CIRCO, LETTER ATUR A E TOTALITÀ ATTR AVER SO CORPI C HE SUONAN O CORPI CHE SUONANO
Alessandro Fambrini Professore di letteratura, Università di Pisa
di Paolo Apolito Professore Antropologia, Università Roma Tre
Arrivano dal medioevo e da tempi ancora più antichi: “duellanti, forzuti e lottatori, buffoni e mimi, e poi equilibristi, burattinai, domatori di animali ammaestrati, orsi, scimmie, cani, serpenti, giocolieri di ogni sorta, maghi, indovini e ciarlatani, danzatrici e prostitute” (Günter Bose und Erich Brinkmann, Circus: Geschichte und Ästhetik einer niederen Kunst). Sono loro alle radici del circo moderno, che si forma intorno alla fine del ‘700, dapprima in Inghilterra, poi in Francia e in tutta Europa. L’uomo nuovo dell’Illuminismo si salda all’uomo antico delle fiere di paese, del carnevale, delle corti. All’inizio dell’Ottocento gli elementi che concorreranno di lì a poco a creare la peculiare atmosfera del circo, ancora non pienamente assestato come forma spettacolare propria, iniziano a definirsi come soggetto di autonoma articolazione artistica, i personaggi che animano le rappresentazioni equestri assumono una valenza specifica che, nel grande quadro dell’esistenza, li fa attori legati al doppio filo che congiunge degradazione e miseria all’incanto e al mistero di una vita svolta sui margini dell’ineffabile, dell’impossibile. Scrive Starobinski (Ritratto dell’artista da saltimbanco) che fino all’età romantica la letteratura conobbe “l’eroe-buffone soltanto sotto forma di un essere immaginario addobbato con i panni di Yorick”, che “fa capriole in uno spazio irreale, attorniato da cortigiani in giustacuore e gorgiera”, cui “nessuno corrisponde nel mondo che lo circonda”. Quello spazio inizia ora poco a poco a farsi reale, a popolarsi di corpi e non più di fantasmi: corpi addestrati in cui si delinea il carattere di un’epoca nuova. Il circo si fa così luogo di coincidenza tra gli estremi dell’anarchia e dell’ordine, l’unico luogo, forse, in cui tali estremi potessero coesistere, e come tale la sua marginalità diventa un possibile specchio di totalità, di una totalità che sembrava ancora attingibile. E la letteratura ne porta le tracce, da Goethe a Dickens, da Hoffmann a Goncourt, da Frank Wedekind a Zola e su su fino al ‘900, da Kafka a Ray Bradbury ad Angela Carter, in un carosello che restituisce con le parole il fascino di un mondo fatto di gesti e di emozioni.
Il silenzio dei prati, degli alberi, dei sentieri sembra abbandono, di sera. La nebbia che scende sul parco, fa sentire come una periferia dell’anima. Si cammina a lungo, chiedendosi se ci si è smarriti, si è sbagliato luogo, indirizzo. O forse ingresso, dall’altra parte. Poi uno squarcio tra gli alberi, un’improvvisa animazione, roulotte, chapiteau, piazzole coperte di stuoie, assi di legno per scampare alle pozzanghere della pioggia. Giovanotti e giovanotte escono ed entrano nei tendoni, scompaiono, ricompaiono con sedie, teloni, attrezzi. Voci si rincorrono, un bambino scarrozzato da un papà ride alla bambina affianco, un uomo altissimo trasporta sulla testa un pannello, si ferma a metà del percorso, poi riparte. Sembra già lo spettacolo. È qua, la Città di Circo è qua. Nel parco di Villa Angeletti, a Bologna. I parchi abbandonati all’abitudine, smarriti, rischiano il degrado, i palazzoni intorno li guardano distratti. Per far vivere un parco non basta il parco, occorrono le vite. Degli uomini, delle donne, dei bambini, degli animali di casa. Occorrono le speranze di umanità. Novanta e forse più circensi, nelle loro roulotte, nei loro chapiteau, con i loro giochi, le loro tecniche, e musiche, e numeri, e
spettacoli hanno portato la vita nel parco. Per quasi un mese hanno portato la vita. Una vita speciale la loro, coltivata nell’utopia di umanità che nel gioco, nella fantasia, nella scommessa del superamento dei propri limiti - ma anche dei limiti della gravità terrestre e dei confini del singolo corpo e della differenza dei sessi e delle religioni e delle etnie - in questa utopia parla agli spettatori e, “credeteci”, dice loro. Io li ho visti all’opera e dapprima non potevo crederci. Prendi dei circhi, di quelli senza animali, fatti di corpi che suonano e strumenti che respirano, portali dentro una periferia in abbandono, o anche nel centro stesso di una città, e allora la vedi, l’umanità che rifiorisce; le vedi, le vite che tornano a vivere ridendo, lo vedi davvero che il re è nudo se non si riveste dell’umanità che ha abbandonato.
FOTO DI ELENI ALBAROSA
CIRCO, LETTERATURA E TOTALITÀ
CITTÀDICIRCOBOLOGNA25