Tar 2019: “diritto alla retribuzione spettante per il tempo impiegato a indossare e svestire l’unifo

Tar 2019: “diritto

alla retribuzione spettante per il tempo impiegato a indossare e svestire l’uniforme di servizio, c.d. “tempo tuta”, Pubblicato il 15/07/2019 N. 01016/2019 REG.PROV.COLL. N. 00588/2015 REG.RIC.

R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente SENTENZA

ex artt. 71-bis e 74 cod. proc. amm., sul ricorso numero di registro generale 588 del 2015, proposto da x contro Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Bari, via Melo, n. 97; per il riconoscimento dei seguenti diritti dei ricorrenti: 1) il diritto alla retribuzione spettante per il tempo impiegato a indossare e svestire l’uniforme di servizio, c.d. “tempo tuta”, per un totale di 40 (quaranta) minuti giornalieri, o per il maggiore o minore tempo ritenuto di giustizia, da considerarsi come attività di lavoro straordinario, moltiplicati per la totalità dei giorni di lavoro svolti negli ultimi cinque anni dalla data del ricorso per le effettive giornate di presenza, o per il maggiore

minore numero di giorni ritenuti di giustizia; 2) il diritto dei ricorrenti a percepire la retribuzione dovuta per il tempo impiegato ad indossare e svestire gli abiti da lavoro per un totale di 40 (quaranta) minuti giornalieri, o per il maggiore o minore tempo ritenuto di giustizia, da considerarsi come attività di lavoro straordinario, per ogni giornata di effettiva presenza dalla data del ricorso sino al termine della vita lavorativa da corrispondersi unitamente alle competenze mensili; 3) in subordine, nell’ipotesi che il tempo impiegato per le operazioni di vestizione e vestizione sia considerato retribuibile come attività di lavoro ordinario, perché sia accertato e dichiarato il diritto dei ricorrenti a percepire la retribuzione dovuta per il tempo impiegato a indossare e svestire gli abiti da lavoro per un totale di 40 (quaranta) minuti giornalieri, o per il maggiore o minore tempo ritenuto di giustizia, moltiplicati per la totalità dei giorni di lavoro; nonché per la condanna del Ministero intimato a versare ad ogni ricorrente una somma pari agli emolumenti dovuti; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2019 il dott. Orazio Ciliberti e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO I – I ricorrenti, sottufficiali e graduati in servizio permanente effettivo dell’Esercito italiano, obbligati a indossare l’uniforme di servizio - in ossequio al Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. n. 66/2010), art. 1351, a tenore del quale “Durante l'espletamento dei compiti di servizio e nei luoghi militari o comunque destinati al servizio è obbligatorio l'uso dell'uniforme, salvo diverse

disposizioni”, nonché in applicazione del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), artt.

720, 746 e 751, commi 33 e 34, e della Direttiva n. 6566 recante “Regolamento sulle uniformi dell’esercito” (ed. 2009) - svolgevano l’orario di lavoro del personale militare, articolato in 36 ore settimanali e le attività giornaliere, dalle 08:00 alle 16:30, dal lunedì al giovedì (con intervallo di 30 minuti per la consumazione del pasto) e dalle 08:00 alle 12:00, il venerdì, attestando dunque presenze, inizio e fine della loro attività lavorativa, mediante i sistemi elettronici o meccanici (badge) di registrazione d’ingresso e uscita del personale. Essendo i medesimi tenuti a osservare l’orario di lavoro e a iniziare l’attività lavorativa con indosso l’uniforme di servizio, autorizzati a svestirla solo dopo la fine dell’orario lavorativo, essi ritengono che il tempo impiegato per indossare la divisa negli spogliatoi della Caserma o Ufficio di appartenenza sia da considerarsi lavoro effettivo e debba essere a qualche titolo retribuito.

Insorgono, con il ricorso indicato in epigrafe, per chiedere il riconoscimento dei seguenti diritti: 1) il diritto alla retribuzione spettante per il tempo impiegato a indossare e svestire l’uniforme di servizio, c.d. “tempo tuta”, per un totale di 40 (quaranta) minuti giornalieri, o per il maggiore o minore tempo ritenuto di giustizia, da considerarsi come attività di lavoro straordinario, moltiplicati per la totalità dei giorni di lavoro svolti negli ultimi cinque anni, dalla data di notifica del ricorso per le effettive giornate di presenza, o per il maggiore minore numero di giorni ritenuti di giustizia; 2) il diritto a percepire la retribuzione dovuta per il tempo impiegato a indossare e svestire gli abiti da lavoro per un totale di 40 (quaranta) minuti giornalieri, o per il maggiore o minore tempo ritenuto di giustizia, da considerarsi come attività di lavoro straordinario, per ogni giornata di effettiva presenza dalla data del ricorso sino al termine della vita lavorativa, da corrispondersi unitamente alle competenze mensili; 3) in subordine, nell’ipotesi che il tempo impiegato per le operazioni

di vestizione e svestizione sia considerato retribuibile a titolo di lavoro ordinario, perché sia accertato e dichiarato il diritto dei ricorrenti a percepire la retribuzione dovuta per il tempo impiegato a indossare e a svestire gli abiti da lavoro per un totale di 40 (quaranta) minuti giornalieri, o per il maggiore o minore tempo ritenuto di giustizia, moltiplicati per la totalità dei giorni di lavoro. Chiedono, altresì, la condanna del Ministero intimato a versare a ciascun ricorrente una somma pari agli emolumenti dovuti. Deducono l’applicazione della normativa di settore ((D.Lgs. n. 66/2010 art. 1351, D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, artt. 720, 746 e 751, commi 33 e 34, e della Direttiva n.

6566 recante “Regolamento sulle uniformi dell’esercito” - ed. 2009), nell’interpretazione data dalla giurisprudenza civile e amministrativa in materia di orari delle prestazioni di lavoro del pubblico dipendente.

Con successiva memoria, ribadiscono e precisano le proprie deduzioni e conclusioni.

Si costituisce il Ministero intimato, deducendo, anche con successiva memoria difensiva, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. Conclude per la reiezione.

Con atto del 20.7.2015, il ricorrente Rizzo Roberto dichiara di rinunciare al ricorso.

Con istanza del 16.1.2018, i restanti ricorrenti chiedono il prelievo, ai sensi dell’art. 71-bis c.p.a., di guisa che viene fissata la camera di consiglio del 10 luglio 2019, nella quale il Collegio introita la causa per la decisione in forma semplificata.

II – Preso atto della rinuncia al ricorso da parte di uno dei ricorrenti, va detto che il ricorso è palesemente infondato.

III – Gli interessati lamentano la mancata corresponsione di somme invocate al fine di remunerare le operazioni di cambio d'abito avvenute fuori dall'orario lavorativo. Tali attività sarebbero, a giudizio dei ricorrenti, da intendersi, ipso

facto, come attività lavorative prestate in regime di lavoro straordinario (o, in subordine, ordinario), conseguentemente suscettibili di retribuzione. A sostegno delle proprie pretese, i ricorrenti rappresentano quanto segue: 1) per ogni giornata lavorativa, essi hanno l'obbligo di cambiare i propri abiti con quelli da lavoro prima di recarsi presso la macchina rilevatrice delle presenze in servizio e tale procedura viene ripetuta a ritroso, a termine della giornata lavorativa; 2) l’attività sarebbe da qualificarsi come lavorativa, poiché nel corso delle operazioni di vestizione e svestizione i lavoratori sarebbero a disposizione del proprio datore di lavoro, nell’esercizio delle proprie attività e funzioni; 3) tali procedure durerebbero circa 20 minuti per fase (vestizione e svestizione).

Siffatta prospettazione argomentativa non è meritevole di essere condivisa. Non è affatto vero che, nel corso delle operazioni di vestizione e svestizionenegli spogliatoi della caserma, i militari siano a disposizione del proprio Comando (datore di lavoro) e siano ancora nell’esercizio delle proprie attività e funzioni.

IV - Nell’ambito delle Forze armate, l’orario di lavoro può essere definito come l'arco temporale durante il quale è sviluppata l'attività lavorativa presso i diversi Uffici e Organismi, con facoltà dei Comandi di modificare, fatto salvo l'orario settimanale complessivo (36 ore), l'orario delle attività giornaliere in relazione all'assolvimento dei compiti istituzionali. È obbligatoria la rilevazione oggettiva della presenza giornaliera per tutto il personale - dirigente e non - mediante l'utilizzo di sistemi elettronici o meccanici al cui uso, tra l'altro, è subordinata l'erogazione dei compensi per lavoro straordinario al personale.

Da nessuna norma o disposizione, relativa al rapporto di lavoro in seno alle Forze armate, è prevista una fase di "passaggio" dall'abito civile all'uniforme (e viceversa, da questa a quello), né esistono prescrizioni o direttive indicanti il luogo dove l’operazione debba essere eseguita (ad esempio, presso la propria abitazione piuttosto che in Caserma).

A ciò si aggiunga che il personale militare è obbligato a indossare l’uniforme per tutto il tempo in cui è in servizio, il che implica che, ove nel corso del suddetto servizio esso eseguisse operazioni di vestizione e svestizione, sarebbe passibile di sanzione disciplinare. È, pertanto, evidente che l’operazione di vestizione o svestizione avvenga in un momento esterno alla fascia lavorativa, antecedente o successivo all’orario di servizio. Nelle menzionate fasi, il personale non può reputarsi a disposizione della parte datoriale, non potendo quest’ultima ottenere il rispetto di alcuna disposizione, fintanto che il personale non abbia indossato l’uniforme.

Nell'uniforme risiede un aspetto qualificante dello status di militare, non necessariamente legato allo svolgimento dell'attività di servizio, prevedendosi quale diritto l'opzione (non l'obbligo) di smettere la divisa per vestire l'abito civile fuori dai luoghi militari, durante licenze e permessi.

Appare evidente come, partendo dal principio di specificità del CompartoDifesa, riconosciuto dal legislatore attraverso le menzionate norme e i citati regolamenti, l’Amministrazione non debba riconoscere le pretese dei ricorrenti.

V – In conclusione, il ricorso è infondato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, perché infondato.

Prende atto della rinuncia di Rizzo Roberto e, con riguardo alla posizione del medesimo, compensa le spese del giudizio.

Condanna i restanti ricorrenti, in solido tra loro, alle spese del giudizio, liquidate in euro 1.000,00, oltre Iva e accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2019, con l'intervento dei magistrati: Orazio Ciliberti, Presidente, Estensore Giacinta Serlenga, Consigliere Rosaria Palma, Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE Orazio Ciliberti

IL SEGRETARIO