanto, disponeva tutti gli elementi necessari per comprendere l’iter

logico

giuridico

seguito

dall’Amministrazione

per

esercitare

compiutamente i propri diritti difensivi, come provano, peraltro, gli articolati motivi del ricorso.

In

merito,

infine,

all’asserita

contraddittorietà

del

comportamento

dell’Amministrazione, la successione temporale degli atti dimostra l’assoluta logicità

e

coerenza

dei

provvedimenti

adottati

nel

tempo.

Invero,

nell’immediatezza dei fatti: - con decreto n. 03340/3-9/2007 del 16 agosto 2007 l’interessato è stato sospeso precauzionalmente dall’impiego a titolo obbligatorio; - con decreto n. 287/3_9/2009 del 3 agosto 2009 veniva revocata la sospensione precauzionale obbligatoria a decorrere dal primo agosto e adottata la sospensione precauzionale facoltativa dall’impiego; - soltanto a seguito dell’intervenuta assoluzione in primo grado per i reati di “atti osceni” e “violenza sessuale” quest’ultimo provvedimento veniva revocato.

Per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato infondato.

L’esame della richiesta di sospensione cautelare dell’efficacia dell’atto impugnato resta assorbito.

P.Q.M. esprime il parere che il ricorso debba essere dichiarato infondato.

L'ESTENSORE Saverio Capolupo

IL PRESIDENTE Mario Luigi Torsello

IL SEGRETARIO Giuseppe Testa Gentile utente La ringraziamo per averci contattato, ma la consultazione del documento da lei richiesto è riservato ai nostri sostenitori che risultano in possesso delle credenziali di accesso al portale www.laboratoriopoliziademocratica.it

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