«Questo libro è un modo fantastico per riuscire a capire il lavoro di Marina. Non solo i suoi lati iconico-monumentali più noti, ma anche quelli spirituali ed emotivi. Un testo dal valore inestimabile sul mondo della Performance Art, così difficile da documentare.» Björk «Un viaggio incredibile. Mi sono innamorata di Marina all’istante, fin dal nostro primo incontro a Parigi, quando la vidi girare su un furgone per giorni. La biografia di Westcott ce la fa scoprire in tutte le sue meravigliose contraddizioni.» Laurie Anderson «Marina Abramović rappresenta il sogno che il mondo possa muoversi verso un paradigma più femminile, circolare e aperto, lontano dalla visione patriarcale dell’espressione creativa.» Financial Times
Nella stessa collana: 1. Mark Stevens – Annalyn Swan De Kooning. L’uomo, l’artista 2. Calvin Tomkins Robert Rauschenberg. Un ritratto 3. Bernard Marcadé Marcel Duchamp. La vita a credito 4. Gail Levin Edward Hopper. Biografia intima 5. Hunter Drohojowska-Philp Georgia O’Keeffe. Pioniera della pittura americana 6. Annie Cohen-Solal Leo & C. Storia di Leo Castelli 7. Daniel Farson Francis Bacon. Una vita dorata nei bassifondi
Quando Marina Abramović morirà
Foto di copertina: Marco Anelli, Portrait with the Flowers 2009 © Marina Abramović
«Mi sembrava che Marina potesse tirar fuori più cose da se stessa che dalla superficie di un dipinto. […] Era nata per stare davanti al pubblico: dipingere non le bastava.»
James Westcott
James Westcott, critico d’arte e giornalista, ha scritto per Guardian e Village Voice ed è autore di numerose pubblicazioni di arte, architettura e politica. Attualmente vive a Rotterdam, dove lavora all’Office for Metropolitan Architecture. È stato a lungo l’assistente di Marina Abramović, per la quale, come primo incarico, ha trascritto minuto per minuto le azioni da lei compiute nella storica performance The House with the Ocean View alla Sean Kelly Gallery. Westcott ha anche partecipato, nel maggio 2010, al workshop di Abramović “Cleaning the House”, tenutosi in Andalusia, per «vivere in tutto e per tutto in base al suo esempio».
James Westcott
Quando Marina Abramović morirà
Belgrado 1974. Marina Abramović dà fuoco a una monumentale stella a cinque punte, simbolo del regime di Tito, ci si distende dentro fino a svenire per asfissia. Un anno dopo a Napoli, uno spettatore le punta al collo una pistola carica: l’artista ha sfidato il pubblico a usare su di lei, risolutamente passiva, uno qualsiasi degli oggetti predisposti su un tavolo. New York 2002. Marina vive per dodici giorni in un’abitazione pensile allestita alla Sean Kelly Gallery. Digiuna. Il solo nutrimento è l’avido sguardo degli astanti che la osservano bere, dormire, lavarsi e urinare. Tra la schiera di spettatori c’è James Westcott: è il suo primo incontro con “la nonna della Performance Art”, come lei ama definirsi, e l’incipit di Quando Marina Abramović morirà, biografia intima di un’artista che da quarant’anni gioca con la morte mettendo il proprio corpo al centro di performance leggendarie. Agli esordi, lanciarsi nell’arte performativa significa per Marina ribellarsi a un’educazione “militarizzata”, tiranneggiata da una madre che le impone diktat culturali comunisti e non la bacia mai. Il taglio netto con Belgrado e il decollo della carriera avvengono dopo l’incontro con l’artista tedesco Ulay, con il quale, a bordo di un furgone Citroën trasformato in casa mobile, gira l’Europa e si esibisce in pezzi che mettono a nudo una simbiosi estrema culminata nell’esibizione di Nightsea Crossing. Ripetuta novanta volte in cinque anni, i due si fissano negli occhi per sette ore consecutive, seduti immobili a un tavolo. Nell’ultima performance di coppia, Marina e Ulay s’incamminano dalle estremità opposte della Grande Muraglia cinese per incontrarsi a metà strada, tre mesi dopo, e dirsi addio. Di nuovo solista e presto consacrata dal Leone d’oro del 1997, Abramović approda infine sotto i riflettori di New York, da dove domina tuttora la scena artistica internazionale. Piu volte le è stato chiesto se durante le sue audaci azioni abbia mai avuto paura di morire. «Okay, muoio. E allora?» risponde. «La vita è un sogno e la morte è un risveglio. Piuttosto, dovremmo pensare a quanto è preziosa la nostra esistenza e al modo insensato in cui la sprechiamo.»
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