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ART.CONTAINER Renzo Piano risale ai tempi della rappresentazione del Prometeo di Luigi Nono, nel 1984, opera che ha visto uniti molti dei personaggi che oggi hanno partecipato alla realizzazione di quest’opera. Da allora i due hanno più volte affrontato il tema dell’allestimento di uno spazio per la Fondazione, ma solo ora, dopo la morte sia di Emilio che di Annabianca, le loro idee hanno preso corpo. Sia il progetto di restauro che la proposta espositiva sono stati pensati con così tanta accortezza e delicatezza che, come dichiara la Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna, Renata Codello: “la sua approvazione è avvenuta senza che fosse apportata alcuna modifica, nonostante lo spazio, in cui si incontreranno l’opera di Vedova e l’ingegno di Renzo Piano, sia uno tra i più antichi ed evocativi della città”. La novità di questo spazio consiste nel fatto che non sarà più lo spettatore ad andare verso l'opera bensì sarà l’opera che andrà incontro allo spettatore. Questa affermazione però non deve sviare, non si deve assolutamente pensare a una fissità del visitatore, perché questi potrà percorrere il lungo piano inclinato in legno, che lontanamente ricorda il ponte di una nave, e a sua volta avvicinarsi alle opere esposte. Le tele verranno alternate secondo cicli che consentiranno al pubblico di conoscere l'intero lavoro dell’artista. Lavoro che vedranno “vibrare” nell’aria e che con lentezza e delicatezza, scorrendo lungo le capriate, vedranno raggiungere la postazione prestabilita. Dopo essere state ammirate, le opere torneranno nel loro deposito lasciando il passo a un’altra serie di lavori. La macchina di movimentazione dei quadri ha un braccio meccanico molto sensibile che preleva le opere dallo stoccaggio e le accompagna sempre delicatamente alla postazione prevista dal piano espositivo, che pertanto può variare. La prima navata dei Magazzini del Sale magistralmente restaurata, ospita la macchina robotizzata, perno del funzionamento dello spazio espositivo, ma ha anche un sistema di regolazione per garantire un ottimale ecosistema di conservazione delle opere, con sonde geotermiche che ne regolano il consumo energetico. Anche l’illuminazione, così come la cli28 DESIGN +

Uno scenario in movimento La tecnologia caratterizza lo spazio della Fondazione Vedova

La macchina di stoccaggio delle opere di Emilio Vedova, in uso nei Magazzini del Sale ha un nome, Rack, e ha una capacità di 30 opere. Un particolare trasloelevatore deposita e preleva le opere dalle locazioni di stoccaggio. I movimenti di questo braccio sono calibrati da microprocessori che fanno sì che i movimenti siano precisi e dolci. Per esporre le opere nello spazio espositivo sono state progettate 10 navette di trasporto e posizionamento, veri e propri organi semoventi, che correndo lungo un binario ancorato alle capriate, percorrono longitudinalmente tutta l’area fino a lasciare l’opera lì dove l’operatore ne aveva previsto il posizionamento, abbassandola all’altezza dello spettatore. Il tutto è gestito da un software creato appositamente che permette al curatore della mostra di decidere la sequenza di esposizione. L’opera è stata eseguita dalla Metalsistem secondo le rigide direttive di Germano Celant.

matizzazione dell’ambiente, sono completamente computerizzati e controllati secondo un programma di bassi costi manutentivi e di sostenibilità dell’opera. In questa serie di accortezze rientra in pieno anche l’uso del legno di larice, essenza tradizionalmente in uso nelle costruzioni venete, per i pavimenti leggermente inclinati che hanno sostituito quelli vecchi in pietra e le pareti dei vani tecnici. Funzionalità, qualità estetica e facilità di manutenzione sono quindi le tre categorie presenti nel progetto, categorie che garantiscono la lettura di quelle opere che Emilio Vedova sognava esposte nel suo spazio voltato, dai muri in mattoni e dal caratteristico scheletro ligneo della copertura. (di Mercedes Caleffi) Sopra e a destra alcuni particolari degli interni dello spazio Vedova nel Magazzino del Sale, uno dei nove Saloni trecenteschi alle Zattere

Foto di Vittorio Dozzo

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