Broken Nature:
OLTRE I MURI DELL’ARCHITETTURA, O DELL’IMPORTANZA DI CIÒ CHE MANCA OUTRE LES MURS DE L’ARCHITECTURE, OU DE L’IMPORTANCE DE CE QUI MANQUE BEYOND THE WALLS OF ARCHITECTURE OR THE IMPORTANCE OF WHAT IS MISSING Joseph di Pasquale
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S
econdo il pensiero dello psichiatra, psicanalista e filosofo francese Jaques Lacan ciò che costituisce l’essenza più profonda e centrale della condizione umana supera la dimensione del logos ed è quindi impossibile da esprimere. L’unico modo per l’uomo di avvicinarsi alla comprensione del centro dell’essere è appunto attraverso il suo principale sintomo: l’assenza, la mancanza. Se è vero che il pensiero di Lacan ha influenzato assieme ad altri grandi pensatori della seconda metà del secolo quali Rolan Barthes, Levi-Strauss, Michel Foucault, nello sviluppo della psicanalisi ma anche della critica cinematografica e artistica, la mostra “Broken Nature” (natura spezzata) con la quale si inaugura la XXII edizione della Triennale di Milano rappresenta forse la più riuscita applicazione del pensiero Lacaniano. Ed è proprio l’architettura la grande assente di “Broken Nature”. Stefano Boeri lo dice espressamente nel testo introduttivo: oltre i muri dell’architettura, superati i limiti tra spazio urbano e spazio rurale. La Tecnosfera ingloba ormai tutto l’ambiente includendo città, campagna, mare, aria, e tutta la natura in un sistema di reti fisiche e digitali che lo interconnette nella sua totalità. In effetti di muri e di architettura nella mostra non c’è nemmeno l’ombra, salvo ovviamente l’immancabile scuola d’arte de l’Avana di Vittorio Garatti di cui c’è addirittura un plastico. Per il resto di architettura nemmeno l’ombra appunto. E forse dati i presupposti è assolutamente positivo. L’obiettivo dichiarato della mostra è infatti diverso, ed è quello di rivolgersi all’uomo comune, architetti compresi, per fargli comprendere che l’intero ambiente in cui vive è un sistema complesso e soprattutto appunto connesso organicamente da milioni di anni, e composto dall’insieme di tutti gli esseri viventi di cui il genere umano rappresenta solo una parte minimale. Ciò nonostante, in modo un po’ contraddittorio in realtà, l’uomo con la sua “arroganza” sconvolge questa armonia primigenia, la sua superbia antropocentrica genera una perturbazione in questo equilibrio e le conseguenze di questo “peccato originale” contro l’ambiente sono i cambiamenti climatici, il “sudore della fronte” questa volta però generato dall’innalzamento delle temperature globali, e da tutti i squilibri ambientali ad esso collegati di cui è l’uomo stesso a pagarne per primo le conseguenze. L’iniziale “room of change” apre dando alla narrazione una visione “escatologica” complessiva e coerente: un grafico lungo una ventina di metri che occupa tre pareti della sala e su vari livelli ordina cronologicamente vari parametri del “cambiamento climatico” sviluppati negli ultimi due secoli e proiettati fino alla fine del prossimo. Non ci sono numeri né scritte ma solo la ripetizione di teorie sovrapposte di grafici: una grande iconostasi fatta di