Juggling Magazine #59 - june 2013

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VERTICAL DANCE www.ilposto.org

intervista di KATE LAWRENCE a WANDA MORETTI foto di W. MORETTI e O. CAVINATO

Ho conosciuto Wanda Moretti nel 2006 a Venezia. Condividiamo la passione per la danza verticale, una pratica che utilizza attrezzature per l’arrampicata al fine di sollevare dal suolo i danzatori, di solito in appoggio su un piano verticale. Nel mese di aprile 2013, io e due colleghi dell’Università del Wyoming, abbiamo partecipato a un workshop di tre giorni condotto da Wanda, con una particolare attenzione all’insegnamento della danza verticale. In questa intervista ho chiesto a Wanda di approfondire alcuni temi e pratiche che abbiamo sperimentato nel seminario.

Diciamo che al momento si tratta di un metodo, cioè dei procedimenti messi in atto per ottenere dei risultati; questo percorso mi accompagna da sempre attraverso la ricerca di nuovi movimenti per le coreografie. Applico un insieme di strategie e di azioni tese a raggiungere un obiettivo per raggiungere il quale sono necessarie più operazioni separate.

Da sola e indirettamente con tutti i danzatori che hanno danzato nella mia Compagnia, che ho formato o visto muoversi in perpendicolare alla parete. Ho riflettuto attorno alle soluzioni di movimento adottate, agli errori, alle mie stesse indicazioni, a processi di problem solving. Labaniana-

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mente parlando ho osservato e studiato l’assetto statico e dinamico in parete, l’energia e lo sforzo del danzatore in seguito alle mie richieste, o le risposte che ottenevo da studi d’improvvisazione. La mia ricerca è tesa a garantire che in tutti i movimenti ci sia la massima coerenza fra progetto motorio, controllo dell’esecuzione e movimento stesso.

Le prime due fasi del training sono esercizi di propriocezione per agevolare la capacità di riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista, a contatto con la parete verticale. Percepire è un processo psicofisico complesso, andare in verticale significa anche modificare un processo di conoscenza dello spazio e della gravità in atto da quando siamo nati. È molto importante quindi che il training inizi in piedi e con l’ausilio della parete per sensibilizzarsi ad un appoggio che man mano dovremo integrare al movimento, una volta saliti. L’uso del pavimento insieme all’utilizzo delle staffe di sospensione è un’altra pratica che compartecipa ad un nuovo adeguamento del corpo in relazione alla distribuzione del peso in più punti. In questa fase abbiamo la possibilità di dislocare parti del nostro corpo diversificando la quantità di

energia e contatto che mettiamo nel movimento. In fasi più avanzate passiamo dal pavimento alla parete molto rapidamente e via via aumentiamo il tempo di permanenza sul piano verticale fino ad ottenere sostegno muscolare e orientamento necessari. L’ultima fase è tecnica della danza verticale quindi il piano della parete diventa come la sbarra per il danzatore classico. Ho costruito degli esercizi specifici rielaborando quanto mi interessava da altre discipline praticate.

Ho visto nel loro movimento il senso della danza, ho visto come un corpo può essere poetico in uno spostamento del peso, in un equilibrio minimo o drammatico. Puro movimento in una dinamica verticale, ma anche intelligenza autentica quando la tecnica è superata e il corpo è come nudo. È armonia e questo basta.

Le creazioni di questi coreografi rappresentano per me la ricchezza della danza verticale: l’opera teatrale, la performance in natura, la relazione con la tecnologia, l’esplorazione di nuovi spazi/movimenti e


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