Juggling Magazine #75, june 2017

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saggio da decifrare e tanto meno da comprendere. È piuttosto una ricerca artistica personale costruita nel tempo e non necessariamente trasferibile a coloro che fruiscono dell’opera. Il contemporaneo deve essere vissuto in piena libertà, affrancati definitivamente da un significato preciso che dovrebbe migrare dall’artista allo spettatore per mezzo dell’opera. Noi crediamo che questo malinteso possa essere superato portando in luoghi affettivi l’arte, dove il sentire è più disteso e pronto a percepire piuttosto che decifrare. Riducendo la lontananza fisica con i performer attraverso il contatto giornaliero, l’offrire qualcosa di personale, la disposizione ad accogliere, si riesce a ridurre anche le altri apparenti lontananze, e lo spettacolo diventa un incontro dove ognuno porta con sé domande, gusti e dubbi.

di Salvo Frasca

Ho accettato la sfida di Tiziano Massaroni per “Teatri di Nicfoto di @NicoLopezBruchi chia”, una serie di performance di danza, teatro e circo in case private, dove la compagnia dispone della casa interamente. Puoi interagire con gli oggetti le stoviglie, abiti…tutto. Puoi spostare i mobili toglierli, portarne altri, mettere luci… insomma qualcosa di divertente per chi si dedica alla creazione. Creare uno spettacolo di cui già esiste una scenografia: questo è bello ma se sei chiamato a fare circo gli spazi diventano esigui, minimali. Da un lato questo è un limite, dall’altro l’assurda prossimità con il pubblico nei ridotti spazi di una casa è cosa di indescrivibile forza. Ho chiesto di lavorare con me in questo progetto a Eleonora Spezi, scenografa e marionettista, che conosce il circo e proviene dal lavoro con Oblidarium dei Forman Brothers, molto abile nella creazioni di mondi e visioni in chiave oscura… Abbiamo registrato musiche e suoni da diffondere in un ambiente poco illuminato per nascondere la casa. Il luogo quindi sparisce e si accede al buio. Così solo alcuni dettagli illuminati da torce, estrapolati dal proprio contesto, possono diventare macabri, comici, malinconici. Ci siamo resi conto che c’è o dovrebbe esserci una maniera di mettere in scena le visioni. Come il cinema fa con le immagini. Con una torcia puoi fare apparire nel buio un volto e di seguito nella parte opposta della stanza, un coltello. Sei dentro a un racconto per quadri e con la luce dirigi tirannicamente l’attenzione. Lo spettatore segue ma deve rapidamente costruire con la fantasia. L’artista è a metà tra un cantastorie e un sacerdote-maggiordomo, e con le sue tecniche di circo offre un quadro in movimento. Come un piccolo filmato in mezzo a tante fotografie. Alcune candele articolavano il cammino in varie stanze. In questo ambiente abbiamo potuto lavorare su tutte le dimensioni, proiettare meduse sul soffitto, illuminare una finestra dall’esterno. Abbiamo mescolato tenuamente visioni all’arte capovolta del circo in un percorso in cui il pubblico veniva spaccato in due gruppi

per poi riunirlo in una scena/stanza finale. L’idea che alla fine della performance tutti dovessero confrontarsi con gli altri per accertarsi di cosa avessero visto non ci è sembrata banale. È la stessa natura di un’operazione del genere a suggerire l’itineranza dello spettatore. Questo si sposa benissimo con la narrazione non lineare che da anni caratterizza i nostri spettacoli senza storie e senza velleità di spiegazioni o addirittura di comprensione. Mi piace costruire immagini e trovo che il circo sia perfetto per creare suggestioni in movimento. Spesso le tecniche si rallentano quasi allo spasmo come se si potesse assistere di persona ad una specie di stop-motion. Solo ora capisco quello che un critico scrisse di un nostro spettacolo anni fa: “Popcorn Machine l’arte del videoclip, dal vivo”. Mi piace, adesso, questa cosa. Alla fine della performance il pubblico è uscito all’aria aperta dove li attendeva un bicchiere di vino intorno a un fuoco. Forse è retorico giustificare queste performance dicendo che se il pubblico non va più a teatro allora il teatro va a casa sua. Però in sostanza lo spettacolo irrompe e ferma la dipendenza mediatica. Concepito come assalto, “Teatri di nicchia” è conturbante. Non sappiamo cosa diventerà DOMOI prossimamente: una performance, uno spettacolo per case, per grotte o per teatro, non lo sappiamo però continuerà, come tutto. E per cominciare ringrazio Robert Tiso che ha suonato i bicchieri dentro un armadio, Lucas che ha condotto il pubblico, i piedi magici di Chiara Unisoni e Vieri e Astrid per la libertà che ci hanno dato nella loro casa.

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