In copertina: Joachim Schmid, n. 217, Los Angeles, marzo 1994, da Bilder von der Straße, 1982-2012. © Joachim Schmid
Nella stessa collana: 1. Maria Perosino (a cura di) Effetto terra 2. Marco Tonelli Pino Pascali – Il libero gioco della scultura 3. Stefano Pirovano Forma e informazione – Nuove vie per l’astratto nell’arte del terzo millennio 4. Alberto Zanchetta Frenologia della vanitas – Il teschio nelle arti visive 5. Elio Grazioli La collezione come forma d’arte
«Schmid colloca il proprio lavoro al massimo grado dentro al fitto, inestricabile tessuto della produzione vernacolare contemporanea, considerata con occhio democratico, senza gerarchie: in questo modo non solo studia lo stato della fotografia in epoca postmoderna, o postfotografica che dir si voglia, ma sceglie l’immagine tecnologica come emblema stesso del diffondersi delle pratiche artistiche dentro le più minute e intime pieghe della complessa società odierna.» Dall’introduzione di Roberta Valtorta «Trovo che il modo in cui Joachim Schmid scava nel mondo digitale delle foto degli altri sia affascinante, divertente, eccentrico ed esteticamente vicino alla perfezione. Tuttavia, esso mi spaventa. La fotografia vive ormai nel nostro cervello. Ci dice chi siamo. E non riusciamo a farla stare zitta.» John S. Weber
joachim schmid e le fotografie degli altri
Roberta Valtorta - Direttore scientifico del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo-Milano Mark Durden - Professore di Fotografia alla University of Wales, Newport John Weber - Direttore dell’Institute of Arts and Sciences alla University of California di Santa Cruz Simone Menegoi - Critico e curatore Franco Vaccari - Artista e teorico della fotografia Joan Fontcuberta - Artista, curatore e docente
joachim schmid e le fotografie degli altri — a cura di roberta valtorta
Joachim Schmid (Balingen, 1955), paradossalmente soprannominato “il fotografo che non fotografa”, lavora con la fotografia dai primi anni ottanta senza produrre alcuna immagine propria. «Nessuna nuova fotografia finché non siano state utilizzate quelle già esistenti!» ha infatti dichiarato nel 1989 in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’invenzione di questo mezzo espressivo, un principio a cui è rimasto fedele fino a oggi. In un’odierna “civiltà dell’immagine” caratterizzata da una crescente proliferazione di fotografie, ai limiti dell’assuefazione e del non-senso, Schmid ha deciso di sospendere la produzione e di limitarsi a cercare, raccogliere e riutilizzare fotografie già esistenti e scattate da altri. Un materiale sconfinato che include anche figurine, inviti di mostre, manifesti, cartoline, immagini trovate ai mercatini delle pulci o negli archivi, immagini scaricate da siti Internet e social network. L’artista tedesco le preleva dal grande flusso della comunicazione contemporanea, le archivia, se ne appropria, le associa tra loro, talvolta manipolandole, in cerca di nuovi possibili significati. Collezionista, entusiasta del riciclaggio, catalogatore ed ecologista piuttosto che fotografo, dunque, Schmid ha lasciato il segno nel dibattito teorico in merito a questo mezzo espressivo fondendo nella sua posizione due temi fondamentali dell’arte contemporanea: da un lato l’idea del readymade duchampiano, dall’altra quella della “morte dell’autore” formulata da Roland Barthes. Avendo indagato tutte le pratiche fotografiche diffuse a livello di massa e tutti i diversi linguaggi a esse connessi, Joachim Schmid è probabilmente la persona che negli ultimi decenni ha visto, ma soprattutto utilizzato, più immagini di ogni altro uomo al mondo. E così il suo nuovo, ironico motto oggi è: «Per favore non smettete di fotografare».