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DESIGN+ “Poste Italiane Spa, spedizione in abbonamento postale 70% - DCB - Bologna” - N. 1 - luglio 2009

RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI BOLOGNA

Parigi: i dieci progetti per Grand Paris La ricostruzione del Neues Museum. Fuksas e la Chiesa di Foligno L’Urban Center di Bologna. Renzo Piano e la Fondazione Vedova Fotografia e Architettura italiana in mostra a Londra

N.1




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CONTENUTI

DESIGN +

44 Neues Museum La sua rinascita Il restauro del museo berlinese ad opera dello studio inglese David Chipperfield Architects

60 Grand Paris in progress I dieci progetti che concorrono per la riqualificazione urbana e periferica di Parigi

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Piano, Vedova e le opere mobili

Riciclare gusci d’uovo

I nuovi spazi espositivi studiati da Renzo Piano per la Fondazione Vedova

L’idea di Nicolas Cheng che ha creato un set di cancelleria con gusci d’uovo

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Un restauro fatto ad arte

Nuovo tempio della musica

Punta della Dogana apre al pubblico dopo il restauro di Tadao Ando

Avrà un auditorium di 2.400 spettatori la nuova Filarmonica parigina di Jean Nouvel

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Seduti sulla carta

Spazio per l’architettura

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Sarà un riferimento per il dibattito e la ricerca la Casa degli Architetti di Firenze


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CONTENUTI

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Un involucro luminoso

Disobbedire alle regole

A Reggio Calabria sorgerà un centro televisivo culturale e sperimentale

Giulio Iacchetti, industrial designer milanese, tra i più importanti in Italia

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Un simbolo per Modena

Comunicare la città che cambia

Le ex Fonderie diventeranno un centro dedicato all’arte e alla scienza

L’Urban Center di Bologna, luogo d’informazione e confronto

52 Geometrie sacre Il progetto di Massimiliano Fuksas per la Chiesa di Foligno in Umbria

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Fotografare l’architettura

Anteprima

100 scatti esposti a Londra indagano il rapporto fotografiaarchitettura in Italia tra gli anni ‘20 e ‘60

Appuntamenti di arte, design e architettura in Italia, in Europa e nel mondo

90 Massimo Iosa Ghini

DESIGN + Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 7947 del 17 aprile 2009 Direttore Editoriale Alessandro Marata

Esplora il mondo della progettazione con fare critico ma sempre costruttivo

Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro

98 Gae Aulenti Un’architettura risultato di un intreccio di più saperi e consapevolezze

Responsabile Marketing Roberto Sanna Redazione Nullo Bellodi, Silvia Di Persio, Monia Fantini, Manuela Garbarino, Antonio Gentili, Claudia Gobbi, Enrico Iascone, Arianna Lancioni, Giulia Manfredini, Paola Mazzitelli, Francesco Montanari, Luca Parmeggiani, Duccio Pierazzi, Saura Sermenghi, Valeria Tancredi, Luciano Tellarini, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini, Marco Zappia Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) - www.cantelli.net Via Saragozza, 175 - 40135 Bologna Tel. 051.4399016 - www.archibo.it

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EDITORIALE

IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA ETICA ED ESTETICA

A

volte ritornano. Anzi spesso. In Italia, madrepatria incontrastata dei lamentosi malati della sindrome nimby, trovano ampio spazio e anche, purtroppo, grande seguito. Usano parole quali: bello, tradizionale, qualità. Parlano di architettura come se parlassero di gastronomia o di sport e sono diffidenti verso ogni cosa che si discosti, anche di poco, dagli italici canoni. Sono molto sensibili all’innovazione, ma solo se si parla di telefoni cellulari o iPod. Accendono dibattiti anche molto violenti e creano tifoserie opposte per supportare i differenti punti di vista. E così si palesa una grande folla di sedicenti “architetti” che risulta seconda, per numero, solamente a quello degli allenatori della nazionale di calcio. Dove si annidano questi nuovi conformisti della cultura light? Tra gli amministratori, i committenti, gli imprenditori e anche, purtroppo, tra i progettisti. Questo il desolante panorama del dibattito architettonico in Italia. Anche in campo editoriale si assiste ad una rinnovata attenzione a parlare di architettura da parte di autori che nella vita, normalmente, si occupano di altro. In questo caso, però, il fenomeno è di notevole interesse. Da questi operatori della conoscenza vengono considerazioni e critiche al mondo autoreferenziale di una larga parte della cultura architettonica di oggi. Purtroppo non sempre sono critiche utili e costruttive e non sempre raggiungono lo scopo prefisso. A volte provocano danni enormi alla già molto difficile affermazione dell’architettura contemporanea in Italia. Altre volte, invece, propongono considerazioni molto utili e stimolanti. È il caso del libro di Francesco Bonami, che appartiene al mondo dell’arte e che in Dopotutto non è brutto, aiuta il lettore, con grande lucidità a districarsi tra il brutto, il bello, la difesa della tradizione, il senso estetico degli italiani. Ad esempio, parlando del nuovo grattacielo progettato da Renzo Piano per Torino, a proposito del concetto di skyline, osserva che il fatto che il profilo di una città sia piatto non ne garantisce la bellezza. Per contro, un edificio alto non rovina necessariamente lo skyline di una città, se è ben progettato ed utile per i cittadini. Osservazione chiara e semplice? Sì. Scontata? Mica tanto. Bonami termina il capitolo augurandosi che i “cittadini verticali” possano aver la meglio sui “cittadini piatti”, così come avvenne ai tempi di Antonelli e della Mole. Passando alla questione dell’Ara Pacis e della sua paventata demolizione dice poi che, sebbene non sia un capolavoro, non fa nemmeno del tutto schifo; “… si poteva fare meglio, ma si poteva anche fare peggio e il Vittoriano è prova scientifica che il peggio esi-

ste, è possibile e vive tra di noi”. Prosegue poi con Isosaki a Firenze, Calatrava a Venezia e altri casi emblematici dell’italica ignoranza da retrocultura conservatrice. Architetture dell’assurdo è una interessante fatica editoriale di John Silber, che pur occupandosi, nella vita, di filosofia e diritto, in questo libro descrive le aberranti derive che hanno spostato il centro di interesse di un’opera architettonica verso lidi non condivisibili. I motivi? Il deliberato disprezzo, da parte di alcuni tra i più famosi architetti contemporanei , nei confronti dei committenti e dei fruitori dei loro edifici. Propone di non confondere gli artisti con coloro che progettano pensando che l’architettura sia una disciplina che deve tener conto di molteplici fattori ognuno dei quali concorre alla sua sostenibilità declinata nelle sue tre componenti; sociale, architettonica e ambientale. A sentire lui, i primi, gli artisti, sono capricciosi, indifferenti al grado di soddisfazione dei fruitori e interessati a comparire sulle copertine delle riviste di architettura. Anche Franco La Cecla, sulla carta antropologo culturale, nei fatti profondo conoscitore della nostra disciplina, si scaglia contro l’architettura delle archistar, colpevoli di trattare la loro produzione come fosse un brand commerciale, con il bel risultato di peggiorare, invece di contribuire a migliorarla, la qualità della vita e, di conseguenza, dell’abitare del cittadino. Un critico d’arte, un filosofo, un antropologo; potremmo farci illuminare da tanti altri non architetti, ma forse le considerazioni possono essere sufficienti per proporre una sintesi.Più etica, meno estetica? Propongo di non chiedere meno estetica. Ce n’è bisogno e la quantità è giusta. Ma sicuramente c’è bisogno di molta più etica. Mai come in questo periodo, queste parole sono state così attuali e importanti. Il ruolo e la responsabilità del progettista in termini di sviluppo sociale sostenibile del pianeta, richiedono che l’architetto sia al centro dell’azione. Cerchiamo di non perdere questa epocale occasione che la società e la cultura contemporanea mettono nella mani degli architetti. Cerchiamo di reindirizzare il timone nella giusta direzione e procediamo con serietà, spirito innovativo e volontà di cambiamento. Ma, come direbbe Gillo Dorfles, del quale abbiamo l’onore di ospitare alcuni pensieri globali in questo numero: attenzione... il conformista si aggira attorno a noi! Alessandro Marata

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PENSIERI.GLOBALI

Gianfranco Maraniello

«Oggi l’arte tende a farci riflettere su quel che accade e spesso ci delude: ci sbatte in faccia il nostro mondo e, anziché farci sognare, ci disillude»

L

In uno spazio museale, punto di arrivo di nuove dinamiche culturali, laboratorio di conoscenza e sviluppo, luogo del pensare la cultura per il territorio e nel territorio, quali sinergie si creano?

In primo luogo si tratta di osservare la natura del museo di riferimento. Nel nostro caso si tratta di un’agenzia dedicata alla sperimentazione, conservazione e formazione di uno specifico ambito di ricerca dell’arte. Il moderno è per definizione una questione aperta, tesa alla necessità di continua revisione, investigazione, ripensamento produttivo. Ovviamente tutto ciò si declina nelle caratteristiche e nella contingenza dei suoi luoghi di produzione. Occorre uno strabismo che ci aiuti a tenere insieme l’esperienza del territorio in rapporto a dinamiche di più ampio respiro, non solo da un punto di vista geografico, ma anche nel solco in cui si incrociano altre discipline e aree di intervento per creare quelle “sinergie” che, ad esempio, sono state previste già nell’idea di collocare il MAMbo all’interno della Manifattura delle Arti. Non a caso sono già intensi i rapporti con Cineteca e Università.

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Carlo Scarpa scrisse “saper mostrare”. Oggi, forse è cambiato il modo di pensare un allestimento. La galleria è diventato luogo di eventi. Quali stimoli oggi uno spazio museale ha bisogno di produrre per attrarre più visitatori?

Nell’arte contemporanea l’allestimento non può essere un display per valorizzare l’opera. Il contesto, lo spazio, la relazione con il luogo e il pubblico sono già tematizzati dagli artisti. Come per tutti i saperi e le arti della nostra epoca, si dà ragione del proprio fare, si interrogano i fondamenti, si propone un’analitica dell’opera sapendo che questa non è immune dalle sue condizioni di accadimento, anzi talvolta finisce con il coincidervi. Tutto il sapere del Novecento ha rivelato l’inscindibilità di contenuti e modi di esperienza. Nell’arte non ci sono solo opere da mostrare, ma si compie un esercizio che non può ingenuamente lasciarsi veicolare dall’allestimento di un progettista. Il saper mostrare non è una delega al saper-fare di altri. Il museo è un luogo in cui questa sensibilità deve essere tenuta presente e mantenuta aperta, senza una formula da applicarsi meccanicamente. In un recente seminario mi è capitato di esporre alcuni casi pratici di problemi di allestimento. Uno di questi può forse tornare qui utile per spiegarmi meglio. Tra le opere più rilevanti nell’arte concettuale c’è la celebre One and Three Chairs di Joseph Kosuth che presenta una sedia, la sua riproduzione fotografica e, affissa a parete, la definizione da dizionario di “chair”(sedia). Molto si è scritto di questo lavoro, della sua capacità di sollecitare l’attenzione su temi ontologici, cognitivi, linguistici. Nella trinità in cui la “cosa” è coimplicata dalla sua rappresentazione e dalla dialettica con il concetto di “sedia”, si comprende che l’opera e la sedia stessa non si riducono a una delle tre ipostasi con cui possiamo intendere l’oggetto proposto da Kosuth, ma viene agito nella riflessione e nel permanente rinvio segnico tra queste, come del resto viene già alluso dal titolo che ci indica contemporaneamente “una e tre” sedie. A questo punto diviene fondamentale capire cosa accade quando l’opera viene esposta in un museo. Mi pare evidente che se si intende presentare il lavoro in modo consapevole non è indifferente pensare al ruolo della didascalia che normalmente si appone accanto ai lavori e occorre comprendere quali effetti provoca rispetto a questa specifica opera. Da una parte il titolo è fondamentale nella natura del lavoro, dall’altro si introduce un quarto elemento nella coerenza e nella complementarità di concetto-cosaimmagine attraverso l’introduzione della didascalia. Può considerarsi un mero strumento informativo o non finisce con l’interferire con l’opera stessa? Bisognerebbe eliminarla o sostituirla con altro? La soluzione non è univoca, ma occorre sapere che qualsiasi formula si adotti, questa finirà con l’implicare un ruolo attivo del museo

Gianfranco Maraniello è Direttore dell'Istituzione Galleria d'Arte Moderna di Bologna che comprende MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna, Museo Morandi, Villa delle Rose e il Museo per la Memoria di Ustica. È stato curatore del MACRO (2002-2005) e del Palazzo delle Papesse - Centro Arte Contemporanea di Siena (2000-2001). Nel 2006 ha curato la Biennale di Shanghai. Dal 2001 al 2005 ha insegnato Estetica dei Nuovi Media all'Accademia di Belle Arti di Brera.

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nell’interpretazione e non solo nella presentazione dell’opera. Questa è la fondamentale necessità per un approccio non solo spettacolare rispetto al saper-mostrare del museo. Anche la preoccupazione di attrarre molto pubblico è un sintomo della confusione tra museo e luogo di eventi, termine che oggi è scaduto a dispetto di una nobile interpretazione che ha caratterizzato anche la tradizione filosofica più recente. Il problema della quantità di pubblico, però, è legato a una tipica inversione dei termini del problema come spesso accade nella nostra società tecnocratica. Anziché incoraggiare e sensibilizzare verso ciò che, sperimentale, per definizione non può essere popolare, i media creano modelli insostenibili e di scarso rilievo scientifico, proponendo continuamente come grandi eventi ciò che nulla ha a che fare con la produzione culturale, che non crea patrimonio né storia e che, a breve termine, ha addirittura effetti devastanti sulle economie locali.

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L’arte, si sa, ha assimilato, nel suo processo creativo, il linguaggio dei media. Quanto conta, invece, per lo spazio espositivo lo sviluppo di un giusto linguaggio mediatico?

C’è da considerare che oggi i musei propongono anche azioni a distanza, producono al di fuori della loro sede espositiva, hanno un sito internet, sono editori di vari materiali in digitale. Chiaramente i media non sono trascurabili per le nostre attività.

L

In un momento in cui l’arte è concettuale, il concetto di bello, storicamente tanto legato all’idea di arte e della sua esperienza, è cambiato?

Questo accade da lungo tempo, altrimenti ci troveremmo solo nell’idealità di un permanente neoclassicismo. Ma non è solo l’arte ad avere cambiato e spesso ignorato il concetto di bello. Il funzionalismo e la tecnocrazia imperanti hanno modificato comportamenti, gusti e sensibilità in tutti gli aspetti del nostro vivere quotidiano che viene estetizzato dal design, mentre l’arte ha, piuttosto, la tendenza a riflettere su quel che accade ed è per questo che spesso ci delude: ci restituisce e sbatte in faccia il nostro mondo e, anziché farci sognare, ci disillude.

L

L’idea di museo, oggi più che mai, sembra legata a quella di edificio simbolo, allo spazio che ha intrinsecamente la capacità di attrarre. Lei cosa ne pensa?

In generale pensiamo alla spettacolarità di questi nuovi edifici, spesso alla sola facciata, ma solo perché è più complesso per il giornalismo odierno trovare modi e tempi per fare altro. Così si finisce con il parlare sempre delle stesse cose, confermare cliché e, tra questi, quelli di una progettualità dominata dalle archistar: una semplificazione riduttiva della ricerca odierna che è analoga a quelle delle “grandi mostre”.

L L

Quanto l’arte può essere il giusto investimento per dare una nuova spinta all’economia di una città?

Tanto quanto la ricerca scientifica e tecnologica per un Paese. Il problema va inquadrato nei medesimi termini.

L’Italia e la poca conoscenza del linguaggio artistico contemporaneo. Cos’è importante fare, secondo lei, affinché questa lacuna venga colmata?

Occorre non rinunciare alla coerenza e alla forza progettuale, ma senza illusioni. È difficile pensare che ci siano attualmente le condizioni per trattare seriamente non solo l’arte contemporanea, ma l’idea stessa di cultura in un’epoca in cui la banalità del quotidiano ci ha anestetizzato. Ognuno deve trovare le motivazioni per fare il proprio: non c’è una ricetta, nemmeno invocando l’importanza della scuola se questa stessa viene ormai ridotta ad agenzia formativa in vista dell’“ingresso nel mondo de lavoro” e non un ginnasio di buoni cittadini.

L

Oggi per un museo è sempre più difficile avere un programma di acquisizione, a causa della crisi economica e dell’elevato costo delle opere d’arte. Com’è riuscito ad attuarne uno per il MAMbo?

Sfruttando la sintonia con investimenti di altri soggetti a cui offrire in partnership le nostre competenze. E dirottando parte delle risorse disponibili sull’arricchimento di un patrimonio, anziché sugli eventi. Con UniCredit, ad esempio, scegliamo di produrre opere di artisti in occasione di importanti momenti delle loro carriere. La nostra consulenza qui è fondamentale e il gruppo bancario investe per destinare i lavori al museo pur mantenendo la proprietà delle opere. Ne beneficiamo tutti, compreso il pubblico, gli artisti e le gallerie che, seppur vendendo a prezzi inferiori a quelli di mercato, ottengono un riconoscimento istituzionale spendibile per altre operazioni. Inoltre abbiamo realizzato una politica di acquisizioni mirata a integrare e a dare organicità alle raccolte già presenti nel museo, per valorizzare il patrimonio preesistente e offrire una prima storicizzazione della tradizione della Galleria d’Arte Moderna.

L

Le fiere d’arte, il relativo mercato, gli investitori. Tutto questo quanto condiziona il fare arte?

Molto, forse troppo. Ma i musei possono e dovrebbero sempre essere l’occasione di discriminazione scientifica di dinamiche assai complesse e da non sottovalutare.

L

Quali sono le regole, le categorie, le capacità applicate da una galleria nella scelta e quindi nell’acquisto di un’opera d’arte piuttosto che di un’altra?

Fermo restando che tutto ciò richiede ovviamente competenza e non regolette da applicare, ritengo che la cosa fondamentale sia avere un progetto complessivo in cui muoversi e che sia fondamentale partire dalla contingenza in cui si opera, dalla situazione ereditata e non da un’idea svincolata dal contesto di appartenenza. (di Iole Costanzo)

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PENSIERI.GLOBALI

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Vittorio Gregotti

«Il design si sta trasformando in “packaging”, mentre l’architettura punta ai successi mediatici. Bisogna ridare valore al senso della progettazione» L

La città: monumento dell’uomo. Come crescerà nel futuro e quali responsabilità e ruolo avrà l’architettura?

Architettura e disegno urbano si sono collocati molto in basso nel sistema di valore del pubblico medio. Tanto in basso da essere oggetto di pubblicazione sui settimanali di moda. Alla capacità di mediazione sociale peraltro l’architettura sembra aver rinunciato.

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L’urbanistica. I piani. L’architettura. Oggi esiste ancora una possibilità di dialogo tra le parti?

Mai come in questi anni l’urbanistica (attività diversa da quella della pianificazione territoriale) e quella parte dell’architettura che si pensa come responsabile di un civile dialogo con il contesto urbano sono state unite.

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La città italiana del ‘900 e la sua espansione da riprogettare e ricucire. Quali sono le strade da seguire?

Le città italiane (ma direi in generale la città europea) possono essere caratterizzate dalla diversità con cui è necessario dialogare con ciascuna in modo specifico per pensare il loro sviluppo. Uno sviluppo abituato da secoli ad un internazionalismo critico fondato proprio sulla loro differenza.

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Il cittadino riesce oggi a identificarsi con i luoghi pubblici e la città in cui vive?

Nella città contemporanea la nozione stessa di “cittadino” si è andata indebolendo. Città e cittadini sembrano non più identificarsi reciprocamente. Di questo sono responsabili architetti e istituzioni che lavorano per la privatizzazione dello spazio pubblico ma massimamente l’omogeneità dei comportamenti collettivi indotti dalle comunicazioni di massa.

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L’architettura, il design e l’arte si rincorrono seguendo la stessa filosofia di comunicazione estetica. I linguaggi specifici di queste discipline forse in futuro tenderanno sempre più a unificarsi. Cosa potrebbe comportare ciò?

Sarebbe una disgrazia fatale all’architettura che già oggi per ottenere successi mediatici tende a ridursi ad oggetto ingrandito. Quanto al “design”, la sua funzione sembra trasformarsi progressivamente in “packaging”. Con le rare, dovute, eccezioni.

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Crede che l’avvento della tecnologia digitale nella fase della progettazione abbia apportato un cambiamento migliorativo o peggiorativo nell’ambito dell’architettura?

Altamente migliorativo sul piano dell’efficienza produttiva e altamente peggiorativo per quanto riguarda il mondo dell’immaginazione. Al di là della grave perdita della capacità del disegno.

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Il libro di Franco La Cecla “Contro l’architettura” accusa l’architettura di essersi ridotta a puro marchio e strumento mediatico. Cosa pensa lei di questa tesi?

Ha ragione, ma non deve prendersela con l’architettura ma con gli architetti.

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Lei polemizza spesso sull’uso che si fa del termine “creatività”. Perché?

Perché una volta era una capacità divina e comunque eccezionale ed oggi la si attribuisce indifferentemente a tutto: cioè la si riduce a nulla.

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Si parla sempre di grandi architetti e di grandi progetti: auditorium, teatri, stadi, stazioni, grattacieli. Perché invece il genio architettonico non si cimenta più con l’edilizia popolare?

Perché il nostro governo ha rinunciato ad occuparsene da anni e perché l’edilizia popolare richiede un rigore progettuale ormai sconosciuto alle prospettive di successo mediatico. (di Roberto Sanna)

Vittorio Gregotti si è laureato in architettura nel 1952 al Politecnico di Milano. Dal 1953 al 1968 ha svolto la sua attività in collaborazione con L. Meneghetti e G. Stoppino. Nel 1974 ha fondato la Gregotti Associati, di cui è presidente. Dal 1997 è membro del BDA (Bund der deutschen Architekten) e dal 1999 è membro onorario dell'American Institute of Architects. Nel 2000 ha ricevuto la medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica quale “Benemerito della scienza e della cultura”.

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PENSIERI.GLOBALI

Gillo Dorfles

«Il marketing condiziona il design. Oggi un oggetto dovrà rispondere non solo a esigenze pratiche e funzionali, ma anche simboliche ed edonistiche»

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L’eccesso di comunicazione uccide la nostra capacità di selezionare, scegliere e preferire nell’arte, nella musica, nell’architettura. Come possiamo difenderci?

Scegliere è diventata un’operazione molto difficile. Tutto dipende dal nostro gusto ma soprattutto dalla nostra preparazione. È la preparazione che ognuno di noi ha che ci aiuta a selezionare quello che vogliamo ascoltare e vedere.

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In un sistema informativo iperattivo come quello esistente, lei ci ricorda come l’intervallo, il silenzio e la pausa siano importanti per far sì che ciò che si è visto o sentito si comprenda fino in fondo.

Il problema dell’intervallo è un problema fondamentale in qualsiasi settore, non solo nell’ascolto. In altre parole, viviamo in un’epoca di sovraffollamento, e questo eccesso di formazione, di creazione e di manipolazione finisce per ottundere la nostra sensibilità. Dipende dall’individuo sapersi regolare ma non sempre succede che ci riesca.

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Nell’ambito del design, quanto la funzione e la linea costruttiva di un oggetto sono ormai soffocati da un’ornamentazione spinta?

Passata l’epoca caratterizzata da un eccesso di ornamentazione, si era giunti a un’epoca di purificazione eccessiva dove, per paura di esagerare nell’ornamento, si era finiti per creare un design sterile troppo monastico. Oggi c’è una ripresa verso l’ornamentazione anche dell’oggetto industrialmente prodotto: si tratta di sapersi barcamenare tra l’eccesso di severità e l’eccesso di edonismo, in pratica bisogna saper trovare un giusto equilibrio.

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L’oggetto industriale un tempo era pensato in relazione alla funzione. Oggi è sempre più borderline, instabile tra l’essere e il non essere opera d’arte. Quale sarà il suo futuro?

L’oggetto industriale non può non essere funzionale perché la sua esistenza stessa dipende dalla sua funzione. Sarà quindi merito, e anche compito, del designer sapersi regolare tra quello che è la pura funzionalità, che non è sufficiente, e quello che è l’estetica del prodotto, che del resto è indispensabile per attrarre il cliente. Entrambi sono indispensabili. Non dimentichiamo che alla base di qualsiasi oggetto industriale c’è il marketing, che è necessario per vendere questo oggetto, e che quindi dovrà rispondere non solo ad esigenze pratiche e funzionali, ma anche simboliche ed edonistiche.

L

Lei ha più volte detto che nel campo del disegno industriale “l’imitazione è alla base e dell’ispirazione”. Ma ha anche affrontato il tema dell’originalità eccessiva. C’è un legame tra questi due concetti?

Quotidianamente abbiamo davanti oggetti che sono l’imitazione di quelli precedenti, a cominciare da quello che si può chiamare “design senza progetto”, cioè oggetti elementari: dalla forbice al coltello. Questi sono i prototipi di quello che poi diventeranno gli oggetti progettati. Bisogna sempre cercare di essere a metà strada tra l’oggetto, per così dire, spontaneo e quello progettato dal designer.

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Esiste nel design e nell’architettura un’estetica avulsa dalla logica del mercato?

Credo che oggi sia impossibile fare a meno del mercato, e questo vale perfino per l’arte, non solo per il design. Dipenderà poi dalla presenza di giurie e di consulenze ben organizzate saper giudicare quello che è positivo o negativo al di là del valore mercantile.

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È stato proprio lei a segnalare quanto l’autoreferenzialità dei progettisti abbia portato anche a un’innovazione formale. Dunque, gli architetti super star, tanto criticati, hanno apportato del buono in questo campo?

Il fatto di avere una fantasia spigliata può sempre portare elementi di novità. C’è sempre una parte di esibizionismo, e questo ovviamente vale anche per i grandi architetti, però ciò non toglie che il valore autentico di questi architetti venga fuori lo stesso, anche se in parte accentuato da questa forte volontà di autopubblicizzarsi. (di Cristiana Zappoli)

Nato a Trieste nel 1910, filosofo e critico, studia a Roma e Milano. Si occupa di estetica, psicologia e psichiatria. Professore di estetica presso le Università di Trieste e di Milano, nel 1948 fu tra i fondatori del “Movimento per l'arte concreta” e nel 1956 diede il suo contributo alla realizzazione dell'ADI. Ha scritto numerosi saggi, tra cui ricordiamo “Il disegno industriale e la sua estetica” del 1963 e il suo ultimo lavoro, presentato quest’anno, “Arte e comunicazione”.

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Zanotti TAPPEZZERIA

di Nicola Berni

Nata piÚ di 30 anni fa, la tappezzeria Zanotti è una bottega artigianale che si occupa di tappezzeria di alta classe: rivestimenti di pareti in tessuto, rivestimenti di salotti antichi fissi e sfoderabili completamente lavabili, tendaggi di ogni tipo, dal classico al moderno, con utilizzo di elementi in ferro battuto. Esegue rifacimenti e restauri di poltrone e seggioloni antichi in cuoio e tessuto, fregi per paralumi in ferro battuto e, inoltre, la fornitura e messa in opera di zanzariere, tende da sole e tende tecniche. Nicola Berni da piÚ di 20 anni svolge questa attività , realizzando ogni lavoro a regola d'arte con grande cura e passione, secondo la tradizione della tappezzeria Zanotti.

Rivenditore autorizzato

Negozio: Via Vittorio Veneto, 34/A,B Laboratorio: Via Vittorio Veneto, 30/F 40131 Bologna - Cell. 339.8860547 Tel. 051.437910 - Fax 051. 435612


PENSIERI.GLOBALI

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Marco Buriani

«La crisi nel settore delle costruzioni durerà ancora un anno. Resistono però gli investimenti nel settore immobiliare. Più aiuto da banche e amministrazioni» L

La situazione economica italiana non è tra le più felici. La crisi entra anche nel campo dell’edilizia. Si vedono i primi segnali della stretta creditizia sulle piccole e medie imprese mentre assistiamo ad un aumento dei costi delle materie prime. Secondo lei quali sono state le cause?

Nel 2008, dopo 9 anni di crescita, per il settore delle costruzioni arriva una recessione che durerà fino al primo semestre 2010. Alla base della crisi vi è l’eccesso di finanziarizzazione dei mercati internazionali che colpisce il sistema bancario con conseguente riduzione del credito erogato alle imprese e alle famiglie. Negli ultimi anni anche il settore costruzioni ha sofferto a causa di intermediari che hanno operato sul mercato immobiliare a scopo esclusivamente speculativo. Ne è derivata un’artificiosa lievitazione delle quotazioni delle aree edificabili che ha limitato le capacità delle imprese di soddisfare le esigenze della domanda, nonché di investire risorse sulla qualità del progetto e del prodotto edilizio/immobiliare finale.

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Il settore delle costruzioni, se maggiormente aiutato in questo momento di difficoltà, potrebbe essere determinante per uscire dal tunnel e dare stabilità all’economia?

Sì, se si assegna all’edilizia pubblica e privata un ruolo di sostegno della domanda globale espressa dalle famiglie, dalle imprese e dalla Pubblica Amministrazione. Questa impostazione è condivisa, ma le scelte concrete delle Amministrazioni, dello Stato, delle Regioni non producono politiche incisive di rilancio della domanda pubblica e privata nel settore delle costruzioni. Da ultimo mi preme sottolineare che il valore degli immobili ha tenuto e ha contribuito a stabilizzare il patrimonio di famiglia e imprese. L’investimento nel settore immobiliare ha perciò mantenuto nel nostro paese il carattere di sicurezza patrimoniale ed economica che lo ha sempre caratterizzato.

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Quali sostegni offre l’ANCE di Bologna per assicurare un ruolo centrale alle imprese, affinché riescano ad ampliare il mercato e a rinnovarsi dal punto di vista organizzativo?

Contro la crisi abbiamo agito sul sistema creditizio cercando di evitare una traumatica ridefinizione delle regole di erogazione del credito alle imprese e alle famiglie che avrebbe accelerato gli effetti della crisi globale della domanda. Abbiamo inoltre sviluppato l’operatività del consorzio di garanzia collettiva Fidi (Fidindustria) nel settore delle costruzioni e definito nuovi specifici prodotti di garanzia concordati con Fidindustria e primari Istituti di credito del territorio, in grado di rendere più fluida l’erogazione del credito al settore delle costruzioni.

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Da parte del governo sono sempre più esigui i finanziamenti per l’edilizia pubblica. Che tipo di richieste l’ANCE pensa di fare alle amministrazioni pubbliche?

Abbiamo proposto loro di affidare i lavori pubblici fino a 500 mila euro, così come previsto dalla legge, attraverso rapide trattative private, riservate alle imprese radicate sul territorio comunale e provinciale e di accelerare l’attuazione dei piani dei lavori pubblici approvati e di qualificare il processo realizzativo dei lavori pubblici ricorrendo alla verifica delle offerte anormalmente basse. Sarebbe importante anche sbloccare il pagamento dei lavori eseguiti dalle imprese superando i vincoli, posti dal patto di stabilità. E così pure accelerare le procedure di approvazione dei piani urbanistici e dei permessi di costruire ancora troppo incerte.

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Con le problematiche che l’Abruzzo ha evidenziato è inevitabile chiedersi: quali garanzie oggi possono dare i costruttori per una qualità accertata?

Gli immobili che verranno costruiti nei prossimi anni stanno cambiando struttura, pelle, prestazioni. La normativa e l’impegno di ANCE Bologna vanno in direzione di un miglioramento della qualità delle costruzioni, dei materiali dell’impatto ambientale, anche attraverso la sensibilizzazione degli addetti del settore. (di Mercedes Caleffi)

Marco Buriani è Presidente della Sveco Buriani S.P.A, Costruzioni Cumuli S.r.l., Pentagruppo S.r.l., società operative nel campo della promozione di iniziative edilizie e immobiliari e della realizzazione di opere pubbliche. Marco Buriani è componente del comitato di Presidenza dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) e di Unindustria Bologna. È anche presidente di ANCEBOLOGNA – Collegio Costruttori Edili, la più importante associazione autonoma di imprese edili.

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E G N A L I

Foto di Michele Crosera

Renzo Piano in compagnia di Fabrizio Gazzarri, Direttore della Fondazione Vedova

PIANO, VEDOVA E LE OPERE MOBILI Venezia. Il canale della Giudecca. I Saloni, così li chiamavano i veneziani, gli antichi magazzini, che la Repubblica di Venezia utilizzava per conservare il sale. I magazzini che Emilio Vedova ha difeso da un possibile svuotamento interno, necessario alla collocazione di una piscina pubblica. Questi stessi magazzini, dopo tante vicissi-

tudini, a giugno sono stati inaugurati come spazi espositivi per le opere dell’artista Emilio Vedova, deceduto nel 2006. Lo spazio è stato curato dall’architetto Renzo Piano, amico dell’artista e da Germano Celant, Curatore Artistico e Scientifico della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. Il legame affettivo tra Emilio Vedova e

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ART.CONTAINER Renzo Piano risale ai tempi della rappresentazione del Prometeo di Luigi Nono, nel 1984, opera che ha visto uniti molti dei personaggi che oggi hanno partecipato alla realizzazione di quest’opera. Da allora i due hanno più volte affrontato il tema dell’allestimento di uno spazio per la Fondazione, ma solo ora, dopo la morte sia di Emilio che di Annabianca, le loro idee hanno preso corpo. Sia il progetto di restauro che la proposta espositiva sono stati pensati con così tanta accortezza e delicatezza che, come dichiara la Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna, Renata Codello: “la sua approvazione è avvenuta senza che fosse apportata alcuna modifica, nonostante lo spazio, in cui si incontreranno l’opera di Vedova e l’ingegno di Renzo Piano, sia uno tra i più antichi ed evocativi della città”. La novità di questo spazio consiste nel fatto che non sarà più lo spettatore ad andare verso l'opera bensì sarà l’opera che andrà incontro allo spettatore. Questa affermazione però non deve sviare, non si deve assolutamente pensare a una fissità del visitatore, perché questi potrà percorrere il lungo piano inclinato in legno, che lontanamente ricorda il ponte di una nave, e a sua volta avvicinarsi alle opere esposte. Le tele verranno alternate secondo cicli che consentiranno al pubblico di conoscere l'intero lavoro dell’artista. Lavoro che vedranno “vibrare” nell’aria e che con lentezza e delicatezza, scorrendo lungo le capriate, vedranno raggiungere la postazione prestabilita. Dopo essere state ammirate, le opere torneranno nel loro deposito lasciando il passo a un’altra serie di lavori. La macchina di movimentazione dei quadri ha un braccio meccanico molto sensibile che preleva le opere dallo stoccaggio e le accompagna sempre delicatamente alla postazione prevista dal piano espositivo, che pertanto può variare. La prima navata dei Magazzini del Sale magistralmente restaurata, ospita la macchina robotizzata, perno del funzionamento dello spazio espositivo, ma ha anche un sistema di regolazione per garantire un ottimale ecosistema di conservazione delle opere, con sonde geotermiche che ne regolano il consumo energetico. Anche l’illuminazione, così come la cli28 DESIGN +

Uno scenario in movimento La tecnologia caratterizza lo spazio della Fondazione Vedova

La macchina di stoccaggio delle opere di Emilio Vedova, in uso nei Magazzini del Sale ha un nome, Rack, e ha una capacità di 30 opere. Un particolare trasloelevatore deposita e preleva le opere dalle locazioni di stoccaggio. I movimenti di questo braccio sono calibrati da microprocessori che fanno sì che i movimenti siano precisi e dolci. Per esporre le opere nello spazio espositivo sono state progettate 10 navette di trasporto e posizionamento, veri e propri organi semoventi, che correndo lungo un binario ancorato alle capriate, percorrono longitudinalmente tutta l’area fino a lasciare l’opera lì dove l’operatore ne aveva previsto il posizionamento, abbassandola all’altezza dello spettatore. Il tutto è gestito da un software creato appositamente che permette al curatore della mostra di decidere la sequenza di esposizione. L’opera è stata eseguita dalla Metalsistem secondo le rigide direttive di Germano Celant.

matizzazione dell’ambiente, sono completamente computerizzati e controllati secondo un programma di bassi costi manutentivi e di sostenibilità dell’opera. In questa serie di accortezze rientra in pieno anche l’uso del legno di larice, essenza tradizionalmente in uso nelle costruzioni venete, per i pavimenti leggermente inclinati che hanno sostituito quelli vecchi in pietra e le pareti dei vani tecnici. Funzionalità, qualità estetica e facilità di manutenzione sono quindi le tre categorie presenti nel progetto, categorie che garantiscono la lettura di quelle opere che Emilio Vedova sognava esposte nel suo spazio voltato, dai muri in mattoni e dal caratteristico scheletro ligneo della copertura. (di Mercedes Caleffi) Sopra e a destra alcuni particolari degli interni dello spazio Vedova nel Magazzino del Sale, uno dei nove Saloni trecenteschi alle Zattere

Foto di Vittorio Dozzo

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Š Palazzo Grassi S.p.A., Orch Orsenigo_Chemollo

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Un restauro

fatto ad arte

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unta della Dogana, monumentale complesso della Città di Venezia, dopo il restauro dell’architetto Tadao Ando, apre al pubblico come nuovo centro di arte contemporanea gestito da Palazzo Grassi S.p.A.. L’edificio è caratterizzato da una struttura semplice e razionale, di forma triangolare, segue la forma della punta dell’isola di Dorsoduro. Gli interni ripartiti in lunghi rettangoli paralleli, ospiteranno le opere della vasta collezione di François Pinault. Il restauro ha previsto la rimozione delle aggiunte fatte nelle precedenti ristrutturazioni e ha anche riportato alla luce le pareti in mattoni e le capriate, dando modo così all’ambiente di ritrovare i segni tipici delle antiche usanze marinare. Grazie a una sapiente giustapposizione di elementi antichi e nuovi l’edificio fa dialogare passato, presente e futuro. Il design moderno degli infissi in acciaio e vetro ha infatti attinto dall’artigianato veneziano tradizionale.

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FAST.DESIGN

Seduti sulla carta

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Semplice carta resistente, schiuma di poliuretano e un tappo di plastica. Nasce così l’innovativa Pleated Pleat, la poltrona creata da Shay Alkalay e Yael Mer. Presentata quest’anno al Salone del Mobile di Milano, all’interno di Craft Punk rendendo in prestito una tecnica utilizzata nel campo della moda, il Raw - Edges Design Studio ha inventato la Pleated Pleat. La traduzione letteraria di questo nome è “piega piegata”. Si parla di una poltroncina realizzata con un materiale speciale, il Tyvek, brevettato da DuPont, simile alla carta ma molto più resistente. Questo materiale viene piegato più volte e riempito con una schiuma in poliuretano attraverso un buco che poi viene chiuso con il più classico dei tappi in plastica. In pratica si assiste alla trasformazione di un materiale rigido in qualcosa di elastico. I designer di queste innovative sedute sono un uomo e una donna: Shay Alkalay e Yael Mer. Entrambi sono nati a Tel Aviv nel 1976 e si sono conosciuti alla Bezalel Art & Design di Gerusalemme. Nel 2007 hanno aperto a Londra il Raw - Edges Design Studio. I due sono tra i designer del futuro premiati da Design Miami /Basel e le loro poltroncine sono state presentate, quest’anno, al Craft Punk, un’esposizione collegata al Salone del Mobile di Milano organizzata da Fendi, Design Miami e Ambra Medda. All’interno del loro studio londinese, Shay Alkalay e Yael Mer hanno un grande work shop dove spe-

rimentare e lavorare la materia, sostengono infatti che è solo toccando con mano i materiali, manipolandoli, che si riescono a conoscere a fondo. Essere innovativi, ma con intelligenza: questa è una delle più importanti caratteristiche dei due designer di Tel Aviv. I loro sono lavori intuitivi e allegri, molto colorati, dedicati agli amanti delle cose semplici. Per esempio la cassettiera Stack, una pila di cassetti mobili colorati, mezzi aperti per suscitare curiosità, senza montanti che s’innalza fino a 13 livelli. Oppure i Milk Cartons, dei contenitori per il latte che oltre ad assolvere alla propria funzione si pongono come oggetti d’arredamento. Fino ad arrivare ad una casa “a testa in giù”, la Bat House, una casa per i pipistrelli. E l’inventiva della coppia non si limita agli oggetti che si trovano in casa: nel 2006 hanno ideato l’Evacuation Skirt , un progetto di design per l’emergenza, ma dall’aspetto decisamente particolare: un costume con gonna incorporata che si gonfia come un salvagente, realizzato dopo l’uragano di New Orleans. Il loro obiettivo è quello di creare qualcosa di inusuale partendo da oggetti e mobili di uso quotidiano. E lo fanno cominciando a mettere su carta l’idea originale per poi cambiarla pochissimo, in modo da svilupparla senza tradirla, lasciandola quasi grezza (letteralmente “raw” vuol dire proprio grezzo). (di Cristiana Zappoli)

Nelle foto, Pleated Pleat la poltroncina che utilizza un materiale speciale simile alla carta ma più resistente che, riempito di una schiuma rigida in poliuretano, dà vita a infinite varianti 32 DESIGN +



BOLOGNA VERDE di Gianluca Diliberto Via del Pontelungo, 4/3 - 40132 Bologna Tel./Fax 051.562060 - Cell. 340. 4015662


ECO.DESIGN

Riciclare gusci d’uovo

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Dopo un viaggio a Marrakech l’idea di progettare un set di cancelleria con materiale riciclabile. Questa l’originale idea del giovane designer Nicolas Cheng uò il design abbracciare la causa ambientale con una progettazione sostenibile per il pianeta terra? Sì, con la forza della tecnologia e della poesia. La ricetta è quella di Nicolas Cheng e si compone di gusci d’uova, grafite, gomma, fibra di carta e immagini dell'infanzia. Il risultato è la collezione da scrivania Childhood memories presentata alla settimana del design del Salone Internazionale del Mobile di Milano 2009. Il giovane designer, nato a Hong Kong e stabilitosi a Eindhoven dove ha fondato lo studio di architettura e design Studioroom906, ha creato un set composto da una matita, un reggi-matita, una gomma da cancellare e dei fogli A5 utilizzando dei gusci di uova riciclati. Alta tecnologia per ottenere un risultato materico di grande compattezza e impatto estetico a partire da un materiale più che noto per la sua fragilità. Cheng ha infatti utilizzato una tecnica di pressurizzazione che ha trasformato i gusci in un nuovo materiale stratificato in grado di conservare le proteine e i cristalli minerali preesistenti. E la volontà di realizzare una commistione tra concetto poetico e alta tecnologia attraverso l’oggetto, dando voce a una suggestione infantile. Per la creazione degli oggetti lievi e resistenti di Childhood memories Cheng afferma di aver tratto ispirazione da ricordi d’infanzia con un set da scrivania fatto in casa. «Quello che mi affascina di più è la relazione tra la natura e il lato artificiale umano che ci circonda. Il progetto esplora le nuove possibilità e i nuovi orizzonti dell'arte e dell'artigianato che spingono la gente a provare nuove esperienze con nuovi prodotti che incoraggino a pensare di più e a porsi delle domande intelligenti». A partire da questi presupposti il designer, attraverso l’attività di progettazione del suo studio, mette al centro delle proprie creazioni il concetto di benessere inteso come una sorta di simbiosi tra ambiente, essere umano e realtà artificiale. Un benessere che passa anche attraverso la ricerca dei materiali riciclabili, oggi al centro della progettazione dei designer più sensibili al tema della sostenibilità e degli interessi del mercato che chiede oggetti che non solo siano il risultato di un processo di consapevolezza ambientale ma che sappiano anche dare una risposta efficace a un problema di grande portata sociale come quello dello smaltimento dei rifiuti. È proprio in questo senso che l’idea di Cheng apre prospettive estremamente interes-

santi per il riutilizzo di un materiale finora poco utilizzato. Se si pensa che circa l’80% dei gusci d’uovo di scarto viene bruciato rilasciando CO2 nell’atmosfera e che oltre ai pochi siti di raccolta disponibili molte aziende giungono a spendere fino a 100mila dollari all'anno per smaltire tonnellate di gusci di diversa natura, è senz’altro più conveniente riutilizzare gli scarti invece che smaltirli in discarica. Una dimostrazione che la poesia è utile e, in questo caso, non solo all'anima. (di Silvia Di Persio)

Sopra e sotto, alcune foto del set di cancelleria ottenuto riciclando gusci d’uovo, sottoposti ad un’elevata pressione

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PRE.VISIONI

Nuovo tempio

Foto Gaston & Septet

della musica

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Un auditorium di 2400 spettatori, un centro per la formazione, spazi espositivi, locali per le prove, biblioteca, ristorante, uffici. È la nuova Filarmonica parigina di Jean Nouvel

ean Nouvel, il famoso e pluripremiato progettista francese, è stato selezionato dal Ministero della Cultura e della Comunicazione, in una rosa di celebri finalisti tra cui spiccavano nomi quali Coop Himme(l)blau, Zaha Hadid, MVRDV, Christian de Portzamparc e Francis Soler per il progetto della futura Filarmonica parigina, che sorgerà nel 2012, nel Parco de la Villette di Parigi. Non è la prima volta che l’architetto Nouvel si cimenta con questo tema, con la musica e l’armonia e con tutto il mondo che gli gravita intorno. Solo qualche mese fa è stata inaugurata la sua Concert Hall a Copenhagen, la struttura multisala in veste blu. Ma questa volta, a Parigi, la logica progettuale è completamente diversa. Tanto per cominciare la nuova Filarmonica avrà un contesto con cui relazionarsi e difatti dovrà dialogare sia con il famoso Parco progettato da Bernard Tschumi nel 1991, con Giscard D'Estaing come Presidente della Repubblica, sia con La Cité de la Musique, il 36 DESIGN +

progetto che fece guadagnare il premio Pritzker all’architetto Christian de Portzamparc nel 1994. Si porrà, ovviamente, in continuità con i temi tschumaniani del giardino orizzontale e dei riflessi d’ombra sulle superfici architettoniche, mentre, dimensionalmente e cromaticamente, giocherà con i rossi padiglioni di metallo, noti con il nome “folies”, tipiche architetture appartenenti al linguaggio dell’architetto Tschumi. Contemporaneamente però, sovverte prepotentemente l’idea fondante de La Citè de la Musique che, come si sa, si articola secondo la filosofia dell’isolato aperto, e che con la sua silhouette curva e il suo riflettersi nell’acqua, magistralmente, richiama il Palazzo dell’Assemblea a Chandigarh progettato da Le Corbusier. L’architettura nouveliana, invece, consta di un solo volume-minerale avvolto da più piani inclinati che i visitatori potranno percorrere seguendone le diverse pieghe rivestite di alluminio. In sostanza, in questa nuova architettura coesisteranno due geometrie contrastanti che comunque si


Foto Ateliers Jean Nouvel

In alto a sinistra: rendering della sala interna pensata per creare tra l’orchestra e gli spettatori un rapporto molto intimo e ravvicinato. Al centro: fotografia del plastico. Si ha modo di apprezzare l’insieme dei piani inclinati che avvolgono la struttura. In basso: rendering della Filarmonica inserito in una vera immagine del Parco de la Villette accanto a La Citè de la Musique. Sopra: prefigurazione notturna della Filarmonica di Parigi vista dall’esterno del Parco

completeranno, d’altra parte si sa, le linee spezzate senza quelle curve e armoniche esprimono molta meno forza e aggressività. La teoria di piani variamenti inclinati, omaggio che l’architetto Jean Nouvel fa al suo maestro Claude Parent, padre dell’architettura obliqua, avvolgerà completamente il volume bloboidale e condurrà gradatamente il visitatore dal giardino esterno all’armonico foyer dove avrà modo di guardare le vetrine delle boutique, sostare piacevolmente con gli amici e mangiare e bere nei bistrò ammirando il giardino circostante e le sue tipiche architetture. La sala interna della Filarmonica, invece, con le sue lunghe balconate, corredate di comode sedute, che evocano vagamente dei fogli di musica, sorprenderà l’ascoltatore dandogli l’impressione di essere sospeso tra musica e luce. L’esperienza

sarà unica, come ogni concerto è giusto che sia, ma sarà un’esperienza sia visiva che sensoriale perché il rapporto che si creerà tra l’orchestra e gli spettatori sarà a dir poco molto intimo e ravvicinato. In totale saranno 37mila mq che conterranno sala prove, uffici, un polo educativo, spazi espositivi, un ristorante e i locali tecnici di cui l'opera abbisogna, e per realizzarli servirà una spesa di 200 milioni di euro, che saranno finanziati per il 45% dal Ministero della Cultura e della Comunicazione, per un altro 45% dalla città di Parigi, e per il restante 10% dalla Regione Ile-de-France. Un progetto, a partecipazione economica, che nella sua avvolgente struttura luminosa, metallica e riflettente, darà a molti la possibilità di partecipare ai grandi eventi musicali che la città di Parigi è pronta a programmare. (di Gianfranco Virardi) DESIGN + 37


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PRE.VISIONI

Spazio per l’architettura

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Sospeso su uno spazio concepito come piazza-giardino e con due facciate diverse tra loro, la futura Casa degli Architetti di Firenze si propone di diventare un riferimento per il dibattito, la ricerca e l’approfondimento dei temi legati alla professione

Firenze gli architetti sono di Casa. È con la delibera comunale dello scorso 6 aprile che si dà il via alla fase di realizzazione della “Casa degli Architetti”, un progetto nato con l’accordo tra il Comune e l'Ordine Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Firenze per la costruzione di una nuova sede nel capoluogo toscano. La Casa, che oltre all'Ordine ospiterà anche la Fondazione Professione Architetto, è il coronamento di un percorso iniziato nel 2003 con il quale si intendeva lanciare un segnale importante: l’architettura vuole situarsi tra il contesto e i cittadini, al centro del suo progettare. E vuole farlo in modo discreto ma dialogico, nell’ottica di un netto rifiuto di atteggiamenti spesso autoreferenziali. È così che la nuova sede testimonia fin nel nome la propria vocazione di punto di riferimento paritario e di facile accesso per il dibattito, la ricerca e l’approfondimento dei temi legati alla professione. Un'aper-

tura nei confronti della città per sottolineare che la promozione del confronto tra architettura, amministratori, imprenditori, media e cittadini non può che essere un fatto positivo, in primo luogo per i professionisti dell’architettura che, incontrando direttamente gli altri attori della catena della progettazione e della realizzazione, potranno uscire da una dimensione troppo spesso autoreferenziale. Ma anche una grande opportunità per la città stessa poiché il concetto guida dell’intera operazione è stato quello di fare della Casa degli Architetti un’opportunità di qualificazione e riqualificazione del paesaggio urbano attraverso l’innovazione architettonica, l’incentivazione della cultura e delle forme di socialità. L’edificio sorgerà in un’area pubblica complessiva di 1.180 mq compresa nell'angolo tra via Corridoni e via Pisacane nel quartiere 5 della città. Con il concorso di selezione bandito nel febbraio 2004 per scegliere il progetto della futura Casa degli Architetti si è voluto favorire

il lavoro che più di tutti evidenziasse un impegno architettonico misurato ma deciso e personale, e che miscelasse i segni della contemporaneità e quelli della tradizione dell'architettura moderna fiorentina, prevedendo inoltre le soluzioni appropriate per la sistemazione e l’arredo dell’area pubblica circostante rapportata con l’edificio. In linea con queste premesse e con le specifiche richieste del bando, è stata premiata la scelta progettuale dei due giovani architetti Stefano Niccoli e Chiara Remorini incentrata sulla tensione tra la continuità con il territorio limitrofo, la permeabilità alle diverse attività sociali urbane, e un progetto architettonico ricco di spunti contemporanei. La sfida che la progettazione di questo non semplice lotto triangolare ha raccolto è stata quella di riqualificare un’area verde abbandonata da anni ricongiungendola come spazio di aggregazione al tessuto urbano circostante. Il progetto ha risposto a questi requisiti con la creazione di due facciate diverse tra loro che nelle rispettive identità guardano alla conformazione del paesaggio di riferimento. Da una parte la facciata ricurva e chiusa della struttura che si adatta all’uniformità di via Corridoni percorrendola parallelamente. Grazie all'alta frequentazione di questa strada l'edificio con l’ampia paratia e l'ingresso sul lato avrà una notevole visibilità. Su questo lato si accede alle funzioni dell’Ordine che avrà la propria sede al primo e al secondo piano. Sul lato opposto verrà invece realizzata una facciata che dà sulla piazza aprendosi sulla parte meno uniforme e più frastagliata della città per raccogliere le suggestioni dello spazio pubblico che la struttura ridefiniInserimento virtuale dell’edificio nel contesto urbano. Si ha modo di apprezzare il prospetto chiuso lungo il fronte su via Corridoni

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Di fianco: rendering del puro volume, ne mette in evidenza la nitidezza formale e la copertura a brise-soleil. In basso: rendering dello spazio interno. Il brise-soleil fa vibrare il prospetto segnando ancor più il distacco da terra

sce, attraverso la permeabilità dello sguardo. In netto contrasto con l’uniformità dell’altra facciata, questo lato dell’edificio prevede diaframmi, tessiture più o meno trasparenti, sistemi frangisole a tratti apribili e una cortina a vetrata unica che gioca sulla disomogeneità dei livelli del visibile e della luce. Accanto alla permeabilità dello sguardo quella del movimento. L’edificio infatti sarà sospeso su uno spazio concepito come piazza-giardino. Grazie alla scelta del volume rialzato le persone potranno muoversi in tutte le direzioni, passare agevolmente da un’area all’altra dello spazio pubblico, socializzare, fermarsi a osservare l'ambiente circostante, semplicemente “attraversando” la stessa struttura che ha favorito ognuna delle diverse opportunità. Una di queste opportunità è costituita dalla Sala conferenze al piano terra destinata a convegni e semi-

nari della struttura ma il cui accesso diretto dalla piazza potrà garantire anche degli utilizzi indipendenti da quelli dell’Ordine e configurare la sala come luogo di aggregazione utilizzabile per le diverse esigenze di quartiere. In questo modo si rispettano e si incentivano l’indipendenza e la vocazione pubblica della piazza favorendo allo stesso tempo un rapporto forte con l’edificio. Sul fondo della piazza, in un edificio a parte, si troveranno il bar e la libreria, ulteriori punti di aggregazione e di riqualificazione. Seguendo la stessa logica di continuità si è scelto di tutelare le zone verdi e le alberature esistenti.

La convenzione tra l'Amministrazione Comunale e l'Ordine degli Architetti, prevede inoltre che la piazza e i parcheggi di superficie siano gravati da uso pubblico e che la responsabilità della manutenzione sia a carico dell'Ordine. La convenzione prevede inoltre che almeno la metà dei parcheggi interrati dell’Ordine venga destinata all'uso dei residenti. Ognuna di queste misure è mirata a configurare la presenza dell'edificio come un supporto e non come un’interferenza rispetto alla mobilità e al traffico urbano nel quartiere. I lavori che inizieranno nel 2009 dovranno essere conclusi tra due anni. La profonda volontà di apertura programmatica alla città di Firenze è stata proiettata anche sul lungo periodo con la scelta di realizzare la Casa degli Architetti a spese dell'Ordine e di cederla gratuitamente al Comune dopo il periodo di 25 anni necessario ad ammortizzare l’investimento. Da quel momento l’Ordine continuerà a utilizzare la Casa corrispondendo un regolare canone di affitto al Comune. (di Giuliano Cirillo) DESIGN + 39


Fai entrare in casa

l’Oriente

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Un involucro luminoso

PRE.VISIONI

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Al posto degli stabilimenti dell’ex Italcitrus, a Reggio Calabria, sorgerà un centro televisivo sperimentale e culturale, circondato da un enorme parco attrezzato

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E.TE.S., centro televisivo sperimentale. Ecco cosa il comune di Reggio Calabria ha pensato di creare negli stabilimenti dell’ex Italcitrus, la fabbrica oramai dismessa ma che in passato si occupava della trasformazione degli agrumi. Nel 2008 il Comune ha indetto un concorso ed è risultato vincitore il gruppo AKA (lo studio associato Caccavale, Casadei, Pineschi architetti), con un progetto facilmente identificabile con il motto Digital Origami. È un serpente che snodandosi nel paesaggio naturale coinvolge e avvolge i vecchi e malandati edifici di archeologia industriale. È un'opera di land-art che, grazie a una pelle metallica e multimediale, funge da segnale mediatico non solo di giorno ma anche in piena notte, quando il centro, avvolto nella rete luminosa che parte dal

terreno e culmina nell'antenna-scultura, sarà ben visibile anche da lontano. La rete che avvolge la struttura ha funzione anche di pelle bioclimatica sia perché, passivamente, protegge dal caldo e dal freddo sia perché, attivamente, ha nelle maglie della rete dei pannelli fotovoltaici. Una pelle insomma che protegge e manifesta. Che ripara e contemporaneamente segnala. A questa pelle reticolare verrà riconosciuto ulteriore appeal anche dall’inserimento di un grande leadwall, che la trasformerà in uno schermo polimorfo e sfaccettato su cui proiettare performances digitali, installazioni multimediali, o la riproduzione degli eventi che all’interno sono in corso. Un enorme parco attrezzato, lavorato come una vera e propria scultura,

cingerà senza alcuna soluzione di continuità la struttura nel cui cuore prenderà posto una piazza/arena che sarà raggiungibile dagli itinerari posti a quote diverse così come diverse saranno le tipologie dei fruitori. L’intero complesso, concepito come una rete/pelle che come un grande origami variamente piegato avvolgerà le quattro architetture industriali preesistenti, e che complessivamente occuperà 10.200 mq, avrà dei costi di realizzazione che si aggireranno attorno ai 6 milioni e 650 mila euro. (di Mattia Curcio) DESIGN + 41


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MULTI.FUNZIONI

Un simbolo per Modena

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A Modena tre studi associati si aggiudicano il premio per il Concorso delle ex Fonderie. Nascerà un centro dedicato al design, all’arte, alla scienza e alla tecnologia

e ex Fonderie di Modena sono un importante luogo storico per il background della città. Luogo di lotte e diritti. Luogo di morti e di speranze. Una grande area rimasta in disuso per anni, forse anche dimenticata, ma che ora è riemersa all’attenzione con il piano di recupero comunale. Quest’area avrà una destinazione completamente diversa. Dalla polvere di metallo e gli scarti metallurgici al DAST - Design, Arte, Scienza e Tecnologia. Sarà un centro integrato e partecipato dove, discipline che normalmente faticano a dialogare tra loro, sono chiamate a interfacciarsi. Secondo la proposta elaborata, all'interno dello stabile ristrutturato si darà vita a spazi di Sopra: rendering diurno del DAST inserito nel suo contesto. Sotto: prospetto/sezione longitudinale di tutto il complesso

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utilizzo comune, nei quali i visitatori saranno chiamati ad essere co-protagonisti, sia di iniziative volte alla divulgazione scientifica e alla valorizzazione delle competenze tecnologiche e meccaniche, sia di manifestazioni in ambito culturale, storico e artistico. Lo spazio sarà adibito anche alla nuova Facoltà di Design Industriale che, promossa dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, farà sì che il design e la progettazione industriale diventino ponte di collegamento tra le arti e le scienze. Le Fonderie Riunite, che hanno giocato nella storia di Modena e del suo sviluppo industriale un ruolo non solo simbolico, con il nuovo riadattamento previsto non perderanno il loro prestigio storico. Gli

elementi fondanti il progetto vincitore sono infatti il recupero dell’intero impianto e un nuovo assetto planivolumetrico per tutta la restante area del concorso. La nuova proposta vuole conservare l'identità del luogo quale simbolo per la storia del movimento operaio italiano, salvaguardare la palazzina degli uffici, protetta dal vincolo storico, e rivalutare gli altri edifici industriali planimetricamente posizionati secondo una sequenza seriale e anche caratterizzati dalle lunghe campate. La creazione di volumi edilizi di diversa altezza e dalla sagoma planimetrica ridotta risponde, per tanto, all’esigenza di mantenere e rispettare la struttura del fabbricato industriale e conservare la dimensione delle campate esi-


In alto: prefigurazione notturna di tutto il complesso del DAST. Si ha modo di apprezzarne le ampie superfici vetrate. Sopra: vista assonometrica parzialmente esplosa della copertura e della struttura sottostante. Sotto: vista prospettica dell’inserimento degli edifici ex novo

stenti. Questi nuovi volumi, ricoperti sul lato nord e sud da una sorta di pelle traforata in lega di rame e alluminio, dall’effetto dorato e dalla peculiare inalterabilità nel tempo, creano così un continuum materico, che dai prospetti accompagna lo sguardo fino alle coperture. La caratteristica colorazione dorata di questa nuova copertura, insieme alla rudezza propria del materiale metallico e allo stesso tempo alla delicatezza del ricamo e della sua tessitura, evocano sì la passata destinazione di luogo addetto alla fusione metallica ma allo stesso tempo comunicano, in modo univoco, il cambio funzione che lo stabilimento sta per subire. Sia per le diverse altezze che per la colorazione luminosa, la nuova copertura, visibile dalla ferrovia e dal cavalcavia adiacente, il cosìddetto cavalcavia Maserati che collega le due parti della città, diventerà un elemento simbolico e di richiamo per Modena. Diventerà emblema del recupero che la città fa della sua storia. Riverbererà con la luce del sole, e rifrangerà l’illuminazione notturna, per condurre a sé i visitatori chiamati per i nuovi eventi. Il DAST, quindi, consterà di diverse destinazioni. Nuove funzioni che conferiranno alla nascente struttura la caratteristica di luogo vitale votato sì alla ricerca e all'innovazione, ma che conterrà anche funzioni commerciali e terziarie poste a supporto del DAST stesso, così da creare un centro importante per tutta la città e usufruibile in tutto l'arco della giornata. Un luogo in cui potranno coesistere momenti formativi e ricreativi, eventi musicali e performance e spazi dedicati alla storia sociale del lavoro e alla realtà industriale. Un nuovo polo, quindi, che cambierà i movimenti cittadini, che sposterà l’attenzione culturale e che vivacizzerà ancora di più un territorio sempre pronto a cogliere le diverse esigenze della collettività. Erano circa sessanta i progetti al vaglio della Commissione giudicatrice per il concorso delle ex Fonderie, ma il progetto vincitore, ricordiamo, è stato preparato da tre studi associati, il Modo Studio di Roma, il Centro Cooperativo di Progettazione di Reggio Emilia e lo Studio Sofia Cattinari di Modena. I vincitori si sono aggiudicati un premio di 40 mila euro ma ci si augura possano sempre loro, per continuità di linguaggio e di intenti, ricevere anche il futuro incarico per la realizzazione del progetto. (di Roberto Sanna) DESIGN + 43


La nostra azienda è presente sul mercato piscine dal 1970, inizialmente con la denominazione Safe Pool, in seguito, con l’ingresso nell’assetto societario della Culligan Italiana S.p.a., cambiò in Culligan Piscine S.p.a. Dopo alcuni anni i soci originari e fondatori ricomprarono le quote cedute a Culligan, e la ragione divenne definitivamente MT Costruzioni Piscine e Depurazioni s.r.l. Ad oggi, grazie alla nostra esperienza e professionalità, siamo riusciti a operare nel mercato con la costruzione di oltre 15.000 piscine ex novo, numerose ristrutturazioni e realizzazioni di impianti di filtraggio, impiegando sempre prodotti di alta qualità. Abbiamo concentrato tutti i nostri sforzi per poter dare nel corso di questi anni prodotti sempre più curati nei minimi particolari, adattandoci alle richieste del mercato, grazie a squadre di dipendenti diretti e studi di progettazione a noi associati, riuscendo così a fornire prodotti di qualità, chiavi in mano. I nostri articoli, dal 1970 ad oggi, sono stati costantemente oggetto di migliorie continue, per rimanere sempre al passo con i tempi, in modo da fornire manufatti dotati dei più avanzati e sicuri sistemi di trattamento acqua per piscina, consentendo in ogni momento caratteristiche di alta affidabilità igienica per l’utente, ciò in considerazione della primaria importanza dell’acqua nel contesto dell’intera opera. Siamo inoltre in grado di dare un’assistenza a livello decisionale e progettuale, per poter indirizzare il cliente finale alla scelta più consona in base ai suoi desideri e alle sue aspettative, riuscendo ad integrare l’opera nel contesto paesaggistico, aspetto fondamentale per poter conciliare tecnologia ed estetica. Creiamo un prodotto finale armonico, sempre in linea con le richieste del committente, offendo assistenza durante la costruzione e alla fine dell’opera, rimanendo sempre a disposizione per dare un competente aiuto tecnico, specializzato nella manutenzione grazie ai numerosi collaboratori acquisiti in 38 anni di attività. L’azienda è riconosciuta come venditore territoriale e di assistenza delle vasche idromassaggio americane Hot Spring, Tiger River, Limelight, Solana e Sanum, numeri uno sul mercato degli idromassaggi da esterno ed interno, per prestazioni, confort, risparmio energetico, affidabilità e garanzia del prodotto.


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Š Stiftung PreuĂ&#x;ischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Joerg von Bruchhausen

Progetto / 1

Un luogo dove il presente incontra il passato e il nuovo dialoga con il vecchio, evocandolo e valorizzandolo. Grazie al minuzioso progetto dello Studio David Chipperfield Architects, le rovine del Neues Museum di Berlino ci restituiscono il senso eterno della storia di Iole Costanzo

NEUES MUSEUM

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SCHEDA

Gruppo di progetto David Chipperfield Architects Inizio lavori 2003 Area totale progetto 20mila e 500 mq Controllo qualitĂ Nanna FĂźtterer con il David Chipperfield Architects Ingegneria strutturale Jaeger, Mornhinweg+ Partner Ingenieurgesellschaft Exhibition Design architetto Michele de Lucchi S.r.l

LA SUA RINASCITA

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© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt

Progetto / 1

I

l Neues Museum, dopo tanti anni di attesa, riapre le sue porte. I berlinesi che da tanto tempo aspettavano questo momento finalmente avranno la possibilità di visitarlo. Lo storico museo si trova in pieno centro, sul fiume Sprea, nella rinomata Isola dei Musei, dichiarata patrimonio dell'umanità nel 1999 dall'Unesco. La sua storia è molto lunga e piena di vicissitudini, ma la nascita, in un certo senso, si può far risalire al ritorno a Berlino - dopo la vittoria a Waterloo nel

1815 - di molte opere d’arte precedentemente trafugate da Napoleone. È allora che nel Paese, sull’onda dello spirito rivoluzionario francese, crebbe l’idea di un museo pubblico. Difatti i musei dell'isola furono costruiti tra il 1820 e il 1930. Per l’esattezza tutto inizia nel 1822, sotto la famiglia Hohenzollern, con la costruzione del Regio Museo, più tardi chiamato Altes Museum "Museo Vecchio", progettato dall’architetto Karl Friedrich Schinkel. Solo qualche anno più tardi, nel

1841, viene chiesto all’architetto Stüler, allievo di Schinkel, di progettare il Neues Museum, concepito come un ampliamento stesso dell’Altes Museum schinkeliano, a cui si collegava con un passaggio ad archi. Il Neues viene inaugurato nel 1866, quando giungono a termine i lavori di costruzione e vengono esposte le ricche collezioni d’arte - da eguagliare a quelle di Parigi, Londra e Vienna - accumulatesi in territorio tedesco sotto l’egida del Kaiser del 1° Reich. L’impostazione del progetto del Neues Museum era classicista e ovviamente simmetrica, con un gran colonnato quadrato posto all’interno dell’isola. Gli ambienti erano impreziositi da decorazioni e sculture, mentre lo scalone principale era affrescato con un ciclo decorativo dedicato

© SMB/Zentralarchiv

Nella pagina precedente: il nuovo scalone nella hall di ingresso del Neues Museum. In alto: vista del fronte dell’Isola dei Musei. L’edificio sull’estrema destra è l’ala ricostruita del Neues Museum, quello a sinistra è l’Altes Museum di K. F. Schinkel. Di fianco: una foto storica che riprende la cupola sud distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale 48 DESIGN +


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Nelle piante, a fianco:

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(©David Chipperfield Architects):

1. Collegamento con il Pergamon Museum 2. Collegamento con il nuovo edificio d’ingresso 3. Collegamento con l’Altes Museum 4. Ala Est 5. Ala Ovest 6. Corte Egizia 7. Corte Greca 8. Locale tecnico 9. Ingresso principale 10. Vestibolo 11. Sala della Mitologia 12. Sala della Patria 13. Vuoto sulla Corte Greca 14. Vuoto sulla Corte Egizia 15. Sala storica 16. Sala di etnografia 17. Caffetteria 18. Sala Romana 19. Sala Medievale 20. Sala Moderna 21. Sala Greca 22. Sala di Bacco 23. Sala di Apollo 24. Sala di Niobidi 25. Sala d’Arte Est 26. Sala d’Arte Ovest 27. Sala delle Stelle 28. Sala Blu 29. Sala Verde 30. Sala Rossa

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Š Stiftung PreuĂ&#x;ischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt

Progetto / 1

Nella foto: la Sala dei Niobidi. A destra in alto: dettaglio delle pitture murali presenti nella Sala di Bacco. A destra in basso: serie di volte a pennacchi della Sala Medioevale

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© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt © Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt

alla storia dell’uomo. Con il passar degli anni, intanto, nell’Isola dei Musei si accumulano diversi reperti: la porta di Mileto, alcune parti della facciata del castello Mschatta, la porta di Ischtar di Babilonia e il famoso Altare di Pergamon, raccolti in giro per il mondo e portati a Berlino per il puro godimento archeologico di esporre, all’interno di spazi museali, storiche e ineguagliabili testimonianze architettoniche. Nel 1930 l’isola finalmente è compiuta, nonostante i molti ritardi dovuti alla Prima Guerra Mondiale e alla conseguente crisi economica. Ma purtroppo i bombardamenti bellici del 1943 e del 1945 ne distrussero l’assetto architettonico. Diverse opere furono custodite preventivamente nei dintorni della città e in diverse cantine cittadine. Del Neues Museum si salvò ben poco. A guerra finita molte opere conservate nella Berlino-est rimasero in mano ai russi e solo nel 1958 furono restituite all’isola, che riprese così la sua normale attività durante la Repubblica Popolare Tedesca. Solo le macerie del Neues Museum rimasero a testimoniare i bombardamenti subiti. Sarà il 1989, con l’abbattimento del muro, a portare a conclusione la situazione schizofrenica dei doppi istituti museali. E il desiderio di ripristinare finalmente il Neues Museum, ancora in stato di rovina, farà diventare il museo stesso il simbolo della Berlino unita. Il concorso internazionale avente come tema la ricostruzione muraria dell’edificio stüleriano e il collegamento del Neues con l’Altes e il Pergamon è stato indetto nel 1993. Il concorso ha avuto varie vicissitudini e più vincitori, ma solo nel 1997 è stato vinto dallo Studio David Chipperfield Architects con Julian Harrap. Il principale obiettivo del progetto era quello di completare il volume originale e restaurare quelle parti che si sono conservate dopo l’azione distruttrice della Seconda Guerra Mondiale. È stata ripristinata la sequenza originale delle stanze, resa possibile grazie all’inserimento di nuove sezioni costruite che creano così continuità con la struttura esistente. Il restauro archeologico ha seguito le linee guida della Carta di Venezia di cui ricordiamo il famoso art. 3 che dice: “la conservazione e il restauro dei monumenti mirano a salvaguardare tanto l’opera d’arte che la testimonianza storica - nel rispetto dei diversi stati di conservazione dell’edificio storico”. Al Neues infatti, la ricostruzione delle parti distrutte dell’edificio è stata eseguita, dallo studio Chipperfield Architects,


© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Christian Richters

Progetto / 1

Una foto della nuova struttura che sorregge la copertura vetrata della Corte Egizia. Questa sala ospiterà il famoso busto di Nefertiti


SEZIONE SULLO SCALONE SEZIONE SULLA CORTE EGIZIA

DAVID CHIPPERFIELD

Foto di Nick Knight

David Chipperfield è nato a Londra nel 1953. Ha studiato alla Kingston School of Art and the Architectural Association nella capitale inglese, laureandosi nel 1977. Successivamente ha lavorato negli studi di Douglas Stephen, Richard Rogers e Norman Foster. Nel 1984 ha fondato il David Chipperfield Architects che, attualmente, ha tre sedi principali, a Londra, Berlino e Milano, e un ufficio anche a Shanghai. Negli anni ha vinto più di 40 gare nazionali e internazionali e numerosissimi premi per l’eccellenza del suo lavoro. Nel 2007 è stato nominato socio onorario dell’American Institute of Architects e membro onorario del Bund Deutscher Architekten. Nel 2008 è diventato membro della Royal Academy of Arts di Londra e Professore Onorario della Kingston University.

con l’intento di non farle entrare in competizione con le parti superstiti. Il recupero dell’esistente è stato, difatti, guidato dall’idea che la struttura originale dovesse essere valorizzata nel suo contesto spaziale e nella sua materialità originale, mentre al nuovo è stato affidato il compito di riflettere, evocare, ricordare ciò che è andato in rovina, senza però imitarlo. Gli ambienti di nuova costruzione sono stati realizzati con i grandi elementi prefabbricati in cemento, ottenuti con una gettata di polvere di marmo della Sassonia miscelata al cemento bianco, e con cui è stata anche ricostruita la parte danneggiata della scalinata. I nuovi volumi – l’ala Nordovest, la corte egizia, l’abside nel cortile greco e la cupola meridionale – sono stati invece ricostruiti con i mattoni riciclati. Senza falsi atteggiamenti retorici, il tempo con la sua patina, le sue lacune, i suoi colori sbiaditi e in questo caso anche con le sue ferite dovute alle armi da guerra è stato bloccato e conservato. I colori originali, il blu cobalto, giallo zafferano, rosso vermiglio e il verde serpentino presenti nelle decorazioni murarie sono stati valorizzati nella loro capacità espressiva, mentre i segni grafici delle stesse decorazioni, laddove mancavano, non sono stati reintegrati, lasciando così comunicare, anche in questo caso, il passaggio del tempo e il dilavamento che hanno subito negli anni di completo abbandono. L’ambiente destinato alla corte egizia, completamente distrutto, è stato ricostruito con un nuovo escamotage, una grande gabbia di cemento bianco che sorreggendo la nuova copertura in vetro crea una nuova scansione ritmica nell’ambiente che tra qualche mese ospiterà il famoso busto di Nefertiti. A ottobre 2009, dopo più di 60 anni di abbandono, il Neues Museum riaprirà nuovamente al pubblico, mettendo in mostra, questa volta, le collezioni del Museo Egizio e quelle del Museo della Preistoria e della Protostoria. I preziosi oggetti saranno ospitati in vetrine, o sorretti da piedistalli completamente progettati dall’architetto italiano Michele De Lucchi. Mentre, sempre lo studio Chipperfield Architects, inizierà dal 2010 la costruzione di una nuova galleria che fungerà da centro visitatori dell'Isola dei Musei e sarà posta tra il Neues Museum e il fiume Sprea, riproponendo complessivamente, con questo nuovo volume, una situazione urbanistica risalente a prima del 1938. DESIGN + 53


Progetto / 2

Il rifiuto dei dettagli inutili e delle decorazioni è la filosofia che ha guidato Massimiliano Fuksas nel progetto della Chiesa di Foligno. Essenziale e scarna nella forma racchiude in sé i segni perfettamente leggibili di una religiosità intima e lontana dalle umane apparenze di Iole Costanzo / Foto di Moreno Maggi

È

un volume nel volume. È cemento pesante gravitante sul nulla. È materia che si fa spiritualità. È un parallelepipedo che riesce a comunicare e a esprimere ciò che oggi ci si attende da un’architettura sacra. Il volume principale della chiesa di Foligno, complesso sacro dedicato a San Paolo e progettato da Massimiliano Fuksas, è puro e intarsiato da piccoli e sfaccettati tagli di vetro. Totemico, materico, sobrio e carico di significato si distacca, con un piglio unico e dominante, dal paesaggio circostante, ma non lo danneggia. Catalizzatore di attenzione funge da guida a un’area periferizzata, frammentaria, priva di progetto e caratterizzata da un contesto fatto di villette, un centro commerciale, un piccolo ospedale in mattoni e qualche edificio in vetro e alluminio. «È sempre bene evidenziare come un intorno può segnare un progetto», ci spiega l’architetto Fuksas. E continua: «La maggior parte degli edifici progettati in Italia risultano essere fuori contesto. Perché se solo volessero adattarsi al contesto dovrebbero riprendere le linee dell’edilizia abusiva dai tetti spioventi e falde sfalsate». Aggiungendo: «Nella realizzazione della chiesa di Foligno non si poteva fare altro che essere più sobri del sobrio e nascondere nella sobrietà le chiavi per il mistero». Il progetto, vincitore nel 2001 del concorso bandito dalla Conferenza Episcopale Italiana e definito dalla Giuria “come segno deciso e innovativo, che risponde alle ricerche internazionali più avanzate, divenendo il simbolo della rinascita della città dopo il sisma”, consta di tre elementi

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Ph.Gaston Bergeret

GEOMETRIE SACRE

MASSIMILIANO FUKSAS

Di origini lituane, Massimiliano Fuksas è nato nel 1944 a Roma, dove si è laureato in Architettura. Nel 1967 crea il suo studio romano, cui segue nel 1989 quello di Parigi. Nel 1993 apre lo studio a Vienna e nel 2002 a Francoforte, attivi fino al 2001 e al 2009, mentre dal 2008 è operativo lo studio di Shenzhen in Cina. Dal 1998 al 2000 è stato Direttore della VII Biennale Internazionale di Architettura di Venezia. Dal 2000 è l’autore della rubrica di architettura del settimanale "L'Espresso" fondata da Bruno Zevi. È stato Visiting Professor presso numerose università. Per molti anni ha dedicato particolare attenzione allo studio dei problemi urbani nelle grandi aree metropolitane. Vive e lavora tra Roma e Parigi.

architettonici che identificano le funzioni del centro religioso. Il primo elemento è la Chiesa. Il suo volume interno, realizzato con strutture reticolari di acciaio ricoperte di intonaco, è appeso alle travi secondarie della copertura ed è solidale al volume esterno grazie all’ausilio dei cannoni di luci, anch’essi realizzati in acciaio e cemento, che controventano e legano i due volumi. Il secondo elemento, basso e allungato, ospita i locali del Ministero Pastorale, la Sagrestia e la Casa Canonica. È un parallelepipedo rifinito con l’intonaco grigio, e ha la facciata scandita da una tradizionale partitura di finestre. Il terzo corpo, in vetro e di dimensioni minori, mette in comunicazione i due edifici più grandi e contiene invece la cappella feriale e la penitenzieria. L’insieme risulta essere molto semplice e assoluto e lo skyline che crea è completamente nuovo e forse dirompente, perché graffia la ripetitività dell’intorno e si scaglia in alto per dialogare con i monti. Nasce, infatti, da una scelta progettuale importante: «il rifiuto dei dettagli inutili e delle decorazioni». «Mi è venuta voglia - prosegue Fuksas - di riprendere la mia vecchia vena degli anni ‘70 basata sul concetto del muro e sul dialogo con la forza, la plasticità e la sobrietà del cemento. Il progetto è nato quindi sotto l’idea della semplicità». La Chiesa, con il suo spiccato senso verticale raggiunge quasi i 26m di altezza. È un volume sollevato da terra e collegato al piano di calpestio da una rampa-sagrato. Un ampio spazio antistante la chiesa che con un andamento leggermente in salita accompagna i fedeli fino al momento dell’attra-


SCHEDA

Committente Conferenza Episcopale Italiana - Diocesi di Foligno Luogo Foligno, Italia Data 2001-2009 Progetto Massimiliano e Doriana Fuksas Complesso parrocchiale mq 1300 Costo 3.600.000 euro Strutture Ing. Gilberto Sarti Impianti A.I. Engineering Interventi artistici Enzo Cucchi, Mimmo Paladino


Progetto / 2

Sopra: planimetria generale del complesso sacro dedicato a San Paolo. A destra in alto: vista di uno scorcio dei due volumi caratterizzanti il progetto. La chiesa con la parete di intarsi di vetro e il volume basso che ospita i locali del Ministero Pastorale, la Sagrestia e la Casa Canonica. A destra in basso: vista frontale del complesso. L’ampio spazio antistante la chiesa e che funge da sagrato ha un andamento leggermente in salita. All’interno della chiesa si accede da una fessura rettangolare tagliata di netto nel cemento e corredata di porte in vetro che ne esaltano la purezza della linea

QUANDO SI FA UNA CHIESA SI DIVENTA UMILI. SE SI È PRESUNTUOSI NON SI AMMETTE CHE NEL PROGETTARNE UNA SI PROVA PAURA

(Massimiliano Fuksas)

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versamento. All’interno vi si accede da una feritoia, una fessura netta rettangolare, tagliata nel cemento e corredata di semplici porte in vetro che ne esaltano la purezza. L’intento del progettista era mirato, infatti, a «progettare un oggetto segreto, legato al mistero, in cui si potesse entrare inchinandosi». Difatti è grande il rispetto che si prova per questo incombente e forse dominante muro contenente le porte e per la purezza dei segni e dello spazio liturgico che si ha modo, entrando, di leggere. Le pareti, intorno, scarne, i gio-

chi di luci presenti, i gravitanti setti e l’essenzialità degli arredi fanno entrare il visitatore in contatto con la loro parte più celata e fragile. Il re, questa volta, si sentirà nudo. La giusta condizione, forse, per avvicinarsi alla spiritualità, con umiltà e senza vani fronzoli. La luce, altra peculiarità del progetto, che penetra nel volume dagli intagli fatti sulle pareti, percorre le strombature, giunge all’interno del secondo volume e illumina l’altare, l’ambone, il fonte battesimale e, contemporaneamente, segna graficamente la parete opposta. Quella


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Progetto / 2

In alto: veduta d’insieme ripresa da Nord-Est, il retro del complesso. In primo piano si scorge l’impianto d’illuminazione dei campetti da tennis della canonica. Sul fondo le colline che stanno intorno alla città di Foligno su cui si staglia nettamente la chiesa. In basso: pianta dei due edifici del complesso sacro di San Paolo. Il collegamento tra i due volumi avviene attraverso un terzo corpo in vetro e di dimensioni minori che contiene la cappella feriale e la penitenzieria

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In alto: interno della chiesa. La fotografia riprende dal basso lo spazio presente tra i due volumi e la sala centrale. In basso a sinistra: isola dell’altare. Gli arredi sacri, insieme alle panche e ai corpi illuminanti sono stati interamente progettati da Fuksas Design. In basso a destra: scorcio dell’altare visto dallo spigolo di sinistra. Si ha modo di scorgere il giusto rapporto tra i due volumi, quello esterno di cemento grigio e quello interno rivestito di cemento bianco

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Progetto / 2

In questa pagina: interno della chiesa. La fotografia riprende oltre alla sala centrale con l’altare anche lo spazio laterale occupato sui due lati del parallelepipedo dai cannoni di cemento che conducono la luce dall’esterno allo spazio più interno. In alto a destra: sezione longitudinale lungo il volume della canonica, con prospetto laterale della chiesa. In basso a destra: sezione trasversale. È possibile apprezzare il taglio dei cannoni di luci e il collegamento che creano tra i due volumi


che invece viene filtrata dai tagli della copertura, segnalando ed evidenziando lo spazio tra i due volumi, disegna il peristilio, mancante di colonne, che circonda l’aula centrale e il presbiterio. La luce naturale, dunque, che entra nell’edificio secondo due direzioni prevalenti, quella trasversale e quella verticale, esalta un concetto fondamentale della Chiesa, quello della luce riflessa. Luce che diventa messaggero e che relazionandosi e scontrandosi con il cemento delle pareti del primo involucro, con l’intonaco delle pareti del secondo e con il cemento levigato e lucido del pavimento, vibra ed emoziona creando suggestioni attutite e soffuse. L’illuminazione artificiale invece, progettata anch’essa dallo studio Fuksas, si basa su molteplici sospensioni che declinano ritmicamente lo spazio. I punti di luce presenti nella sala centrale e gravitanti sopra l’altare esaltano, con una filiforme e sottile sequenza, la trascendenza dell’ambiente. Una trascendenza che capovolge il

concetto di orizzontalità e di sala assembleare per dare maggior rilievo alla verticalità, all’ascensione e all’integrazione tra il linguaggio liturgico, architettonico e artistico. La chiesa si è sempre servita dell’arte del proprio tempo per riuscire a comunicare ai proseliti l’emozione del sacro. In questa occasione sono stati scelti due grandi del mondo dell’arte contemporanea italiana. Enzo Cucchi, artista di fama internazionale, appartenente alla corrente della Transavanguardia, partecipa a quest’opera con un’esile ma monumentale stele-croce alta 13 metri: una scultura in cemento e marmo bianco di Carrara, che posta sull’austera parete di cemento, all’esterno della chiesa, amplificherà la sacralità dell’insieme. Mimmo Paladino, grande artista conosciuto in tutto il mondo e le cui opere sono presenti anche al Metropolitan Museum of Art di New York, ha curato le quattordici stazioni della Via Crucis usando una tecnica mista. L’aspetto liturgico, solitamente sempre or-

ganizzato con particolare attenzione verso gli schemi tradizionali e rispettosi della prassi celebrativa, questa volta non ha rinunciato agli aspetti innovativi e dinamici. Ha abbracciato la filosofia di questa architettura. E così pure gli arredi sacri, insieme alle panche e ai corpi illuminanti sono stati interamente progettati da Fuksas Design per far sì che il tutto rispondesse ad un unicum fondante: la linearità. Tema che fa di questo luogo sacro, sorto su una terra segnata dal terremoto del 1997, dalla sofferenza, dalla rassegnazione e dalla gioia della ricostruzione, un segno di solidità. Edificio simbolo, e per questo ancora più difficile e complesso nello stesso tempo. Ma sicuramente interessante e forse anche intrigante. Una sfida, insomma, senza perdere di vista la semplicità e l’umiltà della forma. «Quando si fa una chiesa - conclude Fuksas - si diventa umili. E solo se si è presuntuosi e arroganti non si ammette che nel progettarne una si prova paura». DESIGN + 61


Progetto / 3

GRAND PARIS

IN PROGRESS

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Pensare/Agire: Dal concetto di finestre-progetto ai 2 progetti metropolitani è la proposta dell’Atelier Christian de Portzamparc, che fa della ricerca metodologica sul sistema urbano il centro del progettare.

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La grande Parigi stimolata è il progetto con il quale gli architetti e urbanisti dell’equipe parigina l’AUC propongono un passaggio dalla situazione urbana ereditata dal passato alla Parigi contemporanea.

3

Parigi, Rouen, Le Havre: una sola città e la Senna come via principale. Una citazione di Napoleone I per il titolo del progetto dello studio Antoine Grumbach & Associés per rispondere alla sfida della Parigi post-Kioto.

4

La grande Parigi metropoli dolce. L’equipe berlinese LIN degli architetti Finn Geipel e Giulia Andi si propone di trasformare il modello di città europea in un prototipo di sviluppo urbano del futuro.

5

Parigi m/Parigi am a/Parigi si fa am are. Con questa proposta l’equipe degli Atelier Jean Nouvel, Michel Cantal-Dupart, Jean-Marie Duthilleul eleva la Metropoli a potenza.

6

Capitale per l’uomo, capitale per il mondo. Alla base del progetto dell’equipe dell’Atelier Roland Castro - Sophie Denissof - Silvia Casi, il proposito di riconciliare l’uomo con la città.

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La metropoli porosa del XXI secolo. Come valorizzare gli strati monumentali, culturali ed etnici della città secondo l’equipe di architetti italiani Bernardo Secchi e Paola Viganò di Studio09.

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Parigi Più. L’equipe MVRDV con sede a Rotterdam propone di potenziare la metropoli attraverso i quattro punti di Sintesi, software City Calculator©, dati e osservazione.

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20 città sostenibili per l’equipe Ateliers Lion - Groupe Descartes è una strategia incentrata sui quattro temi di governance, trasporti, habitat e clima.

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Il progetto dell’agglomerato parigino del futuro dell’equipe londinese di Rogers Stirk Harbour + Partners si articola su dieci principi chiave per la progettazione della Parigi metropolitana.

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Il bando lanciato dal presidente Sarkozy per la riqualificazione urbana e periferica della metropoli parigina è una straordinaria occasione di rinnovamento che rappresenta, per la Francia e per la capitale, una nuova opportunità di rilancio e rivitalizzazione. Parigi diventa così un punto di riferimento per il resto delle metropoli europee di Iole Costanzo

P

arigi. La mitica Parigi fatta di storia, di charme e di vita. La signora delle città francesi. La ville lumière. È anche la ville delle banlieue. Nove milioni di persone distribuite in cittadine satelliti che con un lento processo di espansione si sono congiunte tra loro dando vita a nuclei abitativi informi e mancanti di identità. Ma Parigi non ha voglia di fermarsi. È una città meravigliosa, con i classici problemi delle metropoli dei nostri tempi, ma non accetta di sentirsi senza futuro. Ha voglia di crescere e di cambiare. Non vuole restare imbrigliata in immagini stereotipate. Vuole partecipare al nuovo mondo. Vuole essere una città del XXI sec. Ecco perché Nicolas Sarkozy, il presidente della Repubblica francese, pronto a giocare un ruolo dominante nell’economia europea e mondiale, ha ufficialmente mobilitato dieci equipe di architetti e urbanisti per strutturare dei megaprogetti che ridisegnino Parigi e la sua sconfinata regione. Riprogettare, ricostruire e ricucire le diverse parti della città cresciute all’ombra di cambiamenti radicali raccordo anulare. C’è chi l’ha pensata come una città "porosa", una quali il decentramento del sistema produtcittà accessibile e permeabile che dà spazio all'acqua. E c’è chi imtivo diventa, quindi,un importante progetto magina "venti città durevoli" con non più di 500 mila abitanti. Ci saper il futuro. La logica dell’integrazione, ranno giardini pensili sui tetti e un bosco di un milione di alberi al unica percorribile, riqualificherà le slabbranord, vicino all'aeroporto. Ma quel che conta è che nella futura Pature lasciate dalle pianificazioni precedenti e, rigi non esisteranno più le banlieue. La "Grande Parigi" sarà la città con interventi puntuali, renderà omogenei i ideale del post-Kyoto. Ecologica, policentrica, sarà la città-mondo che diversi tessuti che negli anni si sono creati. avrà il suo porto sulla Manica raggiungibile in un'ora con una nuova Per poter giungere ad una valida ipotesi prolinea Tgv. I lavori dovrebbero iniziare entro il 2012 e già a ottobre sarà gettuale, le dieci equipe hanno mobilitato, presentato un progetto di legge. La Parigi di domani, vista dagli aroltre agli specialisti del territorio, anche sochitetti di oggi, sarà una metropoli capace di rivaleggiare con Shanciologi e geografi per avviare una riflessione ghai e Tokyo. Sarà la città del futuro, lontana dalla museizzazione, su come riorganizzare la piccola capitale e la sempre attuale e pronta ad aggiornarsi per essere al passo con i tempi. sua affastellata banlieue, la Boulevard PeriDa due milioni di abitanti la città passerà a 12 inglobando tutta la repherique, vero pot pourri di problemi quali gione, per la nascita di una "regione-capitale". Si tratta dunque di ediquelli politici e amministrativi o quelli urficare una città nuova a partire da quella esistente. Concetto combanistici e sociali. pletamente diverso da quello delle new town. Questo progetto non Come sarà la regione parigina fra venti o scolla la crescita di una città dalla storia, ma prosegue con le stratifitrent'anni, per l’esattezza nel 2030? Archicazioni del tempo e le commistioni di linguaggi architettonici. L’attetti e urbanisti hanno risposto in modo dituale periferia conta molto sui futuri cambiamenti e soprattutto sulla verso. Forse diventerà una megalopoli che si rivoluzione dei trasporti, stanca degli attuali ritardi e continue attese estenderà fino all'estuario della Senna? Connelle stazioni dei treni e degli autobus. C’è anche chi ha segnalato che terrà venti nuove città e avrà un tessuto che Parigi ha un vantaggio unico in Europa: un centro ferroviario ad alta conterrà grattacieli e terrazze ricche di verde? velocità tra Londra e Francoforte che non riesce a raggiungere il suo Qualcuno ha immaginato una metropoli potenziale a causa della griglia urbana del XIX secolo che mantiene "dei poeti, dei flaneurs". Altri hanno pensato le 2 stazioni Gare du Nord e Gare de l’Est all’interno dei confini della a un avveniristico treno da costruire sopra il città. E infatti, tra le promesse più prossime alla realizzazione, vi è il

LE DIECI EQUIPE, HANNO MOBILITATO, OLTRE AGLI SPECIALISTI DEL TERRITORIO, PURE SOCIOLOGI E GEOGRAFI

miglioramento dei collegamenti dei treni locali Rer, i prolungamenti della metro, il decongestionamento di certe stazioni ferroviarie e un collegamento rapido con l’aeroporto Charles de Gaulle. A noi, dunque, non resta altro che auspicare una scelta dei progetti migliori in nome della futura crescita della città.

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1. TRASPORTI DINAMICI

Progetto / 3

Sopra: immagine di sintesi del rizoma, griglia di lettura analitica e descrittiva della metropolizzazione e del programma degli spostamenti diretti necessari per la Grand Paris. Sotto: sistema dei trasporti rapidi e aerei. 35.5 chilometri di circonferenza con circa venti fermate previste lì dove vi saranno i più importanti passaggi radiali. In alto a destra: immagine di sintesi della nuova Gare Nord Europa, un quartiere misto di abitazioni e realtà lavorative. In basso a destra: dalla periferia a Parigi. Fa da sfondo boulevard Sebastopol che si fonde con un edificato verdeggiante

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Per esplorare la questione metropolitana e la crisi che rappresenta, l’Atelier Christian de Portzamparc sceglie di analizzare i sistemi, i dinamismi e le immobilità urbane attraverso l’osservazione del sistema dei collegamenti che sinergicamente lega centro e periferia e l’identificazione di una possibile forma di crescita rizomatica a partire dai luoghi deputati al trasporto rapido. La metropoli è un’opportunità di modernità, ma rappresenta anche lo spreco di risorse ambientali ed economiche e l’alto rischio di scavare trincee sociali e culturali. Per prevenire il soffocare di questo universo, Portzamparc propone di agire a cominciare dai punti critici del dinamismo economico e della fluidità dei collegamenti. Una strategia mirata a riconciliare gli spazi funzionali su scala metropolitana e gli spazi fisici locali, rispondendo alle domande di gestione sostenibile. La proposta prevede sei “finestre-progetto” adatte a mostrare situazioni diverse. La finestra “MASSY-SACLAY” è caratterizzata dai problemi di aree frammentate dall’anello esterno; la finestra “ORLY-RUNGIS” incorpora Orly nel sistema urbano meridionale; la finestra “GRIGNY-EVRY” solleva la questione della funzione di arcipelago dell'anello più esterno; la finestra “PANTINBOBIGNY” illustra i diversi modi per convertire il tessuto urbano sedimentato con la rimodellazione dell’impronta ferroviaria e delle zone industriali; la finestra “ROISSY- LE BOURGET” riguarda lo spazio intermedio tra le aree di estensione di Parigi e il centro Roissy, un tessuto urbano frammentato. La proposta complessiva è quella di organizzare queste aree in una città aeroportuale. La finestra “PARIS - NORD” è il cuore del potenziale di sviluppo del rizoma settentrionale: la stazione nord europea.



Progetto / 3

2. GRANDE PARIGI STIMOLATA Il progetto dell’Atelier l’AUC sviluppa dei punti di intervento/stimolo chiave per il passaggio dalla metropoli di oggi a quella del futuro. Si parte dalla “metropoli delle condizioni climatiche” con i temi della metropoli post-Kyoto e della diagnosi dell’agglomerato parigino sollevati dalla consultazione internazionale di ricerca sul futuro della Parigi metropolitana. Si sviluppa un nuovo sguardo sulla città contemporanea.

La pianificazione discreta Parte dalla consapevolezza che la metropoli di domani è già qui, che il fatto metropolitano è prima di tutto un fatto culturale. La storia delle grandi città e metropoli in Europa e nel mondo mostra l’incapacità della panificazione nell’affrontare realtà più complesse. Per questa ragione la pianificazione rimane rilevante solo se “discreta”. La metropoli ereditata Quella post-Kioto del XXI secolo è già qui. Non esiste più l’urbanistica dell’estensione, ma l’urbanistica del riciclo. Lo studio si

dirige dalla pianificazione verso la stimolazione dei territori metropolitani.

In alto: gruppo di immagini scelte dal progettista per affermare che il fatto metropolitano è prima di tutto un fatto culturale. E che la storia delle grandi città mostra l’incapacità della panificazione di affrontare realtà più complesse. A destra: “La Matrice” escamotage grafico di sintesi per bypassare le incapacità dei piani di risolvere i problemi della città metropolitana contemporanea. Il gruppo “l’AUC”, infatti, propone la sovrapposizione di situazioni così da stimolare ciò che è già presente

Matrice per una metropoli polifonica e polimorfica La metropoli è globalizzata. La metropoli del XXI secolo deve essere una costruzione aperta e collettiva, diversa da quella pre-Kioto. La rappresentazione che oppone centro e periferie dovrà essere superata dalle realtà del territorio e dalla pratica degli abitanti. L’AUC propone “La Matrice” per sorpassare l’empasse del piano nei confronti del problema della città metropolitana contemporanea. La grande Parigi stimolata Per rendere Parigi una metropoli contemporanea, “l’AUC” propone l’intensificazione di situazioni metropolitane che stimolano ciò che è già presente. Sono spazi funzionali in grado di afferrare in uno stesso oggetto la micro-scala e il dettaglio delle situazioni di ogni giorno così come la scala territoriale e strategica nel suo insieme.

Sopra: immagine rappresentativa dell’ipotesi progettuale: sostituire alla crescita radio-centrica dell’agglomerato parigino una metropoli che si dirama lungo la valle della Senna. La Senna diventerà luogo di formazione, informazione e socializzazione. A sinistra: grafico sintetico dei nuovi punti nevralgici della lunga Grand Paris pensata come la Seine Metropole, una città immersa nel verde, sostenibile e solidale che, sfruttando la Senna come asse di sviluppo, diventerà l’interfaccia europea con l’Atlantico 66 DESIGN +


3. LUNGO LA VALLE DELLA SENNA Parigi, Rouen, Le Havre, una sola città e la Senna come strada principale. L’equipe Antoin Grumbach & Associes parte dalla considerazione che nel momento della globalizzazione la Francia, che rappresenta solo un centesimo della popolazione mondiale, dispone di una delle più grandi metropoli mondiali. Secondo questa equipe di architetti e urbanisti scegliere la città territorio Parigi, Rouen e Le Havre, non vuol dire fuggire dalle difficoltà dell’Ile-de-France, bensì cercare un nuovo asse di sviluppo nonché prefigurare la giusta strada per una metropoli mondiale del XXI secolo. Il piano impone di ridurre le emissioni che provengono dall’agricoltura, dai trasporti, dai fabbricati e dalle industrie.

Geopolitica Per continuare a far parte del piccolo gruppo delle città del mondo del XXI secolo, la metropoli parigina dovrà proiettarsi al centro delle principali questioni mondiali tra le quali vi è quella del trasporto marittimo. Ecco perché sarà necessario un efficace polo fluviale come collegamento tra Europa e Atlantico. La valle della Senna Alla crescita radiocentrica dell’agglomerato parigino, si è sostituita l’identità geografica della valle della Senna, territorio di una metropoli internazionale. Gli abitanti dei comuni che seguono il

fiume condividono lo stesso destino: grandi villaggi segregati a causa dei corsi d’acqua e mancanza di trasporto collettivo. Secondo questo progetto la valle, per la sua vocazione industriale e per la sua posizione geografica, potrebbe favorire la nascita della terza rivoluzione industriale, quella dell’energia verde.

Città natura L’opposizione ancestrale tra città e natura fa parte del passato. . All’alternanza città, agricoltura, industria, si oppone uno sviluppo diffuso da aggregare più o meno ai villaggi rurali, divenuti villaggi urbani per loro vocazione e loro modo di vivere. Intrecciare mobilità e territorio Sia la grande scala, che l’esigenza di solidarietà, richiedono un sistema della mobilità accessibile a tutti e distribuito su tutto il territorio metropolitano. Mettere il territorio in movimento Piuttosto che creare dei nuovi livelli amministrativi, vengono ideati progetti comuni. È quindi importante cominciare con azioni a breve termine, capaci di mobilitare organizzazioni pubbliche, partner privati e abitanti della Seine Metropole attraverso esposizioni internazionali, piste ciclabili, interventi artistici su scala territoriale. DESIGN + 67


4. UNA METROPOLI DOLCE

Progetto / 3

Una metropoli compatta e multipolare in cui vivranno 13 milioni di abitanti, questa la considerazione di base dell’Equipe LIN. I punti di partenza sono bellezza, forza economica e valore storico delle aree edificate. Seguendo strategie sostenibili, nel rispetto del protocollo di Kyoto, G. P. M. D. sviluppa 3 concetti bipolari.

Città densa | leggera Le aree di alta qualità urbana densamente popolate saranno poste vicino a spazi naturali. Un sistema integrato di “Eco-Stazioni” migliorerà la distribu-

zione di beni, servizi e informazioni e permetterà un facile accesso allo stile di vita moderno.

Città globale | accessibile I sistemi innovativi di macro e micro mobilità saranno integrati nel corpo di Grand Paris Metropolis. Grande Parigi | paesaggi Sviluppare un sistema-paesaggio che tenga in conto i corsi d’acqua, lo sviluppo di nuovi sistemi di mobilità e l’integrazione di strutture ricreative e residenziali.

In alto: planimetria simbolica per rappresentare un tessuto cittadino denso, accessibile e sostenibile. A sinistra: rendering schematico. I grandi volumi prospicienti la Senna garantiranno la densità necessaria a una sostenibilità che punta sull’integrazione di micro e macro mobilità 68 DESIGN +


5. QUEL PARI SUR PARIS Cosa fare di una città esistente? Quale scommessa, “quel pari”, su Paris? È da questo interrogativo che parte la riflessione dell’Equipe di Jean Nouvel. Il motto scelto sottolinea il fatto che una scommessa sulla città è accettabile solo perché si tratta di Parigi. Nasce così il progetto per Parigi Metropoli Parism basato su una strategia ad hoc in nove punti: 1. Parism sarà assorbita da campi, foreste e valli del bacino parigino. Si recupereranno piantagioni, serre, promenade, e aree di margine dei terreni agricoli. 2. Gli spazi della mobilità non saranno solo funzionali, ma daranno anch’essi l’immagine della città. 3. Le zone industriali saranno riconvertite in appartamenti e luoghi di lavoro. Questa flessibilità produrrà un equilibrio tra luoghi di lavoro e di abitazione e una diminuzione dei tempi di trasporto.

4. I luoghi di incontro, di lavoro e di gioco saranno complementari alle abitazioni. 5. L’impostazione radiocentrica dei trasporti è causa dell’infarto dei collegamenti. La strada giusta sarà: connessioni veloci tra i diversi centri. 6. Sulle interconnessioni principali saranno impiantati i nuovi centri. Parism sarà la capitale delle interferenze. 7. Grazie alle 4 valli Parism si svilupperà in 4 poli competitivi. Siti interessanti attrarranno ricercatori e insegnanti. Tutto avrà una nuova impostazione urbana. 8. La Parigi storica sarà protetta e il suo patrimonio sarà sempre la base per l’attualità. Il grande mito di Parigi si farà sempre più affascinante. 9. L’arte diventerà l’aura parigina. Una città, un’arte da vivere.

Sopra: esempio di collage fotografico, rappresentativo delle diverse zone limitrofe che il piano prevede integrare nell’idea di Parigim, la Parigi metropoli griffe di se stessa. In basso: rendering dell’ipotesi di grattacielo (pensato come luogo di incontro, di lavoro, del tempo libero, calato nel verde e complementare alle abitazioni) inserito prospetticamente alla fine di avenue Foch

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Progetto / 3

6. UNA CAPITALE DEL MONDO L’urbanità va ripensata. Quello dell’equipe dell’Atelier Castro Denissof Casi è un progetto a dimensione sostenibile attraverso la creazione di una civiltà urbana che anticipi l’impegno dell’uomo post-Kyoto. L’analisi geografica ha permesso di individuare 8 entità compatte per una Grand Paris avente un diametro di 40 km, ossia 15 volte più grande di Parigi, e 8 milioni di abitanti. Per ciascuna area, si sono immaginati progetti di grande respiro che ridisegnano il paesaggio, legano la storia e la modernità, l’esistente e l’immaginario. Questi spazi di deambulazione poetica saranno pianificati e i trasporti fluviali sviluppati. Le proposte relative ai trasporti vigenti riguardano la rottura dell’isolamento dei quartieri più lontani e i collegamenti dei grandi poli di sviluppo grazie a un’altra costruzione di metropolitana aerea sulla A86 o ancora alla realizzazione di una tramvia della Grand Paris. Questo nuovo legame tra abitazioni e luoghi di lavoro assicura una città più umana e più bella: trasporti più fluidi, più rapidi con treni, metro, tram e bus come mezzi che rendono più semplice il movimento e non sono meri luoghi di transito. Sarà un esempio di riconciliazione tra città e natura: l’impresa consisterà nel preparare intorno alle grandi aree verdi dei bei percorsi ciclabili, così da godere meglio del paesaggio. All’interno della metropoli il verde aumenterà e tutti i giardini e parchi esistenti saranno migliorati per contribuire a loro volta alla poesia della nuova Grand Paris.

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I progetti portatori di simboli L’obiettivo di Roland Castro è quello di inventare un simbolismo dei nostri tempi. Sette luoghi simbolici la cui vocazione è quella di rifondare l’identità repubblicana usando i luoghi dell’immaginario collettivo: un memoriale sul monte Valerien, il Campo Marzio della Repubblica multirazziale alle Chelles (dipartimento della Senna), un Panteon ai piedi di Vitry, la Fiera del mondo multirazziale a Gonesse, l’Ecopianeta sul porto di Gennevillier, il Canale della cultura sull’Ourcq e la Piazza della Grand Paris alla confluenza tra la Senna e la Marne.

La Grand Paris, capitale del mondo L’ambizione è di fare di Grand Paris un centro di influenza mondiale, un polo di attrazione per i talenti di tutto il mondo. Erede di un patrimonio universitario prestigioso, crocevia di studenti, centro di ricerche e di cultura, la metropoli ha le potenzialità per divenire leader mondiale di valori come creatività, innovazione e sapere. Ma la nuova metropoli potrà divenire anche la capitale del lusso, del design e della moda per iscrivere la metropoli parigina nell’insieme delle metropoli mondiali creatrici di ricchezza. Questo nuovo rapporto tra l’uomo e la creatività potrà essere l’essenza di un nuovo marchio parigino, il “made in Grand Paris”, che esprimerà il valore degli uomini che vi vissero e anche il valore che ciascun cittadino sarà capace di creare in questa città del domani.

A destra: rendering di come è stato pensato lo sviluppo dell’area “Ile de Vitry”, una delle 8 entità compatte che formeranno la Grand Paris. In basso: quattro immagini che prefigurano i possibili sviluppi delle diverse entità, che formeranno la nuova Parigi. La prima a sinistra è un montaggio/ ipotesi di Manhattan e Courneuve, mentre la seconda rappresenta il futuro porto di Gennevilliers. La terza simboleggia l’agorà pensata alla confluenza tra la Senna e la Marne. L’ultima prefigura la trasformazione del canale dell’Ourcq in Canale del Sapere


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Progetto / 3

A sinistra: rappresentazione grafica del rapporto che esiste tra il tessuto storicizzato, stratificato della città consolidata e le nuove, ma comunque critiche, banlieue. In basso: i centri abitati e la Senna. La Senna vista come luogo degli scambi, di crescita e di permeabilità. La regione, coltivata e ricca di fabbricati fluviali oramai abbandonati e in disuso, acquisirà pertanto tutt’altra valenza

7. UNA CITTÀ POROSA Il progetto di città porosa, presentato da Bernardo Secchi e Paola Viganò (studio09) consiste nel valorizzare le stratificazioni dei diversi periodi storici e delle diverse culture degli abitanti della città turistica intra-muros e delle banlieue dando spazio all'acqua e agli scambi biotici. Nonostante l’acqua a Parigi sia importante, l’effettiva capacità della rete idrica non è valorizzata così come non lo sono i rischi di un suo possibile aumento a causa dei cambiamenti climatici. Per questo si ipotizzano delle piattaforme servite da ferrovie e da canali. Luoghi di nuova relazione con lo spazio fluviale che diventeranno di riqualificazione per i fabbricati fluviali. La porosità è allo stesso tempo misura della per72 DESIGN +

centuale di spazi aperti in relazione agli spazi costruiti. La regione ha delle aree coltivate così la città porosa ridisegnerà la relazione tra spazio edificato e aperto. Considerando le strategie di demolizione e ricostruzione come non efficienti dal punto di vista energetico, secondo Studio09 la metropoli del dopo-Kyoto deve puntare a una nuova interpretazione della città esistente. Quello della città porosa è un progetto di spazio isotropico, accessibile e permeabile. Una maggiore fluidità è conferita alla rete TGV e una maggiore estensione alla rete RER e ai treni regionali, mentre si suggerisce un grande investimento in una rete tramviaria da est a ovest per i collegamenti in questo senso.


8. PROGETTARE UNA “PARIS PLUS” “Paris Plus” significa di più: più ambizione, più ottimismo, più densità, più efficienza, più ecologia e più compattezza. Secondo gli architetti e urbanisti di MVRDV la grande Parigi ha bisogno di una combinazione forte di responsabilità e di ambizione per continuare il proprio sviluppo, restare coerente e sviluppare una coesione che sia la base di un’impresa collettiva volta a fare di Parigi una città esemplare. Il programma spaziale della città propone una serie di 17 interventi a larga scala che si basano sull’analisi del tessuto della città, dei bisogni programmatici futuri e delle possibilità spaziali. Tra le proposte, l’ambizione di rendere Parigi più accessibile attraverso la creazione di una grande stazione centrale a Les Halles, di una densificazione sotterranea del Boulevard Périphérique, dell’aggiunta di una linea metro e di due superstrade, della creazione di un nuovo Grand Axe’s e di una serie di infrastrutture sotterranee lungo la Senna. Lo spazio liberato dallo spostamento sotterraneo delle infrastrutture verrà utilizzato per un

programma abitativo in spazi verdi e vivibili. Altre parti della visione di questo gruppo riguardano gli investimenti nei trasporti, nella natura, nell’educazione, nella coesione sociale e nell’energia rinnovabile. L’insieme di tutti i progetti è volta a evitare l’espansione caotica e a trasformare radicalmente la città in una delle città più dense, compatte e quindi sostenibili tra le migliori europee: “Paris Plus petit”. Il progetto prevede l’utilizzo del City Calculator©, la versione demo di un potenziale software e strumento web che registra e quantifica il comportamento e la performance di una città, collega parametri quantitativi e qualitativi, permettendo di confrontare i risultati con quelli delle altre città. I dati prodotti potranno essere così utilizzati come uno strumento di pianificazione sostenibile fornendo una panoramica della ricerca dettagliata sul funzionamento e sulla performance della città. Il progetto prevede anche “le osservazioni”, una serie di articoli sui fondamenti, sulla storia e sui problemi della città.

In alto: rappresentazione ideogrammatica dei bisogni futuri del vario tessuto cittadino di Parigi. In basso: prefigurazione su larga scala degli interventi previsti per una nuova Parigi densa, compatta e sostenibile. Lo spazio oggi destinato alle infrastrutture sarà sostituito con spazi immersi nel verde

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Progetto / 3

9. VENTI CITTÀ SOSTENIBILI Governance, trasporti, habitat e clima sono i quattro temi su cui l’Equipe Groupe Descartes suggerisce una strategia. Venti città: affinché la Grand Paris sia il mezzo per creare una metropoli, la proposta è che si costruiscano una ventina di città che insieme comporranno l’area metropolitana. Venti città sostenibili con 500mila abitanti che avranno molti aspetti complementari tra il metropolitano

e l’impostazione locale. Abitazioni adatte all’attuale modo di vivere: frenare la tendenza di allontanare gli abitanti. Si propone di ridurre i costi delle proprietà fondiarie così da far mutare gran parte degli espropri cosìddetti intoccabili, e incoraggiare così la densità. 1/2ora al giorno per gli spostamenti: ridurre il tempo e i costi degli spostamenti. Ridurre l’inquinamento e il con-

sumo energetico e le distanze. Si sa che la distanza domicilio/lavoro è la causa principale della segregazione sociale. -2°C: con il Meteò France si è giunti all’ipotesi della rigenerazione totale delle foreste e dei corsi d’acqua. Un’operazione costosa ma semplice che contribuirà a ridefinire il paesaggio. La natura sarà una frangia della città e fornirà la materia prima per la città sostenibile.

10. IL FUTURO IN 10 PUNTI

Il progetto dell’Equipe Rogers Stirk Harbour + Partners si articola in dieci punti programmatici: 1. Ristrutturare l'autorità metropolitana in Ile-de-France; 2. Costruire Parigi su Parigi “la città compatta” obiettivo contemporaneo. 3. Completare la rete di trasporti metropolitani. Promuovere una rete tangenziale che colleghi i poli e la “Première Couronne” e un nuovo collegamento TGV verso ovest. 4. Creare una Parigi metropolitana policentrica all'interno della “Proche Couronne”. 5. Creare comunità bilanciate: un piano di azione sociale con interventi e investimenti orientati alle zone svantaggiate della città. 6. Riequilibrare l’economia regionale con la distribuzione di nuove tecnologie verdi e occupazione nella regione. 7. Superare le barriere fisiche della città: quelle occupate dalle ferrovie devono essere cancellate e trasformate per produrre un tessuto urbano permeabile. 8. Creare una rete per gli spazi aperti per limitare l’espansione della città, una rete di corridoi ecologici che colleghino gli spazi naturali della regione con il cuore della città. 9. Ridurre l’impronta della Parigi metropolitana sull’ambiente: un nuovo approccio metabolico per ridurre, riutilizzare e riciclare risorse. 10. Investire in design di alta qualità. Spazi pubblici ben concepiti e ben mantenuti devono essere al centro dei diversi quartieri. Saranno le basi per un’integrazione sociale.

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A sinistra: la situazione attuale del punto di confluenza tra la Senna e la Marne. In alto: previsione di progetto nel punto di confluenza dei due fiumi. In basso a sinistra: condizione dei corsi d’acqua della regione parigina. In basso a destra: rappresentazione di come potrebbe cambiare seguendo il progetto

Nella pagina a fianco: le Strutture Metropolitane. Nuovi trasporti rinforzati e potenziati per preparare Parigi metropoli ad essere sobria nell’uso delle risorse. A sinistra: nuovo asse nord. Esempio di una delle strutture metropolitane proposte. Un nuovo parco polivalente di circa 7 km che integra i nuovi spazi pubblici. In basso: immagine prospettica degli spazi aperti che sono stati previsti nella futura metropoli

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Lo spazio è libero

Linea Lux

L’esclusivo sistema di chiusura totale filo muro Sistema protetto da duplice brevetto: Tipologia costruttiva - Design

Per dare forma alle esigenze dei progettisti nasce la prima finestra complanare raso-muro. La finestra può diventare così parte integrante delle progettazioni moderne che vogliono linearità e complanarità come tema fondamentale del percorso estetico.

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T E P R I M A

IL POTERE EMOZIONALE DEI ROBOT

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robot sono dappertutto. Il tema è d'attualità per la massiccia presenza nel mondo dei media e nell'industria cinematografica. Tuttavia, le nostre conoscenze ed idee intorno ai robot sembrano essere modellate sulla fantascienza. Da un lato, la mostra esamina il rapporto esistente oggi fra la realtà ed il romanzo e, dall’altro, si interessa dell’effetto emozionale che provocano i robot, generato dalle caratteristiche della forma e delle possibilità funzionali. In esposizione c’è tutto ciò che si deve

sapere sui robot: a che cosa assomigliano, dove sono usati e che cosa dovrebbero potere compiere in avvenire. Molti degli oggetti sono interattivi e sono presentati mentre si muovono, fin dall’ingresso il visitatore è accolto da un robot. ZURIGO Robot – From Motion to Emotion

Museo del Design (fino al 4 ottobre 2009)

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FIERE

TENDE E TECNICA RIMINI

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Il mercato della protezione solare ha identificato nello scenario internazionale di T&T una grande occasione di business, un palcoscenico in grado di riassumere e valorizzare tutte le potenzialità del settore ed esaltare l’intero processo produttivo, dalla progettazione alla realizzazione. La fiera offre una rappresentatività espositiva di grande livello, dal sicuro appeal verso il pubblico qualificato perché è un’agorà in cui esibirsi, dove incontrare vecchi e nuovi clienti, dove far crescere la cultura del prodotto, del progetto, del confronto, dell’innovazione. In questa compagine ci saranno molte novità da scoprire; grazie alla cadenza biennale, la fiera consente un intervallo di tempo ottimale per la messa a punto di prodotti che segneranno l’evoluzione del comparto, oggi investito dall’imperativo del risparmio energetico. La manifestazione in sole 4 edizioni ha più che raddoppiato i propri numeri raggiungendo il secondo posto a livello mondiale tra le fiere del settore. Dal 2001 (prima edizione) al 2007, i padiglioni occupati sono passati da 2 a 4 + 2 hall, e la superficie espositiva è giunta a occupare 26.000 mq, dagli iniziali 11.000 (+ 30% ogni edizione). Gli espositori da 100 sono passati a 250, mentre i visitatori (2007) sono stati oltre 9.000, il 10% dei quali stranieri. Per un Paese come l’Italia che importa l’80% del fabbisogno energetico, la più efficace fonte di energia rinnovabile a disposizione di tutti, subito, è il risparmio energetico. Partendo da queste

TecnicInfinity di Pratic. Una pergola dal design classico e lineare, progettata per essere flessibile anche nelle misure e coprire ampie metrature

considerazioni, il tema centrale della 5a edizione di T&T sarà l’integrazione tra sistemi, tecnologie, progettazione, normative e processi. L’integrazione tra i sistemi di protezione gioca infatti un ruolo primario nella qualificazione energetica degli edifici e, di conseguenza, del risparmio energetico. Le schermature solari, intese come qualsiasi dispositivo che esclude la luce solare da una costruzione, come ad es. un tendaggio o una tenda da sole (www.es-so.com), grazie alla loro resistenza termica, controllano la quantità di calore e di luce immessa in una costruzione. In questo modo partecipano alla riduzione del consumo energetico per il riscaldamento, il raffrescamento e l’illuminazione di un edificio, che in Europa corrisponde al 40% dell’energia primaria utilizzata e che si traduce in una notevole riduzione di immissione di CO2 nell’aria. In inverno le schermature interne e le persiane permettono una riduzione fattibile di CO2 emessa pari a 31 Mtla grazie alla riduzione di fabbisogno energetico per il riscaldamento. In estate, tende e persiane permettono una riduzione fattibile di CO2 pari a 80 Mtla grazie alla riduzione di fabbisogno energetico per il condizionamento. Il mercato della protezione solare riconosce ancora una volta nella Biennale Internazionale T&T la grande manifestazione di riferimento. Non a caso, la European Solar Shading Organization ha confermato la partecipazione dell’organizzazione a T&T 2009.

T&T – TENDE E TECNICA Biennale Internazionale di Prodotti e Soluzioni per la Protezione, l’Oscuramento, il Risparmio Energetico, la Sicurezza, l’Arredamento / Rimini 7 - 10 ottobre 2009

Tempoteststar, di Parà. Un nuovo tessuto realizzato con una innovativa fibra 100% poliestere tinta in massa ad alta tenacità, addizionata con UV Absorbers


SUN RIMINI

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SUN, il Salone Internazionale dell’Esterno, giunto alla 27a edizione, è l’unica manifestazione fieristica B2B esclusivamente dedicata alla progettazione e all’arredamento dell’outdoor a 360°. Piattaforma di business privilegiata e osservatorio unico e autorevole per l’intero settore dell’arredo per esterni, si sviluppa in 12 padiglioni (90.000 mq) nella cornice di RiminiFiera. Nei 5 comparti espositivi, Out_Style, Sea_Style, Sunaquae, Urban_Style e Giosun, il Salone espone il meglio dell’intera filiera delle tecnologie, delle soluzioni e del corredo da esterni, dal complemento più semplice all’arredo di più alto profilo. Innovazione, estro e creatività saranno il fil rouge del Salone. I padiglioni saranno ritmati da un importante novero di atmosfere, emozioni, mostre, dibattiti e ambientazioni che si snoderanno secondo percorsi originalissimi e di grande impatto, accanto a spazi, laboratori e concorsi internazionali: SUN come agorà, luogo, palcoscenico, SUN come un grande cerchio che tutto include e tutto filtra, trasforma, incuba, rielabora, ripropone, ristilizza. SUN 2009 prevede

già una lunga trama di protagonisti, collaborazioni ed eventi che guideranno il pubblico in un parterre eccezionale a cui prenderanno parte nomi del gotha planetario dei produttori, archistar, università e giovani talenti. I grandi temi del SUN 2009 saranno: Illuminazione sostenibile, Outdoor Contract, Urban Style&Design, SUN.Lab, Design VS degrado, Palladio… con brio, Outdoor Experience Design. 1.300 mq posti all’ingresso principale del Salone saranno dedicati all’Outdoor Contract, scanditi da prodotti innovativi in grado di sopravvivere alle mode e proposti da aziende protagoniste della rivoluzione estetica del III millennio. Il SUN.Lab torna dopo l’esperienza esaltante del 2008. Il concorso-laboratorio di SUN dedicato ai giovani talenti della progettazione (under 35) di tutto il mondo presenterà una serie di novità, una grande vetrina di prodotti non prodotti, di prototipi funzionanti, testati e realizzati con gli stessi materiali e le tecnologie previste in fase progettuale. Una creatività imposta dai giovani alle aziende.

SUN Salone Internazionale dell’Esterno / Rimini 8 - 10 ottobre 2009

SWA di Setsu e Shinobu Ito. La poltrona è una cellula individuale per il relax del singolo individuo. Pensata con dimensioni minime per ottenere il massimo comfort e il raccoglimento necessario per rilassarsi

Anneau di Monica Graffeo Un gioco di anelli: un anello tiene insieme altri due anelli dando forma alla seduta e allo schienale di una chaise longue, in intreccio di filo tecnico

Nest di Aksu e Suardi per De Padova. La poltrona è un guscio rigido, dalla forma circolare e dalle dimensioni generose, che sostiene, protegge, raccoglie e accoglie DESIGN + 81


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FIERE

DESIGN FESTIVAL LONDRA

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Il London Design Festival quest’anno si terrà per la prima volta al V&A Museum, uno dei più importanti musei del mondo dedicati ad arte e design. Al centro del Festival sarà allestita a Trafalgar Square un’enorme scacchiera interattiva che inviterà il pubblico a partecipare ad una gigantesca partita a scacchi: in pratica un’interpretazione, in chiave design, della battaglia di Trafalgar. Il Festival prevede una grande varietà di più di 200 eventi collaterali che interesseranno tutta Londra: esibizioni internazionali, eventi commerciali, installazioni, incontri e seminari e tanto altro. Tutto ciò a dimostrazione di come Londra sia realmente il cuore del design mondiale. Ben Evans, il direttore del London Design Festival, ha dichiarato che spera che, in questo 2009 non facile per il mondo del design, “il Festival sarà veramente l’espressione del meglio che il design internazionale può offrire”. Tra i pezzi forti del Festival c’è il Wallpaper Chair Arch, un’installazione all’aperto che ripropone la migliore tradizione Vittoriana, in onore della storia dell’industria creativa in Gran Bretagna. Interessante anche la speciale installazione realizzata all’entrata del V&A Museum, commissionata da Arts Co e fatta con rifiuti reciclati. Da non perdere anche una mostra di poster curata da Domenic Lippa, che presenta il lavoro di 25 designer grafici.

THE LONDON DESIGN FESTIVAL Londra 19 - 27 settembre 2009

Fragile Future, 2006-9 di Lonneke Gordijn and Ralph Nauta, per la mostra In Praise of Shadows

People will always need plates (le persone avranno sempre bisogno di piatti). Soggetto disegnato: miniera di carbone, per la mostra Britain Can (still) Make It

La gigantesca scacchiera del designer spagnolo Jaime Hayón, fatta con 32 scacchi di ceramica alti più di due metri. L’installazione sarà al centro di Trafalgar Square 82 DESIGN +


CERSAIE BOLOGNA

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Il Salone Internazionale della Ceramica per l’Architettura e dell’Arredo bagno, il Cersaie, che quest’anno si terrà dal 29 settembre al 3 ottobre a Bologna, si rinnova ogni anno come appuntamento irrinunciabile per tutti gli operatori del settore che desiderino conoscere o presentare nuove soluzioni estetiche e tecnologiche e che vogliano incontrarsi e confrontarsi sulle tendenze emergenti nel design e nell’architettura. Le due sezioni espositive Ceramica ed Arredo bagno rappresentano i punti cardine del Cersaie, attorno ai quali ruotano una serie di iniziative volte alla sperimentazione e alla ricerca di soluzioni innovative sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista qualitativo. La Ceramica, prodotto versatile e resistente, si consolida come materiale funzionale, perfettamente adattabile a tutti gli stili, dal moderno al classico, dall’etnico al rustico, grazie ad una varietà di proposte che spaziano dalle pietre naturali al gres porcellanato, ricreando la preziosità di materiali come il marmo e il legno ed utilizzando inserti, decori, mosaici. Al Cersaie la sezione Ceramica propone idee di utilizzo, per grandi e piccoli spazi, ripercorrendo usi consueti e suggerendo ogni anno nuove opportunità d’impiego. Luogo di benessere e relax, il Bagno a Cersaie è concepito come spazio accuratamente

Atmosfere 01, Colacril. Gli elementi che compongono il progetto giocano su forme geometriche elementari alleggerite da angoli dolci e da profili sottili. Designer: Romano Adolini

CERSAIE Salone Internazionale della Ceramica per l'Architettura e l'Arredobagno. Bologna - 29 settembre 3 ottobre 2009

Fornasettiana, Ceramica Bardelli. Piastrella in bicottura 20x20 cm, decalcomania. Designer: Piero Fornasetti

progettato ed arredato. Rubinetterie, vasche idromassaggio, cabine doccia, materiali da rivestimento, arredi sono tutti gli elementi proposti da Cersaie per trasformare, personalizzare e rendere funzionale la stanza da bagno senza tralasciare qualità del prodotto ed armonia degli spazi. Gli espositori presenti in fiera saranno 1074, disposti su 176.000 mq di esposizione, e rappresenteranno 34 nazioni diverse. Ecco i settori espositivi: Piastrelle di ceramica; Apparecchiature igienico-sanitarie; Arredamenti per ambiente bagno; Arredoceramica e Caminetti; Materie prime, attrezzature per prodotti ceramici; Attrezzature e materiali per la posa e l'esposizione di prodotti ceramici; Attività di servizi. L'architetto Renzo Piano sarà il protagonista della Giornata dell'Architettura, l'appuntamento che da alcuni anni caratterizza il Salone Internazionale della Ceramica per l'Architettura e dell'Arredobagno. Giovedì 1° ottobre, presso il Palazzo dei Congressi di Bologna, Renzo Piano terrà una Lectio Magistralis dal titolo “Fare Architettura”: l'evento avrà inizio alle ore 11.00 e sarà preceduto da una conferenza stampa prevista per le ore 10.00. DESIGN + 83


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FIERE

SAIE BOLOGNA

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Il SAIE è, ormai da parecchi anni, uno dei più importanti appuntamenti mondiali per il settore dell’edilizia. Quest’anno si terrà dal 28 al 31 ottobre, come sempre a Bologna. È un salone internazionale delle costruzioni dove più di 1700 aziende mostrano i loro prodotti e sistemi e si incontrano con 180.000 operatori del settore per discutere e confrontarsi su soluzioni, progetti, tecnologie per costruire il futuro. Gli spazi di SAIE sono organizzati in maniera razionale, con percorsi e saloni tematici che permettono di ottimizzare i tempi di visita al salone, secondo esigenze ed interessi individuali. Tra i saloni espositivi di SAIE ricordiamo LATERSAIE, Salone del laterizio, SAIEBit, dedicato ai sistemi informatici e alle società di servizi, SecurSAIE, Salone degli utensili e dei sistemi di fissaggio, rivolto all’antinfortunistica e alla sicurezza, STRUTTURALEGNO, destinato alle strutture in legno. Un ricco calendario di convegni e seminari completa l’offerta altamente qualificata e professionale di SAIE, che si caratterizza anche come momento formativo professionalizzante, oltre che occasione di approfondimento di

tematiche legate al mondo delle costruzioni, all’interno del più ampio dibattito internazionale. Dall’anno scorso SAIE è anche SAIENERGIA il salone tematico dedicato alle energie rinnovabili e alle tecnologie a basso consumo per il costruire sostenibile. Nell’ambito di SAIE 2009, l’efficienza energetica sarà nuovamente il “filo conduttore” che metterà in collegamento i prodotti, le tecnologie, i materiali e l’attività culturale del salone. Con un approccio innovativo, che privilegia accanto all’esposizione anche le occasioni di dibattito, SAIENERGIA darà un fondamentale contributo all’integrazione fra costruzioni e fonti rinnovabili di energia pulita, raggiungibile attraverso l’applicazione di soluzioni, tecniche costruttive e tecnologie impiantistiche innovative. SAIE 2009 lancia anche il concorso SAIE Selection. Social housing ed efficienza energetica sono, oggi, fra le priorità per il mondo delle costruzioni. SAIE dedica a questi ambiti un’interessante iniziativa: un concorso internazionale dedicato alle Soluzioni abitative sostenibili e a basso consumo energetico, riservato a studenti e giovani progettisti.

Ambiente Passiv, Stabil Italia. Finestra in legno-alluminio per case passive con anta invisibile dall’esterno, ad alto isolamento termico POLARIS

Internazionale dell'Industrializzazione Edilizia / Bologna 28 - 31 ottobre 2009

Solaio, Ripabianca. Un solaio a struttura mista legno-lateriziocalcestruzzo, di grande effetto estetico e funzionale

Grigliato Carrabile MODÌ, Claudioforesi Srl. Un grigliato double face, due facce contrapposte di differente sagomatura

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SAIE Salone


ABITARE IL TEMPO VERONA

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Architettura, design, artigianato e industria concorrono a realizzare un’idea dell’abitare che, in Italia, trova alcune espressioni di eccellenza. Anche quest’anno, dunque, queste eccellenze si danno appuntamento a Verona, dal 17 al 21 settembre, per la ventiquattresima edizione di “Abitare il Tempo”, dove la tradizione dialoga con l’innovazione, il talento italiano si rende visibile al mondo e le idee prendono forma, dando vita ai nuovi scenari dell’abitare. L’unica rassegna italiana in grado di riunire 18 diversi settori merceologici, tutti riconducibili alla sfera dell’arredamento. Una prerogativa riassunta nel concetto di total living. Un’offerta che spazia a 360°, a cui partecipano i vari comparti che configurano il paesaggio degli interni: mobili, cucine, bagni, imbottiti, complementi, accessori, arte della tavola, illuminazione, rivestimenti, tessile d’arredamento, di gusto classico e contemporaneo, d’alta decorazione o di design. Il tutto diviso in 7 padiglioni dal look rinnovato rispetto alle precedenti edizioni. Importante novità di questa edizione è il progetto esterno di 15.000 mq interamente

Green Architecture, progetto di Isacco Brioschi Architecture & Design. Il muro viene abolito e il verde diviene una tappezzeria vegetale di piccoli volumi

dedicato all’arredamento outdoor, a cura di Frassinago Lab. L’area sarà riservata alle proposte delle migliori aziende rappresentative di questo comparto, in costante crescita negli ultimi anni, dando vita ad un piccolo ma organico salone nel salone. “Abitare il Tempo” 2009 presenta una serie di installazioni, di laboratori dove sperimentare un futuro che in molti casi è già presente, di ipotesi di show room d’arredamento. Saranno inoltre organizzati diversi incontri e workshop, che vedranno la partecipazione di esperti e rivenditori che si confronteranno sul tema della distribuzione e sulle prospettive di sviluppo di mercato. Come di consueto verrà consegnato il premio “Abitare il Tempo”, che quest’anno andrà a Gillo Dorfles, importantissimo critico d’arte e design, nonché professore universitario. In concomitanza con la fiera, inoltre, si svolge la quinta edizione di “ArtVerona”, manifestazione espositiva che ospita 170 gallerie tra le più importanti del mondo dell’arte moderna e contemporanea in Italia. Un connubio in grado di generare sinergie positive tra arte e design.

ABITARE IL TEMPO Giornate internazionali dell’arredo / Verona 17 - 21 settembre 2009

A sinistra: progetto vincitore del Concorso “Abitare x 2”, designer: Ben Zur. A destra: Green Home, casa prefabbricata by Roberto Semprini

Progetto dell’architetto Mario Botta per la mostra “Cleto Munari: i magnifici 7”, il tavolo era il tema comune su cui dovevano esprimersi i partecipanti

DESIGN + 85


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MOSTRE

Un’importante riflessione “antologica” - che da molti anni mancava in Italia - sulla carriera del maestro italiano dell’architettura e del design, Alessandro Mendini (1931), che ha colto e sostenuto i valori della contemporaneità: trasversalità, versatilità, capacità di ascolto, dinamicità e apertura alle temperature variabili del mondo. Grazie alla presenza armoniosa di disegni di progetti, fotografie, modelli, schizzi febbrili e coinvolgenti, riflessioni puntuali e oggetti veri e propri, quella che si apre al Museo dell’Ara Pacis è una mostra colta e solare, letteraria e comprensibile, adatta ad un pubblico ampio, sia di addetti ai lavori sia di semplici curiosi e appassionati. Saranno circa 200 le produzioni di Alessandro Mendini esposte e prestate alla mostra da 19 prestigiose aziende italiane (Alessi, Baleri Italia, Bisazza, Byblos Casa – Errestudio, Cassina, Cleto Munari, Corsi Design, De Padova, Glas Italia, Alchimia, 86 DESIGN +

Mamoli Rubinetterie, Olivari, Segno, Slamp, Superego, Swatch, Venini, Zanotta e Zerodisegno) oltre all’Atelier Mendini, ad 8 prestatori privati, alla Fondazione Boschi Di Stefano, al Museo Alessi e alla Collezione Permanente Triennale di Milano - Design Museum che mette a disposizione circa 300 disegni originali. Il motto di Mendini potrebbe essere “dall’infinito all’infinitesimo”, vista la capacità di operare con successo in tutte le diverse scale di progetto, da quella più piccola a quella più estesa. Seguendo questa traccia, le sezioni della mostra approfondiscono le tematiche che caratterizzano la carriera di Mendini: dal “progettare orizzonti” (le tante architetture pubbliche e gli interventi a scala territoriale) al “progettare stanze” (i mobili e gli ambienti interni), dal “progettare corpi” (gioielli e orologi, vestiti e borse, ma anche performance e azioni “teatrali”) al “progettare pensieri”, attraverso la sua fervida attività teorica e

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Dall’infinito all’infinitesimo

critica, anche come direttore di riviste (per esempio Domus e Modo). Uno spazio introduttivo ospita un racconto biografico con opere e fotografie d’epoca, per presentare la vita e l’opera del maestro attraverso i momenti più significativi e le opere maggiormente caratteristiche. Il nucleo centrale dello spazio espositivo, la “cripta” sotto l’Ara, conterrà la sezione teorica “progettare pensieri”, con alcuni scritti emblematici esposti e riprodotti, alcune “mappe mentali” e alcuni grafici/organigrammi ingranditi (articolatissimi e cristallini al contempo) che diventeranno texture parietali, mentre i tanti numeri delle riviste “storiche” del design da lui dirette verranno esposti (tutte le copertine) e in parte saranno consultabili. ROMA Alessandro Mendini

Museo dell’Ara Pacis (fino al 6 settembre)


Dedicata alle donne

Valérie Jouve, Sans titre (Les Façades), 1994 © ADAGP Paris ‘09

PARIGI Elles@centrepompidou

Centre Pompidou (fino al 24 maggio 2010)

Edifici per il teatro

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Filosofia e costruire Bert Theis è nato in Lussemburgo nel 1952. Da oltre quindici anni vive e lavora tra Milano e Lussemburgo. All'inizio degli anni Novanta, insieme ad altri artisti della sua generazione, si è affermato con lo sviluppo di strategie operative inserite in contesti urbani e legate a modalità relazionali. I suoi lavori sono concepiti come progetti simbolici, filosofici o utopici, disseminati in spazi dove l'arte può partecipare alla vita individuale e collettiva configurandosi quale luogo di riflessione, forma utilizzabile o situazione di socialità. Padiglioni, panchine, pedane, tribune, chioschi, container, ispirati tanto al minimalismo quanto all'architettura spontanea, si propongono come dispositivi aperti la cui interpretazione e destinazione d'uso è affidata all'iniziativa del pubblico. Un analogo carattere d'indeterminatezza si trova in Building Philosophy, concetto mutuato da Réalisation de la philosophie di Guy Debord, introdotto da Theis nella sua esposizione alla Federico Bianchi Contemporary Art di Lecco nel 2008 e ora riproposto a parete all'ingresso della Lounge. Il concetto si può tradurre come "costruire la filosofia", azione necessaria dovuta alla mancanza di una teoria adeguata alla crisi culturale contemporanea, oppure come "filosofia del costruire", realizzazione di "piattaforme" e altre strutture come il "laboratorio" di sperimentazione artistica e culturale “Isola Art Center” e l’ufficio per la trasformazione urbana “out”, promossi e coordinati dall'artista a partire dal 2001.

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Curata da Vitale Zanchettin, la mostra è dedicata a uno dei protagonisti dell’architettura del ‘900, Carlo Scarpa, e in particolare alle sue esperienze come progettista di spazi teatrali. Presenta per la prima volta al pubblico i progetti per edifici teatrali elaborati tra la fine degli anni 20 e il 1970 e mai realizzati. Da ognuno di questi lavori, in cui il teatro è concepito come sintesi vitale di altre arti (musica, prosa, recitazione, spazio architettonico) emerge ancora una volta l’attualità della sua opera.

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Dal 27 maggio luci puntate su tutte le donne del Centre Pompidou, grazie ad “Elles”, una mostra dedicata all’arte femminile delle collezioni del museo, dal XX secolo. È la prima volta al mondo che un museo fa un’operazione del genere. La mostra ripercorre la storia dell'arte del secolo scorso in tutte le discipline, dalla scultura al design, dalla fotografia all'architettura, dalla pittura alle performances, la body art, la danza. Sono più di 200 le donne del Centre Pompidou: artiste, fotografe, architette. Le loro opere si possono ammirare al quarto e al quinto piano del centro, divise in 7 sezioni tematiche. Presenti sette italiane: Gae Aulenti, Cini Boeri, Anna Castelli-Ferrieri, Carlotta De Bevilacqua, Lella Vigne, Milvia Maglione e Carla Accardi.

Sculture futuriste

La mostra è un omaggio a Giacomo Balla in occasione della ricorrenza del centenario del movimento Futurista. Nel giardino della Triennale saranno riprodotte in scala 11:1 le sculture-fiore ideate da Balla. Questi fiori si collocano fra le più interessanti ricerche dell’artista futurista nell’ambito dell’arte astratta. I fiori di Balla hanno forme non esistenti in natura, sono dipinti con colori squillanti e vivaci e sono pensati dall’artista come miglioramento della “decadente” flora naturale. Come i veri fiori hanno la funzione di arredare, colorare, profumare un ambiente e se ne trovano di triangolari, di conici e di sferici.

TREVISO Carlo Scarpa. Progetti per il teatro

PRATO - Bert Theis. Building Philosophy Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci

MILANO Flora Futurista

Archivio di Stato (fino al 21 novembre 2009)

(fino al 28 febbraio 2010)

Triennale (fino a settembre 2009)

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AGENDA

TRENTO Egitto mai visto Castello del Buonconsiglio (fino all’8 novembre 2009)

di BERTACCINI

TAGLIAMURI

ELIMINA UMIDITÀ TECNOLOGIE:

TAGLIO E DEMOLIZIONI CEMENTO ARMATO

SABBIATURA CAROTAGGI SMALTIMENTO AMIANTO

CERTIFICATO ANTISISMICO VENDITA DI MATERIALE PROFILATO

INFO:

333.6441344 0545.53051

In anteprima mondiale, a oltre cento anni dalle scoperte, l’esposizione permetterà di ammirare oltre 800 affascinanti ritrovamenti che fanno parte di due sorprendenti collezioni inedite, profondamente diverse tra loro, una proveniente dal Castello del Buonconsiglio e l’altra dal Museo Egizio. La più ricca e straordinaria raccolta, proveniente dai depositi del Museo Egizio di Torino, l’istituzione museale più importante dopo quella del Cairo, si deve al grande archeologo Ernesto Schiaparelli, celebre in tutto il mondo per la scoperta della tomba di Kha, l’architetto del faraone Amenofi III.

ROMA Il Sogno del Bianco e le Pietre del Passato Villa dei Quintili (fino al 31 ottobre 2009)

Le opere monumentali dello scultore giapponese Itto Kuetani saranno esposte in tre diverse sedi tutelate dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma: la Villa dei Quintili e il Mausoleo di Cecilia Metella sulla Via Appia, e il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme. Itto Kuetani è uno scultore fortemente interessato al dialogo con l’ambiente urbano, ma non solo. Roma - città alla quale egli è profondamente legato - ha contribuito in maniera significativa alla sua maturazione artistica. Egli stesso afferma: “In Giappone lavoravo solo sulla concretezza dell’opera. In Italia ho imparato a contestualizzare la scultura in stretto riferimento allo spazio nel quale essa è collocata”. ROMA Diabolik - Eva Kant. Una vita vissuta diabolikamente Palazzo Incontro (fino al 13 settembre 2009)

La Provincia di Roma presenta la più grande e ricca mostra che sia mai stata dedicata al Re del Terrore, Diabolik. In realtà si tratta di ben sei mostre diverse distribuite sui tre piani di Palazzo Incontro e arricchite da statue, cimeli, gadget che permettono al visitatore di ripercorrere la lunga vita di Diabolik ed Eva Kant, conoscerne caratteristiche e segreti, curiosare dietro le quinte della casa editrice che ne pubblica le avventure, scoprirne – o riscoprirne – l’intramontabile fascino. A quasi cinquant’anni dalla nascita di Diabolik, Eva e Ginko, il primo fumetto rivolto a un pubblico adulto e che racconta le storie di un antieroe, ancora oggi siamo tutti interessati alle loro avventure e coinvolti dalle loro vicende.


AGENDA

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LUCCA E lucean le stelle - Museo Italiano del fumetto e dell’immagine (fino al 31 dicembre 2009)

Un viaggio per immagini e fumetti dal macrocosmo di Galilei al microcosmo di Einstein. La mostra rende omaggio alla scienza e ai suoi maggiori protagonisti attraverso le storie a fumetti dei più grandi disegnatori internazionali. Un curioso e divertente excursus per immagini nella storia della scienza guidati da un fantasioso personaggio, Galileo, inventato da Cavazzano. La manifestazione vede inoltre la preziosa partecipazione della Walt Disney Publishing, il più grande editore al mondo di libri e periodici per bambini pubblicati in oltre 75 paesi, che farà realizzare apposta per questo evento alcune nuove storie dai suoi più importanti artisti italiani. L’allestimento è particolarmente scenografico e interattivo, realizzato con la collaborazione dei maestri carristi del Carnevale di Viareggio. ROVERETO Italia Contemporanea. Officina San Lorenzo MartRovereto (fino al 27 settembre 2009)

La mostra vuole approfondire il lavoro di quel gruppo di artisti che, alla fine degli anni Settanta, lavoravano negli spazi dismessi dell'ex pastificio Cerere, nel cuore del quartiere San Lorenzo a Roma. Negli anni, “Officina San Lorenzo” ha finito per identificare le ricerche artistiche di Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella e Marco Tirelli. Avvicinati non da un programma, ma da una poetica comune, questi artisti hanno rimesso la pittura e la scultura al centro della pratica artistica. Un percorso intrapreso riabilitando i concetti di unicità dell’opera d’arte: un’ottica controcorrente rispetto a molte esperienze del periodo.

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VENEZIA Robert Rauschenberg: Gluts Collezione Peggy Guggenheim (fino al 20 settembre 2009)

La mostra, a cura di Susan Davidson, rende omaggio a una delle più grandi forze creative dell'arte americana dagli anni ’50, Robert Rauschenberg (ottobre 1925 - maggio 2008). Con circa quaranta lavori, l’esposizione presenta un corpus di opere in metallo, poco conosciute dal grande pubblico, provenienti dal Rauschenberg Estate nonché da istituzioni e collezioni private americane e non solo. Incline al riciclo, Robert Rauschenberg è sempre riuscito a scoprire nuovi modi di impiegare gli scarti donando loro una seconda vita che li rinvigorisce. E così, davanti agli oggetti più disparati, ammucchiati nel suo studio, impiega il medesimo approccio diretto per affrontare i Gluts (1986–89 e 1991– 95) assemblaggi di oggetti di recupero, la maggior parte in metallo, che rappresentano la sua ultima serie di sculture.

Via Verdi, 15/3 - 40065 Pianoro (BO) Tel 051.742692 - Fax 051.6263147 www.audiosystembo.it mail: audios04@audiosistem.191.it




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Massimo Iosa Ghini si laurea al Politecnico di Milano. Dal 1985 partecipa alle avanguardie del design italiano, per il gruppo Bolidismo di cui è fondatore, e fa parte del gruppo Memphis. Negli stessi anni apre lo Studio Iosa Ghini Associati a Bologna. La sua evoluzione professionale matura nella progettazione di architetture e installazioni culturali e commerciali nel mondo.


Dietro al progetto BUSSTOP Nel 1994 Iosa Ghini partecipa a Busstop, un’iniziativa della municipalità di Hannover che prevede la realizzazione di nove fermate d’autobus, e progetta un organismo con una propria vita, realizzato con materiali e tecnologie moderne ma in sintonia con la natura: la copertura è un guscio in vetroresina in grado di raccogliere l’acqua piovana e incanalarla nel sottostante setto portante in calcestruzzo

IOSA GHINI Massimo

La cultura architettonica in Italia. Il complicato sistema normativo. Il rapporto tra committente e architetto. Iosa Ghini esplora il mondo della progettazione con piglio critico e costruttivo allo stesso tempo. Ricordandoci che il risultato eccellente possiamo ottenerlo solo grazie «all’intuizione inesplicabile» di Alessandro Marata DESIGN + 93


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assimo Iosa Ghini, l’architetto bolognese che nel 1985 ha partecipato alle avanguardie del design italiano, fondando, con altri giovani colleghi il movimento del Bolidismo, ha oggi un suo segno caratterizzato da una linea fluida e dinamica. I suoi primi oggetti di design sembravano provenire dal suo mondo di comic strips ma non come “oggetti fumetto”, bensì come concretizzazione di un suo mondo immaginario. Con il tempo però Massimo Iosa Ghini ha spostato il suo interesse dalle illustrazioni al design e all’architettura, ed è arrivato a sviluppare progetti per grossi gruppi come Ferrari, Maserati, Superga, Omnitel e Alitalia. Lavori che, come la nuova Sede SEAT - Pagine Gialle di Torino, evidenziano la modernizzazione e la logica consapevole del rapporto uomo-benessere. Oggi cura spazi espositivi e luoghi commerciali, crea concept per catene di negozi, e a tutte le sue architetture applica l’idea dell’involucro non più visto come guscio bensì come membrana. La sua esperienza nel campo grafico e della creazione è sfaccettata e la sua realtà relazionale passa da Hannover a Miami, alle conferenze in varie Università quali Milano, Roma, Barcellona, Colonia e Vienna. Massimo Iosa Ghini, il ruolo dell’architetto può essere anche di “educatore” del committente, del costruttore o dell’amministratore? «C’è in circolazione un interessante saggio di John Silber, Le architetture dell’assurdo. Come il genio ha tradito un’arte al servizio della comunità. La teoria dell’autore è che ci sono architetti che, dotati di arti seduttive, impongono ai committenti i loro voli pindarici tridimensionali come una sorta di educazione fatua che na94 DESIGN +

sce da una irrisolta volontà di imporre una propria visione del mondo. Altri invece sanno compendiare le esigenze della committenza e della contingenza ed è in questa mediazione che starebbe la vera capacità. Proporre con volitività o mediare, sono questi gli asintoti della questione. Educare a un proprio credo, ad una propria etica o raccogliere istanze e dare risposte a tono? Autore o interprete? Io credo nel progetto come a uno strumento di qualificazione. Cos’è il progetto se non un processo di ragionamenti i cui fini sono variabili? C’è un progetto più sensibile all’aspetto economico ed è quello che anche nell’architettura fanno gli imprenditori e c’è un progetto più attento alla divulgabilità che ha preso molto piede negli ultimi anni. Ragionamento, procedimento, più si pensa in profondità e più la soluzione sarà giusta ma alla fine, come ci ha insegnato il big master Sottsass, il risultato che esce dalla mischia, il guizzo sorprendente dell’eccellenza, te lo dà solo l’intuizione inesplicabile e questo il committente, il costruttore o l’amministratore deve imparare ad accettarlo. Credo che per migliorare il contesto sia necessario creare una cultura di mecenatismo più che di committenza, per lo meno per quello che riguarda le grandi opere, quelle che necessitano di significato e di senso». Lei come vede l’attuale fenomeno dello star system? «Le Corbusier, Kahan, Aalto, Wright, Vitruvio e così pure Michelangelo, Brunelleschi e Leon Battista Alberti, erano architetti e ne Le Vite del Vasari di star grandi e piccole ve ne sono diverse. Oggi però si è scoperto che per fare progetti ambiziosi e sorprendenti è necessario avere a disposizione un protagonista che possa fare, eventualmente, anche la parte del capro espiatorio.


A sinistra: due foto della Stazione Metropolitana di Kröpcke ad Hannover. È la principale stazione metropolitana della città, convergono 10 linee e si sviluppa su una superficie di circa 12mila mq. Sotto: unità unifamiliari di lusso che verranno costruite a Cipro. Le abitazioni sono caratterizzate da linee fluide integrate nel paesaggio, Verranno adottati vetri camera basso-emissivi, integrazione in copertura di panelli solari mobili, utilizzazione di sistemi di accumulazione idrica per il recupero delle acque meteoriche

Qualsiasi iniziativa di rilievo deve avere un padre che faccia da link tra il globale e il locale. Questo ruolo, in passato, è stato coperto da figure di architetti eccezionali, manager, che hanno saputo coniugare la creatività alla capacita del fare, del realizzare le cose. Negli ultimi anni però c’è stata una proliferazione delle occasioni architettoniche. Alla buona architettura media si tende a sostituire quella eccezionale che perciò rischia di essere normalizzata. E vista la dovizia di architetture speciali e particolari che si stanno realizzando nel mondo e in Europa, il rischio è che questo tipo di architettura diventi mediocre». La cultura architettonica in Italia sembra spesso essere resistente alle innovazioni e alle istanze della modernità. Cosa pensa potrebbero fare gli architetti italiani per migliorare questa situazione? «Nel nostro paese l’innovazione non è sempre considerata positiva. Spesso ci si arrocca dietro una battaglia della conservazione per impedire ai talenti progettuali di emergere. Non ha senso pensare che ci siano progettisti interessati a modificare negativamente il patrimonio artistico esistente, che mi pare abbondantemente tutelato. Credo giusta la salvaguardia del preesistente per evitare l’effetto Disney con la simulazione dell’antico. L’importante è che l’intervento contemporaneo sia chiaramente distinguibile dalla preesistenza e a mio parere non deve essere necessariamente allineato in termini di linguaggio. Detto questo, certi interventi in cui si pretende di riconoscere un senso estetico a un manufatto edilizio solo perché gli è stata data un’impostazione tecnologica, mi sembrano aberranti. Io credo anzi che i principali guai architettonici li si crea quando non si parte dall’uso, dal-

l’uomo, ma dall’aspetto tecnologico dell’edificio, contrapponendo un determinismo tra l’utilizzo di una buona tecnologia e il buon uso di un edificio da parte della gente. Certamente il dibattito sull’innovazione si sposta oggi sulla ecosostenibilità dell’edificio e le risposte che si possono dare non devono essere impiantistiche e basta. Va pensato l’edificio come organismo e come tale è fatto di equilibri tra esposizione, masse passive e attive, impianti e linguaggio. Sul linguaggio che l’architettura sostenibile sta costruendo, penso che il nostro paese potrà certamente avere un ruolo se si saprà riproporre la lezione dei maestri, dotando le innovazioni di un linguaggio estetico non banale, non deterministico non ancorato al vetusto principio forma-funzione che invece mi pare (forse per pigrizia) farla da padrone. Un tema straordinario che fa parte della nostra cultura è invece quello della intersecazione dei sistemi di verde con la massa architettonica dove il nostro paese ha una tradizione secolare e che può essere riattualizzata». Il quadro normativo italiano, sempre sovrabbondante e spesso contraddittorio, può essere migliorato? «Tutti noi sappiamo quanto sia problematica l’interpretazione della normativa anche per via della quantità di stazioni di emissione. È troppo facile dire che il codice normativo è complicato e farraginoso, ma credo che si debba fare uno sforzo per renderlo praticabile in maniera sintetica. Manca uno strumento di sintesi, di accesso facilitato che forse implicherebbe una riduzione del numero delle norme. L’altro aspetto è quello legato alla certezza dei tempi di risposta dell’amministrazione pubblica. È vero, sono stati fatti degli sforzi enormi, ma non bastano, ancora oggi i tempi doDESIGN + 95


vuti alla risposta amministrativa sono purtroppo variabili e questo è l’elemento più pesante perché si impedisce un’effettiva pianificazione dei tempi di gestione». Sempre più architettura e design tendono a coincidere. Secondo lei è un problema? «Spesso quando faccio conferenze all’estero e mostro le realizzazioni del nostro studio mi chiedono come faccio a fare due lavori diversi. In Giappone, in Germania, nei paesi anglosassoni non esistono designer /architetti ma designer e architetti. Eppure se guardiamo nella storia del progetto italiano ci accorgiamo che una gran parte di loro erano architetti/designer. C’è una diversità nel design italiano perché è un design legato al mondo della casa, dove l’architetto propone i pezzi su misura che poi diventano prodotti di mercato. Progettare prima una casa, un luogo di architettura e poi metterci dentro degli oggetti prima di artigianato che poi diventano di produzione industriale è un’idea sostanzialmente italiana che, se vogliamo, deriva ancora dal mecenatismo rinascimentale. Il nostro sistema produttivo, fatto principalmente di piccole aziende fa sì che queste siano sensibili anche alle piccole commesse, e questo meccanismo è in grado di generare un’offerta molto variegata e ricca di varianti nel campo del design. Consente anche ai progettisti di lavorare col design applicato alla realizzazione ad hoc, con le metodologie del pezzo unico e su misura, che sono tipiche della prassi progettuale architettonica. Il progetto d’architettura diventa quindi un unicum che parte, dal come verrà usato quell’oggetto o parte di esso, con delle attenzioni di dettaglio che si possono esprimere solo lavorando sulle componenti ad una a una, e giunge all’assemblaggio dentro e sulla pelle dell’organismo edilizio. Si può anche affermare che l’architettura prossima sarà un connubio tra progettazioni ad hoc di parti che 96 DESIGN +

diventeranno, nei casi migliori (per espansione virale), oggetti industriali con tirature più o meno significative, e oggetti a tecnologia più sofisticata, prodotti come componenti standard dell’edificio. Un edificio che sarà un sistema di oggetti speciali o seriali, a diverso stato di ingegnerizzazione in funzione di una eventuale produzione. Infine è importante considerare che in un’architettura del segno, come quella degli ultimi anni, anche le dinamiche della progettazione e della semantica si affinano in quanto si rivolgono a un fruitore consumatore degli spazi come se si rivolgesse ad un fruitore consumatore di oggetti. Gli elementi di valutazione delle reazioni del consumatore fruitore, o cliente, nati dal marketing della produzione industriale si sono trasferiti nel marketing architettonico edilizio». La formazione tecnica e umanistica dell’architetto viene ormai unanimemente riconosciuta come una tra le più adatte per il ruolo di knowledge worker nei tanti ambiti della cultura del terzo millennio. Pensa sia un fatto positivo o costituisce un limite all’identificazione di un ruolo preciso per l’architetto? «Trovo che il mestiere dell’architetto sia necessariamente orizzontale. Un coordinatore delle varie specialità, certo significa anche avere una conoscenza diretta di ciò che si manovra. È nella natura del ruolo d’architetto e credo che il riconoscimento di questo dia un valore maggiore alla professione». Quali sono, secondo il suo modo di vedere, i personaggi (architetti e non) più interessanti e influenti per la cultura architettonica nazionale e internazionale? «Ogni movimento architettonico che influenza una più generale area del progetto è stato generato da una impostazione filosofica che ha indirizzato la progettualità del materiale. Dal post modern


Nella pagina a fianco: il People Mover progettato per la città di Bologna. Presenta una lunghezza totale di circa 5mila metri. L’architettura è progettata per essere inserita nel contesto urbano, con elementi che creano trasparenza e leggerezza. In questa pagina: due foto del New York Residence a Budapest, progetto in corso di realizzazione. L’intervento prevede l’ampliamento del New York Palace Boscolo Luxury Hotel, la zona congressuale con un grande auditorium, la grande galleria commerciale e la parte residenziale

di Habermas al decostruttivismo derivante da Derrida fino alla piega deleuziana, ciò che mi pare interessante oggi è la descrizione di una civiltà cruda e fluida proposta da Baumann. Baumann non propone certo soluzioni ma la sua analisi, anche alla luce della crisi globale, mi pare la più convincente anche se certo non facile da interpretare su una strada di positività, ed io non sono certo per l’architettura della catastrofe. In questo senso trovo interessanti le considerazioni che fa Barry Schuler sui temi legati all’evoluzione umana e allo studio del genoma. Nelle sue conferenze spiega come funzioniamo metabolicamente e ci consiglia di rimanere vivi ancora venti anni perché poi cosi potremo viverne altri trecento. In Italia leggo volentieri le considerazioni di Stefano Cascinai e di Prestinenza Puglisi. Sul piano internazionale mi associo al plauso per Mendes da Rocha, seguo Greg Lynn e Neil Denari e l’architettura californiana che già da tempo è influenzata da una insistita normativa per la ecosostenibilità». Quali proposte si sente di fare per avviare Bologna ad un diverso futuro? «Mi aggiungo ai sostenitori della necessità di uno scatto. Sono davvero tanti anni che non ci sono mutazioni sostanziali nella politica urbanistica della città di Bologna. Il mio studio ha partecipato alla progettazione della metropolitana di Hannover, dove abbiamo progettato la stazione principale, un’opera di 20mila metri quadrati su cui convergono 11 linee. Ma Hannover è una città poco più grande di Bologna. Io credo sia importante portare a conclusione le infrastrutture di trasporto della città e una metropolitana che affianchi il people mover credo sia assolutamente indispensabile. C’è poi il tema della riqualificazione delle periferie e delle aree marginali che può essere la grande occasione per dare qualità al tessuto urbano e quindi alla vita dei cittadini.

Il policentrismo delle funzioni nobili pubbliche è una strada ma bisogna guardare senza pregiudizi le iniziative private e credo che questo potrà essere fatto solo eliminando finalmente il moralismo contro la redditività imprenditoriale. Bologna è una città che ha sempre saputo creare e per questo mi pare importante l’impostazione di un distretto della creatività e dell’innovazione consentendo la creazione di strutture produttive pulite legate al terziario. Penso al mondo della comunicazione, della pubblicità, del design e degli artigiani, nonché laboratori per l’arte, gallerie e alcune facoltà. Un modo, dunque per distribuire la qualità di queste attività in maniera più omogenea nel tessuto urbano. Per le aree militari poi si può ragionare nello stesso modo, integrando attività terziarie pubbliche e accoglienza, equilibrando bene il carico sociale. Infine, migliorare il look and feel della città. Noi reagiamo e ci comportiamo in relazione al contesto e un buon contesto urbano, un urban landscape di qualità, genera comportamenti collaborativi, di cura, di attenzione e di partecipazione. Il verde e l’arredo urbano vanno quindi sfruttati come episodi di ricucitura in tutta la città. Nel centro storico bisognerà fare uno studio approfondito di riqualificazione dei portici e proporre la creazione di coperture per alcune strade nevralgiche. Nelle aree più al margine, nelle piazze, nei punti notevoli e nelle intersezioni, con progettazioni a media e piccola scala, è necessario attuare una politica di qualificazione che sfrutti al massimo le risposte tecnico progettuali legate alla produzione di energia pulita, del risparmio energetico e d’innesto di sistemi a verde automanutentivi. E, anche se è un concetto un po’ astratto e presuntivo, credo che dovremmo fare tutti uno sforzo verso la bellezza che, come diceva l’amato Sottsass, è la tensione che ci salverà». DESIGN + 97


Il Ferrari Store di Roma (foto a sinistra) è stato realizzato da una preesistente struttura di tre piani collegati verticalmente, con sei vetrine affacciate su via Tomacelli e due laterali. Ha l’ambizione di essere non solo un negozio, ma il punto di raccolta della storia e dello spirito di Ferrari, dove si estrinseca - attraverso le forme, le finiture e i materiali - l’anima duplice del mondo racing e del mondo lusso. Compito non facile dare un vestito a un’azienda come Ferrari che, nell’immaginario collettivo, rappresenta la quintessenza dell’italianità.

FERRARI STORE-ROMA

Situato nel cuore della città, il New York Palace (foto a sinistra) è certamente uno degli edifici più famosi di Budapest. Il progetto riguarda l'ampliamento della storica struttura di quattro piani, letteralmente 'affiancata' da un nuovo edificio di sette livelli per ospitare un esclusivo albergo a cinque stelle. Il focus dell’intervento è sul design di interni delle aree destinate a meeting e congressi, aree che trovano posto sia nello storico edificio che nell’ala nuova, per un’estensione complessiva di circa 1900 metri quadrati. Nel dettaglio, la progettazione riguarda sei sale meeting, un grande auditorium da cinquecento posti, il lounge vip e sala colazione ristorante dell’hotel, l’area ‘business’, e tutti i relativi spazi/foyers. Il design viene concepito essenzialmente attraverso un uso sofisticato e accorto di materiali confortevoli e performanti.

NEW YORK PALACE HOTEL

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1. La figura irregolare della lampada Spore è delineata da un velo di vetro che racchiude e protegge la luce all’interno. 2. Alo presenta linee fluide e dinamiche. Lo sgabello può essere collocato in qualsiasi zona della casa. L'imbottitura è in poliuretano espanso e il rivestimento in Pelle Frau. 3. Pluff si presenta come un mix di morbidi poliuretani effetto piuma e ha un telaio interno realizzato in legno, imbottito con extramorbido poliuretano. 4. Scudi è costituito da tre elementi formati da una piastra in acciaio dalla forma trapezoidale curvata. 5. Equo consiste in pareti vetrate curve che modellano gli ambienti conferendo un senso di trasparenza e apertura. 6. Disponibile in tre misure, questo sistema di faretti è destinato a negozi, centri commerciali, showroom, gallerie e anche abitazioni private.

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Alo, prodotta da poltrona Frau 2

Lampada Spore, prodotta da Murano Due, brand division di FDV Group


EXEDRA NICE HOTEL, NIZZA L’edificio che ospita l’Exedra Nice Hotel (foto sopra) è una maestosa costruzione ricca di stucchi e raffinati decori di facciata. Il concept che dà vita al progetto è l’interpretazione in chiave contemporanea delle linee dal gusto Belle époque che caratterizzano l’involucro storico di grande ricchezza.

Il progetto della nuova sede Seat riguarda la progettazione dello spazio architettonico delle aree ufficio e delle sale. Si tratta di sei nuove palazzine di quattro piani ciascuna, per un totale 20mila mq. Il progetto tiene presente la consapevolezza delle problematiche legate al rapporto uomo-benessere nei luoghi di lavoro, dando vita ad un innovativo modello aziendale unico nel suo genere.

SEDE SEAT - PAGINE GIALLE DI TORINO

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Pluff, prodotto da Domodinamica

Solar II prodotta da Zumtobel Staff

Radiatore modello SCUDI prodotto da Antrax-2004

Equo, prodotto da MioDino

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Gae Aulenti si laurea nel 1953 e collabora dal 1955 al 1965 con la redazione di Casabella. Dal 1956 si occupa di progettazione architettonica, interior e industrial design, scenografia teatrale. Ha lavorato a Parigi, all'allestimento del museo d'Orsay , a Barcellona, per il Museo d'Arte Catalana, a Venezia per la ristrutturazione di palazzo Grassi e poi ancora a Firenze, Milano, Roma, Tokyo.


Dietro al progetto

Allestimento mostra "The Italian Metamorphosis 1943-1968", Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 1993 - 1994

AULENTI

Gae

I numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali testimoniano l’importanza storica di alcuni suoi progetti. Si è cimentata nel campo dell’architettura, del design e dell’interior design. Convinta da sempre che la buona architettura non è altro che il risultato di una stratificazione dei diversi saperi di Maurizio Costanzo DESIGN + 101


Dietro al progetto

G

ae Aulenti, la signora dell’architettura italiana. Un’architettura fatta di regole e sapienza, spazi pensati e mai gratuiti. Un’architettura che esprime forza e decisione, gerarchia e continuità, che nel rispetto dell’esistente guarda l’edificio del passato come un oggetto contemporaneo e usa ciò che è storicizzato come ponte per il nuovo. Quando si pensa alla sua architettura si pensa alla luce, allo spazio, all’eleganza del Museo d’Orsay, alla scansione ritmica che ci prende e ci accompagna attraversando piazza Cadorna a Milano, all’eleganza scenografica de Il mondo della luna diretto da Salvatore Accardo con la regia di Costa Gavras al San Carlo di Napoli o alla lettura degli spazi aperti, luminosi, puri e monocromatici del Museo National d’Art de Catalunya. Gae Aulenti, che nel ’47 viveva e studiava nella Milano dei bombardamenti, credeva e crede ancora oggi nella forza rinnovatrice dell’architettura («cosa mi ha spinto ad entrare nel mondo dell’architettura? Le distruzioni della guerra, le macerie, un senso di ribellione che ancora oggi è presente per le rovine della striscia di Gaza o per la catastrofe dell’Aquila»). La ribellione come categoria, come grimaldello per sviluppare un senso storico, critico, analitico e di sintesi? Perché no. Oggi potrebbe veramente servire, vista la piatta emulazione presente in questo campo.

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Ma ovviamente non basta. Per un’architettura di qualità serve l’intreccio di più saperi, di più consapevolezze, di stratificazioni di sensibilità. Di questo parliamo durante il nostro incontro con Gae Aulenti. Quando progetta una nuova architettura, quali categorie di ordine estetico ritiene debbano starci affinché lei ci si possa riconoscere? «Rispondo con un testo che si intitola: La Trama e l’Ordito. L’architettura nella quale mi piacerebbe riconoscermi si esprime in tre capacità. La prima capacità è quella analitica nel senso che dobbiamo saper riconoscere la continuità delle tracce urbane e geografiche sia concettuali che fisiche, come essenze specifiche dell’architettura, così che sia sempre possibile anteporre la logica strutturale di un edificio alla sua apparenza. Molte volte queste tracce sono nascoste e sotterranee, e metterle in evidenza è lavoro lungo e paziente. Occorre saper analizzare, riconoscere e quindi fondare la differenza di ogni architettura; cioè rendere specifiche le singole soluzioni mettendole sempre in relazione alle condizioni del contesto. La seconda capacità è quella sintetica, cioè quella di saper operare le sintesi necessarie a rendere prioritari ed evidenti i principi dell’architettura, in grado di contenere qualsiasi variazione e cercando di allontanare così dal progetto quel tanto di arbitrario che esso naturalmente possiede. La terza capacità è

Sopra: la nuova biblioteca comunale e centro culturale, Paderno Dugnano, 2005 - 2009. In alto a destra: il New Asian Art Museum of San Francisco 1997 - 2003. In basso: Istituto Italiano di Cultura, Tokyo 1998 - 2005


quella profetica, propria degli artisti, dei poeti, degli inventori. Se la tradizione di una cultura non è qualche cosa che si eredita passivamente, ma qualche cosa che si costruisce ogni giorno, questa terza capacità non può che essere un’aspirazione. Un’aspirazione a creare un effetto di continuità della cultura, a costruire le sue forme e le sue figure, con un contenuto personale e contemporaneo». Le esperienze che ha fatto, progettazione architettonica, ristrutturazioni, allestimenti, scenografia, interior e industrial design, sono molte e diverse tra loro. Come cambia o si adatta ogni volta la sua forma mentis? «Ho difficoltà a definire queste esperienze come differenti, poiché per me il processo analitico è lo stesso, si tratta cioè di definire il contesto sia fisico che concettuale alla base di ogni progetto di creazione di un’esperienza spaziale. Non è un paradosso dire che anche un testo di prosa o un testo musicale subiscono lo stesso processo analitico integrato con un rapporto spazio-tempo primario per il Teatro. Certo i codici compositivi sono differenti, per il teatro lo spazio è mutevole, mentre per l’architettura è duraturo, ma unità, gerarchia, sequenza, progressione, continuità sono analoghi». Lei ha dichiarato che da Rogers ha ricevuto come insegnamento fondante quello di essere ancora prima che architetti degli intellettuali. Quanto questo monito è stato importante per la sua architettura? «Non solo Rogers, ma anche Vitruvio: “L’architetto sappia di lettere, sia perito nel disegno, erudito nella geometria, cono-

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Dietro al progetto

sca molte, molte istorie, diligente ascoltatore di filosofi, sappia di musica, non ignori la medicina, s’intenda di sentenze giureconsulti, non sconosca l’astrologia e le leggi del cielo”». Del suo bagaglio culturale fatto di viaggi, letture, iconografia, teatro e musica cosa trasferisce nelle sue architetture? «Se leggo il grande poeta Josif Brodsky che in una dichiarazione d’amore all’Italia dice che è il luogo che custodisce una macchina filatrice, un telaio che nella profondità del tempo imbastisce una piega del paesaggio, un verso di una poesia, la facciata di un palazzo, tutto questo rimarrà nel titolo La Trama e l’Ordito del mio testo sul fare architettura. L’esperienza è come un deposito di un’officina che è necessario alla produzione anche se in maniera indiretta». Il luogo. La storia di un luogo. La cultura. La geografia. I materiali. Tutto quello che Christian Norberg-Schulz chiamava Genius Loci. Come rielabora questi principi il linguaggio internazionale nell’architettura? «Il luogo, la sua geografia, la sua storia, la sua cultura sono gli elementi prioritari dell’analisi del contesto necessaria al processo del fare architettura. Sono elementi da evocare, richiamare, sottintendere in maniera indiretta e il loro significato si infiltra, ma anche si cela nell’insieme». Lei ha curato la Gare d’Orsay a Parigi, Palazzo Grassi a Venezia, le Ex Scuderie Papali al Quirinale di Roma, il Castello Estense a Ferrara e altri importanti edifici in tutta Europa. Qual è la giusta logica da adottare, secondo 104 DESIGN +


lei, nel pieno rispetto dell’architettura esistente? «Lo studio delle leggi dell’esistenza degli edifici da ristrutturare e ai quali dare nuove destinazioni d’uso è essenziale per poter determinare il terreno di fondazione della nuova architettura. Bisogna guardare l’edificio del passato come un oggetto contemporaneo, senza storia, agendo per scontro, per opposizione, per azioni polimorfe e non per continuità naturalistica o stilistica, così che la nuova architettura necessariamente contemporanea possa mostrare analiticamente il processo di scomposizione necessaria a dar forma agli elementi costitutivi del nuovo linguaggio». La scenografia e la sua collaborazione con Ronconi. Il teatro e la rappresentazione. L’architettura e il simbolismo. La platea e il luogo della visione. Come si progetta, si pensa e si sogna tutto questo? «La collaborazione con Luca Ronconi per il Teatro di prosa e per il Teatro lirico, e ancora, per due anni, il Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato è stata per me molto importante perché ha arricchito la consapevolezza che un sapere critico è legato alla comprensione di processi complessi sia spaziali, sia letterari e che il sapere creativo è la capacità insieme di studio e di lavoro, per produrre nuove forme. In Teatro la funzione della scenografia è la ricerca del riconoscimento di un luogo che l’azione continuamente contraddice: una porta in teatro può dire il fuori e il

dentro; la breccia, il confine, il passaggio; in architettura una porta ha un’anta, due ante, è di sicurezza o è REI… Ma lo scambio è utilissimo». Spesso in Italia i tempi di realizzazione di un progettosonolunghissimi.Quantoquestoatteggiamento svilisce l’architettura stessa? «Ho un esempio di “tempi lunghi” positivo che però non è italiano: la città di Barcellona vuole il Museo dell’Arte Catalana e lo vuole nel Palau Nacional, sono circa 50.000 mq: enorme per una città grande come Milano. Gli amministratori della città sono giovani, sono quelli del dopo Franco, entusiasti e intelligenti. Nel 1986 comincia il progetto generale e lo si divide in fasi: nel 1992 in occasione dei giochi olimpici, sono inaugurate le zone pubbliche e quelle delle esposizioni temporanee, nel 1995 l’esposizione dell’arte Romanica, nel 1997 l’arte gotica, nel 2005 è stato completato il Museo con le aree destinate al Rinascimento, al Barocco, al Romanticismo, al Novecento fino alle Avanguardie. Sono 18 anni di lavori, di pazienza (gli amministratori cambiano) ma anche di orgoglio per un’architettura che ha “resistito”». Nel 2005 ha fondato la Gae Aulenti Associati, con sedi a Milano, Barcellona e Parigi. Qual è il legame, il modus operandi, il livello di comunicazione che crea con i suoi collaboratori architetti per giungere al progetto finale?

Nella pagina a fianco: il Museu Nacional d'Art de Catalunya (MNAC), 1985 - 2004. Sopra: Ristrutturazione del Palavela di Torino e realizzazione dello Stadio del ghiaccio per le gare di pattinaggio artistico e short-track 2002 - 2005

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Dietro al progetto

«Gae Aulenti Architetti Associati è composta dalla sottoscritta, da Marco Buffoni che lavora qui da 27 anni, da Francesca Fenaroli che è qui da 24 anni e da Vittoria Massa che è qui da 21 anni. Abbiamo sempre progettato assieme anche con altri architetti sia italiani che stranieri, che in tutte le pubblicazioni di questi anni sono sempre stati citati. La sede della Gae Aulenti Architetti Associati è a Milano e come un commando ci spostiamo nel mondo (ultimamente Pechino), il livello di comunicazione è di poche parole, poiché operiamo all’interno di una pratica di natura concreta (schemi, diagrammi, disegni, esecutivi, costruzioni) con continuità e impegno». Lei ha ricevuto il titolo di Chevalier de la Legion d’Honneur (Parigi, 1987), quello di Membro Onorario dell'American Institute of Architects Hon. FAIA (1990), il titolo di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana (Roma, 1995) e altri. Riconoscimenti per una carriera espressa sempre all’apice. Qual è la strada per essere un’archistar senza essere egocentrica? «Ho ricevuto anche, e ci tengo molto, il Praemium Imperiale da The Japan Art Association a Tokyo e una Laurea Honorem alla Rhode Island School of Design, di Providence (USA). Mi piace pensare a questi premi come a un confronto positivo con gli altri, perché noi siamo senza pensiero se non siamo disponibili agli 106 DESIGN +

scambi, se non siamo attenti alla ragione degli altri». Il Musée National d’art Moderne, di cui lei stessa ha curato la progettazione, il 3 giugno scorso ha inaugurato la mostra “Elles” per ospitare più di 200 protagoniste della cultura dai primi del ‘900 a oggi. Tra queste 7 italiane conosciute in tutto il mondo. Ovviamente c’è anche lei. Cosa ne pensa? «Un momento autobiografico e definitivo, negli anni della mia formazione, rispetto all’epidemia culturale del femminismo, fu l’International Congress of Women Architects a Rasmar, Iran, nel 1976, che vedeva riuniti 25 architetti, solo donne, da tutto il mondo. Non ci fu in quel convegno nessuna ricerca del fascino esotico, di un altro possibile pensiero, di un’altra modalità creativa, di una possibile immaginazione femminile; vi fu invece la consapevolezza che il sapere è costituito dai processi che lo determinano e che l’architettura è potenzialità critica che prepara gli strumenti che serviranno a definire la specificità della disciplina. A più di trent’anni di distanza la Mostra elles@centrepompidou. Artistes femmes dans les collections du Centre Pompidou; e scopriamo che da anni il Museo ha fatto una vera e propria campagna d’acquisizioni comprando o partecipando alle aste, così possiede più di 200 opere fatte da donne nei vari campi artistici. Il Pompidou non è stato misogino».

Sopra: gli edifici del nuovo complesso Industriale di Termoutilizzazione rifiuti di Forlì 2003 - 2008


Non solo un negozio, ma un punto d'incontro del design, un laboratorio di ricerca nella progettazione dello spazio. Il negozio propone mobili di grande prestigio e design, soluzioni raffinate e funzionali per ogni ambiente, il tutto accompagnato da un'accurata serie di servizi.

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Autore di progetti per Caimi Brevetti, Coop, Guzzini, Krios, Nava, Mandarina Duck, e tanti altri, Giulio Iacchetti oggi è considerato uno dei più importanti designer della scena italiana. Nel 2001 si è aggiudicato il compasso d’oro con il progetto di “Moscardino” di Silvia Di Persio

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P

Giulio Iacchetti

ALLE REGOLE

DISOBBEDIRE

Nuovo design

acifismo, democratizzazione della catena distributiva, emergenza idrica. E una tensione continua tra un’attitudine dubbiosa che diventa motore creativo primario e la certezza che gli oggetti possano essere molto, molto di più che meri strumenti utili a rispondere e a corrispondere alle sole funzioni prestabilite. Basterebbero queste poche parole per tracciare le coordinate creative di Giulio Iacchetti, industrial designer milanese classe 1966. Il resto lo raccontano i suoi oggetti ironici, giocosi, impegnati e lucidamente funzionali che negli anni gli hanno valso numerosi riconoscimenti, uno tra tutti il Compasso d’oro 2001 vinto insieme a Matteo Ragni per la posata multiuso biodegradabile Moscardino, oggi parte dell’esposizione permanente del MOMA di New York. Il 29 maggio Giulio Iacchetti ha aperto il ciclo di mostre dedicato al nuovo e giovane design italiano nello spazio del Mini&Triennale CreativeSet del Triennale Design Museum di Milano con la sua selezione di Oggetti disobbedienti. Paradigma e cifra stilistica di questa dubbiosa non conformità è Pinocchio, il manufatto italiano per eccellenza e quello che meglio rappresenta la disobbedienza degli oggetti. «L’idea di Pinocchio - ci spiega Giulio Iacchetti - è tratta da una bellissima introduzione alla mostra scritta dalla direttrice del museo Silvana Annichiarico. La storia del burattino che prende vita e va alla ricerca di una strada autonoma rispetto al suo destino di “oggetto inanimato” è una cosa che mi appassiona molto e nella quale mi sono ritrovato perché credo che la disobbedienza a un processo ormai contestualizzato e canonico, sia il preambolo alla creatività». È così che accanto a una produzione seriale di lampade sedie o tavoli per grandi marchi del design italiano Iacchetti porta avanti un percorso parallelo che mette in primo piano l'oggetto e la sua natura con esiti del tutto inaspettati. Prendono forma oggetti anomali fino al punto da rasentare l’inutilità. È il caso dei Coltelli inutili creati in reazione a un eccesso di specializzazione degli oggetti di cui i diversi coltelli “da pesce”, “da verdura” o “da carne” per citarne solo alcuni. «Questa iperspecializzazione - chiarisce Iacchetti - ci porta su una strada pericolosa perché a un certo punto non si sa più cosa utilizzare. È per questa ragione che ho creato dei coltelli inutili e chiedo alle persone che li vedranno quale funzione attribuirgli». Un singolo esempio, quello dei Coltelli inutili, che rende già la misura di creazioni progettate con il sorriso ludico di una visione che sa concepirsi come possibilità, come alternativa al tracciato abituale, in linea con la vena ironica dei più grandi designer italiani del passato. «I miei oggetti diventano auto-narranti, ovvero non punto di arrivo, epifania di tutto, ma anche momento di riflessione, sempre grazie all’ironia come mezzo e non come fine. L’ironia, del resto,


non è una novità nel design italiano degli ultimi ’50 anni, basti pensare alla Seduta per visite brevissime di Bruno Munari, riferimento imprescindibile per ogni designer, e al modo in cui in questo oggetto l'ironia riesce a stemperare un messaggio che altrimenti rischierebbe di essere moralistico». Nel caso degli oggetti di Giulio Iacchetti si può ben affermare che se la considerazione moralistica viene sempre filtrata dalle maglie dell’ironia e del gioco, la riflessione puntuale sulla realtà contemporanea modella di volta in volta il valore aggiunto in termini di forma, materiale e colore. Basti pensare al design elegante dello spremiagrumi da cocktail a forma di basilica di San Pietro St. Peter's squeezer, che offre allo stesso tempo una personale visione della richiesta dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica. Oppure al Vespa table, un tavolino illeggibile perché la gamba è composta da libri di Bruno Vespa. Fino ai casi più ludici e sempre politicamente impegnati come la serie di diverse figurine ritagliabili di personaggi del pacifismo e di soldatini del nono numero della rivista Un sedicesimo, un bel richiamo alle sperimentazioni giocose di Munari. «Un momento di riflessione attraverso l’ironia aggiunge Iacchetti - perché anche se non credo che un bambino che gioca con i soldatini diventerà un guerrafondaio, penso che sia importante introdurre un dubbio insegnandogli che si può giocare anche a costruire il corteo della pace e non solo ad allineare soldatini». E se non bastassero questi oggetti a mostrare, nella loro disobbedienza, tutta la concretezza dell’impegno di questo giovane designer, rimane la non conformità delle iniziative, una per tutte il progetto Design alla Coop ideato e coordinato da Giulio Iacchetti per portare il design nelle case di tutti a prezzi sostenibili. Tra i diversi oggetti di uso comune in vendita presso i supermercati Coop e creati dagli 11 designer italiani che hanno aderito all’iniziativa, Iacchetti ha proposto una Molletta da bucato monomaterica in polipropilene colorato, in una formazione di 12 mollette disposte a corolla intorno a uno stampo circolare dal quale verranno staccate dall’utente finale. «Il progetto - spiega Iacchetti - è in qualche modo dedicato al designer Gino Colombini e alla sua volontà di portare la qualità a tutti con la plastica, il materiale che ebbe il più grande valore di democrazia. Oggi però la democraticità del prodotto non dipende più soltanto dal materiale e dal designer, ma soprattutto dalla rete distributiva. Per questa ragione abbiamo scelto di agire proprio sulla catena distributiva contattando la Coop invece che le boutique o grandi nomi del settore». Anche per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, emergenza primaria condivisa in ogni settore, Iacchetti riesce ad avere una visione e uno sguardo alternativo che supera la realizzazione della posata multiuso Moscardino in Mater-bi, una bioplastica ricavata dall’amido di mais completamente biodegradabile, e ancora una volta strizza l’occhio ai grandi designer italiani del passato. «I migliori designer si sono sempre relazionati con i problemi dell’ambiente attraverso l'aspetto della maggiore durabilità dell’oggetto. In questo senso il design è sostenibile se progetta oggetti che mantengano inalterati i propri valori estetici e funzionali e da sempre i prodotti italiani lo sono attraverso l’atemporalità che li caratterizza. Un esempio è la lampada Tojo che Achille Castiglioni ha progettato negli anni ’60 e che ancora adesso è nel catalogo di Flos. Nessuna persona che dovesse possedere una lampada così la getterebbe. In più oggi ci sono i materiali riciclabili, in qualche modo riutilizzabili. Fortunatamente oggi più che mai il mercato stesso è attento a questo tipo di prodotti». Attento a cogliere ogni tendenza emergente, il mercato ha saputo comprendere e valorizzare anche il potenziale creativo di questo giovane designer, facendosi trovare in modo inaspettato su uno dei suoi percorsi disobbedienti. È il caso della vaschetta forma ghiaccio in gomma siliconica Lingotto che Iacchetti ha disegnato per Guzzini, il cui prototipo era stato precedentemente presentato in una mostra di arte e design che si inseriva tra le manifestazioni dell’Anno internazionale dell’acqua. «In occasione di quella mostra bisognava presentare un oggetto sul tema dell’importanza dell’acqua e pensai a dei cubetti di ghiaccio a forma di lingotto con la scritta “oro”, un messaggio politico forte, molto diretto. Rimasi positivamente sorpreso dal fatto che Guzzini avesse notato quest’oggetto e decidesse di realizzarlo immediatamente». Ora che siamo convinti dell'efficacia di questa visione anticonformista rimane da capire se ci sarà qualcosa a cui Giulio Iacchetti obbedisce. «All’archetipo dell’oggetto che in ogni mia creazione cerco sempre di raggiungere. Un esempio è Drop, il soffione per doccia in silicone a forma di goccia. E ai limiti del progetto sul quale lavorerò. Non c’è cosa peggiore di un industriale che mi dice “fai quello che vuoi e io te lo realizzo”. A quel punto non so proprio cosa fare».

Nella foto a sinistra: POLLICINO, tagliere per briciole di pane, alluminio anodizzato, coltello in acciaio inossidabile, edizione limitata. Sotto: ODNOM, mappamondo da tavolo, prototipo prodotto da Palomar Odnom. Nasce dalla lettura specchiata della parola Mondo: una riflessione per porre attenzione al Sud del mondo, sottomesso e poco visibile nei mappamondo tradizionali. In basso: CLAY FONT, alfabeto di argilla. In collaborazione con MUNLAB Ecomuseo dell’Argilla di Cambiano nell’ambito di “Eco e Narciso

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Nuovo design PANTHEON GAME Simbolo multireligioso da parete, legno, Corraini Edizioni, Mantova. “Pantheon Game è nato quale reazione alla polemica sulla presenza del crocifisso nelle aule dei tribunali e nelle scuole. Alla negazione violenta di un simbolo. Pantheon Game offre la possibilità di contenerne molti in un solo oggetto, equiparandoli all’interno di un gioco di immagini in mutamento”.

VESPA TABLE Coffee table, edizione limitata, libri di Bruno Vespa, pannello truciolare, cinghia in nylon. “Piano e base sono ricavati da vecchie ante, mentre la gamba è costituita da una pila di libri di Bruno Vespa. Un materiale facile da reperire, sempre in ottimo stato, praticamente mai usato. Il formato dei volumi e della copertina rigida concorrono a migliorare la statica del tavolino”.

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BYE BYE FLY Souvenir, paletta scaccia mosche, polipropilene stampato a iniezione, prodotto da Pandora Design. L’idea nasce dalla richiesta di disegnare un souvenir non convenzionale per Milano. “Mi sono ispirato alle tante zanzare e mosche che infestano le serate estive meneghine: così è nato il disegno di una paletta scaccia mosche che riproduce il tracciato stradale di Milano”.

ST. PETER SQUEEZER Spremiagrumi da cocktail, ceramica, prodotto da Pandora Design. “Una riproduzione stilizzata e miniaturizzata di piazza San Pietro trasforma la cupola della basilica in spremiagrumi e la piazza antistante nel contenitore del succo spremuto. Il progetto di St. Peter Squeezer declina e associa il termine “spremitura” al versamento volontario dell’8xmille a favore della chiesa cattolica”.


LUK LUK Sistema antifurto per biciclette, ferro verniciato, acciaio, fusione in alluminio. Prototipo di Extra Vega. “Il progetto Luk sostiene la promozione dell’uso della bicicletta in città razionalizzando l’uso dei dispositivi antifurto. Il sistema assume la forma di un lucchetto fissato ai numerosi pali della città: intende liberare il ciclista dal peso di catene e lucchetti, in senso fisico e metaforico. Solo chiave e serratura sono personali”.

LINGOTTO Vaschetta formaghiaccio, gomma siliconica, prodotto da F.lli Guzzini. Nome del progetto originale H2Oro, disegnato per la mostra “Acqua”, Opos 2003. Il progetto nasce dall’invito a pensare soluzioni concrete per introdurre una maggiore consapevolezza sull’utilizzo dell’acqua nella vita quotidiana. L’acqua, sotto forma di cubetti di ghiaccio, è equiparata all’oro”.

FLEXIBLE BENCH Panchina - Tettoia, tubolare d’acciaio, legno multistrato, laminato plastico, edizione limitata. “È un’idea di seduta per l’arredo urbano. Tramite la rotazione dell’elemento sedile/schienale la panchina si trasforma in riparo per la notte, oppure tettoia per proteggersi dalla calura estiva o dalle intemperie. Un progetto per ricordare l’ospitalità nelle città, dedicato a chi non ha un tetto”.

UN SEDICESIMO 9 Rivista bimestrale a cura di Pietro Corraini, Corraini Edizioni, Mantova, illustrazioni di Maurizio Prina. “Guerra e pace: le pagine della rivista sono per metà dedicate alle immagini di soldatini, per metà raccoglie una serie di sagome di un ipotetico corteo della pace. Il gioco consiste nel ritagliare le figure lungo i bordi piegando la linguetta posta in prossimità dei piedi. A bambini e adulti la libertà di scegliere se comporre un esercito o una festosa manifestazione a favore della pace”

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Architettura Story

FOTOGRAFARE L’ARCHITETTURA Cento scatti esposti a Londra per indagare il rapporto fotografia - architettura in Italia tra gli anni Venti e Sessanta. Nasce cosÏ un nuovo modo di fotografare il paesaggio urbano. Influenzando la grafica delle riviste di settore di Silvia Di Persio 112 DESIGN +


A sinistra: Artist’s house and studio, Milano, Triennale (1933). Architetti: Figini & Pollini. Foto: Crimella. A destra: Stadio Comunale Giovanni Berta, Firenze (1932). Architetti: Pier Luigi Nervi. Foto: Gino Barsotti

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Architettura Story

Londra obiettivi puntati sull'architettura razionalista italiana. È proprio il caso di dirlo per la mostra Framing Modernism: Architecture and Photography in Italy 1926-1965 appena conclusasi all'Estorick Collection of Modern Italian Art di Londra. Una mostra che ha voluto raccontare il modernismo italiano attraverso la fotografia del paesaggio urbano tra il 1926 e il 1965. Cento immagini provenienti dalla biblioteca del Royal Institute of British Architects per “incorniciare”, da qui il titolo della mostra, l’espressione architettonica del modernismo in Italia. Contrasti tonali, dinamismo, astrattismo formale. È in quegli anni che si sviluppa e si consolida l'alleanza tra fotografia e architettura, stimolata dalle nuove suggestioni formali del Razionalismo. La fotografia accoglie con entusiasmo le nuove modalità, allontanandosi dalla rappresentazione del paesaggio naturale e iniziando il suo dialogo ininterrotto con il nuovo paesaggio urbano esaltato dal Razionalismo, fino a scatenare le lamentele di molti critici dell’epoca secondo i quali gli edifici venivano costruiti al solo scopo della buona riuscita fotografica. In Italia la fotografia coglie immediatamente il cambiamento del paesaggio urbano che il Razionalismo determina e si impegna a interpretarne le nuove forme e i nuovi materiali. A intercettare il cambiamento nel rapporto tra le due arti, le riviste di settore come Domus, dalle cui pagine, nel 1932, l’architetto e designer Giò Ponti proclama la nuova realtà fotografica, riconoscendo che lo sguardo indipendente della fotografia ha rivelato aspetti delle cose che prima erano nascosti. O come Casabella che sotto la direzione artistica dell’architetto Edoardo Persico, già curatore dell’allestimento fotografico della Sala delle Medaglie d’Oro presso la Mostra dell’aeronautica italiana del 1934, sceglie una nuova disposizione di formato più squadrato, con bordi ridotti e spazi bianchi disposti liberamente in base all'impatto visivo, attribuendo per la prima volta un ruolo centrale e non solo illustrativo del testo alla fotografia, soprattutto con il rivoluzionario utilizzo della doppia pagina come una grande pagina orizzontale. A partire da questo momento l’obiettivo

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inizia il suo dialogo con le linee rette, curve e diagonali, con il metallo cromato, il cemento e il vetro dell’architettura razionalista, raccogliendo anche le suggestioni della pittura metafisica per le prospettive e l’atmosfera compositiva. La fotografia architettonica si fa espressiva con la scelta di inquadratura del particolare, con i contrasti netti di luci e ombre, con le prospettive insolite e deformanti. Gino Barsotti fotografa lo Stadio Comunale Giovanni Berta di Firenze, realizzato da Pier Luigi Nervi nel 1932 con un’in-

1. Ugolino Golf Club, Firenze (1934). Architetto: Gherardo Bosio. Foto: Gino Barsotti. 2. Clubhouse for AMILA, Tremezzo, Lago di Como (1931); Architetto: Pietro Lingeri. 3. Mostra Nazionale della Moda, Torino (1932); Architetto: Gino Levi Montalcini. Foto: Augusto Pedrini. 4. Mussolini Stadium, Torino (1934); Architetto: Raffaello Fagnoni. Foto: Gino Barsotti. 5. Breda Exhibition, 29th Trades Fair, Milano (1951); Architetto: Luciano Baldessari. Foto: Foto Breda. 6. Sala delle Medaglie d’Oro, Italian Aeronautical Exposition, Milano (1934); Architetti : Edoardo Persico and Marcello Nizzoli.

quadratura dal basso che accentua la verticalità dinamica della figura proiettata verso il cielo. L’immagine sottolinea la presenza metafisica dell’edificio nello spazio circostante utilizzando anche l’elemento umano, secondario e minuscolo rispetto alla grandezza evocata dall'edificio in questo intento compositivo. La stessa prospettiva dal basso viene utilizzata dal fotografo per l’immagine del trampolino dell'Ugolino Golf Club progettato dall’architetto Gherardo Bosio. Le ombre tagliano lo spazio geometrico disegnato da linee decise e da piani sovrapposti. Un'immagine dolente e silenziosa che racconta delle abitudini dell'epoca durante il periodo estivo ma la cui protagonista indiscussa è la plasticità scultorea del cemento. A conferma dell’interesse crescente per la nuova impostazione, l’immagine viene scelta per la copertina di Architettura, la rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti diretto da Marcello Pia-

centini nell'aprile 1935. Un’atmosfera onirica aleggia invece nella fotografia anonima del 1931 della sede AMILA a Tremezzo realizzata dall’architetto Pietro Lingeri. L’inquadratura angolare esalta il dinamismo della forma navale della costruzione che sembra così quasi muoversi nelle nebbie. Parallelamente a questa nuova impostazione rappresentativa prosegue la fotografia di impostazione classica prevalentemente indirizzata alla realizzazione di fotografie-souvenir per turisti, immagini di supporto per insegnanti di storia dell'arte e immagini esemplari per architetti. Gli edifici, secondo le linee guida di Alinari, la ditta più importante di questo settore fotografico, vengono fotografati da una prospettiva a due o a un punto, isolati dall'ambiente circostante quasi fossero opere d'arte individuali, privi di effetti di luci e ombre in favore di toni generalmente neutri per non far emergere nessun dettaglio in particolare e ottenere un aspetto di omogeneità e oggettività documentaristica. Ne è un esempio la fotografia della stazione di Santa Maria Novella a Firenze realizzata dall'architetto Giovanni Michelucci e dal Gruppo Toscano nel 1935 e fotografata nel 1936 dallo stesso Barsotti. Ma il cambiamento è ormai in atto e, soprattutto a partire dal dopoguerra, le nuove potenzialità espressive del razionalismo italiano richiamano l’attenzione dei principali architetti e fotografi stranieri come testimonia il volume fotografico The Italian townscape pubblicato nel 1963 da Ivor de Wolfe. La sperimentazione sull’immagine architettonica è ancora al centro ma lo sguardo sull’edificio tradisce ora una critica al sistema-città e alla natura spersonalizzante del paesaggio urbano. Nella foto Shadows, Stazione Termini, Rome del 1950, la proiezione delle ombre sulla pavimentazione regolare della stazione ferroviaria rimanda in modo diretto alla condizione umana alienata. Quest'attitudine non è che l'eco di una più ampia metamorfosi della fotografia architettonica in atto. Una nuova sensibilità, quella del fotogiornalismo, traspare dalla particolare attenzione all’uomo e alla sua quotidianità. E il contesto architettonico urbano appare ora affascinante, tentacolare e ostile al tempo stesso.


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Formazione

Luogo d’informazione e confronto. Organizzazione di seminari, convegni, eventi. L’Urban Center di Bologna continua ad avere un ruolo di primo piano per quel che riguarda l’aspetto comunicativo delle trasformazioni urbane e territoriali di Valeria Tancredi


COMUNICARE

LA CITTÀ CHE CAMBIA


L

Formazione ’Urban Center è un servizio di cui da qualche anno si stanno dotando i più grandi centri urbani per favorire l’informazione, la comunicazione e la promozione delle grandi trasformazioni che coinvolgono le città. Comprende quindi un ambito di attività che, con qualche differenza da città a città, va dalle politiche urbanistiche tout - court alla modalità di attuazione delle stesse e la successiva o contestuale comunicazione ai cittadini. A Bologna, l’Urban Center - gestito da un Comitato composto da alcuni tra gli enti e le istituzioni maggiormente coinvolti nelle trasformazioni della città - è situato al secondo piano della Salaborsa in piazza del Nettuno, ed è allestito in maniera da rendere intuitiva e immediata la sua fruizione: oltre agli spazi per le mostre temporanee e gli uffici, ospita un’esposizione permanente che descrive l’evoluzione della città attraverso mappe, disegni, fotografie, testi, modelli in scala, postazioni interattive e animazioni tridimensionali. Si propone come sede di confronto e di approfondimento sui progetti di sviluppo e organizza seminari, convegni ed eventi, ospita esposizioni a tema, collabora con i principali enti, associazioni e operatori attivi nel territorio comunale. «L’Urban Center di Bologna ha tra i suoi principali obiettivi la promozione del confronto pubblico in merito alle trasformazioni urbane e territoriali», spiega Francesco Evangelisti, coordinatore della commissione tecnica. «È pensato come un luogo di informazione e di dialogo sulla città e sul territorio. Prende parte attivamente ad alcuni laboratori di urbanistica partecipata organizzati dal Comune di Bologna, fornendo un supporto nell’organizzazione delle attività e nella loro comunicazione». Gli strumenti urbanistici classici non sono facilmente “leggibili”

dai cittadini perché, rivolgendosi agli addetti ai lavori, utilizzano un linguaggio tecnico e specialistico. Qui entra in gioco l’Urban Center che da qualche tempo cerca di coinvolgere i cittadini anche durante il processo di approvazione di un piano, e non solo durante la sua realizzazione, quando tutto è già stato deciso. «Di solito, la concretizzazione di un progetto avviene molti anni dopo la sua approvazione», chiarisce Evangelisti. «È opportuno coinvolgere il cittadino in ogni fase cruciale. Le osservazioni di chi utilizza gli spazi pubblici in prima persona possono essere molto utili per ideare progetti che vadano incontro alle esigenze degli abitanti. L’Urban Center tra i suoi compiti non ha quello di proporre piani e progetti urbanistici, ma funge da supporto per tutte le fasi che conducono alla realizzazione finale». Bologna è una città dove tradizionalmente i cittadini intervengono attivamente nella “cosa pubblica” e questo avviene ancora più frequentemente quando si tratta di urbanistica. «Non tutti i progetti possono essere discussi nello stesso modo. Ci sono progetti che nessuno approverebbe mai, ma di cui una città ha bisogno, penso ad esempio al trasporto pubblico. I cittadini bolognesi non sempre sono d’accordo con le proposte presentate in campo urbanistico. Spesso si creano situazioni di malessere e rifiuto. Esistono però casi in cui un piano viene modificato in seguito agli interventi e al confronto con la cittadinanza. È quel che è successo per l’area dell’ex mercato ortofrutticolo, alla Bolognina, dove i cittadini hanno suggerito, tra le altre cose, di creare un vasto parco al posto del verde pubblico frammentato, come previsto inizialmente. Hanno chiesto inoltre di spostare alcuni edifici che facevano da barriera verso il resto del quartiere». Un altro caso che ha visto i cittadini protagonisti è “Bella Fuori”:

Una delle sale espositive dell’Urban Center. Dal 24 giugno 2008 ha aperto la nuova sede presso Salaborsa, integrandosi nei nuovi spazi della Biblioteca


A sinistra: l’interno della Salaborsa visto dall’alto. A destra: uno dei tanti plastici esposti all’Urban Center. Oltre all’esposizione di mostre, l’Urban Center promuove la discussione collettiva e la progettazione condivisa del futuro di Bologna e delle sue trasformazioni territoriali attraverso incontri e dibattiti

un programma di riqualificazione urbana, promosso e finanziato dalla Fondazione del Monte, per riprogettare alcuni spazi pubblici al centro di aree periferiche, che ha interessato finora i quartieri San Donato e Corticella. Questi e altri progetti fanno parte di “Come Cambia Bologna” (www.comune.bologna.it/comecambiabologna/index), la campagna di informazione promossa dal Comune che illustra le principali trasformazioni territoriali attuate, promosse, coordinate o autorizzate dall'Amministrazione Comunale dal luglio 2004. I progetti possono essere consultati sia presso l’Urban Center, che distribuisce materiale informativo, sia nel sito internet di “Come Cambia Bologna” dove, oltre ai progetti relativi alle trasformazioni territoriali si può trovare la “Mappa dei servizi e opportunità per i cittadini e le famiglie” (che comprende servizi in campo educativo e scolastico, sociale, culturale, sport e giovani, economico e turistico, abitativo, ambiente e mobilità, comunicazione e rapporti con la cittadinanza, sicurezza urbana). Il centro storico, invece, presenta problemi diversi: i cittadini autoctoni tendono ad abbandonarlo in favore della periferia o della provincia, mentre aumenta la popolazione di origine straniera, scompaiono le botteghe artigianali e si lascia molto spazio a megastore, uffici e banche. Emergono quindi contraddizioni sempre più acute tra chi il centro storico lo abita di giorno per lavoro e studio e chi di notte lo frequenta per svago e divertimento. Si tratta di tipologie di popolazione molto diverse e spesso in contrasto tra loro, basta pensare all’atavico conflitto tra i giovani che tirano a far tardi la notte alle prese con la movida e chi giustamente desidera riposare. Su temi come questi Urban Center ha cercato di offrire spunti di riflessione, un contributo culturale per ricercare nuove soluzioni, ad esempio tramite i cicli di incontri “Città storica

contemporanea” e “Le città degli altri”, i cui esiti sono raccolti e documentati sul sito web e nei volumi della collana “Leggere e scrivere la città”. Inoltre Bologna si è appena dotata di un Piano Strutturale Comunale (Psc), approvato a luglio 2008. Il piano, incentrato sull’obiettivo di aumentare l’abitabilità della città, ovvero la piacevolezza dell’abitare e la capacità di accoglienza di Bologna, prevede un insieme articolato di interventi di trasformazione da realizzare nei prossimi quindici-venti anni. Si tratta di riqualificare alcune parti della città cui viene conferito un nuovo ruolo (Bolognina, Battindarno, Rimesse, aree ferroviarie e militari) e di ampliare la città urbanizzando aree oggi agricole (Corticella, Quarto, via Mattei, Savena). Complessivamente il piano prevede la realizzazione di 12.000 nuovi alloggi, di cui 4000 costituiscono realizzazioni del vecchio PRG e 8000 nuove previsioni. «Urban Center non è un soggetto decisore - puntualizza Evangelisti - il compito che si assume è quello di descrivere le scelte e gli effetti presunti, perché i cittadini possano discuterle e contribuire a migliorarle. Nel caso del Psc Urban Center ha promosso, nel periodo di tempo fra adozione e approvazione, la campagna “Bologna si fa in sette” con l’intento di favorire la discussione e raccogliere un contributo informato». Qualsiasi cittadino, quindi, con una visita in Salaborsa può scoprire molto sulle trasformazioni che attendono la città. «Possiamo migliorare l’offerta», conclude Evangelisti. «Quello che abbiamo fatto in questi anni è una sorta di sperimentazione raccogliendo molte idee ed esperienze. In futuro perfezioneremo il modo in cui la comunicazione si rivolge ai cittadini, ai quali non sempre arrivano le informazioni necessarie, appropriate e “tarate” sulla specifica fase di progettazione o sulla realizzazione di una singola opera». DESIGN + 119


Formazione

Una collana per segnalare le trasformazioni urbane

Leggere e scrivere la città è la collana curata da Urban Center Bologna per Edisai per approfondire i temi legati alle trasformazioni della città contemporanea, ora raccontando un singolo progetto, ora spaziando verso una più generale “cultura urbana”, con particolare (ma non esclusivo) riferimento alla realtà di Bologna. Leggere e scrivere la città fornisce al lettore strumenti di analisi e comprensione delle trasformazioni urbane, chiedendo a urbanisti, architetti e amministratori pubblici di condividere pratiche, percorsi e progetti parlando un linguaggio comprensibile anche ai “non addetti ai lavori”. Volumi già pubblicati: Il Mercato: una storia di rigenerazione urbana a Bologna, a cura di Giovanni Ginocchini e Cristina Tartari, dicembre 2007; La città storica contemporanea, a cura di Francesco Evangelisti, Piero Orlandi e Mario Piccinini, luglio 2008; Percorsi di partecipazione. Urbanistica e confronto pubblico a Bologna 2004-2009, a cura di Giovanni Ginocchini, aprile 2009. Volume in preparazione: Le città degli altri. Spazio pubblico e vita urbana nelle città dei migranti, a cura di Marco Guerzoni.

Programma delle attività tra settembre e dicembre 2009

La programmazione delle attività integra e coordina i progetti ideati e realizzati da Urban Center Bologna e dagli enti membri del Comitato con i progetti ideati e proposti da altri soggetti. Il calendario è aperto all’inserimento di nuove iniziative. Per il periodo settembre-dicembre 2009 la programmazione è in corso di definizione. Sono previste due mostre nello spazio Atelier: una sull’architettura sostenibile progettata da giovani professionisti bolognesi e una sui contratti di quartiere (in collaborazione con ACER Bologna, con incontri di approfondimento e confronto con altre realtà territoriali). È allo studio la seconda edizione di “Progetti al cubo. Nuove architetture e spazi pubblici a Bologna”, la rassegna di incontri e visite guidate a edifici, spazi pubblici e infrastrutture appena realizzati o in corso di progettazione in città. Proseguirà la collaborazione con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, per una giornata di presentazione di studi e progetti degli studenti. Saranno presentati i volumi Leggere il nuovo piano urbanistico e Agenti metropolitani, nonché il quarto volume della collana editoriale curata da UCB, Le città degli altri. Sul fronte dei laboratori di progettazione partecipata che agiscono sul territorio proseguiranno le attività del Laboratorio Bolognina Est, saranno inaugurati i parchi di Via Larga e San Donnino (progettati con gli abitanti delle zone interessate) e si aprirà il nuovo Laboratorio Access/SOS a Borgo Panigale.

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