La diffamazione e il procedimento di mediazione

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Michele Gorga - Diego Buonocore

LA DIFFAMAZIONE E IL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE


La diffamazione e il procedimento di mediazione Michele Gorga - Diego Buonocore Copyright © 2011 ISBN 978-88-97039-30-3 I edizione tgbook editore by tecnograficarossi via 1° maggio, 6 36066 Sandrigo (Vicenza) www.tecnograficarossi.it www.tgbook.it L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore. Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma (comprese le fotocopie, la scansione, la memorizzazione elettronica e la comunicazione).


INDICE Michele Gorga Parte I LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA E LA MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE CAPITOLO PRIMO Lo stato della giustizia in Italia e le scelte strategiche necessarie 1.1. Premessa: l’attuale stato della giustizia civile in Italia 1.2. La prima scelta strategica: le politiche dell’innovazione in campo giudiziario e le best practices 1.3. La seconda scelta strategica: l’impiego degli strumenti informatici nel processo 1.4. La terza scelta strategica: il riconoscimento degli strumenti Alternativi di Risoluzione delle Controversie

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CAPITOLO SECONDO Il procedimento di mediazione 2.1. La mediazione in Italia e l’ambito applicativo del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 2.2. Il procedimento di mediazione 2.3. La conciliazione amministrata

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Diego Buonocore Parte II IL DIRITTO DI INFORMAZIONE CAPITOLO PRIMO La libertà di informazione e i suoi limiti 1.1. La libertà di informazione 1.2. Il “decalogo” del giornalista 1.3 La “verità dei fatti” 1.4. La “continenza” della esposizione dei fatti 1.5. L’interesse pubblico: la c.d. “pertinenza” della notizia 1.6. Il diritto “all’oblio” 1.7. Il diritto di critica 1.8. a) la critica in ambito giudiziario 1.9. b) la critica politica e sindacale 1.10. Le critiche “di genere” sessuale 1.11. Le interviste diffamatorie 1.12. Il diritto di satira

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CAPITOLO SECONDO Il giornalista, la deontologia e il diritto all’onore e alla reputazione 2.1. Il “dover essere” della professione giornalistica 2.2. La storia dell’albo professionale dei giornalisti 2.3. l’art. 2 della legge n.69 del 1963 2.4. Le sanzioni disciplinari e i rapporti con il procedimento penale e con la procedura di mediazione 2.5. Le “carte” deontologiche 2.6. La tutela della personalità nelle carte deontologiche 2.7. Il procedimento disciplinare dinanzi all’Ordine dei giornalisti 2.8. Tutela dei diritti della personalità e giurisprudenza dell’Ordine dei giornalisti II

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Parte III LA TUTELA DEL DIRITTO ALL’ONORE E ALLA REPUTAZIONE CAPITOLO PRIMO La tutela in sede civile dell’onore e della reputazione 1.1. La tutela civilistica dell’onore e della reputazione 1.2. Il risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione all’onore e alla reputazione 1.3. Cenni: azione per illecito extracontrattuale, querela, procedimento di mediazione: problemi di determinazione della competenza territoriale. 1.4. Altri mezzi di riparazione alla lesione dell’onore e della reputazione: la rettifica 1.5. a) La rettifica di una notizia diffusa a mezzo stampa oppure attraverso il mezzo radiotelevisivo 1.5. b) Modalità della rettifica

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CAPITOLO SECONDO La “responsabilità aggravata” per le azioni pretestuose. 2.1. La “responsabilità aggravata” per le azioni pretestuose 2.2. Il carattere sanzionatorio della “responsabilità aggravata” 2.3. Le pronunce della giurisprudenza 2.4. Criteri sui quali commisurare il risarcimento 2.5. Il riconoscimento della “temerarietà” è più difficile nel giudizio penale

III

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Parte IV LA DIFFAMAZIONE IN INTERNET

CAPITOLO PRIMO La diffamazione e i mezzi di comunicazione elettronica 1.1. La tutela dell’onore e della reputazione e i mezzi di comunicazione elettronica 1.2. La disciplina applicabile alla diffamazione “on line” 1.3. La rivista telematica e l’obbligo di registrazione della testata

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CAPITOLO SECONDO La diffamazione “on line”: recenti orientamenti giurisprudenziali 2.1. Tutela del diritto all’onore e alla reputazione e mezzi di comunicazione informatici: recenti orientamenti giurisprudenziali. a). Il direttore di un giornale “on line” non risponde di diffamazione 2.2. b) Il sito registrato all’estero non “dribbla” la diffamazione 2.3. c) E’ possibile il sequestro preventivo dell’articolo pubblicato sul blog 2.4. d) Anche “google suggest” può fornire risposte diffamatorie e può quindi essere condannato 2.5. e) I giornalisti che usano informazioni tratte dai social network non sono esclusi dall’obbligo di verifica (pronuncia del Garante della privacy)

IV

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Michele Gorga

Parte I LO STATO DELLA GIUSTIZIA E LA MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE


1 Lo stato della giustizia in Italia e le scelte strategiche necessarie SO 1.1. Premessa: l’attuale stato della giustizia civile in Italia. - 1.2.

MLa MA RIO po

prima scelta strategica: le politiche dell’innovazione in camgiudiziario e le best practices. – 1.3. La seconda scelta strategica: l’impiego degli strumenti informatici nel processo. - 1.4. La terza scelta strategica: il riconoscimento degli strumenti Alternativi di Risoluzione delle Controversie.

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1.1. Premessa: l’attuale stato della giustizia civile in Italia.

La crisi della giurisdizione civile in Italia da almeno due decenni è oggetto di continue analisi sia giornalistiche che sociologiche, volte alla valutazione delle conseguenze negative che la grande mole di processi pendenti ha sul sistema economico del paese. Tale stato della giurisdizione civile altro non segnala se non l’arretratezza procedurale e strutturale dell’attuale arcaico metodo di organizzazione del lavoro nel processo civile imperniato ancora intorno al “fascicolo.”1 A questo stato di cose il legislatore ha tentato di porre rimedio, da un lato, con le modifiche procedurali - si pensi in proposito all’introduzione dei riti alternativi quali l’arbitrato, la mediazione finalizzata alla conciliazione, o alle poco garantiste forme di riscossione coattiva - e, dall’altro, lo stesso legislatore è intervenuto a piene mani, con la modifica del rito civile tanto che allo stato attuale unanime è la richiesta degli operatori del diritto per l’unificazione, a poche fattispecie, delle tipologie procedurali e dei modi per affrontare una causa civile. L’unificazione dei riti nel processo civile è oramai un’emergenza irrinunciabile dato che vi è stata, fino ad oggi, una proliferazione caotica degli stessi. In merito basti qui ricordare che al rito disciplinato dal codice del 1942, per le cause iniziate prima del 30 aprile 1995, fece seguito la novella del 1990, per le cause iniziate dopo il 30 aprile 1995, quest’ultimo fu modificato dalla legge sulla competitività, la n. 80 del 2005 per le cause iniziate dopo il primo marzo 2006. uest’ultima riforma fu poi disciplinata sulla falsariga del rito societario per le cause iniziate dopo il 1 marzo 2006. Recentemente poi si è intervenuti con una profonda riforma del rito che è stata fatta con legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha introdotto anche il rito sommario di cognizione, ed altre importanti novità ivi compresa l’abolizione del rito societario, a cui hanno 1

GORGA M. – CONTALDO A., Le regole del processo civile telematico anche alla luce della recente disciplina del SICI - in Diritto dell’Internet, fasc. n. 1/2008 IPSOA editore. M. CAMMARATA, Giustizia: il fascicolo informatico, in www.interlex.it; C. MATTIOLI, Il processo telematico, in www.foroeuropeo.it; G. BRIGANTI, Il cd. processo telematico, in www.foroeuropeo.it; Niger, Il processo telematico:speranze e prospettive, in www.diritto.it. 3


fatto seguito il decreto legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito in legge 22 febbraio 2010 n. 24, con il quale si è modificato il regime delle notifiche telematiche. Tutte queste riforme del rito per adesso, hanno trovato ulteriore percorso con il decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28, con il quale si è introdotto, per molte materie, il tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità della domanda. A questo stato di cose devono poi essere aggiunti i vari riti speciali introdotti nel corso degli anni per singole tipologie di controversie in materia di lavoro, società, famiglia. Il solo processo di cognizione ordinario conta oggi ben quattro riti ai quali sono da aggiungersi quelli speciali per un totale di circa trenta modi diversi per affrontare una causa civile. Tutto ciò sottacendo delle altre riforme processuali quali ad esempio in materia di esecuzioni mobiliari, o la riforma del giudizio davanti alla Corte di Cassazione e dei quesiti di diritto oggi soppressi. Da qui nasce l’esigenza di una ricostruzione di tutto il modo di pensare alla giustizia civile, ricostruzione di cui, oggi, si sente l’assoluta necessità quando si deve purtroppo prendere atto - come si è costretti a fare - che la Giustizia, di cui il diritto costituisce il supporto, è in crisi profonda con tutta una serie di conseguenze negative di carattere sociale, economico e politico. Basti pensare all’intollerabile lungaggine dei processi, specie nelle aree meno infrastrutturate e di maggiore malessere economico del paese, con la conseguenza di fatto di un vero e proprio diniego di Giustizia, di ritardi e lentezze che non sono state affatto recuperate con la semplicistica soppressione delle garanzie per il cittadino, come è stato fatto con la sostituzione del giudice collegiale con quello monocratico che, invero, ha eliminato il contraddittorio tra i giudici decidenti in camera di consiglio che era l’elemento che distingueva l’attività giudiziaria da quella amministrativa come garanzia dell’imparzialità dei giudizi. uesto stato di cose è poi oggi sempre più aggravato dal fatto che la stessa legislazione concorre a porre in crisi il sistema nel suo complesso, anche attraverso la soppressione di elementari garanzie per la generalità dei consociati, come avviene per innumerevoli fondamentali compiti di benessere a cui è tenuta la P.A., o fondamentali servizi pubblici, o di mancanza di ogni tutela giurisdizionale dinanzi alle pretese tributaria e fiscale di un’amministrazione finanziaria sorda alle giuste istanze dei cittadini, basti pensare in merito all’attuale ibrida disciplina della formazione dei ruoli esattoriali. 4


uesto stato di cose ha reso, nel tempo, sempre più determinate l’interpretazione della legge da parte dei giudici in funzione correttiva e integrativa, e quindi, sempre più decisiva la loro attività di ermeneutica inevitabilmente anche di scelta politica finendo, così, per modificarli geneticamente giacché gli stessi giudici non sono più soggetti alla legge, come il 2° comma dell’art 101 della nostra Costituzione prescrive, ma sono al di sopra della legge dovendola spesso completare, modificare o addirittura integrare per renderne più razionale l’applicazione. A questo stato di crisi del processo si è tentato di far fronte mediante il ricorso a una generalità di soluzioni, tra queste anche l’informatica. Ma l’uso dell’informatica da parte del giurista, sebbene oggi sia abbastanza diffuso nell’ambiente forense, raramente è accompagnato da nozioni tecnico-scientifiche che dovrebbero essere possedute da chiunque voglia farne un uso consapevole. uesta cultura sostanziale oggi ancora manca e non solo perché esistono pochissimi corsi universitari della disciplina, ma soprattutto perché è assente una seria programmazione didattica universitaria, sulla propedeuticità dell’insegnamento disciplinare specifico, non potendosi ritenere che vi possano sopperire gli scarni moduli didattici delle Scuole di Specializzazione delle Professioni Legali e gli asfittici moduli sul processo civile telematico. Così come inammissibile è l’assenza dell’obbligatorietà della formazione continua specialistica per l’avvocatura sulla disciplina2 . Il processo telematico nell’attuale esperienze storica, alla luce di queste considerazioni strategiche di fondo versa perciò in reali difficoltà, nonostante che con lo stesso oggi si miri al raggiungimento di obiettivi molto limitati, riassumibili nella duplice, ma diversa, possibilità di usare l’informatica nel diritto in una applicazione immediata che possiamo chiamare di “automazione formale”. uest’ultima più superficiale, consistente nel far svolgere talune operazioni di rilievo giuridico attraverso il computer al fine precipuo di guadagnare in termini di tempo e di comodità (come, ad esempio, nel caso in cui si ricorra alla telematica per eseguire le notifiche), o nel liberare le cancellerie dal lavoro sul fascicolo per abbattere i tempi del c.d. “attraversamento”. Altra cosa, invece, da divenire in tempi non immediati, è il suo utilizzo come “automazione sostanziale” ben più rivoluzionaria, per ripensare, in 2

GORGA M., la formazione professionale dell’avvocatura anche sulla luce delle discipline più recenti in Riv. amministrativa. Repertorio Italiano, 2009, 499 ss. 5


occasione dell’uso del computer e valorizzando tutte le sue caratteristiche e notevoli potenzialità, tutto il “modus operandi” prescritto dalle leggi per ricostruirlo su basi più razionali, più economiche, più democratiche, più rispondenti alle esigenze del tempo d’oggi.3 uindi posto che le carenze della nostra giustizia civile, non sono denunciate dalle sole critiche interne, ma sono segnalate anche da studi internazionali, testimoniate dal disagio dei cittadini e delle imprese e nella durata dei processi, occorre, se pur brevemente, richiamare qui il confronto internazionale che si presenta, per la nostra giurisdizione, impietoso.4 Va rilevato, infatti, l’impressionante numero di condanne emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo - la CEDU - nei confronti del nostro Paese. E tuttavia deve essere qui segnalato che la crisi della giustizia non è affatto dovuta tanto alla carenza di risorse quanto ai difetti dell’organizzazione e nella carenza degli incentivi. L’Italia è, infatti, il paese che per il costo pro-capite del servizio giustizia spende più di ogni altro Paese preso a paragone. Orbene posto che la crisi della giustizia comporta effetti negativi sulla definizione dei rapporti economici, sull’affidabilità degli investimenti, sulla praticabilità dei rimedi e che l’enforcement dei provvedimenti ottenuti a seguito di processi lunghi e difficili, e che in fin dei conti vanificano e banalizzano la certezza del diritto, il problema che si è posto è stato quello della ricerca di soluzioni strategiche nell’immediato e nel medio periodo per risolvere la crisi del sistema giustizia. Economisti e giuristi attenti al diritto «in azione» s’interrogano sulla capacità di risolvere in modo rapido e giusto le controversie tra gli operatori e quelle tra gli operatori e consumatori, sicchè si sono autoimposte scelte strategiche che sono stati individuate nel3Vedi

RIEM G., SICORRI GAUDENZI A., la giustizia italiana e le procedure informatizzate, Rimini ,2005 ,101 ss.. vv. anche CONTALDO A., GORGA M., E-LAW , le professioni legali la digitalizzazione delle informazioni giuridiche e il processo telematico. Soveria Mannelli 2006 4

Nell’elenco della Corte Europea dei diritti dell’Uomo CEDU, i dati si riferiscono al 2006, ed il numero si riferisce alle denunce di violazioni : Albania1; Andorra 0; Armenia 0 ; Austria 62; Belgio 44; Bulgaria 40; Danimarca 16; Francia 305; Germania 38; Grecia 204; Italia 1.258. Mentre per la spesa pro capite del servizio giustizia nei singoli paesi risulta che tra quelli presi a paragone è lo Stato che spende di più e con servizio peggiore. 6


le politiche dell’innovazione e nella riorganizzazione del sistema del lavoro giudiziario, nello sviluppo delle ADR, della mediazione e conciliazione e nella definitiva realizzazione del processo telematico.

1.2. La prima scelta strategica: le politiche dell’innoazione in campo giudiziario e le best practices Le politiche per la sviluppo della ricerca dell’innovazione e per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, hanno un ruolo strategico nel settore vitale dell’amministrazione della giustizia essendo, più di altre, il motore per far crescere la competitività del Paese e superarne così i ritardi. La scarsa capacità innovativa del settore pubblico in generale – e di quello giudiziario in particolare - costituisce, infatti, una delle principali fonti del ritardo di competitività del Paese. Proprio per superare questo ritardo notevoli sono le spinte della politica regionale, comunitaria e nazionale volte ad evidenziare la necessità dell’innovazione e dell’applicazione della conoscenza e al migliore utilizzo del potenziale applicativo delle nuove Tecnologie. Le attuali debolezze, dunque del sistema “giustizia” appaiono proprio dovute all’inadeguato clima concorrenziale e di assenza di valutazione del merito dell’amministrazione pubblica in generale e di quelle della giustizia in particolare, e quest’ultima amministrazione rispetto alle altre, pare che voglia godere all’infinito di una non più tollerabile rendita di posizione che la proiettano ai livelli di competenza più bassi in ordine al servizio reso. uesto stato di cose scaturisce dallo scarso coinvolgimento dei lavoratori del settore giustizia al processo innovativo, nonostante le nuove opportunità offerte dalle Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione e dalla difficoltà a tradurre, nel sistema del lavoro giudiziario, tali nuove tecnologie in innovazioni organizzative, dato che si reitera in esse il geloso mantenimento di metodi lavorativi arcaici della classe forense, della magistratura e del personale amministrativo che appaiono poco incline alle innovazioni e ad accettare trasparenze e valutazioni dell’operato. 7


Il mondo giudiziario in generale, e le singole unità operative dell’amministrazione della giustizia quali Corti, Tribunali, Procure, pongono non poche resistenze ai nuovi ed innovativi metodi di organizzazione del lavoro giudiziario e alle nuove regole offerte dalla Tecnologia. Si concepisce il soware, il computer come qualcosa di alieno non solo per non conoscenza, ma sopratutto per distanza culturale rispetto alle nuove procedure informatizzate del lavoro giudiziario e ciò in ragione del fatto che gli operatori del settore giudiziario si sono formati e sono stati selezionati e reclutati in epoche in cui le abilità informatiche non erano richieste. Ecco perché occorre un ripensamento del lavoro giudiziario, che non può prescindere dall’innovazione tecnologica e della massiccia immissione di capitale umano, istruito all’uso degli strumenti della tecnologia, in modo da rivoluzionare totalmente l’accesso alla giustizia, attraverso tutta una serie di servizi fruibili solo on line così come quasi tutte le altre attività dovrebbero essere esperibili nella stessa modalità, riducendo così l’accesso fisico al servizio giustizia solo per la trattazione orale delle cause e per l’istruttoria integrativa. E’ di tutta evidenza che ciò potrà essere assicurato con interventi programmatori e attuativi rivolti a promuovere, o comunque indurre la massima sensibilizzazione della domanda da parte dei cittadini per la diffusione dei servizi on line. In questo senso l’amministrazione della giustizia può svolgere un fondamentale ruolo di traino e di stimolo alla diffusione e all’uso delle Tecnologie attraverso un’erogazione efficace ed efficiente del servizio ai cittadini-utenti (front office). L’attuale configurazione a compartimenti stagni del sistema organizzativo dei Tribunali rende oggi particolarmente difficoltoso la diffusione delle best practices che pure esistono all’interno del sistema come dimostrano i casi delle esecuzioni immobiliari, e di alcuni Tribunali particolarmente attenti alla programmazione del lavoro, si vedano ad esempio in proposito le esperienze del Tribunali di Torino e della Procura di Bolzano che sono state molto pubblicizzate a livello nazionale, ma alle quali non hanno fatto seguito esperienze significative a livello generale. Trasparenza, conoscenza, informazione e risultati messi a disposizione di tutti in tempo reale, facilitano i percorsi di benchmarkinge favoriscono i processi di apprendimento organizzativo basati non su modelli astratti bensì su “prassi virtuose”, sperimentate da altri operatori del sistema e che pos8


sono essere assunte, modificate, arricchite e adattate. L’attuale configurazione organizzativa del processo, dei Tribunali, e relative relazioni con gli avvocati impedisce l’acquisizione di una cultura e di una logica dei servizi che metta al primo posto la relazione organizzazione-utente (stakeholder), l’individuazione delle responsabilità, la definizione in tempi certi, i diritti dell’utente e la ricerca della qualità del servizio stesso. L’utilizzo sistematico delle nuove tecnologie comporterà, invece, inevitabilmente un aumento della trasparenza in tutto ciò che è prodotto dai singoli e dall’organizzazione del suo complesso. L’approccio sistemico all’organizzazione del lavoro giudiziario e delle procedure lavorative richiede, quindi, un disegno si diceva, non casuale ma scientifico, retto da una filosofia innovativa del servizio pubblico e un raccordo organico tra tutte le componenti organizzative, tecnologiche e regolamentari del sistema giustizia.5 Un approccio multidisciplinare nell’ottica di studio e verifica delle nuove soluzioni, con ricorso ad un percorso di progettazione, che sulla base di un programma generale gestibile a livello nazionale, veda a livello locale le singole realtà giudiziarie, tra loro raccordate, nelle soluzioni informatiche di analisti di organizzazione dei processi lavorativi il più alto coinvolgimento di esperti nelle differenti discipline dell’informatica e del diritto quali avvocati, giudici e cancellieri. uesti sono i veri attori-utenti principali del settore giustizia e questi sono i lavoratori del settore giudiziario e non è concepibile una riorganizzazione senza la partecipazione dei principali utenti del sistema. Occorre quindi un modello generale volto a superare le mere esperienze dei c.d. “progetti pilota” che non hanno mai avuto attuazione definitiva, nelle varie sedi, di sperimentazione in giro per l’Italia dato che sono rimasti solo dei “progetti”. La metodologia da utilizzare, invece, è quella che deve rivolgersi in primis a tutti gli operatori del sistema giustizia è all’organizzazione dei loro processi lavorativi alla loro formazione sia frontale che in modalità e-learning e quindi, in quest’ultima modalità, in modo continuo e permanente. In secundis la finalità è quella di costituire un sistema valido dal punto di vista tecnico e dal punto di vista funzionale, verificabile nelle sue specifiche e 5

Vedi ZAN S., Fascicoli e Tribunali . Il processo civile in una prospettiva organizzativa, Bologna , 2003, 82 ss. 9


nelle sue modalità operative, allo scopo di renderlo replicabile su scala nazionale. Occorre, perciò, coinvolgere, oltre al personale tecnico gli esperti in processi di organizzazione del lavoro, gli esperti delle misurazioni statistiche, i contabili e sopratutto quelli che saranno gli utilizzatori e i fruitori del sistema giustizia e cioè giudici, cancellieri avvocati, personale di Cancelleria. In definitiva una metodologia che rappresenti una inversione a “U” rispetto a tutte le altre metodiche che sino ad oggi sono state utilizzate per realizzare il processo telematico nella giustizia civile. ueste metodologie, infatti, sono state adottate da tecnici asettici calati in una realtà dagli stessi non pienamente conosciuta ed impiegati alla costruzione di modelli rivolti ad operatori della giustizia totalmente esclusi da ogni partecipazione ai processi di raccolta dei dati e dei bisogni, di progettazione e realizzazione di “modelli” calati dall’alto e destinati al fallimento in assenza di ogni coinvolgimento e formazione del personale delle cancellerie e degli operatori della giustizia.6 E’ bene sottolineare che aspetto completamente innovativo del lavoro e dell’organizzazione giudiziaria è quello dello sportello virtuale ossia la strutturazione dei servizi delle Corti e dei Tribunali, delle cancellerie virtuali, delle segreterie virtuali, l’ufficio virtuale, fascicolo, rubriche e registri virtuali.7 È pleonastico asserire come la dematerializzazione spazio-temporale delle informazioni relazionali – digitalizzazione – con sostituzione della carta nelle relazioni tra giudici-avvocati, cancellieri-uffici esterni, consente di effettuare per via telematica operazioni sino ad oggi fatte di persona. Inoltre la piena e puntuale conoscenza, aggiornata in tempo reale, del ruolo di udienza e la possibilità di “organizzare” e “selezionare” le informazioni, ha dei vantaggi immediati ed innegabili, nell’esercizio dell’attività difensiva, oltre a liberare il personale di cancelleria dalla manipolazione della carta.

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Vedi FADDO S., L’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, in Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’internet, a cura di CASSANO G., Milano, 2001, 1507 ss. 7 Ancora ZAN S., op. et. loc.supra cit.

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Ancora ogni giudice potrà organizzare il proprio ruolo e l’agenda delle udienze in modo da poter dare decisioni immediate con una significativa riduzione dei rinvii e delle riserve con maggior spazio per i tentativi di conciliazione, con benefici effetti sui tempi della resa decisione. Una causa programmata e preparata dal giudice, grazie agli strumenti telematici, rende immediatamente accessibile tutti gli atti del fascicolo informatico e trasforma così l’udienza da mero momento di ricerca ed aggiornamento “documentale”, tra giudice ed avvocati in ordine allo stato dell’arte della causa, a vero momento di discussione nel merito della stessa con un recupero assoluto della dimensione orale del processo e delle rispettive funzioni costituzionalmente tutelate della difesa e dall’esercizio della giurisdizione.8 L’applicazione delle nuove tecnologie, che di per sé riduce solo alcuni dei tempi e delle attività del processo, di converso libera anche le intelligenze di tutti coloro, cancellieri in primis, che oggi sono costretti a dedicare una parte cospicua del loro tempo alla semplice “manipolazione” e gestione del fascicolo che non dà alcun valore aggiunto alla sostanza del processo.9 Considerando che in una qualsiasi struttura di servizio il capitale umano è da considerarsi risorsa principale, liberare intelligenze significa arricchire notevolmente le dotazioni di base del sistema a parità di costi. Ciò è particolarmente vero in un sistema organizzativo, come quello dei Tribunali e delle Corti d’appello, dove rilevanti quote di personale laureato è prioritariamente dedicato ad attività di tipo segretariale. L’obiettivo è quello di realizzare la progressiva sostituzione degli sportelli fisici e delle tradizionali modalità di accesso all’ufficio ed ai fascicoli, sostituendo l’accesso fisico con l’accesso telematico ai”portali” delle sedi giudiziarie, “portali sul web” che dovranno consentire non solo lo scambio documentale, ma anche informativo e di servizio.

8Ci

si permette di rinviare al nostro,E-law, cit.121 ss.;MORO P., L’informatica forense. Verità e metodo, Cinisello Balsamo (Milano), 2006 96 ss.; BUONOMO G., il nuovo processo telematico, Milano, 209, spc. 92 ss. 9 Vedi BUONOMO G., La firma digitale e il processo telematico, Milano, 2004,121 ss.

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1.3. La seconda scelta strategica: l’impiego degli strumenti informatici nel processo.

Le strategie d’impiego degli strumenti informatici nell'ambito della giustizia le possiamo ricondurre a due modelli principali di utilizzo: un primo come semplice linea d’accesso alla maggiore quantità possibile di informazioni sulla giustizia, alle leggi e regolamenti, alle informazioni sulle procedure, alle possibilità di opposizione date dai singoli ordinamenti, alle banche dati sulle sentenze, nonché come mezzo di invio dei documenti legali necessari all'avvio e svolgimento di un procedimento; l’altra come luogo virtuale dove avviare e sviluppare un procedimento, come è avvenuto ad esempio per le A.D.R. trasformatesi nel sistema americano in ODR10ossia in on-line dispute resolutions. L'Unione europea grazie alle politiche messe in atto in esecuzione dei Trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1999, ha promosso e promuove la cooperazione in materia di sviluppo delle tecnologie informatiche in materia di amministrazione della giustizia basti pensare ai numerosi finanziamenti messi in atto, e tra questi vanno menzionati sicuramente quelli rivolti alla costituzione di banche dati valide, ben strutturate e di facile accesso per il cittadino, basti citare il progetto RIS austriaco, il progetto 10

A proposito di quest’ultima Ethan Katsh, Direttore del Center for information technology and dispute resolution dell’Università del Massachussets Amherst, pioniere e fautore delle ODR, - acronimo di On line Dispute Resolution - diceva che “Il cyberspazio può essere un grande spazio, nel senso che non c’è quasi alcun limite ai soggetti che possono partecipare in esso ed alle attività che possono aver luogo on line. Tuttavia, è anche un ambiente in continua crescita e cambiamento ed è improbabile che queste condizioni non contribuiscano a creare conflitti… Seppure abbiamo costruito meravigliose e facilmente accessibili risorse per il lavoro, per il commercio, per l’insegnamento ed il gioco on line, abbiamo però trascurato di progettare sistemi per risolvere le dispute che si sarebbero presentate ed essendo il cyberspazio anche un luogo dove mezzi sempre più potenti per la comunicazione, lo stoccaggio ed il trattamento di informazioni vengono continuamente sviluppati, per questo, a ben vedere, può tramutarsi in uno spazio di risoluzione delle controversie”. Internet che è stato definito “il più grande centro di esperienza collettiva noto all’umanità” può offrire al navigatore – che diventa consumatore-acquirente - una gamma completa ed esauriente di servizi incluso quello di una soluzione rapida ed efficace dell’eventuale disputa insorta nel corso della navigazione e segnatamente a seguito dell’approdo e della visita con contrattazione in un sito commerciale. 12


italiano Norme in rete, il sito Web francese Legifrance, quello inglese di Law Commission. Per quanto riguarda il trattato di Amsterdam, l'art. 255 dispone il diritto d’accesso da parte di tutti i cittadini europei a tutti i documenti degli organi dell'Unione secondo principi generali contenuti nel regolamento 1049/ 2001. E’ sulla base di detta normativa che è stato così sviluppato il motore di ricerca Eurlex, gratuito dal 2004, che consente il libero accesso a leggi, regolamenti e norme europee, alle Gazzette Ufficiali dell'Unione europea, grazie anche al collegamento alla banca dati Celex, esistente quest'ultima sin dal 1980. Nel 2008 la Commissione europea ha annunciato il varo di un programma - che dovrà essere reso compatibile a tutti i livelli nazionali - di miglioramento dell'efficienza degli apparati di giustizia nazionali ed europeo, elemento centrale di una strategia per la realizzazione di una e-justice11 che non dovrebbe richiedere nuove iniziative legislative di modifica dei fondamenti giuridici esistenti, ma una efficace ed efficiente valorizzazione ed implementazione di quanto già esistente. Molte azioni quali il completamento della disponibilità degli ordinamenti on-line, il rendere disponibile la conoscenza di crimini e condanne, in particolare per le cause più significative ed il rafforzamento della cooperazione per favorire lo scambio d’informazioni, con gli esistenti database ed il ricorso alle videoconferenze sono già tutte modalità immediatamente attuabili. Con la raccomandazione 2008/2125 del Parlamento europeo alla Commissione si sono avviati, poi, i lavori per lo sviluppo ed il ricorso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) nel settore della giustizia, segnatamente mediante la creazione di un portale europeo.12 La creazione di un portale elettronico che applichi le TIC consente un migliore accesso alla giustizia ed una razionalizzazione e semplificazione oltre che una riduzione dei costi. Lo sviluppo di un tale processo va però 11

FALLETTI E. “E-Justice” Ed. Giuffrè 2008; Vedi anche A. CONTALDO – M. GORGA l’arringa elettronica. Op. cit. 12

Obiettivo prioritario e fondamentale se si pensa che è stato stimato che nel solo ambito UE circa 10 milioni di cittadini europei sono coinvolti in cause transfrontaliere. 13


messo in atto, come rilevato dalla Commissione europea per l'efficienza della giustizia, sotto un controllo istituzionale a livello strategico. Tale sviluppo comporterà, nel lungo periodo cambiamenti fondamentali del diritto processuale, la messa in rete dei registri commerciali, catastali, risultato al quale si potrà arrivare, attraverso l'interoperabilità delle reti, successivamente con la realizzazione del processo telematico, ossia la gestione di tutte le informazioni, dall'atto di citazione alla sentenza, in forma digitalizzata, fino alla fase successiva di soluzione delle controversie più semplici via Internet come nel caso dell’ODR.(6) uest’ultima è strumento molto usato, specialmente nelle transazioni commerciali. Con le ODR si procede per tappe, nel senso che si passa dalla fase iniziale della “transazione automatica”, fino alla “transizione assistita”, a mezzo provider che mette a disposizione delle parti un soware che permette il dialogo, per giungere alla “conciliazione” per mezzo di un mediatore che formula pareri e raccomandazioni. Si pongono certo non marginali problematiche in ordine alle esigenze di controllo pubblico e di trasparenza e uguaglianza dinanzi alla legge. Un aspetto, poi, che la Commissione dovrà sicuramente curare è quello relativo al fatto che tutta la futura legislazione dovrà essere pensata e concepita per poter essere utilizzata in applicazioni on-line, ogni modulo dovrà essere disponibile in rete in versione digitale ed in tutte le lingue ufficiali dell'UE e dovrà essere assicurata l'assistenza on-line, con ricorso alla videoconferenza attraverso stanziamenti specifici prevedendosi la disponibilità di traduttori e interpreti, anche automatici online. Ciò comporta un ripensamento globale della legislazione esistente in materia civile in modo da renderla compatibile con la giustizia elettronica, semplificando quanto più possibile per rendere accessibile veramente la giu-

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stizia, soprattutto alle cause transfontaliere,13 concentrando l'azione sul diritto preventivo evitando così le spese tipiche derivanti dal diritto internazionale privato. Il portale europeo di giustizia elettronico dovrà garantire l'accesso alle banche dati giuridiche, garantire la comunicabilità e, mediante links di collegamento agli elenchi d’avvocati, notai, revisori, traduttori, consentire operazioni quali la facile e rapida individuazione di un difensore civico, trovare

13Fonte

: www.coe.intIl progetto S.T.O.R.K. E' un progetto pilota su grande scala, denominato S.T.O.R.K. (Secure idenTity acrOss boRders linKed) che mira a realizzare un sistema europeo di riconoscimento transnazionale dell'identità elettronica. Il progetto permetterà ai cittadini dell’UE di dimostrare la loro identità e di utilizzare sistemi nazionali d’identità elettronica (password, carte d’identità, codici PIN e altri) in tutta l’UE, e non solo nel loro paese d’origine. Tale progetto, pensato principalmente per i programmi di EGovernment, porterà di riflesso indubbi benefici nell'ambito dei programmi di E-Justice europei. Mira ad avviare numerosi progetti pilota transnazionali basati sui sistemi nazionali esistenti. Grazie alla sua ampiezza e alla sua natura dinamica, permetterà di superare gli ostacoli tradizionali e favorirà il riconoscimento reciproco delle identità elettroniche d’altri paesi. Al termine del progetto, i cittadini dovrebbero poter eseguire questo tipo d’operazione utilizzando la propria carta d’identità elettronica nazionale. Il progetto avvicina l'Europa agli obiettivi di mobilità senza ostacoli tra i paesi dell'Unione europea in un mercato unico senza frontiere. Rappresenta anche un importante passo in avanti verso scenari futuri, poiché a oggi i vantaggi offerti dai servizi in linea scompaiono, quando un cittadino prova ad utilizzare una carta d'identità elettronica emessa in un paese per accedere ai servizi di un altro paese. Tale progetto mira ad avviare numerosi progetti pilota transnazionali basati sui sistemi nazionali esistenti. Le soluzioni sviluppate e l’esperienza acquisita dal gruppo del progetto saranno condivise con tutti gli Stati, indipendentemente dal fatto che partecipino o no al progetto pilota. 15


un avvocato di un altro Stato membro che parli nella lingua necessaria14 . Il tutto garantendo livelli d’accessibilità differenziati, commisurati ai differenti ruoli del giudice, del cancelliere, dell’avvocato. Ma oltre a quelle che sono le politiche dell’U.E. in materia di <<Giusinfonautica>>15 pare utile qui analizzare per sommi capi alcuni dei modelli Nazionali dei paesi membri dell’Unione e ciò al fine di meglio comprendere l’informatizzazione del diritto processuale sia esso civile, penale, amministrativo, tributario o contabile. Muoviamo perciò dall’analisi di alcuni dei modelli nazionali maggiormente sviluppati in Europa. La Germania ad esempio16 è uno dei paesi che ha compiuto i maggiori sforzi nel settore dell'informatizzazione, sia a livello verticale, ossia fra organi centrali dello Stato che orizzontale, vale a dire, tra gli organi federali dei Länder. L'esperienza tedesca, una delle prime in Europa, è iniziata nel 1966 con la creazione della Commissione Federale e Statale per l'informatizzazione e razionalizzazione della giustizia (BLK) e dei primi progetti 14

Il nuovo sistema, che non sostituirà i sistemi nazionali, permetterà ai cittadini di identificarsi in via elettronica in modo protetto e trattare con le amministrazioni pubbliche, sia da uffici pubblici, sia dal loro computer o da qualsiasi altro dispositivo mobile. Ciò significa, ad esempio, che uno studente potrà iscriversi ad un’università straniera tramite l’identità elettronica assegnatagli nel paese d’origine. Esistono già alcuni servizi transnazionali: un portale internet belga, ad esempio, permette alle imprese straniere di registrarsi per assumere cittadini svedesi. Al termine del progetto, i cittadini dovrebbero poter eseguire questo tipo d’operazione utilizzando la propria carta d’identità elettronica nazionale. Il programma sarà sviluppato nell'ambito del quadro per la competitività e l’innovazione (CIP) dell’Unione europea. Il programma di sostegno strategico in materia di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), uno dei tre programmi operativi del CIP, promuove l’innovazione e la competitività mediante l’adozione generalizzata delle TIC e il loro migliore utilizzo da parte dei cittadini, delle imprese e dei governi. Il progetto sostanzialmente mira a garantire la prestazione transnazionale di servizi basati sulle TIC già operativi a livello nazionale, regionale e locale. I progetti pilota su grande scala sono imperniati su questi ultimi per definire specifiche comuni che possono venire ulteriormente sviluppate ed essere oggetto di un più ampio consenso, per consentire ai vari sistemi nazionali di comunicare e interagire tra loro. 15

Giusinfonautica qui intesa come l’applicazione operativa dell’informatica e della telematica per la navigazione nel fascicolo sia esso civile, penale, amministrativo, tributario o contabile come momento di realizzazione del contraddittorio processuale. 16 FALLETTI . “E. Iustice” - Ed. Giuffrè, pp. 127 e ss.

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d’informatizzazione dei Länder fra gli anni '60 e '70, coi progetti di informatizzazione del catasto, e per la riscossione dei crediti. Di rilievo, nel settore della giustizia, l'istituzione del Gruppo di lavoro sul traffico giuridico elettronico, col compito di realizzare un sempre più stretto rapporto fra Rete e Giustizia. Il Ministero di Giustizia federale da anni poi dispone di collegamenti con tutte le Corti specializzate, con i Tribunali federali e con la Corte costituzionale. Il portale della giustizia offre un’elevata interazione con altri settori della pubblica amministrazione e notevoli sono i progressi nell'ambito del processo civile, con la procedura di identificazione del mittente dell'atto giuridico e la possibilità d’invio di atti giudiziari in forma elettronica anche da parte di chi non è titolare di firma digitale. In tale ambito la scelta del legislatore è stata quella di un’interpretazione flessibile delle norme processuali, rendendole quanto più possibile adattabile allo sviluppo tecnologico, con il raggiungimento dei più elevati standard di sicurezza. Altri elementi di rilievo sono l'introduzione della videoconferenza nelle udienze del processo civile e la gestione dell'archivio documentale dal computer di ogni operatore. Per i Decreti Ingiuntivi, in Italia siamo ancora agli albori, mentre l’automazione raggiunta in Germania è notevole, infatti, è stata accettata l'idea che l'interesse delle parti sia delegata a programmi soware utilizzabili via Internet, e che lo svolgimento di tale procedimento, in alcune delle sue parti, quali ad esempio l’ istruttoria e lo scambio di memoria di replica sia gestito in modo on-line e ciò sin dal 2001. Il valore legale dei documenti è garantito dalle procedure di convalida stabilite dal giudice delle ingiunzioni. La tutela delle parti è garantita expost, in una fase successiva comparendo dinanzi all'organo giurisdizionale attraverso il meccanismo dell'opposizione.17 Notevolmente sviluppato è anche il procedimento fallimentare che è di competenza della Corte ordinaria, con trasparenza d’informazioni sui dati

17

I risultati ottenuti in Germania sono eloquenti, alla fine del 2006 il 96% delle richieste d’ingiunzione di pagamento avveniva tramite Internet, con evidenti benefici in termini economici e d’efficienza del servizio d’amministrazione giudiziaria. 17


inerenti il patrimonio del debitore, che possono essere pubblicati per esigenze procedimentali, anche se a scapito del diritto alla riservatezza.18 I Tribunali elettronici e la casella di posta elettronica certificata rappresentano un importante progetto di riforma, avviato inizialmente in via sperimentale nel Land di Brema e che, nello specifico, consente di interagire elettronicamente con tutti gli organi di giustizia presenti nel Land.19 In Gran Bretagna l'innovazione tecnologica del sistema giudiziario ha avuto uno sviluppo a fasi che possono essere riassunte sostanzialmente in due. Una prima fase, nella quale possiamo far rientrare quelle che sono state rivolte all’automazione interna del sistema giudiziario, e una seconda fase, nella quale possiamo far rientrare quelle rivolte all’ottimizzazione del sistema. Importante è stato in merito lo sviluppo delle Online Dispute Resolution che ha permesso di sottrarre un imponente numero di cause seriali alle Corti e ai Tribunali. Il primo modello inglese di realizzazione di una Corte virtuale è rintracciabile nel Money Claim Online (MCOL)20 nel quale le spese del procedimento sono anticipate dall'attore e pagate a mezzo della carta di credito. La prima fase della causa avviene esclusivamente on-line ed il convenuto, una volta ricevuta la notifica della Claim, può opporsi entro 14 giorni, sia telematicamente che in modo convenzionale. Il sistema calcola poi automaticamente l'importo della Claim comprensiva delle spese legali. La contro18

Sono così resi pubblici dati quali nome, cognome, residenza, estremi della procedura fallimentare. La privacy soccombe in favore delle esigenze di trasparenza nei rapporti con i creditori, ma tale squilibrio viene in qualche misura temperato dalla garanzia del continuo e tempestivo aggiornamento delle informazioni, evitando al fallito una prolungata ed ingiustificata esposizione, comunque limitata ai tempi di svolgimento del procedimento. 19Dopo

la prima fase sperimentale si è esteso a tutti i Land. Per dare piena efficacia a tali innovativi sistemi elettronici la riforma è stata affiancata da modifiche ad hoc delle leggi federali, come la legge sulle comunicazioni giudiziarie e la notifica di atti e documenti processuali in via telematica. 20Con

questo sistema, che ha avuto inizio nel 2002, sono adesso avviate circa 600 cause a settimana. Vantaggi derivanti dal suo utilizzo si possono riassumere in una massimizzazione del recupero dei crediti, in un sostanzioso alleggerimento del sistema giudiziario da un consistente numero di cause seriali di recupero danni, consentendo di impegnare al meglio tempo, uomini e risorse nelle cause più impegnative. 18


versia è chiusa quando la controparte versa la somma stabilita, il sistema a questo punto segnala l'avvento pagamento, mettendo a disposizione delle parti gli estremi della sentenza. Sulla base dell’esperienza positiva del MCOL lo stesso metodo è stato applicato anche alle cause relative al possessorio, nonché al recupero della morosità nella locazione. uesto sistema è stato denominato Possession Claim Online (PCOL) nel quale decide il giudice competente per territorio. Il pagamento delle spese e le somme a titolo di risarcimento possono essere saldati a mezzo di carta di credito e sulla base dell’intervenuto pagamento viene generata automaticamente l'agenda delle udienze. La causa è iniziata Online e procede poi in aula davanti al giudice. uest’ultima caratteristica differenzia il PCOL dal MCOL dove, invece, in assenza di opposizione dell’intimato la causa si svolge interamente Online.

1.4. La terza scelta strategica: il riconoscimento degli strumenti Alternativi di Risoluzione delle Controersie. La nascita ufficiale dei metodi alternativi per la composizione dei conflitti, ossia le c.d. Alternative Dispute Resolution21 (ADR), in USA viene, convenzionalmente, fatta coincidere con la Pound Conference, ossia con la conferenza celebrativa del settantesimo anniversario del discorso te-

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Il termine ADR è un acronimo derivante dalla lingua inglese il cui significato è Alternative Dispute Resolution cioè risoluzione alternativa delle controversie ed indica, con dizione generica, tutti i sistemi di risoluzione delle controversie diversi da quello statale. Secondo la definizione internazionalmente accettata Alternative Dispute Resolution refers to any means of settiling disputes outside of the courtroom. ADR typically includes arbitration, mediation, early neutral evaluation, and conciliation. La caratteristica delle ADR è quindi quella di essere un’ alternativa al sistema ordinario di risoluzione delle controversie. 19


nuto da Nathan Roscoe Pound22 , uno dei padri, con Sander

22Pound

nacque nel 1870 a Lincoln nel Nebraska negli Stati Uniti ad Harvard ma non si laurea. Allo studio del diritto lo spinge il padre ed è proprio l’ esperienza ad Harward che lo segna e lo determina verso il diritto. Nel 1895 insegna giurisprudenza e diritto romano presso l'Università del Nebraska. uattro anni dopo viene nominato assistente alla cattedra. Nel 1903 viene nominato preside dell’Università of Nebraska, College of Law che lascia nel 1907 per insegnare alla Northwestern Law School per due anni, poi all'Università di Chicago School of Law, ed infine nel 1910 ad Harvard dove insegna fino alla sua morte intervenuta nel 1964. Nel 1916 intanto era diventato preside della Harvard Law School e lo fu fino al 1936. Repubblicano liberale fu fautore del pragmatismo giuridico fondendo insieme le idee europee del diritto sociale e quelle liberali repubblicane progressiste e dando così vita alla cd. "giurisprudenza sociologica ". Avversario del "formalismo", ossia dell'idea che la legge è una serie di concetti a partire dalla quale derivavano le regole giuridiche egli fu fervido sostenitore dell’approccio sociologico al diritto. Teorizzò, infatti, che la legge nasce dalla realtà sociale e politica che è sempre in continua mutazione con il mutare dei tempi essendo, la legge, solo un prodotto delle scelte umane che a volte sono solo scelte di parte. Scrive nel 1907 L’interpretazione spuria e nel 1907 Lineamenti di Lezioni di Giurisprudenza. Nel 1914 Lo spirito del Common Law, nel 1921 diritto e morale e nel 1930 La giustizia penale in America. Componente della fondazione e della redazione del primo giornali USA in materia di diritto comparato. Fu uno dei primi leader del movimento americano dei “legali realisti” e sostenne la necessità di una interpretazione pragmatica del diritto e di una maggiore attenzione su come si svolge effettivamente il processo di formazione delle legge ed interpretativo e contrapponendosi all’arido formalismo giuridico, che in quel momento prevaleva nettamente nella giurisprudenza americana, teorizzo l’interpretazione sociologia della “composizione degli interessi”. A ciò lo determinò fortemente il fatto che nel 1920, per la prima volta, i consumi piuttosto che la produzione erano diventati la preoccupazione principale del mercato sicchè ebbe modo di verificare che fino a quel momento i legislatori, con il pretesto del formalismo avevano "coperto su ciò che l'ordinamento giuridico e quello che realmente era stato il diritto-maker e giudicare realmente stavano facendo di pesatura interessi sociali " osservò quindi che in questi calcoli non vi era alcun processo astratto di puro ragionamento giuridico, ma una serie di compromessi, di interessi sociali, vestito come forma giuridica. 20


23

del diritto civile statunitense, dinanzi all’associazione degli avvocati americani, sul tema relativo alle cause della disaffezione popolare verso l’amministrazione della giustizia in America. Pound, con un discorso che per la nostra esperienza storica, in ordine a quello che è lo stato della giurisdizione civile, possiamo ritenere di grande attualità, muovendo da semplici premesse in ordine alla condizione della giurisdizione nel sistema Nord-Americano, osservava come nonostante cinquanta anni di riforme sia dell’organizzazione giudiziaria, che nella disciplina del processo civile, nessun buon risultato si era prodotto sull’arretrato del contenzioso civile giacente presso le Corti ed i Tribunali Americani. Sulla base di dati inconfutabili in ordine all’arretrato giudiziario, i suoi allievi formularono una serie di proposte volte a sottrarre alle Corti civili americane alcune categorie di controversie. Tali controversie sarebbero state poi affidate a organi di decisione estranei all’apparato giurisdizionale, organismi di natura privata che operando sulla base di procedure flessibili l’avrebbero composte senza fare ricorso alla giurisdizione. Ed è proprio grazie all’affermazione di queste proposte che ebbero modo di svilupparsi, nel sistema nord-americano, accanto alle procedure di arbitrato, conciliazione e mediazione tutta una miriade di associazioni, enti, 23

Frank Sander - Università di Harvard -, in ordine alle ragioni della crescente insoddisfazione pubblica verso l’apparato giudiziario, teorizzo durante una conferenza tenutasi nel 1976 un approccio innovativo per alleviare il carico di lavoro delle Corti e dei Tribunali Americani. Egli definì in quell’occasione il concetto della multi-porta del palazzo di giustizia. Cioè immaginò un grande palazzo di giustizia nel quale la risoluzione delle controversie avvenivano mediante l’accesso a porte e programmi multipli. I casi cioè dovevano subire una preliminare diagnosi per individuare a quali porte avrebbero potuto accedere per trovare una loro pronta risoluzione. Detti programmi diagnostici potevano poi essere situati sia all'interno che all'esterno del palazzo di giustizia e comprendevano una infinità di soluzioni quali la conciliazione, la mediazione ed i servizi sociali e solo in ultima analisi la giurisdizione contenziosa. Dopo un attento studio del concetto di multi - porta, l'American Bar Association (ABA) individuò tre siti sperimentali del programma: Tulsa, Oklahoma, Houston e la Corte Superiore di Washington, dove ebbe inizio il programma nel 1985. uattro anni dopo, e cioè nel febbraio 1989, l'ex Giudice Capo Fred B. Ugast dichiarò il pieno successo del programma e l’istituzione ad hoc di una divisione operativa presso la stessa Corte. Gli obiettivi del multi - porta è quello di consentire un accesso alla giustizia e di ridurre il peso sulla giurisdizione contenziosa attraverso soluzioni alternative con eliminazione del carico di lavoro dai ruoli dei singoli giudici. 21


uffici che cominciarono ad operare nel settore dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie. I cittadini ebbero così la possibilità di accedere ad una giustizia semplice e rapida ottenuta attraverso un procedimento personalizzato. Attualmente negli Stati Uniti la risoluzione delle controversie civili può avvenire quindi attraverso due vie maestre : o mediante l’ordinario sistema del ricorso in sede giurisdizione e quindi adendo una Corte civile o un Tribunale; o mediante il ricorso a uno qualsiasi dei sistemi alternativi di risoluzione della controversia. Per talune fattispecie è poi stato addirittura previsto, come obbligatorio, il preventivo esperimento delle procedure alternativa (ADR) che si pone quale condizione di procedibilità per poter poi adire un giudice dello Stato in sede giurisdizionale24 . In Europa, invece, nel quadro del contesto della più ampia problematica relativa all’accesso dei consumatori alla giustizia, le procedure ADR hanno acquisito progressivamente un certo rilievo. Il loro sviluppo, in Europa, è avvenuto grazie a direttive e raccomandazioni comunitarie volte soprattutto a garantire la fiducia nel commercio elettronico. Il momento iniziale della loro affermazione lo possiamo far risalire all’adozione del Libro Verde del 1993, relativo alla protezione degli interessi collettivi, realizzabile tramite l’intervento delle associazioni dei consumatori.25 Con la Direttiva 20 maggio 1997, n. 7, in tema di prote24La

parte insoddisfatta del lodo endo-processuale non ha bisogno di impugnare la pronuncia arbitrale essendo sufficiente che adisca il giudice naturale ed inizi in tal modo il processo di primo grado essendo soddisfatta la condizione processuale del previo esperimento dell’arbitrato. L’arbitrato endo-processuale non è dunque vincolante nel risultato – non binding – pur rimanendo obbligatoria l’attivazione – mandatory-. Da rimedi con fondamento giuridico consensuale essi divengono per legge endo-processuali cioè momento prodromico del processo ordinario. Il sistema nord - americano ha in tal modo sussunto nell’ambito della giustizia pubblica forme di giustizia privata. Tecniche e metodi sviluppatisi principalmente in campo privato sono stati incorporati in istituzioni pubbliche, le Corti. Le diverse forme di giustizia hanno poi seguito un procedimento di normazione processuale in base alle cosiddette local rules. 25

Libro Verde della Commissione Europea del 16 novembre 1993 relativo all’accesso dei consumatori alla giustizia ed alla risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato unico Sul punto vedi G. Rossolillo, I mezzi alternativi di risoluzione delle controversie (ADR) tra diritto comunitario e diritto internazionale, in Dir. U.E., 2008, 2, 349 ss. 22


zione dei consumatori in materia di contratti a distanza, furono poi previste specifiche iniziative per la promozione dei procedimenti extragiudiziari. Con la Raccomandazione 30 marzo 1998, n. 257, invece furono segnati i percorsi per la mediazione e la conciliazione.26 Per quest’ultima Raccomandazione divennero essenziali quelle procedure che dovevano soddisfare 26

La Raccomandazione ha inteso stabilire una serie di principi applicabili al funzionamento delle procedure extragiudiziali a fini di garanzia, come la trasparenza, l’indipendenza ed il rispetto del diritto. In particolare: 1. uando la decisione è adottata individualmente, il principio d’indipendenza è garantito nel momento in cui la persona designata: possiede la capacità e le competenze necessarie allo svolgimento delle sue funzioni; gode di un mandato di durata sufficiente a garantire l’indipendenza della sua azione e non può essere destituita senza giustificato motivo; non ha svolto attività lavorative, nel corso dei tre anni precedenti la sua entrata in funzione, per l’associazione professionale o l’impresa che la retribuisce o che l’ha nominata per questa funzione; 2. uando la decisione dell’adozione è collegiale, il principio di indipendenza è garantito attraverso la rappresentanza paritaria dei consumatori e dei professionisti; 3. Il principio di trasparenza è garantito da varie misure, comprendenti: la comunicazione a qualunque soggetto che lo richieda: di una descrizione dei tipi di controversie che possono essere sottoposte all’organo; delle norme relative alla presentazione del reclamo all’organo; del costo eventuale della procedura per le parti; delle regole sulle quali si fondano le decisioni dell’organo (codici di condotta, disposizioni legali); delle modalità di adozione di decisioni; del valore giuridico della decisione; la pubblicazione di una relazione annuale relativa alle decisioni adottate; 4. Il principio d’efficacia comporta: l‘accesso del consumatore alla procedura senza essere obbligato a ricorrere al rappresentante legale; la gratuità della procedura o la determinazione di costi moderati; la fissazione di termini brevi tra la presentazione del reclamo all’organo e l’adozione della decisione; l’attribuzione di un ruolo attivo all’organo competente; 5. Il principio di legalità, secondo il quale l’organo extragiudiziale non può adottare una decisione che avrebbe come risultato di privare il consumatore della protezione che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge dello Stato sul territorio del quale l’organo è stabilito, deve essere a sua volta rispettato. Inoltre, le decisioni debbono essere motivate; 6. Devono inoltre essere rispettati i principi del contraddittorio (possibilità per tutte le parti interessate, di far conoscere il proprio punto di vista e di prendere conoscenza di quello della parte avversa), di libertà (scelta del consumatore di aderire alla procedura extragiudiziale) e di rappresentanza. La Raccomandazione ha cioè improntato un sistema di principi in tema di indipendenza dell’organo giudicante, di diritto al contraddittorio, di disponibilità delle prove, di trasparenza della procedura, cui devono sottostare tutte le iniziative extragiudiziali di composizione dei conflitti originati da rapporti di consumo e di utenza. Tali iniziative, gratuite, rapide, efficaci, sono caratterizzate dall’interposizione di un terzo, che non si limita ad invitare le parti ad intendersi ma prende una posizione concreta in merito alla risoluzione della controversia. Ancora G. Rossolillo , op. et loc. supra cit. 23


quei criteri minimi volti a garantire l’imparzialità dell’organismo, l’efficacia della procedura, la sua pubblicità e la sua trasparenza. La decisione poi poteva essere adottata non solo sulla base di disposizioni di legge, ma anche di giudizi d’equità ed infine anche sulla base di codici di condotta a condizione che ciò non conducesse ad una diminuzione del livello di protezione relativamente alla possibilità di applicare poi le disposizioni in diritto alle stesse questioni da parte dei Tribunali. L’accesso dei consumatori procedure alternative di risoluzione delle controversie è stato poi agevolato anche dall’elaborazione, da parte della Commissione europea, di un modulo standardizzato di reclamo, reperibile in Rete, in ogni lingua dell’Unione Europea.27 uesta Raccomandazione la possiamo perciò considerare il primo serio tentativo volto a stabilire regole comuni a cui gli organismi dovevano adempiere. Con la Raccomandazione adottata dalla Commissione il 4 aprile 2001, n. 310, furono, invece, stabiliti i criteri minimi che dovevano essere garantiti nella gestione delle controversie in materia di consumo a livello transfrontaliero con la previsione della volontarietà ed il consenso28 delle procedure di composizione alternativa. Con la direttiva 2008/52/CE,29 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, infine è stata compiutamente delineata la mediazione in materia civile e commerciale che è stata, con alcune varianti, pur previste dalla stessa direttiva, recentemente adottata in Italia.

27 Il modulo di reclamo è su http://eu.int/com/dg24. 28

Testualmente nella Raccomandazione, al Considerando n.6 è scritto che le nuove tecnologie possono contribuire allo sviluppo di sistemi elettronici di composizione delle controversie costituendo un organismo volto a risolvere efficacemente le controversie che interessano diverse giurisdizioni senza il bisogno di una comparizione fisica delle parti ed andrebbero quindi incoraggiate mediante principi volti ad assicurare standard coerenti ed affidabili a suscitare la fiducia degli utenti. Sul punto ci si permette di rinviare a F. R. Fantetti, A. Contaldo., Il sistema dell’ODR (On line Dispute Resolution) nell’ordinamento comunitario e nazionale, in Ciberspazio e diritto, 2010, 2, 279 ss. 29

Vedi al riguardo M.F .Ghirga, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto ?, (riflessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della direttiva 2008/52/CE), in Riv. dir. proc., 2009, 357 ss.; D. Borghesi, Conciliazione, norme inderogabili e diritti indisponibili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 121 ss.. 24


25


2 Il procedimento di mediazione SO 2.1. La mediazione in Italia e l’ambito applicativo del decreto

Mlegislativo 4 marzo 2010 n.28. - 2.2. Il procedimento MA RIO zione. - 2.3. La conciliazione amministrata.

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di media-


2.1. La mediazione in Italia e l’ambito applicatio del decreto le gislatio 4 marzo 2010 n. 28. Il decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28,30 sulla mediazione in materia civile e commerciale, disciplina il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie vertenti su diritti disponibili ad opera delle parti, in attuazione della delega legislativa conferita al Governo dall’art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, delega emanata nel pieno rispetto dei principi in tema di ADR sanciti proprio dalla direttiva n. 2008/52/CE.31 Per quanto attiene il contenuto è da osservare che il decreto ha previsto due tipologie di mediazione finalizzata alla conciliazione. La prima, quella da considerare come tipica, informata alla ratio della cultura della composizione “facilitativa” e amichevole, volta alla ricerca di un accordo per la composizione di una controversia che compone “sull’interesse” conteso, ma al tempo stesso con la finalità, dichiarata, di conservare il rapporto tra i soggetti, ossia la “relazione sociale” tra gli stessi per eliminare, anche per il futuro, ogni possibile conflitto. La seconda, che si sostanzia nella facoltà per il mediatore di formulare una proposta per la risoluzione della controversia è, invece, “attributiva” (Adversarial) e consistente nella mutazione genetica del mediatore che da 30

Per un primo commento al decreto legislativo in questione bisogna ricordare B. Sassani, F. Santagada , Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, Roma, 2010, 23 ss.; P.S. Nicosia , M.V. Susanna. G. Ceccacci, Redazione e conciliazione civile e commerciale. Tecniche, pratica e normativa, Milano, 2010, 31 ss.; G. De Palo, L. D’urso, D. Golann, Manuale del mediatore professionista. Strategie e tecniche per la mediazione delle controversie civili e commerciali (ADR, Risoluzioni alternative delle controversie), Milano, II ed., 2010, 41 ss.; A .Luminoso, La mediazione, XCII Trattato civile e commerciale, Milano, II ed. 2010, 62 ss.; P. Mistò La nuova mediazione civile e commerciale. D. Lgs 4 marzo 2010 n. 28, Torino, 2010, 21 ss.; A .Iannini, Guida alla nuova mediazione e conciliazione, Roma, 2010, 61 s.; A. Baudini , N. Soldati, La nuova disciplina delle mediazioni delle controversie civili e commerciali, Milano, 2010, 31 ss.; F. Delfini, A. Castagnola, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010, 31 ss.; G. Sciancalepore , S. Sica , Codice della mediazione e della conciliazione, Torino, , 2010, III ss. 31 M. Gorga

La nuova Mediazione, Napoli, 2010, pag. 79. 27


“facilitatore” si trasforma, in sede di strutturazione della proposta, che produrrà gli effetti ex art.13 sul regime delle spese, in un soggetto che relativamente alla vicenda “attribuisce” ragioni e torti, proprio come avviene in sede di decisione giudiziaria. uesto doppio ruolo potranno avere i mediatori, vale a dire questi nuovi professionisti della Conciliazione personale e sociale che, individualmente o collegialmente, svolgeranno tale attività, ed ai quali resta sempre preclusa l’adozione di decisioni vincolanti nel procedimento di mediazione che potrà attivarsi sia su istanza del singolo, che congiunta di entrambi le parti, ossia di quei soggetti che intendano evitare la lite giudiziale.32 Dal punto di vista del metodo e dei rapporti con il processo, il decreto legislativo distingue tre specie di mediazione: la mediazione obbligatoria, nella quale la volontà delle parti, in relazione al necessario esperimento quale condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, non ha alcun rilievo, assumendo, invece, rilievo la volontà conciliativa; quella volontaria dove è l’autonomia delle parti a determinarne l’effettività con la previsione della clausola del preventivo esperimento del tentativo conciliativo; ed infine quella “delegata” ossia quella consigliata dal Giudice ed esperita su suo invito non obbligatorio, ma certamente non sottovalutabile sotto il profilo dell’efficacia dato che il giudice può fare inviti a volte, anche in termini molto convincenti. La mediazione è obbligatoria nelle materie elencate al co. 1 dell'art. 5 d. lgs. n.28 del 2010, ossia in materia di condominio (materia il cui esperimento del tentativo di mediazione è stato differito al marzo 2012), di diritti reali, di divisione e successioni ereditarie, di patti di famiglia, di locazione, di comodato, di affitto di aziende, di risarcimento del danno derivante sia dalla circolazione di veicoli e natanti (per quest’ultima materia la mediazione diverrà obbligatoria dal marzo 2012), sia per la responsabilità medica e la diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, nonché nei contratti assicurativi, bancari e finanziari. In tutte queste materie quindi chi intende fare ricorso alla giurisdizione deve necessariamente assolvere alla condizione di procedibilità esperendo, preventivamente, il tentativo di mediazione. Tuttavia va precisato che nell’ipotesi di omesso esperimento della mediazione l’improcedibilità della 32

M. Gorga La nuova Mediazione alla luce del regolamento n. 180 del 4 novembre 2010, Napoli, 2010-pag. 28 -30. 28


domanda deve essere sempre eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza, altrimenti la condizione di procedibilità si sana ed il processo prosegue normalmente. Com’è di tutta evidenza, per il tipo di materie per le quali la condizione di procedibilità è stata posta come obbligatoria, appare evidente che siamo dinanzi ad un particolare gruppo di conflitti che vanno da quelli che possiamo far rientrare nei cd. “conflitti di civiltà”, condizione tipica della cause condominiali o di vicinato, di confine, di servitù prediali, ovvero in generale dei diritti reali, alle cd. liti di “interessi di sangue” all’interno del nucleo familiare come nel caso delle divisioni e successioni ereditarie ed i patti di famiglia, dove la composizione delle tensioni all’interno della “società familiare” spesso prescinde dall’affermazione del diritto rifacendosi al “ripristino” degli affetti, nonché ai rapporti di durata, com’è per la locazione, l’affitto, i contratti bancari, assicurativi e finanziari, dove l’interesse delle parti spesso non è quello di interrompere il rapporto ma di disciplinarlo in modo più soddisfacente. Inoltre gli altri ambiti interessati dalla “condizione di procedibilità” sono quelli della diffamazione e della responsabilità medica nelle quali il componimento conciliativo appare opportuno per la qualità dei soggetti coinvolti e gli interessi lesi, con tutela dell’interesse-diritto della persona offesa al risarcimento senza il pubblico ludibrio del soggetto danneggiante. Infine, come detto, vi è la responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, rispetto ai quali, anche per la natura, è particolarmente fertile il terreno della composizione stragiudiziale. Tutte le materie di cui all’art. 5 co. 1, hanno però in comune un’altra caratteristica che è quella che è resa evidente dal fatto che il rapporto tra le parti è destinato, per le più diverse ragioni, a prolungarsi nel tempo, anche oltre la composizione del singolo conflitto. La mediazione obbligatoria, con le eccezioni di materie riferita, è entrata in vigore il 20 marzo 2011, laddove invece quella volontaria e quella delega-

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ta sono entrate in vigore il 20 marzo 2010. Tra le novità, per i legali33, introdotte dal decreto n. 28/2010 è da ricordare l’obbligo per gli avvocati di dare l’informativa, obbligo già prontamente sanzionato dalla giurisprudenza.34 L’informativa deve essere resa sempre per iscritto e deve essere sottoscritta dall’assistito che deve essere informato non solo dell’esistenza dell’istituto della mediazione ma anche dei vantaggi fiscali e tributari che l’istituto offre. Il giudice, qualora rileverà la mancata allegazione del documento all’atto introduttivo del giudizio, informerà la parte della facoltà di chiedere la mediazione. In ogni altra materia, diversa da quelle previste come obbligatorie, la mediazione potrà essere avviata dalle parti su base volontaria, sia prima 33

Vedi al riguardo P. CALAMANDREI, Istituzioni di diritto e procedura civile, Padova, 1941, 215. “ L’Istituzione del patrocinio forense risponde a due esigenze: una di ordine psicologico e una di ordine … Dal punto di vista psicologico la parte accecata assai spesso dalla passione e dal livore della contesa, non ha di solito la serenità disinteressata che occorre per cogliere, i punti essenziali del caso giuridico in cui si trova coinvolta e per esporre le sue ragioni in modo pacato ed ordinato: la presenza accanto a lei di un patrocinatore spassionato e sereno, che esaminano il caso colla distaccata oggettività dello studioso indipendente e senza il turbamento di personali rancori, sia in grado di scegliere con calma e ponderazione gli argomenti più confacenti allo scopo, garantisce alla parte una difesa più ragionata e più accorta, e quindi più persuasiva ed efficace, di quella che essa saprebbe fare da se stessa”. 34Mediazione

- Avvocato Informativa al cliente - Violazione dell'art. 4, comma 3, d.lgs 28/ 2010 - Omessa allegazione all'atto introduttivo del giudizio dell'informativa specifica sottoscritta dal cliente - Annullabilità del conferimento d'incarico - art. 1441 c.1 - Applicabilità (dal sito web del Tribunale di Varese) Trib. Varese, sez. I civ., ordinanza 1 marzo 2011. Ai sensi dell'art. 4 comma III del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, all'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare chiaramente e in forma scritta l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 (oltre ai casi della mediazione cd. obbligatoria). In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito e' annullabile. Il testo legislativo, inserendo una ipotesi di "annullabilità" (e non nullità come nell'originario disegno di Legge) è nel senso di recepire integralmente la categoria codicistica, con il regime giuridico che ad essa si collega; anche, quindi, in punto di legittimazione ex art. 1441, comma I, c.c. Vigente l'attuale art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi, dunque, che trovi applicazione l'art. 1441, comma I, c.c. e, dunque, la annullabilità possa essere fatta valere solo dall'assistito che non ha ricevuto l'informativa e non anche dalla controparte processuale (Nella specie il convenuto aveva eccepito l'annullabilità del contratto di patrocinio conferito dall'attore al suo difensore). 30


che durante il processo. La mediazione sollecitata dal giudice è prevista anche dalla direttiva comunitaria 2008/52/CE, e si affianca, senza sostituirla, alla mediazione giudiziale, che in verità non ha dato buoni risultata essendo la giurisdizione imperniata sul principio della domanda.35 uando il processo è stato avviato, anche in sede di giudizio d’appello e fino a che non sia consumata l’udienza di conclusione o discussione della causa, il giudice potrà valutare se formulare l’invito alle parti a fare ricorso agli organismi di mediazione e rivolgerà l’invito valutando lo stato del processo; la natura della causa e il comportamento delle parti, così da non favorire strumentali dilazioni. L’invito del giudice deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito del giudice il processo verrà differito per il tempo strettamente necessario che nella previsione legislativa per il tentativo di conciliazione è fissato in tassativi quattro mesi. La mediazione, però, pur essendo obbligatoria non sempre è condizione di “procedibilità” preventiva dell’azione essendo state tipizzate dal legislatore ipotesi per le quali la mediazione pur essendo “obbligatoria” è “differita” ad una fase successiva. Sono queste le ipotesi previste dal comma 4 dell’art 5 d. lgs. n. 28 del 2010, laddove si è previsto che la condizione di procedibilità opera solo successivamente : a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c.; c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; e) nei procedimenti in camera di consiglio; f ) nell'azione civile esercitata nel processo penale. Ipotesi per le quali è evidente che l’ordinamento concede immediata tutele dell’interesse sicché la mediazione con i suoi tempi non pare poter svolgere alcuna funzione. E’ da rilevare, però, per quanto attiene ai casi ri35

M. Gorga Alternative Dispute Resolution e Online Dispute Resolution fino alla direttiva Europea n. 52/2008, Napoli, 2010, pag. 9. 31


portati alla lettera a,b,c, che ben diversa sarà la posizione delle parti in ragione del fatto che hanno ottenuto o no, o gli è stato rifiutato o revocato, il provvedimento anticipatorio, ripristinatorio o cautelare, in ordine alla successiva trattativa in sede di mediazione.

2.2. Il procedimento di mediazione. Il procedimento di mediazione non è soggetto ad alcuna formalità ed è protetto da norme che assicurano alle parti l’assoluta riservatezza rispetto alle dichiarazioni e alle informazioni emerse. Tutte le dichiarazioni e le informazioni, infatti, che sono acquisite nel corso del procedimento, non sono utilizzabili in sede processuale e il mediatore è tenuto al segreto professionale su di esse. uando il mediatore svolge sessioni separate con le singole parti, non può rivelare alcuna informazione, acquisita durante tali sessioni, all’altra parte, ma non può rivelarle neanche a chiunque altro sia esso privato o autorità giudiziaria, anche in sede penale, e rispetto a quest’ultima autorità può, se ritiene, volontariamente, rivelarla, ma non può mai esservi costretto per legge. La finalità della previsione, specifica rispetto a tutte le esperienze comparate a livello internazionale, è finalizzata a consentire alle parti di svelare ogni elemento utile al compromesso, senza timore che poi possa essere usato contro di sé. I soggetti coinvolti si sentiranno, e saranno, quindi liberi di manifestare i loro reali interessi davanti a un soggetto dotato di elevata professionalità, ai fini dell’attività conciliativa, che porrà in essere ogni opportuna comunicazione e relazione sempre nel rispetto della legalità. Il procedimento di mediazione come detto ha una durata non superiore a quattro mesi, trascorsi i quali il processo può iniziare oppure proseguire, se l’accordo viene in essere durante l’iter processuale o in una delle ipotesi previste al co. 3 e 4 dell’art. 5. Nel concreto per quanto attiene alla descrizione dell’iter, informale del procedimento, occorre dire che presentata la domanda presso l’organismo di mediazione spetta al responsabile dell’organismo designare un mediatore. Fissato il primo incontro tra le parti, che non può avvenire mai oltre quindici giorni dal deposito della domanda, e fatta la comunicazione alla con32


troparte, il procedimento si attiva. Il chiamato in mediazione è libero di aderire o di rimanere assente. E’ tuttavia qui da precisare che se l’assenza della parte evocata in mediazione fosse ritenuto elemento idoneo a stabilire la riuscita o meno della mediazione, allora ci troveremo di fronte ad una sorta di “improcedibilità”, della mediazione, per volontà del chiamato e quindi nell’assurdo che il legislatore si sarebbe speso nella previsione dell’istituto deflattivo facendolo dipendere dalla mera volontà non collaborativa del soggetto “convenuto” in mediazione. A tale volontà sarebbe legata anche l’onerosa attività degli organismi di mediazione e l’ossequioso rispetto della legge fatta dall’istante che per altro sarebbe l’unico a doverne sopportare il costo. Logicamente è stato sostenuto che in assenza del soggetto “aderente” la mediazione “facilitativa” sarebbe una contraddizione in termini perché mancherebbe uno dei soggetti con il quale realizzarla. All’uopo la chiusura del cerchio, da parte dei sabotatori della mediazione, risiederebbe poi nell’assunto che in tali ipotesi il mediatore non potrebbe fare neanche la “proposta” sulla base degli atti e che addirittura l’aderente potrebbe rinunziare al procedimento pagando il solo costo di accesso alla mediazione se tale possibilità fosse stata inserita nel regolamento dell’Organismo di mediazione. La conseguenza sarebbe che la segreteria in siffatte ipotesi dovrebbe rilasciare verbale negativo. Comunque ritornando al procedimento è da dire che nella prima fase della sessione congiunta il mediatore cerca un accordo amichevole per la definizione della controversia, se la conciliazione riesce, il mediatore redige processo verbale, sottoscritto dalle parti e dallo stesso mediatore. Se l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. Nel verbale, contenente l’indicazione della proposta, si dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione. Dalla mancata partecipazione, senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 comma 2 c.p.c. Dal punto di vista del prodotto finale, l’accordo conciliativo avrà l’efficacia di titolo esecutivo solo se l’accordo sarà omologato dal Presidente del Tribunale il quale sarà tenuto a verificare sia la regolarità formale dell’accordo conciliativo, del quale si richiede l’omologazione, sia il contenuto sostanziale ossia della non violazione delle 33


norme di ordine pubblico ed imperative. Il verbale, con l’accorso allegato omologato, costituisce quindi titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica, oltre che per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta del mediatore, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti o per il ritardo nel loro adempimento. In caso di mancato accordo, all’esito del processo civile, se il provvedimento del giudice che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa non accettata, allora il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, relativamente al periodo successivo alla stessa, e la condanna al pagamento delle spese processuali della parte soccombente riferite al medesimo periodo, nonché al pagamento di una somma pari al contributo unificato,ed una somma corrispondente al contributo della mediazione ed eventualmente alle spese del consulente tecnico. Se la sentenza che definisce il giudizio non corrisponde interamente alla proposta allora si producono gli effetti ex co. 2 dell’art. 13 d. Lgs. n. 28/ 2010, e vale a dire, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. Il giudice deve però indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese. Sono poi previste agevolazioni fiscali. Tutti gli atti, infatti, relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. In particolare, il verbale di conciliazione sarà esente dall’imposta di registro sino all’importo di 50.000 euro, diversamente l’imposta è dovuta per la parte eccedente tale somma. In caso di successo della mediazione, se la mediazione cioè ha avuto esito positivo, le parti avranno diritto a un credito d’imposta fino a un massimo di 500 euro per il pagamento delle indennità complessivamente versate all’organismo di mediazione. In caso contrario e cioè di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta per le parti è ridotto della metà.

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2.3. La conciliazione amministrata.

Il legislatore ha accolto nel nostro sistema giuridico il servizio di “conciliazione amministrata”, ciò significa che nel nostro ordinamento la “media-conciliazione” non può essere esercitata con una prestazione di tipo libero-professionale da parte del mediatore, come avviene negli altri ordinamenti, come ad esempio nel sistema tedesco, ma deve essere erogata da appositi organismi a ciò autorizzati con provvedimento del Ministero della Giustizia36 . uest’ultimi dovranno avvalersi per svolgere il servizio di mediazione solo di soggetti dotati di alta professionalità, in quanto già esercenti una libera professione intellettuale, i quali, se in possesso di una specifica formazione professionale, acquisita attraverso un apposito corso formativo, potranno esercitarne l’attività. Si tenga presente che tali prestazioni potranno essere rese da questi mediatori, che possiamo sin d’ora definire come homus novus delle professioni 36

L’istituzione del Registro degli organismi di conciliazione è previsto dagli articoli 38-40 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 «Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366». Corrisponde a una più generale linea di tendenza del nostro ordinamento rivolta a individuare e disciplinare strumenti alternativi di definizione delle controversia, capaci di offrire, quando possibile, soluzioni più spedite, agevoli ed economiche alle liti e, d’altra parte, di ridurre il contenzioso giurisdizionale, senza naturalmente rinunciare al carattere universale della relativa tutela, in conformità dei precetti costituzionali. In attuazione alle disposizioni normative dell’art. 38 sono stati emanati: a) - ai sensi dell’art. 38, co. 2, il d. m. 23 luglio 2004, n. 222, «Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5»; b)- ai sensi dell’art. 39, co. 3, il d. m. 23 luglio 2004, n. 223 «Regolamento recante approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione a norma dell’art. 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5». La procedura di conciliazione disegnata da tali fonti normative tende oggi a rappresentare un primo standard di riferimento per il legislatore, quando interviene a prevedere specifiche ipotesi di conciliazione regolata: così nell’art. 141 del Codice del consumo – d.lgs. 206/2005 – si rinvia alla procedura prevista dall’art. 38 d.lgs. 5/2003, nella recente norma istitutiva dei c.d. “patti di famiglia” (art. 768 octies c.c.). Vedi al riguardo F. Cuomo Ulloa , La nuova conciliazione societaria, in Riv. trim. dir. proc. civile, 2004, 1035 ss. 35


legali, solo se titolari di un rapporto contrattuale con l’Organismo di mediazione al quale appartengono. Il decreto legislativo n. 28 del 2010 ha dettato, come detto, particolari norme in ordine alla figura istituzionale degli organismi di mediazione e ha stabilito, per l’iscrizione al registro degli organismi di mediazione il deposito del regolamento, in cui prevedere, anche le modalità telematiche di mediazione, le garanzie di riservatezza che si assicurano alle parti e al procedimento. Al regolamento dovranno allegarsi le tabelle delle indennità degli enti privati, mentre quelle degli enti pubblici sono stabilite con decreto Ministeriale. Nei casi di parti alle quali spetta, nel processo, il gratuito patrocinio, l’organismo privato dovrà fornire la relativa prestazione gratuitamente. Gli organismi pubblici, invece, poiché sono vincolati al principio della inderogabilità della tabella, siffatto beneficio non potranno riconoscere ai meno abbienti. uanto agli enti pubblici coinvolti, è da osservare il particolare favore di cui godono i consigli degli ordini forensi i quali possono iscriversi a semplice domanda. uesti però devono far uso di personale proprio e di locali messi a disposizione dal Presidente del Tribunale. L’iscrizione a semplice domanda è subordinata comunque alla verifica, da parte del Ministero della giustizia, di alcuni requisiti minimi, che consentono all’organismo il materiale svolgimento dell’attività. Il decreto prevede poi la facoltà di istituire, previa autorizzazione, organismi di mediazione anche presso i consigli degli altri ordini professionali. Per il legislatore quest’ultima facoltà data agli ordini professionali diversi da quello degli avvocati risponde all’esigenza di sviluppare organismi in grado di dare rapida soluzione alle controversie in determinate materie tecniche. Anche tali organismi, così come quelli istituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, saranno iscritti a semplice domanda. La natura pubblicistica degli enti che istituiscono gli organismi offre, infatti, una garanzia di serietà ed efficienza. Anche in questo caso l’iscrizione a semplice domanda non priva l’amministrazione, che detiene il registro, dal potere di verificare l’esistenza dei requisiti minimi, né dei poteri di vigilanza successivi. Come detto il decreto legislativo in esame disciplina, tra l’altro, in modo specifico, al capo III, gli Organismi di mediazione, il registro degli Organi36


smi di mediazione e dell’elenco dei formatori37 generalizzando il sistema previsto dalla conciliazione societaria di cui al d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 5. Sempre il decreto in parola stabilisce che la formazione del registro e la sua revisione nonché l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché, in particolare, l'istituzione di separate sezioni del medesimo registro, per i mediatori che trattino controversie particolari, tra cui quelle disciplinate dall’art. 141 del codice del consumo e quelle che presentano elementi di internazionalità, nonché la determinazione delle indennità, spettanti agli organismi, saranno disciplinati con appositi decreti ad hoc del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Sempre la norma in esame prevedeva poi che fino all'adozione degli appositi decreti continuavano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposi37

Secondo il d. m. 222/2004 il Responsabile del Registro stabilisce con propria determinazione i requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere i corsi di formazione previsti dall’art. 4, comma 4, lett. a), per i conciliatori che non siano magistrati in quiescenza, professori universitari di ruolo, anche in quiescenza, in materie giuridiche o economiche o iscritti ad albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità di almeno 15 anni, anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari. I requisiti di accreditamento sono così stabiliti: a)- attestazione di impegno a svolgere corsi di formazione per conciliatori, ciascuno per un numero massimo di 30 partecipanti, con le seguenti caratteristiche: b)- almeno 32 ore di lezione, di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, con i seguenti contenuti minimi: strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione; principi, natura e funzione della conciliazione; esperienze internazionali e principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra conciliatore e Organismi di conciliazione; tecniche di conciliazione; la procedura di conciliazione; rapporti con la tutela contenziosa; c)- almeno 8 ore di lezione con i seguenti contenuti minimi: le controversie di cui all’art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; i riti societari di cognizione ordinaria e sommaria; 1)- attestazione di disponibilità di strutture e locali idonei a consentire lo svolgimento dei corsi di formazione; )- attestazione di disporre di almeno 3 formatori che siano in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori e che abbiano maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche; 3)- attestazione di impegno a svolgere, a pena di decadenza dall’accreditamento, almeno 90 ore annuali dedicate all’attività di formazione dei conciliatori. Tali requisiti potranno consentire per un verso alle strutture esistenti di adeguare i propri standard formativi e per altro verso ai nuovi soggetti e/o enti formatori di poter strutturare l’attività di formazione secondo gli standard minimi. Vedi al riguardo G. Romualdi, La conciliazione amministrata: esperienze e tendenze in Italia,in Riv. arb., 2005, n. 2, 401 ss. 37


zioni dei decreti del Ministro della giustizia del 23 luglio 2004, n. 222 e del 23 luglio 2004, n. 223, norme quest’ultime emanate per l’attuazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 sulla conciliazione societaria, e alle quali disposizioni d’attuazione dovevano conformarsi, sino alla emanazioni degli appositi decreti attuativi, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall'art. 141 d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, (cd. Codice del consumo) e successive modificazioni. L'organismo con la domanda di iscrizione nel registro doveva – e lo deve anche in forza delle nuove norme di attuazione emanate con il D.M. n. 180/2010 - depositare presso il Ministero della Giustizia, espressione di esercizio di quell’autonomia normativa e regolamentare che il legislatore ha voluto riconoscere agli organismi stessi, un proprio regolamento di procedura di mediazione insieme ad un codice etico, e deve impegnarsi a comunicare, al responsabile della tenuta del registro, ogni successiva variazione della compagine dell’Ente o delle modifiche regolamentari o dell’attività svolte. Il nostro legislatore infine sensibile allo sviluppo delle ADR, che oramai sono divenute ODR38 nel sistema anglosassone,39 ha avuto modo di precisare che nel regolamento dovranno essere previste anche le procedure telematiche, di risoluzione delle controversie, eventualmente utilizzate dall'organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Sempre al predetto regolamento dovevano – e devono- essere allegate le tabelle delle indennità spettante all’organismo, che richiede l’iscrizione, se costituito sotto la forma di ente privato, nonché le tariffe per le quali deve essere richiesta l'approvazione del Ministero della giustizia, sulla base dei criteri stabiliti nei decreti attuativi della norma primaria insieme all’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, nonché alle maggiorazioni massime delle indennità dovute, comunque non superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione e le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità per le materie di cui all’art. 38

M. Gorga D. Mula, ADR E ODR nell’Ordinamento Giuridico Italiano , Napoli NETPOL 2010, pag. 144. 39

M. Gorga, Alternative Dispute Resolution e Online Dispute Resolution, Napoli, 2010, pag.17. 38


5, comma 1 d. lgs. n. 28 del 2010. Gli organismi privati quindi, diversamente da quelli pubblici, hanno ampia possibilità di farsi concorrenza agendo sulla tariffa e variandola nei minimi e nei massimi rispetto a quelli fissati dalla norma di attuazione, laddove, invece, gli organismi pubblici restano vincolati alla fissità della tabella stabilita in sede ministeriale e approvata con la norma regolamentare attuativa. Per quanto attiene ai formatori è previsto che sempre presso il Ministero della Giustizia dovrà essere istituito, con decreto ministeriale, l'elenco dei formatori per la mediazione, con i criteri per l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, per lo svolgimento dell'attività di formazione, in modo da garantire quell’elevata qualità formativa dei mediatori, che possa costituire per il mediatore stesso requisito di qualificazione professionale. L'istituzione e la tenuta del registro e dell'elenco dei formatori avvengono nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti, e disponibili presso il Ministero della Giustizia e il Ministero dello Sviluppo economico, per le rispettive competenze, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. In ottemperanza a quanto previsto dal predetto art. 16, il Ministero della Giustizia ha emanato il regolamento per disciplinare l’iscrizione e la tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori, nonché le indennità spettanti agli organismi stessi. Con il decreto ministeriale 4 novembre 2010 n. 18040 , infatti, premesse alcune disposizioni generali, contenenti le definizioni, che coincidono con quelle di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 28 del 2010, è stato istituito il nuovo registro degli organismi di mediazione. Con il decreto sono stati specificati i criteri e le modalità di iscrizione nel medesimo, e sono stati stabiliti sia i requisiti degli organismi e dei regolamenti di procedura che dovranno essere adottati, sia i requisiti dei singoli mediatori che potranno operare presso gli stessi; inoltre, sono stati indicati i soggetti cui spetta di verificare la sussistenza dei requisiti e disciplinate le ipotesi di sospensione e cancellazione dal registro. ueste nuove disposizioni regolamentari hanno sostituito quelle del decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004 n. 222, che, si ricorda, 40 Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 258 del 4 novembre 2010.

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sono state applicate per espressa previsione anche in costanza dell’abrogazione della normativa del rito sulla conciliazione societaria che dovevano attuare. Il nuovo decreto pur riprendono in parte il contenuto, dei summenzionati decreti emanati nel 2004, introduce molte novità particolarmente significative tra le quali si ritiene utile, ricordare quelle relative alla necessità che gli organismi siano persone giuridiche (e non più persone fisiche) e che abbiano un patrimonio non inferiore a quello occorrente per la costituzione di una società di capitale a responsabilità limitata. Per quanto riguarda le indennità spettanti agli organismi, il decreto stabilisce l’importo minimo e massimo e i criteri per la determinazione delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti pubblici di diritto interno, mentre lascia agli enti privati la possibilità di fissare, come già detto, liberamente le proprie tabelle, che però devono essere comunque sempre approvate dal responsabile della tenuta del registro prima dell’iscrizione. Successivamente il decreto istituisce l’elenco dei formatori; specifica criteri e modalità di iscrizione nel medesimo e, come nel caso degli organismi di mediazione, fissa i requisiti degli enti, dei singoli formatori e dei responsabili scientifici che opereranno presso gli stessi; fissa, altresì, i requisiti dei percorsi formativi che dovranno essere garantiti dagli enti e prevede che al procedimento di iscrizione nell’elenco, alla sua tenuta e alla sospensione e cancellazione, si applicheranno le disposizioni relative al registro degli organismi di mediazione, in quanto compatibili.

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Diego Buonocore

Parte II

IL DIRITTO DI INFORMAZIONE

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1 La libertà di informazione e i suoi limiti SO 1.1. La libertà di informazione - 1.2. Il “decalogo” del giornalista M- 1.3 La “verità dei fatti” - 1.4. La “continenza” della esposizione MA RIO dei fatti - 1.5. L’interesse pubblico: la c.d. “pertinenza” della no-

tizia - 1.6. Il diritto “all’oblio” - 1.7. Il diritto di critica -1.8. a) la critica in ambito giudiziario - 1.9. b) la critica politica e sindacale. 1.10. Le critiche “di genere” sessuale. - 1.11. Le interviste diffamatorie. - 1.12. Il diritto di satira.

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1.1. La libertà d’informazione.

Il fondamento del diritto di cronaca e del diritto di critica è nell’art.21 della Costituzione, che garantisce la libertà di informazione. “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, recita il primo comma. La libertà di informazione trova i suoi limiti da un lato nello stesso articolo 21, che all’ultimo comma vieta “le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”, dall’altro in tutte quelle norme di legge che danno concreta attuazione ad interessi costituzionalmente protetti. “E’ difficile individuare limiti sicuri e decisi al diritto di cronaca: questo può venire ad urtare contro l’interesse dell’individuo a custodire la propria intimità (o la propria identità)”41. Si tratta di diritti inviolabili dell’individuo, riconosciuti e protetti dall’art. 2 della Costituzione, che comprendono anche il diritto all’onore, alla riservatezza e all’immagine. Infatti “in quanto attributo della “personalità inviolabile” (art.2 Cost.) l’onore e la reputazione individuali vanno tutelati in ogni circostanza ed anche a prescindere dall’inesistenza di norma ordinarie specifiche”42 . Attraverso la tutela del diritto di cronaca l’ordinamento garantisce la libertà di informazione nella sua duplice veste di diritto ad informare e ad essere informati: ”non si può dubitare che sussista e sia implicitamente tutelato dall’art. 21 della Costituzione un interesse generale della collettività all’informazione”43. Il diritto ad essere informati consiste quindi nel “cercare, ricevere e diffondere informazioni, come afferma la dichiarazione dei diritti dell’uomo, secondo cui “ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e 41

A. Barbera, F. Cocozza, G. Corso, Le libertà dei singoli e delle formazioni sociali, in Manuale di diritto pubblico, Bologna, Il Mulino, 1986 42 Cass. sent. 10 Maggio 2001, n.6507. 43 sent. Corte Cost. n.94 del 1977.

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quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”44. L’attore di questo processo di circolazione delle informazioni è il giornalista, colui che “con opera tipicamente (anche se non esclusivamente) intellettuale, provvede alla raccolta, elaborazione o commento delle notizie destinate a diventare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi d’informazione, mediando tra il fatto di cui acquisisce la conoscenza e la conoscenza e la diffusione di esso attraverso un messaggio (scritto, verbale, grafico o visivo)45. Dottrina e giurisprudenza si sono applicate per individuare i parametri del corretto esercizio del diritto di cronaca, nell’ottica del bilanciamento tra questi ad altri diritti inviolabili sanciti a livello costituzionale e protetti dall’articolo 2 della Carta fondamentale.

1.2. Il “decalogo del giornalista”. La Corte di Cassazione, con la famosa “sentenza del decalogo46 ”, ha fissato e riportato in maniera organica una serie di principi in tema di diritto di cronaca che la giurisprudenza aveva già riconosciuto in precedenza. In particolare, secondo la Suprema Corte, “il diritto di stampa (cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti) sancito in linea di principio nell’art. 21 Cost. e regolato fondamentalmente nella l. 8 febbraio 1948 n. 47, è legittimo quando concorrano le seguenti tre condizioni: 1) utilità sociale dell’informazione; 2) verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti; 3) forma “civile” della esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo 44

art.19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948. 45 46

Cass. 23 Novembre 1983, n.7007.

Cass.Civ. Sez.I 18 dicembre 1984, Granzotti/Europrogramme n.5259, sta in Foro It.,1984, I, 2711. 44


da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti”. I requisiti elencati nella sentenza della Cassazione erano già stati individuati dalla giurisprudenza, tuttavia si tratta di elementi che continuano ad essere oggetto di continua specificazione e che necessitano di essere adattati ai singoli casi concreti. Inoltre lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e le esigenze di rapidità produttiva delle notizie e dello scambio delle stesse aumentano le difficoltà di interpretazione. Gli elementi individuati nella sentenza del decalogo (verità/diligente lavoro di ricerca; forma “civile” dell’esposizione e ambiti di narrazione; utilità sociale dell’informazione) vanno continuamente aggiornandosi e precisandosi l’un l’altro.

1.3. La “verità dei fatti”. Secondo la Cassazione: “La verità dei fatti, cui il giornalista ha il preciso dovere di attenersi, non è rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato. La verità non è più tale se è “mezza verità” (o comunque, verità incompleta): quest’ultima, anzi, è più pericolosa della esposizione di singoli fatti falsi per la più chiara assunzione di responsabilità (e, correlativamente, per la più facile possibilità di difesa) che comporta, rispettivamente, riferire o sentire riferito a sé un fatto preciso falso, piuttosto che un fatto vero sì, ma incompleto. La verità incompleta (nel senso qui specificato) deve essere, pertanto, in tutto equiparata alla notizia falsa”.

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L’esimente, anche putativa, del diritto di cronaca non sussiste quando manchi la correlazione tra il fatto narrato e quello accaduto47 . Non solo: manca anche quando “la ricostruzione degli avvenimenti avviene in modo tale da travisare la consecuzione degli stessi, omettendo il riferimento di fatti rilevanti e, per contro, proponendone taluni in una luce artificiosamente emblematica, al di là della loro obiettiva rilevanza, in modo da tentare di indirizzare il giudizio del lettore”48 . La correlazione tra fatto narrato e quello accaduto implica inoltre “l’assolvimento dell’obbligo di verifica della notizia e, quindi …..il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza”49. La verità che esclude responsabilità fa riferimento al lavoro scrupoloso che testimoni la diligenza e la perizia professionale del giornalista. “L’esimente putativa dell’esercizio del diritto di cronaca presuppone che le notizie pubblicate siano vere, oltre che di interesse pubblico, ed esposte con correttezza. O che, se non vere, almeno siano state sottoposte a verifiche tali da avere indotto in errore non colpevole l’autore dell’articolo50 . “La corrispondenza rigorosa tra fatti accaduti e fatti narrati … comporta l’obbligo del giornalista (come quello dello storico) dell’accertamento della verità della notizia e il controllo dell’attendibilità della fonte”51. E la fonte va verificata sempre, in quanto non esistono fonti informative qualificate, tanto da esonerare il giornalista dall’onere di controllo: “non esistono fonti informative privilegiate o aprioristicamente attendibili tali da legittimare di per sé la condotta del cronista”52 . 47

Secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass., S.U., 18 ottobre 1984, n. 5259) "la cronaca null’altro rappresenta che la esposizione dei fatti contraddistinta dalla correlazione tra l’oggettivamente narrato ed il realmente accaduto". 48 Cass. Pen. 15 marzo 2002, n.15176 49 Cass. Sez. V, 14 febbraio 2005. 50 Cass. Pen. Sez. V 4 dic.1996 n.214. 51 Cass. 5 maggio 1977, n.2113, in Riv. Pen.,1977, 973. 52 Cass. 30 giugno 1984, Ansaloni; Cass. 2 aprile 1987, Letta.

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In particolare non sono state riconosciute come fonti attendibili idonee a svincolare il cronista dall’obbligo di controllo: - altre fonti informative, quali, i giornali, le agenzie di stampa e la RAI, sul presupposto che “il giornalista non può appagarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative (altri giornali, agenzie e simili) senza esplicare alcun controllo, perché in tal modo le diverse fonti propalatrici delle notizie - attribuendosi reciproca credibilità - finirebbero per rinvenire l’attendibilità in se stesse”53 . Inoltre “l’esimente putativa del diritto di cronaca si può invocare se l’agente ha scelto le fonti informative con grande oculatezza, esaminandone con diligenza l’attendibilità e controllando e verificando i fatti appresi. Lo stesso deve inoltre offrire la prova della cura posta negli accertamenti svolti per vincere dubbi ed incertezze prospettabili in ordine alla verità della notizia54 . - voci attinte in ambienti giudiziari e notizie ufficiose rilasciate dagli organi di polizia. A quest’ultimo riguardo una sentenza della Cassazione ha precisato che "per gli organi dello stato sono previste dalla legge precise forme di pubblicità del loro operato, fuori delle quali non esiste alcuna ufficialità riconoscibile"55 . Infatti la Cassazione ha confermato la sentenza di condanna penale dei giudici di merito in un caso in cui il giornalista aveva riferito una falsa notizia, appresa nel corso di colloqui informali con un operatore di polizia. La Corte ha stabilito che il cronista che raccoglie notizie, al di fuori della comunicazioni ufficiali fornite nel corso di una conferenza stampa, deve assumersi l’onere di verificarle direttamente56 .

53Cass.

17 aprile 1991, Bocconetti; Cass. 9 maggio 1980, Traversi; Cass. 16 giugno 1980,

Costa. 54 Cass. Pen. V, 31 marzo 1999 n. 12024; Cass. Pen. 2001/29. 55 Cass.,14 giugno 1996, Scalfari. 56 Cass. Pen. 15 ottobre 2001, n.41135.

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- dichiarazioni rese da un terzo, ancorché provvisto di sufficiente attendibilità57. In questa ipotesi il giornalista non deve tralasciare nulla "al fine di verificare se i fatti riferiti da terzi o contenuti in scritti di altrui provenienza abbiano corrispondenza nella realtà"58 ; anche perché ai fini del legittimo esercizio del diritto di cronaca, deve aversi "l’obiettiva rispondenza al vero del fatto stesso e non già la verità dell’avvenuta asserzione del fatto da parte di terzi"59; - interpellanze e interrogazioni parlamentari, poiché "attesa la formula dubitativa o interrogativa di fatti nelle interpellanze e interrogazioni parlamentari, forma che esclude logicamente la iniziale rispondenza dei fatti stessi a verità obiettiva, il giornalista che ne diffonda anche testualmente, il contenuto prima che la verità dei fatti riferiti sia accertata risponde del reato di cui all’art. 595 c.p."60. Più in generale si riconosce al giornalista un legittimo uso delle fonti solo nel caso in cui vi sia stata: serietà del metodo di ricerca; ricerca pluralistica ed articolata delle fonti idonea a fornire un quadro quanto più possibile completo; cautela nel porgere i risultati raggiunti, consistente nell’attribuire a ciascuna fonte il tasso di credibilità che ad essa compete61 .

1.4. La <<continenza>> della esposizione dei fatti. In quanto all’esposizione dei fatti e alla loro valutazione la sentenza del “decalogo” precisa che “la forma della critica non è civile, non soltanto 57 Trib. Roma 26.2.1997; App. Milano 17 novembre 1989; Cass. 20 ottobre 1983, Scalfari. 58

Cass. 13 ottobre 1989.

59 Trib. Roma 26 febbraio 1997. 60 Cass., 4 febbraio 1987. 61

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Trib. Torino 8 gennaio 1980.


quando è eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire o difetta di serenità e di obiettività o, comunque, calpesta quel minimo di dignità cui ogni persona ha sempre diritto, ma anche quando non è improntata a leale chiarezza. E ciò perché soltanto un fatto o un apprezzamento chiaramente esposto favorisce, nella coscienza del giornalista, l’insorgere del senso di responsabilità che deve sempre accompagnare la sua attività e, nel danneggiato, la possibilità di difendersi mediante adeguate smentite nonché la previsione di ricorrere con successo all’autorità giudiziaria. Proprio per questo il difetto intenzionale di leale chiarezza è più pericoloso, talvolta, di una notizia falsa o di un commento triviale e non può rimanere privo di sanzione”. La <<continenza espressiva>> è diretta da un lato a responsabilizzare il giornalista all’uso di una forma civile nell’espressione; dall’altro è garanzia per il danneggiato di potersi difendere, anche in sede giudiziaria, nel caso di aggressioni alla propria sfera personale in seguito alla diffusione di notizie che la riguardino. Lo sleale difetto di chiarezza “sussiste quando il giornalista, al fine di sottrarsi alle responsabilità che comporterebbero univoche informazioni o critiche senza, peraltro, rinunciare a trasmetterle in qualche modo al lettore, ricorre - con particolare riferimento a quanto i giudici di merito hanno nella specie accertato - ad uno dei seguenti subdoli espedienti (nei quali sono da ravvisarsi, in sostanza, altrettante forme di offese indirette): a) al sottinteso sapiente: cioè all’uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico dei lettori, per ragioni che possono essere le più varie a seconda dei tempi e dei luoghi ma che comunque sono sempre ben precise, le intenderà o in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale, ma, comunque, sempre in senso fortemente più sfavorevole - se non apertamente offensivo - nei confronti della persona che si vuol mettere in cattiva luce. Il più sottile e insidioso di tali espedienti è il racchiudere determinate parole tra virgolette, all’evidente scopo di far intendere al lettore che esse non sono altro che eufemismi, e che, comunque, sono da interpretarsi in ben altro (e ben noto) senso da quello che avrebbero senza virgolette; b) agli accostamenti suggestionanti (conseguiti anche mediante la semplice sequenza in un testo di proposizioni autonome, non legate cioè 49


da alcun esplicito vincolo sintattico) di fatti che si riferiscono alla persona che si vuol mettere in cattiva luce con altri fatti (presenti o passati, ma comunque sempre in qualche modo negativi per la reputazione) concernenti altre persone estranee ovvero con giudizi (anch’essi ovviamente sempre negativi) apparentemente espressi in forma generale ed astratta e come tali ineccepibili (come ad esempio, l’affermazione il furto è sempre da condannare) ma che, invece, per il contesto in cui sono inseriti, il lettore riferisce inevitabilmente a persone ben determinate; c) al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato specie nei titoli o comunque all’artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre perché insignificanti o, comunque, di scarsissimo valore sintomatico, al solo scopo di indurre i lettori, specie i più superficiali, a lasciarsi suggestionare dal tono usato fino al punto di recepire ciò che corrisponde non tanto al contenuto letterale della notizia, ma quasi esclusivamente al modo della sua presentazione (classici a tal fine sono l’uso del punto esclamativo - anche là ove di solito non viene messo - o la scelta di aggettivi comuni, sempre in senso negativo, ma di significato non facilmente precisabile o comunque sempre legato a valutazioni molto soggettive, come, ad esempio, “notevole”, “impressionante”, “strano”, “non chiaro”; d) alle vere e proprie insinuazioni anche se più o meno velate (la più tipica delle quali è certamente quella secondo cui “non si può escludere che ... “ riferita a fatti dei quali non si riferisce alcun serio indizio) che ricorrono quando pur senza esporre fatti o esprimere giudizi apertamente, si articola il discorso in modo tale che il lettore li prenda ugualmente in considerazione a tutto detrimento della reputazione di un determinato soggetto”. La diffamazione a mezzo stampa può configurarsi anche quando il fatto riferito è vero ma viene esposto in modo unilaterale e incompleto, con riferimento ad altre vicende arbitrariamente ad esso collegate e con una presentazione complessiva sproporzionata alla sua importanza. La giurisprudenza ha affermato che quando ciò si verifica, ne risulta violato il principio della continenza formale dell’esposizione. Una violazione del canone della conti-

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nenza formale può ravvisarsi anche sulla base della considerazione autonoma del titolo di un articolo giornalistico rispetto al testo dell’articolo62 . A proposito delle insinuazioni la giurisprudenza, con orientamento pressoché costante, ha escluso l’esercizio legittimo del diritto di cronaca in caso di espressioni in forma dubitativa. In questi casi viene rilevata la violazione del limite della continenza della verità e dell’interesse pubblico alla notizia, che può riguardare soltanto fatti certi.

1.5. L’interesse pubblico: la c.d. <<pertinenza>> della notizia. La sentenza del “decalogo” della Corte di Cassazione ha individuato tra i requisiti del diritto di cronaca l’utilità sociale dell’informazione, in altri passaggi denominata <<pertinenza>>. La formula manifesta l’esigenza che il giornalista, nell’informare, sia mosso dall’intenzione di fornire la conoscenza di fatti che “possano interessare al pubblico, nel senso che quest’ultimo abbia a formarsi un’idea o un’opinione su di essi”. Solo in questo caso vi è un interesse che può prevalere su quello, individuale, della riservatezza. Una notizia è di pubblico interesse quando è in grado di contribuire alla formazione di un’opinione pubblica sui fatti oggettivamente rilevanti per la collettività, o perché riferite a vicende private di persone impegnate nella vita politica e sociale. Non solo: secondo la Cassazione il diritto alla riservatezza è, al pari del rispetto per la persona e la sua dignità, un limite alla libertà di manifestazione del pensiero e quindi all’esercizio del giornalismo, ma il quadro normativo, continua la Corte, vede l’attività di informazione prevalente rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, “nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite”. Secondo la Cassazione, quindi, il diritto all’informazione prevale sul diritto alla riservatezza, in quanto consente il corretto e consapevole for62

Cass. civ. , sez. III, 18 aprile 2006 , n. 8953 in Giust. civ. Mass. 2006, 4. 51


marsi di una opinione pubblica, che è corollario imprescindibile perché il cittadino possa esercitare la sovranità popolare. In assenza di informazione, il cittadino non può esercitare compiutamente i suoi diritti. L’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti ha escluso, ad esempio, la lesione del diritto di riservatezza nel caso di una trasmissione televisiva che aveva ripercorso un grave fatto di cronaca nera: “allorché la ricostruzione dei fatti sia fedele e la forma non ecceda rispetto allo scopo di riesaminare in modo critico e sereno i fatti già accertati dall’autorità giudiziaria, la trasmissione soddisfa le esigenze informative del pubblico”. Lo stesso art. 6 del Codice deontologico dei giornalisti stabilisce che “la divulgazione di notizie di interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto nonché della qualificazione dei protagonisti”. L’interesse pubblico è quindi un parametro, ma è variabile in funzione del soggetto cui la notizia si riferisce: maggiore è la rilevanza pubblica di un personaggio, maggiore è l’attenzione che i mezzi di informazione, proprio interpretando i gusti della collettività, prestano ai fatti che lo riguardano. Così ad esempio è stato riconosciuto esercizio del diritto di cronaca e di critica la pubblicazione di un libro contenente notizie e informazioni, diffuse negli ambienti interessati, su un imprenditore avente una posizione pubblica di grandissimo rilievo in campo economico e sociale, acquisite con una seria ricerca (su articoli di giornali, relazioni e atti di una commissione parlamentare di inchiesta, rapporti di polizia giudiziaria, atti societari depositati presso uffici pubblici, sentenze e altri atti pubblici), esposte in termini formalmente e sostanzialmente corretti (nella specie era stato negato carattere diffamatorio a gran parte delle notizie, informazioni e valutazioni contenute nel libro "Berlusconi-Inchiesta sul signor Tv" di Giovanni Ruggeri e Mario Domenico Saulle detto Mario Guarino).63 Ma è anche vero che in genere si tratta di personaggi che, in quanto noti, non possono vantare un diritto all’immagine, poiché “non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà […]” (art. 97 Legge sul diritto d’autore, n. 633/41).

63 Trib. Roma, 2 maggio 1995, Foro It., 1996, I, 657.

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2.6. Il diritto “all’oblio”.

Una volta che il pubblico sia stato informato con completezza del fatto, cessa l’interesse pubblico: non vi è più una notizia, non c’è più un reale interesse della collettività da soddisfare. Se la diffusione della notizia è inizialmente giustificata dall’esigenza di informare il pubblico su fatti nuovi, non lo è più dopo che la notizia risulta ampiamente acquisita. La persona coinvolta nei fatti narrati acquista il “diritto all’oblio”, cioè “il legittimo interesse a non restare indeterminatamente esposta a danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata”64 . Il diritto all’oblio è anch’esso di creazione giurisprudenziale, collocato tra i diritti inviolabili menzionati da quella norma dinamica che è l’art. 2 della Costituzione. E’ il diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. Il suo presupposto è che l’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, e che con il trascorrere del tempo si affievolisce fino a scomparire. In pratica, con il trascorrere del tempo il fatto cessa di essere oggetto di cronaca per riacquistare l’originaria natura di fatto privato. Come non va diffuso il fatto la cui diffusione (lesiva) non risponda ad un reale interesse pubblico, così non va riproposta la vecchia notizia (lesiva) quando ciò non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa. Un ulteriore fondamento del diritto all’oblio va rinvenuto nell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, dove è previsto che “le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”. E’ il principio della funzione rieducativa della pena: questa non potrebbe assolvere alla funzione di restituire il condannato alla società civile se perdurasse il ricordo di quanto quel condannato ha fatto. Ma vi possono essere delle eccezioni: per fatti molto gravi, per questioni o inchieste ancora aperte o per vicende che hanno fatto storia. In questi casi i fatti non diventano mai “privati”.

64 Cass. sez.III, 9 aprile 1988, n.3679, in Foro it.,1998,I,1834.

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1.7. Il diritto di critica. Anche il diritto di critica, come quello di cronaca, è riconosciuto dall’art. 21 della Costituzione. Tuttavia cronaca e critica vanno distinti: la cronaca fa riferimento a una realtà fenomenica, a fatti e situazioni effettivamente accaduti e li descrive; la critica è valutazione, segue il fatto e lo valuta. La critica può arrivare a configurarsi come dura contrapposizione dialettica, come un attacco verbale mirato a mettere in luce le carenze, le falsità, gli errori altrui. Il diritto di critica, “pur muovendo da un presupposto oggettivo e reale, si concretizza nella manifestazione e nella comunicazione verso l’esterno di opinioni soggettive che l’individuo matura con il proprio personale ragionamento”65 . Inoltre “il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il primo non si concretizza, come l'altro, nella narrazione di fatti, bensì nell'espressione di un giudizio o, più genericamente, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un'interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e di comportamenti”66. Anche nella valutazione dell’esercizio di critica valgono i canoni giurisprudenziali della verità, dell’interesse pubblico e della continenza espressiva. Con alcune significative distinzioni. Innanzi tutto “a differenza del diritto di cronaca, il diritto di critica ha riferimento a un contenuto di veridicità più limitato; conformemente al diritto di cronaca, anche il diritto di critica trova l'ulteriore limite segnato dal rispetto dei criteri della rilevanza sociale della notizia e della correttezza delle espressioni usate67 ”. Il fatto che costituisce il presupposto delle espressioni critiche deve, comunque, essere vero, “perchè non può essere assolutamente consentito attribuire a una persona comportamenti mai tenuti o frasi mai pronunciate 65 App. Roma, 9 dic.2008, n.5106. 66 Cass. Pen., sent. V sez.,

31 gennaio 2011, n.3372

67 Cass., 24 maggio 2002, n.7628.

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e poi esporlo a critica come se quelle parole e quei fatti fossero davvero a lui attribuiti”68. E’ configurabile l’esimente del diritto di critica - distinto dal diritto di cronaca - quando il discorso giornalistico abbia un contenuto solo valutativo e si sviluppi nell’alveo di una polemica intensa e dichiarata, frutto di opposte concezioni, su temi di rilevanza sociale, senza trascendere ad attacchi personali finalizzati ad aggredire l’altrui sfera morale. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo “sostiene che la libertà giornalistica possa comprendere il ricorso a una certa dose di provocazione sempre che le espressioni utilizzate dal giornalista non scivolino in insulti …. la stampa svolge un ruolo cruciale nella società democratica anche nell’informare sul funzionamento del sistema pubblico. In tale prospettiva la stampa è … uno dei mezzi attraverso i quali la politica e la pubblica opinione possono verificare se i giudici (ma il ragionamento si può estendere a ogni apparato del potere pubblico) assolvono le loro responsabilità in modo conforme alle finalità per le quali sono stati investiti”69 . Nella valutazione della critica dovrà infatti tenersi conto dei contesti, visto che in ogni caso è richiesta la sussistenza di un rapporto di proporzione tra fatto - oggetto di critica e giudizio espresso. Peraltro non è necessario che il diritto di critica si manifesti in sedi istituzionali o mediatiche, potendo manifestarsi anche in maniera estemporanea. Diversamente “verrebbe indebitamente limitato, se non conculcato, il diritto di manifestazione del pensiero che spetta al comune cittadino; irrilevante, dunque, è la circostanza che nella specie la censura sia stata esternata nei corridoi di un palazzo di giustizia, che appare anzi particolarmente idoneo, come sede privilegiata, a suscitare riflessioni sul tema della legalità e del rispetto della legge”70 . In alcuni casi la giurisprudenza ha affermato che alcune espressioni possono non concretizzare la diffamazione, ma comunque essere riconosciute lesive di diritti fondamentali. Così, ad esempio dare del 68 Cass. 20 luglio 2007, 29306. 69 Cass. 16 ottobre 2009, n.40408.

. Mass. 2006, 6.

70 Cass. Civ. , sez. III, 13 giugno 2006, n. 13646 in Giust. civ

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latitante e dell'incompetente all'amministratore condominiale può essere non ritenuto reato. La vicenda giudicata anche dalla Cassazione ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano assolto una donna dall'imputazione per ingiuria e diffamazione formulata nei suoi confronti per aver esposto, nell'atrio del palazzo, una lettera rivolta all'amministratore di condominio, giudicato come «latitante» e «incompetente». Per la Corte, le espressioni usate non avevano determinato un'aggressione gratuita alla sfera morale dell'amministratore, ma solo una censura alle attività non svolte; la parola «latitante», pertanto, è stata utilizzata per sottolineare la mancata presenza. La condomina, quindi, per i giudici, avrebbe esercitato il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e di controllo sull'operato dell'amministratore lamentando le carenze di manutenzione dell'immobile. La lettera affissa nell'androne aveva, infatti, quali naturali destinatari, gli altri condomini, e per tale motivo era stata rispettata la rilevanza sociale del diritto di critica esercitato e, di conseguenza, la sua condotta non era da censurare non integrando, a dire dei giudici di legittimità, gli estremi di ingiuria e diffamazione. L’esposizione in bacheca condominiale di una lettera rivolta all’amministratore però può andare “al di là della giustificata informazione ai soggetti interessati nell'ambito della compagine condominiale”. Tale affissione, infatti, avvenendo in uno spazio accessibile al pubblico, non solo non è necessaria ai fini dell'amministrazione comune, ma, soprattutto, si risolve nella messa a disposizione di quei dati in favore di una serie indeterminata di persone estranee e, quindi, in una indebita diffusione, come tale illecita e fonte di responsabilità civile”71. La Corte ha affermato che “per essere lecito, il trattamento dei dati deve avvenire nell'osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti”. I giudici penali non hanno ravvisato alcuna volontà diffamatoria della condomina nei contenuti della lettera esposta nell'androne, ma la messa a disposizione di quelle informazioni anche in favore di estranei, potrebbe postulare, forse, una indebita diffusione, come tale, illecita e fonte di responsabilità civile. 71 Cass. sent. n.186 del 2011.

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1.8. a) la critica in ambito giudiziario.

La cronaca giudiziaria è quel particolare settore della cronaca inerente la narrazione di avvenimenti che riguardano vicende investigative e giudiziarie. In particolare, la cronaca giudiziaria si pone in potenziale conflitto con i principi espressi dall’art. 27 della Costituzione, ai sensi del quale sono vietate affermazioni anticipatorie della condanna o, comunque, pregiudizievoli della posizione dell’indagato e dell’imputato, che vanno presunti innocenti fino a che non sia intervenuta sentenza definitiva. In questo contesto è stata ad esempio ritenuta diffamatoria la pubblicazione di una formula di proscioglimento inesatta perché meno favorevole (era stata divulgata la notizia di un’inesistente proscioglimento per amnistia invece che per insussistenza del reato). Nel caso in cui la cronaca consista nel resoconto di un processo che non si è ancora concluso, essa deve basarsi sulla lettura degli atti processuali ed al giornalista è fatto obbligo di chiarire le opposte tesi dell’accusa e della difesa. Conseguentemente, devono essere evitati tutte quei particolari non ancora sicuramente accertati e tutte quelle espressioni non strettamente indispensabili. Ancora in ambito giudiziario è stato considerato lesivo della considerazione che un giudice deve avere nell’ambiente professionale e nel corpo sociale l’accostamento con la figura manzoniana di Don Abbondio, emblema di pavidità. “Il diritto di critica non può degenerare nel mero insulto di cui possa cogliersi solo l’aspetto dispregiativo”72. Non è stato poi riconosciuto il diritto di critica allorché un giornalista accusi un magistrato Pm di svolgere indagini politiche, “in quanto l’ espressione, evocando l’intento di favorire una determinata forza politica a scapito di altre, assume portata offensiva, risolvendosi in un attacco alla sfera morale della persona”73 . Con riguardo a una dichiarazione resa in sede giudiziaria, il criterio della verità sostanziale della notizia non riguarda il contenuto della dichiara72 Trib. Milano, 17 dicembre 1995, Cavallaro, Riv. Pen., 1996, 350. 73 Cass. 20 luglio 2007, n.29306.

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zione e l’attendibilità del dichiarante. Infatti il diritto-dovere del giornalista di informare e il diritto dei cittadini ad essere informati non può passare attraverso il controllo della verità del fatto dichiarato o dell’attendibilità del dichiarante e la “verità” va riferita al fatto rappresentato e, cioè, al fatto che vi sia stata effettivamente quella dichiarazione in sede giudiziaria, con indicazione del contesto giudiziario nel quale è stata resa, se ciò è necessario per fornire completezza di informazione al lettore. E’ comunque necessario, per l’applicazione della scriminante, che i concetti e le parole riportate “siano effettivamente rispondenti al reale contenuto della dichiarazione e dell’atto giudiziario, senza alterazioni del significato sostanziale che possano creare per il lettore una realtà diversa da quella effettivamente attribuibile alla dichiarazione, cosicché il giornalista si pone quale semplice intermediario tra i fatti e le situazioni realmente accaduti nell’attività giudiziaria e l’opinione pubblica. Resta ovviamente ferma la necessità dei requisiti della pertinenza e della continenza. E, in particolare, quanto al requisito della pertinenza, viene in rilievo l’interesse pubblico a quello specifico processo, per le più svariate ragioni, che vanno dalla rilevanza del caso alla notorietà dei personaggi coinvolti”74 . Infine la cronaca giudiziaria deve avere riguardo alla verità della notizia, “quale risulta nel momento in cui viene diffusa”. Se si tratta di fatti risalenti nel tempo e quindi suscettibili di modifiche, è necessario che il giornalista verifichi, nel momento in cui scrive l’articolo, “se nelle more siano intervenute circostanze capaci di avere influito sulla verità del fatto”75. Se questo controllo risulta impossibile per l’inaccessibilità delle nuove fonti informative, il giornalista dovrà astenersi dal trattare il caso o farlo con le dovute cautele. Non potrà, infatti, invocare l’esimente del diritto di cronaca, sotto il profilo putativo, se la notizia dovesse risultare poi inattuale: questa inaccessibilità infatti lungi dall’escludere l’obbligo di controllo, “implica la non pubblicazione della notizia non controllabile ovvero la precisazione che la verità del fatto non è stata ancora accertata nella sua sede naturale”.

74

Cass. Civ., sez. III, 24 maggio 2006, n. 12358.

75 5 Cass.Pen., V sez., n.2506/2010.

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La ricostruzione a distanza di tempo dello sviluppo di indagini di polizia, in particolare, è consentita, in chiave storica e di critica dell’operato degli inquirenti, ma con un certo rigore: se la vicenda è o ritorna di attualità bisogna tenere conto in primo luogo del diritto all’oblio dei protagonisti e, se prevale l’interesse a parlarne, la ricostruzione deve essere puntuale. Occorrerà avvertire il pubblico, ad esempio, che le tesi investigative sono rimaste a livello di mera ipotesi, che non hanno trovato alcuna conferma successiva o addirittura che sono state smentite dai successivi sviluppi istruttori. Il dovere principale che incombe sul giornalista è, infatti, quello di dare un’informazione completa e di effettuare tutti i controlli necessari, per verificare gli esiti ultimi di ogni indagine. Il giornalista che vuole rievocare notizie di cronaca, risalenti nel tempo, dovrà completare il suo resoconto con gli aggiornamenti possibili o, se non è in grado di farlo, ammettere i limiti dell’informazione data.

2.6. b) la critica politica e sindacale. In ambito politico e sindacale i contorni del diritto di critica sono più elastici: in questi contesti, una volta accertata l’utilità sociale della critica, intesa come interesse della collettività alla manifestazione del pensiero ed alla conoscenza delle pur divergenti opinioni dei cittadini sui temi cruciali della vita pubblica, il giudice dovrà valutare se sia stato violato o meno il limite della correttezza formale delle espressioni adoperate. Sotto questo profilo bisogna tener conto che “nel contesto politico la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario”76 . C’è poi da considerare la “desensibilizzazione” del significato offensivo di talune parole, ossia il mutato atteggiamento sulla loro offensività da parte dei cittadini, in ragione della peculiarità di alcuni settori della vita pubblica in cui i contrasti si esprimono tradizionalmente in forma vibrata.

76 Cass., 20 luglio 2007, n.29306.

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La critica, anche in campo politico e sindacale, può esplicarsi in forma tanto più incisiva e penetrante quanto più elevata è la posizione pubblica della persona che ne è destinatario. In particolare se si tratta di un uomo politico, che è un personaggio pubblico, che si espone inevitabilmente e consapevolmente al controllo dei suoi atti da parte dell’opinione pubblica, il limite alla protezione della reputazione deve essere ragionevolmente bilanciato proprio con l’utilità alla libera discussione delle questioni politiche. Così la critica, anche se pronunciata con termini offensivi, non costituisce diffamazione se ha finalità politica o sindacale e non sia rivolta ad attaccare esclusivamente la persona77 . La vicenda da cui è stato tratto il principio enunciato riguardava un insegnante che durante alcuni colloqui con i colleghi aveva definito il preside dell’istituto “un imbroglione” e “un ladro”. Denunciato per diffamazione il docente era stato condannato in primo e anche in secondo grado. Nel ricorso per Cassazione la difesa del docente aveva fatto notare che l’assistito aveva agito nella veste di rappresentante sindacale. E aveva usato termini forti non per offendere il dirigente, ma unicamente per criticarne la condotta relativamente alla gestione dei fondi scolastici. Secondo la tesi difensiva il docente aveva quindi esercitato il diritto di critica sindacale previsto dalla legge. La Cassazione ha annullato la condanna per prescrizione dei reati, ma in motivazione ha precisato che il termine oggettivamente offensivo può “in un contesto di polemica politica e sindacale costituire legittimo esercizio del diritto di critica circa l’operato della parte offesa”. In un’altra occasione la giurisprudenza ha affermato che la condotta di diffusione a mezzo stampa delle notizie di favoritismi “posti in essere da un amministratore comunale a vantaggio di un congiunto, pur essendo potenzialmente diffamatoria, è scriminata dall’esercizio del diritto di critica politica, non trasmodando la comunicazione in attacchi personali”78 . Per stabilire se l’esercizio del diritto di critica nei confronti di un uomo politico abbia rispettato il limite della continenza verbale, la giurisprudenza ha stabilito che il giudice di merito “deve tenere conto dei seguenti 77 1 Cass. sent. n. 13318 del 2011. 78 Cass. Pen., sez. V, 21 luglio 2009, n. 41767.

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parametri: a) le singole parole non possono essere estrapolate dal contesto, ma vanno valutate in una con esso; b) l’estensione del diritto di critica è tanto maggiore, quanto più elevate siano le funzioni pubbliche ricoperte dalla persona criticata; c) la natura offensiva delle singole espressioni usate va sempre comparata con l’indignazione suscitata dalla condotta della persona criticata; d) la natura diffamatoria delle affermazioni deve escludersi quando esse siano manifestazione non di malanimo personale, ma di polemica politica”79. Inoltre il giornalista può pubblicare il testo diffamatorio di un’interrogazione parlamentare senza doverne verificare la veridicità del contenuto, “sempre che (e solo che) corrisponda al vero la riproduzione (integrale o per riassunto) del testo dell’interrogazione medesima, essendo priva di rilievo, per converso, l’eventuale falsità del suo contenuto, che il giornalista non ha il dovere di verificare, pur avendo l’obbligo di riprodurlo in forma impersonale ed oggettiva, quale semplice testimone, senza dimostrare, cioè, con commenti o altro, di aderire comunque al suo contenuto diffamatorio ed abbandonare, così, la necessaria posizione di narratore asettico ed imparziale del fatto interrogazione”80 . Nel corso di competizioni politiche, sindacali o, comunque, di importante rilievo collettivo, sono stati considerati legittimi toni aspri, espressioni dure e di disapprovazione, “a maggior ragione da parte di giornali politicamente impegnati, che restano penalmente irrilevanti, quand’anche i medesimi argomenti e termini potrebbero essere ritenuti offensivi e lesivi della reputazione di un comune cittadino”81 .

79 Cass. Pen., sez. V, 07 giugno 2006, n. 19509 in D&G - Dir. e giust. 2006, 2518. 80 Cass. civ. , sez. III, 4 luglio 2006 , n. 15270. 81 Trib. Roma, 10 luglio 2007, n.13535.

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1.10. Le critiche di “genere” sessuale.

Le critiche nei confronti delle donne sganciate da qualsiasi riferimento a fatti specifici e riferite solo al “dato biologico” sono lesive della dignità della persona. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione82 , che ha confermato la condanna per diffamazione nei confronti di un giornalista e di un sindacalista per le critiche di genere che avevano rivolto alla direttrice di un carcere. Il titolo dell’articolo contestato, ritenuto già di per sé offensivo, era “Carcere: per dirigerlo serve un uomo”. Come pure offensivo era stato ritenuto un passaggio delle dichiarazioni del sindacalista nel quale affermava che per la struttura penitenziaria “sarebbe meglio una struttura al maschile”. La Cassazione ha sottolineato che “si tratta di una dichiarazione certamente lesiva della reputazione della direttrice del carcere trattandosi di un riferimento assolutamente gratuito, sganciato dai fatti, riferito al solo fatto che la direttrice è una donna, gratuito apprezzamento contrario alla dignità della persona perché ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell’appartenenza all’uno o all’altro sesso”. senza ancorare questa affermazione a nessun elemento oggettivo.

1.11. Le interviste diffamatorie.

uello riguardante le interviste è uno degli argomenti più controvesi riguardo alla responsabilità del giornalista per diffamazione. Recentemente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha fatto proprio un orientamento che si era consolidato, riconoscendo che un’intervista che presenti profili di interesse pubblico (dati dalla rilevanza del personaggio intervistato, dalla qualità dei soggetti coinvolti, dalla materia della discussione e più in generale al contesto dell’intervista stessa) “non espone il giornalista che l’ha raccolta al rischio di incorrere in responsabilità per concorso in diffamazione insieme all’intervistato diffamante, quando le 82 Cass. sent. V pen. 10164/2011.

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affermazioni dell’intervistato siano lesive della reputazione del soggetto a cui quest’ultimo abbia fatto riferimento nel corso dell’intervista”83 . I presupposti individuati dalla giurisprudenza (rilevanza del personaggio intervistato, qualità dei soggetti coinvolti, materia della discussione e, più in generale, il contesto dell’intervista stessa) esimono il giornalista da responsabilità e fanno sì che l’esercizio del diritto di cronaca prevalga sulla posizione soggettiva del terzo evocato dall’intervistato. In casi del genere la reputazione del terzo evocato nell’intervista cede di fronte al diritto di cronaca anche se il fatto riportato dall’intervistato non sia nè vero oggettivamente, nè espresso in modo continente dall’intervistato, ma in ragione dell’interesse pubblico che vengano resi noti i fatti esposti nell’intervista. La reputazione del terzo evocato è così tutelata pienamente solo nei confronti dell’intervistato. La pronuncia in questione è, sul tema, il punto di arrivo di un percorso che aveva visto alternarsi orientamenti diversi e divergenti. La giurisprudenza prevalente infatti si era attestata decisamente nella direzione di un'affermazione di responsabilità del giornalista, a titolo di concorso con il dichiarante, per la pubblicazione delle dichiarazioni di terzi lesive della reputazione altrui. Secondo quest’orientamento a carico del cronista sussiste sempre il limite della verità della notizia che egli ha il dovere giuridico di controllare per evitare che la stampa si traduca in una "cassa di risonanza" delle offese alla reputazione. Il giornalista-intervistatore, secondo quest’orientamento, è tenuto a verificare l’attendibilità del contenuto della pubblicazione, sia controllando la serietà della fonte, sia “accertando altrimenti la sua rispondenza al vero”84. Il giornalista doveva comunque verificare la verità di quanto affermato, onde evitare che la stampa, sviando la sua funzione informatrice, diventi “cassa di risonanza della reputazione”85 . A questo orientamento se ne era opposto un’altro, secondo il quale l'obbligo della verità, cui deve attenersi il giornalista, avrebbe ad oggetto solo la

83 Cass. pen. S.U. 16 ottobre 2001, n.37140. 84 Cass. V sez. 6 ottobre 1981, Riv.Pen.,1982,638. 85 Cass. 20 ottobre 1983, Giust.Pen.,1984, II, 655.

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fedeltà al testo dell'intervistato e non anche il contenuto delle dichiarazioni rilasciate, purché di interesse pubblico. In tal senso sarebbe configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di cronaca in favore del giornalista tutte le volte in cui la notizia è costituita non solo dal contenuto delle dichiarazioni rese dall'intervistato, quanto dalle qualità di quest'ultimo, idonee a determinare un particolare affidamento sulla veridicità delle sue affermazioni. Così anche nel caso in cui l'intervista consista in giudizi, pure fortemente critici, espressi da personaggi pubblici su altri personaggi pubblici, nell'ambito di un dibattito che interessa la pubblica opinione, il giornalista avrebbe il compito di riferire con fedeltà il dibattito nei termini in cui si esprime, senza per questo incorrere nella responsabilità per quanto dichiarato dal personaggio intervistato. Il punto di svolta è stato dato dalla sentenza della uinta Sezione penale del 14.12.199986 che ha operato una radicale inversione di tendenza rispetto ai principi enunciati dalla giurisprudenza prevalente. uesta ha affermato in primo luogo che nel caso in cui la pubblicazione riguardi un'intervista, il limite della verità del fatto va riferito non al contenuto dell'intervista, ma al fatto che l'intervista sia stata realmente operata e concetti e parole siano rispondenti alle dichiarazioni dell'intervistato. Inoltre, qualora le dichiarazioni riportate nell'intervista consistano in giudizi e valutazioni espresse da personaggi noti nei riguardi di altri personaggi di pubblica notorietà, il giornalista è tenuto al rispetto delle opinioni manifestate dall'intervistato, anche in termini fortemente critici, “al fine di fornire al pubblico un quadro più genuino possibile, atto ad orientare il giudizio del lettore anche sul personaggio intervistato”. Con specifico riferimento all'interesse che la pubblicazione dell'intervista deve assumere, si sottolinea poi che tale interesse deve coinvolgere "personaggi pubblici", sia in veste di intervistato che in veste di soggetto attinto dai giudizi, e la diffusione della notizia deve rispondere, quindi, alla funzione informativa della stampa in tutti i campi in cui sia riconoscibile un interesse alla conoscenza e all'approfondimento. uesta decisione ha finito per ridisegnare i criteri dettati dalla giurisprudenza consolidata in tema di diffamazione a mezzo stampa e di legittimo esercizio del diritto di cronaca, “adattando alla diversa situazione che si 86 Cass., sez. V, 14-12-1999, in Foro it., 2001, II, 179, n. Giammona.

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riscontra nel caso della pubblicazione di dichiarazioni di terze persone, ponendo in primo piano l'interesse del pubblico all'informazione rispetto al primato della tutela dell'onore e della reputazione individuale”87. “La dichiarazione, ad esempio, di un capo di stato, di un leader politico o sindacale, di uno scienziato di indubbia fama, essendo idonee ad orientare la pubblica opinione nei rispettivi campi, devono, pertanto, ritenersi meritevoli di essere integralmente pubblicate, atteso che tanto più è elevata la posizione sociale dell'intervistato, maggiore risulta l'interesse pubblico ad essere informato del suo pensiero, e ciò indipendentemente dalla veridicità dei fatti narrati o dall'intrinseca offensività delle espressioni usate. Circostanze queste che non possono influire sulla responsabilità penale del giornalista che riproduca fedelmente tali dichiarazioni....In ipotesi siffatte è indubitabile che la notizia sia costituita dal fatto in sé delle dichiarazioni del personaggio altamente qualificato, risultato l'interesse del pubblico ad apprenderla del tutto indipendente dalla corrispondenza al vero del suo contenuto e dalla continenza del linguaggio adottato. Pretendere che il giornalista intervistatore controlli in ogni caso la verità storica del contenuto dell'intervista potrebbe comportare una grave limitazione alla libertà di stampa, atteso che le obiettive difficoltà che costui potrebbe incontrare nel verificare la corrispondenza a verità di quanto dichiarato da un alto personaggio, magari su argomenti riservati, potrebbe indurlo, per prudenza, a rinunciare alla pubblicazione dell'intervista”. Il giornalista è comunque tenuto ad essere “osservatore obiettivo” delle dichiarazioni che egli stesso riporta: occorre infatti accertare “se il giornalista abbia assunto la prospettiva del terzo osservatore dei fatti, agendo per conto del pubblico dei suoi lettori, ovvero sia solo un dissimulato coautore della dichiarazione diffamatoria, che agisce contro il diffamato”88. Infine, nel caso di un’intervista giornalistica trasmessa in diretta televisiva, è andato affermandosi il principio per cui “il giornalista non è tenuto ad un controllo prima della diffusione della notizia volto ad accertare la fondatezza della notizia, obbligo che invece si configura se l’intervista è trasmessa non contestualmente al momento in cui essa è raccolta, fermo restando che, per il corretto esercizio del diritto di cronaca, incombe sul giornalista un 87Cass. S.U. n.37140 del 2001 cit. 88 Cass.Pen. sez. V , 15 marzo 1999 n. 548 (Cass.Pen. 2000/32)

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dovere di cautela nella scelta della persona da intervistare, e ciò per evitare di dare la parola a persone che presumibilmente ne approfitteranno per commettere reati, e l’obbligo di intervenire, ove possibile, nel corso dell’intervista per il caso in cui l’intervistato ecceda i limiti della continenza o sconfini in settori di nessuna rilevanza sociale”89 .

1.12. Il diritto di satira. La satira opera una rappresentazione simbolica del reale: come il diritto di cronaca e di critica svolge una funzione di controllo sociale del potere. Diversamente dal diritto di cronaca, tuttavia, non ha riferimento alla realtà e assume i connotati dell'inverosimiglianza e dell'iperbole per destare il riso e sferzare il costume. E’ riproduzione ironica e non ricostruzione di un fatto. La satira non è informazione; deve essere “uno strumento che graffi e ferisca il bersaglio” (Pret. Roma, 4 marzo 1989). In genere il messaggio satirico può ricorrere a registri linguistici anche pesanti e pungenti, con allusioni velenose e battute graffianti in cui sia evidente, però, l’intento ironico, dissacratorio e provocatorio proprio della satira. Anche se non è compatibile con il parametro della verità, la satira è, però, soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni adoperate rispetto allo scopo di denuncia sociale perseguito. Innanzi tutto la satira può essere invocata come scriminante di espressioni oggettivamente diffamatorie “solo quando le affermazioni fatte sul conto della vittima appaiono come manifestamente scherzose, palesemente paradossali e impossibili da prendere per vere”90 .

89 Cass.pen. sez. V, 20 dicembre 2007 n. 3597 90 Trib. Roma, 6 luglio 2004, in Dir. e giustizia, 2004.

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Inoltre, al pari di ogni altra forma di manifestazione del pensiero, non può superare il rispetto dei valori fondamentali, “esponendo la persona, oltre al lubridio della sua immagine pubblica e al disprezzo”91. Il requisito della correttezza della forma espositiva sussiste infatti anche per i commenti di natura critica e per la satira, in quanto “il diritto di critica, anche politica, pur consentendo toni aspri, non può mai sconfinare nella pura contumelia e non consente l’uso di affermazioni gratuitamente denigratorie e di mero disprezzo”92 . Inoltre, ulteriore limite al diritto di satira è costituito dalla sussistenza dell’interesse pubblico: infatti le espressioni utilizzate, anche se lesive della reputazioni altrui, devono comunque essere strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non devono risolversi in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato”93. La giurisprudenza ha ammesso una ancor maggiore elasticità quando si tratta di satira politica: è stata così consentita la rilettura in chiave umoristica delle vicende familiari dell’uomo politico; è stato però censurato l’attacco ad hominem, rivolto non nei confronti dell’uomo politico, bensì alla persona “di cui sia stata denigrata la vita professionale”94 . Nell’esercizio del diritto di satira politica il limite della continenza può ritenersi superato quando “vengano poste in dileggio le fattezze fisiche e le qualità strettamente personali della persona, senza alcun nesso col contenuto “politico” dello scritto”95. Inoltre è stato riconosciuto che “dileggiare le persone facendo riferimento alle loro non fortunate condizioni fisiche o ad eventuali carenze culturali”96 eccede i limiti del diritto di critica e di satira ed integra un illecito lesivo dell’altrui reputazione. 91 Cass. sez. V, 20 ottobre 1998 n.13563. 92 Cass. civ. III–7 nov. 2000 n. 14485 93 Cass. sent. n.23314 del 2007. 94 Cass. 7 luglio 2006, n.23712. 95 Cass.,sez.III, 7 novembre 2000, n.14485. 96 Trib. Roma, 5 aprile 1994, Dir. Inf., 1994, 1034.

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2 Il giornalista, la deontologia e il diritto allʼonore e alla reputazione. SO 2.1. Il “dover essere” della professione giornalistica- 2.2. La sto-

Mria dell’albo professionale dei giornalisti - 2.3. l’art.2 della legge MA RIO n.69 del 1963 - 2.4. Le sanzioni disciplinari e i rapporti con il

procedimento penale e con la procedura di mediazione - 2.5. Le “carte” deontologiche - 2.6. La tutela della personalità nelle carte deontologiche - 2.7. Il procedimento disciplinare dinanzi all’Ordine dei giornalisti - 2.8. Tutela dei diritti della personalità e giurisprudenza dell’Ordine dei giornalisti.

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2.1. Il “doer essere” della professione giornalistica.

L’esercizio di manifestazione del pensiero riconosciuto e protetto dall’articolo 21 della Costituzione è circoscritto dai limiti posti dalla Costituzione stessa e da norme imperative di legge a tutela di singoli o di interessi generali. uesti sono configurati come limiti “interni” al diritto di manifestazione del pensiero. Oltre a questi vi sono dei “limiti interni”, elaborati autonomamente dalle categorie professionali. L’autoregolamentazione è un fenomeno comune alle professioni liberali, impegnate nelle ricerca di una soglia minima di regole generalmente accettate dai consociati. Si tratta di un “codice etico”: un insieme di regole di correttezza professionale che si traducono poi in protocolli di autodisciplina o codici professionali, che fissano il “dover essere” della professione. uesti codici di autoregolamentazione rivelano, da un lato, la tensione delle categorie nella rivendicazione di diritti, cioè alla tutela interna dell’autonomia professionale. In campo giornalistico sono norme che mirano a garantire la libertà e l’autonomia del giornalista, non subordinata ad interessi particolari, garanzia di una informazione obiettiva a servizio della collettività, della possibilità di conoscenza e di partecipazione. Dall’altro lato i codici fissano una serie di doveri degli appartenenti alla categoria, che si impegnano in questo modo a salvaguardare i diritti e gli interessi dei terzi. Nel caso specifico dei giornalisti il codice etico riguarda una serie di questioni: i rapporti tra gli iscritti; i rapporti tra il giornalista e le fonti d’informazione; la moralità, il decoro e la dignità personale del giornalista; gli oggetti e le modalità dell’attività professionale di comunicazione. “So che l’autoregolamentazione è molto difficile quando si tratta di regole, soprattutto morali”, ha osservato Norberto Bobbio. “Dovrebbe essere lo stesso Ordine dei giornalisti a stabilire regole deontologiche della professione... I medici hanno regole deontologiche che risalgono addirittura a Ippocrate, ma i loro sono enormi problemi che riguardano la vita e la

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morte. Per i giornalisti il problema è diverso ma non meno serio: riguarda la fama di una persona. Si tratta di creare una fama o di diffamare”97 . Non si tratta solo di regole destinate a operare nel “foro interno” dei professionisti, a sollecitarne l’attenzione e la coscienziosa osservanza. Perchè le “regole etiche” hanno anche una rilevanza “esterna”. In primo luogo perchè la loro violazione ha delle conseguenze sul piano disciplinare. E poi perchè tali regole vengono generalmente recepite dai giudici quali elementi integrativi e interpretativi delle norme di carattere generale, e finiscono per aver rilievo anche nel sindacato di legittimità demandato alla Corte di Cassazione98.

2.2. La storia dell’albo professionale dei giornalisti. Di giornalismo inteso come prestazione intellettuale a carattere professionale si inizia a parlare dal 1877, con la nascita dell'Associazione della Stampa Periodica Italiana, il cui statuto prevedeva le categorie dei pubblicisti, dei frequentatori e dei professionisti, definiti “coloro che esercitavano esclusivamente l'attività giornalistica”. E’ del 1908 la nascita del primo embrione di albo: la legge n. 406 del 9 luglio, infatti, concede ai giornalisti 8 scontrini ferroviari con la riduzione del 75% sulle tariffe. E lo concede a coloro che "fanno del giornalismo la professione abituale, unica e retribuita". Nel 1925, con la legge n. 2307, venne istituito l’Ordine dei giornalisti con sede nelle città ove esisteva una corte d’appello. L’esercizio della professione giornalistica era consentito solo a coloro che erano iscritti negli albi 97 98

Norberto Bobbio, in “La Galassia”, 1990.

vedi, tra gli altri, Cass. Pen. 5 Marzo 2008, n.16145 dove, in materia di trattamento di dati personali, precisa che il codice deontologico dei giornalisti è un atto di natura normativa, essendo pertanto vincolante ed applicabile all’attività giornalistica; e e Cass. Civ. 9 luglio 2010, n. 16236 sul c.d. “giornalismo d’inchiesta” “da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”. 70


stessi e le norme sull’iscrizione dovevano essere stabilite con apposito regolamento. Prima che il regolamento fosse emanato intervenne la legge 3 aprile 1926 n.563 sulla organizzazione sindacale di tutte le professioni, arti e mestieri. Un regio decreto del febbraio 1928 determinò l’ordinamento della categoria e le modalità dell’iscrizione agli albi. L'albo era infatti gestito da un comitato di 5 membri nominati dal Ministro di Grazia e Giustizia di concerto con il Ministero dell'Interno e delle Corporazioni. Caduto il fascismo rinascono gli organismi della categoria basati sulla libera associazione. Il 26 luglio 1943 viene ricostituita la Federazione della Stampa presso il Circolo della Stampa di Palazzo Marignoli a Roma. Nell’ottobre del 1944 un decreto sostituì i Comitati interregionali per l'albo e la Commissione Superiore per la stampa con una Commissione Unica, avente sede a Roma, alla quale veniva affidata la tenuta degli 11 albi regionali e interregionali e la disciplina degli iscritti. (D.L.L. 23.10.1944). uesta Commissione Unica rimase in vita fino al 1963 quando nacque l'ordinamento professionale.

2.3. L’art. 2 della legge n.69 del 1963. La legge 3 febbraio 1963 n. 69 stabilisce che l'attività giornalistica è un'attività intellettuale a carattere professionale, riconosce la rilevanza sociale del giornalismo e impone, a chi lo eserciti in forma professionale, di iscriversi obbligatoriamente in un Albo dettandone condizioni e modalità. Tutto ciò, soprattutto a garanzia della pubblica opinione e del lettore che è il destinatario dell'informazione. La legge, inoltre, prevede l'autogoverno della categoria, cioè la gestione dell'Albo affidata a giornalisti che siano eletti democraticamente dalla categoria, e le sanzioni conseguenti all’inosservanza delle norme deontologiche. L’articolo 2 fissa i “diritti e doveri”: “E' diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità so71


stanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”. Una serie di doveri (rispetto della verità dei fatti, buona fede nel riferire le notizie, dovere di rettifica e di riparazione degli errori) riportano direttamente al rapporto giornalista - comunità dei lettori. A queste si aggiungono quelle ricavabili da altre fonti: rispetto della privacy, presunzione di innocenza, lealtà di comportamento, tutela dell’onore e della reputazione delle persone. “Un quadro nel quale la <<professionalità>> e la <<responsabilità>> del giornalista acquistano confini sempre più precisi e si coordinano perfettamente con la concezione di <<informazione-servizio>> e col dovere di informare in modo completo”99 .

2.4. Le sanzioni disciplinari e i rapporti con il procedimento penale e con la procedura di mediazione. La legge professionale dei giornalisti fissa una serie di sanzioni disciplinari come conseguenza dell’inosservanza delle norme deontologiche: l’avvertimento, la censura, la sospensione, la radiazione. L’azione disciplinare è autonoma rispetto sia a quella penale sia a quella civile sia a quella amministrativa, ma riguardo alla prima l’autonomia è relativa nel senso che la precedenza spetta sempre al procedimento penale, e che certe pronunce di condanna emesse attraverso quest’ultimo mettono in moto l’azione disciplinare e non viceversa. 100 99

Gianni Faustini, in “Il sistema dell’informazione e la deontologia”, Ordine dei Giornalisti, consiglio nazionale, 1993. 100 art.58 l.n.69/1963 e Cass. civ. terza sez., sentenza n. 14811/2000.

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La procedura disciplinare dovrà poi essere sospesa nel caso successivamente venga iniziato il procedimento penale per gli stessi fatti contestati al giornalista. La decisione in sede penale, peraltro, non è vincolante per il consiglio dell’ordine chiamato ad esprimersi in sede disciplinare, in quanto i due ambiti (penale e disciplinare) coprono sfere e sono a difesa di interessi diversi101. L’avvio di una causa in sede civile nei confronti del giornalista per responsabilità extracontrattuale non preclude il procedimento disciplinare, che può essere avviato d’ufficio dal consiglio regionale dell’Ordine o su richiesta del Procuratore generale, anche su istanza o segnalazione degli interessati. Si tratta, peraltro, di una delle materie che l’art. 5, primo comma del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28 rinvia obbligatoriamente alla mediazione civile e commerciale istituita con la stessa legge. Il risultato raggiunto in sede di mediazione potrà avere delle conseguenze nella materia disciplinare, ad esempio nel caso in cui il giornalista si adoperi per rettificare notizie inesatte o per rimuoverne le conseguenze. L’accordo raggiunto nel procedimento di mediazione potrà avere rilievo anche nel procedimento penale eventualmente avviato per gli stessi fatti, nel caso in cui il querelante non si sia costituito parte civile. Nell’accordo, ad esempio, le parti potranno concordare forme di risarcimento specifico ed altre transazioni per arrivare alla remissione della querela e all’accettazione di questa. Il procedimento penale può anche essere contemporaneo al procedimento di mediazione, come pure successivo, ove vi siano i termini per la proposizione della querela. Ove sia stata proposta e non ancora rimessa la querela, l’accordo raggiunto in sede di mediazione o l’adesione alla proposta del mediatore potranno venire in evidenza come comportamento processuale della parte, e valutati ai fini della concessione di circostanze attenuanti.

101

“La sfera della deontologia è più ampia dell’illecito penale per cui un medesimo fatto che non costituisca reato può essere in contrasto con le norme deontologiche e come tale sanzionabile”. C.N. Ordine dei Giornalisti, 22 aprile 2008 n. 37 - Pres. Del Boca - Rel. Iacopino. 73


2.5. Le “carte” deontologiche. Dagli anni ’60, quando nacque la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti e la prima formulazione dei doveri deontologici, molto è cambiato. L’informazione è diventata un’industria, la televisione commerciale prima e quella satellitare poi hanno mutato gli angusti confini della televisione di stato, internet ha reso possibile la “globalizzazione” dell’informazione: quello che accede nel più sperduto angolo della terra può diventare noto a livello planetario. Gli organismi rappresentativi dei giornalisti, Ordine e Sindacato, hanno sviluppato un dibattito interno alla categoria per cercare di porre degli argini all’informazione-spettacolo, al rischio di condizionamenti del potere economico e politico sulla diffusione delle notizie, alla tendenza di sbattere “il mostro in prima pagina”. Sono emerse le possibili distorsioni, e si è voluto fare appello al senso di responsabilità, nella consapevolezza ormai acquisita che la libertà di stampa, costituzionalmente garantita, va necessariamente di pari passo con la tutela dei diritti delle persone e dei gruppi sociali. uesto dibattito ha finito per produrre un serie di documenti che hanno specificato ulteriormente, oltre la dizione dell’art.2 della Legge 69/1963, i doveri del giornalista. In questo contesto sono state concepite la “Carta di Treviso sull’informazione e i minori”, il “Protocollo d’intesa sulla separazione tra la pubblicità e l’informazione”, la “Carta dei doveri”, l’intesa sul corretto uso da parte dell’informazione sui sondaggi, la “Carta dei diritti e doveri del giornalista radiotelevisivo”, la “Carta dei doveri dell’informazione economica” dell’8 febbraio 2005, il protocollo su “Informazione e sondaggi” nel testo del 7 aprile 1995 e il codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica di cui all’art.25 della legge n. 675 del 1996. Infine è stata anche prevista, in via sperimentale, un’alternativa alle azioni giudiziarie: si tratta del ''Comitato nazionale per la correttezza e la lealtà dell'informazione'', istituito d’intesa tra Ordine e Sindacato nazionale dei giornalisti. Una sorta di ''sportello'', al quale l’individuo potenzialmente danneggiato può rivolgersi per segnalare episodi, a suo dire, lesivi della sua sfera personale attuati a mezzo mass media. L’ organismo, vagliato l’epi74


sodio sottoposto alla sua attenzione può, dopo aver assunto informazioni, soltanto segnalare il caso all’Ordine di appartenenza per possibili provvedimenti disciplinari nei confronti del giornalista.

2.6. La tutela della personalità nelle “carte” deontologiche. Una parte rilevante delle disposizioni dei documenti di deontologia riguardano la tutela dei terzi. La “Carta dei doveri del giornalista” pubblicata nel 1993 su iniziativa del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione nazionale della stampa italiana, dispone che “il giornalista rispetta il diritto alla riservatezza di ogni cittadino e non può pubblicare notizie sulla sua vita privata se non quando siano di chiaro e rilevante interesse pubblico”. Ad ulteriore specificazione la “Carta dei doveri” prevede che i nomi dei congiunti di persone coinvolte in casi di cronaca non vanno pubblicati (a meno che non sia di rilevante interesse pubblico), come pure non vanno pubblicati i nomi di vittime di violenza sessuale, né particolari che possano condurre alla loro identificazione. Anche i nomi o elementi che possano portare all’identificazione di “collaboratori di giustizia” vanno riferiti con cautela, e mai nel caso la loro identificazione possa mettere a rischio l’incolumità loro e delle loro famiglie. Ancora più stringenti le disposizioni della “Carta di Treviso” nel caso che ad essere coinvolti da fatti di cronaca siano dei minori. Per questi è richiesto il mantenimento dell’anonimato, il che implica la rinuncia a pubblicare elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla sua identificazione. Inoltre “il bambino non va intervistato o impegnato in trasmissioni televisive e radiofoniche che possano ledere la sua dignità né turbato nella sua privacy o coinvolto in una pubblicità che possa ledere l'armonico sviluppo della sua personalità e ciò a prescindere dall'eventuale consenso dei genitori” . La “Carta dei diritti e del doveri del giornalista radiotelevisivo” ribadisce la tutela a favore dei minori, estesa ad altre categorie di “soggetti deboli”. Così si prevede che “i giornalisti della Rai ritengono centrale il rispetto dei 75


diritti delle persone anche di quelle detenute. In ogni caso è doveroso rispettare, sempre e comunque, la presunzione di innocenza per quanti sono coinvolti in casi giudiziari. L'assoluzione di un imputato va data con lo stesso risalto che ha avuto l'avvertimento all'atto dell'incriminazione o di una precedente condanna. I giornalisti della Rai si astengono dal diffondere nomi e immagine dei condannati a pene lievissime salvo nei casi che abbiano particolare rilevanza sociale o coinvolgano personaggi pubblici. Saranno evitate altresì menzioni superflue sulla razza, l'origine e la religione”. La carta sul “Trattamento dei dati personali” precisa che la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti (art. 6). Inoltre “la pubblicazione è ammessa nell'ambito del perseguimento dell'essenzialità dell'informazione e sempre nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica”. L’articolo 8 dispone che “salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell'interessato. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi. Le “Carte” prestano poi particolare attenzione alla rettifica e alla riparazione dei danni conseguenti alla pubblicazione arbitraria di notizie. La Carta dei doveri prevede che “il giornalista ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità ed il suo diritto alla riservatezza”. Inoltre “Il giornalista rispetta il diritto inviolabile del cittadino alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute ingiustamente offensive. Rettifica quindi con tempestività e appropriato rilievo, anche in assenza di specifica richiesta, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate.” Il “Trattamento dei dati personali” dispone che “l'applicazione piena e sollecita del diritto di rettifica è un dovere che incombe direttamente a ciascun giornalista o struttura giornalistica, anche in assenza di specifica richiesta” (art. 21).

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2.7. Il procedimento disciplinare dinanzi all’Ordine dei giornalisti.

L’iniziativa disciplinare è attribuita d’ufficio al Consiglio regionale o interregionale dell’Ordine dei giornalisti, o anche su richiesta del procuratore generale della Corte d’appello, nei confronti degli iscritti “che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell'ordine” (art.48 l. n. 63/1969). Le sanzioni disciplinari sono pronunciate con decisione motivata dal Consiglio, previa audizione dell'incolpato, e sono: a) l'avvertimento; b) la censura; c) la sospensione dall'esercizio della professione per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore ad un anno; d) la radiazione dall'albo. L'avvertimento, che viene inflitto nei casi di abusi o mancanze di lieve entità, può essere non conseguente ad un giudizio disciplinare. In tal caso, entro trenta giorni dal richiamo, il giornalista al quale è stato rivolto può chiedere di essere sottoposto a procedimento disciplinare. Il principio infatti è che “nessuna sanzione disciplinare può essere inflitta senza che l'incolpato sia stato invitato a comparire davanti al Consiglio (art.56) Il Consiglio, assunte sommarie informazioni, contesta all'incolpato i fatti che gli vengono addebitati e le eventuali prove raccolte, e gli assegna un termine non inferiore a trenta giorni per essere sentito nelle sue discolpe. L'incolpato ha facoltà di presentare documenti e memorie difensive102(art. 26). L'azione disciplinare si prescrive entro cinque anni dal fatto. Nel caso che per il fatto sia stato promosso procedimento penale, il termine decorre dal giorno in cui è divenuta irrevocabile sentenza di condanna o di proscioglimento.

102

La Corte costituzionale, con sentenza 11-14 dicembre 1995, n. 505 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 52, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione. 77


La prescrizione è interrotta dalla notificazione degli addebiti, nonché dalle discolpe presentate per iscritto dall'incolpato e l'interruzione della prescrizione ha effetto nei confronti di tutti coloro che abbiano concorso nel fatto che ha dato luogo al procedimento disciplinare (art.58). I provvedimenti disciplinari sono adottati a votazione segreta. Devono essere motivati e sono notificati all'interessato ed al pubblico ministero a mezzo di ufficiale giudiziario entro trenta giorni dalla deliberazione. Le deliberazioni del Consiglio dell'Ordine relative alla iscrizione o cancellazione dall'albo, dagli elenchi o dal registro e quelle pronunciate in materia disciplinare possono essere impugnate dall'interessato e dal pubblico ministero competente con ricorso al Consiglio nazionale dell'Ordine nel termine di trenta giorni (art.60). Prima della deliberazione sui ricorsi in materia disciplinare, il Consiglio nazionale deve in ogni caso sentire il pubblico ministero. uesti presenta per iscritto le sue conclusioni, che vengono comunicate all'incolpato (art.61). Le deliberazioni possono poi essere impugnate, nel termine di 30 giorni dalla notifica, innanzi al tribunale del capoluogo del distretto in cui ha sede il Consiglio regionale o interregionale presso cui il giornalista è iscritto od ove la elezione contestata si è svolta. Avverso la sentenza del tribunale è dato ricorso alla Corte d'Appello competente per territorio, nel termine di 30 giorni dalla notifica. Sia presso il tribunale sia presso la Corte di Appello il collegio è integrato da un giornalista e da un pubblicista nominati in numero doppio, ogni quadriennio, all'inizio dell'anno giudiziario dal presidente della Corte di Appello su designazione del Consiglio nazionale dell'ordine. Il giornalista professionista ed il pubblicista, alla scadenza dell'incarico, non possono essere nuovamente nominati103 . Possono proporre il reclamo all'Autorità giudiziaria sia l'interessato sia il procuratore della Repubblica e il procuratore generale competenti per territorio. Il Tribunale e la Corte d'Appello provvedono, in Camera di Consiglio, con sentenza, sentiti il pubblico ministero e gli interessati. 103

Dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell'originario terzo comma, effettuato con la sentenza 21-23 marzo 1968, n. 11 (Gazz. Uff. 30 marzo 1968, n. 84), detto comma è stato così sostituito dall'art. 2, L. 10 giugno 1969, n. 308 (Gazz. Uff. 26 giugno 1969, n. 159). 78


La sentenza può annullare, revocare o modificare la deliberazione impugnata (art.64). Avverso le sentenze della Corte d'Appello è ammesso ricorso alla Corte di Cassazione, da parte del procuratore generale e degli interessati, nel termine di 60 giorni dalla notifica ed ai sensi dell'articolo 360 del Codice di procedura civile (art.65).

2.8. Tutela dei diritti della personalità e giurisprudenza dell’Ordine dei giornalisti. Le contestazioni per la presunta violazione delle regole professionali hanno prodotto una nutrita giurisprudenza degli Ordini regionali e, in seconda istanza, del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, competente a pronunciarsi sui reclami alle decisioni degli Ordini regionali. Si tratta di provvedimenti che decidono su ricorsi proposti per la tenuta dell’Albo: requisiti per l’iscrizione all’Albo o agli elenchi (dei pubblicisti, dei praticanti, elenco speciale con i nominativi dei giornalisti di nazionalità straniera, e di coloro che, pur non esercitando l'attività di giornalista, assumano la qualifica di direttori responsabili di periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico); compiuta pratica o mancanza dei requisiti di questa, casi di incompatibilità, cancellazioni; ricorsi elettorali per la nomina dei rappresentanti in seno agli organismi di categoria. C’è poi la parte che riguarda la presunta violazione di norme deontologiche: si tratta delle decisioni che pur avendo valore unicamente sul piano disciplinare assumono importanza anche a livello di interpretazione di norme di legge, su aspetti specifici e sul piano dei limiti al diritto di cronaca e di critica. Il principio fondamentale che la giurisprudenza dell’ordine dei giornalisti è andata elaborando, in particolare negli ultimi anni, è il rispetto della dignità della persona, che prevale sempre. Così, ad esempio, il Consiglio Nazionale ha più volte ribadito che la libertà di espressione e di critica non può essere 79


disgiunta dal rispetto dell’altrui dignità. “Se la libertà di pensiero è diritto inalienabile del cittadino, la professione giornalistica è sottoposta ad un complesso di regole ulteriori. Ne consegue che il potere conferito all’Ordine riguarda non l’impedimento a scrivere ma il controllo su chi scrive violando la deontologia ed altre basilari regole di stile”. Nella fattispecie citata è stata sanzionata una serie di attacchi contrassegnati da toni grotteschi ed espressioni dai toni volgari nei confronti di un’intera comunità: il Consiglio nazionale ha riconosciuto che “il diritto di critica trova il proprio limite in un linguaggio improntato alla correttezza ed al rispetto dell’altrui reputazione”104. Il rispetto della personalità altrui porta ad identificare nell’essenzialità della notizia una delle caratteristiche del diritto di cronaca. In questo senso il Consiglio nazionale ha riconosciuto che “l’art. 2 della legge ordinistica e il codice deontologico sulla tutela della privacy dispongono che il giornalista, nel riferire fatti di cronaca collegati ad abitudini o orientamenti sessuali di una persona, è tenuto ad evitare non solo le sue generalità, ma anche qualsiasi elemento che ne consenta l’identificazione, pur solo nella cerchia di familiari e conoscenti”105 . La vicenda si riferiva ad una donna che aveva chiesto il test di paternità su tredici uomini con i quali aveva avuto rapporti sessuali e della quale erano stati riferiti particolari (tra cui il nome del piccolo centro in cui si era verificato il caso, la professione e luogo di lavoro della donna ed altri elementi) che ne rendevano facile l’identificazione. Nell’ambito dello stesso orientamento l’Ordine ha riconosciuto che “il principio della essenzialità della notizia, sancito dalla legge sulla privacy e dal relativo Codice deontologico, viene violato quando si pubblicano le generalità del marito separato di una donna coinvolta in un fatto di cronaca”106. Si trattava di una vicenda relativa ad una relazione sentimentale che legava una donna separata, peraltro in attesa di un bambino, ad un prete. La coppia era in attesa della chiesta dispensa per poter contrarre matrimonio.

104 C.N. 11 febbraio 2009 n. 2 - Pres. Del Boca - Rel. Donno. 105 C.N. 12 febbraio 2009 n. 4 - Pres. Del Boca - Rel. Marra.

106 C.N. 20 ottobre 2005 n. 57 – Pres. Del Boca – Rel. Iacopino.

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Anche la presentazione di immagini raccapriccianti costituisce violazione della dignità della persona. “uando il giornalismo d’inchiesta propone immagini violente e, sotto certi aspetti, crudeli viene meno alle sue finalità perché va oltre l’essenzialità della notizia e supera i limiti posti al legittimo esercizio del diritto di cronaca”107 . La vicenda aveva riguardo a una trasmissione di approfondimento nel corso della quale erano state proposte delle immagini, tratte dalle riprese effettuate dalla polizia scientifica, con crudi particolari delle ferite sul corpo nudo della vittima di un omicidio. Tra le affermazioni di principio di particolare rilevanza quella secondo cui “nell’esercizio della professione di giornalista” l’informazione deve essere ottenuta con mezzi legali o morali”108 . La vicenda che aveva dato origine alla massima aveva riguardato il direttore di un periodico che aveva mandato i suoi collaboratori a farsi confessare in diverse parrocchie della Toscana. Il Consiglio regionale dell’Ordine ha sostenuto che“nel corso della confessione, con il ministro di culto si instaura un rapporto che non è meramente di domanda-risposta (propria della funzione giornalistica), ma investe altresì la sfera personale, il comune sentire religioso, la maggiore o minore sensibilità dei soggetti. In questa prospettiva il finto penitente è in grado di svolgere una vera e propria occulta ‘regia’ del dialogo, provocando ad arte una risposta più evasiva o più marcata anche solo ‘modulando’ le affermazioni della falsa confessione, portando l’interlocutore a determinate affermazioni che si aspetterebbe di sentire, ottenendo – ad esempio – dichiarazioni improntate maggior- mente al consolatorio ove venga drammatizzata la finta contrizione o maggiormente al rimprovero ove si finga di manifestare poca importanza per il peccato confessato”. Tutto ciò – sempre ad avviso del Consiglio dell’Ordine della Toscana - è esattamente l’opposto della funzione giornalistica che, al contrario, è improntata in primo luogo al ‘rispetto della verità sostanziale’ che in nessun modo risulta garantita in situazioni come quelle descritte”. L’Ordine ha anche ricordato che il codice deontologico annesso alla legge sulla privacy prescrive in maniera esplicita che il giornalista, nel raccogliere i dati per l’informazione, rende note la propria identità, la propria 107 C.N. 31 marzo 2009 n. 31 - Pres. Del Boca - Rel. Anzalone. 108 C.N. 21.3.2002 – Pres. Del Boca – Rel.Galati.

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professione e le finalità della raccolta, “salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa, evita artifici e pressioni indebite”. Di particolare importanza le decisioni sull’osservanza dei doveri professionali: la tendenza della giurisprudenza dell’Ordine è l’affermazione di una stretta e necessaria correlazione tra responsabilità del giornalista e libertà di stampa, fino ad arrivare a dire che non c’è libertà senza responsabilità. “Piegare la libertà di stampa a fini estranei ai doveri di indipendenza e autonomia, lealtà e buona fede, osservanza delle leggi e rispetto dei propri lettori da parte di chi svolge una funzione di pubblico interesse, qual è quella del giornalista, mediatore intellettuale tra i fatti ed i cittadini, comporta violazione deontologica e come tale deve essere valutata alla luce di quanto dispone la legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti”109 . La vicenda che ha richiesto l’intervento dell’Ordine è relativa a notizie passate al Sismi da un giornalista. Il fatto materiale è risultato provato, e ha portato alla sospensione dalla professione per un periodo di sei mesi (dai 12 mesi inflitti in primo grado). Nello stesso orientamento giurisprudenziale la decisione secondo cui “non c’è violazione della Carta dei doveri e del codice deontologico quando un giornalista abbia correttamente esercitato il diritto di cronaca, così come previsto dall’art. 2 della legge ordinistica”110 . E il riconoscimento che “fare della critica è un diritto inalienabile del giornalista anche se i suoi scritti possono risultare non graditi a chi si identifica come bersaglio in un’asserita campagna denigratoria”111. Ci sono poi pronunce che riguardano i limiti alle le modalità espressive, comunque ritenute sostanziali al corretto esercizio del diritto di cronaca. Così ad esempio il Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti del Veneto ha comminato un “avvertimento” ad una giornalista .... in relazione

109 C.N. 29 marzo 2007 n. 25 - Pres. Del Boca - Rel. Donno - Iacopino. 110 C.N. 14 dicembre 2005 n. 70 - Pres. Del Boca – Rel. Marini. 111

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C.N. 14 dicembre 2005 n. 80 - Pres. Del Boca – Rel. Iacopino.


ad un servizio giornalista nel quale aveva definito "killer" l'arbitro di una partita di calcio. Secondo il Consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti del Veneto, il giornalista ha violato la Carta dei doveri del giornalista e il Decalogo del giornalismo sportivo che impone al giornalista di rispettare "la dignità delle persone, dei soggetti e degli enti interessati nei commenti legati ad avvenimenti agonistici", di evitare "espressioni forti o minacciose", nonché atteggiamenti che possano "provocare incidenti, atti di violenza, o violazioni di leggi e regolamenti da parte del pubblico o dei tifosi". Il Consiglio Nazionale ha poi riconosciuto che “scrivere con ironia, anche quando questa può non risultare gradita, non integra una violazione deontologica. E ciò anche quando il caso riguarda le traversie di un cane rimasto ferito in un incidente stradale”. Tra i doveri particolare importanza finisce per assumere quello di verifica delle notizie e di rettifica delle notizie inesatte. Così l’ordine ha stabilito che “una notizia va sempre verificata, specie quando tratta argomenti delicati o è destinata a suscitare clamore, al punto da essere ripresa da giornali ed emittenti nazionali. Non basta insomma una sola fonte, non controllata, a giustificare lo sviluppo di una notizia, poi rivelatasi infondata112. Il procedimento disciplinare ha portato a sanzionare una giornalista che aveva pubblicato un articolo su una presunta vicenda di suore che avevano abbandonato il velo per convolare a nozze con ex detenuti. Il giornalista che pubblica una notizia inesistente va incontro alle sanzioni disciplinari dell’Ordine. “Una notizia clamorosa, che risulti priva di qualsiasi fondamento, non è una notizia e la sua pubblicazione lede irrimediabilmente la credibilità del giornale e la dignità dell’Ordine. L’asserita buona fede del giornalista non fa venire meno i profili di colpa grave ravvisabili nel mancato controllo e verifica delle informazioni ricevute, né fa venire meno l’obbligo di rispetto della verità sostanziale dei fatti”113 .

112

C.N. 31 marzo 2009 n. 30 - Pres. Del Boca - Rel. Donno.

113 C.N. 16 giugno 2009 n. 47 - Pres. Del Boca - Rel. Anzalone.

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È stato così respinto il ricorso di un giornalista che aveva pubblicato la notizia, poi rivelatasi falsa, di un pensionato che avrebbe rubato per fame in un negozio di generi alimentari, peraltro inesistente all’indirizzo indicato. Dall’altro lato il giornalista che si impegna a correggere eventuali errori commessi in buona fede non incorre in responsabilità disciplinare. “Il giornalista che pubblica una notizia, poi rivelatasi errata, sulla vicenda di un personaggio politico, senza avere avuto la possibilità di verificarla, ma che il giorno dopo autonomamente la ridimensiona e la corregge, non è responsabile di una precisa volontà denigratoria e quindi non viola le norme deontologiche”114 . In questo caso la vicenda si riferiva ad un traghetto tornato indietro dopo la partenza e su cui si era imbarcato un parlamentare giunto in ritardo. Era stato poi accertato che il traghetto era tornato indietro per far salire un’ambulanza rimasta sulla banchina e non per farvi salire l’uomo politico. In quest’ambito l’Ordine ha riconosciuto anche l’obbligo, in carico al giornalista e, più in generale, al giornale che pubblica le notizie, di offrire opportunità di replica alle persone interessate dalle notizie pubblicate. Il procedimento disciplinare si riferiva ad un articolo su presunte irregolarità nell’affidamento di costruzione di un edificio universitario. L’articolo chiamava in causa, come raggiunto da informazione di garanzia, anche un ex rettore dello stesso ateneo. A seguito della istruttoria svolta dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Basilicata emergeva invece che, alla data di pubblicazione dell’articolo, le indagini della magistratura ordinaria - considerate “in corso” - erano state concluse da tre mesi e che la vicenda era stata chiusa con un decreto di archiviazione, regolarmente depositato. Il Consiglio regionale rilevava inoltre che la rettifica, successivamente pubblicata “non aveva rispettato i canoni della tempestività e non è stata esente da ambiguità”115 .

114 C.N. 30 marzo 2009 n. 24 - Pres. Del Boca - Rel. Ghirra. 115 C.N. 18.4.2002 – Pres. Del Boca – Rel. Ocera.

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Parte III

LA TUTELA DEL DIRITTO ALL始ONORE E ALLA REPUTAZIONE " "

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1 La tutela in sede civile dellʼonore e della reputazione SO 1.1. La tutela civilistica dell’onore e della reputazione. - 1.2. Il

Mrisarcimento del danno non patrimoniale per la lesione all’onore MA RIO e alla reputazione. - 1.3. Cenni: azione per illecito extracontrat-

tuale, querela, procedimento di mediazione: problemi di determinazione della competenza territoriale.- 1.4. Altri mezzi di riparazione alla lesione dell’onore e della reputazione: la rettifica. 1.5. a) La rettifica di una notizia diffusa a mezzo stampa oppure attraverso il mezzo radiotelevisivo. - 3.4. b) Modalità della rettifica.

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1.1. La tutela civilistica dell’onore e della reputazione. Onore e reputazione non godono solo di una difesa sul piano del diritto penale, e la stessa tutela civilistica per il risarcimento del danno per la violazione di quei beni fondamentali non è confinata nei limiti tracciati dalle disposizioni penali. Le statistiche dimostrano come negli ultimi anni l’azione risarcitoria civile abbia preso il sopravvento sull’azione penale. Ciò anche per la consolidata facoltà attribuita al giudice civile di accertare incidenter tantum l’esistenza del delitto di diffamazione, rendendo così possibile la liquidazione del danno non patrimoniale. La tendenza dei soggetti diffamati a preferire l’azione civilistica di risarcimento del danno rispetto alla querela per diffamazione ha spinto la dottrina alla creazione di un’autonoma categoria di diritto all’onore e alla reputazione in ambito civilistico. In questo solco si sono mossi negli ultimi anni dottrina e giurisprudenza, anche per l’esigenza di dare tutela in caso di violazione della reputazione indipendentemente dalla sussistenza del reato di diffamazione. La tutela costituzionale del diritto all’onore e alla reputazione trova la sua fonte normativa principalmente nell’articolo 2, norma “super primaria” che fa sì che la sua protezione non sia circoscritta alla norma penale e dalle previsioni normative ordinarie116 . La protezione costituzionale e la tutela dell’illecito extracontrattuale consente anche di “legare” in modo diverso le diverse norme che si occupano, più o meno direttamente, di proteggere gli interessi connessi con la dignità dell’individuo, come, ad esempio, gli artt. 2577 e 2579 del codice civile (che tutelano il diritto d’autore); agli articoli 10 e 97 secondo comma, 81, 142, 143 e 201 della legge 22.4.1941 n. 633 (la normativa speciale sul diritto d‘autore); gli articoli 4, 5, 6 e 8 dello “Statuto dei lavoratori” (legge 20 Maggio 1970 n. 300). Inoltre quando accade che uno stesso fatto aggredisca diversi aspetti della personalità è spesso difficile distinguere i vari oggetti della lesione “perché 116

Corte cost 10.12.1987 n.479, secondo cui “l’art.2 Cost. sancisce il valore assoluto della persona umana”. 87


i singoli attributi fondamentali dell’individuo si pongono spesso in un rapporto di circoncentricità e giustapposizione tra loro”117. Si deve considerare infatti che l’onore e la reputazione (o loro specificazioni: fama, credito,decoro) costituiscono spesso il limite al lecito utilizzo di attributi diversi: l’immagine, il nome, il diritto dell’autore. Nello stesso modo l’area di tutela della reputazione e area di tutela della personalità non sempre coincidono: si pensi al caso della notizia riguardante vicende intime della persona. In quanto vera non se ne potrà dichiarare la portata diffamatoria, ma proprio perché vera la si potrà ritenere come lesiva della riservatezza.

1.2. Il risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione all’onore e alla reputazione. La lesione del diritto all’onore e alla reputazione (che come abbiamo visto trova la sua protezione costituzionale principalmente nell’articolo 2, ma non solo), comporta l’obbligo del risarcimento del danno. Tale danno viene commisurato, secondo quanto dispone l’art. 2056 del codice civile, facendo riferimento alla previsione degli artt. 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Secondo le regole generali, colui che è stato vittima di un illecito extracontrattuale dovrà provare la condotta lesiva, l’evento dannoso, il nesso causale tra condotta ed evento e infine i pregiudizi sofferti causalmente riconducibili all’evento dannoso. Dottrina e giurisprudenza hanno prodotto molto materiale sul riconoscimento e la quantificazioni del danno non patrimoniale che va inteso come categoria ampia, comprensiva di “ogni ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica”118 . Alla determinazione dei danni non patrimoniali provvede il giudice, mediante valutazione equitativa (artt. 2056 e 1226 cod.civ.) considerata “la 117 Zeno Zencovich 118 Cass.10 maggio 2001,n. 6507.

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natura del danno e la funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico”119. L’applicazione dei criteri equitativi consente di modulare la quantificazione in relazione alle circostanze del caso concreto. Per la concreta quantificazione del danno la giurisprudenza fa riferimento ad alcuni parametri attraverso i quali definire il pregiudizio da risarcire: nel caso di diffamazione attraverso mezzi di comunicazione di massa si dovranno tener presenti da un alto la qualitò del soggetto offeso, dall’altro la natura del mezzo di informazione e, nel caso si tratti di carta stampata, le modalità grafiche di presentazione della notizia e la tiratura del periodico”120. Il giudice, cui spetta la valutazione del danno non patrimoniale secondo un apprezzamento discrezionale ed equitativo, è tenuto ad indicare i criteri seguiti per una quantificazione del danno che deve comunque essere proporzionato tanto alla gravità del fatto, quanto all’entità delle sofferenze patite dalla vittima. Così si dovrà tenere e dar conto: “dell’età, del sesso, del grado di sensibilità del danneggiato, della gravità ed entità dell’offesa in sè considerata, delle condizioni sociali del danneggiato in rapporto alla sua collocazione professionale e, più in generale, del suo inserimento nel contesto sociale”121. In casi di diffamazione con il mezzo televisivo, la giurisprudenza ha riconosciuto “si possa tener conto, ai fini della determinazione del danno, delle durata delle immagini che ritraggono gli attori e della diffusione del programma”122. In caso di offesa arrecata alla reputazione e alla credibilità economica di un soggetto vengono in considerazione la qualità di imprenditore del soggetto leso, l’ambiente in cui ha avuto luogo la divulgazione, l’ampiezza e l’evidenza dell’articolo, e anche “l’atteggiamento di collaborazione o non 119 Cass. 8 agosto 2007, n.17395. 120 Cass. 3 ottobre 1997, n.9672. 121 Cass. 2 luglio 1997, n.5944. 122 Trib. Roma 24 giugno 1993, Dir.inf. 1993, 981.

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collaborazione all’elisione o alla riduzione del danno, tenuto dal giornale o dal direttore”123. Anche nel caso di lesione dell’onore degli enti, compresi quelli non personificati, la riparazione può avvenire attraverso l’attribuzione di una somma di denaro per via equitativa da parte del giudice 124. Dall’altro lato le espressioni ingiuriose “gratuite, grossolane e generiche, seppure sicuramente lesive della reputazione di una persona, non si traducono in guasti notevoli dell’onore di questa, proprio per tale loro carattere, del quale si deve pertanto tenere conto nella valutazione del danno risarcibile”125 .

1.3. Cenni: azione per illecito extracontrattuale, querela, procedimento di mediazione: problemi di determinazione della competenza territoriale. a). Danno per illecito extracontrattuale. Gli articoli 18 e 19 del codice di procedura civile126 indicano i criteri soggettivi per la determinazione della competenza territoriale. In materia di 123 Trib. Genova, 24 nov.1993, Nuova Giur. Civ. Comm.,1995, I, 390. 124 Cass. 5 dic.1992, n.12951. 125 Trib.Verona, 24 aprile 1982. 126

Art. 18. Foro generale delle persone fisiche. “Salvo che la legge disponga altrimenti, e' competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora. Se il convenuto non ha residenza, ne' domicilio, ne' dimora nello Stato o se la dimora e' sconosciuta, e' competente il giudice del luogo in cui risiede l'attore”. Art. 19. Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute. “Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, e' competente il giudice del luogo dove essa ha sede. E' competente altresi' il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda. Ai fini della competenza, le societa' non aventi personalita' giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli articoli 36 ss. del codice civile hanno sede dove svolgono attivita' in modo continuativo”.

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obbligazioni ai criteri menzionati si aggiungono quelli, oggettivi, fissati nel successivo articolo 20 che prevede in particolare che possa essere “anche competente il giudice del luogo in cui e' sorta o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio”. Essendo il debito risarcitorio da illecito extracontrattuale debito di valore (non liquido, ma che diventerà liquido soltanto con la sentenza di condanna) esso andrà adempiuto al domicilio che il debitore aveva al tempo della scadenza (art.1182, 4° comma, c.c.). La giurisprudenza aveva stabilito che in tema di risarcimento per lesione del diritto alla reputazione conseguente alla pubblicazione di un articolo su stampa periodica, territorialmente competente a decidere la causa potesse essere, alternativamente, “il giudice del luogo ove il quotidiano è stampato e dove la notizia diviene per la prima volta pubblica e perciò idonea a pregiudicare l'altrui diritto ("forum commissi delicti"), ovvero il giudice del luogo ove il danneggiante ha la residenza o il domicilio ("forum destinatae solutionis"), essendo l'obbligazione da fatto illecito un debito di valore il cui adempimento va effettuato al domicilio che il debitore aveva al tempo della scadenza”127. uesto orientamento è stato successivamente esteso anche all'ipotesi di lesione alla reputazione conseguente alla diffusione di una trasmissione televisiva. In questo caso si è individuato il luogo nel quale sorge l'obbligazione risarcitoria nella località ove sono situati gli studi televisivi nei quali viene realizzato e diffuso il programma televisivo. Secondo tale orientamento è nel luogo ove sono situati gli studi della televisione che la notizia diviene pubblica e perciò idonea a pregiudicare l'altrui diritto, e che si realizza così l'illecito nella sua interezza: condotta ed evento dannoso collegati l’uno all’altro da nesso di causalità. Successivamente altre pronunce giurisprudenziali hanno modificato quest’orientamento, in particolare: - con riferimento a una ipotesi di diffamazione mediante un sito internet e un newsgroup la Cassazione ha stabilito che in tema di risarcimento del danno extracontrattuale, per lesione del diritto alla reputazione di una persona giuridica, il "forum commissi delicti", va individuato “nel luogo di verificazione dei lamentati danni in conseguenza dell'evento diffamatorio, e 127 Cass. Civ., sez. I 22-05-1992, n. 6148, conformi Cass. 3733/1995 e Cass. 10120/2000.

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quindi coincide con il luogo in cui il soggetto offeso ha il proprio domicilio, atteso che, essendo il domicilio la sede principale degli affari e degli interessi, esso rappresenta il luogo in cui si realizzano le ricadute negative dell'offesa alla reputazione”128 . - con riferimento a una trasmissione televisiva la Cassazione ha chiarito che “è da escludere la competenza "ambulatoria" dei giudici di tutti i luoghi in cui è avvenuta la divulgazione lesiva, che non consente di fissare criteri oggettivi per l'individuazione preventiva del giudice. Nè rileva, quale luogo in cui sorge l'obbligazione risarcitoria, il luogo in cui si è verificato il fatto, bensì quello in cui si è prodotta l'altra componente dell'illecito civile, il danno” … “poiché è il luogo in cui il soggetto in quel tempo aveva il domicilio quello in cui si verificano gli effetti negativi dell'offesa alla reputazione, in quanto nel contesto ambientale in cui il danneggiato, che agisce in giudizio, vive ed opera si realizza la percezione del contenuto diffamatorio della trasmissione, restando così individuato il giudice territorialmente competente”129 . Infine sulla questione sono intervenute con ordinanza le Sezioni unite, che hanno deciso su un ricorso relativo a una lesione della reputazione per mezzo di trasmissione televisiva, ma “sulla base di argomentazioni che rendono il principio estensibile alla competenza su tutte le domande di risarcimento dei danni derivanti da pregiudizi dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, che la competenza in tali casi debba essere del giudice del luogo di domicilio (o della sede della persona giuridica) o, in caso sia diverso, anche del giudice della residenza del danneggiato”130 . Secondo le Sezioni unite, non si può attribuire all’attore danneggiato la massima libertà nel citare il danneggiante in uno dei qualsiasi luoghi in cui la notizia è stata diffusa. uesta soluzione contrasterebbe con l’articolo 25 della Costituzione che presuppone che la competenza sia prefissata per legge. uesta necessità viene soddisfatta dall’attribuzione della competenza al giudice del luogo di domicilio del soggetto che è stato “effettivamente (e non solo potenzialmente) danneggiato, perché essendo il domicilio la sede 128 Cass. sent. n. 6591/2002 129 Cass. sent. n. 22586/2004. 130 Cass. S.U. ord. 13.10.2009 n.21661.

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principale degli affari e degli interessi, in tale luogo si sono principalmente verificati gli effetti pregiudizievoli dell’offesa alla reputazione”. Da queste premesse discende l'irrilevanza della mera pubblicazione dello stampato se dalla stessa non derivi anche un effettivo pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive dedotte, ed anche, allo stesso modo, l'irrilevanza della semplice produzione della trasmissione televisiva, essendo necessaria la messa in onda, così come l'irrilevanza della semplice allocazione della notizia o del giudizio sui server, essendo invece rilevante l'accesso effettivo alla rete. La Cassazione, in conclusione, ha motivato la soluzione della competenza del giudice del luogo dove ha la residenza (o la sede) il soggetto danneggiato giungendo ad affermare che nell'ordinamento appare essere contenuto un principio generale “che, in caso di squilibrio delle posizioni sostanziali delle parti, utilizza il foro del danneggiato o, comunque, della parte debole, come misura riequilibratrice e, pertanto, autorizza l'interprete, nel caso dubbio, a preferire analoga soluzione”. b). uerela per diffamazione. In ambito penalistico il criterio generale per attribuire la competenza territoriale è quello previsto dall’articolo 8, primo comma del codice di procedura penale, che fa riferimento al luogo dove il reato è stato consumato. Nel caso della diffamazione tale luogo coincide con quello in cui si è offesa l’altrui reputazione, comunicando con più persone, in assenza della vittima. uesto principio generale è derogato dalla norma speciale131 che disciplina il criterio di individuazione della competenza nel caso di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive. In questi casi, se l’offesa è stata portata con attribuzione di un fatto determinato, il foro competente va determinato in base al luogo di residenza della persona offesa. uesto indirizzo non risolve la questione della competenza territoriale in ambito radiotelevisivo in quanto in alcuni casi la giurisprudenza ha limitato la norma speciale soltanto al concessionario privato, alla concessionaria

131 art.30, quinto comma L.6.8.1990, n.223, disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico

e privato. 93


pubblica ovvero alla persona da loro delegata al controllo della trasmissione132 . In ogni caso la dottrina ritiene che la norma individui specificatamente il foro competente per territorio esclusivamente in sede penale, restando esclusa la possibilità che possa essere invocata dal danneggiato per l’individuazione del giudice civile. La diversità di regime di determinazione della competenza per territorio del giudice penale e del giudice civile è ritenuta giustificata “dalle diverse esigenze che ispirano processo penale e processo civile”133. c). Il procedimento di mediazione: la competenza territoriale. Il decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28 di attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali stabilisce all’articolo 4 che “la domanda di mediazione…. è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda”. E’ dunque la parte istante che sceglie l’organismo di mediazione e quindi la sede territoriale in cui si svolgerà il procedimento. Il successivo articolo 8, al secondo comma, stabilisce infatti che “il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo”. La mediazione, inoltre “può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell'organismo” (art.3, quarto comma, d.lgs 28/ 2010).

132 Cass. sent. 5 giugno 1996, n.1291. 133 Cass. 2 agosto 2000, n. 10120.

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3.3. Altri mezzi di riparazione alla lesione dell’onore e della reputazione: la rettifica.

Il diritto di rettifica è riconosciuto dall'articolo 8 della legge n. 47 del 1948 (legge sulla stampa) e dagli artt. 42 e 43 della legge 416 del 1981 e rappresenta uno strumento riparatorio sui generis. Esso tende, infatti, non ad accertare la verità oggettiva, bensì ad arricchire la notizia divulgata con una verità soggettiva, cioè con l'interpretazione dei fatti resa da colui che si ritiene leso. Secondo molti commentatori una tempestiva rettifica possiede talvolta un'efficacia riparatoria assai maggiore del risarcimento pecuniario del danno. Un risarcimento anche sostanzioso, infatti spesso non restituisce l'immagine pubblica precedente ad una notizia diffamante. Alla rettifica la dottrina equipara la pubblicazione di “risposte o dichiarazioni, richieste dalla persona cui determinati atti, pensieri o affermazioni lesivi della propria dignità siano stati attribuiti col mezzo della stampa”134 . La pubblicazione della rettifica non elimina l’intero danno subito, piuttosto attraverso di essa si ottiene “una riduzione dell’efficacia lesiva della notizia e può avere la sola funzione di attenuare la sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 12 della legge sulla stampa”135. La rettifica di una notizia resa a mezzo televisivo è disciplinata dall'articolo 10 della legge 223 del 1990 (cosiddetta "legge Mammì"), che ha sostituito l'articolo 7 della legge 103 del 1975. La rettifica di una notizia diffusa a mezzo stampa è invece regolata dall'articolo 42 della legge 416/81, che ha sostituito l'articolo 8 della legge 47 del 1948.

134 M. Liotta, Onore (voce), in Enc. dir., Vol. XXX, Giuffrè, Milano, 1980, p. 202 e ss.. 135 Cass.,12 maggio 2006, n.16323.

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3.3. a). La rettifica di una notizia diffusa a mezzo stampa oppure attraverso il mezzo radiotelevisio.

Il ricorso alla rettifica è ammissibile, sia si tratti di notizie diffuse col mezzo televisivo che col mezzo della stampa, solo se la notizia da rettificare sia stata lesiva. Tale lesività è tuttavia considerata da un punto di vista oggettivo nel caso della tv. L'articolo 10 della legge 223 del 1990 recita infatti al secondo comma: "chiunque si ritenga leso nei suoi interessi morali o materiali da trasmissioni contrarie a verità, ha diritto di chiedere al concessionario privato o alla concessionaria pubblica ovvero alle persone da loro delegate al controllo della trasmissione che sia trasmessa apposita rettifica, purché questa ultima non abbia contenuto che possa dar luogo a responsabilità penali". Tale concetto è ribadito nella legge 112 del 2004 (cosiddetta "legge Gasparri" recante "Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI -Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione), la quale all'articolo 4, comma 1, recita: "e) la trasmissione di apposita rettifica, quando l'interessato si ritenga leso nei suoi interessi morali o materiali da trasmissioni o notizie contrarie a verità, purché tale rettifica non abbia contenuto che possa dare luogo a responsabilità penali o civili e non sia contraria al buon costume;". Nella disciplina della rettifica di una notizia diffusa a mezzo stampa la lesività della stessa può essere, invece, anche solo soggettiva. L'articolo 42 della legge 416 del 1981 dispone infatti che "il direttore, o comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità purché le dichiarazioni non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale". Nel caso della tv, quindi, la fondatezza delle richiesta di una rettifica è legata alla falsità oggettiva (cioè contraria alla verità) della notizia da rettificare; mentre per la stampa è sufficiente che la notizia sia soggettivamente ritenuta lesiva o contraria a verità dal richiedente la 96


rettifica. Inoltre per quanto riguarda le rettifiche delle notizie diffuse con il mezzo televisivo è possibile anche il ricorso all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. L'articolo 10 della legge 223 del '90 ai commi tre e quattro recita infatti: “la rettifica è effettuata entro quarantotto ore dalla ricezione della relativa richiesta, in fascia oraria e con il rilievo corrispondenti a quelli della trasmissione che ha dato origine alla lesione degli interessi. Trascorso detto termine senza che la rettifica sia stata effettuata, l'interessato può trasmettere la richiesta al Garante, che provvede ai sensi del comma 4. Fatta salva la competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria a tutela dei diritti soggettivi, nel caso in cui il concessionario privato o la concessionaria pubblica ritengano che non ricorrono le condizioni per la trasmissione della rettifica, sottopongono entro il giorno successivo alla richiesta la questione al Garante che si pronuncia nel termine di cinque giorni. Se il Garante ritiene fondata la richiesta di rettifica, quest'ultima, preceduta dall'indicazione della pronuncia del Garante stesso, deve essere trasmessa entro le ventiquattro ore successive alla pronuncia medesima"

3.3. b). Modalità della rettifica. Per quanto riguarda le trasmissioni televisive la rettifica è effettuata entro quarantotto ore dalla ricezione della relativa richiesta, nella fascia oraria e con il rilievo corrispondenti a quelli della trasmissione che ha dato origine alla lesione degli interessi. Per quanto riguarda la stampa l'art. 8 della legge 47 del 1948 (come modificato dall'art. 42 della legge 416 del 1981) prescrive che "per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono. Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre 97


il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce. Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate. In caso di rifiuto di una pronta rettifica da parte della tv o del giornale il Garante può obbligare il concessionario televisivo a trasmettere la rettifica (legge 223 del 1990, art 10, cc. 3 e 4). Se il concessionario non ritiene fondata la richiesta di rettifica, è l'Autorità per le comunicazioni a decidere entro cinque giorni se dar seguito alla richiesta o dichiararne l'infondatezza su richiesta del concessionario o del soggetto che si ritiene leso. La possibilità di rivolgersi all'Autorità non esclude naturalmente la possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria, ai sensi dell'articolo 700 del c.p.c. che disciplina i provvedimenti d'urgenza. La mancata rettifica per notizia resa a mezzo stampa è disciplinata dall'art. 8 della legge 47 del 1948: "ualora, trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata o lo sia stata in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma, l'autore della richiesta di rettifica, se non intende procedere a norma del decimo comma dell'articolo 21, può chiedere al pretore, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione. La mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire 15.000.000 a lire 25.000.000. La sentenza di condanna deve essere pubblicata per estratto nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia. Essa, ove ne sia il caso, ordina che la pubblicazione omessa sia effettuata".

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2 La “responsabilità aggravata” per le azioni pretestuose SO 2.1. La “responsabilità aggravata” per le azioni pretestuose. - 2.2. MIl carattere sanzionatorio della “responsabilità aggravata”. - 2.3. MA RIO Le pronunce della giurisprudenza. - 2.4. Criteri ai quali commi-

surare il risarcimento. - 2.5. Il riconoscimento della “temerarietà” è più difficile nel giudizio penale.

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2. 1. La “responsabilità aggravata” per le azioni pretestuose.

In Italia negli ultimi anni si è diffusa la pratica di presentare in sede civile richieste di danni anche in modo immotivato e pretestuoso. Per quanto riguarda la lesione dei diritti dell’onore e della reputazione questo accade ad esempio lamentando un danno per notizie giornalistiche false quando invece anche l’attore è consapevole che il giornalista ha riferito circostanze vere, oppure contestando opinioni critiche come se la loro espressione non fosse connessa all’esercizio della cronaca. Si agisce così perché con la pura e semplice citazione per danni si può condizionare pesantemente un giornale o un’azienda editoriale: si può bloccare a lungo la pubblicazione di una certa notizia e di altre collegate, si esercita un effetto intimidatorio sull'attività del giornale e del giornalista fino a quando, in genere due o tre anni dopo, il giudice civile stabilisce che le ragioni addotte da chi ha chiesto i danni non sussistono. A chi ha intentato la lite temeraria finora i giudici non hanno mosso alcun addebito, oltre al pagamento delle spese di giudizio. Non è stato riconosciuto alcun risarcimento al giornale che dal giorno della citazione e fino alla sentenza, per cautelarsi, ha dovuto smettere di trattare quella notizia; né all'azienda editoriale, che ha dovuto accantonare per legge, e iscrivere fra le passività di bilancio, il 10% dell'indennizzo richiesto; né al giornalista citato per danni. Per contrastare le azioni pretestuose nel 2009 è stata introdotto136 il nuovo terzo comma dell’art. 96 del codice di procedura civile, rubricato “«Responsabilità aggravata », che prevede che «In ogni caso, quando 136

legge 18 giugno 2009 n. 69, che modifica l'art. 96 del Codice di Procedura Civile:“Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza [disp. att. 152]. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. 101


pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata». La dottrina ha criticato la formulazione della disposizione troppo “generica”, in quanto omette di stabilire “chiaramente ed espressamente non soltanto i presupposti per l’applicazione della norma (salvo, per assurdo, voler ritenere che unici presupposti siano, da un lato, la pronuncia sulle spese di lite e, dall’altro, la sussistenza di una parte soccombente), ma anche i limiti minimi e massimi del contenuto del provvedimento (salvo, sempre per assurdo, voler ritenere che non sussistano limiti né minimi, né, tanto meno, massimi all’ammontare della condanna «equitativamente determinata »). Dall’altro lato la norma sarebbe anche ambigua, in quanto non stabilisce in modo definitivo se la condanna prevista dalla disposizione assolva a una funzione (o, in altri termini, abbia natura) risarcitoria o sanzionatoria”137.

2.2. Il “carattere sanzionatorio” della “responsabilità aggravata”. La giurisprudenza ha riconosciuto che la somma <<equitativamente determinata>> va al di là del concetto di risarcimento del danno subito (che in quanto tale dovrebbe essere provato) e assume invece un carattere sanzionatorio. L’abuso del processo causa un danno indiretto all’erario (per l’allungamento del tempo generale nella trattazione dei processi e, di conseguenza, l’insorgenza dell’obbligo al versamento dell’indennizzo ex l. 89/2001) e un danno diretto al litigante (per il ritardo nell’accertamento della verità) e va dunque contrastato. “La norma introdotta dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69 nel terzo comma dell’art. 96 c.p.c. non ha natura meramente risarcitoria ma “sanzionatoria” ed introduce nell’ordinamento una forma di danno punitivo per

137 Giuseppe Finocchiaro in “Guida al Diritto”, “Il Sole 24 Ore” 15 Dicembre 2010.

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scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema Giustizia, traducendosi, dunque, in “una sanzione d’ufficio”138 . Insomma il nuovo comma 3 dell’art. 96 c.p.c. introduce nell’ordinamento, contrariamente alla tradizione giuridica italiana che non soltanto ignora, ma addirittura respinge i cosiddetti danni punitivi o le pene private, una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema, traducendosi, dunque, in “una sanzione d’ufficio”139 . Inoltre “all’accoglimento della domanda da risarcimento dei danni da lite temeraria non osta l’omessa deduzione e dimostrazione dello specifico danno subito dalla parte vittoriosa, che non è costituito dalla lesione della propria posizione materiale, ma dagli oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l’ingiustificata iniziativa dell’avversario e dei disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla normale esperienza”140. Il carattere temerario della lite “va ravvisato nelle ipotesi in cui una parte abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, dovendosi riconoscere siffatti stati psicologici quando la parte abbia agito o resistito nella coscienza dell’infondatezza della domanda o delle tesi difensive sostenute, ovvero nel difetto dell’ordinaria diligenza nell’acquisizione di detta consapevolezza”141 . La pronuncia del provvedimento prescinde infatti dalla domanda di parte, e può avvenire anche d’ufficio. Inoltre la lettera della norma non soltanto non fa riferimento né all’allegazione del danno, né alla sua prova, ma addirittura prevede che la condanna possa essere pronunciata «in ogni caso » e che l’ammontare della condanna possa essere equitativamente determinato dal giudice.

138

Tribunale Varese 21 gennaio 2011 .

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Tribunale Pordenone 18 marzo 2011.

140 Cass. 3 agosto 2001 n. 10731. 141 Cons. Stato, 25 febbraio 2003 n. 1026. Conforme, Cass. 21 luglio 2000 n. 9579; Cass.

sez. lav., 16 febbraio 1998 n. 1619; Trib. Rimini 2 aprile 1998,Trib. Roma 9 ottobre 1996. 103


2.3. Le pronunce della giurisprudenza. La responsabilità aggravata ex art. 96 terzo comma codice di procedura civile trova applicazione in tutti i procedimenti giurisdizionali all’atto della condanna sulle spese (sia nel giudizio ordinario di cognizione, sia nei procedimenti sommario di cognizione, cautelare, possessorio, eccetera). Sono esclusi i processi di esecuzione forzata, ma restano inclusi i giudizi di opposizione all’esecuzione, agli atti esecutivi e relativi alla distribuzione del ricavato. I presupposti soggettivi prevedono che la parte soccombente possa essere condannata al pagamento della somma equitativamente determinata se ha agito o resistito in mala fede e/o con colpa grave. Ciò avviene ad esempio quando si tratti di assunti smentiti nella documentazione o nelle consulenze di parte dimesse dalla stessa parte che li sostiene; nel caso di difese macroscopicamente infondate sotto il profilo giuridico, con riguardo sia ai presupposti di ammissibilità o di proponibilità delle domande, o delle prospettazioni, che a profili di merito rilevanti; vi siano state prospettazioni equivoche o contraddittorie o generiche su circostanze rilevanti della controversia, non chiarite nei termini nonostante il rilievo della controparte o del giudice. Inoltre la responsabilità aggravata può trovare applicazione quando vi sia la mancanza o l’insufficienza grave delle richieste istruttorie su circostanze rilevanti, a fronte di un onere probatorio; nei procedimenti a contraddittorio posticipato vengano taciute al giudice circostanze decisive al fine di ottenere provvedimenti favorevoli; venga disconoscimento o venga proposta querela di falso nei confronti di un documento prodotto in causa dalla controparte, e rilevante ai fini della decisione, qualora si tratti dell’unica difesa o della difesa principale, ed essa venga smentita, in termini di certezza o di elevata probabilità, dall’accertamento istruttorio conseguente.

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2.4. Criteri sui quali commisurare il risarcimento.

I criteri sulla base dei quali commisurare la somma “saranno oltre al grado di gravità della colpa della parte soccombente, anche il valore della causa e la durata del processo e, in alcuni casi, la natura e l’oggetto della causa (valorizzando, ad esempio, i casi in cui il giudizio abbia coinvolto interessi di carattere personale, otre che meramente economico)”142 . Secondo la dottrina “in mancanza di indicazioni normative, pare opportuna l’adozione di criteri idonei a contenere, normalmente, la sanzione di cui al terzo comma dell’articolo 96 del c.p.c. tra un minimo di un quarto della somma liquidata a titolo di spese di lite, esclusi gli accessori, fino ad un massimo del doppio della somma liquidata a titolo di spese di lite, sempre esclusi gli accessori”143 . La questione è stata affrontata nel corso di un convegno al Circolo della Stampa di Milano, il 19 Aprile 2011, intitolato ''Che fare se una querela blocca un'inchiesta?". Al convegno, promosso dall’Associazione Lombarda dei Giornalisti, dall’Associazione Culturale Balrog, con la collaborazione dell’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione e di Stampa Democratica, i giudici della prima sezione civile del Tribunale civile di Milano si sono posti il problema di individuare i limiti di una giusta quantificazione del risarcimento per cause pretestuose. “Dopo un primo esame - ha spiegato il dottor Roberto Bichi , presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Milano, “- è prevalso l'orientamento di applicare il risarcimento sanzionatorio fino a una somma non superiore a un terzo del risarcimento che era stato chiesto ed è stato rigettato”. In parole più semplici, chi ha chiesto centomila euro di risarcimento, se il giudice accerta che lo ha fatto pretestuosamente, o immotivatamente, potrà vedersi condannato a versare fino a 33.000 euro al giornalista querelato. Allo stesso convegno di Milano è intervenuto anche l'avvocato Raffaele Della Valle, il quale ha detto che rispetto alle querele e alle azioni di risarcimento pretestuose, anche gli avvocati dovrebbero fare fino in fondo la loro

142 Tribunale Piacenza 07 dicembre 2010 143 Giuseppe Finocchiaro in “Guida al diritto”, cit.

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parte. “Ad esempio”, ha chiarito Dalla Valle, “ quando un cliente chiede di presentare una querela o di intentare un’azione che non sta in piedi, l'avvocato dovrebbe rifiutarsi di patrocinarla, non dovrebbe assumere l'incarico di rappresentare il cliente in quella causa immotivata. Se invece lo fa e il giudice rigetta la richiesta dichiarandola insussistente, l'Ordine professionale dovrebbe intervenire con una censura ed eventualmente una sanzione”.

2. 5. Il riconoscimento della “temerarietà” è più difficile nel giudizio penale. La riforma dell’articolo 96 del codice di procedura civile con l’introduzione della “responsabilità aggravata” non ha risolto del tutto la questione delle cause pretestuose, in particolare nel campo della lesione del diritto all’onore e alla reputazione. Nel settore penale, infatti, l’articolo 427 del codice di procedura penale stabilisce che le sentenze di non luogo a procedere (quelle pronunciate dal GIP all’udienza preliminare) perché il fatto non sussiste e quelle per non aver commesso il fatto possono contenere la condanna del querelante al risarcimento dei danni nei confronti dell’imputato che ne abbia fatto richiesta se vi è colpa grave. Le stesse disposizioni valgono per la sentenza dibattimentale (art. 542 cpp). Nel settore penale, quindi, la maggior parte delle sentenze è fuori del campo di applicazione di condanna per lite temeraria del querelante, in quanto quasi nessuna si conclude con l’assoluzione del giornalista per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste. uasi tutte, quando assolvono, dichiarano l’esistenza del l’esercizio del diritto di critica o di cronaca e la formula assolutoria è perché il fatto non costituisce reato. La dottrina ha rilevato la contraddizione per cui i codici prevedono sì la la punizione per chi fa liti temerarie, ma in buona sostanza la temerarietà è esclusa se l’assoluzione sopraggiunge perché viene esercitato un diritto.

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Parte IV

LA DIFFAMAZIONE IN INTERNET

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1 La diffamazione e i mezzi di comunicazione elettronica SO 1.1. La tutela dell’onore e della reputazione e i mezzi di comuni-

Mcazione elettronica. - 1.2. La disciplina applicabile alla diffamaMA RIO zione “on line”. - 1.3. La rivista telematica e l’obbligo di registra-

zione della testata.

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1.1. La tutela dell’onore e della reputazione e i mezzi di comunicazione elettronici.

Con l’affermazione delle reti telematiche la tutela del diritto all’onore e alla reputazione ha assunto nuove implicazioni. Si è avvertita l’esigenza di adeguare strumenti giuridici esistenti o di introdurne di nuovi che permettano la garanzia effettiva della tutela di quei diritti. La telematica consente infatti la trasmissione del pensiero e delle informazioni contemporaneamente in tutto il pianeta: i connotati della rete sono la immaterialità, la continua mutevolezza e la dimensione aterritoriale. ueste condizioni finiscono per definire gli illeciti telematici in modo del tutto peculiare rispetto a quelli tradizionali e, considerato anche il coinvolgimento di un numero imprecisato di soggetti nell'attività della rete, rendono particolarmente complicato l'accertamento delle responsabilità. Accanto alla comunicazione orale, sia diretta che telefonica, a quella epistolare, comprensiva del telegramma e del telefax, nonché a quella a mezzo stampa e a mezzo radio e televisione si delineano nuove forme espressive, alcune delle quali costituiscono l'evoluzione tecnologica di quelle già esistenti, mentre altre si connotano per caratteristiche del tutto peculiari. La comunicazione tramite e - mail, ad esempio, risulta assimilabile a quella a mezzo posta, di cui assume la medesima dignità e tutela giuridica. Per quanto concerne le chat line l'utente, collegandosi al proprio server attraverso un apposito programma, si mette in contatto con altri utenti dello stesso programma, colloquiando con questi ultimi simultaneamente. Uno dei principali problemi posti dalla chat riguarda l'identificazione personale degli interlocutori. Attraverso i newsgroup si possono inviare, tramite e - mail, comunicazioni ad una sorta di bacheca elettronica, accessibile e, dunque leggibile, da parte di tutti coloro che risultano iscritti al group, i quali potranno a loro volta aggiungere una propria, personale comunicazione. Per quanto concerne i siti web, ovvero le singole pagine web, questi possono assimilarsi più che a forme di comunicazione a quelle di pubblicazione di notizie. 109


Una pagina web pubblicata in rete tramite un soggetto terzo, ossia l'Internet - provider, rappresenta uno strumento multimediale di comunicazione cui possono accedere potenzialmente tutti coloro che sono collegati alla rete, o perché ne conoscono l’indirizzo elettronico o perché vi sono indirizzati da un motore di ricerca.

1.2 la disciplina applicabile alla “diffamazione on line”. La circolazione di informazioni on line avviene tramite l'immissione di dati in rete. Una volta “pubblicati” in rete questi dati diventano a disposizione di un numero indeterminato di soggetti: “la diffusività e la pervasività di internet sono solo lontanamente paragonabili a quelle della stampa ovvero delle trasmissioni radiotelevisive"144 . Dottrina giurisprudenza hanno più volte affrontato il problema di quale sia la disciplina applicabile nell'ipotesi di diffamazione commessa on line. Per quanto riguarda i profili penalistici l'orientamento prevalente ritiene non applicabile la normativa prevista in ordine alla diffamazione a mezzo stampa, radio e televisione. Il precedente giurisprudenziale, da cui ha poi attinto la stessa Cassazione, è la pronuncia del G. u. p. del Tribunale di Oristano del 25 maggio del 2000. Il giudice dell'udienza preliminare si era dovuto esprimere con riguardo ad un caso sollevato dalla società "Is Arenas", la quale lamentava di aver subito offesa alla propria reputazione a seguito di pubblicazioni apparse sul sito della Federazione dei Verdi di Oristano. Su quelle pagine, infatti, due attivisti avevano rese pubbliche una serie di annotazioni su presunti rapporti che la società aveva intrattenuto con l'Unione Banche Svizzere, anche in relazione alla costruzione di alcune strutture ricreative di cui la medesima società aveva la commissione nel comune di Narbolia. La decisione circa la sussistenza della diffamazione aggravata, laddove la condotta sia posta in essere tramite la rete, è stata nel senso di escludere che la divulgazione on line di notizie a contenuto denigratorio concretizzi l'ag144 Cass. sent. n.4741 del 2000.

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gravante che usualmente si applica in virtù dell'art. 13 della legge n. 47/ 1948, in tema di diffamazione a mezzo stampa, e dell'art. 30 della legge n. 223/90, in ordine alla diffamazione a mezzo di trasmissioni radiofoniche e televisive. Ciò in quanto trattandosi di norme speciali, sussiste in relazione ad esse il divieto di interpretazione analogica in malam partem, sancito dall'art. 14 delle disposizioni preliminari, nonché il limite imposto dall'osservanza del principio di legalità di cui all'art. 25 della Costituzione. La disposizione di cui all'art. 1 della legge 47/48 infatti considera quali stampe o stampati "tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico - chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione". Una definizione che i giudici non hanno ritenuto idonea a comprendere le comunicazioni via Internet, salvo il ricorso all'analogia, fondata sulla ratio legis, la quale resta, tuttavia, preclusa in ambito penale ex art. 14 disp. prel. c. c.. Ad analoghe conclusioni i giudici sono giunti in riferimento all'art. 30 della legge n. 223/90 in tema di trasmissioni televisive e radiofoniche. La relativa disciplina risulta, infatti, applicabile, in forza dell'art. 30, 4 comma della medesima normativa, esclusivamente ai concessionari ovvero ai soggetti incaricati del controllo delle trasmissioni, figure, queste, radicalmente assenti nelle comunicazioni on line. L'utilizzo di Internet, pertanto, integra una delle ipotesi aggravate di cui all'art. 595, 3 c. p., trattandosi, ai sensi di tale disposizione, di offesa recata con "qualsiasi altro mezzo di pubblicità".

1.3. La rivista telematica e l’obbligo di registrazione della testata. Una grande diffusione hanno assunto le “riviste telematiche”: si tratta di periodici pubblicati esclusivamente in rete oppure di giornali stampati “su carta” che hanno anche una versione “on line”. La legge sull’editoria n. 62 del 2001 ha, fra l'altro, ammesso i siti Internet aventi carattere informativo, alla medesima procedura di registrazione prevista per le tradizionali testate cartacee, chiudendo un lungo dibattito che 111


aveva visto pronunce giurisprudenziali e orientamenti della dottrina non univoci. L'articolo 1 della legge 62/2001 ("Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali. Modifiche alla legge 5 agosto 1981 n. 416") chiarisce infatti che "per prodotto editoriale si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici". Caratteristica del prodotto editoriale è quella di "essere diffuso al pubblico con periodicità regolare e (di essere) contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto". Alla testata giornalistica elettronica si applicano gli articoli 2 e 5 della legge sulla stampa n.47 del 1948, e quindi le testate telematiche devono essere iscritte nell'apposito registro tenuto dai tribunali civili. Le testate che vanno registrate sono quelle quotidiane, settimanali, bisettimanali, quindicinali, mensili, bimestrali o semestrali caratterizzate, secondo l’orientamento costante della Cassazione: a) dalla raccolta, dal commento e dall'elaborazione critica di notizie (attuali) destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale; b) dalla tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione. Il direttore responsabile deve essere iscritto negli elenchi dell'Albo tenuto dai Consigli dell'Ordine; il tribunale è quello nella cui circoscrizione la testata on-line ha la redazione; lo stampatore è il provider che "concede l'accesso alla rete, nonché lo spazio nel proprio server per la pubblicazione dei servizi informativi realizzati dal fornitore di informazioni". Ai sensi dell'art. 5 della legge n. 47 l'assolvimento dell'obbligo di registrazione costituisce conditio sine qua non per la regolare e lecita diffusione della stampa a carattere periodico e inoltre permette di identificare i soggetti responsabili della pubblicazione.

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2 La diffamazione “on line”: recenti orientamenti giurisprudenziali SO 2.1. Tutela del diritto all’onore e alla reputazione e mezzi di co-

Mmunicazione informatici: recenti orientamenti giurisprudenziaMA RIO li. a). Il direttore di un giornale “on line” non risponde di diffa-

mazione. - 2.2. b) Il sito registrato all’estero non “dribbla” la diffamazione. - 2.3. c) E’ possibile il sequestro preventivo dell’articolo pubblicato sul blog. - 2.4. d) Anche “google suggest” può fornire risposte diffamatorie e può quindi essere condannato. 2.5. e) I giornalisti che usano informazioni tratte dai social network non sono esclusi dall’obbligo di verifica (pronuncia del Garante della privacy).

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2.1. Tutela del diritto all’onore e alla reputazione e mezzi di comunica zione informatici: recenti orientamenti giurisprudenziali. a). Il direttore di un giornale “on line” non risponde di diffamazione. Il direttore di un giornale online non risponde a titolo di colpa per omesso controllo su quanto pubblicato nel suo sito: lo ha deciso la corte di Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza n. 35511 del 2010, che ha riformato una pronuncia di segno contrario della Corte d'appello di Milano, e ribadendo la differenza di trattamento giuridico tra gli scritti che rientrano nel concetto di «stampa» e ciò che invece viaggia nel web virtuale. Nel settembre del 2009 i giudici di merito avevano dichiarato il non luogo a procedere per prescrizione (quindi salvando le condanne ai risarcimenti civilistici) nei confronti del direttore di Merateonline, imputato di non aver impedito la pubblicazione di una lettera diffamatoria nei confronti, tra gli altri, dell'ex ministro della giustizia Roberto Castelli. Il ricorso per l'annullamento – accolto – era fondato in particolare sull'interpretazione restrittiva dell'articolo 57 del codice penale: questa norma stabilisce la responsabilità omissiva per colpa del direttore di «stampa periodica», salvi ovviamente i casi di concorso (quindi: doloso) nel reato di diffamazione. Proprio sul concetto di «stampa» si è concentrata la motivazione dei giudici di legittimità. Esclusa la sovrapponibilità letterale tra prodotto tipografico e file virtuale, la Cassazione ha scartato l'interpretazione analogica dell'articolo 57 perché in malam partem, e quindi in violazione del principio di tassatività. Inoltre “il fatto che siano state presentate più proposte di legge per estendere l'articolo 57 al direttore di un giornale telematico” è un ulteriore indizio che ai direttori web oggi “non è attribuita alcuna posizione di garanzia”. Il nuovo medium virtuale, poi, non comporta una riproduzione tipografica e nemmeno la destinazione alla pubblicazione delle notizie e la «effettiva distribuzione tra il pubblico». uindi, secondo i giudici, la telematica è «assolutamente eterogenea» rispetto ai media tradizionali conosciuti, regolati dal codice penale. L'unica norma che può soccorrere in via analogica, 115


aggiungono i giudici, è l'articolo 14 del decreto legislativo 70/2003 (ecommerce) che esclude la responsabilità dei provider per i reati commessi da chi naviga, sempre che non siano a conoscenza del contenuto criminoso del messaggio (principio di neutralità). L'interpretazione della Corte, se vale per i direttori di testate online, vale a maggior ragione pure per i coordinatori di blog e forum, anche in questo caso salvi ovviamente i casi di concorso nel reato di diffamazione o comunque nell'attività criminosa dei partecipanti "virtuali".

2.2. b) Il sito registrato all’estero non “dribbla” la diffamazione. Registrare un sito web all'estero non serve, o quantomeno non basta, per evitare le indagini in materia di diffamazione. Lo ha ribadito la Prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 16307 del 2011. Secondo i giudici la competenza territoriale in materia di diffamazione telematica si radica non nel luogo dove la notizia è immessa in rete (cioè nel posto fisico dove è basato il server, talvolta localizzato all'estero per ostacolare le indagini), ma piuttosto laddove “le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete”. uindi a legittimare l'iniziativa giudiziaria non è un criterio di priorità temporale (cioè: chi prima inizia a investigare), e neppure è legato alla residenza dei soggetti coinvolti (come nelle diffamazioni via stampa o via etere), ma piuttosto a decidere chi è titolare del fascicolo è una sorta di contatore e di localizzatore degli utenti che leggono la notizia presunta diffamatoria. Secondo i giudici, l'utilizzo di un sito internet per denigrare una persona integra il reato di diffamazione aggravata, che si consuma all'atto stesso dell'immissione della notizia nello spazio web (mentre se la diffamazione viaggia per e-mail è necessario che l'autore la invii a un numero determinato di destinatari). Tuttavia nonostante esista un luogo esatto di partenza delle informazioni (il server) “lo stesso non coincide con quello di percezione delle espressioni offensive e, quindi, di verificazione dell'evento lesivo, da individuare nel luogo in cui il collegamento viene attivato”. 116


Nel caso di un giornale online, quando una notizia risulta immessa sul sito web, la sua diffusione deve ritenersi avvenuta – esattamente come quando un giornale viene pubblicato o una trasmissione irradiata nell'etere – e ciò “implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato di utenti”. Ed è proprio dal conteggio e dalla localizzazione dei lettori che aprono la notizia che la Cassazione fa discendere l'individuazione del «giudice naturale”.

2.3. c) E’ possibile il sequestro preventio dell’articolo pubblicato sul blog. Può essere sequestrato in via preventiva anche un articolo pubblicato sul blog di un sito internet. In questo senso si è pronunciata la Corte di cassazione con la sentenza n. 7155 della Sesta sezione penale con la quale è stata confermata la misura cautelare decisa dal tribunale del riesame di Milano nei confronti di un articolo dal titolo «Basso impero» uscito sul sito www.societàcivile.it/blog. I giudici nell'affrontare le questioni hanno preso le mosse dall'articolo 21 della Costituzione che tutela l'esercizio dell'attività di informazione, “le notizie di cronaca, le manifestazioni di critica, le denunce civili con qualsiasi mezzo diffuse in quanto espressione di un chiaro diritto di libertà: quello della manifestazione del proprio pensiero”. Così, per i giudici, la diffusione di un articolo attraverso internet non può trovare limitazioni se non per effetto della necessità di proteggere diritti di uguale dignità costituzionale. Il sequestro preventivo, pertanto, quando interessa un supporto destinato a comunicare fatti di cronaca o espressioni di critica non va a comprimere solo un diritto di proprietà ma anche un diritto di libertà. Nel caso in esame la Cassazione aveva però condiviso il giudizio dei giudici di merito che avevano sottolineato come, comunque, dalla permanenza in rete dell'articolo e delle frasi imputate si sarebbe verificato l'aggravamento delle conseguenze del reato (per il quale esisteva il fumus commissi delicti). La decisione della Cassazione apre però la strada a novità importanti: 117


finora era convinzione condivisa che l'ordinamento, alla luce dell'articolo 21 della Costituzione, consentisse il sequestro preventivo degli stampati (cioè dell'intera tiratura) solo nei casi di stampa oscena, apologia di fascismo e plagio, espressamente previsti dalla legge. Mai nel caso di diffamazione a mezzo stampa. Ancora più oggetto di discussione è il fatto se una simile garanzia fosse estensibile anche all'informazione diffusa via web. I giudici di merito avevano offerto una interpretazione assai rigorosa: le garanzie della stampa periodica sono estensibili agli articoli pubblicati “on line” purché il sito internet avesse i medesimi requisiti che la legge impone ai periodici. L'articolo 21, però, limita la sequestrabilità degli stampati, non dei periodici. uindi il sequestro sarebbe in linea di diritto possibile solo nel caso di “stampa clandestina”: se il sito non menziona luogo e anno della pubblicazione, nonché nome e domicilio dello stampatore o dell'editore. La Cassazione ha dato una lettura restrittiva: non si è nemmeno chiesto a quali condizioni delle regole date per scontate in materia di stampa potessero applicarsi a un sito internet .,. ma si è accontentato della presenza di una disposizione che, in via generale, consente la misura cautelare. Il sequestro di uno stampato, al pari di ogni altro mezzo di comunicazione, sarebbe quindi sottoposto a condizioni non diverse da quelle di una qualunque altra cosa.

2.4. d) Anche “google suggest” può fornire risposte diffamatorie e può quindi essere condannato. Il servizio "Suggest/Autocomplete" di Google, che aiuta i navigatori completando le strisce di ricerca, non è «neutro» e può concorrere alla diffamazione di persone, dando luogo a una responsabilità civilistica di natura extracontrattuale. Il Tribunale di Milano, confermando in sede di reclamo un provvedimento d'urgenza del 25 gennaio scorso, ha ingiunto al motore di ricerca di rimuovere l'associazione automatica di «truffatore» che su Google search accompagna il nome di un noto imprenditore finanziario, 118


prevedendo inoltre una penale per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordine. Il giudice cautelare aveva ritenuto che l'aggettivo accanto al nome del finanziere fosse in sé diffamatorio, anche se nessuno dei documenti proposti sulle videate dal servizio di Google search risultava poi avere un contenuto lesivo. Il corto circuito, spiegava Google nel ricorso, deriva dal fatto che l'algoritmo produce su basi puramente statistiche le richieste di ricerca dei navigatori, senza alcun intervento "valutativo": quindi in nessun caso l'host provider sarebbe mai venuto meno alla «neutralità» riconosciuta dalle (poche) leggi sull'argomento, né mai lo farebbe per evitare contestazioni di discriminazione. Ma entrambi i giudici di merito hanno sconfessato la posizione del motore di ricerca. Secondo Google il servizio Suggest non «crea» associazioni terminologiche (per esempio: «Tizio truffatore») bensì le «rileva». E quanto alla neutralità, Google – che è un host provider a tutti gli effetti – soggiace alle regole europeee e nazionali (direttiva 31/2000 e Dlgs 70/ 2003) che lo vincolano non a un controllo preventivo, ma successivo e a posteriori (e previa segnalazione dell'illecito) sui risultati dell'operatività del servizio Suggest. La sentenza di Milano ha affinità e differenze con il caso Yahoo!, a cui il Tribunale di Roma aveva imposto di rimuovere link a pagine dove scaricare film illegalmente. A Yahoo! il giudice aveva chiesto una generica rimozione di link, possibile solo se il motore si mette a vigilare sulle pagine indicizzate; a Google è stato chiesto invece di intervenire solo su un preciso abbinamento. C'è però una tendenza di fondo nelle due vicende: i motori di ricerca sono chiamati a intervenire sulle proprie funzioni per tutelare alcune parti. In Europa non ancora sono obbligati a rimuovere elementi in base a una segnalazione ricevuta (negli Usa invece sì), ma solo su ordine di un giudice.

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2.5. e) I giornalisti che usano informazioni tratte dai social network non sono esclusi dall’obbligo di verifica (pronuncia del Garante della privacy). Il Garante della privacy ha stabilito che i giornalisti che utilizzano notizie, fotografie e dati personali tratti dai social network, per esercitare con correttezza il diritto di cronaca, devono sempre verificare le informazioni raccolte. Il Garante era intervenuto su segnalazione di due cittadini, i quali avevano visto pubblicata da alcuni quotidiani la propria fotografia presa da Facebook erroneamente associata a persone omonime decedute. I nomi pubblicati nei servizi di cronaca erano corretti, ma le fotografie ad essi associate erano state trovate facendo una semplice ricerca su Internet e scaricando l’immagine presente. I giornalisti non avevano, dunque, verificato l’ipotesi che si potesse trattare di semplici casi di omonimia e hanno dato per decedute le persone sbagliate. In uno dei due casi la fotografia errata, pubblicata da un quotidiano, era stata riproposta anche da due testate televisive nazionali. Nella sua pronuncia il Garante ha ricordato che la vigente disciplina in materia di protezione dei dati personali riserva all’attività giornalistica un regime speciale (artt. 136 e ss Codice in materia di protezione dei dati personali - d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, di seguito “Codice” e allegato codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica) il quale consente al giornalista di diffondere i dati, anche senza il consenso degli interessati, nel rispetto dei limiti del diritto di cronaca e, in particolare, di quello dell’“essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” (art. 137, comma 3, del Codice). Ciò posto, il giornalista è però tenuto anche al rispetto di alcuni principi generali, applicabili a qualunque tipo di trattamento di dati e che si traducono, tra gli altri, nel dovere di trattare i dati personali in modo corretto, verificando innanzitutto la loro esattezza (art. 11, comma 1, lett. a) e c) del Codice). “Invero, tali principi, prima ancora dell’entrata in vigore della disciplina in materia di protezione dei dati personali, erano già affermati nelle leggi e nelle carte deontologiche che da tempo disciplinano il settore (l. 8 febbraio 120


1948, n. 47 e 3 febbraio 1963, n. 69; carta dei doveri del giornalista - Documento CNOG - FNSI 8 luglio 1993), nonché consolidati attraverso una copiosa giurisprudenza, e costituiscono l’essenza di una corretta e professionale attività giornalistica”. Il Garante, con due provvedimenti [doc. web nn. 1615317 e 1615339] ha stabilito che non dovranno essere più pubblicate, diffuse né riproposte nell’archivio on - line delle testate coinvolte le immagini contestate. Associando l’immagine di una persona all’identità di un’altra, sono stati diffusi dati errati, mettendo in atto in tal modo un illecito trattamento dei dati personali. Il Garante ha, pertanto, vietato alle testate, due locali e tre nazionali, di diffondere ulteriormente le fotografie dei segnalanti. L’Autorità ha imposto la cancellazione delle immagini anche dal sito web e dall’archivio storico on - line di uno dei quotidiani interessati che - dopo aver informato seppur tardivamente i lettori dello sbaglio commesso - continuava a rendere comunque accessibile da Internet la fotografia pubblicata per errore.

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SITI INTERNET

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Finito di stampare nel mese di luglio 2011 presso Tecnografica di Sandrigo (VI)


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