foto di Andrea Macchia
LE RADICI NEL CIELO ATTRAVERSAMENTI IN BILICO TRA PEDAGOGIA E FUNAMBOLISMO
Mirabilia, 7 Luglio 2016. Una sottile linea nera trafigge il cielo notturno. Tutto d’un tratto la densità dell’aria non è più la stessa. Un’alchimia spazio temporale è in atto. Il cavo è teso e il funambolo pronto a partire. La piazza è gremita e silenziosa in attesa di quell’evento unico e irripetibile che invita a entrare nel cerchio magico delle arti circensi. Lo sguardo si alza trattenendo il respiro, tutto si ferma eppure nulla appare immobile. Il cuore è premuto contro quel filo con tale forza che ogni battito echeggia e si dissolve ogni altro pensiero (Petit, Toccare le nuvole, p.188). Come quando davanti a un caffè Andrea Loreni, occhi color del cielo e spirito luccicante, inizia a raccontare della sua scelta di vita, del suo essere funambolo, di come questa passione sia divenuta necessità, di non poter fare a meno di non farlo. Quando sono sul cavo sto bene, è quando scendo a terra che a volte provo un senso di vertigine e di smarrimento. La traversata del funambolo rivela, in un sottile gioco di micromovimenti, gli impercettibili aggiustamenti che il corpo quotidianamente compie per ricercare un equilibrio che si rivela essere costantemente precario. A differenza di un gesto ginnico, il procedere silenzioso ed elegante del performer, nella sua essenzialità e radicalità, è qualcosa che non può essere giudicato e neppure misurato. È qualcosa di estremo, semplice e arcaico nel medesimo tempo, qualcosa che appartiene più al mondo della bellezza che a quello della ragionevolezza. Siamo dinnanzi a un processo di riduzione e di sostituzione che fa emergere l’essenziale delle azioni e allontana il corpo […] dalle tecniche quotidiane, creando una tensione e una differenza di potenziale attraverso cui passa energia (Barba, La canoa di carta, p.59). www.jugglingmagazine.it
Il funambolo impone un arresto anche al pubblico, un cambiamento della nostra postura abituale, e non solo quella fisica ma soprattutto mentale, non più frontale e dominante, ma aperta all’imprevisto e all’ignoto, per godere dell’inaspettato, sperimentando germi di trasformazione, come intensamente esperito assistendo alle performance Evohé e Le chas du violon della Compagnia francese Les Colporteurs (Festival Teatro a Corte, Stupinigi, luglio 2016). Il filo consente di esperire quella condizione particolare per cui qualcosa si eleva quando un’azione viene approfondita; e viceversa, qualcosa viene approfondito quando qualcosa si innalza, come dice Gaston Bachelard (Psicanalisi dell’Aria. Sognare di volare. L’ascesa e la caduta, p.110). La traversata del funambolo, atto performativo squisitamente in bilico tra terra e cielo, chiede di aderire a nuove regole, per penetrare in uno spazio e in un tempo diversi dalla quotidianità , fatti di perseveranza, determinazione, attenzione ai dettagli, fedeltà agli attrezzi del mestiere, esattamente come accade nel gioco, attività per eccellenza devota all’inutile e alla piacevolezza, che vincola e libera, affascina e incanta chi vi partecipa, seducendo nel medesimo tempo chi vi assiste. Ed è proprio la capacità di sostare in questa zona di transizione, in bilico, dove si prova questa vertigine, a consentire di vivere pienamente nel mondo immaginifico del gioco, dove l’impossibile diviene possibile, dove la regola incontra la libertà, dove i limiti diventano sfide. E chi non vuole intraprendere una lotta accanita di sforzi inutili, pericoli profondi, trappole, chi non è pronto a dare tutto per sentirti vivere, non ha bisogno di diventare funambolo. Soprattutto, non foto di Jacopo Tartari
di Francesca Antonacci e Giulia Schiavone Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università Milano-Bicocca
1 Un luogo immaginativo (Bachelard 1960) questo, ad alta densità simbolica, la cui esperienza è in grado di restituire al reale una sua miglior comprensione.