Juggling Magazine #68 - september 2015

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foto di Andrea D’Ambrosio e Luca Del Pia intervista a Luca Ricci direttore artistico di Kilowatt festival

KILOWATT FESTIVAL 18/25 luglio San Sepolcro (AR) www.kilowattfestival.it www.bespectactive.eu

Ho iniziato a lavorare in teatro prima come attore e poi come regista. Nel 2003, insieme a Lucia Franchi, che poi è diventata mia moglie, abbiamo fondato la compagnia CapoTrave e, quasi subito, è nato anche Kilowatt Festival. Dopo le prime tre edizioni, nonostante la programmazione offrisse spettacoli di rilievo, il festival non riusciva a coinvolgere più di 500 spettatori nell’arco di 4 giornate. Ci prendemmo dunque una pausa di riflessione che fece germogliare l’idea, nuova ma molto semplice, di coinvolgere i cittadini di Sansepolcro nella programmazione di una parte del festival. Un’idea venuta anche grazie alla mia esperienza di curatore con la casa editrice Einaudi, dove avevo conosciuto il ruolo dei “lettori”, gli appassionati di letteratura ai quali le case editrici affidano la prima lettura dei manoscritti. Provammo così ad applicare lo stesso principio di coinvolgimento degli appassionati alla programmazione del festival, pur non avendo chiaro il potenziale progettuale di questa idea, e alla IV edizione del festival, nel 2006, sistemammo dei bigliettini sulle sedie del pubblico con la domanda: “vuoi diventare un visionario?”. Risposero una dozzina di persone - unico requisito richiesto era che non fossero addetti ai lavori - e dopo aver lanciato un bando per artisti professionisti emergenti, i “Visionari” cominciarono a scegliere quali spettacoli sarebbero stati programmati al festival. Quell’inverno andavo alle riunioni dei Visionari e guardavo queste persone che dialogavano sul teatro: tra loro una studentessa di lingue, un giovane operaio che copriva i turni di notte in fabbrica, una cassiera della Coop… tutti incuriositi dal teatro.

Vedendoli discutere animatamente di teatro contemporaneo e di danza ho scoperto che queste persone stavano rimettendo il teatro nel proprio orizzonte quotidiano, magari mentre erano al lavoro in ufficio o altrove ripensavano ai video visionati il giorno precedente. Cosa deve essere il teatro se non questo? Spostandoci dalla nostra piccola esperienza e allargando la visione ci accorgiamo che il recupero della centralità dello spettatore è probabilmente una cosa oggi necessaria. Fino alla metà del ‘900 il teatro è stato soprattutto un’auto-rappresentazione della borghesia. Poi nella seconda metà del ‘900 si è avvertita, da parte dei teatranti, l’esigenza di rompere questa relazione tra teatro e classe borghese. Una parte consistente del cosiddetto “nuovo teatro” ha quindi lavorato sulla provocazione del pubblico, finanche sull’ostilità nei suoi confronti, sul rompere quella consuetudine del teatro come rito rassicurante, con proposte non sempre adatte alla sensibilità di tutti. Credo che quel tempo oggi sia finito, che sia necessaria una riapertura di questa dinamica relazionale con la società del nostro tempo. Tutto questo non significa né che dobbiamo tornare a un teatro consolatorio, né che dobbiamo trasformare il teatro del nostro tempo in una dittatura del pubblico, tanto più se questa si esprime con modelli tipo televoto. Noi ai Visionari chiediamo un impegno di approfondimento serio che comporta la visione di tutti i video ricevuti (quest’anno 236) e l’elaborazione di una scheda per ciascuno di questi da inviare agli artisti che hanno partecipato al bando. É una vera responsabilità quella che gli affidiamo, ma in questo lavorare e svolgere il proprio compito di spettatori attivi c’è la nostra proposta di sintesi tra un’idea di teatro classico che il pubblico sente come proprio e l’idea del “nuovo teatro”, per il quale invece il pubblico deve compiere lo sforzo

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