OLTRE L’ABITUALE UNO SGUARDO POETICO PER UNA FORMAZIONE INTEGRALE intervista a Francesca Antonacci a cura di Federico Moro e Giulia Schiavone, Comitato Scientifico CircoSfera
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Con il desiderio di approfondire la relazione tra processi educativi, dimensione ludica e linguaggi artistici, abbiamo intervistato Francesca Antonacci, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” (Università di Milano-Bicocca), dove insegna Pedagogia del Gioco e Teorie e Metodologie della formazione permanente. Giocatrice appassionata, si occupa di immaginazione, arti performative, dimensione ludica e modelli di innovazione scolastica. Come i linguaggi del performativo possono contribuire a uno sviluppo integrale dell’uomo? La ricerca che stiamo svolgendo presso il nostro Dipartimento, insieme al gruppo di ricerca PepaLab Laboratorio di arti espressive, performative e partecipate per l’educazione e la formazione, si concentra sull’interconnessione tra mondo artistico e mondo delle professioni educative e formative. In particolare, su come la conoscenza abbia un carattere espressivo con una caratura poetica e artistica, cercando di dimostrare come questa relazione abbia una valenza di interesse scientifico. Riteniamo che la dimensione del poetico sia una delle conoscenze fondamentali dell’umano, anche se spesso la più trascurata, e che debba essere riconosciuta al pari livello degli altri saperi. In questo senso il linguaggio performativo assume una rilevanza importante in quanto il campo dell’educazione è lo spazio in cui ci si trasforma, imparando a interfacciarsi col mondo della conoscenza. Eppure storicamente a essere privilegiati sono stati i linguaggi logico-razionali mentre, al di fuori di questi, molti aspetti del nostro essere non sono stati considerati come oggetto di indagine. Credo che gran parte della sofferenza che ci troviamo a gestire oggi, in campo di educazione e formazione, - penso alla crisi della scuola, ma non solo - sia dovuta proprio a questo…
Nel Manifesto Una Scuola, insieme alla collega Monica Guerra, sottolineate l’importanza della dimensione artistica e poetica nei contesti educativi. Una delle prime cose che colpisce è che al centro del processo di crescita non collocate il bambino ma la comunità e il gruppo. Tendo a considerare che l’idea che il bambino debba essere sempre al centro sia una mossa retorica, per accattivarsi la simpatia degli uditori. Per come oggi sono messe le istituzioni educative non c’è la possibilità materiale di collocare il bambino al centro. Sono infatti questi contesti strutturalmente pensati per un pubblico di massa e non individuale. Data questa premessa, crediamo che l’unico modo sia di collocare al centro del percorso di crescita il gruppo di formazione. La dimensione del gruppo costituisce infatti un altro tipo di soggettività e quindi come pedagogisti dobbiamo ragionare sui gruppi nella loro eterogeneità ed individualità. Il gruppo è una delle condizioni ideali per fare formazione perché si cresce sempre insieme a qualcuno e mai da soli. I processi nel quale il soggetto è ingaggiato avvengono sempre in contesti collettivi, dunJUGGLINGMAGAZINE.IT
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que non si può che far crescere il soggetto facendo crescere il gruppo. In questa prospettiva, con riferimento anche al recente testo Poetiche del gioco, qual è il contributo che la dimensione poetica e ludica può dare al gruppo? Mi torna in mente il laboratorio teatrale condotto da Riccardo Massa, fondatore del nostro Dipartimento, in cui a essere messe in scena erano sempre partiture psico-corporali di gruppo, dove si faceva lavorare il corpo nello spazio, insieme agli altri corpi. Il soggetto da solo rischia di autoconvincersi di un miglioramento apparente, costruendo un’armatura di illusoria “attenzione all’ego”. È solo attraverso la relazione con l’altro che il soggetto diventa responsivo, senza un altro che guarda non esiste la performance. Il soggetto esiste sempre in relazione allo sguardo altrui, proprio per questo la dimensione dell’insieme e del corale sono al centro del processo di apprendimento. In questa cornice, il gioco in movimento, e più in generale il gioco col corpo, ha una caratteristica in più rispetto ai giochi in generale (che comunque hanno già un valore educativo enorme). Se tradizionalmente l’apprendimento avviene stando fermi, il gioco corporeo “muove”, consente di mettere in movimento, di pensare dinamicamente la formazione e la struttura dei gruppi. A volte basta solo modificare il setting, cambiare posto, uscire dagli schemi abituali per innescare altri processi cognitivi in grado di attivare l’attenzione prima, e l’apprendimento poi. La versione integrale dell’intervista e del relativo podcast sono disponibili su Circosfera.it
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