IL CAPPIO 0

IL CAPPIO

PERIODICO CULTURALE, SATIRICO, POETICO. IN ITALIANO. LUGLIO-AGOSTO|012

ZER IN PRINCIPIO FU IL NUMERO

IL MAGAZINE 100% AUTOPRODOTTO DAGLI

AUTORI APPESI

RACCONTI: PINO AMADDEO - ROBERTO PRIOLO - JULIO CARNERA POESIE: ANDREA SQUILLACE - ANNA BORGHI - BU - FRANCESCO VILLARI - VIV CAVE INTERVISTE: MORKOBOT - SIMONE SARASSO REPORT: AKI KAURISMAKI

E COME SE NON BASTASSE: RUBRICHE HUMAN NATURE - GLI DEI SE NE VANNO - TRIANGOLAZIONI - VEDO SENTO PARLO - MURI CONTRO MURO - L’AMORE AI TEMPI DELLA GALERA IL VANGELO DEL GIORNO - SONO UN ROMANTICONE - PANE E VELENO - A CENA CON GLI APPESI - SE NE DICONO DI COSE - LA POSTA DEL SACRO CUORE - RECENSIONI E MOLTO ALTRO ANCORA

Il CAPPIO

EDI T OR I A L E di FRANCESCO VILLARI

00/ LUGLIO - AGOSTO 2012

IN QUESTO NUMERO: 03 EDITORIALE

C

on una pistola alla tempia qualsiasi ipotesi di ragionamento è da considerarsi presuntuosa. La distanza tra

04 CALABRIA

la tua vita e la tua non vita è più breve del tempo che ci metteresti

05 ITALIA

a dire “ma porc…”. Le cose stanno così: c’è una vita che vuoi vivere

06 MONDO

e all’interno della quale sguazzi lamentandoti e poi c’è una non vita

07 S DOMANI di Giak

scusa a tutti quelli che hai trattato male. Il demonio ti spaventa, dio ti

08 RACCONTI VALVOLE di Pino Amaddeo TSUNAMI di Roberto Priolo SU QUEL CHE RESTA DELLA STATALE 106 di Julio Carnera

che se solo te la raccontassero scapperesti via, lontano, chiedendo indispone, gli amici ti chiamano e tu sorridi pur di non rimanere solo. I compagni ti spronano ad essere uno di loro e di farlo per il tuo bene, gli assassini stanno in attesa che il tuo nome spunti sulla loro lista.

Non necessariamente in quest’ordine. Tra un finanziamento pubblico discusso in privato e un referendum per sapere se davvero vogliamo mettere le bombe secondo trame costituzionali, finalmente spuntano le idee. Sarà l’amor proprio (egoista) o magari la voglia di voler far parte

20 HUMAN/NATURE di Mirella Nania

di qualcosa (commensale) ma nel mezzo del cammin di questa valle di

21 POESIE UNA CAMERA BIANCA di Andrea Squillace L'OCCASIONE di Anna Borghi U POETA di Francesco Villari IL MOSTRO di Bù IL BOATO di Viv Cave

arriva quando senti scattare, manco fosse la molla di un coltello a far-

24 GLI DEI SE NE VANNO di Fabio Itri

lacrime scatta qualcosa in ognuno di noi. Occhio al grilletto. Il meglio falla, la voglia di fare qualcosa perchè tu, e soltanto tu, hai la necessità di fare quella cosa.

Potrebbe essere quella di scrivere qualcosa che denunci i traffici che rendono invivibile la vita nel tuo quartiere o nella tua città. Potrebbe essere quella di piantare la marijuana nel boschetto in collina, oltre il sentiero nascosto che parte a sinistra dalla statua della madonna della montagna, quella con il vetro rotto per intenderci. Potrebbe essere quella di diventare un tronista, perché non sapendo leggere non ne subiresti

28 TRIANGOLAZIONI

il rinculo della carta stampata. Potrebbe essere quella di avvicinare

di Italo Rizzo

Piazza Affari ed emulare la statua di Cattelan. Potrebbe essere quella

29 VEDO SENTO PARLO Report: AKI KAURISMAKI Interviste: MORKOBOT SIMONE SARASSO Recensioni

semplicissima di farti una sega nel bagno di casa tua. Qualunque cosa

42 RUBRICHE MURI CONTRO MURO - L'AMORE AI TEMPI DELLA GALERA - IL VANGELO DEL GIORNO SONO UN ROMANTICONE - PANE E VELENO - A CENA CON GLI APPESI - SE NE DICONO DI COSE - LA POSTA DEL SACRO CUORE

sia ne hai bisogno. Puoi raccontarmi delle “difficoltà di Stalin di staccarsi dal giogo nazista ma poi quando finalmente…”. O puoi raccontarmi quello che vuoi. Ma controlla bene in bagno. Dovrebbe esserci uno specchio. Lavati i denti, digrignali, passa ai risciacqui con tanto di gargarismi. Ora sorriditi, sei tu quello stronzo allo specchio. Sorridi e apri la bocca. Controlla che le gengive non stiano sanguinando. Escludi dalla vista tutto quanto ricoperto dalla pelle. Dove credi di andare? La pistola è puntata alla tempia e i proiettili sono ancora sei. Il cappio è un’altra cosa.

CALABRIA

CALABRIA

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atti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza». Le rogne arrivano quando ti guardi indietro e scopri che quella allegra brigata di homo sapiens che abitava ste lande, veniva appellata dai più acculturati latini come gens brutia. C’è poco da fare quando la storia ti marchia a fuoco non c’è scampo, oppure che il giudizio di un fiorentino e di una selva di patrizi opulenti, possa esser viziata dall’ignoranza?

E se d’ignoranza si disserta son dolori de panza: passino cert’uni patrizi ma dar dell’ignorante al buon Durante Alighiero degli Alighieri si rischia una scomunica, anche se simile ad una commedia dai toni stinti.

Non servirebbe appellarsi al fatto che l’ignoranza in questione è legata al non tenere in considerazione una realtà assai complessa, che se già lo era ai tempi figuriamoci oggi. Da gens brutia che eravamo, ora annaspiamo nella miseria. In quella condizione in cui non è possibile scorgere un miglioramento, abbiamo deciso che se questa era la realtà tanto valeva arredare l’ambiente. Di vivere in un eterno presente rosicchiando le briciole che cascano dal banchetto dei “signori”.

Abbiamo sostituito le scarpe di pelle di capra con dei mocassini in simil-pelle ma il concetto non cambia: se pecora ti fai, il lupo non potrà fare altro che sbranarti.

Non fa molta differenza se il lupo invece che dilaniare le tue carni a morsi preferisce spedirti dei confetti di piombo caldo o mandarti dei calorosi saluti al kerosene. Le modalità non cambiano la sostanza: rimaniamo quelli che siamo per una assurda caparbietà nel vedere le cose sempre dallo stesso verso perché siamo sicuri del fatto che comanda chi deve comandare in quanto è nella sua natura. Rassegnati al nostro destino tra un marchio storicamente indelebile e una tara ereditata cerchiamo di arrabattarci sgomitando per un privilegio in più, facendo valere l’amicizia con il lupo di zona, o in mancanza d’altro ci si accontenta di seguire qualche cane che sia meno pecora di noi.

Con la sicurezza di aver rosicchiato un altro boccone di presente dall’eternità, possiamo finalmente (fatalmente?) abbandonarci alla nostalgia di un passato glorioso, nel quale fummo culla di civiltà e gemma del Mare Nostrum. Glorifichiamo il nostro presente ammantandolo con un mantello lercio e liso, rattoppato con ricordi sconnessi barattandolo con le amicizie sbagliate.

FOTO: FABRIZIO ARANITI

d i G I A N M A R CO CA N TAFI O

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ITALIA

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«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.» Non è una stronzata che pronuncia ogni sera quel coglione di Ezio Greggio a "Striscia la notizia", ma uno dei principi fondamentali della Costituzione Italiana.

Un Paese che non riesce più a pensare e fatica nell’esprimere tutte le sofferenze e i disagi. Un popolo che non lavora più, né con le mani e né con la testa.

In uno scenario come questo, ruggiscono soltanto le organizzazioni criminali come la mafia e la chiesa, che se ne fottono del treno, dei binari spariti, dei ferrovieri e delle stazioni sommerse dall’odio, dall’egoismo e dall’ipocrisia. Un continuo e massacrante bla bla bla, il futuro dentro i bla bla bla, i sogni dei giovani e delle persone oneste inghiottiti dai bla bla bla. Tutto questo non potrà essere cancellato come succede in quelle fottutissime fiction prodotte e trasmesse dalla televisione o come il finale di tutti questi “romanzetti” senz’anima.

Adesso parlare di crisi è lo sport preferito degli italiani che non so quale manna si aspettano dal cielo.

ITALIA

utti i guai e la merda che ci ritroviamo addosso non sono il frutto di chissà quali tortuosi percorsi ma più semplicemente il risultato di 50 anni di potere in mano agli stupratori dei diritti civili. Una guerra che dura da mezzo secolo, contro lo sviluppo della creatività individuale e collettiva. Governanti, mass media, logge massoniche, mafie, opposizioni politiche sempre più simili a compagnie circensi, costruttori di armi ed apostoli del dio cemento, conferenze episcopali, papi ed il clero tutto hanno ridotto questa nazione così, che a guardarla adesso, sembra un treno che non potendo ruggire sui propri binari è spinto da un manipolo di ferrovieri che non trovano più la stazione per la prossima fermata.

La mannaia: quella servirebbe. E non tutti questi imbonitori sostenuti ancora da una massa inerme e sempre più rincoglionita che aspetta con ansia la copertura totale del digitale terrestre oppure i saldi di fine stagione. È proprio vero che gli esseri umani (in questo caso gli italiani) se non giungono a ciò che è necessario continuano ad affaticarsi per tutto ciò che è inutile.

d i PI N O AM AD D EO

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MONDO

MONDO

C

on un po’ di fortuna forse non vedremo la fine di questo nuovo anno del Signore 2012. A patto che il peyote di quei vecchi peruviani fosse abbastanza buono da mostrar loro quello che in molti, oggi, sembrano non vedere. Considerate il serpente che striscia in terra ungherese da un paio d’anni a questa parte, ad esempio. Prendete un magiaro tutto d’un pezzo, dategli un nome che a sentirlo vi verrebbe voglia di chiudervi in casa, Viktor Orban, e ponetelo a capo del vostro governo con 2/3 della maggioranza: la più schiacciante che la storia ricordi.

Ora immaginate che il 17% delle poltrone parlamentari sorreggano i culi nazistoidi di un oscuro gruppo apparentemente scomparso nell’anno domini 1996 e miracolosamente rinato dopo le ultime elezioni del Paese, nel 2010: Jobbik, “Movimento per un Ungheria Migliore”. Gente che non ha mai smesso di predicare la cacciata di ebrei, neri, rom, gay e musulmani. Rispolverate il vecchio sussidiario delle medie per capire di chi parliamo. E allora? Allora succede che dal 1 gennaio Orban e i suoi uncinati regalano un nuovo abito costituzionale alla vecchia signora magiara, un capo cucito di sana pianta dal governo e che sa un po’ di vintage.

Strappati di dosso i sudici indumenti repubblicani ecco che finalmente si parla di “nazione ungarica”, ovvero fondata sull'appartenenza etnica. Ma un vestito nuovo non basta per tornare ai vecchi splendori. Serve altro, magari qualche patetica chincaglieria. Allora via all'epurazione della stampa: via professionisti, dentro megafoni di professione. Via zingari e barboni dalle strade. Come? Semplice. Mandiamo gli sbirri a prelevarli e mettiamo loro una casacca arancio. Organizziamo dei punti d’incontro e raduniamoli in attesa dei bus che li porteranno verso luoghi dove serve duro lavoro fisico.

E la notte? Si torna a casa, a tentare di addormentarsi sulla soglia di BULGARI o D&G, seppelliti dalle coperte. E che non dimentichino, il giorno dopo, di portare al collo la scheda d’identificazione. Va meglio a guardarla, la vecchia dama. Quando toccherà a ebrei, neri, gay, musulmani, sarà perfino sexy. E tutti gli altri? Bè, si sta a guardare. I “grandi” han cose più importanti da risolvere come tirare un po’ più di coperta dalla loro. Del resto è inverno e fa freddo. Ma siamo sulla buona strada. Così riempite il frigo, comprate un’arma e che Sissi e quei vecchi peruviani possano vegliare su di noi. Egeszségedre!

FOTO: FABRIZIO ARANITI

d i J U L I O CA R N E R A

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S DOMANI di Giak

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RACCONTI

VALV d i

I

p i n o

a m a d d e o

FOTO: SALVADOR MARTIN | SALVAMARTINFOTO@GMAIL.COM

l mondo non si era ancora accorto di me, nemmeno Carlo e Valerio si erano accorti totalmente di me, nel senso che non si erano accorti dei miei pregi ma soltanto dei miei difetti e quindi non mi conoscevano bene.

Il mondo invece non conosceva né i miei pregi e né i miei difetti. Col mondo non avevo fatto niente che avrei dovuto o potuto definire interessante, ma con loro due erano successe delle cose vere. Ci eravamo fatti delle belle seghe insieme a Valerio; con Carlo solo delle bellissime bevute, perché lui era un tipo molto riservato. Con me avevano conosciuto entrambi tante belle ragazze, belle e che la davano con una certa facilità. Di tutte queste, che saranno state almeno una ventina, con me aveva scopato una soltanto, anche se scopato è un po’ riduttivo, nella fattispecie. Elena non scopava come una donna. Voglio dire non come una donna d’oggi.

Elena scopava come si scopa in un altro pianeta o forse come si scoperà in questo fottuto pianeta tra duecento anni. Ammesso che ancora esista questo pianeta tra duecento anni.

Elena era completamente calva quando fece sesso con me per la prima volta. Era calva ed aveva lo sguardo stanco ma non certamente spento.

Le mani sembravano scolpite ed erano sempre

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VOLE tiepide. Elena era sposata, era una scrittrice ed era ammalata di cancro. Aveva queste tre disgrazie Elena e poi aveva anche lo sguardo stanco, stanco e distrutto perché ne aveva passate di cotte e di crude. Anche Carlo e Valerio avevano scopato con lei però su Valerio non ero molto sicuro. Comunque non me ne importava un’emerita minchia. Elena oggi è viva ed è ancora sposata, è ammalata di cancro e scrive. Esiste davvero questa qui, non sto cazzeggiando, non ha delle tette grandissime, non so, forse la terza misura di reggipetto. Ha un bel culo che dondola come lo dondolerà una donna fra trecento anni o giù di lì. Ha delle gambe che oltre a farla camminare, riescono ad illuminare le strade di notte. Di giorno invece fanno pensare che qualunque ora è buona per fottere.

I proverbi sono tutti delle grandissime cagate, ma la cagata numero uno dei proverbi è questa: “Comandare è meglio che fottere”.

Invece comandando, legiferando e ricattando hanno fottuto il mondo, questo è. Forse anche questo aveva stancato i suoi occhi. Non ci incontriamo da quasi un anno e non ci telefoniamo ma so benissimo che è viva perché mi invia tramite mail dei racconti ed io le rispondo subito dopo aver pianto, non dopo aver pianto a singhi-

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RACCONTI

VALVOLE p i n o

a m a d d e o

FOTO: MICHELE RIERI | WWW.MICHELERIERI.NET

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ozzi ma dopo aver pianto con delle belle lacrime fresche che ti accarezzano gli zigomi e poi non si sa mai dove cazzo vanno a finire queste lacrime qui. Elena quando mi ha succhiato il cazzo non l’ha fatto tanto per farlo ma ha adorato il mio cazzo mentre lo succhiava e se ne avesse avuto uno anche lei, io avrei fatto la stessa cosa, più o meno la stessa cosa. Carlo non beveva vino o birra, Carlo beveva solo dei cocktail che si inventava di volta in volta, sempre con cinque bianchi ed a volte anche sei. Ho spesso vomitato quella roba lì, ho vomitato almeno una trentina di volte e lui solo due volte. Carlo era innamorato di Elena, almeno così mi diceva dopo aver bevuto, dopo aver bevuto quelle cannonate che preparava. Stava male per lei e forse l’amava anche, pensava che fosse una specie di dea, non so. Mi raccontava che lei riusciva a fare dei miracoli, perché mentre fottevano gli diceva che il suo era un mega cazzo.

«Giorgio, io ho un cazzo piccolissimo, ti rendi conto? Eppure lei dice che è enorme. Me lo dice mentre la monto. Fa miracoli questa qui, 10

credimi fa miracoli».

Annuivo e bevevo quello che preparava Carlo e qualche ora dopo andavo a vomitare tutto, comprese le storie che mi raccontava su Elena.

Non vedere quest’incredibile donna per così tanto tempo mi procura uno strano umore. Non parlo di tristezza o frenesia, mi da un senso di incompletezza, come se mi mancasse il piede sinistro o peggio ancora la mano destra e la sinistra fosse bloccata da una paresi.

Valerio forse aveva leccato la calda figa di Elena. Riuscii a percepire questa cosa da una semplice battuta che questa creatura d’altri mondi pronunciò una sera, quando eravamo ubriachi.

Era una semplicissima battuta ed è anche possibile che sia stato solo frutto della mia fantasia, la mia fantasia in stato di ebbrezza. Oppure era successo davvero e non me ne fregava un’emerita minchia.

Non ho mai detto “Elena ti amo” e lei non hai mai detto “Giorgio ti amo”. Questo per me contava parecchio. Non mi ha mai detto se ce

LTRA IE I D IFETT I, L’A M I O L O S O T IU NO S C IE IL MONDO HA C O DA G IO IE F ITT IZ TA TA N E L IO V TA PARTE D I ME È STA

l’ho grosso o piccolo. Voleva me, il mio cazzo ed il mio silenzio. Non parlavamo quasi mai, non mi diceva che mi amava. A che cazzo serviva dirmelo? Lo faceva. Non lavorava ed aveva bisogno dei soldi per vivere, ecco perché il cazzo di Carlo miracolosamente diventava grosso, Carlo lavorava in banca. Valerio è morto e non si sa perché.

Oggi di Elena, leggo i suoi racconti, quasi tutti sui gatti, scrive spesso sui gatti, adora i gatti Elena, forse adora i gatti come ha adorato il sesso. Qualche giorno addietro ho scritto io una poesia sui gatti: Sta facendo un caldo della madonna oggi. / A che ora torna il fidanzato di tua sorella? / Ma perché lui porta aria fresca con se? / Ho la gola secca e se vuoi saperlo sono anche arrapato. / Ti piace il mio cazzo? / Parlami un po’ del decisionismo. / Non mi piace quando diventi violento. / Ma che cosa credi che sono venuto a fare? / Urla, urla, insegnami delle cose… / Il decisionismo? Forse non hai capito / ho sete e sono anche arrapato / Ma

non sei stanco? / Non ti piacerebbe riposarti e dormire dentro un sogno di speranza? / Hai frugato bene nella mia tana / hai visto quanta agonia ci sta dentro / hai toccato con i tuoi artigli / il mio vecchio sorriso / hai anche attraversato le mie lacrime / ti sembra bello coltivare speranze? /E poi certo che sono un po’ stanco. / Vorrei bere qualcosa di fresco / non posso riposare adesso / bisogna stare molto attenti le strisce pedonali non servono a un cazzo / ti stirano e vanno via / ti lasciano appiccicato sull’asfalto con le budella fuori dai tuoi bellissimi occhi. / Non sono state le speranze a farmi arrapare / altrimenti non sarei venuto a cercarti / sarei rimasto ad asciugare il piscio dei cuccioli. / Ma adesso che i miei sensi / sono stati violentati dagli indifferenti / devo necessariamente stare qui / e ascoltare il tuo prossimo orgasmo.

Con Elena non ci siamo mai lasciati, per lasciarsi bisognava mettersi insieme ed io non sono mai stato il suo uomo e lei non è mai stata la mia donna. Carlo lavora in banca, Elena scrive ed è ammalata di cancro, scrive ed è viva.

RACCONTI

VALVOLE d i

p i n o

a m a d d e o

A me piacerebbe capire perché Valerio è morto.

L’ho sognato ieri notte e mi ha detto: «Siamo morti tutti, questo è l’eterno, quando muori, muori tu e gli altri piangono, ma la morte di un singolo individuo, rappresenta la morte di tutti per lo stesso individuo che muore, è facile Giorgio, non puoi non capire».

Beh sicuramente Valerio ha ragione ed io dovrei iniziare a smettere di leggere storie sui gatti. A sedici anni mi ero messo in mente di scrivere un lungo racconto sui gatti. Ancora non conoscevo Elena, volevo scrivere sto racconto, coi gatti selvatici del mondo tutti uniti a ribellarsi contro gli umani che troppo spesso li lasciano appiccicati sull’asfalto con le budella di fuori, ma ero giovane, stupido e comunista, non ho mai scritto quel racconto e vorrei smettere di leggere storie feline.

Non so dove è andata a vivere Elena. E se fosse morta? Può anche darsi che Valerio si sbaglia, può anche darsi che dopo la morte si possano ancora spedire mail o forse Elena avrebbe

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voluto sentirsi dire ti amo almeno una volta o forse ancora Elena non è mai esistita e manco io, e manco Valerio e Carlo. Le banche esistono ed esistono anche quando moriamo e continuano a fare affari sul niente, continuano a dominare col niente, con questo vecchio e sporco gioco da sovrani che è sempre servito per truffare il truffabile ed il non truffabile.

Vorrei cercare Elena ma non avrebbe senso, sarebbe come riprovare a scrivere quel racconto.

Ah, ecco! Avrei voluto intitolarlo: La rivolta dei gatti.

No, adesso ho solo in mente di continuare così, dentro le mie perenni sconfitte, perché il mondo ha conosciuto solo i miei difetti, l’altra parte di me è stata violentata da gioie fittizie: dal tonno in scatola, dal lucido per le scarpe, dal gel per i capelli, dai comizi rossi, dalle parole degli educatori, dalle sottilette Kraft, dalle borse, dalle prediche di tutti questi sciacalli che vogliono insegnarmi le buone maniere e poi sono anche peggio dei peggiori malfattori e continuano a

comandare e stuprare il mondo. Certo non potrò mai cancellare dal mio esistere che è stato quasi tutto vano, tranne poche, pochissime cose, tipo l’ultima volta che ho visto mia madre, la fiducia dei cuccioli compreso il loro piscio, la penultima volta che ho visto Elena oppure quando per gioco invece di giocare correvo. Una sera, Carlo, Valerio, Elena ed io, eravamo in vena di sparare grossissime cazzate e Carlo per primo disse: «Io sono un bancario ed il mio sogno più grande è di diventare un banchiere, ci so fare con i soldi ed ho tante probabilità di riuscirci, voi non ci credete solo perché siete dei pazzi, ma ce la farò e da vecchio sarò il governatore della Banca d’Italia e voi tre continuerete a fare gli alternativi del cazzo e puzzerete sempre di fame».

«Sarò il protagonista di un grande film e vincerò l’Oscar» diceva Valerio «un grande regista, un grande cast ed io il protagonista, sarà un film che denuncerà ogni genere di sopruso nelle democrazie occidentali, sarà un film di quattro ore ed il mondo parlerà di me ed io sarò ricco».

«Inventerò una macchina per leggere la meschinità degli uomini» aggiunsi io «funzionerà e verrà venduta ovunque e non credo proprio che puzzerò di fame».

«Scriverò un grande romanzo che avrà soltanto felini tra i personaggi, io stessa sono un po’ gatta e non avrò nessuna difficoltà a scrivere un libro da cinquecento pagine e venderò milioni di copie e poi mi ritirerò nella mia villa circondata da gatti di tutti i colori e di tutte le razze.»

Quella volta eravamo sobri, tutti e quattro sobri, era la prima volta in dodici anni che capitava una roba del genere. Stasera c’è un gran silenzio nell’aria e c’è silenzio nell’aria ed in tutto il resto.

Il silenzio certe volte, è questa è una di quelle certe volte, vale molto di più delle parole. E poi continuo a pensare che dentro un silenzio così ci stanno dentro delle valvole che azionano il meccanismo di un’esistenza.

Abbiate pazienza se siete sobri.

FOTO: MICHELE RIERI | WWW.MICHELERIERI.NET

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TSU S TNAM I RACCONTI

d i

ro b e rto

E

p r i o l o

ppure. Eppure cosa? Non riuscivo a pensare ad altro. Eppure, eppure, eppure. Mi risuonava nella testa quella parola, come il cuore in gola dopo una corsa. Fissavo il mare, l’acqua nera che aumentava di livello oltre il cancello della villetta di fronte. Eppure. Non avrei mai pensato potesse accadere. Eppure. Nemmeno adesso. Solo eppure pensavo. Eppure, eppure, eppure.

L’acqua era ancora distante. Una cosa stranissima. Da filmare. Il mare si era mangiato tutta la costa e adesso il mercato non si vedeva più. Ci volevano

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trenta minuti a piedi per raggiungerlo. Lo so bene.

Ci andavo tutte le mattine a fare la spesa in quel mercato. C’erano un sacco di donne, mi ricordo, e bancarelle piene di frutta. Era una piazza grande più o meno cinquecento metri quadri. Metri calpestabili intendo. Migliaia di donne e frutti dappertutto. Era difficile vedersi i piedi se ti trovavi là in mezzo. Erano come coccinelle. Piccole coccinelle di seta l’una sopra l’altra. Ora soltanto acqua.

Eppure. Eccolo di nuovo. Eppure. Sembra il suono dell’acqua che inonda i tombini. C’erano

FOTO: FRANCESCA CALARCO

SU vortici. Plup! Plup! Eppure, eppure. Basta. Lei stava urlando. Non si sentiva bene per colpa degli allarmi che facevano un fracasso infernale, ma stava urlando. Sembrava una bambina. Una nota altissima nell’aria.

«Scappiamo!» diceva.

«Non c’è pericolo» rispondevo.

«Andiamo, presto. Ho paura. Guarda quanto sono alte.»

«Non c’è pericolo ti dico. Non può arrivare fin qui. Non vedi quanto è lontano. Ancora cinque

minuti. In ogni caso c’è tempo.»

«Cristo andiamo!»

C’era tempo. Non sono un testardo. Chiunque avrebbe pensato la stessa cosa, ma onor del vero ammetto che avevo torto. Quando l’acqua giunse alla rampa d’accesso dell’autostrada era a circa cinquecento metri dalla finestra. La stavo filmando. Non è una cosa di tutti i giorni un cosa come questa. Le auto. Non ho mai visto un’auto galleggiare in pieno centro. Spruzzi d’acqua bianca come cespugli pieni di neve. Qui non nevica mai. Era qualcosa di incon-

RACCONTI

I

TSU NAM roberto priolo

FOTO: FRANCESCA CALARCO

cepibile. Dinnanzi alla natura ci si perde in congetture. L’acqua nera, inquinata come i lenzuoli stesi ad asciugare.

Pensavo all’inquinamento. Che coglione che sono. Lo ammetto.

«Andiamo porco cazzo!»

Quando Angela mi trascinò via per il braccio l’acqua stava entrando in giardino. Ho rivisto la cassetta, non mi ero accorto di niente in quel momento. Angela è più alta di me. Dio solo sa che fortuna è stare con una donna più alta di te. Tu nemmeno te lo immagini che cinque centimetri possano fare la differenza.

«Corri cretino, cazzo corri!»

Anche cinquecento metri.

Dal video non si vede niente, ma si capisce che correvamo. Quello che pensi in quei momenti è il

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fastidio. Il fastidio che ti dà avere paura. A mente lucida capisco che è la cosa che ti fa paura ad essere fastidiosa, ma in quei momenti hai solo il desiderio che smetta tutto. Che quella cosa sparisca e con lei il fastidio. Correre, correre, con i polmoni che non ti stanno dietro. Correre perché la tua mente è già lontana, al dopo. Verso quella sicurezza che vorresti raggiungere fisicamente e che è un piccolo puntino bianco dentro la testa. E tu stai nel mezzo. Non dentro. Non fuori. Questo ti fa perdere la calma, non riuscire a raggiungere il punto.

«Non ce la faccio! Non ce la faccio! Cazzo, cazzo, cazzo. Non respiro Ange, cazzo!»

«Corri. Butta la telecamera, corri!»

«No!» «Corri ho detto!»

L’onda e poi il punto.

S U

Q U E L

C H E

R E S T A

D E L L A

STATALE106 di julio carnera

P

archeggiammo pochi metri dopo l’ingresso, lungo il fianco est della statale. Scendemmo dall’auto e percorremmo la strada fino al bar costeggiando il guardrail per non farci mettere sotto dalle macchine. Ogni volta che ci passavano accanto, una massa d’aria c’investiva facendoci barcollare.

Per molti quello era un bar di passaggio su una strada di passaggio in un paese di passaggio.

Locri non è mai stata niente di più. E non provate a dire il contrario, a meno che non siate tra quelli che alla prima occasione buona sono scappati via col pepe al culo senza pensarci su due volte; quelli che, precauzionalmente, rispolverano l’accento calabrese – locrese – soltanto la settimana di Ferragosto, quando le orecchie dei vicini “padani” sono troppo lontane per farci caso. Se invece non siete tra loro, bè, peccato. Benvenuti tra noi. Quella sera

non c’era il solito barista. C’era invece un ragazzino poco più alto del bancone che s’affaccendava con la macchina dell’espresso. La cosa ci sorprese un po’. Era strano non vederci Diego lì dietro. Diego era sfacciatamente gay. Quel bar era un crocevia di pericolosi barbari analfabeti e sbirri frustrati dalla mano pesante e lui, quasi quarantenne, lì dentro si atteggiava come una specie di checca isterica. Quando lo vidi la prima volta pensai che non sarebbe sopravvissuto una settimana. Invece mi sbagliavo. Passavano le settimane, i mesi, gli anni eppure lui era sempre al suo posto, dietro al bancone. All’inizio non capivo come avesse fatto a resistere così a lungo, come mai non fosse scappato come molti altri al suo posto. La risposta era chiara.

Giocava al “frocio” per proteggere la sua omosessualità. Si colpiva da solo prima che fosse qualcun

FOTO: GIORGIO MARINO

RACCONTI

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SU QUELLO CHE RESTA DELLA

STATALE106 di

julio

carnera

altro a fargli del male. Questo lo aveva salvato.

Col tempo, Diego era diventato un fenomeno da baraccone che attirava clienti e a cui la gente s’era abituata. Allora compresi che sarebbe stato attaccato a quel bancone per molti anni ancora. Perché era stato più furbo e intelligente di quanto volesse dimostrare. E così vinse la sua vita. Ci avvicinammo e ordinammo 2 negroni. Dissi al ragazzino di non essere da meno del suo predecessore. Lui annuì e si voltò un istante a prendere i bicchieri.

«Che fine ha fatto Diego?», chiesi.

«S’è preso 2 giorni.»

«Mmm…» Appoggiammo i gomiti al bancone e aspettammo.

miscelandosi tra loro mentre scivolavano dolcemente sul ghiaccio. Riempì i bicchieri così per tre quarti, il resto a gin. Tutta roba di marca. Il ragazzino mescolò i cocktail con una cannuccia, poi disse: «Prego».

Prendemmo i bicchieri ricolmi e brindammo a qualcosa. O forse a nulla in particolare. Diedi una sorsata, poi feci pochi passi fino alla cassa. Il proprietario mi conosceva bene. Erano anni che contribuivamo alle spese per il mantenimento del suo bar oltre a pagargli gran parte delle rate della macchina e l’istruzione universitaria dei figli. E ci andava bene così. Sia noi che lui non facevamo altro che venire incontro alle nostre sopravvivenze, senza troppe particolari avidità.

La cosa buona di quel bar era che potevi sbronzarti senza doverti svenare. Ti bastavano 5, 6 euro per godere di un’ubriacatura che ne valeva almeno il doppio. E poi c’era il vantaggio di non dover stare a contatto con troppa gente. Era un posto piccolo: chi c’entrava lo faceva giusto il tempo di bere qualcosa, comprare da fumare e poi ripartiva per la sua strada, lontano da lì. E noi ne approfittavamo per questo. Il ragazzino poggiò 2 bicchieri sul bancone.

Erano alti più di un palmo e molto capienti. Poi raccolse da un recipiente un pugno di cubetti di ghiaccio e ce li versò dentro, con cura. Vicino a sé aveva pronte una bottiglia di Martini e una di Campari.

Lo guardammo sollevarle entrambe sui bicchieri e fissammo i liquidi rossastri fluire sinuosi e compatti,

«Come stai, compare?», disse sfilandomi un pezzo da 10 dalle dita.

«Siamo qua», risposi svogliatamente.

Spinse un tasto sulla cassa e il carrello si aprì.

Intascai il resto e uscimmo fuori a finire i nostri bicchieri.

Sul marciapiede c’erano un tavolo di ferro e 2 sedie. Ci sedemmo lì a bere i nostri drink e a gua-rdare le auto della 106 sfrecciare da una parte all’altra, senza senso, inghiottite dal buio. Restammo seduti così una buona mezz’ora, senza dir nulla.

Poi annusai l’aria e sentii che bruciava e dal cielo veniva giù come una fuliggine grigiastra. Ci guardammo un istante, poi lui disse: «Guarda. Piove cenere all’inferno».

di

julio

carnera

STATALE106

SU QUELLO CHE RESTA DELLA

19

POESIE

humanature d i M i re l l a N a n i a

20

G

li occhi mi si chiudono povero amico non ce la fai più e si vede!

Cerchi sempre un motivo tutto tuo la cosa mi fa ridere e tu ci pensi sempre: per strada, in macchina, sotto il sole, mentre parcheggi.

UNA CAMERA BIANCA di Andrea Squillace

Sei ripetitivo e io me ne sono accorto.

Ora il problema è chi di noi ha ragione?

Chi di noi ha ragione?

Io? Tu? Non credo a chi dice “Io sono felice” o perlomeno vorrei trovare le parole giuste.

Ma non ci sono parole giuste per riempire il mio secchio.

Ok ora vado a pesca.

Ok ti giuro non parlo più con me.

FOTO: GIORGIO MARINO

POESIE

22

E

mi chiedi chi sono.

Ho messo tutto il mio mondo in un sacchetto di plastica.

Piccolo.

Sono in fuga da Erode verso Cesare.

E mi chiedi chi sono.

Sono Acab ma il profumo del tĂŠ nella pelle.

L'OCCASIONE di Anna Borghi

E mi chiedi chi sono.

Sono tuo nonno sono te.

Sono la Lingua la Storia.

E mi chiedi chi sono.

Nell'isola la moltiplicazione dei pani dei pesci e dei cuori.

Sono il cane che piscia per strada sono il corpo che galleggia vestito.

Sono l'uomo senza nome che costruisce la storia dell'uomo con i propri giorni con le proprie mani.

Sono le mani della libertĂ che cercano la tua anima e trovano i chiodi del filo spinato.

Questo io sono.

L'occasione mancata del mondo.

FOTO: MORITZ KOHEN

POESIE

24

D

IL MOSTRO di Bù

evi coccolare il mostro che c’è dentro di te lui è troppo veloce ed è sempre nervoso e mangia tutto quello che produci lui non sa stare lui è sempre fuori posizione è sempre indisposto ma è il tuo mostro e lo devi cullare perché è in estinzione e credo che in fondo in fondo è il tuo mostro con la cresta con la gobba con l’occhio schiacciato con le ferite con la pelle di carta con le croci capovolte disegnate sulla fronte con la sua saudade con la sua continua noncuranza col suo fare improduttivo con la sua puzza di piedi con il suo cercare nella spazzatura con la sua sessualità incerta è il tuo mostro e lo devi fare accoppiare anche se lo fa male è il tuo mostro e va rispettato.

25

GLI DEI SE NE "Chè io verso altra gente che non v oi son più incline"

VANNO v i s i o n i

26

d i

f a b i o

i t r i

HUEY, DEWEY, OR LOUIE?

27

FOTO: GIORGIO MARINO

POESIE

28

I

poesii non su poesii.

Su i primi ddu passi ndo scuru prima mi ndi schiantamu e mi tornamu arretu.

U POETA di Francesco Villari

U poeta si sfrorza e nci brucia 'o culu se pensa chi tutti i culuri ru mundu su mbucciati nda ju scuru.

Si schianta e non trasi p'o schiantu, si gira arretu e non torna arretu p'o schiantu, si ssetta n'terra ci pensa e ccumincia mi cunta fatti.

Ji fatti su i poesii.

29

FOTO: FABRIZIO ARANITI

POESIE

30

IL BOATO di Viv Cave

C

ammino a passi spenti con occhi affrettati, valutando le illusioni alla luce di una nuova catastrofe.

“Perchè mai mi dovrei arenare?”

Attraverso una piazza in festa di diritti mai conquistati, approdo in un porto che di speranza brulica, inspirando l'odore stantio del massacro, il tanfo del sopruso stemperato dalla brezza.

Cammino con occhi affrettati e passi spenti, spostando il riflettore sulla catastrofe.

“Perchè mai mi dovrei arenare? Non ti accorgi del boato?” continua a ripetere.

Vedo le vecchie bandiere calpestare innumerevoli piaghe, coloni pentiti dichiararsi svizzeri in terra altrui, pianti millenari e lotte infinite, petrolio e ancora petrolio.

Cambio prospettiva: un esercito di nani tenta il concorso per giudice, le puttane si presentano alla sbarra, mentre i vichinghi si barricano con i maiali addestrati, qualche nostalgico dei tempi passati inneggia all'unione.

La discussione è accesa: il crocifisso lo togliamo?

Dobbiamo o no far volare le Frecce colorate?

E poi l'inno antiquato, il mancato dualismo televisivo, l'interdetta ricerca della verità forzata, l'annoiata e vecchia persecuzione rosata.

No, no.

La politica ha deciso per l'innovazione: un Mosé sul Lago di Como, un ponte tra Messina e Palermo, una sopraelevata che attraversi la Puglia.

Il dibattito è incandescente.

“Perchè mai mi dovrei arenare?

Non ti accorgi del boato?

Sei veramente convinta che il fiume è in secca?

Che ingenua. È tempo di scompiglio, mia cara.

La dissidenza si allarga, i nani ritornano al circo, le puttane al bordello, i vichinghi sono morti e i nostalgici annegati.

Perchè mai mi dovrei arenare adesso?”

I passi si chiudono e gli occhi si fermano.

31

L’USANZA vuole che iniziando una

che per un attimo unisca un libro, un

nuova rubrica, più o meno fissa, ci si

racconto, un film, una canzone, un vide-

presenti e si spieghi di cosa si tratta.

oclip, un post di un blog, un fumetto,

Non lo farò perché Triangolazioni non

tutto ciò che chiamiamo “prodotti

ha vincoli particolari e non è nemmeno

culturali”. Appesi ad un filo invisibile,

cazzeggio allo stato puro: vorrebbe es-

ignoriamo ciò che ci aspetta. Un futuro

sere un insieme di punti collegati da

radioso o l’estinzione prossima ventura?

una linea, il cui risultato è uno scarab-

Nulla di catastrofico, chiaro, ma può es-

occhio (stavo per scrivere un “enorme

sere illuminante rintracciare gli echi di

cazzo”, ma io e miei 25 lettori abbiamo

quel che accade oggi nel passato. È

un altro stile, vero?). I 3 pensieri col-

che a noi non serve una cura, ma una

legati fra loro, 3 oggetti, 3 immagini

soluzione finale come quella Final solu-

sono e saranno soprattutto suggestioni,

tion firmata Pere Ubu (la trovate nella

naturalmente soggettive e discutibili. Ho

raccolta Terminal tower) laddove David

preferito non cercare un tema comune

Thomas balbettava il suo disagio costru-

ma piuttosto un’invisibile comunanza

endo un inno per le generazioni a venire.

DI CERTO non è sufficiente osservare l’abisso, né farsi guardare da esso, per capire come reagire. Qualsiasi minaccia è relativa, del resto siamo o no antropocentrici? Chiedetelo al Quagga (http://it.wikipedia.org/wiki/Quagga) cosa gliene frega del crollo della borsa!

La tematica è stata affrontata più volte anche nel cinema, mi sembra giusto ricordare un film che tra l’altro è di pubblico dominio, essendo scaduti i diritti: L’ultimo uomo della terra, anno 1964, con il leggendario Vincent Price. E’ la prima pellicola a adattare per il grande schermo il romanzo di Richard Mathe32

son, Io Sono Leggenda, che tra l’altro risulta accreditato con il nome di Logan Swanson, non essendo soddisfatto del risultato. Il film è un capolavoro, interamente girato in una Roma deserta dove si aggirano morti viventi assetati di carne umana: non molto diverso dal presente, you know, uno scenario nel quale cacciatore e preda si confondono.

De L’ultimo uomo della terra è uscita anche un’ottima versione in doppio dvd per la Ripley’s Home Video, con extra molto interessanti e foto di scena, un pretesto per approfondire la travagliata storia del film, per il quale è difficile par-

lare di un solo regista: sarebbe Ubaldo Ragona, ma in realtà venne girato da Sidney Salkow, il classico caso di contrasto Italia-USA che però ha prodotto qualcosa di buono. Infinite le suggestioni e gli omaggi che in seguito si sono succeduti, anche il grande George A. Romero si ispirò a questo film e, con ogni probabilità, quelle voci, quelle movenze, quei lampi di buio, quei viaggi senza speranza narrati nel tempo sospeso della pellicola non si sono ancora spenti nel nostro immaginario.

(VEDO

REPORT

LENINGRAD C O W B O Y S

RECENSIONI

(

L'UOMO CHE VENNE DALLA TERRA|HUNGER|UBALDO TERZ ANI HORROR SHOW|

(

SENTO INTERVISTA

MORKOBOT

LO

RECENSIONI

IN RE

CE

NS

LL | E BY | N RN C O ON O N S H CE IB K A G IC B M | N ER IA L C L AL S IL B IO W I M RG K IO G

IO

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TA O IS E S R V N AS T E MO AR I

(

(P

AR

PR I MUS|SMART C O P S | F O O F I GHTERS|C ANN I BAL MOV I E

33

( (

VEDO

S Y O B W O C N I N E L A D GO GR

A C I R E

M A ,

o

ntin

osta ia C graz aria

di M

E

34

IL O F F U CI E CH A T N O C

I

mmaginate dieci Blues Brothers

(dis)Uniti, non è esattamente, o non è sempre

finlandesi con una predilezione

un bel posto, ma si affronta meglio con una

per la musica folk russa in scenari

lattina di birra e dei lungi ciuffi appuntiti che si

che ricordano Paris, Texas di Wenders. Se ci

abbinano a scarpe della stessa forma.

riuscite sarete comunque molto lontani dal

Questa condizione liminale, lo stare ai confini

capire chi sono i Leningrad Cowboys. A loro

che sono margini – con l’emarginazione che

Aki Kaurismäki ha dedicato nel 1989 un lun-

ne segue – ma anche porte d’accesso verso

gometraggio, una dichiarazione d’amore per

l’altrove, i Leningrad Cowboys se la portano

quello che sono e per quello che rappresentano, ma anche una paradossale

dalla Finlandia, proprio come il cadavere surgelato del bassista Pekka.

riflessione sul significato, o meglio

Una condizione racchiusa nel loro

sull’attribuzione di significato a

nome, perché Leningrado non è

nozioni quali l’identità, la cultura

altro che la russa San Pietrobur-

e l’industria (in questo caso off,

go: la terra da cui provengono è

molto off) dello spettacolo.

Come in molti altri road movie, la risposta temporanea ad alcuni di questi quesiti è il viaggio, di fuga e

una desolata distesa ghiacciata tra Finlandia e Russia, una di quelle indescrivibili zone di confine di solito neglette e tagliate fuori dalle rappresen-

di scoperta: la scoperta che l’America non è

tazioni e dai discorsi ufficiali, perché più dif-

poi così diversa dalla tundra finlandese, non-

ficili da definire, culturalmente atipiche e per

ostante l’immaginazione, come certi film (di

questo non “vendibili”.

certo non questo), tenda a tenere lontani i

A ben guardare,

posti squallidi, le cose vecchie, la ruggine, e la

questi luoghi

gente scostante. Il mondo, compresi gli Stati

ibridi e la loro

AK

I K AU R IS MÄ KI

(

VEDO

(

F

cultura sono invece quelli che meglio esprimono l’aspetto reale del mondo, che non prevede colori primari e identità pure o

di diventare lo stesso. Tutto è ibrido e lo è sempre stato, prima ancora che il postmodernismo si appropriasse di questo dis-

assolute, e dove l’appartenenza culturale è una questione di avvicinamento a un confine o a un altro. La “coerenza” etnica e culturale è uno strumento ideologico nelle mani del potere usato per costruire una limpida, incontestabile idea di nazione. Il cinema “industriale” sembra aver attinto a piene mani dall’idea fasulla d’identità, ma nel caso di Kaurismäki l’artificio del potere è neutralizzato dal plausibile ed esaltato dall’assurdo delle divise dei LC. La loro cultura di confine è espressa dalla passione assoluta per il folk russo ma la disponibilità ad allargare il repertorio integrando il “rock and roll” per conquistare i gusti degli americani non li rende meno diversi, anzi non fa che accentuarne la diversità. Il film mostra che tutti sono diversi: lo è il pubblico, minoranze e afroamericani sembrano apprezzare la musica dei Leningrad più dei bianchi; lo sono i luoghi e le persone. Il cambiamento è la costante che permette all’altro

corso. Pico Iyer ha descritto il bizzarro, vincente sodalizio tra i filippini e il country-folk americano: che siano queste imprevedibili affinità elettive il vero aspetto della globalizzazione? Da una simile ibridazione derivano anche grandiose versioni con tromboni, fisarmonica e organetto di Tequila, Rock’n’roll is here to stay, ma soprattutto un’impareggiabile Born to be Wild. Il finale sembra confermare tutto ciò: su consiglio di un agente di New York, dopo aver attraversato alterne vicende e altalenanti successi dal nord al sud degli USA, i LC. superano il confine meridionale e si ritrovano in Messico, per suonare al matrimonio di un parente del promoter. Le loro canzoni incontrano immediatamente i gusti della gente del luogo, al punto da scalare le classifiche messicane. In un delirio del grottesco la tequila fa resuscitare Pekka e decollare i Cowboys, che per trovare il successo hanno dovuto trovare un altro confine.

36

ON I

F.G.C F.G.C

SI

LUGLIO/AGOSTO|012

REC E

N

a cura di: | F. G. Needhermayer| M. Costantino | C. Nucera

L’UOMO CHE VENNE DALLA TERRA

HUNG ER

UBALDO TERZANI HORROR SHOW

UNA VITA TRANQUILLA

Richard Schenkman

Steve McQueen

Gabriele Albanesi

Claudio Cupellini

USA 2007

UK 2008

ITALIA 2010

ITALIA 2010

M

etti che una sera tu venga invitato a cena di

arrivederci organizzata da un

I

rlanda del Nord, prigione di Long Kash, 1981. I car-

cerati repubblicani del blocco

G

abriele Albanesi fa della sua seconda opera

I

l boss Antonio De Martino alias Rosario Russo (Toni

l'emblema fiero dello spirito

Servillo) sfugge alla faida tra

amico in procinto di trasfer-

H mettono in atto la blancket

gore, travalicando i confini di

due famiglie a Caserta facen-

irsi verso un’altra cattedra di

protest e la dirty protest,

tempo e di target. È chiara

dosi passare per morto. in

un’altra università. Metti che di

azioni estreme in nome del ri-

la critica ad una cinemato-

Germania si improvvisa chef

preciso tu non riesci a capire

conoscimento di status di pri-

grafia dispotica e livellatrice

di provata esperienza. Con

il motivo per cui abbia accet-

gionieri politici. Bobby Sands,

altrettanta maestria improv-

lo strepitoso Michael Fass-

di idee forti e originali. La

tato il trasferimento e quindi

bender, diretto dall'esordiente

produzione sopisce la crea-

visa una nuova convincente

ti spiazza non poco sapere che sarebbe potuto rimanere.

McQueen, è protagonista as-

Mentre si vanno a scandagliare

soluto e potente di una pel-

i ricordi del tempo trascorso

licola che colpisce come una

assieme tra professori spunta

coltellata. Acuta espressione

l’ipotesi che va via perché ha

di un grido soffocato ma pro-

la certezza che dopo un paio

tratto, esplosivo nel suo finale

di anni sia fin troppo evidente

assordante, lancinante in una

che mentre tu stai “invecchian-

confessione

do” lui,

emblematica.

tività, ma cellule cancerose costituiscono deriva da storie a

elettroencenfalogramma

piatto. Ubaldo Terzani, simile ad uno Stephen King a cui tutto è concesso, misterioso e torbido. Nelle sue mani vi è Alessio, giovane screen-

famiglia tedesca, a base di moglie bionda e figlio biondo. In realtà Rosario è già morto, perché defunta è la sua identità. Questa condizione gli impedisce di perire fisicamente: come Truffaut, essendo sfuggito una volta a morte certa sarà condannato

John Oldman, non

La lotta è l'unica possibil-

writer, antitesi e appendice

mostra alcun segno del tempo

ità perchè si può morire per

del maestro, rievoca l'eterna

passato. Perché lui non invec-

i propri ideali e solo alcuni

lotta tra innocenza e perd-

a lui care è funzionale al suo

chia. Perché lui è un uomo di

scelgono di farlo. Tratto da

izione. I piani si fondono in

epico progetto esistenziale: la

Cro-Magnon di 14.000 anni.

una storia vera, viene pre-

un confronto tra letteratura

sopravvivenza. Blixa Bargeld,

Vien voglia di aprire quella

sentato a Cannes nel 2008

e cinema, fiction e realtà,

autore della colonna sonora,

bottiglia di Green Label e stare

vincendo la Caméra d'Or nella

squartati e accarezzati nel

accompagna la sensazione di

a sentire la sua storia, no?

sezione Un Certain Regard.

puro

freddo che rimane addosso.

F. G. N.

C. N.

C. N.

estetismo

splatter.

alla ripetizione tantalica dello schema. La fine delle persone

M. C.

SENTO

((

MORK

AKE UPSMELL W WA N D SMELL THE CARCASS THE CARCASS AKE UP

AND

“

I HA I T O CH .

N U P O À HA G I O C AMM I N T O B O U MORK C I ATO I L S L I NTRA

di FRANCESCO VILLARI

I

38

“

messaggeri di Morkobot vengono a portare

possa essere quindi considerato come una musica

il suo verbo: come dobbiamo interpretare il

non strumentale. Le pause sono parte integrante

fatto che la vostra proposta sia esclusiva-

della musica. Una pausa può essere quindi consid-

mente strumentale?

erata come parte di una musica non strumentale

Essendo la voce anch’essa strumento, ci è fac-

(tra l’altro mi sono appena contraddetto, cadendo

ile considerare una proposta musicale con parti

nel mio stesso inganno.)

vocali come una proposta strumentale. Ci pare

Anche il concetto di pausa è assai interpretabile.

quindi fuori luogo il fatto di suddividere la musica

Ciò è dovuto al fatto che il silenzio durante le

non strumentale da quella strumentale. Di fatto la

pause, ai fini pratici, non può sussistere. Esistono

musica non strumentale non esiste. Essa prende

infatti silenzi che al loro interno nascondo suoni

forma soltanto nel momento in cui non viene es-

non udibili all’orecchio umano e che probabilmente

eguita e non viene udita.

sono in grado di sollazzare altre forme di vita che di

Da qui è facile cadere nell’inganno che il silenzio

tali pause possono trarne melodie, suoni o rumori

KOBOT MORBO "Con “Mostro” eravamo ad aspettare il raggio verde che ci rapisse. “Morto” ci ha portato nella nave madre. Con “Morbo” vivono tra noi." (da www.osservatoriesterni.it)

dei più accorti (nel senso che bisogna sapere ac-

cientifico e psichedelico: cosa leggete e quanto

corgersi dei suoni nascosti nelle pause). Ma siamo

fumate?

sicuri che la musica esista veramente? La musica

Ora che abbiamo imparato a leggere con una

è dunque pausa?

notevole scioltezza dobbiamo confidarti che

Dopo il precedente "MoRtOuR" vi vedremo live

non fumiamo più. Durante le nostre prime let-

in ogni dove: a chi calci nel culo e a chi gli onori

ture la situazione era assai differente. Associare

dei messaggeri?

tutti quei simboli grafici a sonorità fonetiche per

MoRkObOt ha già punito chi ha intralciato il suo

noi nuove non è stato facile e spesso il cerebro

cammino. In passato ha arrecato malori, sciolto

poteva raggiungere temperature assai ragguard-

gruppi musicali, scatenato tuoni e saette. Chi in-

evoli liberando la condensa generata sotto forma

vece ha abbracciato i messaggeri ne ha tratto

gassosa.

giocondità.

Dopo

Il vostro immaginario ha parecchio di fantas-

Mostro, poi Morto e adesso arriverà Morbo.

l’esordio

omonimo

avete

pubblicato

SENTO

((

AKE UPSMELL W WA N D SMELL THE CARCASS THE CARCASS AKE UP

AND

MORTO “Morto” dei Morkobot è il viaggio psichedelicamente atemporale verso l’oscurità venuta dallo spazio" (da indieforbunnies. com).

MOSTRO "Quando lo stoner si dilata, si incupisce, si perde prima in rumori metallici, poi nel liquame psichedelico fino a diventare pietra lavica" (da rockit.it).

MORKOBOT "Talvolta poetici, talvolta abbastanza violenti da far sanguinare le orecchie" (da storiadellamusica.it).

Esistono antidoti?

che l’umanità si è ridotta ad una controfigu-

MoRkObOt ha generato un MoStRo che è

ra del concetto?

MoRtO ucciso da un MoRbO. Al momento

La controfigura del concetto, con il tempo, porterà alla controfigura del concerto. Ciò è decisamente più sconcertante. In futuro ci saranno concerti non concreti con cretini che certi delle proprie doti canore cercheranno di eMulare come asini i volti visti più volte volti a far parte della volta delle stelle,

non vi è alcuna cura contro il MoRbO. Inoltre pare che il MoRbO sia quasi pronto per ammorbare (appunto) anche le generazioni appena generate.

Morkobot esiste “sin dagli albori delle galassie”: quando si romperà i coglioni di vedere

40

anziché delle stalle.

ON I SI

LUGLIO/AGOSTO|012

REC E

N

a cura di: | F. G. Needhermayer | G. Candiano

PRIMUS

SMART COPS

FOO FIGHTERS

CANNIBAL MOVIE

Green Naugahyde

Per proteggere e servire

Wasting Light

Avorio

Ato Records 2011

La Tempesta 2011

Rca Records 2011

Sound of Cobra 2011

C

ome approcciare all’ascolto con il primo

disco dei Primus da 12 anni

A

descare i peggiori con i metodi dei migliori per

far sembrare migliori i peg-

D

ave Grohl è un bravo ragazzo. Musica a parte

non riuscirebbe a fare altro.

T

rascinarsi attraverso suggestioni sembra essere il

filo conduttore dei Cannibal

a questa parte? Ti aspetti che

giori dei peggiori. Sembra

Chi non gli vuole bene quan-

Movie in Avorio. L’artwork las-

siano sempre tecnicamente

una cazzata ma se rileggi

do prende in mano le bac-

cia presagire la radicalità nel-

superiori, effettati e “liquidi”

capirai una parte di quella

chette? E devo ammettere

la scelta strumentale con bat-

quanto basta, ipnotici perché

che sembra essere una mis-

anche che primi due dischi

teria e organo e nel supporto:

non riesci nemmeno a rispon-

sione. L’intento del quartetto

con i suoi Foo Fighters era-

un magnifico tape. Un viag-

Smart Cops mette dentro le

no degli onesti dischi rock.

gio sperimentale e violento

tracce di Per Proteggere e

Poi i FF hanno preso una

per amanti dell’immaginario

Servire tutta la filosofia punk

strana strada “easy” e me li

cinematografico or rorifico

che sta dietro all’immaginario

sono persi di vista tra qual-

degli anni '70 e '80 capace

dello sbirro (magari anche lib-

che bel pezzo e tante ballad.

di trasporre in musica

eramente gay ma inaccettabili

Bontà sua, Dave ha ritrovato

l’antropofagia quale metafora

agli occhi dei genitori, come

la voglia di tirar fuori quale

della brutalità umana. Il risul-

in Meglio Insabbiare). La Sof-

riff

(Rope,

tato è un percorso iperreale

fiata, Il Cattivo Tenente, La

White Limo) e ha caricato

tra ambientazioni esotiche e

Legge del più Debole alcuni

di pathos l’ottima I Should

tribalismo ossessivo, come

Van Cleef). Loro sono sempre

titoli. Veloci, diretti, potenti,

Have Known, brano in cui

dei Talibam meno tecnici ma

grandiosi quando dopo qual-

a cavallo tra il punk del loro

ha chiamato Krist Novoselic

sotto acidi o degli Oneida

che ascolto, che meritano,

background e un garage/beat

al basso. La registrazione in

caduti

li ritieni ancora gli zii arrivati

che è nelle corde dei nostri

analogico con Butch Vig alla

nibali. Non resta che lasci-

dall’America con un bel regali-

beneamati sbirri. Gente che

regia è un tocco di classe.

arsi affascinare, consapevoli

no per te nipotino. Lo scarto

la sa lunga. Fingendosi furbi

Non è un capolavoro ma è di

che dalla psichedelia si può

di gioia schiaccio ancora Play.

finiscono per metterla in culo.

certo un disco da ascoltare.

anche uscire “mangiati vivi”.

F. G. N.

F. G. N.

F. G. N.

dere al telefono il cui trillo diventa parte integrante dello spartito, maledetti perché attraverso gli anni le maledette note sono sempre 7 e “the bastards” continuano a rivoltarle, raggirarle, spaccarle in quarti, farle deflagrare… Poi ti aspetti che Claypool racconti storie di mostri inventate e storie di mosti veri (Lee

davvero

bello

G. C.

ostaggio

dei

can-

( (

PARLO

SIMONE

SARASSO

42

Rideremo di questo

triste

ventennio A VOLTE È UNA QUESTIONE DI MARGINI, ALTRE È UNA QUESTIONE DI CONFINE. A VOLTE DI STATO, ALTRE DI STATO. SARASSO È UNO SCRITTORE CHE SI CONCEDE ANCHE ALLE GRAPHIC NOVELS, ALLA TELEVISIONE ED AL CINEMA. INCONTRIAMOCI AI BORDI DEL BARATRO. ~ di Francesco Villari ~

P

arto dal concetto di Confine di Stato. Che senso acquisisce il confine quando si tratta di dover impostare un ragionamento?

Esiste un motivo psicologico, un precedente storico, una deformazione che porta l’italiano a ripararsi dalla pioggia sotto uno scudo crociato?

Sempre meglio sapere dove si va a parare, quando si inizia a ragionare. Ecco lo stato (dell’arte) del confine (razionale).

Fossero solo gli scudi crociati… Io mi ricordo di fasci littori, garofani, azzurri tricolori. Schopenauer pendolava inesorabilmente tra dolore e noia. Noialtri italiani (mica tutti, per carità…) si oscilla tra “Ci vogliono poteri forti!” e “Che tutto cambi, per Dio! Affinché nulla sia immutato…”.

L’Italia occupa gli ultimi posti nelle graduatorie della lettura. Il 12% delle famiglie non ha nemmeno un libro in casa e in generale il 40% dichiara di non aver letto un libro negli ultimi 12 mesi. Com’è possibile che una stronzata co me “Fesso chi legge” abbia avuto una presa così forte nel Belpaese?

Ti rispondo citando un maestro (che ne cita un altro): Fesso chi legge di Carmelo Bene. «A sgomentare i dottori, sarebbe stato sufficiente che Shakespeare in luogo di “ordinate ai soldati di sparare” o di “Tamburi battete”, avesse scritto “fesso chi legge”. Ma Will, per gli amici, era un attore di Corte e si è limitato a sottintenderlo. La sola cosa, in fondo, che Stanislavskij, cane da sottotesti, non ha mai scovato.» (C. Bene, Opere, Bompiani, Milano 2008)

Leggo e penso ad una tua considerazione in merito ad uno scrittore del futuro che abbia voglia di scrivere un romanzo su Silvio Berlusconi ma si ritrova ad avere solo i libri di Bruno Vespa e due vecchi numeri dell'Unità. E se desideroso di conoscenza dovesse trovare anche i filmati della Santanchè, che idea si farebbe del nostro tempo?

Vorrei darti una risposta spiritosa e piena di verve, ma mi è di colpo passata la voglia di scherzare. È comprensibile. Il comun pensare l’Italia come terra di santi, poeti e navigatori come e perché collocherà nella

43

( (

PARLO

forti

SIMONE SARASSO

Servono poteri

SIMONE SARASSO

Simone Sarasso , classe '78, vive a Novara. Scrive storie nere per la narrativa, i fumetti, il cinema e la TV. Ha pubblicato racconti in diverse antologie e collabora con «Carmilla», «MilanoNera Web Press», «Satisfiction», «Film TV». Ha pubblicato per Marsilio i primi due romanzi di un trittico noir sui misteri e le trame della Storia d'Italia dal dopoguerra a Tangetopoli: Confine di Stato (2007, finalista al Premio Scerbanenco) e Settanta (2009). United We Stand, futuro ideale della trilogia, è la sua prima graphic novel.

propria storia questa gentaglia?

La cosa più orribile è che probabilmente finiremo per ridere di questo triste ventennio. Ma basterà dare un’occhiata alla busta paga - magari confrontarla con quella dei nostri genitori alla stessa età, o peggio ancora con quella dei nostri figli (anche se dubito ne avranno mai una) - e le cose saranno di nuovo in prospettiva.

A volte la chiamano circonvenzione di incapace. A volte ci si dimostra refrattari alle mille informazioni alle quali siamo soggetti. Ma perché finisce sempre che chi dice di non credere a un cazzo poi crede ai cazzoni?

Non la metterei giù così dura. Non è che in Italia lo spirito critico sia morto e sepolto. Hanno spesso provato ad anestetizzarlo, ma non ce l’hanno fatta. Non ce la faranno mai…

Ce lo auguriamo. Che tipo di ricetta a favore della coscienza critica consiglieresti ai lettori de Il Cappio e soprattutto ai non lettori di questa intervista?

Un tizio con le palle una volta ha detto: “Non devi perdere la fiducia nell' umanità. L'umanità è un oceano; se alcune gocce dell'oceano sono sporche, l'oceano non diviene sporco.”

Quel tizio si chiamava Ghandi. E aveva maledettamente ragione.

Ultima. Che fine faranno gli infedeli ma galantuomini, come Fred Buscaglione, quando Teresa avrà deciso di sparare?

Finiranno sottoterra.

INVICTUS - COSTANTINO, L'IMPERATORE GUERRIERO Il nuovo romanzo, che narra la vita spregevole e santa di Costantino il Grande, l'imperatore che ha riunito un impero diviso e gli ha regalato un nuovo Dio . http://confinedistato.blogspot.com

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ON I SI

LUGLIO/AGOSTO|012

REC E

N

a cura di: | F. G. Needhermayer | G. Cantafio | S. Pedullà

NEUROMANTE

È NATA UNA STAR?

I RAGAZZI DEL MASSACRO

William Gibson

DIARIO DI UNA MAÎ-TRESSE AMERICANA Nell Kimball

Nick Hornby

Giorgio Scerbacenco

Oscar Mondadori 1984

Adelphi 1967

Guanda 2010

Garzanti 1968

C

onnessione, una sorta di sinonimo per vicinanza

K

imball ci racconta la sua vita ambientata tra fine

I

n poco più di settanta pagine Nick Hornby rac-

L

a signorina M a t i l d e Crescenzaghi, delicata si-

conta una storia familiare, di

- g n o r i n a della p i c c o l a

boy, vola agile nella rete, fin

do dai ricordi dell'infanzia in

una di quelle famiglie che si

borghesia dell’alta Italia, è

quando un po’ di vecchia bio-

campagna, sino allo sbarco

preoccupano per il futuro dei

l’insegnante “di varie materie

tecnologia sovietica, divora

o per accesso. Case il cow-

'800 e inizi del '900 parten-

in un bordello di St. Louis.

figli senza alcuna prospettiva

e buona educazione” presso

tutte le sue terminazioni, tutte

Qui oltre al lavoro di

put-

lavorativa. Karen, la vicina di

la Scuola serale Fustagni.

le sue connessioni. Senza ali

tana, comincia a maturare le

casa che nessuno vorrebbe

Tra i suoi alunni ragazzi tra i

è imprigionato in ciò che più disprezza, la sua carne. In un mondo immaginato quasi trent’anni fa, Gibson intravede le conseguenze dell’essere tagliato fuori dalla capacità di interagire in un meta spazio, in un mondo dove tutto dipende dalla rete: dalla rete non si scappa, neanche quando non

sue riflessioni sociologiche ed esistenziali attraverso i contatti con i clienti dell'alta società americana. Chi si aspetta un libro con cui evadere prendendo la strada dell'erotismo, ne rimarrà disorientato e pian piano che la lettura andrà avanti si dimenticherà

avere ma con la quale bevi almeno un caffè, lascia una busta contente una videocassetta di un film “sconcio” e un messaggio nel quale spiega che sicuramente riconoscerà il protagonista: è Mark, suo figlio. I figli, “di loro si pensa il peggio solo quando non si ha scelta”.

13 e i 20 anni provenienti dal riformatorio, figli di padre alcolizzato o di madre meretrice. Il cadavere della signorina Crescenzaghi viene trovato in un’aula, avvolta in un grottesco baby doll, massacrata di botte. Al medico/ investigatore Duca Lamberti, personaggio creato da Scerbanenco e di culto per il

di essere partito con questa

La scoperta sconvolge le

che ha dettato il passo nella

sola aspettativa. Quello che

regole della famiglia e tra

ricerca di un orizzonte tanto

invece emergerà con molta

pettegolezzi e introspettive

impensabile quanto maledet-

semplicità

contenuti,

ricerche nel proprio passato,

tamente possibile e attuale,

sarà una chiara visione del

alla fine aiuterà i protagonisti

un po’ approfondite. Sul ban-

un libro consigliato a chi ha

mondo e della società cor-

a riconoscersi per quanto si

co dell’interrogatorio ci sono

ancora le funzioni neurali non

rotta scritta da una femmina

è, non per quel che si vuol far

gli alunni dell’ultima lezione, i

storpiate.

disincantata e piena di valori.

sapere ai nostri "cari vicini”.

loro genitori e c’è tutta Milano.

G. C.

S. P.

F. G. N.

F. G. N.

se ne fa parte. Un romanzo

di

giallo italiano del Novecento.

Uno per il quale l’aggettivo “onesto” è impegnativo se non frutto di indagini almeno

RUBRICHE

MURICONTROMURO BR ANDELLI DI ACIDITÀ ESISTENZIALE STR APPATE DAL QUOTIDIANO DELIRIO.

di GIANMARCO CANTAFIO

C’

è del marcio nella convivenza, o è solo colpa dell’atmosfera caustica che aleggia attorno ad una serie

di esistenze compresse in quattro mura scarne, un improponibile drappello emozionale di sei polimorfismi viziosi e incoerenti. Marcescenza più comunemente detta convenienza, o se preferite opportunismo; uno dei tanti strumenti umani per resistere alla vita o per sfangarla un giorno di più di qualcun altro, semplice routine nulla di personale.

L’opporsi ostinato del “mio” - tanto per togliere di mezzo l’ingombrante Io - su tutto ciò che non lo è, non esiste il concetto di tuo, è solo ciò che non è “mio” ora ma che potrebbe esserlo più tardi. Si parte dallo spazio vitale, si accumula “mio” fino ad impossessarsi dello spazio sonoro, imponendo a piacimento silenzio o cacofonia, strilli di isteria o messe cantate, è un semplice equilibrio nell’accumulazione di “mio”. Per cercare di campare un po’ meglio di qualcun altro si adotta la divisione dell’affitto - altro non è che il “mio” di un altro che ti piomba tra capo e collo ogni primo del mese – e si divide in maniera equamente asimmetrica e l’ultimo arrivato si becca uno sgabuzzino fetido, freddo quanto un gabinetto autoptico, pagandolo un’infamità. Per cercare di non perdere il “mio” capitalizzato nelle sperequazione affittuaria si lavora di terrorismo psicologico, si tiene sulla corda il povero stronzo, che ha la sola sfortuna di essere l’ultimo arrivato in una città che lo ha fagocitato immediatamente. Non è contemplata la perdita ma solo l’accumulo, nulla di personale, ma se sei un portatore sano di “mio” non puoi tenerlo tutto per te!

L'A M O R E A I T E M P I D E L L AG A L E R A È UNA RUBRICA CHE SI PROPONE INFINE DI RIPORTAR AI TEMPI NOSTRI, IN TERMINI DI POSSESSIVITÀ DEGLI UOMINI EVOLUTI DEL XXI° SECOLO, ALCUNI DEI MIGLIORI POLVEROSI VERSI DI ALCUNI DEI MIGLIORI POLVEROSI CLASSICI DELLA CULTURA MONDIALE. GENTE CHE SE FOSSE NATA OGGI SAREBBE IN CARCERE. VOGLIO UN AMORE DOLOROSO

VOGLIO IL DOLORE PIÙ AMOROSO

di Gabriele D’Annunzio

di Duccio Moroni

Voglio un amore doloroso, lento, / che lento sia come una lenta morte, / e senza fine (voglio che più forte / sie della morte) e senza mutamento. / Voglio che senza tregua in un tormento occulto sien le nostre anime assorte; / e un mare sia presso a le nostre porte, / solo, che pianga in un silenzio intento. / Voglio che sia la torre alta granito, / ed alta sia così che nel sereno / sembri attingere il grande astro polare. / Voglio un letto di porpora,e trovare / in quell'ombra giacendo su quel seno, / come in fondo a un sepolcro, l'Infinito.

46

Voglio il dolore più amoroso, mento, / e mento sia con te che con la morte, / senza rime (voglio che il dolore ti porti anche alla morte) senza oscuramento. / Voglio che ancora e ancora fino ad esser adulto di stringan le mani più forte; / e che il mare sia qui con consorte / o che solo finga un assenso redento. / Voglio la principessa della torre, ve lo dico / dalla torre altissima vedremo / membri fare sparire anche quell’orso polare. / Voglio parlare con Enzo Tortora e trovare / nel buio ridendo e palpando il suo seno / come in fondo al tuo culo, l’Infinito.

L'AMORE SU BINARI NON E' DESTINATO AD INCONTRARSI. UN CONFORTO PER L'UOMO E L'ANIMA(LE)

I LVA N G E LO D E LG I O R N O SONOUNROMANTICONE

A

veva un bell'aspetto e un buon odore, era chiaro fin dal primo istante. Fu però il suo

taccuino a lasciarmi stupefatto. Non era un granché di taccuino, un Moleskine sdrucito dall'uso come certe camicie lise sul limite dei polsini, ma il modo in cui lo usava suscitava autentica meraviglia perché non vi tracciava segni sequenzialmente, aggiungendo una parola, una frase, una pagina dietro l'altra. No, lei no. La sua penna scorreva cinque pagine in avanti, poi tre indietro, risucchiava tutto fino all'inizio e incastrava un pensiero in mezzo a due blocchi di testo scritti chissà quando, in uno spazio che sembrava essere stato lasciato là sapendo che un dato giorno avrebbe completato quel foglio con quelle tre precise parole e Dio solo sapeva perche avesse aspettato cosi tanto per farlo.

Era la dea del taccuino, ne conosceva passato, presente e futuro. Tutto era già là e aspettava solo di ricalcarlo con un colpo di teatro, di tanto in tanto. Poi raccolse le gambe in posizione semifetale e mi volse le spalle guardando fuori dal finestrino del treno. Io la implorai mentalmente di cercare protezione e calore poggiandomi la schiena sconosciuta contro petto. Quando il carrellino del bar passò trillando, lo fermò e sentii la sua voce chiedere cibo al barista errante. Rovinò tutto con un "Di vegetariano non c'è nulla?". Allora capii che il solo noi che poteva esistere era una foto snuff-bestiality-bondage nella quale la legavo nuda costringendola a guardarmi inculare un bue mentre lo sgozzavo, in una sorta di terapia Ludovico V(eg)an su rotaie. Certi grandi amori finiscono prima di iniziare.

di DARIO PARRINELLO

«S

appiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non

si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché Zio Peppe verrà nell'ora che non pensate».

Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».

Il Nazzareno rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che Zio Peppe porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi.

Ma se quel servo dicesse in cuor suo “Il padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, a fare il bunga bunga, mu vola mu 'nci lu menta a tutti, a tutti, a tutti, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore segnalandolo ai Tegano o ai De Stefano.

Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più. E i voti della 'ndrangheta si pagano.

di ULUCCI ALÍ

RUBRICHE

PAN E EVE LE NO R A C C O N T I D I O G G I . D E L T E M P O I N C U I A L L A F A M E P I Ù AT R O C E S I

P R E F E R I S C E I L V E L E N O P I Ù D O L C E . A N T I P A S T O S AT I R I C O I N S A L S A S A R D A D A L G U S T O F E R O C E P E R P A L AT I S E LV A G G I E A N I M I I N A R I D I T I .

di LUCIO SALIS

E

ravamo io, Maradona, Mohammed Alì, il

Due inservienti entrarono in scena e se la por-

Che, Gianni Minà e il vecchio Ernest Hemingway, che

tarono via subito: poteva servire alla scienza più

scolavamo rhum e sparavamo alle unghie di una diva

come cadavere che come essere vegetante. Nessuno

del porno: Alba Troietti, si chiamava. Occupavamo sei

avrebbe notato la sua mancanza nel carrozzone del

delle dodici chaise longue, a bordo piscina nel parco

porno. Altri due domestici posizionarono Malgioglio al

della villa di un disoccupato del Sulcis. Ognuno di noi

centro del tiro a segno. Si trattava di sfoltirgli il ciuffo.

aveva un buon Winchester 94 e una scatola di pallot-

Gasparri non si vedeva ancora; sempre così quello: o

tole sotto la sedia. Tex Willer e il suo pari Kit Carson

sbagliava strada, o sbagliava marca dei sigari o si per-

erano in giro a beccare qualche daino o qualche figlio

deva lungo la provinciale... Ernest, spazientito, riempì

di Bossi. Gli fregava assai di sparare alle unghie, a loro.

la sua pipa di bottarga e accese. Una puzza di pesce

Avevamo finito i sigari, ma il Che aveva mandato Gas-

inondò immediatamente tutto il parco, richiamando

parri a fare rifornimento già da un paio di giorni. Cento

frotte di gatti randagi sbavanti e un certo Briatore, che

euro per la birra e cento per i sigari gli avevamo dato.

aveva usmato puzza di sgnacchera malandata. Anche

E quella volpe, astuto come pochi, era tornato dopo

il Che perse la calma, arrotolò una foglia di mais e

sei ore sventolando le due banconote, per chiedere

prese a fumare quella. Dal tavolo degli sconosciuti

quali fossero i cento euro per la birra e quali quelli

giungevano rantoli e grugniti soddisfatti, mentre uno

per i sigari...

di loro parlava di un grosso carico di armi sofisticate

Eppure, dopo i due cazzotti che gli aveva assestato Alì per il suo compleanno, sembrava diventato un po' più sveglio. C'erano anche delle pupe, naturalmente: Ara

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in arrivo. Tutti noi temevamo un'ennesima gaffe letale del Silvio: l'ultima volta ci stavano dichiarando guerra Malta, la Lettonia e persino un'intera regione di Marte.

Carfregna, Ara Venier, Mara Lewinsky... ah no: Monica

Erano dovuti intervenire tutti i Carabinieri della Re-

si chiamava la Lewinsky, e altre tre o quattro scienziate

pubblica e l'Esercito, per proteggerlo. I Carabinieri era-

che ci aveva mandato Sandro Bondi dall'allevamento

no arrivati a piedi o in autostop da tutte le parti d'Italia:

privato di palazzo Chigi. Le bambole erano intente a

da anni non avevano più automezzi funzionanti né

cercare qualcosa sotto il grande tavolo per le colazioni,

soldi per la benzina. Il maxischermo sotto il leccio mil-

dove sedevano altri ospiti appena arrivati. Perdevano

lenario era sempre acceso su Rete 4. Finalmente tornò

sempre qualcosa sotto i tavoli, quelle squinzie. Dis-

Gasparri... naturalmente aveva fatto un casino e invece

tratto dal culetto di una di loro, che si dimenava co-

di sigari e birra arrivò con due borse di preservativi

perto a malapena da una mini e da un pezzo di tova-

e una bottiglia di limoncello. Facemmo gettare Malgi-

glia, mancai l'unghia del medio della Troietti e le feci

oglio nella vasca dei piranhas e mettemmo Gasparri al

un bel buco proprio in mezzo agli occhi: avevo perso.

suo posto. Mancava ancora molto per l'ora di pranzo.

TE SORO, AG G IUN G I UN P OS TO A TAVOL A C A Z Z A T E

POLLO ALL'INFERNETTO INGREDIENTI PER 4 PERSONE :

• • • • • •

1,5 Kg petti di pollo (o se preferite tacchino o koala) 2 o 3 Peperoncini e barattolo di tabasco Noci 2 etti Mandorle 2 etti Salsa di pomodoro Vino bianco, olio, cipolla & aglio, prezzemolo e pepe nero

In un tegame inserite olio, mezza cipolla tagliata fina, 2 spicchi d’aglio, le mandorle, le noci ed il peperoncino. Una volta dorati gli elementi aggiungere il pollo tagliato a listarelle. Fate rosolare e sfumate con vino bianco a profusione. Inserite la salsa di pomodoro (mezza bottiglia) aggiungendo il prezzemolo, tabasco e pepe nero. Servire con bruschette calde. E poi mi dite.

di GIANCARLO GALANTE

"Sono arrivato vicino a cose meravigliose, impieghi, per esempio, istruzione, donne, ma vicino è il massimo a cui arrivo. [...] Non mi chieda perché, ma prima o poi tutto quello che mi pare valga la pena d'avere mi scappa di mano in un modo o nell'altro.."

Bernard Malamud - Il commesso "Siamo il nostro mondo successivo in base a ciò che noi apprendiamo in questo. Se non impari nulla, il mondo di poi sarà identico a quello di prima, con le stesse limitazioni."

Richard Back - Il Gabbiano Jonathan Livingstone "Rimase fermo per un attimo a guardarsi intorno nella sala silenziosa, scuotendo lentamente la testa. Tutti questi libri, pensò, i resti dell'intelletto di un pianeta, i rimasugli di menti inutili, gli avanzi, gli zibaldoni di manufatti inefficaci di fronte all'estinzione del genere umano."

N E

Richard Matheson - Io sono leggenda "Essere contemporaneo è sperimentare la vita personale e sociale come un vortice, è sentire il proprio mondo e se stessi in perpetua disgregazione e rinnovamento, in difficoltà e angoscia, in ambiguità e contraddizione: è essere parte di un universo in cui tutto ciò che è solido si dissolve

. . . S E

F A N N O

D I

ACE NACO N G LIAPPE S I S E N E D I CO N O D I COS E . . .

a vete presente la soia, la pastina, il semolino e cazzate varie? Avete un cesso, usatelo.

Qui si parla di roba seria.

nell'aria."

Marshall Berman - L'esperienza della modernità -

RUBRICHE

Sacro Cuore

La posta del

C

ara Madonnina, sono un ragazzino cattivo e brutto, però vivo in un quartiere di Reggio Calabria strapieno di persone belle e buone. Capisci in quale grande disagio mi trovo cara Madonnina? Vorrei chiederti un favore o se preferisci potrai anche definirlo un miracolo, chiamalo come vuoi, ma ti prego aiutami. Nel mio quartiere vivono ventimila persone e quindi non è proprio un quartierino ed insieme all’altro quartiere confinante siamo in quarantamila, praticamente come una piccola città. Cara Madonnina, per il nuovo anno vorrei che facessi nascere bambini brutti e cattivi, nel mio quartiere ed in quell’altro qui vicino. Perché da come mi raccontano mio padre e mio nonno, questi rioni sono rimasti tali e quali com’erano cinquant’anni orsono e per certi aspetti sono ancora peggiorati. Non è pazzesco? Quarantamila persone senza un teatro, anzi no, un teatro c’è ma è uno di quelli di una delle dodici parrocchie presenti in questo territorio. Senza un campetto da calcio per giocare gratis perché in quelli che c’erano un tempo adesso ci sono degli squallidissimi palazzi. Senza un cinema, mio padre mi ha detto che trent’anni fa ce ne era uno e dopo hanno fatto un supermercato. Senza uno spazio per fare concerti o altre attività artistiche, anzi no c’è uno spazio enorme che è stato acquistato dalla Diocesi, prima per farlo morire e adesso per far nascere delle grandissime coglionate che servono a loro volta per costruire tantissimi ragazzini scemi, belli e buoni. In questo posto, cara Madonnina, sono quasi tutti cattolici, mafiosi, democristiani, boia chi molla o comunisti, tutti belli e buoni. Io vorrei che ci fossero più persone cattive e brutte, visto i pessimi risultati ottenuti in questo mezzo secolo. Ti prego, solo tu puoi aiutarmi, ricordati che oltre ad essere brutto sono anche cattivo. Ti ringrazio cara Madonnina perché son certo che mi ascolterai.

C

Albertino Calarco - Scuola Media Bevacqua - Reggio Calabria

ara Madonnina, ti chiedo una preghiera per il mio cane che si è preso le pulci. È un essere amorevole come lo sono tutti gli esseri del creato. Il veterinario mi ha detto che oltre a spazzolarlo con cura tutti i giorni e tenerlo lontano dai gatti che sono pericolosi portatori di pulci, dovrei evitare di dargli da mangiare in continuazione. E soprattutto evitare di dargli da mangiare quello che mangiamo noi. Dice che ci sono i suoi croccantini fatti apposta che contengono tutto quello che il caro Zampy ha bisogno. Io non sono sicura di quello che mi dice perché la signora Di Vella che sta al quarto piano non compra mai croccantini e nemmeno scatolette. Secondo te è vero che gli toglie la pasta in bianco prima di condirla e servirla a tavola?

Io non lo so e per sicurezza, cara Madonnina, so che mi ascolti e mi capisci e ti imploro di pregare per lui così guarisce. Grazie.

Elena Antonelli da Vigarano Mainarda (Ferrara)

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Il CAPPIO 00/ LUGLIO-AGOSTO 2012

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La Casa degli Appesi: Gianni Cusumano, Pino Amaddeo, Francesco Villari, Gianmarco Cantafio, Alberto “Bubba” Caristo, Michelangelo Strati, Sara Cinesca, Domenico Sofia, Giancarlo Galante.

Hanno collaborato a questo numero: Italo Rizzo, Lucio Salis, Luca Scanferlato, Viviana Lacava, Giuseppe Candiano, Chiara Nucera, Dario Parrinello, Maria Grazia Costantino, Roberto Priolo, Mirella Nania, Julio Carnera, Andrea Squillace, Giak, Fabio Itri, F.R.U. Creazione d’Immagini, Fabrizio Araniti, Michele Rieri, Anna Borghi, Salvador Martin, Francesca Calarco, Giorgio Marino, Mortiz Kohen, Serena Jeje Pedullà, Prof. Needermayer, Duccio Moroni, Ulucci Alì.

QUEL CHE RESTA DEI

Marcia piedi IL READING LETTERARIO ITINERANTE DEGLI

AUTORI APPESI

PINO AMADDEO, FRANCESCO VILLARI, GIANNI CUSUMANO ACCOMPAGNATI DALLE MUSICHE DI GIANCARLO GALANTE

"STAVO ANDANDO INCONTRO AL MIO RECENTISSIMO FUTURO AVEVO TANTA VOGLIA DI INCONTRARE TUTTO IL "POSSIBILE" MA… NECESSITÀ, VIZI E BISOGNI MI PEDINAVANO ANCORA." Per organizzare un reading "Quel che resta dei marciapiedi": allaredead@alice.it

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